Mar 2, 2020 | Ecumenismo
Ad Aquisgrana il Movimento dei Focolari in Germania ha consegnato il Premio Klaus Hemmerle all’ Arcivescovo Anastasios di Tirana, Albania
Non è un volto noto alle prima pagine dei giornali, quello del mite novantenne con la barba bianca che venerdì 14 febbraio ha ricevuto ad Aquisgrana (Germania) il “Premio Klaus Hemmerle” conferito dal Movimento dei Focolari in Germania. Ma Anastasios Yannoulatos, Arcivescovo greco-ortodosso di Tirana (Albania) è una personalità ben conosciuta e stimata sia a livello ecclesiale internazionale che a livello politico, soprattutto nell’Europa orientale. Nel suo discorso di ringraziamento ha augurato una “coesistenza pacifica in un mondo multi-religioso”. Si è dichiarato affascinato da una frase di Albert Einstein sulla forza dell‘amore: “Ognuno porta in sé un generatore di amore, piccolo ma efficiente, la cui energia aspetta solo di essere liberata, perché l’amore è la quintessenza della vita”. E ha ricordato che è stato questo stesso amore ad incoraggiare il vescovo Klaus Hemmerle (1929 – 1994) ad impegnarsi instancabilmente per la pace e la riconciliazione nel mondo. Un impegno che caratterizza anche la vita e l’agire del Metropolita Anastasios.
Mons. Helmut Dieser, come attuale Vescovo di Aquisgrana ed uno dei successori di Klaus Hemmerle, ha dato il benvenuto ai 300 ospiti radunati nel Duomo Imperiale della città di Carlo Magno, presentando il premiato come “pioniere della fede e dell’ecumenismo”. Lo ha confermato il Metropolita Augoustinos Lambardakis, presidente della conferenza episcopale ortodossa in Germania, sottolineando la stima di cui gode il Metropolita Anastasios nel mondo ortodosso, dove la sua parola trova ascolto nonostante le tensioni tra le diverse Chiese autocefale. Maria Voce, Presidente dei Focolari, ha sottolineato in un messaggio anche l’instancabile impegno del Metropolita Anastasios per il dialogo tra cristiani e musulmani, ringraziandolo per la sua capacità di suscitare comunione, fratellanza e condivisione. Nella laudatio il card. Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, ha ridisegnato il percorso Metropolita Anastasios, che l’ha portato dalla Grecia attraverso l’Africa fino all’Albania, dove ha dimostrato come “il dialogo interreligioso e l’impegno missionario non debbano essere in contrasto”. Ha sottolineato inoltre come dal 1992 si sia impegnato, con prudenza, per ricostruire e rinvigorire la Chiesa Ortodossa in Albania contribuendo alla diminuzione delle forti tensioni nei Balcani. Con il “Premio Klaus Hemmerle” il Movimento dei Focolari in Germania vuole onorare ogni due anni una personalità meritevole nel campo del dialogo tra le Chiese, le religioni e le convinzioni ideologiche. Tra i premiati il già-presidente delle Federazione Luterana Mondiale, il vescovo emerito Christian Krause (2006); il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I (2008); la dottoressa musulmana Noorjehan Abdul Majid del Mozambico (2016) e il Rabbino tedesco Henry Brandt di Augsburg in Germania (2018).
Andrea Fleming
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Ott 21, 2019 | Collegamento
Il video-blog di Ana Clara Giovani, giornalista brasiliana, che ha partecipato all’evento. https://vimeo.com/362740311 (altro…)
Lug 29, 2019 | Dialogo Interreligioso
Andrea Cardinali, giovane scrittore, racconta la quarta edizione del Summer Camp dei ragazzi di Armonia tra i popoli che si è svolta a luglio in Terra Santa. È il racconto personale di un’esperienza e di una terra capaci di toccare l’anima come pochi posti al mondo. Ci sono viaggi dai quali si torna rilassati perché vissuti come vacanze, altri dai quali bisogna prendersi giorni di riposo ulteriori per il sonno accumulato e poi ci sono viaggi che al ritorno ci si domanda: “Ma… dove sono stato?”
A volte si vive tutto così intensamente che manca il momento della domanda, la fase nella quale l’uomo si interroga sul senso, sul dove, sul perché. Non è necessariamente un male. Tutt’altro. Soprattutto quando si tratta di trascorrere la maggior parte del tempo con bambini ancora inconsapevoli di essere “prigionieri” nel loro luogo di nascita, la Palestina. Il fatto che manchi il momento della domanda non è sintomo di poca riflessione. Per alcuni viaggi, forse i più grandi, funziona proprio così, parti quando dici un quasi inconsapevole “Sì” ed entri con forza nel pieno dell’avventura. Non è più possibile pensare il senso da un fuori, sei così in uscita da te stesso che il senso lo viaggi da dentro.
