5 Mar 2015 | Chiesa, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità

Intensificando la preghiera per la pace
«Non cessano, purtroppo, di giungere notizie drammatiche dalla Siria e dall’Iraq, relative a violenze, sequestri di persona e soprusi a danno di cristiani e di altri gruppi. Vogliamo assicurare a quanti sono coinvolti in queste situazioni che non li dimentichiamo, ma siamo loro vicini e preghiamo insistentemente perché al più presto si ponga fine all’intollerabile brutalità di cui sono vittime». Così l’ultimo accorato appello di Papa Francesco, nell’udienza generale di domenica 1° marzo. La moltitudine che colmava Piazza S. Pietro si è raccolta per un minuto in profonda preghiera, ricordando questi due martoriati Paesi del Medio Oriente. Dalla Siria ci scrivono: «Ormai tanti si sono arresi all’idea che la guerra sia un dato di fatto e non fanno più notizia le centinaia di persone che muoiono ogni giorno. La gente è al limite della sopportazione e l’inverno è freddo e lungo, senza gasolio né elettricità e senza acqua. I colpi di mortaio continuano a seminare morte nelle grandi città; mentre le battaglie si perpetrano nelle periferie e nei villaggi. L’economia è a terra e tante famiglie non hanno più lavoro; e le vie legali di uscita dal Paese sono quasi chiuse. Un vescovo siriano ha detto che il nostro popolo è umiliato e colpito nella sua dignità».
Le comunità dei Focolari in Siria, nonostante tutto il male che dilaga, continuano a credere «che un futuro migliore qui ci può essere; continuiamo a trovare forza dalla vita del Vangelo, anche con testimonianze coraggiose». Sanno di non essere da soli, ma che fanno parte di una grande famiglia nel mondo che prega per loro e opera per la pace. «Eppure la stanchezza, dopo 4 anni di guerra, e la prospettiva di un futuro oscuro per il Paese, pesano molto. E sono tanti ormai quelli che cercano di emigrare per mettere fine a questo circolo infernale». In questo contesto, il 23 febbraio scorso, sono rientrati i focolarini ad Aleppo. Scrivono: «Dopo 3 mesi di assenza, siamo tornati a comporre il nostro focolare ad Aleppo, con Sami il nostro focolarino sposato che abita sul litorale con la sua famiglia, ne fa parte e viene a stare con noi una volta al mese. stare qui è una sfida, perché siamo consapevoli che solo Gesù presente in mezzo a noi, per l’amore reciproco, è fonte di speranza e di sollievo per la comunità e per la gente che ci sta intorno». «Nel corso del nostro viaggio – concludono – ci siamo fermati una settimana a Damasco, dalle focolarine, che hanno sostenuto la comunità nella nostra assenza; e un’altra settimana nella comunità di Kfarbo al centro del Paese. C’è una grande gioia per il nostro rientro: ora la famiglia è completa! Siamo tutti molto riconoscenti per le preghiere di tanti nel mondo che ci sostengono in questa dura prova». (altro…)
26 Feb 2015 | Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Sociale

Le salme dei poliziotti uccisi nella strage di Mamasapano il 25 gennaio scorso
«La nazione sta vivendo momenti molto difficili. Un battaglione di poliziotti infatti, inviati ad arrestare due persone sospettate di terrorismo, è stato assalito da combattenti del Fronte Nazionale di Liberazione Islamico e 44 di loro sono stati uccisi. Il Parlamento stava proprio deliberando sul nuovo trattato di pace tra il Governo e i musulmani di Mindanao, con ampie concessioni in tanti ambiti. Adesso, però, si è tutto bloccato. E ieri è comparso sulla rete il video di un poliziotto ferito e poi colpito ripetutamente a morte da un militante del Fronte. È da immaginare l’indignazione della gente!». Così ci scrivono Carlo e Ding da Manila. Oscar, invece, lavora presso l’Ufficio Comunicazioni del Governo che doveva quindi scrivere sull’accaduto. Un compito non certo facile per uno come lui che s’impegna ogni giorno a vivere la spiritualità dell’unità con tutti. «Per il mio lavoro – scrive – devo guardare quanto succede nei Social Media. Questa mattina ho visto il video dei nostri uomini SAF (poliziotti) uccisi dai ribelli musulmani. Mi ha molto colpito vedere un poliziotto a terra, ferito ma ancora vivo, colpito due volte alla testa e un altro sventrato con un falcetto nel petto… Era pesante, quasi surreale, non riuscivo a respirare. Nel video si vede anche che i ribelli raccolgono le armi e gli effetti personali dei poliziotti uccisi e poi continuano a sparare. Era così difficile pensare alla pace mentre guardavo quelle immagini. Volevo reagire, fare qualcosa. Ero quasi in lacrime. Poi, guardavo le sessioni del Parlamento sulla vicenda. Chi cercava di gettare la colpa su un generale per imprecisioni, chi accusava un altro per mancanza di coordinamento. Ancora una volta, pensavo, come si può parlare di pace?
