Giordani: l’incontro che mi fece un uomo nuovo

1956: Igino Giorani (a sinistra) con Chiara Lubich a Fiera di Primiero

1956: Igino Giorani (a sinistra) con Chiara Lubich a Fiera di Primiero

Ave Cerquetti, ‘Bella Accoglienza’ – Roma, 1961
Come nascendo in una stalla Gesù s’era subito inserito nel più umile sottostrato sociale, tra gente senza casa, profughi, espulsi, cosi lasciandosi crocifiggere, abbandonato, si mise in mezzo alla massa dei sofferenti — gli oppressi, gli sfiduciati, gli affamati, i vinti d’ogni epoca e paese, al centro dell’umanità di tutti i tempi. Quella centralità nella miseria dà agli uomini la misura di quell’amore. Ma era questo il modo culmine d’inserirsi nella tragedia dell’umanità straziata: il modo di farsi ultimo, il più vile, il più degradato, per essere alla base di ogni miseria: una base che s’eleva al cielo. L’infinito che per amore s’annienta. Egli aveva creato l’universo, e lo sviluppava e lo reggeva: e universo significa una produzione di grandezza sconfinata, proporzionale, in qualche modo, alla grandezza della sua mente: un mondo fatto di mondi, uno più meraviglioso degli altri, di cui l’uomo — minuscola creatura d’un piccolissimo pianeta, — ha, dopo secoli di studi, qualche minuscola idea: con stelle che solo nella nostra Galassia distano tra loro circa 4 anni-luce e che dalla periferia della Galassia al centro della medesima contano una distanza di 30 anni-luce, la quale può coprirsi in un solo miliardo d’anni, nei due sensi, 1500 volte. In questo universo, infinitamente più grande di quanto sia possibile immaginare da mente umana, egli aveva visto anche la miseria del corpuscolo di abitanti del pianeta terrestre, e si era annientato per farsi uno di loro e li aveva assistiti sino a dar loro l’evangelo e la sua persona in pasto. La redenzione ristabilisce il disegno della creazione, il quale comporta che l’esistenza delle costellazioni e degli atomi nell’universo e quella delle creature in terra, come in ogni parte del mondo sia un’armonizzazione assidua per realizzare sempre l’unità. Perciò il Creatore immise, come alito vitale, l’amore. Benessere, pace, sanità fioriscono in proporzione di questo precetto. (Igino Giordani, L’unico amore, Città Nuova, 1974, pp. 64 e 105) (altro…)
Ogni estate vescovi provenienti dal mondo intero trascorrono insieme un periodo di riposo che è per loro occasione di condividere il loro vissuto e chiedersi come essere Chiesa, segno e strumento d’unità, negli svariati scenari di un mondo globale attraversato da tensioni e contraddizioni. Quest’anno si sono ritrovati dal 2 all’11 agosto a Braga in Portogallo. «Oggi nella Chiesa è il momento dell’unità e della comunione, momento nel quale tutti siamo invitati a far esperienza di Dio insieme. Non siamo qui solo perché siamo vescovi ma perché siamo fratelli. È nostro desiderio di essere come gli Apostoli con Gesù un corpo di fratelli». Sono parole dell’omelia tenuta dal card. João Bráz de Aviz durante la Messa nella Cappella delle Apparizioni, in occasione del pellegrinaggio di 67 vescovi di 27 nazioni a Fatima il 4 agosto scorso.
«In questi giorni siamo stati proprio felici. Abbiamo vissuto da fratelli. Ci siamo sentiti liberi e abbiamo potuto aprire il cuore l’uno all’altro. L’unico Maestro è stato veramente fra noi. Ci siamo sentiti nella casa di Maria», così il card. Francis Xavier Kriengsak Kovithavanij, arcivescovo di Bangkok e moderatore dell’incontro, ha riassunto alla fine del soggiorno l’esperienza fatta. Ad accogliere i vescovi, su invito di Dom Jorge Ortiga, arcivescovo di Braga, è stato il Centro apostolico “Mater Ecclesiae” all’ombra del Santuario di Nostra Signora di Sameiro. Ambiente assai adatto per poter affrontare in un clima disteso questioni come lo scenario del mondo di oggi con l’esperto di politica internazionale Pasquale Ferrara o la riforma della Chiesa nel solco di Papa Francesco con il teologo Piero Coda. Su questo sfondo i presenti si sono interrogati su come essere vescovi in uno stile sinodale e mettere in atto una cultura pastorale improntata alla comunione.
