Giu 13, 2016 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
«Cochabamba è il cuore del Paese, la terza città boliviana, immersa in una valle fertile, circondata dalla Cordigliera delle Ande. Il viaggio già mi prepara per scalare le mie montagne personali per fare il salto di lasciare dietro la mia cultura, categorie, pregiudizi, così da essere sufficientemente libera per accogliere la bellezza di questa esperienza dove ciascuno sarà un dono per l’altro». «Il 26 mattino visitiamo la città vecchia, dall’aria tradizionale e colta, che conserva tante immagini coloniali che riposano nei numerosi templi e nelle grandi ville. Nel pomeriggio, ci rechiamo alla “Universidad Católica Boliviana San Pablo” per un incontro insieme a 70 giovani di diverse facoltà. Alle presentazioni teoriche seguono le esperienze, precedute dalla dinamica di gruppo di Aldo Calliera che ci propone di cercare il “Nord”, giacché – dice – “il mondo ha perso la bussola”. Per l’Economia di Comunione, lo sappiamo, il nord è l’Altro». «Il 27 maggio ha inizio il 1° congresso di imprenditori EdC in Bolivia, al quale ho avuto la fortuna di partecipare dal vivo, osservando, ascoltando, per raccontare un evento straordinario, fatto da tante storie che scommettono sulla comunione giorno dopo giorno». «Ramón Cerviño, imprenditore argentino, mentre ci accoglie ci ricorda che siamo venuti per fare un’esperienza di comunione, perché è proprio la comunione la ricchezza più importante dell’EdC». «Il programma ci porta ad immergerci nelle radici del Carisma dell’unità per riscoprire le origini dell’EdC.
Quindi, andiamo a visitare il “Centro Rincón de Luz”, un’ opera sociale che offre sostegno scolastico a bambini di un quartiere molto povero. Le famiglie non sempre riescono ad accompagnarli nei compiti della scuola, abitano accalcati in piccole capanne di uno o due vani, spesso sotto alimentati e alle volte perfino picchiati… Maricruz, ora una delle direttrici, anche lei era una di questi bambini. Solidarietà che genera più solidarietà. Il circolo virtuoso della reciprocità è chiave per rispondere ai problemi sociali concreti». «Visitiamo anche la “Casa de los Niños”. Chiara Lubich una volta espresse il desiderio che un giorno venissero chiusi tutti gli orfanatrofi, con la speranza che ogni bambino potesse godere del calore e dell’amore di una famiglia. Inseguendo questo sogno, tanti come Arístides si sono messi a lavorare, lì dove e come si può, per ricomporre, dare alloggio transitorio e sostenere le famiglie dei bambini che soffrono il più grande abbandono, quelli portatori di HIV. In questi ultimi anni, con l’aiuto di tante persone, sono riusciti ad accogliere quasi un centinaio di famiglie, offrendo loro un’abitazione degna. Nonostante il dolore di quelle famiglie, tante delle quali sieropositive, la bellezza della cittadella dimostra che si può abbracciare il dolore innocente e riempirlo di gioia, di giochi, di fiori e di speranza». «Nell’incontro tra imprenditori messicani, paraguaiani, argentini e boliviani, condividiamo i nostri sogni, i fallimenti, successi, difficoltà e speranze. Il 28 maggio ha luogo un incontro speciale nel “Gran Hotel Cochabamba”, al quale partecipano circa 120 persone, tra imprenditori, studenti, docenti, funzionari ed interessati ad una “nuova cultura economica”. La domenica 29 è giorno di festa: il 25° anniversario dell’Economia di comunione! Canti, danze, cibi tipici e tanta condivisione. Grazie Bolivia per avermi fatto riscoprire “il nord”, dove cielo e terra sembrano confondersi». Fonte: sito del Cono Sur (altro…)
Giu 13, 2016 | Cultura
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Le rotte dei migranti, gli hotspot, il dibattito su Schengen. L’immigrazione nel Mediterraneo mette in ginocchio l’Europa. Il Mediterraneo è oggi la rotta migratoria più pericolosa al mondo, su cui si affacciano la Grecia e l’Italia, frontiere meridionali dell’Unione europea. Nel 2015 oltre 3500 persone sono naufragate tentando di raggiungere la sponda della salvezza. Tra loro c’erano 700 bambini. C’è un vuoto nel nostro immaginario rispetto a ciò che li spinge a partire con ogni mezzo e ad affrontare tanti rischi. Nonostante si sia tanto dibattuto sulla soglia etica da non oltrepassare nella rappresentazione mediatica del fenomeno migratorio in corso, il rischio è che lo choc e la commozione per le sofferenze e le vittime vengano presto rimossi e dimenticati. Il rischio