Mar 15, 2021 | Chiara Lubich
La scelta di amare Gesù nel suo abbandono in croce e di preferirlo ad ogni altro amore, è diventata per Chiara Lubich come una bussola che dava orientamento alla sua vita e la rendeva libera di tante preoccupazioni. […] Abbiamo osservato come la chiamata a seguire Gesù Abbandonato in modo radicale non è stata di una sola volta, e cioè all’inizio del Movimento. Di tanto in tanto infatti, durante questi anni, il Signore ce l’ha risottolineata con episodi, o particolari considerazioni. Così è successo a me nel 1954. […] Diventava per la prima volta sacerdote un focolarino. Io dovevo portarmi da Roma a Trento, per l’ordinazione di don Foresi da parte dell’Arcivescovo di Trento. Non stando però bene in salute, si era pensato di farmi fare il grosso del viaggio in aereo. Appena salita sul velivolo, una hostess molto gentile, per facilitarmi il viaggio, ha pensato di farmi entrare nella cabina di pilotaggio. In quel posto sono stata subito impressionata dal magnifico panorama che vi si poteva osservare: ampio, completamente aperto, per la carlinga tutta di vetro. Ma non è stato il panorama che ha colpito maggiormente il mio spirito. È stata piuttosto una sommaria spiegazione del pilota su ciò che è importante per guidare un aereo. Mi ha detto che, per un viaggio diretto e sicuro, occorreva anzitutto fissare la bussola sul punto di arrivo. Poi, lungo il cammino, si sarebbe dovuto vigilare perché l’aereo non deviasse mai dalla rotta stabilita. Seguendo questa spiegazione, feci immediatamente nel mio animo un parallelo fra quello che è un viaggio in aereo in questo mondo, e quello che è il viaggio della vita: oggi direi il “Santo Viaggio”. Mi parve di capire che occorreva anche qui fissare in partenza, con precisione, la rotta, la strada della nostra anima, che è Gesù Abbandonato. Poi, lungo tutto il tragitto, far solo una cosa: rimanergli fedele. Sì, la via a cui Dio chiama tutti noi è solo questa: amare Gesù Abbandonato sempre. Ciò significa abbracciare tutti i dolori della propria esistenza. Significa praticare l’amore, adeguando sempre la nostra volontà alla sua. […] Amare Gesù Abbandonato vuol dire conoscere la carità; sapere come si fa ad amare i propri prossimi (come Lui, fino all’abbandono). Amare Gesù Abbandonato sempre significa mettere in pratica tutte le virtù, che Egli in quel momento ha vissuto manifestamente in modo eroico. […] Penso di poter affermare che puntare l’ago della nostra anima su Gesù Abbandonato è quanto di meglio possiamo fare per continuare e finire il viaggio santo e per percorrerlo anche con una certa facilità. Se il pilota, che ho osservato tutto libero nei movimenti, non usa redini come per guidare un carro, né volante come per un’automobile, anche noi se sistemiamo l’ago della nostra bussola spirituale su Gesù Abbandonato, non avremo necessità di altro espediente per arrivare sicuri alla meta. E come nel viaggio in aereo non si conoscono le sorprese delle curve perché si corre in linea d’aria, né si conoscono montagne perché ci si pone immediatamente su grandi altezze, anche nel nostro viaggio, con l’amore a Gesù Abbandonato ci si mette subito in alto, non ci spaventano gli imprevisti, né si sentono tanto le fatiche delle salite, perché, per Lui, sorprese e fatiche e sofferenze sono già tutte previste e attese. Fissiamo dunque la bussola su Gesù Abbandonato e rimaniamogli fedeli. Come? Al mattino, al primo risveglio, puntiamo l’ago su Gesù Abbandonato col nostro “Eccomi”. Poi, durante il giorno, di tanto in tanto, diamogli un’occhiata: vediamo se siamo sempre in linea con Gesù Abbandonato. Se così non sarà, con un nuovo “Eccomi” riassestiamoci nuovamente e il viaggio non sarà compromesso. […] Se faremo il viaggio della vita in compagnia di Gesù Abbandonato, potremo anche noi alla fine ripetere la famosa frase di santa Chiara: “Va’ sicuramente [sicura] anima mia, imperocché buono compagno hai tu nel tuo cammino. Va’ che Colui che t’ha creata, t’ha sempre guardata e t’ha santificata”. […]
