Apr 23, 2015 | Centro internazionale, Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
https://vimeo.com/125812270
Cosa sono le religioni nel mondo oggi? Tanti le vedono come ostacoli alla pace, residuo dei tempi passati che causano adesso un estremismo violento. Ma il mondo sarebbe davvero più pacifico senza le religioni? Il dibattito tematico ad Alto Livello “Promuovere la tolleranza e la riconciliazione”, ad un tratto si anima. Il secondo giorno dell’incontro all’ONU dà, infatti, delle direttive. Il segretario generale Ban Ki-moon, in apertura propone un comitato consultivo con i leader delle religioni, per aiutare le Nazioni Unite a trovare soluzioni per i conflitti in corso, spesso proprio tra seguaci di religioni diverse. In plenaria si susseguono le testimonianze di 15 leader religiosi. Tutti i presenti concordano sul fatto che le religioni dovrebbero aiutare a costruire la pace, andare oltre la semplice tolleranza, al solo accettarsi – e sottolineano che ci sono persone in tutto il mondo che vivono già così nella quotidianità. La presidente dei Focolari, Maria Voce, nel suo discorso ricorda l’esperienza vissuta da molti nel Movimento: «L’incontro tra culture e religioni è una esperienza continua e feconda, che non si limita alla tolleranza o al semplice riconoscimento della diversità, che va oltre la pur fondamentale riconciliazione, e crea, per così dire, una nuova identità, più ampia, comune e condivisa». E ciò avviene in contesti che sono stati colpiti o sono tutt’ora caratterizzati da gravissime crisi, come in Algeria, Siria, Iraq, Libano, Repubblica Democratica del Congo, Nigeria, Filippine.

Introduzione alla tavola rotonda – H.E. Ban Ki-moon, Segretario Generale ONU (link al video)
Per rispondere alle sfide e alla violenza, propone un«estremismo del dialogo», cioè un dialogo che richiede il massimo di coinvolgimento, «che è rischioso, esigente, sfidante, che punta a recidere le radici dell’incomprensione, della paura, del risentimento». Da lì, invita a puntare verso una «civiltà dell’alleanza»,«una civiltà universale che fa sì che i popoli si considerino parte della grande vicenda, plurale e affascinante, del cammino dell’umanità verso l’unità», invitando l’ONU stessa a ripensare la propria vocazione, a riformulare la propria missione, per essere «un’istituzione che davvero si adopera per l’unità delle nazioni, nel rispetto delle loro ricchissime identità». Dire che le religioni sono la causa delle tensioni, è secondo Maria Voce una visione troppo ristretta della situazione: «Quello a cui assistiamo in molte aree del pianeta, dal Medio Oriente all’Africa, ha molto poco a che fare con la religione e invece ha molto a che vedere con le consuete ricette del dominio di oligarchie e della prevalenza di strutture improntate alla cultura bellica». Dunque, la vocazione delle religioni è ben determinata: «Essere fedeli alla propria ispirazione fondamentale, alla Regola d’oro che tutte le accomuna, all’idea dell’unica famiglia umana universale». Su questa linea erano tutti concordi: le religioni portano alla pace, se non sono strumentalizzate per altri fini.
