
Uno spazio per tutti i cristiani

Beatriz Sarkis
Beatriz Sarkis
«Unità: parola divina. Se ad un dato momento venisse pronunciata dall’Onnipotente e gli uomini l’attuassero nelle sue più varie applicazioni, noi vedremmo il mondo di scatto fermarsi nel suo andazzo generale, come in un gioco di film, e riprendere la corsa della vita in opposta direzione. Innumerevoli persone farebbero a ritroso la strada larga della perdizione e si convertirebbero a Dio, imboccando la stretta… Famiglie smembrate da risse, freddate dalle incomprensioni, dall’odio e cadaverizzate dai divorzi, ricomporsi. E i bimbi nascere in un clima d’amore umano e divino e forgiarsi uomini nuovi per un domani più cristiano. Le fabbriche, accolte spesso di “schiavi” del lavoro in un clima di noia, se non di bestemmie, divenire luogo di pace, dove ognuno lavora il suo pezzo al bene di tutti. E le scuole infrangere la breve scienza, mettendo cognizioni d’ogni genere a sgabello delle contemplazioni eterne, imparate sui banchi come in un quotidiano svelarsi di misteri intuiti partendo da piccole formule, da semplici leggi, perfino dai numeri… E i Parlamenti tramutarsi in luogo d’incontro di uomini cui preme, più che la parte che ciascuno sostiene, il bene di tutti, senza inganno di fratelli o di patrie. Vedremmo insomma il mondo diventar più buono ed il Cielo calare d’incanto sulla terra e l’armonia del creato farsi cornice alla concordia dei cuori. Vedremmo… È un sogno! Sembra un sogno! Eppure Tu non hai chiesto di meno quando hai pregato: “Sia fatta la tua volontà come in Cielo e così in terra”». Chiara Lubich Fonte: Chiara Lubich, L’unità, a cura di Donato Falmi/Floernce Gillet, Città Nuova 2015, originariamente pubblicato in Chiara Lubich, Frammenti, Città Nuova, Roma (1963) 1992, pp.53-54 (altro…)
«Non saremo mai capaci di valutare l’aiuto che i fratelli ci danno. Quanto coraggio infonde in noi la loro fede, quanto calore il loro amore, come ci trascina il loro esempio!». Chiara Lubich (1920-2008), autrice di queste righe, è conosciuta come colei che ha saputo trascinare dietro a Cristo centinaia di migliaia di persone, che intesse rapporti con buddisti, musulmani, è seguita da persone senza convinzioni religiose e ridà un soffio di vita alla politica, all’economia. Sulla bilancia degli apporti che hanno reso Silvia Lubich semplicemente “Chiara”, pesa non poco l’amicizia con le sue prime compagne. Tutto è incominciato con una scelta di Dio, e con la consacrazione nella verginità nel 1943 a Trento. Ma ben presto non è un “io”, ma un soggetto collettivo che si muove, agisce, prega e ama: Chiara e le sue prime compagne Avrebbero potuto diventare persone qualunque, invece sono state dei fari nei cinque continenti. Questa storia ha dell’incredibile, eppure è semplice. Si capisce se si apre il Vangelo al capitolo 13 di Giovanni: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Giovanni, 13, 34). Un comandamento praticabile solo insieme. Quando, nei rifugi, ascoltano questo brano si scambiano uno sguardo d’intesa, mentre misurano l’impegno richiesto. Non esitano a dichiararsi reciprocamente: «Io sono pronta ad amarti fino a dare la vita per te». Chiara lo considererà la pietra angolare sulla quale poggerà l’edificio del Movimento dei Focolari. Non è certo una cosa inedita nella storia della Chiesa. Ma c’è forse qualcosa di nuovo. Chiara trasmette alle compagne ciò che vive e tutto quanto lo Spirito Santo le ispira. Tra loro c’è un legame solido come la roccia, e vorrei illustrare la qualità di questo rapporto che valorizza, libera le potenzialità ed edifica un’opera di Dio.
Siamo nel 1954. È passata una decina di anni. A Roma vivono con Chiara Giosi, Graziella, Natalia, Vittoria (chiamata Aletta), Marilen, Bruna, Giulia (Eli). Un giorno, mentre Chiara si ferma a guardarle, le viene in mente una frase del libro dei Proverbi: «La sapienza ha intagliato le sue sette colonne» (Proverbi 9, 1). Vede sette giovani donne, ognuna con un talento, unite e radicate in Dio. Ecco le sette colonne della sapienza, i sette colori dell’arcobaleno che scaturiscono da un’unica luce, l’amore. Sette aspetti dell’amore interdipendenti, fluenti l’uno dall’altro e l’uno nell’altro. A Giosi Chiara affida la gestione della comunione dei beni e degli stipendi, nonché la cura dei poveri: il rosso dell’amore. A Graziella affida «la testimonianza e l’irradiazione», l’arancio. Natalia era stata la prima compagna: a lei impersonare il cuore di quest’ideale, il grido di Gesù abbandonato da amare Porterà questo segreto oltre la Cortina di ferro. Era la spiritualità e la vita di preghiera, il giallo dell’arcobaleno. Aletta sarà ricordata come colei che infuse tra i membri del Movimento l’impegno del prendersi cura della salute, per formare una comunità unita nell’amore: lo fece nel Medio oriente in guerra. Chiara le affidò la natura e la vita fisica, il verde. A Marilen, che visse quindici anni nella foresta del Camerun in mezzo a una tribù e testimoniò un rispetto incondizionato per la loro cultura, Chiara affidò l’azzurro: l’armonia e la casa. Bruna era un’intellettuale e Chiara la vide come colei che doveva sviluppare l’aspetto degli studi: l’indaco. A Eli, che stava sempre a fianco a Chiara, curandosi che tutti i membri nel mondo vivessero all’unisono, fu affidato l’aspetto dell’«unità e mezzi di comunicazione», il violetto. Altre compagne avranno successivamente dei compiti particolari: Dori, Ginetta, Gis, Valeria, Lia, Silvana, Palmira.
