23 Giu 2017 | Cultura, Dialogo Interreligioso, Focolari nel Mondo, Spiritualità

L’evento ha seguito una formula inedita scandita da tre momenti distinti, sia per luogo di svolgimento che per contesto religioso, rivelandosi una sorta di pellegrinaggio di dialogo inteso come un cammino comune, formula cara a papa Francesco che spesso, rivolgendosi a gruppi di diverse religioni, suggerisce di continuare a camminare insieme, sottolineando quanto entrambi i termini del binomio siano fondamentali per quel grande cantiere che è il dialogo interreligioso. La prima parte dell’evento si è svolta presso la Fu Jen University, prestigiosa università cattolica dell’isola stato. Il titolo – Buddhisti e Cristiani in dialogo: dagli scritti dei missionari al dialogo interreligioso – era di per sé invitante. Richiamava, infatti, come in realtà è avvenuto, una riflessione su quanto è cambiato il mondo delle religioni da quando i primi missionari arrivarono in Oriente a partire dal XV secolo fino ad oggi, quando si parla e si lavora a quello che ormai tutti definiscono uno dei bisogni fondamentali dell’umanità: il dialogo fra uomini e donne che credono, qualunque sia la loro fede.
La giornata di riflessione era co-organizzata, oltre che dall’università cattolica di Taiwan, anche dall’Istituto Universitario Sophia con il Centro del Dialogo Interreligioso del Movimento dei Focolari, e dal Dharma Drum Mountain, monastero e università di tradizione buddhista, che rappresenta uno dei centri di rinnovamento fondamentale nel panorama del Buddhismo Chan della Cina. Una settantina i partecipanti, presenza molto qualificata: un nutrito numero di monaci theravada e laici buddhisti e cattolici della Thailandia, un numeroso gruppo di Taiwan, il Presidente del Dharma Drum Institute for Liberal Arts, oltre che ad autorità in campo accademico sull’argomento proposto. I lavori si sono presentati subito di grande interesse. Le presentazioni che riguardavano gli scritti dei missionari si sono concentrate su quelli dei secoli fra il quattordicesimo ed il diciannovesimo. Ma, è necessario riconoscerlo, il centro nevralgico delle riflessioni è stato Matteo Ricci, gesuita, grande apostolo del cristianesimo in questa parte del mondo, ma soprattutto maestro di quell’arte dell’adattamento che ha permesso a lui e a pochissimi altri di arrivare all’anima di questi popoli della Cina. Eppure, proprio Ricci è stato al centro di interesse per la sua posizione tutt’altro che accomodante nei confronti del buddhismo, visto da lui e da molti suoi contemporanei, come una accozzaglia di riti e manifestazioni pagane. I missionari nei secoli che vanno dal XV al XX sono stati tutt’altro che aperti nei confronti dei seguaci di Buddha e, come si usava allora, nei pubblici dibattiti si sono sempre impegnati a dimostrare chi seguiva il vero Dio e la vera religione. E in quanto a questo non hanno mai avuto dubbi di chi fosse nella verità. I lavori, d’altra parte, hanno anche rivelato la posizione critica dei seguaci del Buddha nei confronti dei cristiani. Si è evidenziato come su questi punti si vivano e si nutrano sentimenti reciproci. I cristiani non erano visti senz’altro meglio dai buddhisti, in particolare dai monaci. Proprio questo sfondo storico, riguardo al quale anche noi cattolici non possiamo non negare la necessità di un adeguato esame di coscienza ed una recita altrettanto necessaria di un mea culpa per errori gravi dettati da atteggiamenti discriminatori, ha messo in evidenza il valore delle esperienze di questi ultimi 50 o 60 anni. Il dialogo, oggi, è senza dubbio ben avviato con rapporti di fiducia reciproca anche se con le necessarie prese di posizioni su punti che resta necessario chiarire ed eventualmente difendere per assicurare identità precise ed evitare inutili sincretismi che non servono a nessuno. Nel