21 Nov 2012 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Bloccati per giorni sotto le bombe nel quartiere cattolico della Striscia di Gaza, tre focolarini sono stati liberati soltanto grazie all’intervento del patriarca latino di Gerusalemme, dei consolati francese, coreano e italiano e sono riusciti ad andar via scortati da un convoglio delle Nazioni Unite. A colloquio con le due focolarine che hanno vissuto in prima persona l’inizio della nuova crisi.

«Non si capisce granché di quel che succede, né dove si voglia arrivare. Certo è che la situazione è grave, si ha l’impressione di essere sul bordo del baratro», mi dicono al telefono da Gerusalemme le due focolarine che sono state sorprese dai bombardamenti israeliani mentre facevano visita agli amici dei Focolari che abitano nella Striscia. «Siamo partiti mercoledì, la coreana Corres, il francese Gérard ed io, per far visita alla nostra comunità – mi racconta Francesca, trentacinquenne, infermiera di professione, da poco più di dieci anni a Gerusalemme –; avremmo voluto andarci già altre volte negli ultimi mesi, ma per diverse circostanze l’avevamo posticipato. Appena arrivati abbiamo saputo della morte del capo militare di Hamas, dopo aver udito la forte esplosione del bombardamento. Da quel momento ci è stato praticamente impossibile uscire dal piccolo quartiere cristiano nel quale eravamo alloggiati, salvo per brevi momenti». Continua il racconto Corres: «Avevamo portato degli aiuti per gli amici di Gaza, raccolti dagli amici del Movimento: vestiario, materiale scolastico, giochi per i bambini, cibo. Abbiamo distribuito queste poche cose tra gli amici cristiani, in un’atmosfera che era assai tranquilla. Siamo stati testimoni della generosità di questa gente, che ricevendo i doni spesso ci indicava altre famiglie che avevano maggior bisogno. Nonostante si udissero le bombe cadere, possiamo dire di essere rimasti sereni. Abbiamo pregato insieme, incontrato piccoli gruppi che volevano notizie dalle nostre comunità in Israele, in Palestina e nel mondo. Abbiamo giocato con i bambini e preso il tè con giovani e adulti». Interviene ancora Francesca: «Rimanevamo al piano terra delle case, senza avere rifugi dove recarci, senza essere avvisati dalle sirene d’allarme: perché a Gaza rifugi e sirene non esistono, si vive nella precarietà costante. Ci colpiva la fede di questa gente, la loro speranza senza fine, tanto che erano loro a rincuorarci. Non mostravano paura e ci ripetevano continuamente: “Siamo nelle mani di Dio”. Certo le bombe si sentivano, eccome, ma si continuava a vivere nella normalità e nella semplicità di una vita fraterna. Ci preparavano pranzi quasi da festa, nonostante tutto. Uno di loro è andato fino al porto per comprare del pesce fresco per noi e una mattina hanno cotto nel forno la pizza per la colazione». Il momento più difficile era di notte quando, ad ogni scoppio, i vetri e la terra tremavano, mentre gli aerei giravano continuamente sopra la testa della gente di Gaza City. Naturalmente i tre focolarini avevano segnalato la loro presenza all’Onu che stava preparando una spedizione per far uscire i cooperanti italiani e altri stranieri dalla Striscia. Per due giorni consecutivi si sono recati al posto stabilito per partire, ma ogni volta un intoppo impediva loro la fuoriuscita finché un convoglio dell’Onu ha potuto scortare i cooperanti fuori dalla Striscia. Conclude Francesca: «Mi porto dietro un’immagine di questi giorni: avevamo portato con noi colori e quaderni per disegnare. Un bambino ha dipinto una casa sotto un albero. Ma al cuore della casa c’era qualcosa che non riuscivo a capire cosa fosse. Gliel’ho chiesto. E lui mi ha risposto: “Ma non lo vedi che è un missile?”. Questi bambini sono cresciuti senza pace, senza serenità, “giocando” coi missili». I tre focolarini, appena tornati a Gerusalemme, hanno immediatamente ripreso il loro lavoro. di Michele Zanzucchi (Fonte Città Nuova online) (altro…)
20 Nov 2012 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Spiritualità
