La partecipazione delle nuove generazioni al cammino che conduce verso l’Assemblea generale 2026 dei Focolari, è pensata come un processo integrato, che si sviluppa attraverso diverse forme di coinvolgimento. Ai ragazzi e i giovani del Movimento nel mondo, è stato chiesto un impegno capillare e attivo nelle comunità locali. Per questo è stato elaborato un documento che raccoglie quanto emerso nell’ultima Assemblea del 2021. Tale documento invita adolescenti e giovani di tutto il mondo a riflettere su tre domande fondamentali. 1: Cosa siamo riusciti a realizzare nel nostro territorio delle proposte dell’ultima Assemblea? 2: Cosa desideriamo realizzare in futuro e su cosa vogliamo impegnarci? 3: Qual è un desiderio o un sogno che hai per l’Opera nei prossimi cinque anni?
Un processo fondamentale da compiere per unire le generazioni e dare continuità al loro cammino verso l’unità. Le comunità sono state invitate a creare momenti di comunione che favoriscano il dialogo e l’elaborazione di proposte, così da valorizzare il protagonismo dei giovani, radicato nella loro vita concreta e nella loro sensibilità.
Si è pensato anche alla partecipazione dei bambini e delle bambine del Movimento dei Focolari, ai quali è stato chiesto di rispondere con dei disegni alla domanda: Cosa possiamo fare noi per aiutare affinché il mondo sia più unito? I disegni saranno esposti nelle sale dove si incontreranno i partecipanti all’Assemblea affinchè possano ispirare e parlare al cuore di molti.
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Recentemente un osservatorio creato da tre università italiane ha segnalato che in un anno sono stati più di un milione i messaggi di odio sulla rete. Sempre più violenti quelli contro gli stranieri, gli ebrei ma soprattutto contro le donne.
Certamente non possiamo generalizzare ma ciascuno di noi ha sperimentato in famiglia, nel lavoro, in ambito sportivo, ecc., atteggiamenti litigiosi, di offesa e antagonismi che dividono compromettendo la convivenza sociale. Poi, a livello più globale, ci sono attualmente nel mondo 56 conflitti armati, la cifra più grande dalla Seconda Guerra Mondiale con un numero altissimo di vittime civili.
Proprio in questo contesto risuonano più che mai provocatorie, vere e forti le parole di Gesù:
«Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio».
«Ogni popolo, ogni persona avverte un profondo anelito alla pace, alla concordia, all’unità. Eppure, nonostante gli sforzi e la buona volontà, dopo millenni di storia ci ritroviamo incapaci di pace stabile e duratura. Gesù è venuto a portarci la pace, una pace – ci dice – che non è come quella che “dà il mondo[1] perché non è soltanto assenza di guerra, di liti, di divisioni, di traumi. La “sua” pace è anche questo, ma è molto di più: è pienezza di vita e di gioia, è salvezza integrale della persona, è libertà, è giustizia e fraternità nell’amore fra tutti i popoli»[2].
La parola di vita di questo mese è la settima delle beatitudini con le quali inizia il discorso della montagna (Mt 5-7). Gesù, che le incarna tutte, si rivolge ai suoi discepoli per istruirli. È da notare che le otto beatitudini sono formulate al plurale. Possiamo dedurre da questo fatto che l’accento non viene messo su un atteggiamento individuale o su virtù personali, ma piuttosto su un’etica collettiva che si realizza in un gruppo.
«Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio».
Chi sono gli operatori di pace? Questa «beatitudine è la più attiva, esplicitamente operativa; l’espressione verbale è analoga a quella usata nel primo versetto della Bibbia per la creazione e indica iniziativa e laboriosità. L’amore per sua natura è creativo […] e cerca la riconciliazione a qualunque costo. Sono chiamati figli di Dio coloro che hanno appreso l’arte della pace e la esercitano, sanno che non c’è riconciliazione senza dono della propria vita, e che la pace va cercata sempre e comunque. […] Questa non è un’opera autonoma frutto delle proprie capacità, è manifestazione della grazia ricevuta da Cristo, che è nostra pace, che ci ha resi figli di Dio»[3].
«Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio».
