6 Dic 2016 | Cultura, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Per la prima volta ho assistito ad un concerto di musica classica in mezzo ad una battaglia. Ad Aleppo succede che in mezzo alla morte una voce di pace si alza in mezzo a tutte le altre che annunciano la guerra, per sollevare gli animi e dimenticare per qualche istante la morte e il freddo. È come un capitolo di una tragedia moderna che ricorda la mitologia greca. Con pochi mezzi, Padre Elias Janji con il coro Naregatsi e la pianista, hanno presentato brani di Verdi, Mozart, Vivaldi e Karl Orf, in una chiesa gremita, nonostante il freddo polare che invade Aleppo in questi giorni, elevando i nostri spiriti in un altro cielo. E pensare che non tanto distante da qui la tragedia continua con missili lanciati da Aleppo Est sulla parte Ovest, uccidendo bambini nelle scuole e persone innocenti, mentre nella parte Est della città continua l’attacco dell’esercito siriano. Migliaia di persone (si parla di 60.000 fino ad oggi) sono riuscite a scappare da Aleppo Est e a rifugiarsi nella zona Ovest. Raccontano di come molti sono stati presi in ostaggio e che ad altri, mentre scappavano, hanno sparato alle spalle uccidendone alcuni; altri ancora correvano in mezzo alle sparatorie portando la nonna o altri parenti anziani sulle spalle. La gente è contenta perché finalmente alcuni sono potuti tornare nelle loro case liberate in questi giorni mentre l’esercito ha preso possesso della stazione di pompaggio dell’acqua di tutta la città, anche se minata. Si prevede che in un mese, dopo che i tecnici avranno finito il loro lavoro, l’acqua tornerà in tutta la città. Così finirà un capitolo della tragedia ma sicuramente, penso, ce ne saranno altri.
Il 4 dicembre si ricorda Santa Barbara, la giovane ragazza martire dei primi secoli del cristianesimo trafitta con la spada dal padre perché, credendo in Gesù, non aveva accettato di adorare un altro Dio. Una grande festa per i cristiani d’Oriente per cui, nonostante la guerra, adulti e bambini si sono radunati per festeggiarla, mascherati e cantando la sua storia, una storia che – nonostante i secoli – è cambiata poco. Viene da domandarsi cos’è rimasto dell’uomo e della sua dignità? Cosa succederà adesso? Finirà la guerra ad Aleppo ridando tranquillità alla gente che ha tanto sofferto, anche se si ritroverà con una gran parte della città distrutta? La popolazione è stanca e vuole che il conflitto finisca, ma i gruppi armati non si danno per vinti e vogliono combattere fino in fondo. Nonostante l’appello dell’inviato speciale dell’ONU, Staffan De Mistura, a tutti i gruppi a lasciare la città e a risparmiare la vita della gente che, altrimenti, pagherà con un numero di vittime molto alto, secondo la logica della guerra! Ma come dimenticare che alla fine è l’Uomo che muore, poiché ciascuno, buono o cattivo è ad immagine di Dio, anche se questa è sepolta sotto mille vizi e cattiverie. Con il Natale che bussa alle porte, chiediamo allora che non sia solo ricordare un fatto passato con i soliti festeggiamenti, ma che l’arrivo del “Principe della Pace” cambi qualcosa nei cuori e nei gesti di noi tutti, e che diventino delle piccole pietre nella costruzione di un mondo migliore che tutti sogniamo. Da Aleppo, Pascal Bedros (altro…)
18 Nov 2016 | Chiara Lubich, Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
«In un mondo dove la globalizzazione detta le sue leggi, uno dei paradossi più significativi a cui assistiamo è che la voce del sud del mondo è ignorata. L’Africa, ricca di risorse naturali come diamanti, oro, petrolio, e altri minerali preziosi, si trova di fronte a: povertà, sottosviluppo sempre più crescente, la peggiore attesa di vita, un livello elevato di analfabetismo; e ciò nonostante i milioni di dollari degli aiuti occidentali versati nel corso degli anni in vari progetti. Perché? La drammatica risposta non è solo la guerra che subiamo, non sono le malattie; è soprattutto la corruzione, diventata in Africa un fatto normale e accettato, che sta lacerando il continente. Un continente in cui i poveri devono corrompere per sopravvivere; per curarsi negli ospedali, per entrare nelle “migliori” scuole di formazione professionale, per ottenere posti di lavoro e per uscire dalla prigione. Neanche le leggi riescono a sradicare questo male. Nella stragrande maggioranza dei paesi africani, il diritto è di origine occidentale, con qualche sfumatura presa dalle culture locali. La tutela dell’individuo, per quanto valore universalmente accettato, si contrappone al principio della comunità, molto caro alle tradizioni africane, che sta a sottolineare l’importanza della solidarietà. L’individuo è tale solo se appartiene a una comunità e agisce in funzione della comunità. È il principio dell’“Ubuntu”: Io sono perché noi siamo. L’Ubuntu nelle culture africane è un invito a sostenersi e aiutarsi reciprocamente, è coscienza dei propri doveri. Così si è espresso Nelson Mandela: Ubuntu significa porsi la domanda: “Voglio aiutare la comunità che mi sta attorno a migliorare?” È una regola di vita, basata sul rispetto dell’altro, una credenza in un legame di condivisione che unisce tutta l’umanità. È un desiderio di pace. Eppure, proprio in Africa manca la pace in tanti posti, e la causa remota dei conflitti è per assurdo la propria immensa ricchezza. Si lotta per il controllo dei minerali e le vittime di questi conflitti sono i più deboli. Nello sforzo di integrare valori ereditati dalla colonizzazione con i propri valori tradizionali, e di fronte alle sfide di un mondo in cui solo lo sviluppo economico dà diritto alla parola, l’Africa sta sempre di più perdendo i propri valori, senza acquisire per davvero quelli “importanti”.