Nella tavola rotonda del pomeriggio, moderata dalla giornalista BBC Laura Trevelyan, il rabbino David Rosen si chiede perché così tanti giovani si sentano attratti dell’estremismo: «Forse perché sono in ricerca della propria identità, o per qualcosa che dia un senso alla loro vita». «Alle Nazione Unite, normalmente non si menziona Dio», osa chiedere il rabbino Arthur Schneier: «Come trattiamo questo problema – che l’ONU dovrebbe essere neutrale – quando 5 dei 7 miliardi di persone sulla terra appartengono ad una religione?». Per Bhai Sahib Mohinder Singh, Sikh di Birmingham: «Dio è onnipresente, in ognuno di noi, dunque non si può dire che Dio non è qui». E per Maria Voce «Si parla di Dio quando si parla di giustizia, di condivisione di tutti i beni della terra, di uno sviluppo sostenibile, si parla di Dio quando si pensa a cosa prepariamo per le generazione future. Questo è parlare di Dio, non è necessario parlarne in astratto». Come mantenere l’integrità del dialogo interreligioso? I leader religiosi presenti non stanno rinunciando a qualcosa, venendo qui all’ONU per parlare di risoluzione di conflitti? «Io non rinuncio a niente», afferma Maria Voce. «Sono venuta per amore, pensando di portare il mio contributo di amore all’umanità. Mi sono sentita arricchita da questa possibilità». In finale uno sguardo alle nuove generazioni: «Tornando a casa, quello che farò – dichiara – sarà sostenere tutte le attività di giovani e giovanissimi, perché credo nella loro potenza profetica», e cede la parola a Ermanno Perotti, giovane italiano che l’ha accompagnata in questa tappa statunitense. Il 25enne, master in economia dello sviluppo, coglie l’occasione per presentare l’Atlante della Fraternità, un dossier che raccoglie le iniziative per la fraternità presenti ad ogni latitudine. «Con la speranza – aggiunge Maria Voce – che un giorno anche questi “frammenti di fraternità” possano essere presentati alle Nazioni Unite», e che le Nazioni Unite possano accoglierli. Con questa visione è chiaro che le religioni hanno una grande opportunità, ma anche un grande compito: costruire la pace e rispondere alle sfide con un “dialogo estremo” invece di chiudersi nel proprio gruppo. Susanne Jansen, New York Intervento integrale in plenaria Maria Voce (testo) Intervento in plenaria Maria Voce (video) Sintesi della tavola rotonda con interventi di Maria Voce (video) Comunicato stampa Area Press (altro…)
Apr 22, 2015 | Centro internazionale, Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni
Quartier generale delle Nazione Unite: migliaia di persone lavorano lì, personalità importanti e capi di stato – chi non ha mai sognato di andarci un giorno? Ermanno Perotti, 25 anni, studente di economia dello sviluppo a Firenze/Italia, è lì, non come uno dei tanti visitatori che seguono le loro guide nei lunghi corridoi. Accompagna Maria Voce, la presidente del Movimento dei Focolari, invitata tra i leader religiosi che intervengono nel Dibattito ad Alto Livello su “Promozione della tolleranza e della riconciliazione: favorendo società pacifiche, accoglienti e contrastando l’estremismo violento”. L’impressione di Perotti è condivisa da tanti: «Ogni rappresentante di uno stato dà il suo contributo, tante parole belle e iniziative positive, ma sembrano quasi isolati, ognuno lo vede come una piattaforma per promuovere i propri pensieri». «La cosa che mi dà un po’ di fastidio è proprio la mancanza di ascolto. Quello che mi attrae, invece, è vedere lo sforzo di riempire questa mancanza con un ascolto e un dialogo vero». Con questa prospettiva, che ha ereditato dalla vita dei giovani dei Focolari, ha colto il fascino di impegnarsi in politica, per stimolare rapporti più veri. Su come prevenire la violenza e l’estremismo, quasi tutti gli interlocutori erano d’accordo che non c’è altra strada che il dialogo tra le culture. «Mi piacerebbe fare una scuola di dialogo proprio all’ONU» dice Perotti. Il 90% dei relatori, infatti, sottolinea il bisogno di formazione, e molti hanno parlato della necessità di dare voce alle donne e di combattere la povertà.