Come vivere allora questa parola? Anzitutto diffondendo dovunque l’amore vero. Poi intervenendo quando, attorno a noi, la pace è minacciata. A volte basta ascoltare con amore, fino in fondo, le parti in lite e si può intravedere uno sbocco.
Ancora, non ci arrenderemo finché rapporti interrotti, spesso per un nonnulla, non siano ristabiliti. Forse potremmo dare vita, in seno all’ente, associazione o parrocchia cui facciamo parte, a iniziative particolari dirette a sviluppare una maggiore coscienza della necessità della pace. Ci sono nel mondo una miriade di proposte, grandi e piccole, che agiscono in questa direzione: marce, concerti, convegni, lo stesso volontariato mette in motto una corrente di generosità che costruisce la pace.
Ci sono pure percorsi di educazione alla pace come «Living Peace». Ad oggi sono più di 2600 le scuole e gruppi che aderiscono al progetto e oltre due milioni di bambini, i giovani e adulti sono coinvolti nelle sue iniziative nei cinque continenti. Tra queste il lancio del «Dado della pace» – che s’ispira a quello dell’arte di amare di Chiara Lubich[4] – sulle cui facce sono scritte delle frasi che aiutano a costruire rapporti di pace e anche l’iniziativa che si tiene in tutto il mondo, il «Time out»: alle ore 12:00 di ogni giorno, si tiene un momento di silenzio, di riflessione o di preghiera per la pace.
A cura diAugusto Parody Reyes e del team della Parola di Vita
[1] Cf. Gv 14, 27 [2] C. Lubich, Parole di vita, a cura di Fabio Ciardi, (Opere di Chiara Lubich 5) Città Nuova Editrice, Roma 2017, p. 709 (Gennaio 2004). [3] Papa Francesco, Udienza Generale. Catechesi sulle Beatitudini. Mercoledì 15 aprile 2020 [4] C. Lubich, L’arte di amare, Città Nuova Editrice, Roma 2005
Viviamo un tempo in cui tensioni, conflitti e messaggi di odio sembrano moltiplicarsi: sui social, nel lavoro, nella politica, perfino nelle famiglie. Anche su scala globale i conflitti armati raggiungono cifre che non vedevamo da decenni. Tutto questo ci ricorda che la pace non è mai garantita, ma va costruita ogni giorno. Di fronte a questa realtà, le parole di Chiara Lubich del 2004 sono anche per oggi: «Ogni popolo e ogni persona ha una profonda aspirazione alla pace, alla concordia e all’unità. Ma, nonostante gli sforzi e la buona volontà, dopo millenni di storia ci scopriamo incapaci di mantenere una pace stabile e duratura. (…) perché la pace non è solo assenza di guerra, di lotte, divisioni e traumi». La vera pace «è pienezza di vita e di gioia, è salvezza integrale della persona, è libertà, è giustizia e fraternità nell’amore tra tutti i popoli». Lavorare per la pace richiede di mettersi in azione, prendere l’iniziativa, a volte con creatività. Ciascuno di noi può diventare un “artigiano di pace”: nelle piccole cose di ogni giorno e anche nelle grandi, unendoci a iniziative globali che promuovano la concordia e la collaborazione. Sono significativi alcuni esempi concreti. Il progetto Living Peace, dove il desiderio personale di fare qualcosa a favore della pace è diventato un programma di educazione alla pace. Attualmente più di 2.600 scuole e gruppi aderiscono a questo progetto, e oltre due milioni di bambini, giovani e adulti dei cinque continenti partecipano alle sue iniziative. Tra queste c’è il «dado della pace», sulle cui facce sono scritte frasi che aiutano a costruire relazioni di pace e che ognuno cerca di mettere in pratica. Recentemente, in un webinar intitolato «Perdono e pace: il coraggio delle decisioni difficili», è stata messa in evidenza l’importanza del perdono e della riconciliazione per essere artefici di pace, ricostruendo ciò che si era spezzato. Un altro esempio infine è quello del Metodo Rondine: un laboratorio a cielo aperto per uscire dalla logica del nemico. Israeliani e palestinesi, serbi e bosniaci, armeni e azeri, ma anche maliani, nigeriani e colombiani, e ultimamente russi e ucraini, hanno costruito una via praticabile per riparare le relazioni distrutte dall’odio e costruire legami solidi a favore della pace. Tra tutti i giovani che si sono avvicendati in questi trent’anni nella Cittadella della Pace, un piccolo borgo medievale alle porte di Arezzo, oggi troviamo politici, ambasciatori, imprenditori, giovani leader che mettono la propria vita a disposizione per sanare le ferite di quei conflitti dolorosi, ponendo le basi per un futuro che intreccia relazioni pacificate e sviluppo. Per vivere questa Idea, proponiamoci di seminare pace ovunque ci troviamo, attraverso relazioni di fiducia, solidarietà e cooperazione, perché ogni passo verso la pace ci rende più pienamente umani e avvicina tutta la società a un orizzonte di giustizia e fraternità.