Quale Paese, quale situazione hai lasciato? Ho sempre vissuto la guerra alla tv, in Palestina, Libano, Iraq… Mai avrei immaginato che sarebbe scoppiata in Siria, che sarei stato catapultato in un film dell’orrore. Eravamo “un arcobaleno” in cui ci sono tutti i colori, ad un tratto è scoppiata la guerra e i colori sono spariti: siamo passati al bianco e nero. Il vicino era guardato con sospetto, si è perso un grande patrimonio storico, la pace, la convivenza, la coesistenza, la propria casa… Siamo costretti alla fuga, alla perdita del lavoro, degli amici… le persone si sono allontanate l’una dall’altra. Dopo una vita fianco a fianco ci siamo trovati in trincee diverse; in ogni famiglia ci sono membri scomparsi, rapiti, orfani, uccisi… Homs era una città piena di vita. Sentivamo che c’erano sparatorie in altri punti del Paese e pensavo che la tv esagerava, ma purtroppo la nostra città è diventata linea di confine. Poi anche noi ci siamo trovati in mezzo a una sparatoria. A quel punto ho capito che anche Homs era immersa nella guerra. Cosa vuol dire vivere in guerra? Significa che tutto il passato sparisce ad un tratto: la pace, la libertà di circolare senza paura. La Siria era un paese sicuro, nessuno chiedeva all’altro di che religione sei. Anche un mio amico è morto, la prima persona che ho perso in guerra. Era un amante della pace. Le persone che muoiono non sono dei numeri: 30 morti oggi, 50 ieri… Ognuno di loro ha un nome, ha un padre, una madre… Quando mi trovavo in chiesa per i funerali del mio amico, piangevo come non ho mai pianto. Quando il sacerdote chiese: “cosa ci direbbe Cristo, adesso? di perdonare”, ci fu un silenzio impressionante; si sentivano solo i respiri. Tutti hanno risposto che dobbiamo perdonare. Ma io non ce la facevo. Sono scappato piangendo, col desiderio di mettere sotto la macchina qualcuno degli uccisori. Ma poi ho riflettuto: cosa faccio? mi sono detto. Uccido anch’io qualcuno che sarà come il mio amico? Ho fatto marcia indietro e sono tornato a casa. Ho pregato: Dio dammi la pazienza. Non devo uccidere, per evitare di fare il male che io ho subito. Cosa speri per il futuro della Siria? Di rivedere il Paese di prima, in pace. “Metti la tua spada da parte e vivi in pace”, questo dovrebbe essere il messaggio trasmesso da tutte le religioni. Spero che questa guerra mediatica inviti i giovani alla pace e non al combattimento. Che i leader religiosi diano un messaggio di pace, affinché i giovani possano ricostruire la Siria. Fonte: TV 2000 – intervista a Wael – 16 ottobre 2012 (altro…)
19 Nov 2012 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Sono storie, volti, che compongono un puzzle di speranza. Sono esperienze dal vivo quelle che costruiscono i tre giorni del Congresso aderenti (Castelgandolfo, 15-18 novembre), appuntamento atteso durante tutto l’anno e che ha raggiunto mille partecipanti. La prossima edizione sarà in gennaio, con partecipanti da altre nazioni. Tanino, ha insegnato in Ungheria anni fa. Messo in guardia da possibili ‘spie’ del regime tra gli studenti, racconta: “Sono entrato in classe cercando di pensare non alle spie, ma a scoprire il positivo che c’era in ognuno degli studenti. Ne ho vista una molto seria. Mi sono fermato a chiederle cosa avesse. Mi parla di un bambino piccolo, ammalato, in condizioni di povertà. Trovo un aiuto da mia sorella, con vestiti per il bimbo e altro, e ce ne prendiamo cura”. Finito il valzer del comunismo, Tanino scopre che la sua alunna era proprio una spia. “L’importante è amare – conclude –. Se avessi cercato la spia, mi sarei distratto senza accorgermi delle difficoltà dell’alunna che avevo amato di più”. Prende la parola Grace di Catania, con la sua storia che ha coinvolto la città ad agire contro la piaga del gioco d’azzardo che colpisce anche i minori. 13 anni e 18.000 euro di debiti di gioco. Un macigno che può portare un ragazzino al pensiero del suicidio. Di questo si è accorta Grace tra i banchi di scuola eè cominciata un’azione di sensibilizzazione mirata a mamme, insegnanti, quartieri. È partita una campagna di raccolta firme per far applicare la legge che vieta le sale gioco in prossimità delle scuole e la pubblicità del gioco d’azzardo sulla stampa e in tv. Come riscoprirci quindi fratelli? È il leit-motiv di queste esperienze. Non solo dall’Europa. Voce alle Filippine, attraverso la presentazione dei centri sociali Bukas Palad (in Tagalog “A mani aperte”). Cure per i bambini con denutrizione di terzo grado, educazione all’igiene, aiuto medico, sostegno a distanza per uscire dal cerchio della povertà, apertura di asili (500 bambini solo quest’anno); formazione professionale per i giovani: in 20 anni – col motto gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date – Bukas Palad ha aiutato oltre 90.000 persone, suscitando una vita di ‘reciprocità’, dove chi riceve l’aiuto, aiuta a sua volta.