corso dei lavori si sono presentate esperienze concrete di dialogo a Hong Kong, in Corea, in Thailandia e nelle Filippine, ma anche proposto esempi di attori nuovi, come i movimenti ecclesiali, e di protagonisti che sono riconosciuti ormai come pionieri imprevisti di una esperienza di dialogo che ha poi seguito le piste da loro tracciate. L’esempio dell’amicizia spirituale fra Chiara Lubich e Nikkyo Niwano, fondatori, rispettivamente, del Movimento dei Focolari e della Rissho Kosei Kai, ha evidenziato come i movimenti di rinnovamento, che caratterizzano da circa un secolo le varie religioni, sia pure in modi diversi e caratteristici delle rispettive culture e credo, siano veicoli di incontro e amicizia fra persone e comunità. Proprio questi due sentimenti hanno caratterizzato i lavori della prima giornata del simposio-pellegrinaggio aprendo un confronto sereno sul cammino fatto in questi secoli, aprendo alla speranza di un futuro di reciproca condivisione e collaborazione per le grandi sfide dell’umanità: la giustizia sociale, l’ambiente e la pace (continua). Da Roberto Catalano (altro…)
22 Giu 2017 | Chiesa, Cultura, Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
Mettersi in ascolto. È questo lo spirito con cui Gabriela Melo e Augusto Parody del Centro internazionale dei Focolari si sono messi in viaggio per visitare le numerose comunità del Movimento che punteggiano l’America latina. E che li ha spinti fino ad Esmeraldas, in Ecuador, sulla costa del Pacifico, area popolata per lo più da afro-ecuadoriani. Il limpido azzurro del cielo si confonde con quello del mare e fa rilucere come pietra preziosa il verdeggiare della vegetazione. Questo incantevole paesaggio cambia repentinamente non appena ci si addentra nell’abitato, e lascia il posto, specie nei quartieri più disagiati come Isla Bonita, Pampon, Puerto Limon, ad agglomerati di baracche di bambù e lamiera. I bambini, a frotte, dalla mattina alla sera giocano sulla strada e sulla spiaggia, per ritrovarli adolescenti e giovani, se non si interviene in tempo, dediti alla droga, all’alcool, al “pandillerismo” (le famigerate scorrerie metropolitane delle gang). Q
ui ad Esmeraldas da oltre trent’anni la spiritualità dell’unità ha messo radici proprio fra la popolazione afro-ecuadoriana: famiglie, giovani, sacerdoti, bambini, che hanno accolto l’annuncio evangelico dell’amore scambievole facendolo diventare legge della loro vita. Un gettito di spiritualità che ha acceso nuova speranza mettendo in moto nuove idee ed energie. È ciò che è avvenuto attorno a don Silvino Mina, anch’egli uno di loro, che attraverso il gruppo Ayuda formatosi nella sua parrocchia, ha potuto andare incontro ai casi più urgenti di bambini e ragazzi di strada. Da qui l’esigenza di dare consistenza a questi aiuti, facendosi portavoce anche presso le Istituzioni. È nata così la Fundación Amiga (1992) e con essa una scuola per ragazzi a rischio, con la finalità di rendere più degna la loro vita e aiutarli, mediante adeguati programmi educativi, ad affrontare il futuro. Facendo leva sul loro grande talento sportivo (Esmeraldas è infatti conosciuta come la culla degli sportivi ecuadoriani), hanno iniziato con una scuola di calcio, seguita da laboratori artigianali gestiti dagli stessi giovani che vagavano per le strade. «Oggi la scuola accoglie 1.700 bambini e ragazzi dai 3 ai 19 anni – spiega don Silvino – con un progetto educativo di formazione globale, dove si cerca di vivere quello che si impara, coinvolgendo tutta la comunità educante: allievi, docenti e genitori. A tutti i ragazzi, ogni giorno viene offerto un pasto sostanzioso, che per tanti è l’unico che possono permettersi; vaccinazioni e cure mediche; educazione alla salute e prevenzione dell’Aids. Curiamo anche la conoscenza della cultura e delle tradizioni afro. E non solo».