Ermanno Perotti
Molti hanno anche espresso la speranza nei giovani: si dovrebbe partire da loro, dicono. Perotti non è del tutto d’accordo: «Sono sempre gli adulti che parlano dei giovani, dove sono i giovani che parlano dei giovani?» si chiede. Vede la sua generazione già preparata ad un futuro multiculturale: «Sono cresciuto sempre così: in aula siamo di 10 nazionalità e 4 religioni diverse. Possiamo mostrare al mondo come viviamo quotidianamente e spontaneamente». Il 22 aprile è il giorno della tavola rotonda alle Nazioni Unite. Ermanno Perotti la prende con calma: «Mi sono detto prima, anche con Maria Voce, di vivere questi giorni anzitutto come una esperienza di Dio». Anche oggi, all’ONU, sarà un’esperienza di Dio. Come alcuni speaker hanno detto, “alla fine tutto si concentra nella regola d’oro, ‘amare il prossimo’. Così anche andare lì con la presidente, alla fine è semplice perché si va per amare e per essere un corpo con tutti gli altri giovani nel mondo». Susanne Janssen, New York Live streaming dalle 15 ora italiana su : http://webtv.un.org/live/ (altro…)
Apr 20, 2015 | Focolari nel Mondo, Senza categoria
Uno sguardo vivo, un sorriso dolce che, velandosi di tristezza, permane anche quando racconta le tragiche vicende nel Paese diventato ora la sua patria di elezione. Ghada, cosa ti ha spinto a tornare in Siria? «A 20 anni ho lasciato famiglia e patria per seguire Dio. Nel settembre 2013, quando ho deciso di tornare in Siria, lo slancio era lo stesso, intatto. Non mi spaventava l’idea che avrei potuto anche morire. Di più mi attraeva l’andare a vivere accanto alle persone che anni prima avevo conosciuto e far sentire loro che non sono abbandonate. Mi ha spinto il desiderio di condividere la loro vita, le loro paure, la precarietà del loro quotidiano. Qui infatti le bombe fioccano quando meno te l’aspetti». Ma non c’è nessun preavviso ai bombardamenti per potersi proteggere in qualche modo? «Non ci sono sirene che annuncino i raid e neppure ci si può basare su una strategia che faccia supporre quando e dove i razzi colpiranno. D’altra parte è ormai il 5° anno di guerra e non si può restare barricati per sempre. Ci si può fermare un giorno, un mese ma poi, anche se tuonano i mortai, la vita deve continuare: i bambini vanno a scuola e i genitori a lavorare per mantenere la famiglia. Tutto va avanti, nella precarietà e nel rischio più assoluti. Avevo vissuto lo stesso dramma quando ero in focolare in Libano, ma qui è tutto più aggravato, tutto più difficile. Qui si respira terrore e violenza da ogni angolo».
Tu eri già stata in Siria nel passato. Puoi dirci qualcosa del cambiamento che hai trovato? «Quando ero in focolare in Libano, mi recavo ad Aleppo, a Homs e anche a Damasco perché già allora tante persone desideravano mantenersi in contatto coi Focolari. Per la sensibilità e la profondità interiore del popolo siriano, era spontaneo stringere rapporti significativi. Si condividevano i valori cristiani, qui tanto sentiti. Pur nella pluralità di Chiese e riti diversi, tipica di questa terra, c’era e c’è ancora grande armonia tra tutti. Quando nel ’94 si è progettato il focolare ad Aleppo, sono stata mandata ad aprirlo con altre due focolarine. Ci sono rimasta per 9 anni. Per la Siria erano tempi di prosperità: il Paese non aveva debito pubblico e il PIL era in continua ascesa. Di sera anche noi ragazze potevamo uscire liberamente. Ora c’è la bufera. Ma il peggio è l’assenza della prospettiva che questa guerra possa cessare. Sono tornata per dire, con gli altri focolarini, che siamo in Siria, che non l’abbiamo dimenticata, che Gesù ci ha plasmati un’unica famiglia e per questo vogliamo correre gli stessi rischi. Anche noi infatti, come tutti, andiamo al lavoro, in chiesa, al mercato, senza sapere se torneremo a casa. Siamo lì per l’amore che ci lega e la