Graziella de Luca, tra le prime compagne di Chiara Lubich, è venuta a salutare i partecipanti
Ci sono persone sole che aspettano un sorriso, un gesto concreto. E così c’è chi arriva a prestare il proprio stipendio, a procurare una stufa il giorno di Natale, ad aprire la porta a una ‘zingara’ superando i pregiudizi comuni, e riscoprendo nel suo volto quello di una sorella. “Abbiamo conosciuto Pietro – raccontano Luigino ed Esterina, 44 anni di matrimonio alle spalle – un anziano senza tetto. Abbiamo cercato di andare incontro alle sue necessità: cambiargli gli indumenti, ospitarlo a casa nostra. Una mattina di Pasqua ha chiesto a Luigino se poteva fargli il bagno e tagliare le unghie. Nel dire di sì abbiamo provato una gioia profonda per aver amato e servito Gesù in Pietro”. Potremmo continuare, con i 37 partecipanti dal Libano, col sacerdote anticonformista, con le esperienze dei giovani, dal Perù, dal Panama, e molti altri. Il sipario del congresso, si chiude, sulle note degli artisti dell’Arena di Verona, ma continua attraverso le scelte di ciascuno: se prendiamo sul serio le parole del Vangelo – è il messaggio che parte da qui – “Qualunque cosa hai fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’hai fatto a me” (Mt 25,40). Si capovolgono le abitudini comode, la regola d’oro (fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te) diventa un principio “ragionevole”; i conflitti, attraverso l’amore al fratello, si possono trasformare in relazioni nuove. (altro…)
14 Nov 2012 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale
«L’Avana, 5 novembre 2012. Sono tornato ieri da Santiago, Palma Soriano e Banes. È stata un’esperienza molto dolorosa e, allo stesso tempo, edificante. Siamo partiti con un autobus stracarico di alimenti e vestiti: un granellino di sabbia paragonato alla necessità della gente! Siamo arrivati proprio nel momento in cui erano finite le risorse di cibo per tante famiglie. I giovani e i ragazzi del Movimento ci aspettavano per scaricare e distribuire quanto portavamo. È stato uno shock vedere la città distrutta: macerie dappertutto, la maggior parte delle vie bloccate, 80% degli alberi caduti, molte case crollate e migliaia danneggiate e senza tetto. Un panorama da guerra. Nonostante il dolore, impressionava la dignità della gente che ringraziava Dio per essere viva; e, soprattutto, colpiva la disponibilità ad aiutare gli altri ricostruendo, per esempio, il tetto del vicino. “Sulla mia casa – racconta David, 15 anni – è caduto un albero molto grosso ma il tetto di cemento ha resistito. Invece la casa dello zio è crollata e loro sono venuti da noi. La zia e la loro bambina di 5 mesi sono state salvate sfondando una finestra della casa del vicino. In seguito sono arrivati anche altri bambini del vicinato. Non essendoci elettricità, alla luce di una candela, con mia sorella ci siamo messi a preparare la cena per i piccoli e a cercare delle coperte per proteggerli dal freddo. Venuti a sapere che la Chiesa era crollata, sono uscito di corsa per aiutare il parroco. A lui non era successo niente, ma l’edificio era distrutto; solo un muro era rimasto in piedi, dove c’era il Crocefisso e Gesù Eucaristia. Con altri gen ed amici della parrocchia abbiamo tolto le macerie, pulito la casa del sacerdote e recuperato i pochi banchi e il materiale rimasto. Poi, abbiamo organizzato dei turni per la vigilanza notturna della parrocchia. Poichè anche la casa delle suore era stata colpita, la mattina, dopo il turno andavo da loro per aiutare, senza dormire”.