Chiara Lubich
(in una conferenza telefonica, Rocca di Papa, 5 gennaio 1984) Tratto da: “Fissare la bussola”, in: Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, Città Nuova Ed., 2019, pag. 139. (altro…)
Mar 14, 2021 | Chiara Lubich
Oggi, 14 marzo ricorre il tredicesimo anniversario dalla scomparsa di Chiara Lubich, la fondatrice del Movimento dei Focolari. Da quel 14 marzo 2008 in questa stessa data, le comunità dei Focolari sparse in tutti i continenti si ritrovano per ricordarla e per pregare insieme, ricordandosi della consegna che lei ha affidato al Movimento: “siate una famiglia”. «Se oggi dovessi lasciare questa terra e mi si chiedesse una parola, come ultima che dice il nostro Ideale, vi direi – sicura d’esser capita nel senso più esatto –: “Siate una famiglia”». https://youtu.be/QKwgvxsUU2E (altro…)
Mar 8, 2021 | Chiara Lubich
L’amore per Dio e per il prossimo guadagna spessore, profondità ed autenticità solo se passa per il dolore, se viene purificato dalla croce che Gesù ci invita ad accogliere. Ma di quale croce si tratta? La risposta di Chiara Lubich nella seguente riflessione è molto precisa: ognuno di noi ha una propria croce molto particolare e personale. […] “Tutto concorre al bene [ma] per quelli che amano Dio” (cf. Rm 8,28). Amare Dio! Noi lo vogliamo amare certamente. Ma quando si è sicuri di amarlo? Non solamente se diamo a Lui il nostro cuore allorché tutto va per il meglio, perché ciò è facile, è bello, ma può essere anche frutto di entusiasmo o essere mescolato all’interesse personale, all’amore di noi e non di Lui. Siamo certi di amarlo se lo amiamo anche nelle avversità: anzi se, per garantirci l’amore vero, abbiamo deciso di preferirlo proprio in tutto ciò che ci fa male. Amare Dio nelle contrarietà, nei dolori, è sempre amore vero, sicuro. Noi esprimiamo questo amore con le parole: amare Gesù crocifisso e abbandonato. […] Ma quale croce, quale Gesù Abbandonato dobbiamo desiderare di amare, dobbiamo amare? Non certo una croce generica, come quando si dice: voglio far mie […] i dolori dell’umanità. Non una croce frutto della nostra fantasia che sogna, per esempio, il martirio che magari non ci sarà mai. Gesù per essere seguito ha detto: “Chi vuole venire dietro a me, prenda la sua croce” (cf. Lc 9, 23). La sua! Dunque, ciascuno deve amare la propria croce, il proprio Gesù Abbandonato. Se egli, infatti, in uno slancio d’amore a un dato momento della nostra storia si è presentato alla nostra anima ed ha chiesto di seguirlo, di sceglierlo, di – come si dice – sposarlo, non intendeva manifestarsi in modo vago a ciascuno di noi, ma preciso. Ci domandava di abbracciarlo in quei dolori, in quei disturbi, in quelle malattie, in quelle tentazioni, in quelle situazioni, in quelle persone, in quei doveri che toccano la nostra persona, sì da poter dire: “Questa è la mia croce”, anzi: “Ecco il mio Sposo!”. Perché ognuno ha il proprio personale Gesù Abbandonato, che non è quello del suo fratello, né di tutti gli altri fratelli, ma è proprio il suo. E ciò, se sappiamo leggere al di là della trama delle varie personali sofferenze, l’amore di Dio per ognuno di noi, è stupendo e ci invoglia ad affezionare a questo nostro Gesù Abbandonato, ad abbracciarlo, come facevano i santi, ad attendere di vederlo in noi trasfigurato da una risurrezione tutta nostra. […] Allora non perdiamo tempo. Un piccolo esame sulla nostra situazione personale e decidiamo, con l’aiuto di Dio, di dire sì a tutto ciò a cui verrebbe da dire no, ma che sappiamo essere volontà di Dio. […] Alziamoci al mattino con questo proposito in cuore: “Oggi vivrò soltanto per amare il mio Gesù Abbandonato”. E tutto sarà fatto. Il Risorto vivrà in ciascuno di noi e tra di noi. […]