Plenarie e incontri a gruppi, passeggiate e momenti a tavola, sono serviti per mettere in comune situazioni di dolore e segnali di speranza: il grido d’angoscia che sale dalle Chiese del Medio Oriente; la crescita di una feconda interazione tra comunità ecclesiali di base e nuovi Movimenti e Comunità in una grande diocesi del Brasile – significativo esempio di quanto auspicato dalla Lettera Iuvenescit Ecclesia pubblicata in giugno dalla Congregazione per la Dottrina della fede –; le sfide e le potenzialità dell’inculturazione in un contesto plurale come l’India; i frutti che possono nascere quando un vescovo e i suoi ausiliari fanno vita comune e quando un vescovo riesce a farsi fratello e amico dei suoi sacerdoti; l’arduo lavoro di evangelizzazione in un contesto segnato dalla povertà come il Madagascar.
Fonte di reciproco arricchimento la partecipazione, per un paio di giorni, di tre vescovi di altre Chiese, due luterani e un siro-ortodosso, e un pomeriggio d’incontro con sette vescovi del Portogallo. Sottofondo spirituale dell’incontro sono stati da un lato il Cristo crocifisso come punto cardine della spiritualità dell’unità e dall’altro la passione per la Chiesa, argomenti su cui sono intervenuti la presidente dei Focolari, Maria Voce (“Gesù abbandonato finestra di Dio – finestra dell’umanità”) e il copresidente Jesús Morán (“Il genio ecclesiale di Chiara Lubich e il carisma dell’unità”). (altro…)
«Dopo la morte di Gesù, dopo la comparsa dello Spirito Santo, Maria scompare nel nascondimento: lontana. Ha compiuto la sua missione e rientra in quello che è il suo elemento: il silenzio, il servizio. Risolve, rifugiandosi in Dio, il problema della vecchiezza come nuova infanzia dello spirito. Insegna a morire. Questa operazione, che provoca paura, in Maria madre diventa una risalita all’origine, mediante un inesausto perdersi in Dio: vita che non finisce. E quel perdersi nell’Eterno fu la morte di Maria. Essa avvenne il giorno che gli apostoli potevano far da sé. Ma non fu una morte quale noi l’intendiamo e la subiamo: bensì qualcosa di dolce e di rapido che i teologi adombrano con espressioni varie: pausa, trapasso, transito, sonno, morte vivifica. Quel corpo vergine avrebbe ricevuto una contaminazione dal processo di decomposizione, mentre, avendo patito con Cristo, non poteva non assurgere subito alla gloria con Cristo. Così quel che per Cristo era stato la resurrezione, fu per Maria l’assunzione: duplice vittoria — del corpo e dello spirito — sulla morte. Nei nostri tempi si è presentato lo spettro terrificante di una disintegrazione fisica per milioni di esseri umani e forse per l’intera umanità, sotto la minaccia dell’atomica o per l’inquinamento ecologico. Non c’è altro scampo a tale destino che sottrarsene mediante una riproduzione della vittoria di Gesù e Maria: divenendo anche noi spiritualmente Gesù e Maria, agenti di vita; ciò che si fa inserendo la nullità umana nell’onnipotenza divina. Se, messi insieme, vivendo del Vangelo, siamo Cristo mistico; se, fatti Maria, diamo Gesù alla società, la guerra non ha senso e la bomba atomica diviene arnese da museo. C’è la pace: il cuore solo e l’anima sola della comunità raccolta attorno a Maria; e suo frutto è l’unità. L’unità dei viventi. Risalendo da questa palude sanguinolenta, che è la terra, al cielo di Maria, la tutta bella, la stella del mare, si comprende meglio il senso della sua assunzione, che fu il suggello supremo al suo privilegio unico di Vergine Madre di Dio. Un fatto che dovrebbe commuovere anche i materialisti, poiché rappresenta l’esaltazione del corpo fisico per opera del Supremo Spirito. In lei si celebra la materia redenta e si esalta l’universo materiale, trasfigurato in tempio dell’Altissimo. Basta meditare un momento, con intelletto d’amore, sulla posizione di Maria che