L’Ecuador, infatti, è un crocevia di culture millenarie (Quito è stata una delle due antiche capitali degli Inca), dove si parlano diverse lingue amerinde (il Quechua, lo Shuar, lo Tsafiki ed altre). Lo sforzo del governo è proprio quello di recuperare comunità, culture e forme di religiosità locali, per aprire con e fra di esse un dialogo che valorizzi le loro diversità in un’arricchente esperienza di intercultura. Termine questo che nella nuova Costituzione, approvata nel 2008, appare ben undici volte. «E se a questa esigenza socio-politica – osservano Gabriela e Augusto – si aggiunge, come sta avvenendo ad Esmeraldas, l’impegno a vivere il Vangelo, si costruiscono comunità dove trovano spazio e dignità le diverse componenti etniche, linguistiche e religiose, innescando nel quotidiano un processo di integrazione che si allarga a macchia d’olio. Processo che va a tutto vantaggio di quel grande laboratorio di intercultura che è l’Ecuador, Paese che può davvero offrire al mondo un modello imitabile e sostenibile di incontro e di convivenza». (altro…)
14 Giu 2017 | Cultura, Dialogo Interreligioso, Focolari nel Mondo
«Non esiste una ricetta per il successo, ma c’è una ricetta per il fallimento. La ricetta per il fallimento è la violenza “nel nome di Allah”». Così comincia il forte appello ai musulmani europei, vergato l’indomani degli attacchi sanguinosi di Londra e Manchester, del Gran Mufti emerito di Bosnia Erzegovina Mustafa Ceric, presidente onorario, come Chiara Lubich in passato e attualmente anche Maria Voce, della RpP, la Conferenza delle Religioni per la Pace. «Questa non è la mia fede. Questo non è l’Allah in cui credo. La mia fede non è un coltello, non è terrore. Il mio Allah è Amorevole e Misericordioso». «Confesso – afferma il Gran Mufti, insignito tra l’altro, nel 2003, del Premio Unesco per la Pace Felix Houphouet-Boigny e del premio Sternberg del Consiglio Internazionale dei Cristiani e degli Ebrei “per il suo contributo eccezionale alla comprensione tra le fedi”, nel 2007 del Premio Theodor-Heuss-Stiftung per il suo contributo alla diffusione e al rafforzamento della democrazia e, nel 2008, del premio Eugen Biser Foundation per il suo sforzo nel promuovere la comprensione e la pace tra il pensiero cristiano e quello islamico – non mi sono mai sentito così confuso e così inerme nel tentare di spiegare cosa sta accadendo dentro e fuori la mia comunità di fede. Mi consolo pensando che si tratti di atti di minoranze estreme, solo un gioco politico di grandi potenze per guadagnare la ricchezza musulmana». Mustafa Ceric usa parole forti: «La mia comunità di fede ha molti problemi. Il più grande è delegare ad altri la risoluzione dei propri problemi. Invece, la mia Comunità di Fede (la mia Ummah) deve risolvere il problema in sé, prima di poter risolvere i problemi intorno». C’è chi afferma, sostiene Ceric, che gli attacchi contro innocenti civili a Manchester o a Londra siano più importanti di quelli in Palestina, a Kabul, Mosul, Sa’an e Misurata. «Non sono più importanti, ma certamente più pericolosi per i musulmani in Europa, la maggioranza dei quali sono fuggiti dai Paesi musulmani per cercare in Europa pace e sicurezza per i loro figli. La pace e sicurezza che finora hanno sperimentato ora sono minacciate». Dopo Manchester, Londra, ma prima ancora Berlino e Zurigo «i musulmani europei devono essere forti e chiari non solo nel condannare la violenza “in nome di Allah”, ma anche nell’adottare misure concrete contro l’abuso dell’Islam in ogni forma. Devono avere una voce chiara, unica e inequivocabile nella lotta contro la violenza sostenuta “in nome di Allah”. Non è più una questione di buona volontà di individui o gruppi che lavorano per il dialogo interreligioso. È una questione esistenziale dell’Islam e dei musulmani in Europa». Il Gran Mufti lancia quindi un appello ai musulmani d’Europa a «raccogliersi immediatamente intorno a una “parola comune” tra noi e i nostri vicini, indipendentemente dalla loro fede, razza o nazionalità, per fare un giuramento davanti a Dio, a se stessi e ai propri vicini in Europa, quello di amare e promuovere la pace, la sicurezza e la cooperazione cui siamo obbligati dalla nostra cultura e fede Islamica. Dobbiamo giurare che faremo tutto ciò che è necessario per combattere insieme la violenza contro persone innocenti. Noi, attuale generazione di musulmani europei, dobbiamo questo ai nostri discendenti. Non dobbiamo lasciare i nostri debiti ai discendenti che non ne hanno colpa». «Non è più tempo di esitare!» – il gran Mufti, al termine del suo appello, esprime con veemenza tutta la speranza e il desiderio di cambiamento. «Non c’è spazio per il calcolo! Non ci sono più scuse per rimandare, o giustificazioni per aspettare! Non c’è salvezza nel silenzio! Non c’è futuro per l’islam o per i musulmani in Europa se non nella coesistenza e nella tolleranza con i nostri vicini europei!» Leggi l’appello integrale (altro…)