comunità in Siria sa che siamo disposti anche a dare la vita per loro. Come lo sono anche loro per noi. Questa reciprocità è davvero eccezionale. Fanno a gara per farci stare bene, per condividere con noi tutto quello che hanno». Voi focolarine siete a Damasco, una città affascinante, ricca di arte, di storia, una famosa meta turistica. Come si vive lì, oggi? «In città, ma anche nei villaggi, ogni giorno si sfida la morte. I trasporti sono spesso in tilt per mancanza di gasolio e continui posti di blocco. Si sa quando si esce ma non si sa quando si arriverà. Nelle case l’elettricità manca per ore, come pure l’acqua. Si rischia l’esasperazione. Tanto che l’esodo – per chi può lasciare il Paese – è in continua ascesa. Si calcola che l’emigrazione, anch’essa non priva di rischi gravissimi, abbia superato i 6 milioni di persone. Ma la religiosità è sempre molto sentita. Alla Via Crucis del venerdì santo, pur consapevoli che le bombe potevano esplodere da un momento all’altro, i cristiani erano tutti alla processione, portando con sé anche i bambini. Recentemente i ragazzi che seguiamo hanno parlato via skype con un gruppo di coetanei portoghesi. Questi volevano organizzarsi per mandare aiuti e chiedevano di che cosa avessero più bisogno. E loro, pur avendo necessità di tante cose materiali, continuavano a ripetere: «Pregate per noi, pregate per la pace, pregate che si fermi questa spirale di odio».
Il vostro restare in Siria è una scelta forte, coraggiosa… «Non ci sentiamo degli eroi. Come non siamo qui a titolo personale. Prima di partire avevo potuto incontrare papa Francesco: nel suo incoraggiamento ho sentito tutto l’amore della Chiesa che si fa vicina a questo popolo così provato. Ci sentiamo sostenuti anche dall’amore di tutto il Movimento dei Focolari sparso nel mondo. Ne abbiamo bisogno per continuare a sperare, impotenti di fronte alla supremazia degli interessi economici e al proliferare del mercato internazionale di armi. La nostra mission è partecipare e condividere le vicende quotidiane della gente. Festeggiamo insieme le ricorrenze, creiamo momenti distensivi fra adulti e bambini per cercare di alleviare lo stress. Organizziamo momenti di spiritualità, preghiamo insieme per la pace. A Natale i nostri giovani hanno organizzato un concerto: vi hanno partecipato 300 persone, fra cui anche amici musulmani. Recentemente abbiamo festeggiato un matrimonio. Nella famiglia erano stati uccisi due figli e per via del lutto la ragazza non poteva uscire da casa vestita da sposa. Allora è uscita dal focolare, accompagnata in chiesa da tutte noi. Cerchiamo di inserirci nelle iniziative della Chiesa locale e con le altre espressioni ecclesiali che sono qui ci aiutiamo a prosciugare le sofferenze e le privazioni della gente. Per continuare insieme a sperare e a credere, sostenendo ogni sforzo per l’avvento della pace». (altro…)
Apr 20, 2015 | Cultura, Ecumenismo, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Nel distretto di Rotorua (Nuova Zelanda) lo spessore della crosta terrestre è di soli 4 km. Qui si possono ammirare spettacolari geyser zampillanti e, addirittura nella città, fumanti pozzanghere con tanto di bollicine che ne agitano la superficie. Dal suolo esce un calore che arriva anche a 120°C. È qui che i colonizzatori inglesi avevano tentato di ricreare i bagni romani. Ancora oggi l’attività termale è al centro dell’interesse turistico per Rotorua, una città immersa nel verde e circondata da colline. Sulle rive del lago omonimo sorge il Keswick Christian Camp, una struttura estiva. Lì, per il meeting promosso dai Focolari, si sono date appuntamento 156 persone provenienti da varie città delle due isole principali che compongono la Nuova Zelanda. Obiettivo: trascorrere tre giorni insieme, lontano dalla routine, per approfondire la spiritualità dell’unità.