sale da terra in cielo attraverso il cosmo, per cogliere la sua entità e funzione. Ella è il capolavoro della creazione. In lei Dio ha voluto mostrare tutta la sua onnipotenza: la sua infinita originalità. Ammirabili sono stelle ed atomi, nella loro struttura; e carichi di bellezza mai esaurita sono cieli e mari, uomini e angeli… Ma ella è più bella: raduna e fonde tutte le loro meraviglie, sì che la natura tutta quanta appare un piedistallo ai suoi piedi. Maria: umile, perché nessuna altezza esteriore paresse elevarla; silenziosa, perché nessuna voce umana, paresse definirla; povera, perché nessun ornamento della terra paresse decorarla. Essa parla con la sola parola di Dio, essa è ricca della sola sapienza di Dio, essa è grande della sola grandezza di Dio. E così, identificata col Signore, Maria è l’espressione umana della grandezza, della mente e dell’amore della Trinità. La regina — ancella e signora — della dimora di Dio, che apre le porte e ammette i figli, adoperandosi a raccoglierli tutti nella reggia del Padre, per la gloria del Figlio, nel circuito dello Spirito Santo. Per dare ai mortali un’idea di Dio che, infinito, sovrasta e subissa l’intelligenza dell’uomo, quasi per mediare la potenza, la sapienza e l’amore della Trinità ineffabile, a cui mai l’umanità si sarebbe appressata, il Creatore ha creato Maria, nel cui seno il Verbo s’è fatto carne, nella cui persona Dio si fa accessibile e il divino amore diventa di casa. Maria tra noi porta Dio in mezzo a noi. È porta del cielo; è assunta nella dimora di Dio, per accogliere i figli nella casa del Padre. Per questo essi la invocano, anche centinaia di volte al giorno, perché preghi per loro adesso e nell’ora della morte». Tratto da: Igino Giordani, Maria modello perfetto, Città Nuova, Roma 2012 (1967), pp. 157 – 163 (altro…)
La prima reazione è stata di gratitudine. Nella Iuvenescit Ecclesia il Movimento dei Focolari vede un invito a proseguire nel cammino che l’ha accompagnato fino ad oggi. In particolare il richiamo alla «reciprocità tra doni gerarchici e doni carismatici», alla loro «coessenzialità» sembra interpretare appieno l’esperienza maturata, giorno dopo giorno, dalla nuova realtà ecclesiale fondata da Chiara Lubich. Con l’intervista a Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari, proseguiamo il ciclo dedicato all’approfondimento della lettera della Congregazione per la dottrina della fede, su cui nelle scorse settimane sono intervenuti Salvatore Martinez, presidente nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo e don Julián Carrón, presidente della Fraternità di Comunione e liberazione. «Il documento – sottolinea Maria Voce – parla chiaro: la Chiesa è una, è “un corpo” chiamato a incarnare il mistero di comunione della vita trinitaria. Protagonista del ringiovanimento della Chiesa è lo Spirito Santo che agisce, in particolare, attraverso i carismi. Il documento riconosce dunque ai movimenti una cosa importante: la capacità, se corrispondiamo alla grazia, di rivitalizzare la Chiesa. Con uno scopo chiaro: contribuire a immettere la vita di Dio negli ingranaggi della vita sociale, farla “toccare” dagli uomini e donne immersi nella complessità del nostro mondo. Il punto centrale del documento è la reciprocità, la coessenzialità nella vita della Chiesa tra doni gerarchici e doni carismatici. Si tratta di un richiamo esplicito all’insegnamento conciliare. Sì, mi pare che la lettera ponga in maniera inequivoca una pietra miliare di notevole portata dottrinale, sia nel riferirsi al Concilio Vaticano II, sia nel riconoscere una “convergenza del recente magistero ecclesiale” sulla coessenzialità: medesima origine e medesimo fine dei doni gerarchici e dei doni carismatici, tema che in questi anni non era stato recepito sufficientemente e aspettava un approfondimento.