Nel mio Paese, il Camerun, che conosce una grande corruzione, è sorta una piccola città, a cui Chiara Lubich ha dato vita realizzando opere sociali a favore del popolo Bangwa, che era a rischio di estinzione e ha trovato la salvezza. Ma con le opere, Chiara ha portato soprattutto un nuovo stile di vita, ispirato a prassi di fraternità: è nata una convivenza ispirata nella reciprocità a una vera giustizia, che spegne ogni litigio, previene il conflitto, trova soluzione ai problemi anche nelle famiglie; nessuno ruba, né uccide, si seguono “vie di pace”. Così la fraternità può diventare principio anche giuridico per la convivenza e cambiare rapporti di forza in relazioni di accoglienza e inclusione e tradursi in solidarietà, responsabilità e sussidiarietà. La pace si declina oggi come sviluppo, sicurezza, universalità dei diritti dell’uomo, rispetto della vita; la pace è un diritto, ma attende che il diritto se ne faccia strumento. E per questo non bastano le Dichiarazioni e i Trattati. I diritti, se declinati solo al singolare, affermano l’individuo e danno spazio a interessi e conflitti. Ma “universale” non significa “assoluto”, significa “comune”; è ciò che accomuna, diversamente non potrebbe esserci alcuna relazione fra individui, culture o concezioni differenti fra loro [1]. E se l’universalità racchiusa nella dignità umana permette la relazione con ogni altro, la fraternità, quale nuovo paradigma, può costituirne il principio ispiratore fino a “farsi” cultura anche giuridica e via che prepara la pace. Quella che inizia dal cuore e si traduce in atteggiamenti coerenti nella vita di ogni giorno capaci di trasformare rapporti conflittuali in relazioni di condivisione, fino alla reciprocità, in cui il dovuto si fa dono per l’altro».
Raphaël Takougang
[1] Cfr. F. Viola, L’universalità dei diritti umani: un’analisi concettuale, in F. Botturi – F. Totaro (a cura di), Universalismo ed etica pubblica, Vita e Pensiero, Milano 2006, p. 164 s. (altro…)
16 Nov 2016 | Chiara Lubich, Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità

Arooj Javed. Foto © Fabio Bertagnin – CSC Audiovisivi
«I giovani oggi aspirano a diventare cittadini del mondo e noi, aspiriamo ad un mondo unito». A fine giornata, questa dichiarazione di Arooj Javed, giovane studentessa in relazioni internazionali, ha riassunto le speranze, gli obiettivi fissati da New Humanity (Ong dei Focolari presso l’ONU). Perché, questo anniversario dei 20 anni della consegna del premio per l’educazione alla pace a Chiara Lubich non aveva nulla di nostalgico. Le recenti elezioni americane, la tragedia dei rifugiati, le minacce climatiche, la disuguaglianza crescente, i mercati dominati dall’avidità…; questa attualità drammatica evocata nei diversi interventi giustificava appieno il titolo scelto per il simposio: “Reinventare la pace”. Cioè in che modo, a partire dalla Spiritualità comunitaria del Movimento dei Focolari, “trovare nuove risposte” al “volto duro e angoscioso di nuove situazioni di guerra”, ha detto Jesús Morán, copresidente del Movimento. Diverse parole chiave hanno così illuminato le riflessioni: laboratori interculturali, fraternità universale, solidarietà interreligiosa, arte del “vivere insieme” e, soprattutto, educazione al dialogo e alla pace. 