6 Giu 2017 | Dialogo Interreligioso, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
https://vimeo.com/214515483 (altro…)
30 Mag 2017 | Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
https://vimeo.com/214516027 (altro…)
24 Mag 2017 | Cultura, Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
«Cosa c’è nel nostro cuore? Dove è orientato? Come imparare a conoscerlo meglio? Le vie del cuore non sono forse delle vere montagne russe?». Alcune domande che hanno stimolato il dialogo, come simbolo visibile del desiderio di condivisione, di cristiani e musulmani partecipanti ad un incontro, a fine aprile, iniziato presso il centro culturale musulmano e conclusosi nella parrocchia protestante, Si è cominciato con i contributi teologici del pastore protestante Martin Hoegger e dell’Imam Djalel Meskaldji. Ambedue hanno costatato che sia la Bibbia che il Corano ampliano il significato della parola “cuore”. Non solo come sede dei sentimenti, ma piuttosto come centro del nostro essere. Quello spazio dove si dialoga con se stessi, con gli altri, e con Dio. «La malattia più comune non è l’influenza, ma la ‘sclerocardia’, e cioè la durezza del cuore», ha ironizzato M. Hoegger. E Djalel Meskaldji ha aggiunto: «Secondo il Corano, il cuore può essere anche più duro delle pietre. È coperto di ruggine». Il cuore, si sottolineava infatti, è la cosa più preziosa che abbiamo, ma l’esperienza ci dice che spesso può indurirsi. Da qui la costatazione che la “custodia del cuore” è un tema frequente nella Bibbia e nei Padri della Chiesa, teologi dei primi secoli. Perciò, mantenere saldo il proprio cuore è “una vera battaglia spirituale”. Sarebbe questo, secondo Meskaldji, il vero significato della parola “Jihad”, nella tradizione musulmana. Il pastore Hoegger ha ricordato che i profeti biblici «annunciano che Dio scolpirà un giorno la sua legge d’amore nei nostri cuori e metterà in noi un cuore nuovo, un cuore di carne». E ancora: «I cristiani sono rivolti a Gesù, nel quale si realizza questa promessa». Da parte sua, l’Imam ha sottolineato che: «Il Corano ripetutamente afferma che il cuore ha bisogno di essere purificato dall’acqua limpida della parola di Dio. Essa risveglia il mio cuore, lo cura, spezza la sua durezza e lo ripulisce dalla ruggine che gli deriva per lo più dall’orgoglio». Dall’Algeria, in collegamento internet, Sheherazad e Farouk, musulmani, hanno raccontato come la scoperta di Dio amore, attraverso la spiritualità del Movimento dei Focolari, ha rivoluzionato la loro vita di coppia: «Abbiamo imparato ad amare l’altro per se stesso, a lasciare agire Dio presente nel cuore di ognuno per essere una testimonianza viva dell’unità di Dio. Ma soprattutto sperimentiamo la grazia di Dio che riveste il nostro cuore della sua misericordia». Quindi, Anne Catherine Reymond e Fabien, cristiani della comunità di Sant’Egidio, hanno condiviso il loro cammino, raccontando come la presenza di Dio ha trasformato il loro cuore attraverso la preghiera e la vita fraterna, ma anche attraverso la vicinanza ai poveri. «La fede in Dio è una bussola nelle sfide che la coppia deve affrontare, soprattutto nell’educazione dei figli. Essi ci spingono a metterci in secondo piano per mettere Dio al primo posto». Nel dialogo nei gruppi è venuto in rilievo ciò che cristiani e musulmani hanno in comune. Una musulmana di Lione, ha concluso: «In un’epoca in cui molti cercano di dividere le nostre comunità, come è utile incontrarci in un’atmosfera di stima reciproca!». All’unanimità, i partecipanti a questa gioiosa giornata hanno espresso il desiderio di continuare il dialogo, anche attraverso nuove iniziative di incontro. (altro…)