Chiara Lubich
(in una conferenza telefonica, Mollens, 16 agosto 1984) Tratto da: “Amare la propria croce”, in: Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, Città Nuova Ed., 2019, pag. 161. (altro…)
Mar 4, 2021 | Chiara Lubich
Il convegno sulla figura carismatica di Chiara Lubich che ha saputo guardare al nuovo millennio e al cambiamento d’epoca in corso, proponendo l’ideale della fraternità universale.
Il convegno internazionale “Oltre il Novecento. Chiara Lubich in dialogo con il nostro tempo” ha ufficialmente chiuso il fitto programma di eventi dedicato al centenario della nascita della fondatrice del Movimento dei Focolari. Un titolo programmatico, per leggere in una prospettiva dinamica la figura carismatica di una protagonista del Novecento che ha saputo guardare al nuovo millennio e al cambiamento d’epoca in corso proponendo l’ideale della fraternità universale, nella certezza che “l’unità è un segno dei tempi”. Le due giornate di studio si sono tenute il 18 e 19 febbraio presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma (Italia) e sono state dedicate alla figura della fondatrice del movimento dei Focolari da molteplici punti di vista. L’appuntamento è stato promosso dal Centro Chiara Lubich di Rocca di Papa (Italia) e dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, in collaborazione con l’Istituto universitario Sophia, New Humanity e la Fondazione Museo storico del Trentino. I patrocini sono stati concessi dal Comune di Roma e dal Dicastero vaticano per il Servizio dello Sviluppo umano integrale. Il Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella ha conferito al convegno il riconoscimento della Medaglia di rappresentanza, in virtù del particolare interesse culturale dell’iniziativa.
Il programma si è articolato in quattro sezioni: storica, letteraria, socio-politica e un’ultima dedicata ad alcuni personaggi del ‘900, analizzando le possibili assonanze e convergenze tra il loro pensiero e quello della Lubich. Una molteplicità di prospettive di lettura, con contributi di studiosi di varie discipline e di diversa impostazione culturale, che permettono una più matura e approfondita riflessione e comprensione dell’esperienza storica e del pensiero della Lubich, e una migliore conoscenza della sua eredità intellettuale, spirituale ed esistenziale. Altrettanto fecondo il confronto con le figure di altri protagonisti dell’epoca contemporanea – da Dietrich Bonhoeffer, a Simone Weil, al Mahatma Gandhi, a Giorgio La Pira, a Martin Luther King, a Michail Gorbaciov – che Chiara Lubich non ha incontrato direttamente, ma con i quali ha dialogato a distanza, condividendo la passione per l’uomo e il futuro dell’umanità, e palesando ideali e intuizioni con evidenti tratti comuni. I lavori, a cui hanno partecipato studiosi provenienti da tutto il mondo, sono stati introdotti dalle lectio di Michel Angel Moratinos (alto rappresentante delle Nazioni Unite) e dello storico Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio. La chiusura del convegno è stata affidata a Piero Coda, teologo e figlio spirituale di Chiara.
