Movimento dei Focolari
Dopo la crisi, l’amore. Quello vero.

Dopo la crisi, l’amore. Quello vero.

Mariarosa e Renzo Bardi-a«“La storia di una famiglia è solcata da crisi di ogni genere”. Esordisce così papa Francesco, nell’accingersi a parlare della crisi di coppia in Amoris Laetitia (AL 232 e segg.), intercettandone con grande realismo i vari passaggi. Pagine che sembrano raccontare la mia storia. Di me, bambino di 5 anni, che la guerra rende orfano di padre e di prospettive. Di me, giovane, che nell’amore di una ragazza ritrova un soffio di vita nuova e una speranza di felicità. Di me, uomo, deluso e  rimasto solo. Ma anche il racconto di una comunità che accoglie e che salva. Terminati gli studi nautici e imbarcato sulle navi della Marina Mercantile, in una licenza conosco Mariarosa e sboccia l’amore. Un sentimento così grande che non ammette distanze. Per lei lascio il mare.  Il nuovo lavoro ci porta a vivere lontani dalle nostre famiglie, dagli amici, dalla vita di sempre. Tutto l’universo è circoscritto a noi due avvolti nel sogno: sia io che lei puntiamo sull’altro ogni aspettativa di felicità. Tutto fila fino a che le nostre diversità, dapprima attraenti, iniziano ad infastidirci. Fino ad apparirci inaccettabili, fino a non riconoscerci più e a convincerci di aver sbagliato persona. E con amara delusione dobbiamo ammettere che il sogno è finito. E con esso il nostro matrimonio. Ci lasciamo. Mi ritrovo solo, nella casa vuota, in preda a rabbia e disperazione.

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1971: quando erano giovani sposi, da poco riconciliati, con i primi cinque figli

Alla festa di nozze di un collega, uno degli invitati mi offre un passaggio per tornare a casa. Incoraggiato dalla profondità del suo ascolto gli racconto della mia situazione. Egli si offre di diventare amici ma io, deluso dalla vita e dalle persone, gli dico di non credere nell’amicizia. “Io ti propongo un’amicizia nuova – rilancia fiducioso –, di amarci “come Gesù ci ha amato”. Quel “come” apre un varco nella mia anima. Comincio a frequentare la sua famiglia e i suoi amici del Focolare, amici che diventano anche miei. È ciò di cui ho davvero bisogno: la vicinanza di persone che non mi giudicano, non danno consigli, non ostentano la propria felicità. Sanno invece comprendere l’angoscia di chi come me è allo sbando. Il loro modo di vivere è come uno specchio in cui rivedo tutto il mio passato, il concatenarsi di errori e di egoismi che l’avevano sciupato. Sul loro esempio comincio anch’io a fare qualcosa di bello per gli altri.
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Renzo e Maria Rosa con tutta la famiglia

Due anni dopo, del tutto inaspettata, arriva una lettera di Mariarosa. Anche lei, per strade del tutto diverse, nella sua città ha conosciuto persone che l’hanno fatta incontrare con lo sguardo d’amore di Gesù. Titubanti ci rincontriamo e in quel momento avvertiamo che Dio ci aveva dato un cuore nuovo e la certezza che il nostro amore poteva sbocciare di nuovo. Un amore la cui misura non era più aspettare ma, dare. Nella misericordia inizia un percorso fino alla rifondazione della nostra famiglia, che sarà allietata da sei figli, fra cui tre gemelle. Ma non più isolati: con altre coppie condividiamo il ricominciare di ogni giorno, sperimentando che pur in mezzo alle fatiche e alle prove, che non mancano mai, possiamo costruirci coppia con un orizzonte di felicità. In un quotidiano intessuto di comunione, di reciprocità, di profonda condivisione di sentimenti, di propositi, di donazione verso i figli e verso tutti. Sperimentando, nella gioia, come scrive Francesco, che una crisi superata porta davvero a “migliorare, a sedimentare e a maturare il vino dell’unione”. E che ogni crisi è l’occasione per “arrivare a bere insieme il vino migliore” (AL 232)». (altro…)