Sono stato in Palestina 18 giorni, trascinato da Antonella Lombardo e dalle meravigliose ragazze della scuola Dance Lab di Montecatini (Italia), alcune delle quali incontrate nell’indimenticabile Genfest Let’s Bridge del 2012. “Armonia tra i Popoli” nasce nel 2005 con l’intento di utilizzare l’arte e la danza come strumenti di unità tra popoli e culture. Dopo varie edizioni italiane e workshop con ragazzi provenienti da vari Paesi, alcuni anni fa è nato grazie alla collaborazione con padre Ibrahim Faltas il progetto “Children without borders” che quest’estate è arrivato
alla quarta edizione in Palestina. Sono stato l’ultimo ad aggregarsi a questa comitiva di artisti-educatori e con Luca Aparo di Sportmeet abbiamo cominciato a muoverci anche sul fronte sportivo che sappiamo essere altrettanto prezioso per imparare a divertirsi rispettando diversità di ogni tipo. Dopo due settimane di workshop artistici siamo andati in scena con i bambini il 14 luglio al Teatro Notre Dame di Gerusalemme e il 16 luglio alla Fondazione Giovanni Paolo II di Betlemme, rappresentando l’incontro storico di San Francesco d’Assisi con il Sultano d’Egitto Malik Al-Kamil avvenuto 800 anni fa nel 1219. Ad impreziosire le due serate c’era con noi anche il cantante Milad Fatouleh, conosciuto in Italia per “Una stella a Betlemme” votata migliore canzone straniera allo Zecchino d’Oro del 2004. Molte le personalità politiche e religiose presenti ai due spettacoli per celebrare l’incontro del Cristianesimo e dell’Islam, segno profetico del dialogo interreligioso e di una pace possibile.
Andrea Cardinali
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Lug 14, 2019 | Dialogo Interreligioso
Per la prima volta una settimana insieme: ebrei, musulmani, indù, buddisti, cristiani. Appartengono alla famiglia dei Focolari. Liridona viene dalla Macedonia del Nord ed è musulmana, sunnita. A Papa Francesco, nel suo recente viaggio, ha presentato l’esperienza che vive con altri giovani dei Focolari, cristiani e musulmani, concludendo con la domanda: «È lecito continuare a sognare?»[1]. Dal 17 al 23 giugno, il suo sogno si è incrociato con quello di una quarantina di persone, da 15 Paesi, di 5 fedi diverse, attesi a Castel Gandolfo come si attende «quelli di casa» dal team del centro del dialogo interreligioso dei Focolari. Prima tappa la cappella che custodisce la tomba di Chiara Lubich[2]. Con un canto Vinu Aram, indiana, leader del movimento Shanti Ashram, esprime per tutti l’amore che li lega alla «fonte» che ha cambiato le loro vite.
E il dr. Amer, musulmano, docente di teologia comparata: «Vengo dalla Giordania, dove scorre il Giordano. Mi fa pensare che il nostro cammino inizia con la purificazione dell’anima. Spesso mi chiedo come persone possano togliere la vita ad altri e a sé stessi spinti dall’estremismo radicale. Chiedo a Dio il coraggio di essere pronti a dare la vita per il Bene, per testimoniare quest’amore tra noi e a tutti».
Un quarto dei partecipanti ha meno di trentacinque anni. Fra loro Kyoko, buddista, dal Giappone, Nadjib e Rassim musulmani dell’Algeria, Israa e Shahnaze, sciite, che vivono negli Usa, Vijay indù di Coimbatore. Si vivono giorni di «profezia» approfondendo l’esperienza mistica dell’estate ‘49. Shubhada Joshi, indù, racconta: «Quando ho sentito parlare per la prima volta di “Gesù Abbandonato“ stavo sopportando grandi sofferenze e non riuscivo a capire. Ho iniziato a guardarlo come l’altro lato della medaglia dell’amore. Sto comprendendo la mia tradizione in un modo migliore».
Dopo tre giorni questo «laboratorio» si apre a un centinaio di persone, per lo più cristiani, impegnate nel cammino di fraternità dei Focolari. Il messaggio del neo-Presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, mons. Ayuso Guixot esprime un segno di profonda «sintonia» con l’operato di papa Francesco. La narrazione di questo dialogo nel magistero degli ultimi Papi fatta da Rita Moussallem e Roberto Catalano mette in evidenza l’apertura e lo spirito profetico del Vaticano II. Formazione e trasformazione dunque. Ognuno, arrivato «carico» delle proprie esperienze, trova nella condivisione con fratelli e sorelle di varie fedi la «scuola» più vera, fa l’esperienza di un «Dio presente». Oltre il dialogo, si guarda avanti insieme. Del resto Papa Francesco a Liridona aveva risposto di: «diventare bravi scalpellini dei propri sogni con applicazione e sforzo, e specialmente con una gran voglia di vedere come quella pietra, per la quale nessuno avrebbe dato nulla, diventa un’opera d’arte»[3].