Il video su internet è stato già visto da almeno 4 milioni di persone. Parte del mio lavoro è quello di capire i possibili scenari e come venirne fuori. Allora mi sono chiesto quale potrebbe essere lo scenario peggiore. E ho avuto paura. Ho immaginato che, dopo aver guardato quelle immagini, tanti potrebbero provare rabbia e cercare vendetta. Potrebbero vedere ogni musulmano come un possibile aggressore e scagliarsi contro. “E se si scatena una rivolta civile?”, mi sono chiesto. In ufficio, come previsto, le emozioni dei colleghi erano altissime. Ho cercato di ascoltare quello che Dio diceva al mio cuore: “Ora più che mai dobbiamo parlare di pace. Se noi che comprendiamo meglio la situazione proviamo questi sentimenti di vendetta, come reagiranno quelli più emotivi e meno informati?”. Un mio collega all’improvviso ha detto: “La pace è una parola impronunciabile in questo momento. Dobbiamo puntare sull’unità di tutti i filippini, al di là del credo religioso”. E un altro: “Quanto è avvenuto è stato un atto di uomini violenti, che non s’identificano con tutta la comunità musulmana”. La rabbia si è sciolta lentamente. Abbiamo anche ricordato ciò che un deputato di Mindanao aveva detto: “È facile arrabbiarsi ed essere influenzati dalle nostre emozioni, perché non avete visto l’effetto della guerra con i vostri occhi sulla vostra porta di casa. La guerra non è la risposta”. Sono rimasto felicemente sorpreso ed ho lasciato l’incontro con una certa pace in cuore. In questi tempi, più di ogni altra cosa, penso che dobbiamo lavorare insieme per portare l’ideale dell’unità a più persone possibile. La minaccia di guerra è reale. La minaccia dei nostri connazionali di essere arrabbiati con i nostri fratelli musulmani è reale. Ma il Vangelo ci indica la via del dialogo e della pace. Domani è un nuovo giorno per me. Un altro giorno di ascolto di tante conversazioni online. Avrò la possibilità di costruire dei rapporti di fiducia e di pace». (altro…)
20 Feb 2015 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
«Giovanni Martinelli è un piccolo-grande uomo», scrive Michele Zanzucchi su Città Nuova online dopo un colloquio telefonico col vescovo di Tripoli. «Un uomo di coraggio che, nonostante un grave problema di salute che l’ha colpito due anni fa, continua “testardamente” a voler rimanere nella sua Libia, per accudire come un pastore amoroso le sue pecore, ormai ridotte a un manipolo di filippine che lavorano negli ospedali come infermiere e che “non possono” lasciare il Paese». Riportiamo da Città Nuova online alcuni passaggi della telefonata: «Non ho nulla di particolare da dire – esordisce –, siamo diventati orfani dell’ambasciatore partito. Ma lo ripeto, non ho nulla da dire, siamo qui perché Gesù ci vuole qui. Sono al servizio di questo popolo, non sono qui per chissà quale potere». E la comunità cattolica? «La comunità cristiana esiste ancora, siamo tranquilli». Siete tranquilli? «Abbiamo appena celebrato la messa, Dio è con noi, perché dobbiamo temere? ». Anche il vicario apostolico, padre Sylvester, è ancora a Bengasi? «Certamente – risponde mons. Martinelli –, anche lui dice che si può ancora restare per essere vicini a questo popolo così provato». Che cosa ipotizzate per il futuro? «Le previsioni sono molto difficili da fare, anzi è meglio non farne, perché troppe volte abbiamo fatto ipotesi che poi non si sono realizzate. Meglio vivere giorno dopo giorno, anzi momento dopo momento. Nel momento presente c’è tutto. In quel momento incontro Gesù, incontro i fratelli, amo questo popolo». Come è la situazione a Tripoli? «Mi sembra abbastanza calma, non ci hanno proibito niente. Il clima è tranquillo e pacifico. Non c’è grande pericolo a circolare durante il giorno. Certo, la sera stiamo a casa». Paura? «Per il momento non