Burundi, perdono che ferma l’odio

Burundi, perdono che ferma l’odio

Foto: stocksnap.io

Foto: stocksnap.io

«Ho concluso gli studi di Ingegneria Civile nel dipartimento di Scienze Applicate, ma per il momento sono ancora senza lavoro. Il 12 maggio 2015, rientrando da un funerale, ci è stato annunciato che uno zio, fratello di mio padre era appena stato ucciso nella sua casa. Nove giorni più tardi mio padre viene accusato del delitto e arrestato. Per me e tutta la famiglia è stato un grande dolore, anche perché ben sapevamo che nostro padre era innocente. E pensarlo in carcere con una simile accusa ci dava una grande angoscia. Ho condiviso questo mio dolore con la comunità del Focolare e questo mi ha davvero aiutato a non sentirmi sola in questa assurda situazione. La comunità mi ha anche aiutata a trovare un buon avvocato che ha preso a cuore la situazione presso le autorità competenti. La giustizia ha fatto il suo corso e un mese più tardi mio padre è stato liberato. È stata una grande gioia per noi e la situazione è ritornata alla normalità. Ma nel pomeriggio di Natale, mentre stavano rientrando a casa, un giovane ha colpito mio padre in testa ripetutamente con una pietra, ferendolo a morte. Contemporaneamente, altri due ragazzi hanno preso e legato mia madre, ma, grazie a Dio, l’hanno lasciata in vita. Un bambino che pascolava le capre in quei paraggi è corso a darci la notizia. Era difficile per noi credergli, ma ugualmente con i miei fratelli siamo andati a vedere cosa fosse accaduto. Trovandolo agonizzante, abbiamo subito portato nostro padre in un presidio della Croce Rossa dove, però, poco dopo è deceduto. La mattina successiva, mia madre è andata al posto di Polizia dove ha denunciato quei ragazzi che aveva riconosciuto. Così sono stati arrestati. Da quel giorno però, da parte dei loro genitori sono iniziate le minacce: se lei non li avesse fatto liberare, io e i miei fratelli saremmo stati uccisi. Mia madre ha subito esposto denuncia al tribunale residenziale, ma, nonostante ciò, dopo tre settimane quei ragazzi erano liberi! Come se  non bastasse i loro genitori hanno diffuso la notizia di aver dato dei soldi a mia madre affinché ritirasse la denuncia. Naturalmente questa era pura menzogna. Sconvolti dal dolore per la perdita del papà e oppressi per quanto ci stava accadendo, mia madre e noi figli eravamo in preda alla paura e pieni di interrogativi. Non sapevamo come regolarci. Un giorno sono andata in Focolare. Ascoltando un discorso di Chiara Lubich, mi ha colpito una frase : «L’amore è la chiave dell’unità, la soluzione a tutti i problemi». Sono rientrata a casa più sollevata. La sera stessa ho sentito che Dio mi domandava di perdonare gli assassini di mio padre e di aiutare la mia famiglia a fare lo stesso. Ho condiviso questo pensiero con mia madre e anche lei è riuscita col tempo a perdonarli. Così pure i miei fratelli e sorelle. Ora in noi regna la pace. Insieme preghiamo per le persone che direttamente o indirettamente hanno ucciso mio padre, affinché sia Dio stesso a convertirle. Da soli non saremmo riusciti a farlo. Ad aiutarci sono state le preghiere della comunità che tuttora continua a sostenerci affinché riusciamo a vedere queste persone, ogni giorno, con occhi nuovi ».

A.M.N.

