Gen 21, 2019 | Chiara Lubich
Oggi 22 gennaio il Movimento dei Focolari ricorda la nascita di Chiara Lubich avvenuta in questo giorno nel 1920. Una data che cade al cuore della “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani” (celebrata in Europa). Un’occasione per ricordare la Fondatrice dei Focolari e la sua passione per l’unità attraverso la “preghiera ecumenica” da lei pronunciata nel 1998 ad Augsburg (Germania). Se noi cristiani diamo uno sguardo alla nostra storia di 2000 anni ed in particolare a quella del secondo millennio, non possiamo non rimanere ancora addolorati nel costatare come essa è stata spesso un susseguirsi di incomprensioni, di liti, di lotte. Colpa certamente di circostanze storiche, culturali, politiche, geografiche, sociali…; ma anche del venir meno fra i cristiani di quell’elemento unificatore loro tipico: l’amore. (…) Ma, se Dio ci ama, noi non possiamo certo rimanere inerti di fronte a tanta divina benevolenza; da veri figli e figlie dobbiamo contraccambiare il suo amore anche come Chiesa. Ogni Chiesa nei secoli si è, in certo modo, pietrificata in se stessa per le ondate di indifferenza, di incomprensioni, se non di odio reciproco. Occorre perciò per ognuna un supplemento di amore. Amore, dunque, verso le altre Chiese e amore reciproco fra le Chiese, quell’amore che porta ad essere ognuna dono alle altre, poiché si può prevedere che nella Chiesa del futuro una ed una sola sarà la verità, ma espressa in maniere diverse, osservata da varie angolazioni, abbellita da molte interpretazioni. Amore reciproco però che è veramente evangelico, e quindi valido, se praticato nella misura voluta da Gesù: amatevi gli uni gli altri – egli ha detto -, come io vi ho amato. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri fratelli.” (cf Gv 15,13). (..) So, anche per esperienza, che, se noi tutti vivremo così, ci saranno frutti eccezionali, si avrà soprattutto un particolare effetto: vivendo assieme questi diversi aspetti del nostro cristianesimo avvertiremo di formare, sin d’ora, in certo modo, un solo popolo cristiano che potrà essere un lievito per la piena comunione tra le Chiese. Sarà quasi l’attuarsi di un altro dialogo, dopo quello della carità, quello teologico e della preghiera: un dialogo della vita, il dialogo del popolo di Dio. Dialogo più che urgente ed opportuno se è vero, come la storia insegna, che vi è poco di garantito in campo ecumenico, quando non vi è coinvolto il popolo. Dialogo che farà scoprire con maggior evidenza e valorizzare tutto il grande patrimonio già comune fra noi cristiani, costituito dal battesimo, dalla Sacra Scrittura, dai primi Concili, dai Padri della Chiesa, ecc. Attendiamo di vedere realizzarsi questo popolo, popolo che già qua e là nel mondo cristiano sta apparendo e che abbiamo fiducia che apparirà pure qui. (Chiara Lubich, Augsburg-Germania, 29 novembre 1998) Fonte: Centro Chiara Lubich (altro…)
Gen 18, 2019 | Sociale
A La Colmena, in Paraguay, Alejo, della comunità dei Focolari, trasmette attraverso la musica la passione per l’ideale della fraternità. «Japay, nella lingua guaranì, significa “sveglia!”» ci spiega Alejo Rolon. La Colmena, dove abita e lavora come insegnante di musica in un prestigioso collegio, è una città del dipartimento di Paraguarí, 130 km da Asunción, capitale del Paraguay, proprio nel cuore dell’America Latina. Da alcuni anni ha dato vita ad una interessantissima esperienza con oltre un centinaio di giovani che coinvolge in una serie di concerti pop. Dal palcoscenico, il messaggio che vola sulle note è un invito a costruire una società più fraterna e solidale. Il guaranì è una lingua di antichissima origine, parlata soprattutto in Paraguay, e riconosciuta nel 2011 come lingua ufficiale, insieme allo spagnolo, al termine di un processo legislativo molto complesso, durato decenni. «Japay, “sveglia!”, è per me una parola-simbolo, che indica l’atteggiamento che dovremmo avere nei confronti della vita. Il mio obiettivo è quello di rendere più consapevoli tutti, ma in primo luogo i giovani, che dobbiamo svegliarci e prendere l’iniziativa, perché il cambiamento che vogliamo vedere nella nostra città e nella società comincia da noi. Ogni iniziativa, anche piccola, in questa direzione può essere alla base di un nuovo modo di vivere. Questa è la sfida di Japay». In un momento estremamente delicato per il Paese sudamericano, alle prese con la necessità di una svolta per combattere la corruzione dilagante, la criminalità, la povertà endemica, la disuguaglianza sociale, la crisi economica, cosa propone concretamente Alejo con le sue canzoni? Ce lo spiega lui stesso: «La nostra filosofia è questa: dobbiamo cambiare mentalità. Ad esempio, nei testi che cantiamo proponiamo di vivere onestamente, anziché rubare o praticare la corruzione, una piaga purtroppo molto diffusa; di praticare una cittadinanza attiva, anziché l’arte dell’arrangiarsi, ognuno per conto proprio; di abbandonare la mentalità rassegnata del “così è sempre stato” e andare alle origini della nostra cultura salvando la sua parte migliore: l’intraprendenza, la creatività, la generosità nei confronti di chi ci vive accanto, il coraggio di affrontare i limiti, la capacità di convivere armoniosamente tra persone diverse. Il nostro è davvero, come dice la Costituzione del Paraguay, “un Paese multiculturale e bilingue”, ricco di tradizioni e valori. Ma ci sono problemi e ferite profonde, anche recenti. Lavoriamo sul potenziale delle persone, facendo leva sui loro sentimenti più veri». Alejo trasmette con la musica quello che ha ricevuto a sua volta dal carisma dell’unità: «Japay per me – spiega – ha anche un altro significato: JA (Jesùs Abandonado) e PAY (Paraguay). Nei problemi della mia gente e della società riconosco un volto sofferente di Gesù sulla croce: è per Lui che ho dato vita a quest’esperienza. E chissà dove ci porterà».