Una coessenzialità che voi sottolineate far parte da sempre della vostra esperienza. Dagli inizi il Movimento dei Focolari ha teso a questo intimo rapporto con chi nella Chiesa aveva il carisma del discernimento. Lo si vede, ad esempio, dalla lunga storia della sua approvazione, inseguita con determinazione adamantina e fiducia totale, a volte nella sofferenza, da Chiara Lubich e da quanti generavano con lei questa nuova creatura. La narra lei stessa nel suo libro “Il Grido”. I riconoscimenti poi, come si sa, sono arrivati abbondanti. Anche altri rappresentanti di Chiese cristiane hanno voluto esplicitare il proprio riconoscimento, a cominciare dal patriarca ecumenico Athenagoras I, dal vescovo luterano Hermann Dietzfelbinger, dal primate anglicano Michael Ramsey e da tanti altri. La lettera sottolinea che non può esistere contrapposizione tra Chiesa delle istituzioni e Chiesa della carità. Che significa da una parte rinunciare a ogni presunzione istituzionale, dall’altra all’autoreferenzialità. In che modo si possono evitare questi rischi? Vivendo ciascuno per lo scopo per cui la Chiesa esiste: l’umanità intera. Nel concreto e nel locale avviene poi il reciproco implementarsi con la ricchezza di ciascuno. La fraternità universale esige l’impegno di tutti e richiede infiniti piccoli passi. Dal 30 giugno al 2 luglio, ad esempio, 300 movimenti e comunità nati in seno alla Chiesa cattolica e a molte altre Chiese si sono dati appuntamento a Monaco, in Germania. ‘Insieme per l’Europa’, è un cammino iniziato nel 1999 e che continua insieme per il bene di questo continente, che deve riscoprire se stesso e ha gravi doveri verso il resto del mondo. E per realizzare l’armonia di cui parla il documento, come e dove bisogna operare? Credo che dobbiamo procedere con fiducia sulla strada che indica. Forse occorre approfondire maggiormente le conseguenze del riconoscere la coessenzialità tra doni gerarchici e carismatici. Bisogna pensare come avviare nella pratica una profonda e concreta partecipazione di ambedue aspetti ai vari livelli della Chiesa. Non basta la constatazione, mi sembra che si debbano trovare anche le modalità operative per procedere insieme. Uno slogan per il documento potrebbe essere quello di “Unirsi per una Chiesa in uscita”. Come interpretare questo impegno? Quella dei dialoghi è la via percorsa dai Focolari, manifestatisi via via con chiarezza, legati a fatti precisi e a incontri con persone concrete. Non quindi strategia, ma sostanza della relazione nel vicendevole riconoscimento e nel reciproco amore. Da qui il maturare del dialogo all’interno delle proprie Chiese, tra le chiese cristiane, con le altre religioni, con persone di riferimento non religioso, con la cultura contemporanea. Alcuni interpreti sottolineano come papa Francesco sia spesso un tantino severo verso i movimenti. È così? Non lo ritengo severo. Trovo sintonia fra le sue parole e gesti e il vissuto dei movimenti. È uno dei Papi che più è entrato in contatto con essi partecipando a manifestazioni o nelle udienze. Così con il Rinnovamento nello Spirito, Cammino Neocatecumenale, Comunione e Liberazione, Schoenstatt… Lo ha fatto anche con i Focolari ricevendo i 600 partecipanti all’Assemblea generale del 2014. Certe sue precisazioni che ad osservatori esterni possono risultare rimproveri, spronano i movimenti a vivere il proprio carisma, ad essere più fedeli allo Spirito Santo per meglio contribuire alla Chiesa comunione. Nitide le sue parole dello scorso aprile nella sua inaspettata visita alla Mariapoli di Roma a Villa Borghese. Con un’immagine, ha sottolineato l’importanza e la capacità dei movimenti di vivificare i vari ambienti: «trasformate i deserti in foresta». L’ultima parte del documento contiene l’invito a guardare a Maria. Un “richiamo” che in qualche modo fa parte del vostro stesso essere Movimento. Maria è la carismatica per eccellenza e ciò la pone al centro della Chiesa nascente, custode della presenza del Risorto fra gli apostoli che, in una Chiesa che non sapeva ancora di essere tale, solo lei poteva bene interpretare. «La dimensione mariana della Chiesa precede la sua dimensione petrina», scrive Giovanni Paolo II nella Mulieris dignitatem: infatti non siamo i cristiani a “fare” la Chiesa ma è il Risorto che ci precede. Da qui il richiamo al Movimento dei Focolari, chiamato dal suo specifico carisma a generare Gesù spiritualmente laddove i suoi membri vivono. Una vocazione descritta negli Statuti con parole forti: essere – per quanto è possibile – una continuazione di Maria, proprio in quella sua specifica opera di dare al mondo Cristo. Il vostro obiettivo, mi corregga se sbaglio, è edificare tutti insieme la civiltà nuova dell’amore. Dove bisogna operare soprattutto in questi tempi? Quali le periferie in cui è necessario essere presenti? Le periferie sono là dove c’è un di più di sofferenza. Papa Francesco non smette di indicarle. Non sono solo le povertà materiali ma anche quelle spirituali: la perdita di senso, lo smarrimento delle radici cristiane in un’Europa logorata dal consumismo, dall’edonismo, dal potere economico e tecnologico, la devastazione del creato, le stragi, il dramma umanitario dei rifugiati e le migrazioni di massa, i tanti conflitti armati. Le periferie sono infinite. Non si tratta di fare tutti insieme la stessa cosa, ma di lavorare insieme con lo stesso scopo: trasformare il deserto in foresta. Riccardo Maccioni, 7 agosto 2016 Pdf dell’intervista (altro…)