è la “globalizzazione dell’indifferenza”. LA CURATRICE: Raffaella Cosentino, reporter freelance d’inchiesta e documentarista, collabora con l’agenzia di stampa Redattore sociale, con L’Espresso, la Repubblica e la BBC. Si occupa di diritti umani, immigrazione e mafie. CONTRIBUTI: Emma Bonino, già Senatrice della Repubblica italiana, è stata Ministro degli affari esteri della Repubblica Italiana nel Governo Letta dal 28 aprile 2013 al 22 febbraio 2014 e vicepresidente del Senato. È una delle figure più importanti del radicalismo liberale italiano dell’età repubblicana. Daniela Pompei, docente di Scienze sociali all’Università di Roma Tre, è responsabile della Comunità di Sant’Egidio per i servizi agli immigrati. Pasquale Ferrara, diplomatico di carriera, insegna alla Luiss e all’Istituto Universitario Sophia. Michele Zanzucchi, giornalista e scrittore, direttore della rivista “Città Nuova”, insegna alla Pontificia Università Gregoriana e all’Istituto Universitario Sophia. LA COLLANA: I volumi della collana Dossier sono occasione di confronto e dialogo su temi di attualità. Ogni testo fa il punto sull’argomento inquadrando le diverse posizioni in campo, con l’intento di offrire accessibili strumenti di comprensione. In appendice una documentazione e/o bibliografia essenziale. Città Nuova ed.
Giu 10, 2016 | Centro internazionale, Cultura, Focolari nel Mondo, Spiritualità

Igino Giordani (1942)
«Nonostante il suo girovagare per il mondo, il suo radicamento romano e, in un certo senso, vaticano, il suo perlustrare dottrine politiche e sociali, Igino Giordani non ha mai reciso il cordone ombelicale con la propria città natia: Tivoli. È sufficiente scorrere le pagine nelle quali Giordani racconta della sua città, o leggere il romanzo La città murata, idealmente ambientato a Tivoli, per constatare quanto Giordani abbia amato la sua Tivoli. Nelle Memorie di un cristiano ingenuo raffigura l’ambiente della sua città con parole che ne lasciano trapelare l’intenso rapporto e, in un certo senso, sembra quasi che giustifichi se stesso e le sue scelte fondamentali, riportandole all’interno del carattere tipicamente tiburtino: giocoso e indomabile, coraggioso e coerente, a tratti aggressivo, ma sollecitato dall’amore per Dio e la sapienza. Igino Giordani nasce in una famiglia di umili origini. Igino ha più volte testimoniato la sua venerazione per entrambi i genitori, per la dignità con cui vivevano le loro giornate, per la fede cristiana che ne scandiva le tappe fondamentali della vita. A Tivoli Giordani è cresciuto umanamente e intellettualmente. Non ha certo avuto le opportunità che un bambino intelligente come lui avrebbe potuto sperare di avere: gli studi se li conquista. Infatti è avviato dal padre al lavoro manuale, quale muratorino. Nel frattempo, ancora bambino, rimane affascinato, durante le funzioni religiose, dalla celebrazione della Messa, e, sebbene questa si esprima in lingua latina, il piccolo Giordani ne manda a mente alcune parti, e quando è solo, pure durante il lavoro, invece di fischiettare qualche motivetto mondano, lui si mette a declamare a memoria frasi latine della Messa. La provvidenza si serve di Sor Facchini (l’impresario per cui lavoravano i Giordani) che comprende che Igino non è certo fatto per la cazzuola e il secchio di cemento, ma per lo studio. Il Sor Facchini decise di finanziare gli studi di Igino nel Seminario, a Tivoli, a quel tempo l’istituzione che poteva meglio provvedere alla formazione intellettuale e spirituale di un giovinetto di tredici anni. Qui stette fino al 1912, quando avrebbe dovuto spostarsi nel Seminario di Anagni. Ma Igino sceglie la sua Tivoli e si iscrive al liceo classico, dove si diploma nel 1914. È probabile che la passione per l’argomentazione forbita e incisiva, per la declamazione intellettuale delle ragioni della fede cristiana si siano scolpite nell’esperienza giordaniana già in tenerissima età, quando dal pulpito della Chiesa di S. Andrea di Tivoli padre Mancini, gesuita, “tonava avvincendo l’uditorio”. Padre Mancini è descritto da Giordani come uomo di una fede irresistibile e inattaccabile. Era un divulgatore del Vangelo combattivo; era per Giordani un vero e proprio modello. Così in questa primaria formazione possiamo ravvisare già alcuni tratti di quello che sarà il carattere che porterà Giordani ad affermarsi come polemista e difensore della fede. Poco tempo dopo il suo diploma al