abbiamo avuto minacce dirette. Stiamo a vedere come si svilupperanno le cose. Forse ci taglieranno la testa… Ma io gliela darò su un piatto, perché sono qui per morire per la mia gente». Come vede il ruolo dell’Italia in questa vicenda? «Si è molto impegnata, in particolare l’ambasciatore, per tenere aperto il canale del dialogo tra le diverse tribù, tra le diverse fazioni. L’Italia ha fatto finora propaganda di pace». Come vede un intervento armato straniero? «Non credo proprio che sia la soluzione». Nel 2011, quando spiravano venti di guerra, lei disse che se ciò fosse accaduto la Libia rischiava di esplodere nelle sue divisioni tribali e politiche. Ma purtroppo gli europei sembravano sicuri che la democrazia elettiva avrebbe contagiato positivamente il Paese… «La prudenza sarebbe stata utile, allora come ora. La diplomazia internazionale dovrebbe fare la sua parte per rimettere assieme i pezzi della Libia. Non si debbono imporre visioni politiche che non appartengono a questa gente». Poi riprende e conclude: «Se si viene qui solo con le armi e senza una forte volontà di dialogo, non serve a nulla. Bisogna venire qui per amare questo popolo, non per fare gli interessi degli occidentali, non per sfruttare il petrolio e altre risorse. Qui ci si può venire solo se si ha la volontà di dialogare coi musulmani. Io sono qui per questo e per null’altro scopo». Fonte: Città Nuova online (altro…)
12 Feb 2015 | Chiara Lubich, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
«Fratelli e sorelle, quando io sento le parole ‘vittoria’ o ‘sconfitta’ – ha detto papa Francesco nell’udienza generale del 4 febbraio scorso – sento un grande dolore, una grande tristezza nel cuore. Non sono parole giuste; l’unica parola giusta è ‘pace’. Questa è l’unica parola giusta. Io penso a voi, fratelli e sorelle ucraini … Pensate, questa è una guerra fra cristiani! Voi tutti avete lo stesso battesimo! State lottando fra cristiani. Pensate a questo scandalo. E preghiamo tutti, perché la preghiera è la nostra protesta davanti a Dio in tempo di guerra». Mentre la diplomazia mondiale si mobilita, i fatti sembrerebbero smentire ogni prospettiva di pace. Eppure c’è gente e istituzioni che s’adoperano con coraggio per salvaguardarla, anche a rischio della propria vita. Chiediamo a Vera Fediva, del Movimento dei Focolari e residente in Ucraina: come vive la gente comune questa situazione? «È un periodo molto difficile per il nostro Paese: pieno di dolore e frustrazione. Quasi 5.000 civili morti, moltissimi i feriti e i disabili, migliaia i profughi e purtroppo non si riesce a intravvedere la fine di questa tragedia. Ci viene spesso alla mente come è nato il nostro movimento, durante la Seconda Guerra Mondiale, quando tutto crollava… ma non avremmo mai immaginato che potesse accadere ancora nel XXI secolo, quasi nel cuore dell’Europa e in un paese tranquillo come l’Ucraina. La nostra comunità risiede a Mukacevo, nella parte occidentale del Paese, dove non ci sono gli scontri armati. Ma psicologicamente è difficile reggere, anche perché molti di noi hanno amici, parenti, vicini di casa, perfino bambini che combattono. Tanti hanno perso i loro cari. Viviamo una situazione in cui nulla è stabile. È difficile pianificare qualcosa. Nessuno sa cosa può succedere domani. Magari l’unico figlio o il marito parte per la guerra. Possiamo contare solo su Dio, che è Amore. Come quando è iniziato il Movimento… In questa situazione sentiamo che è molto importante non lasciare che l’odio entri nel nostro cuore, per essere in grado di perdonare e anche di pregare per i nostri nemici». Come dice il Papa, la preghiera è la nostra protesta. Ad un anno dall’inizio del conflitto, come vi siete mossi come comunità dei Focolari e anche insieme agli altri cristiani per far sentire