Maori, filippini, cinesi, coreani, olandesi, anglosassoni, italiani, maltesi, singaporiani, taiwanesi, futunesi, francesi, tokelauani, indiani, pakistani…: una sorprendente varietà etnica nel bozzetto di umanità venuto a crearsi. Nonostante tale diversità, fin dal primo momento si respirava un clima di famiglia. Oltre a momenti di spiritualità e di attività ricreative, il programma prevedeva ampi spazi per favorire la conoscenza reciproca e lo scambio fra tutti. Molto toccante il racconto della famiglia Pitcaithly, di Christchurch, la seconda città del Paese, recentemente devastata da due forti terremoti. Una tragedia che ha unito la popolazione in un coro di solidarietà con lo slogan “Kia kaha, stay strong Christchurch!”, cui hanno contribuito anche offerte raccolte dai Focolari in varie parti del mondo. Da Gisborne, la città che ha il privilegio di vedere per prima il sole che sorge, si è presentata l’attività di “Fish & Chips Club”. Fra le finalità, raccogliere fondi a favore di attività formative per i giovani, portata avanti da persone di varie Chiese cristiane con altre di convinzioni non religiose: insieme si cerca di fare qualcosa di utile per gli altri. Nonostante la pluralità, giovani e adulti si riuniscono una volta al mese per riflettere sul Vangelo e condividere le esperienze che scaturiscono dal cercare di metterlo in pratica. Un modo davvero significativo per crescere come persone e trarre forza per portare avanti le diverse attività artigianali e sportive di un club dove ognuno può essere sé stesso e dove si cerca di sottolineare non tanto ciò che distingue, ma i valori che si possono condividere. A
nche se la Nuova Zelanda può apparire una terra benestante e accogliente, una famiglia indiana-pakistana ha raccontato quanto è stato difficile il loro inserimento in questa società. Martis, papà di due figli, lavorava in una casa di cura per anziani e la moglie Antoneta in una piccola azienda di lavorazione della carne. Ad un tratto ambedue hanno perso il lavoro. La ricerca di una nuova occupazione si protraeva senza risultato, tanto da decidere il ritorno in patria. A soli dieci giorni dalla scadenza del visto, da una città vicina qualcuno è riuscito a procurare un’intervista di lavoro per Martins e quindi la possibilità di rinnovare il permesso di residenza. Grande la gioia di tutti e di questa famiglia che ha dato una forte testimonianza dell’amore di Dio che si manifesta attraverso la comunità. Teresa, riassumendo la voce dei giovani presenti, ha detto: «L’esperienza di questi giorni ci ha dato la carica per tornare nelle nostre rispettive città e ricominciare daccapo». Anne, una signora anziana Maori, tanto stimata dalla sua tribù, ha concluso: «Aroha te mea nui o te ao Katoa»; che nella sua lingua significa: «L’amore è il dono più grande di tutto il mondo». (altro…)
Apr 18, 2015 | Centro internazionale, Focolari nel Mondo, Spiritualità
«Non si può dire qui chi è stato Igino Giordani per il Movimento dei Focolari. Basti pensare che egli è un cofondatore del Movimento stesso. Ora essere fondatori o anche cofondatori di un’Opera che la Chiesa riconosce sua, comporta un’azione così molteplice e complessa della grazia di Dio, impulsi così vari e validi dello Spirito Santo, comportamenti, da parte del soggetto, così decisivi per l’Opera ed il più delle volte imprevisti perché suggeriti dall’Alto, richiesta di sofferenze spesso penetranti e prolungate nel tempo, elargizioni di grazie di luce e di amore, non ordinarie, che è meglio affidare alla storia della Chiesa e dei Movimenti spirituali che l’abbelliscono di secolo in secolo, la rivelazione di questa figura. Si può dire qualcosa, anche se non è facile, di Igino Giordani focolarino. Il focolarino fa ogni cosa, prega, lavora, soffre, per arrivare a questo traguardo: esser perfetto