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Un racconto dalla frontiera macedone

Un racconto dalla frontiera macedone

1458313908«C’è una moltitudine di gente che arriva nelle condizioni più precarie. Le tende si distendono a centinaia lungo la pianura e sotto una pioggia battente sono sommerse letteralmente sotto il fango». I bambini? Sono tantissimi e si ammalano facilmente. La notizia: tre profughi sono morti tentando di attraversare illegalmente un fiume tra la Macedonia e la Grecia. Ha cominciato a piovere la settimana scorsa e non ha smesso più e la pianura si è riempita di acqua. Vivono sotto le tende e nel fango le migliaia di profughi che attendono di oltrepassare la frontiera greca con la Macedonia. Il “miraggio” è arrivare in Europa. Dolores Poletto è croata, lavora da sole due settimane con la Caritas Macedonia e vive nella comunità del Movimento dei Focolari a Skopje. È lei a raccontare cosa ha visto con i suoi occhi, lungo la frontiera. «Sono stata nel campo profughi a Gevgelija (Macedonia) con i colleghi di Caritas. È stata una visita non formale. Dall’altra parte del filo della frontiera, appare una marea di gente. Siamo passati anche attraverso la frontiera ufficiale in Grecia, a Idomeni». Frontiere chiuse. La situazione umanitaria che i profughi stanno vivendo in Grecia, Macedonia e Serbia è l’esito della chiusura dei confini lungo la rotta balcanica. Da mercoledì 9 marzo le autorità slovene hanno chiuso le frontiere. Anche la Croazia ha annunciato la chiusura dei confini e subito dopo le autorità serbe. Secondo gli ultimi dati – ma i numeri sono sempre approssimativi – sul confine macedone si trovano ora circa 14mila rifugiati. In Grecia sono più di 34mila. A Idomeni c’è una sorta di imbuto. Si sta ripetendo qui quello che da mesi si sta vivendo a Calais, al confine francese sulla Manica. I migranti arrivano, dopo aver attraversato la Grecia e l’Egeo in un barcone. «Una moltitudine di gente – racconta Dolores -. Arrivano nelle condizioni più precarie. Le tende si distendono a centinaia lungo la pianura. Sono tende che vanno bene per l’estate ma qui vengono sommerse letteralmente sotto il fango. Quando siamo andati, la giornata era soleggiata, ma la stessa sera ha cominciato a piovere e da allora non ha smesso più. È una pianura. Siamo sulla frontiera dove prima si attraversava in Macedonia. La gente vuole essere più vicino possibile, così che le tende sono state montate a ridosso della ferrovia».  Alla pioggia si aggiunge anche il freddo. «Di giorno la temperatura, se è sereno, può arrivare anche fino a 18 gradi, ma di sera scende attorno ai 2-3 gradi». Le condizioni di vita nel campo si deteriorano di giorno in giorno. Al freddo, si aggiungono scarsità di cibo e insostenibili condizioni igienico-sanitarie. «I bambini – dice Dolores – sono tantissimi, anche piccoli». Bambini, ragazzi e donne: sono il 70% della popolazione del campo. Medici senza Frontiere conferma: nell’ultima settimana abbiamo svolto 2mila visite mediche. Le principali patologie riscontrate sono infezioni del tratto respiratorio e gastroenteriti, tutte collegate alle condizioni dell’accoglienza, alle scarse condizioni igieniche e al freddo. «Tanti si mettono in fila per ricevere il cibo», racconta ancora Dolores. «Difficile descrivere lo stato psicologico in cui si trovano. Tanti dicono di venire dalla Siria. Tutti vorrebbero andare in Germania, Austria. L’unica domanda che ci ponevano: quando apre la frontiera». Sono pronti a tutto pur di raggiungere la meta, anche a costo della vita. «Sai proprio adesso ho sentito la notizia – dice Dolores – che 3 sono morti nel fiume tra Macedonia e Grecia cercando di passare illegalmente. È una tristezza». Caritas è presente sin dall’inizio della crisi con tante Ong.«Stanno aspettando, sperando di poter passare la frontiera – spiega Dolores – per questo, non vogliono spostarsi in campi più adatti. È difficile aiutarli». C’è la polizia di frontiera a sorvegliare perché non passi nessuno, secondo gli accordi presi con l’Europa.  Di fronte a questo “impasse”, «ti senti impotente di fare qualsiasi cosa». Dolores è rimasta profondamente colpita da questa esperienza sul confine. «Si può stare con loro sulla croce, non riesco a dimenticare quelle immagini. Sono presenti tantissimi giornalisti. Ho parlato con alcuni di loro e al ritorno a casa ho guardato i loro servizi in tv. Mi sono detta che se li avessi guardati senza visitare quel posto, sarebbero stati una delle tante notizie che passano ogni giorno, ma adesso avendo toccato con mano questa realtà, sento che si tratta di una ferita dell’umanità». Fonte: SIR (altro…)