Gianna Sibelli
[1]cfr. www.vaticannews.va/it/papa/news/2019-05/papa-francesco-viaggio-macedonia-nord-incontro-ecumenico-giovani.html [2]La cappella del centro del Movimento dei Focolari, a Rocca di Papa, custodisce la tomba di Chiara Lubich insieme a quelle dei co-fondatori dell’Opera di Maria: Igino Giordani e d. Pasquale Foresi [3]www.vatican.va, viaggio apostolico in Macedonia del Nord, Discorso di Papa Francesco all’incontro ecumenico e interreligioso con i giovani, Skopje, 7 maggio 2019. (altro…)
Mag 16, 2019 | Centro internazionale
Nuova tappa del viaggio di Maria Voce e Jesús Morán in Libano: alle radici della cultura del Paese, con la sua complessità sociale, politica e religiosa. La sfida di un dialogo autentico come chiave per la rinascita del Libano. “It’s time to built a new nation”, “È ora di costruire una nuova nazione”. Così dice un grande cartello che si affaccia sull’autostrada, ma la velocità del traffico libanese non premette di capire né di chi sia appello, né quali intenzioni voglia esprimere.
La piccola delegazione del Movimento dei Focolari con a capo la presidente Maria Voce e il copresidente Jesús Morán è di ritorno da una gita al Nord del Paese dove ha visitato la Valle dei Santi, il centro spirituale della Chiesa Maronita di cui fanno parte la grande maggioranza dei cristiani libanesi. È anche la zona dei famosi cedri di Libano: una piccola foresta a 2000 metri d’altezza, dove esistono ancora esemplari che probabilmente risalgono all’epoca del Re Salomone e quindi a 3000 anni fa. Tornando a Beirut si è carichi di impressioni che affermano la grande capacità di questo popolo che ha alle spalle 7000 anni di storia e che ha saputo sopravvivere all’incrocio di tre continenti e di tre grandi religioni ma ha anche saputo conservare la propria creatività in condizioni estremamente difficili. Più ci si avvicina alla capitale, più ritorna alla mente la realtà attuale che nella sua complessità non dà molti motivi di speranza. In Libano attualmente sono presenti 18 comunità religiose. Lo Stato e le pubbliche amministrazioni funzionano “in emergenza”. C’è un intreccio indissolubile tra gruppi etnici, religiosi, politici, tra grandi famiglie, interessi economici, potenze esterne. Le vecchie ferite della guerra cosiddetta “civile” dal 1975 al 1990 non sono ancora guarite. “Non abbiamo avuto il coraggio di guardare in faccia al male che abbiamo provocato gli uni agli altri – ha detto uno dei vescovi incontrati in questi giorni – e di conseguenza nessuno ha mai chiesto perdono all’altro”. E più volte in questi giorni si sente dire che la situazione potrebbe scoppiare da un momento all’altro.
“È ora di costruire una nuova nazione”, dice il cartello sull’autostrada e viene spontaneo chiedersi come ciò potrà mai accadere. La risposta che Jesús Morán ha delineato in un intervento a una tavola rotonda alla facoltà di Filosofia dell’Università Santo Spirito (USEK) nei pressi di Beirut, può essere riassunta nell’unica parola: dialogo. “Il dialogo – ha sottolineato il copresidente dei Focolari – fa parte della natura dell’uomo. Nel dialogo l’uomo diventa più uomo perché è completato dal dono dell’altro. Quindi, non si tratta tanto di parole o di pensieri, ma di donare il proprio essere. Ciò richiede silenzio e ascolto ed il rischio di mettere in gioco la propria identità, anche culturale, anche ecclesiale, che non andrà tuttavia perduta ma arricchita nella sua apertura”. Dialogare quindi per costruire una nuova nazione? Non sarà anche questa un’altra bella teoria, una delle tante che i Libanesi hanno sentito in questi anni.
“Assolutamente no!”, potrebbero rispondere i 150 cristiani e musulmani che il 13 maggio si sono incontrati nella cosiddetta “casa gialla” costruita su quella che era la linea di demarcazione tra le zone Est e Ovest di Beirut e che è stata ricostruita, per non dimenticare le ferite della guerra. Le testimonianze della loro amicizia, nata durante la guerra sulla base di una semplice accoglienza da parte dei Focolari, erano commoventi e convincenti. Piccoli gesti di vicinanza e attenzione, visite reciproche, rapporti senza interessi, hanno trasformato – come ha descritto una donna musulmana – l’amicizia in una vera famiglia. “Il dialogo è possibile solo tra persone vere. Ed è solo l’amore che ci fa veri”, ha detto Jesús Morán nel suo intervento. Gli amici cristiani e musulmani e la loro esperienza ne sono la prova. Forse è solo un piccolo seme, che magari crescerà lentamente, proprio come i cedri del Libano. Ma è sicuramente un seme con una forza irresistibile, dal quale può nascere una nazione nuova.
Joachim Schwind
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