Siamo, poi, partiti da Santiago per Palma Soriano (a 42km da Santiago). Le case non avevano subito gravi danni, mancava il cibo. Siamo arrivati giusto in tempo per portarlo. Ho proseguito, poi, per Banes (300km da Santiago). Un fatto mi ha fatto scoprire la generosità di questa gente meravigliosa. Con uno dei gen3 abbiamo girato alcuni negozi per acquistare cibo e vestiario di miglior qualità e miglior prezzo, per poterne portare la maggior quantità possibile. Ad un certo punto mi sono accorto di non avere i soldi necessari perché ne avevo già spesi la metà a Santiago. Non avrei potuto portare quanto occorreva: riso, zucchero ed altro ancora. Il mio amico gen3 mi consegna 10 dollari: sono sorpreso e commosso perché era tutto quello che aveva, rimanendo solo con i soldi necessari per tornare a casa. Arrivando in un’altra città, un altro gen3 mi consegna 25 dollari che aveva ricevuto per acquistare vestiti e cibo. Così, ho potuto portare dei sacchi di 50kg di riso, zucchero, grano e farina di mais. Arrivato a Banes, il sacerdote del posto mi ha abbracciato e pianto perché quello che portavo a nome del Movimento, frutto della comunione di tanti, arrivava giusto nel momento in cui erano finiti tutti gli aiuti che il vescovo era riuscito ad inviare. In questa calamità naturale sono venute molto in evidenza la dignità, la forza, la fede, la bravura e l’eroicità di questi giovani, ragazzi e ragazze ( anche adulti) che sono andati oltre le proprie necessità e i propri problemi per pensare alle necessità dell’altro e lanciarsi senza misura ad amare e a servire». A. C. ______________________________________ Per saperne di più o per sostenere il progetto: AMU – http://www.amu-it.eu Associazione Azione per un Mondo Unito presso Banca Popolare Etica, filiale di Roma. Codice IBAN: IT16G0501803200000000120434 Codice SWIFT/BIC CCRTIT2184D Causale: Progetto: La mia casa è la tua casa (altro…)
12 Nov 2012 | Centro internazionale, Chiesa, Ecumenismo, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Si conclude con uno sguardo al futuro che si costruisce nel presente il viaggio in Svizzera della presidente dei Focolari, Maria Voce, e del copresidente, Giancarlo Faletti. L’ultimo appuntamento, infatti, del calendario – che nei nove giorni di permanenza in terra elvetica (2-11 novembre) ha visto incontri con persone di età diverse, appartenenti a vario titolo al Movimento dei Focolari, personalità ecumeniche del Paese ed incontri a carattere più privato, è stato con un gruppo di 120 gen 3, i ragazzi del Movimento. La vivacità, in questi casi, è d’obbligo; ma qui si sperimenta anche la vitalità di un’esperienza che coinvolge numerosi ragazzi in tutta la Svizzera. Ed anche la concretezza di talune iniziative che hanno portato ad esempio un gruppetto a vivere una settimana in Croazia dove, il contatto con famiglie più disagiate di quelle svizzere, ma felici, insegna da sé a valorizzare quello che si ha, “a fare attenzione a mangiare tutto, anche il pane più vecchio”, racconta una di loro. “Che forte vedere che la domenica tutti i ragazzi andavano in chiesa come se questa fosse la cosa più bella, e le chiese erano sempre pienissime”, sottolinea un’altra. Ed anche al Centro Mariapoli di Baar, che ospita l’incontro, non mancano iniziative di solidarietà nel corso dell’anno, per sviluppare quella cultura del dare tipica dei Ragazzi per l’unità.