questa “protesta”? «È da alcuni anni che ci adoperiamo per la difesa della vita in tutte le sue forme; questo ci ha permesso di costruire molti rapporti con persone di varie chiese cristiane della nostra città. Abbiamo realizzato insieme alcuni eventi come “Marce per la vita” e “Feste della famiglia”. Lo stimolo ci è arrivato dall’esempio del gruppo “Ecumena” di Kosice (Slovacchia), che si basa sulla spiritualità dell’unità. L’anno scorso abbiamo organizzato, in centro città, un grande evento di “Preghiera per la pace in Ucraina”, insieme ad una decina di chiese diverse, con una grandissima partecipazione di popolo. In seguito abbiamo continuato a ritrovarci e abbiamo vissuto insieme tre grandi momenti di “Preghiera per la pace” da quando è iniziata la guerra. Ci sembra che questa unità tra di noi sia particolarmente importante, ora che i cristiani si combattono e si uccidono a vicenda in questa guerra senza senso. È la nostra piccola e silenziosa risposta alla preghiera del Papa, per superare lo scandalo della divisione e dare un contributo alla pace e alla riconciliazione del nostro Paese». (altro…)
18 Gen 2015 | Centro internazionale, Cultura, Dialogo Interreligioso, Focolari nel Mondo
Ci si domanda oggi, dopo gli omicidi di Parigi e le stragi in Nigeria e in Pakistan, se sia necessario il dialogo tra persone di religioni e culture diverse. «Mi permetto di ribaltare il quesito», dichiara Maria Voce: «si può vivere senza il dialogo in un mondo ormai globalizzato?». Ricordando come ai crescenti flussi migratori volontari, si aggiungono intere popolazioni costrette a fuggire per le persecuzioni in atto, «sradicate dal loro mondo e dal loro futuro» e forzate a convivere con persone di etnie, culture, opinioni e fedi diverse, la presidente dei Focolari riporta la domanda pressante dei Paesi occidentali: come si vive con queste persone? «La risposta è chiara – afferma –. O si dialoga o ci si combatte gli uni gli altri. Ma combattersi porta alla distruzione, tanto dei residenti come degli immigrati. Mentre l’apertura e il dialogo creano vita e portano alla vita». «L’ho potuto costatare nei viaggi compiuti nei drammatici contesti del Medio Oriente, dell’Africa e dell’Asia – spiega –. Il coraggioso impegno per il dialogo è vissuto da bambini nelle scuole, da famiglie con i loro vicini, da tante persone negli ambienti di lavoro». Ricorda come il dialogo più efficace sia quello «che poggia sulla vita, sulla condivisione dell’esistenza quotidiana», e che «non inizia tanto da un immediato confronto tra le idee» ma «dalla conoscenza dell’altro – e non dalla religione dell’altro – per poter scoprire il vincolo di fraternità che lega tutti gli esseri umani». Maria Voce è convinta che la diversità non sia «necessariamente motivo di opposizione, ma può essere motivo di arricchimento reciproco. E veramente ci si arricchisce, perché Dio è generoso e sparge i suoi doni in tutti gli uomini, a qualsiasi fede appartengano». «Scoprirlo – ribadisce – ci rende tutti più ricchi e anche più liberi nel rapporto reciproco».
Non manca un accenno a quanto papa Francesco manifesta «con la parola e con i suoi atteggiamenti, sottolineando l’accoglienza, l’empatia, l’ascolto pieno delle ragioni dell’altro». Ed è «altrettanto preziosa l’indicazione del Papa a non fare sconti sulla nostra identità di cristiani, in modo da prepararci a questo dialogo, perché resta vero che possiamo dialogare solamente se siamo profondamente e autenticamente cristiani». «Un cristiano o un musulmano – conclude Maria Voce – sono migliori camminando sulla strada del dialogo e scoprono che si progredisce insieme e che questo progresso porta ad opere comuni, ad incominciare dalla pace, che vanno a beneficio di tutta l’umanità». Leggi il testo completo della dichiarazione (altro…)