Enrico Letta. Foto © Fabio Bertagnin – CSC Audiovisivi
«Dobbiamo dialogare come in un’orchestra, dove ogni strumento deve suonare in armonia con tutti gli altri, creando una sinfonia», dirà con linguaggio poetico mons. Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO. Enrico Letta, presidente dell’Istituto Jacques Delors ed ex presidente del Consiglio dei Ministri italiano, affermerà: «Per dialogare occorre la consapevolezza che siamo tutti minoranze su questa terra […] Se seguiamo la freschezza dei giovani e la loro apertura mentale, capiamo che l’educazione al dialogo rimane la nostra missione fondamentale». Nella dichiarazione finale, tra le proposte, una molto concreta: «Fornire agli Stati membri percorsi di formazione per gli insegnanti sull’arte del vivere insieme». 
Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO. Foto © Fabio Bertagnin – CSC Audiovisivi
Papa Francesco – che ha inviato un messaggio – ha parlato recentemente di una “terza guerra mondiale a pezzi”. Questa guerra «chiama in risposta una pace anch’essa costruita “a pezzi”, fatta di piccoli passi, di azioni concrete. Ognuno ha il proprio ruolo, la propria responsabilità. La pace non è una promessa, è uno sforzo, una scelta. È un invito a tutti noi che siamo qui e a coloro che ci seguono nel mondo intero, ad armarci di pace…», ha dichiarato nel suo discorso letto da Catherine Belzung, Maria Voce, presidente dei Focolari, assente per motivi di salute. Diversi video hanno illustrato tante opere di pace in diverse parti del mondo che ci permettono di sperare. La presentazione di alcune esperienze in atto ha dimostrato quanto “la pace non sia solo una teoria, un sogno, ma un modello”, come: l’associazione delle donne cristiane e musulmane Koz Kazak, al Cairo (Egitto) diventate “come sorelle” tra loro, le 40 imprese dell’economia di comunione in Africa, la presenza di una comunità dei Focolari ad Aleppo (Siria) che offre uno spazio per la condivisione alla popolazione martoriata, la scuola Santa Maria a Recife (Brasile), dove si vive la reciprocità tra scuola e famiglie. Tante piccole pietre poste al servizio della costruzione di una cultura di pace. Da Parigi, Chantal Joly Rivedi la diretta Messaggio del Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella (altro…)
15 Nov 2016 | Centro internazionale, Chiara Lubich, Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Senza categoria, Spiritualità
«L’oggi della storia ci presenta in modo incalzante l’immagine di un mondo lacerato da conflitti di ogni genere, di muri che si ergono, di migranti e di rifugiati che fuggono dalla miseria e dalla guerra, di egoismi politici che si fronteggiano incuranti delle ricadute umane». Così descrive Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari, l’odierno scenario mondiale in un intervento che, impossibilitata ad essere presente, viene letto da Catherine Belzung. Scenario sintetizzato da papa Francesco – ricorda la presidente – «nell’espressione di “terza guerra mondiale a pezzi”. Una violenza non convenzionale, ubiqua e pervasiva, difficile da sconfiggere con gli strumenti sinora utilizzati. […] Sono conflitti che possono essere risolti solo con un impegno corale, non solo della comunità internazionale, ma della comunità umana mondiale. Nessuno può sentirsi escluso da questa azione: essa deve passare nelle nostre strade, nei luoghi del lavoro, dell’istruzione e della formazione, dello sport e del divertimento, delle comunicazioni, del culto. Alla “guerra mondiale a pezzi” si risponde con una pace mondiale fatta anch’essa di “singoli pezzi”, di piccoli passi, di gesti concreti. Tutti hanno un ruolo, ognuno ha una responsabilità». Maria Voce sottolinea l’impegno delle organizzazioni internazionali, della società civile, di associazioni e movimenti. Come quello che lei stessa rappresenta e che attinge ad un’esperienza di oltre settant’anni di lavoro per l’unità e per la pace iniziato da Chiara Lubich e portato avanti nei più diversi crocevia del pianeta in un dialogo a tutto campo nel mondo cristiano, con altre religioni, con persone di convinzioni non religiose. Un dialogo «basato sull’accoglienza delle persone, sul comprendere profondamente le loro scelte, le loro idee, valorizzando il bello, il positivo, quello che ci può essere di comune, che può formare dei legami».