Donato Falmi, membro del comitato scientifico del convegno, ha presentato l’evento con queste parole: “La biografia di Chiara Lubich, nella sua dimensione temporale, spirituale e intellettuale, è marcatamente caratterizzata da alcune tematiche che appartengono al cuore della contemporaneità, oltre ogni differenza etnica, sociale e religiosa. Pensiamo che tra le più rilevanti siano da elencare la costante attenzione e apertura alla novità, la capacità e disposizione ad abitare il conflitto, la ricerca di ciò che unisce, l’attitudine a misurare gli eventi con il metro dell’unità degli opposti. Tali dimensioni profondamente umane, e da considerarsi strutture portanti della nuova epoca nella quale siamo già entrati, aprono quelle possibilità di confronto, incontro e dialogo che animano il progetto”. Il convegno, tramesso in diretta sul web con traduzioni in quattro lingue (e già disponibile su Youtube), è stato anche occasione per la presentazione della prima edizione critica dell’opera di Chiara Lubich Meditazioni, curata da Maria Caterina Atzori. Uno scritto che, dalla prima uscita nel 1959, è stato tradotto in 28 lingue e stampato in oltre un milione di copie, indicando all’uomo contemporaneo la via dell’unità per realizzare sulla terra il testamento di Gesù “Che tutti siano uno”. A “corollario” del convegno, lunedì 22 febbraio si è tenuta la cerimonia di chiusura del concorso nazionale italiano “Una città non basta. Chiara Lubich cittadina del mondo”, dedicato al mondo della scuola, che ha registrato la partecipazione di numerosi istituti secondari di I e II grado (le scuole vincitrici).
Maurizio Gentilini
Foto di Thomas Klann (altro…)
Mar 1, 2021 | Chiara Lubich
Cercare l’amore e fuggire dal dolore: ecco un meccanismo quasi naturale dell’esistenza umana. Con il messaggio della croce il cristianesimo, invece, insegna che l’amore vero e profondo passa per il dolore. Chi capisce bene la croce – dice Chiara Lubich nel seguente testo – vi trova una chiava alla pienezza di vita. «Prenda la sua croce…» (Mt 16,24). Strane e uniche queste parole. E anche queste, come le altre parole di Gesù, hanno qualcosa di quella luce che il mondo non conosce. Sono così luminose che gli occhi spenti degli uomini, e anche dei cristiani languidi, restano abbagliati e quindi accecati. […] E forse tutto l’errore sta qui: che nel mondo non è capito l‘amore. Amore è la parola più bella, ma la più deformata, la più deturpata. […] Forse attraverso l’amore materno qualcosa s’intende, perché l’amore di una madre non è solo carezze, baci; è soprattutto sacrificio. Così Gesù: l’amore l’ha spinto alla croce, che da molti è ritenuta pazzia. Ma solo quella follia ha salvato l’umanità, ha plasmato i santi. I santi infatti sono uomini capaci di capire la croce. Uomini che, seguendo Gesù, l’Uomo-Dio, hanno raccolto la croce di ogni giorno come la cosa più preziosa della terra, l’hanno alle volte brandita come un’arma diventando soldati di Dio; l’hanno amata tutta la loro vita e hanno conosciuto ed esperimentato che la croce è la chiave, l’unica chiave che apre un tesoro, il tesoro. Apre piano piano le anime alla comunione con Dio. E così, attraverso l’uomo, Dio si riaffaccia sul mondo, e ripete – sia pur in modo infinitamente inferiore, ma simile – le azioni che fece un giorno Lui quando, uomo tra gli uomini, benediceva chi lo malediceva, perdonava chi lo insultava, salvava, guariva, predicava parole di Cielo, saziava affamati, fondava sull’amore una nuova società, mostrava la potenza di Colui che l’aveva mandato. Insomma la croce è quello strumento necessario per cui il divino penetra nell’umano e l’uomo partecipa con più pienezza alla vita di Dio, elevandosi dal regno di questo mondo al Regno dei Cieli. Ma occorre «prendere la propria croce…» (Mt 16,24), svegliarsi al mattino in attesa di essa, sapendo che solo per suo mezzo arrivano a noi quei doni che il mondo non conosce, quella pace, quel gaudio, quella conoscenza di cose celesti, ignote ai più. […] La croce, emblema del cristiano, che il mondo non vuole perché crede, fuggendola, di fuggire al dolore, e non sa che essa spalanca l’anima di chi l’ha capita sul regno della Luce e dell’Amore: quell’Amore che il mondo tanto cerca, ma non ha.