L’IDEA DEL MESE è attualmente prodotta dal “Centro del Dialogo con persone di convinzioni non religiose” del Movimento dei Focolari. Si tratta di un’iniziativa nata nel 2014 in Uruguay per condividere con gli amici non credenti i valori della Parola di Vita, cioè la frase della Scrittura che i membri del Movimento si impegnano a mettere in atto nella vita quotidiana. Attualmente L’IDEA DEL MESE viene tradotta in 12 lingue e distribuita in più di 25 paesi, con adattamenti del testo alle diverse sensibilità culturali. www. dialogue4unity.focolare.org
Uno di questi pomeriggi sono andato a trovare mia madre per portarle alcune cose, come faccio di solito. Faceva caldo e lei stava ancora facendo il pisolino, quindi ho lasciato tutto nella lavanderia per non svegliarla. Quando stavo per tornare a casa, ho notato che avevano tagliato l’erba del marciapiede (nella nostra località questo compito spetta al Comune) e tutto era rimasto un po’ sporco. Ho pensato subito che lei, al risveglio, avrebbe visto il marciapiede in quello stato e avrebbe iniziato a spazzarlo, pur sapendo che non dovrebbe farlo perché le provoca mal di schiena. Sono tornato a prendere una scopa, perché so dove la tiene, e ho iniziato a spazzare. Questa semplice e piccola esperienza mi ha dato la stessa gioia che provavo quando ero un Gen 3, un adolescente del Movimento dei Focolari, anche se sono passati tanti anni.
(D. C. – Argentina)
Durante la spesa
Ieri ero al supermercato. Mentre guardavo i prodotti in uno scaffale, mi sono accorta di essere osservata insistentemente da un signore. Non essendo una persona a me nota, ho proseguito i miei giri e anche lui ha fatto altrettanto. Poco dopo però, all’uscita, mi aveva aspettato, salutandomi: “Non si ricorda proprio di me?”. Siccome il suo viso mi era sconosciuto, gli ho chiesto di darmi qualche elemento per ricordare. “Sono Stefan – ha risposto– e anni fa lei mi ha aiutato molto con un documento che mi ha fatto. Guardi, lo conservo ancora”; e aperto il borsello, raggiante, mi fa vedere un tesserino di riconoscimento che veniva rilasciato anni fa agli stranieri. Guardo la data e vedo che è del 1993, ma ben conservato. E Stefan: “Sono passati trentadue anni, ma non mi sono mai dimenticato di come si è data da fare per me e cosa ha significato questo documento in quel momento, così ho sempre conservato il tesserino in suo ricordo, grazie!”. E ha soggiunto: “Lei è uguale ad allora”. Non aveva visto le rughe, ma ricordava l’amore. E l’amore resta.
(A.P. – Italia)
A cura di Maria Grazia Berretta (tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno X– n.1° settembre- ottobre 2025)
In occasione del 60esimo anniversario di Nostra Aetate, condividiamo un breve stralcio dell’intervista a Prha Pittaya, monaco buddista Theravada (Thailandia) durante il convegno “One Human Family” promosso dal Centro per il Dialogo Interreligioso del Movimento di Focolari che si è svolto dal 31 maggio al 04 giugno 2024 tra Castel Gandolfo e Assisi (Italia).
Attivare i sottotitoli in italiano – L’originale è in thailandese