Catherine Belzung legge il discorso di Maria Voce
«È la fraternità – afferma Maria Voce citando Chiara Lubich – che può far fiorire progetti ed azioni nel complesso tessuto politico, economico, culturale e sociale del nostro mondo. È la fraternità che fa uscire dall’isolamento e apre la porta dello sviluppo ai popoli che ne sono ancora esclusi. È la fraternità che indica come risolvere pacificamente i dissidi e che relega la guerra ai libri di storia. È per la fraternità vissuta che si può sognare e persino sperare in una qualche comunione dei beni fra paesi ricchi e poveri, dato che lo scandaloso squilibrio oggi esistente nel mondo è una delle cause principali del terrorismo. Il profondo bisogno di pace che l’umanità esprime dice che la fraternità non è solo un valore, non è solo un metodo, ma un paradigma globale di sviluppo politico». «Su queste basi – prosegue Maria Voce – è possibile ripensare la pace, anzi è possibile reinventarla». E ne enumera ambiti e significati: innanzitutto impegnarsi a fondo sul dialogo; realizzare progetti politici che non siano condizionati da interessi di parte; abbattere il muro dell’indifferenza e ridurre le disuguaglianze; promuovere una cultura della legalità; avere a cuore la salvaguardia del creato. «Reinventare la pace significa amare il nemico […], significa perdonare. Il perdono non è contrario alla giustizia internazionale, ma offre la possibilità di riavviare i rapporti su nuove basi. […] Per questo è necessaria una profonda operazione culturale. Occorre investire sulla cultura e sull’istruzione, come raccomanda questa Istituzione. […] Infine, reinventare la pace significa amare la patria altrui come la propria, il popolo, l’etnia, la cultura altrui come i propri». Leggi il testo integrale (altro…)
9 Nov 2016 | Chiesa, Cultura, Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Senza categoria
La città di Como è salita alla ribalta delle cronache per il notevole afflusso di profughi che, costretti da muri e filo spinato a deviare da altre rotte, tentano di attraversare la Svizzera per raggiungere i Paesi del nord Europa alla ricerca di fortuna o del ricongiungimento con familiari che li hanno preceduti. Il tragitto da percorrere, a piedi o con i mezzi, è assai breve, ma al confine i controlli sono rigorosi ed i respingimenti la regola. Cresce così il numero di persone accampate, in attesa dell’occasione propizia per eludere i controlli: sono uomini e donne, famiglie con bambini piccoli, minori non accompagnati. Il vescovo, mons. Coletti, in un appello rivolto alla città ha chiesto a tutti di raccogliere la sfida dell’accoglienza e, in particolare, si è rivolto alla comunità ecclesiale perché metta in pratica le opere di misericordia, nel Giubileo della Misericordia. Un’occasione di condivisione e di crescita. «Abbiamo sentito rivolto anche a noi questo invito – raccontano i membri della comunità locale dei Focolari – e ci siamo subito mobilitati, mettendoci a disposizione della Caritas diocesana in prima linea nell’organizzazione degli aiuti. Attraverso la rete della nostra comunità è emersa una risposta a cascata che coinvolge persone a noi vicine: familiari, amici, conoscenti. Si tratta di raccogliere alimenti, coperte ed altri generi di prima necessità, di coprire i turni di servizio dedicati all’accoglienza dei migranti, all’accompagnamento alle docce ed alla mensa, alla distribuzione delle vivande, alla cucina, alle pulizie. Di sera si servono fino a cinquecento pasti. Si incrociano sguardi spaesati, spaventati, riconoscenti, a volte ancora diffidenti. Difficile comunicare con chi parla idiomi sconosciuti. Ma anche il solo essere lì, stanchi e sudati come tutti, a porgere un piatto col sorriso, cercando di capire a gesti se è gradito, gomito a gomito con altri volontari che come noi si sono messi in gioco per i fratelli profughi, ci fa sentire parte di una grande famiglia». Una persona della comunità al servizio mensa, scrive: «Mi ha colpito la fede, l’intensità dei cristiani copti nella preghiera di ringraziamento prima e dopo il pasto». E poi: «Nel fratello profugo che accompagniamo alle docce e che serviamo a tavola, guardandolo negli occhi, riconosciamo Gesù che ci ricambia: “Sono Io…!». E ancora: «Dopo una serata trascorsa a servire, condividendo l’esperienza con altri volontari delle più varie estrazioni, si esce con il cuore gonfio di sentimenti e di propositi». Nella festività del santo patrono della città di Como si è vissuto un pomeriggio speciale in una basilica affollata, alla presenza del vescovo e delle autorità cittadine, con la partecipazione dei migranti cristiani eritrei, etiopi, somali ed una rappresentanza degli oltre 500 volontari. «La lettura del brano evangelico del giudizio universale, in italiano, inglese e tigrino, ha suscitato una grande emozione – raccontano –. Padre Claudio, missionario comboniano della nostra comunità, che ha trascorso più di 30 anni in quei Paesi e ne conosce lingue e dialetti, da settimane si prodiga per assistere le persone accampate nei pressi della stazione. A lui il vescovo ha affidato l’incarico di accompagnarli spiritualmente, mettendo a disposizione la stessa Basilica. Gesù è venuto oggi a visitarci in questi fratelli migranti e vorremmo, non solo accoglierlo, ma rispondere in modo concreto e con una progettualità». Fonte: Movimento dei Focolari Italia (altro…)