Chiara Favotti
Vedi anche japayparaguay.org e www.youtube.com/watch?v=wqByefcq1Yc (altro…)
Gen 16, 2019 | Sociale
In dialogo con Liliane Mugombozi, giornalista congolese, del focolare di Nairobi. Lavora presso il Jesuit Refugee Service della capitale keniota: “I migranti africani? La maggior parte di loro non va in Europa, ma si sposta nel continente africano”. “Per i media internazionali l’Africa è il continente dell’esodo di massa, ma questa non è la realtà. I migranti si muovono soprattutto dentro il continente. Tra il 2015 e il 2017 in Africa si sono spostati quasi 19 milioni di persone”. Liliane Mugombozi parla con cognizione di causa di questo fenomeno poco raccontato ma che lei conosce a fondo non solo per la professione giornalistica che esercita da molti anni, ma soprattutto per esperienza diretta. Da due anni e mezzo lavora al JRS (Jesuit Refugee Service), il Servizio per i rifugiati gestito dai Padri Gesuiti a Nairobi (Kenya).
“Dal settembre 2017 più di mezzo milione di rifugiati vive in Kenya. Vengono soprattutto dalla Regione dei Grandi Laghi, dal Corno d’Africa e dall’Africa Centrale, ma anche dal Myanmar, dall’Afghanistan, ecc. . La maggior parte vive nei campi profughi di Dadaab e Kakuma; circa 64.000 rifugiati risiedono a Nairobi”. Racconta che nel dicembre scorso hanno organizzato un workshop per 48 ragazzi rifugiati, provenienti da tanti paesi africani: dal Sud Sudan alla Somalia. Lo scopo era guardare insieme alla loro situazione di rifugiati e offrire strumenti per affrontare le sfide di tutti i giorni: dai diritti umani alle difficoltà culturali. ‘Quando vi guardo – ho detto loro – non vedo dei rifugiati, vedo il futuro di questo continente, vedo il futuro del mondo. Tutti voi avete sperimentato la sofferenza, chi meglio di voi potrà costruire delle istituzioni forti e giuste?’ ”. “Dal primo momento in cui sono arrivata al JRS di Nairobi, dove mi occupo degli studenti delle scuole secondarie e degli universitari che possono studiare grazie a borse di studio, avevo intuito che il mio servizio richiedeva una grande flessibilità e di andare oltre le mansioni tecniche. Mi sono sentita chiamata a condividere il dolore che c’è dietro ogni storia, per incontrare davvero la persona. Ho capito che la chiave era costruire rapporti veri, di reciprocità con tutti.
A contatto con tanta speranza e altrettanto dolore Liliane ha capito che occorreva fare attenzione a non cedere alla tentazione di confondere la persona con il suo bisogno: “Una tentazione pericolosa che mi avrebbe chiuso il cuore ad un incontro vero con i ragazzi, le loro famiglie, gli insegnanti, con chiunque”. Anche la comunità dei Focolari in Kenya, soprattutto a Nairobi, ha collaborato con i Padri Gesuiti. Ha organizzato raccolte di vestiario, viveri e generi di prima necessità, libri, giocattoli e indumenti presso amici, famigliari e nelle parrocchie. “Abbiamo capito che prima di tutto dovevamo superare i pregiudizi, conoscere le storie dei rifugiati per creare una cultura dell’incontro, dell’accoglienza. Siamo coscienti che ci sono problemi che non possiamo risolvere, ma possiamo farci fratelli e sorelle di tutti loro. Certo, siamo ancora alle prime armi, ma crediamo che con Gesù fra noi, troveremo la risposta a questo grido di Gesù sulla croce oggi, in questa nostra terra”.
Stefania Tanesini
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Gen 13, 2019 | Focolari nel Mondo
Clima freddo e grandi distanze per una popolazione che unisce nativi e migranti. È la Patagonia, nell’estremo sud dell’Argentina, dove vivono varie comuntà del Movimento e dal 2010 si è aperto un focolare.