1959: Lia, Marilen, Bruna
«Che tutti siano uno. Siamo nati per queste parole, per l’unità, per contribuire alla sua realizzazione nel mondo». Le parole di Chiara Lubich, commentate dal vescovo Felix Liam, Presidente della Conferenza Episcopale del Myanmar, il primo giorno dell’incontro dei Vescovi asiatici amici del Movimento dei Focolari (1- 4 giugno 2017), ben evidenziano lo scopo del convegno, svoltosi quest’anno a Yangon, nel Myanmar, Paese dell’Asia Sud-Orientale, sul versante occidentale dell’Indocina. Questi convegni, iniziati circa 40 anni fa su iniziativa di Chiara Lubich e di Klaus Hemmerle (1929-1994), allora vescovo di Aquisgrana (Germania), si svolgono ogni anno a livello internazionale, ecumenico e regionale. A Yangon, con una forte presenza dell’episcopato del Myanmar (19 vescovi), si respira un clima di famiglia e di reciproca accoglienza. Tra i 31 partecipanti un buon numero proviene dalle Filippine, dall’India, dalla Malesia e dalla Corea del Sud. Comunicando l’esperienza del suo incontro con la spiritualità dell’unità, il Card. Francis Xavier Kriengsak di Bangkok, moderatore dei vescovi amici dei Focolari, invita i vescovi a scoprire e ad approfondire uno dei punti fondamentali della spiritualità dell’unità: Gesù crocifisso e abbandonato. E di metterlo al centro della propria vita per essere strumenti di comunione nella Chiesa e nell’umanità. Di questo parlano le testimonianze di membri della comunità locale dei Focolari, che si è preparata per accogliere nel migliore dei modi i presuli. Ma anche le esperienze di alcuni vescovi, come quella dell’irlandese mons. Brendan Leahy, che vede nel mistero di Gesù abbandonato “il volto della misericordia, la chiave del dialogo e dell’unità e la via per una santità di popolo”. Viene presentata attraverso un PowerPoint la vita di mons. Klaus Hemmerle. Brevi video fanno vedere la sbalorditiva fecondità dell’amore all’Abbandonato anche nei contesti più “caldi”. Molto attuale il tema su “Evangelizzazione e Inculturazione nella Spiritualità dell’unità”, che suscita particolare interesse in una nazione a maggioranza buddhista.
La storia di Chiara Lubich e del Movimento da lei nato, insieme alle esperienze dei membri della comunità del posto, suscitano grande commozione. Il Cardinale Carlo Bo, arcivescovo di Yangon: «Sono stato molto colpito dal racconto della vita della fondatrice carismatica e profetica del vostro movimento. Più che mai la Chiesa ha bisogno di movimenti come il Focolare. Quando l’arroganza del potere divideva le persone per il colore e la razza, Chiara ha creato una comunione a livello mondiale, per la pace globale». Il Vescovo Matthias (Myanmar) commenta: «Di solito, quando si partecipa a incontri di vescovi, si ascoltano molte cose, ma sono a livello intellettuale. Qui invece si parla della vita e si vedono persone felici». E il Vescovo Isaac (Myanmar): «La vita di un vescovo non è facile, spesso noi stessi ci sentiamo abbandonati. Conoscendo Gesù Abbandonato avrò la forza e la luce per andare avanti». Dalla Corea, mons. Peter aggiunge: «È la prima volta che partecipo ad un incontro di vescovi. Sono felice di aver conosciuto e approfondito il mistero di Gesù abbandonato. Qui ho visto persone che cercano di amarlo in ogni difficoltà; persone che sono dietro le quinte, che cercano di servire tutti noi», in riferimento ai membri della comunità locale del Movimento. L’apertura al dialogo culturale e interreligioso assume i colori dorati della Pagoda di Shwedagon, la più importante e conosciuta della capitale. La visita di questo luogo sacro, in cui sono gelosamente custodite le reliquie dei quattro Buddha, sulla collina di Singuttara, ad ovest del Lago Reale, simboleggia il rispetto per l’anima buddhista e per la cultura del posto. In cima alla Pagoda, tempestata di pietre preziose, un anemoscopio a banderuola mostra la direzione del vento. Se sufficientemente sostenuto, lo sventolio è accompagnato dal suono di decine di campanelli. Verso dove soffi il vento i vescovi di Myanmar ne sono certi: in direzione dell’unità, verso una Chiesa sempre più “comunione”. (altro…)
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