Tra i senza tetto nelle stazioni di Roma

Tra i senza tetto nelle stazioni di Roma

image2«Ho cominciato a dare una mano – racconta Annette, focolarina tedesca – nel dicembre 2014. Il freddo già incalzava e c’era urgente bisogno di coperte. Nel cercare di saperne di più, qualcuno di RomAmoR ONLUS  mi ha proposto: “Più delle coperte, servirebbe che venissi tu a darci una mano a stare con loro”. La settimana dopo ero già alla stazione Ostiense. È stata un’emozione molto forte. Nell’avvicinarmi a quelle persone scoprivo che, paradossalmente, erano loro che accoglievano me! Mi rendevo conto che non si trattava di una categoria scomoda da evitare, ma di persone desiderose di rapporti, capaci di dare loro stesse calore umano. Dopo un po’ sono arrivati i volontari con la cena calda e la stazione, da un posto anonimo, freddo e grigio, si è riscaldata». Da quel lunedì la vita di Annette è cambiata. Le prime notti non riusciva ad addormentarsi pensando a Giovanni, Stefan, Mohamed che non avevano un letto caldo come il suo. Ha cominciato a rivedere il suo armadio, semmai ci fosse ancora qualcosa da condividere, nonostante in focolare si cerchi di vivere col solo necessario. Ma soprattutto ha continuato ad andare in stazione tutti i lunedì. Una sera, consultando il quaderno dove vengono segnate le richieste dei senzatetto, ha visto che servivano scarpe da uomo. In casa non ne aveva. Si è ricordata dell’esperienza di Chiara Lubich durante la guerra, che chiedeva a Gesù, presente nei poveri che avevano bisogno. «Così ho fatto anch’io e nel giro di due settimane – racconta Annette – me ne sono arrivate 10 paia!».

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Foto © Dino Impagliazzo

Con l’arrivo dell’autunno la necessità di coperte si è ripetuta. Due amiche di Roma a novembre festeggiavano il compleanno così hanno pensato di chiedere come regalo: “coperte”. Ne sono arrivate parecchie, ma non bastavano. Non potendo dare quelle di casa (già avevano tenute solo quelle strettamente necessarie), Annette le ha chieste ancora a Gesù, affinché Lui potesse riscaldarsi in quei poveri. «Nel giro di pochi giorni – racconta sorpresa – da un Centro di studenti di teologia che stava traslocando ci sono arrivati 4 grandi sacchi con dentro 30 coperte e una decina di materassini da campeggio. Senza contare le coperte raccolte da altri volontari». La condivisione si propaga a macchia d’olio. Il vicino di una collega, che aveva perso la fiducia in qualsiasi attività di solidarietà, ha donato tanti capi caldi e ha coinvolto in questo giro anche un amico. «Ma più forte ancora di questi interventi della Provvidenza – confida Annette – è l’esperienza che facciamo. È gente che non ha da mangiare, che non ha un tetto, ma che pian piano acquista dignità, sia perché vestiti meglio e puliti, sia perché, insieme, viviamo rapporti di fraternità. Ogni volta cerco di accogliere l’altro davvero, disponendomi ad essere un piccolo strumento dell’amore di Dio. Ed essi mi danno la chance di testimoniare il Vangelo “per strada”, nella condivisione con persone di tutto il mondo con idee e opinioni le più varie. In questa reciprocità, la realtà cambia, la città muta il suo volto e l’amore si può toccare con mano… anche solo attraverso una cena calda. A Natale abbiamo avuto un regalo speciale: due amici della stazione sono venuti a festeggiarlo con noi in focolare, con grande gioia di tutti». (altro…)