Chiara Lubich
Chiara Lubich, La dottrina Spirituale, Milano 2001, pag. 133 (altro…)
Feb 22, 2021 | Chiara Lubich
La scelta più radicale nella vita di Chiara Lubich è stata quella di amare Gesù soprattutto nel suo più grande dolore: il suo abbandono sulla croce. Ma amare “Gesù Abbandonato” significa di conseguenza, amare soprattutto quei prossimi che sentiamo più “lontani” da noi. “Chiunque s’adira contro il proprio fratello è sottoposto a giudizio”[1]. […] Si ritorna all’amore al fratello. Ed è utile, è necessario, è bello per noi riconsiderarlo. Il fine generale [del nostro Movimento] è la perfezione della carità. Amore al fratello. Amore sempre più sentito, profondo, perfezionato, cesellato. A volte sentiamo che è difficile piegare il nostro cuore ad un amore più raffinato di quello che già nutriamo verso i nostri fratelli: il nostro cuore è ancora un po’ di pietra; il nostro amore è rozzo, superficiale, troppo sbrigativo. Perché? Perché abbiamo ancora il cuore occupato da noi stessi, da una certa considerazione di noi. Siamo, anche se non ce ne rendiamo conto, egoisti e superbi. E ciò è dimostrato dal fatto che quando subiamo una qualche dura prova spirituale (che, come terremoto, sembra sradicare tutto alla radice, avendo così l’effetto di staccarci da noi stessi, dalle nostre cose e di umiliarci, di abbassare il nostro orgoglio), avvertiamo un amore più comprensivo, più profondo, più facile, più spontaneo verso i nostri fratelli. È così. Viene quindi da dedurre che la povertà e l’umiltà sono alla base della carità. La povertà e l’umiltà. Come procurarsele, come guadagnarsele senza aspettare i temporali spirituali? […] Occorre “vivere l’altro” […] e ciò ha implicita la non considerazione di sé, la povertà totale e l’umiltà totale. […] Poniamoci di fronte ai nostri prossimi nell’atteggiamento di accogliere la loro vita in noi perfettamente. […] E giacché parliamo di prossimi chiediamoci: Chi amare per primo? Chi amare di più? Per chi aver preferenza? Noi abbiamo scelto nella vita Gesù Abbandonato. Dobbiamo preferire quelli che per le situazioni in cui si trovano ricordano un po’ il suo volto: quanti, pur cattolici vivono separati dalla Chiesa; e poi tutti coloro che in vario modo sono più o meno lontani dalla verità che è Cristo, fino ai non credenti. Su questi dobbiamo soprattutto puntare. Dobbiamo curare i nostri grappoli con lettere, con visite, con telefonate? Cominciamo dalle persone, in certo modo, più lontane da noi. Ravviviamo l’amore ai fratelli, facendoci così uno con essi da vivere – per così dire – la loro vita. E incominciamo da coloro che ci appaiono più lontani dal nostro modo evangelico di pensare e di vivere […] Gesù Abbandonato ci attende lì. È lì il nostro posto.
Chiara Lubich
(in una conferenza telefonica, Rocca di Papa, 12 febbraio 1987) Tratto da: “Cominciare con l’amare i più lontani”, in: Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, Città Nuova Ed., 2019, pag. 273. [1] Mt 5,22a (altro…)