liceo, anche l’Italia entra in guerra. Igino si affaccia alle vicende della vita pubblica italiana nel clima del dibattito controverso della guerra e della pace: è un pacifista convinto e risoluto, in tempi non facili per coloro che propugnavano idee pacifiste. È probabile che dalla figura carismatica di padre Mancini alla salda esperienza di fede maturata in seminario, fino alla plurale concezione politica e ideologica respirata nel liceo, Giordani – che pur in quegli anni sembrava intiepidito dal punto di vista religioso – non abbia perso la dimensione dell’amore per il prossimo, che lo portò ad escludere ogni forma di comportamento violento nei confronti di qualsiasi altro uomo. Lo dirà con semplicità luminosa, qualche anno più tardi, quando esprimerà la sua avversione per la guerra vissuta in quegli anni: “Quando nella prima guerra mondiale vigilavo durante la notte in trincea, mi torturava sempre il pensiero del comandamento divino: “Quinto: non ammazzare”. Una formazione alla pace, dunque, maturata nella sua Tivoli. E in un brano scritto da Giordani molti anni più tardi, intriso dell’esperienza devastante della guerra, ma anche della fede e speranza scaturita dall’incontro con la spiritualità dell’unità: “Il disprezzo dell’uomo e il suo deprezzamento derivano dal fatto che non si vede più in lui il Cristo; e allora all’amore è sostituito l’odio, la spiritualità del principe della morte. Non vale la protesta: e neppure valgono le armi, da quanto la storia incisa sulle nostre carni dimostra. Contro l’odio vale la carità: contro il disprezzo della persona vale solo il valutarla un altro Cristo; contro l’eliminazione, la deportazione, il genocidio, vale solo l’amore, per cui si ama il fratello come si ama se stesso, sino all’unità, onde si fa uno con lui, qualunque sia il suo nome”». Alberto Lo Presti Cfr. Igino Giordani, La divina avventura, Città Nuova, Roma, 1993, p. 141. (altro…)
Giu 9, 2016 | Chiara Lubich, Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
La spaziosa aula “Centro Trasferimento della conoscenza” dell’Università Cattolica di Lublino Giovanni Paolo II, ha accolto il congresso Conflicts, Dialogue and Culture of Unity (3-4 giugno 2016). Si è svolto all’insegna della “trasmissione” di conoscenze attraverso il dialogo accademico tra i 180 partecipanti, professori e studiosi di diverse discipline dell’area delle scienze sociali, con 95 contributi. Una interazione fatta anche di domande e di sollecitazioni nel condividere lo sforzo di una ricerca. Un dono fra specializzazioni, ma anche fra generazioni e aree geografiche dell’Europa nell’apertura alle sfide del mondo. Il convegno, aperto dalla relazione di Jesús Morán, copresidente dei Focolari, dal titolo “La cultura dell’unità e alcune grandi sfide dell’umanità di oggi”, prendeva le mosse dal 20° anniversario della consegna a Chiara Lubich del Dottorato honoris causa in Scienze Sociali, da parte dell’Università Cattolica di Lublino nel giugno 1996. La Laudatio tenuta allora dal prof. Adam Biela ne precisava la motivazione: il carisma dell’unità «è un’attualizzazione concreta e pratica di una nuova visione delle strutture sociali, economiche, politiche, di educazione, dei rapporti religiosi, che consiglia, raccomanda, suggerisce, educa e promuove l’unità» fra le persone. E coglieva, nell’ispirazione rivoluzionaria di Chiara Lubich, manifestata a partire dagli anni ’40, gli elementi di un nuovo paradigma delle scienze sociali, tanto da coniare l’inedito concetto di paradigma dell’unità. Quello a Lublino, 20 anni dopo, è «un convegno complesso e interessante», secondo il prof. Italo Fiorin, Presidente del corso di laurea in Scienze della Formazione, Università Lumsa, Roma. «Anzitutto per il tema, costruito su tre parole collegate. Conflitto: con la riflessione sulla situazione del mondo, non catastrofica ma problematica, stimolando la responsabilità. Dialogo: via per condurre e tradurre il conflitto in qualcosa di nuovo, con un’azione positiva. Unità: risultato di un dialogo, che non è il manifestarsi di un pensiero unico, ma la conquista di una maggiore consapevolezza della propria identità». «Da 200-300 anni il sapere si è diviso in tanti campi», afferma la neuro scienziata Catherine Belzung, Università di Tours, Francia. «Ma l’attuale frammentazione non permette di fare progressi. È arrivato il tempo del dialogo anche interdisciplinare e qui si è visto che è possibile, desiderato