nell’amore. Ebbene ci sembra proprio di dover affermare che Giordani ha raggiunto questa mèta. Per quanto noi possiamo giudicare, egli è stato perfetto nell’amore. Ha impersonato quindi il nome di battaglia col quale era chiamato nel Movimento: Foco, fuoco, e cioè quel amore verso Dio e il prossimo, soprannaturale e naturale, che sta alla base ed al vertice della vita cristiana, contribuendo in maniera unica a mantener viva in mezzo a tutti noi la realtà della “parola di vita” che gli era stata indicata al suo ingresso nel Movimento: “Amatevi a vicenda come io ho amato voi”. Quelli che hanno conosciuto a fondo Igino Giordani, sono concordi nel costatare e nell’affermare che egli ha vissuto le beatitudini. “Puro di cuore” in maniera eccezionale, ha aperto a persone coniugate di ambo i sessi, di varie parti del mondo, la possibilità d’una originale consacrazione a Dio, pur nello stato matrimoniale, mediante una verginità spirituale, effetto della più ardente carità. Questa purezza di cuore gli affinò i sentimenti più sacri e li potenziò. Aveva un tenerissimo amore per la sua sposa. Ed alla fine della vita commuoveva ed impressionava l’intensità dell’affetto verso i suoi quattro figlioli. Così per i suoi nipoti. Era un padre perfetto, un nonno perfetto e un uomo tutto di Dio. E’ stato “povero in spirito” con un distacco completo non solo da tutto ciò che possedeva, ma soprattutto da tutto ciò che era. Era carico di misericordia. Vicino a lui anche il più misero peccatore si sentiva perdonato ed il più povero si sentiva re. Una delle caratteristiche più spiccate, come documenta anche la sua storia di uomo politico, è stata quella di “operatore di pace”. Ed era arrivato a possedere tale mitezza da far capire come il Vangelo dica che chi ha questa virtù possiede la terra: egli con la più nobile gentilezza, con quel modo di trattare, con quelle parole tutte sue che aveva per ognuno, conquistava tutti quelli che avvicinava. Chiunque si sentiva a suo agio, considerato con dignità, anche i giovani riuscivano a stabilire con lui un rapporto da pari a pari. E si costatava come, soprattutto negli ultimi anni, irradiasse, parlando, qualcosa di soprannaturale. “Aveva fame e sete della giustizia” per la quale ha combattuto tutta la vita. Ed ha subìto persecuzioni per il nome di Dio, per cui oggi lo crediamo in possesso del Suo Regno. Ma molte altre parole del Vangelo fanno ricordare la sua figura. Da lui si comprende cosa significhi quella conversione che Gesù chiede, per cui occorre farsi bambini. Cristiano di prim’ordine, dotto, apologeta, apostolo, quando gli è parso d’incontrare una polla d’acqua genuina, che sgorgava dalla Chiesa, ha saputo “vendere tutto” per seguire Gesù che lo chiamava a dissetarsi di quell’acqua. Avendo molto sofferto per quell’emarginazione spirituale in cui gli sembrava di scorgere ai suoi tempi il laicato, ambiva con tutto il suo grande cuore ad abbattere pareti divisorie fra persone che stavano nello stato di perfezione ed altri – aggiungeva scherzando – in quello di imperfezione. In pratica, egli era sensibilissimo ai segni dei tempi, anzi era lui stesso un segno dei tempi, di questi tempi in cui lo Spirito Santo chiama tutto il popolo di Dio alla santità. Quando Igino Giordani aveva incontrato il Movimento era formato soltanto da persone vergini. È stato lui a spalancarlo ai coniugati, che al suo seguito hanno avvertito la fame di santità e di consacrazione, mandando ad effetto quel progetto, prima soltanto intravisto, d’una convivenza di vergini e coniugati, per quanto è a questi consentito, sull’immagine della famiglia di Nazareth. Giordani è stato uno dei più grandi doni che il cielo abbia fatto al Movimento dei Focolari». (tratto da: Chiara Lubich, Igino Giordani focolarino, «Città Nuova» n. 9-10 maggio 1980) (altro…)