Un paesaggio incantevole con fiumi, laghi, mare, montagne e ghiacciai, popolati da tante specie di animali: balene, pinguini, mara o lepri della Patagonia, guanaco (camelidi diffusi in Sud America) e gli struzzi tipici di questa regione chiamati choique. In questo scenario dal clima freddo e secco, nel 2010 si è aperto a Trelew il focolare più a sud del mondo. La città è quasi “porta” naturale per il vasto territorio della Patagonia (1.768.165 km²), nel quale c’era già un vivace gruppo del Movimento.
Oggi il focolare accompagna le comunità di Neuquen, Rio Negro, Chubut, Santa Cruz e Tierra del Fuego. È composto da cinque focolarine: Angela Correia del Brasile, Emma Murillo del Messico e tre argentine, Silvia Deramo, Mónica Reina e Maria Ángel. “Sono molto contenta di essere qui – spiega Mónica – dove Don Bosco inviò missionari salesiani, dopo aver visto in sogno una terra che riconobbe essere proprio la Patagonia”. Il territorio di Trelew, abitato dai popoli nativi mapuche-tehuelche, conobbe l’arrivo nel 1865 di immigrati gallesi. “Per me incontrare il Movimento dei Focolari – dice Emma presentandosi – è stato sperimentare l’immenso amore di Dio. Più conoscevo Dio, più volevo amarlo, fino a seguirLo per portare l’Amore fino ai confini della terra. E infatti…proprio agli estremi confini sono arrivata! Come viviamo qui? Cercando di mettere in pratica l’amore evangelico: al lavoro, per la strada, in parrocchia e nelle comunità del Movimento sparse in tutta la Patagonia”. “Nell’ambiente di lavoro – spiega Angela, docente di lingua portoghese all’Università statale – ho sperimentato che, cercando di trasmettere non a parole ma con la vita, i valori in cui credo, si é creato, con i colleghi e gli allievi, un rapporto di amicizia e fiducia. Ho visto cambiare tante atteggiamenti individualisti”. Servizi negli spazi pastorali della Chiesa locale, nel dialogo tra le Chiese e con persone di convinzioni non religiose, ed attività di sostegno a famiglie bisognose, sono tra le attività del Movimento in questo ambiente culturalmente ricco e in una società molto varia. La popolazione infatti è costituita da persone di diversi Paesi e culture: in molti vi si trasferiscono da regioni e Paesi limitrofi in cerca di lavoro e di un futuro migliore. Un punto di forza dunque , ma anche una sfida poichè molte di queste persone, si fermano solo per un periodo della loro vita, e poi rientrano nei loro luoghi d’origine. (altro…)
Gen 8, 2019 | Cultura
Dal 17 al 20 gennaio 2019, 400 amministratori, cittadini, economisti, esperti e professionisti di tutto il mondo si incontreranno a Castel Gandolfo (Roma): quattro giorni di confronto e approfondimento sulla gestione delle città, fare rete e imparare modelli di sostenibilità e convivenza. Interverranno, tra gli altri, pensatori e protagonisti del lavoro nelle città, che rifletteranno sul loro significato in quest’era ‘post-democratica’ come Emilce Cuda, argentina, politologa e profondamente conoscitrice del pensiero di Papa Francesco o l’ on. Sunggon Kim (김성곤) – buddista, già Segretario Generale dell’Assemblea Nazionale Coreana. Sarà presente l’architetto Ximena Samper, colombiana, l’on.Ghassan Mukheiber, libanese, Chairman dell’Arab Region Parliamentarians Against Corruption. Da segnalare anche la presenza del Sindaco di Katowice (Polonia) dove si è appena conclusa la COP 24, il responsabile dell’accoglienza ai rifugiati della Catalogna, Angel Miret e il Presidente della Comunità islamica di Firenze e della Toscana, Izzedin Elzir. Se governare le città è sempre stata un’arte complessa, oggi lo è ancora di più. Occorre rispondere a una società che cambia senza sosta, attraversata da problemi locali e globali e da un ritmo di sviluppo tecnologico convulso che rischia di aprire abissi economici e zone inedite di nuove povertà. Occorre decidere per oggi e programmare a lunga distanza. È per questo che le città sono strategiche dal punto di vista politico e culturale perché sono “casa” per più della metà della popolazione mondiale (fonte Onu) e non è una scelta libera, ma spesso legata a mancanza di cibo e lavoro. In questa epoca di sovranismi, le città stanno emergendo come veri e propri hub sociali, distributori di infinite connessioni: civili, politiche, antropologiche, economiche, comunicative. Le città, dunque, come espressione di un nuovo modello identitario, dove identità non fa rima con localismo o nazionalismo esasperati, ma con partecipazione, condivisione dell’appartenenza a una vicenda comune, perché siamo parte della famiglia umana, prima ancora di prendervi parte. Co-governance è organizzato dal Movimento Umanità Nuova, Movimento Politico per l’Unità e Associazione Città per la Fraternità.
Stefania Tanesini
Per maggiori informazioni: www.co-governance.org (altro…)