Per Maria Voce e Giancarlo Faletti le risposte alle domande dei ragazzi sono un’occasione per mettere in comune tante esperienze personali, con qualche “trucco” per diventare ‘grandi nell’amore’. “Quando ci troviamo davanti a persone difficili da amare, quella è l’occasione di far crescere la vita di Gesù dentro di noi; è lì che Gesù ci fa amare col suo cuore. Il mio amore è diventato più forte non quando gli altri mi hanno fatto i complimenti, ma quando mi sono sentito ferito dentro e ho continuato ad amare”, racconta il copresidente. E Maria Voce raccomanda di “prendere sempre l’iniziativa, senza aspettarsi niente in cambio”. E spiega anche che non basta dire ad un ragazzo che ha sbagliato, ad esempio rubando, che così non si fa, ma occorre spiegargli che col suo gesto ha “fatto diminuire la comunione fra tutti, innescato nei rapporti la paura, il sospetto” . Stessa intensità di dialogo con i giovani il giorno prima, 10 novembre, ai quali Maria Voce e Giancarlo Faletti lasciano la consegna di lanciarsi a vivere per il mondo unito con un amore infuocato per essere una generazione nuova, non appiattita, ma sempre pronta a dare al mondo quel supplemento d’anima di cui ha bisogno. Se giovani e ragazzi, insieme ai bambini, anche loro coinvolti a portare avanti la “rivoluzione dell’amore” si impegnano a costruire la fraternità, non di meno gli adulti. “Un giorno, passando davanti ad un chiosco – racconta una di loro – ho notato che fra i giocattoli vi erano dei dvd a contenuto pornografico. Ho preso coraggio ed ho parlato con la venditrice, poi col direttore e infine col titolare del chiosco. Non è stato facile perché il mio comportamento risultava, come mi hanno fatto notare, una goccia nell’oceano. Però qualche giorno dopo, quando sono ripassata dal chiosco, la venditrice mi è venuta incontro per dirmi che il responsabile le aveva detto di togliere quei dvd dagli scaffali”. L’Ideale dell’unità è arrivato in Svizzera negli anni Cinquanta e dunque ha qui una lunga storia; tanti sono i pionieri della fraternità e non solo all’interno della Chiesa cattolica. Anzi, la prima persona che ha conosciuto i focolarini in Italia, era un architetto riformato. Nel corso di questi anni numerose sono state le iniziative di carattere ecumenico, con protagonista diretta Chiara Lubich che amava definire la Svizzera, dove trascorreva le estati ed altri periodi dell’anno, la sua seconda patria.
Il Paese, e quindi la comunità del Movimento, vive non solo la dimensione ecumenica, ma anche quella interreligiosa ed internazionale: tra chi è stato raggiunto dalla spiritualità dell’unità vi sono persone di diverse fedi e altre arrivate qui da Paesi in difficoltà, testimoni di quanto l’ideale dell’unità abbia favorito un’integrazione nient’affatto scontata. Nel dialogo che Maria Voce e Giancarlo Faletti hanno vissuto con una sala di mille persone convenute da tutta la Svizzera, sono risuonate in maniera particolare alcune proposte: far crescere la corrente di amore nel mondo; rimanere nel proprio gruppo rende il mondo unito un’utopia, quindi se vogliamo costruirlo occorre oltrepassare i confini, andare oltre; rispondere alla spinta di Dio che chiede di fare qualcosa di più di quanto si è fatto finora; impegnarsi con passione per l’unità fra le Chiese; essere tutti attivi nella costruzione di una società migliore, con dinamismo; puntare a cose grandi perché con Dio in mezzo a noi tutto è possibile. Di Aurora Nicosia (altro…)