ed efficace. Nel mio campo ci sono già delle scoperte che mostrano che il progresso è possibile solo amplificando il sapere attraverso il dialogo interdisciplinare. Il pensiero di Chiara Lubich mi sembra il paradigma da avere davanti quando mi interesso della ricerca interdisciplinare perché “paradigma trinitario”: ogni disciplina rimane distinta, ma deve avere dentro di sé le conoscenze delle altre discipline per essere a sua volta trasformata e in questo modo continuare il dialogo. Penso che il modello di unità e distinzione, proposto già nel campo spirituale, possa essere trasferito al campo del dialogo interdisciplinare molto facilmente». Conferma il prof. Marek Rembierz, pedagogo dell’Università di Silesia, Katowice, Polonia: «Mi è risultato molto interessante pensare in una dimensione interdisciplinare. E ciò ha richiesto un cambiamento di mentalità notevole: modificare il linguaggio della scienza, della cultura, con il linguaggio del cuore. È stato fonte di ispirazione per i partecipanti e può esserlo per la vita sociale delle persone». Gianvittorio Caprara, ordinario di Psicologia e neuroscienze sociali, Università la Sapienza, Roma: «Chiara Lubich ha avuto delle intuizioni particolarmente felici e feconde. Feconde perché hanno ispirato un lavoro, un movimento; ora ispirano questo congresso e progetti di ricerca. È una riflessione che continua e che diventa ispirazione. Una scoperta particolare per me è stata la pregnanza della categoria della fratellanza, proprio in una società come la nostra, il cui grave rischio è quello di non avere più fratelli. Incoraggio i Focolari ad insistere di più ancora sulla ricerca sistematica della conoscenza perché l’azione diventi più trasformativa ed efficace». «Riguardo la fraternità – riprende Fiorin – il prof. Stefano Zamagni operava nel suo intervento una lettura molto affascinante sull’Economia di Comunione e la riferiva pure alla politica. Ritengo che tale lettura sia trasferibile anche all’educazione per ispirare il legame educativo e didattico e condurre a delle soluzioni didattiche importanti. È un terreno che merita approfondimento e al quale intendo dedicare la mia attenzione». La conclusione del congresso è affidata al prof. Biela, a Daniela Ropelato vicepreside dello IUS e a Renata Simon del Centro internazionale dei Focolari. Per dare continuità al dialogo interdisciplinare, che ha permeato il convegno, un’indicazione forte viene dal pensiero riportato di Chiara Lubich: «Per accogliere in sé il Tutto bisogna esser il nulla come Gesù Abbandonato (…). Bisogna mettersi di fronte a tutti in posizione di imparare, ché si ha da imparare realmente. E solo il nulla raccoglie tutto in sé e stringe a sé ogni cosa in unità». Un incoraggiamento raccolto a cooperare con competenza, sapienza e capacità dialogica anche e proprio sul piano accademico. (altro…)
Giu 7, 2016 | Chiesa, Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
«Ho conosciuto Bella, una donna ebrea, in un centro dei Focolari a Gerusalemme. Le ho raccontato la storia di mio marito torturato in un carcere israeliano. Lei mi ascoltava anche se notavo un certo conflitto interiore. Era davanti a un bivio. Essere israeliana e per questo rigettare tutto quello che le raccontavo, o provare compassione per la mia vicenda. In un primo momento lei non era riuscita ad accettarmi e se n’è andata dalla stanza dove ci eravamo incontrate. L’ho seguita e le ho detto che mi dispiaceva di averla urtata. Bella mi ha spiegato che non era colpa mia, ma del sistema. Allora le ho chiesto di tornare indietro (si commuove ndr). Così è nata la nostra amicizia. Un muro separa la mia città, Betlemme, dalla sua, Gerusalemme. Ma tra noi due non ci sono più muri. Prego affinché molti ebrei d’Israele possano guardare alla nostra amicizia. Bella vive lo spirito dei Focolari nel senso che siamo tutti figli di Dio ed è solo l’amore e la compassione che ci porta a vivere insieme. Noi uomini abbiamo costruito il muro attorno a Betlemme, non si può costruire da solo. Dio ci ha dato la libertà di costruirlo o di abbatterlo. Anche dentro di noi». Risponde così Vera Baboun, prima donna e prima cristiana cattolica a diventare sindaco di Betlemme, alla domanda se sia possibile istaurare una vera amicizia tra palestinesi e israeliani. L’occasione per incontrarla è data dalla consegna del 7° “Premio Chiara Lubich, Manfredonia città per la fratellanza universale” nel marzo 2016.

Attribuito a Vera Baboun il “premio Chiara Lubich, Manfredonia città per la fratellanza universale”.
Betlemme è una Città della Cisgiordania, del Governatorato di Betlemme dell’Autorità nazionale palestinese. 40 mila abitanti, di cui il 28% cristiani, il 72% musulmani. È la città dove è nato Gesù, a circa 10 km a sud di Gerusalemme. La chiesa della Natività a Betlemme è una delle più antiche del mondo. Tuttavia «il muro condiziona anche la nostra fede, perché sin da bambini eravamo abituati a visitare i luoghi originari di Gesù. C’è una intera generazione di giovani palestinesi cristiani che non ha mai pregato nel Santo sepolcro di Gerusalemme», dichiara ancora Vera Baboun. «Siamo la capitale della natività, celebriamo e mandiamo al mondo un messaggio di pace, mentre a Betlemme manca proprio la pace. Dopo il 40% di cancellazioni di quest’anno, abbiamo deciso con il consiglio comunale, di abbassare le tasse dell’80% sulle licenze e sulle proprietà per chi vive e lavora nell’area turistica. Lo abbiamo fatto per sostenerli anche se ciò significa un impoverimento di risorse per il comune. Ma a noi chi ci sostiene? Chi sostiene la nostra doppia identità? Quella cristiana universale e quella palestinese». Ma chi glielo fa fare? «Solo l’amore di Dio. Lo avverto in maniera molto forte. Non mi importa nulla del potere, della fama; per me fare il lavoro di sindaco è un peso che mi costa non poco. Dopo la morte di mio marito e dopo aver lavorato tutta la vita nell’educazione, ho deciso di prendere il posto di mio marito perché si era impegnato politicamente per la liberazione della Palestina». Lei ha spesso dichiarato: «Potrà mai il mondo vivere in pace finché la città della pace sarà murata?»… «Finché sarà murata la città di Betlemme, ci sarà un muro attorno alla pace. Siamo sotto assedio. E per il mondo è meglio lavorare per liberare la pace, non solo per Betlemme, ma per liberarci dal senso del male, dall’uso della religione come maschera per coprire malvagità e guerra». Intervista a cura di Aurelio Molé per Città Nuova (cfr. Città Nuova n. 5 – maggio 2016) (altro…)
Giu 6, 2016 | Cultura
Qu’est-ce que la miséricorde dans les grandes traditions religieuses, chez les philosophes contemporains ? Et comment rendre compte de la foi chrétienne en partant de la miséricorde ? Fruit d’une longue expérience dialogue interreligieux sur plusieurs continents, « Aux sources de la Miséricorde » présente de façon originale la notion de miséricorde, mot-clef pour les grandes religions, aussi bien dans le christianisme que dans le judaïsme, l’islam, le bouddhisme et l’hindouisme ainsi que chez les grands philosophes contemporains. Tous témoignent de l’universalité de l’expérience de la miséricorde de Dieu et de son partage avec les plus fragiles. Alors la miséricorde est-elle un nouveau paradigme théologique, une nouvelle vision du monde qui se dessine de plus en plus et dont nous avons tous tant besoin ? Comment dire aujourd’hui le Christ, unique sauveur du monde à partir de la Miséricorde ? Comment exprimer l’amour miséricordieux qui jaillit de la Trinité et donne sens à toutes nos relations ? En faisant le point sur la situation du discours théologique, ce livre rend compte de la foi chrétienne aujourd’hui, à partir de la centralité même de la miséricorde, noyau de l’évangile et cœur de l’agir du Christ. En cela, cet ouvrage répond exactement aux appels de Jean XXIII et Jean-Paul II, selon les indications du Pape François : « La Miséricorde n’est pas seulement une attitude pastorale, mais la substance même de l’Evangile. Je vous encourage à étudier comment, dans les différentes disciplines – dogmatique, morale, spiritualité, droit, etc… – se reflète vraiment la centralité de la miséricorde. » (Lettre à l’Université catholique argentine, 3 mars 2015). Parue initialement en 2005, cette nouvelle édition a été révisée, actualisée et augmentée par l’auteur, le père Patrice Chocholski, actuel curé et recteur d’Ars et secrétaire général des Congrès mondiaux de la Miséricorde, aux côtés du Cardinal Christoph Schönborn. Nouvelle Cité ed.