Nov 21, 2016 | Chiara Lubich, Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Senza categoria, Spiritualità
Una terra dove i cristiani sono meno dell’1%, l’Algeria è il primo Paese musulmano ad aver accolto la spiritualità dell’unità a partire dalla metà degli anni ‘60. Anni non facili di transizione e sviluppo in quest’area strategica: è ancora vivo il ricordo dei monaci di Tiberine, il cui esempio trascende le differenze religiose e riporta all’essenza della fraternità dell’unico genere umano. “ «Chiara Lubich ci invitava a non fermarci alle difficoltà del presente – ricorda Rosi Bertolasi, per 13 anni nel Focolare di Algeri –. Vista con i suoi occhi, l’esperienza che stavamo facendo, era piena di speranza. Intravedeva già la vita che si sarebbe sviluppata in futuro». «Anche il card. Duval, allora arcivescovo di Algeri – continua – ci ha sempre incoraggiati, ed oggi con gioia possiamo affermare che in Algeria, uomini e donne musulmani, grazie alla fedeltà nel dialogo della vita e della presenza anche in momenti difficili, hanno sviluppato un’esperienza propria di appartenenza al Movimento dei Focolari». Come quella di Rosi, si susseguono le voci di chi è testimone dell’inizio di quest’avventura. Siamo a Tlemcen, (ovest-Algeria, a circa 60 km dal Marocco), dove lo scorso 1-2 novembre si è festeggiato il 50° del Movimento dei Focolari, che dall’Algeria ha aperto le porte a tanti Paesi del nord-Africa e Medio Oriente, presenti mons. Tessier, arcivescovo emerito di Algeri e mons. Vesco, attuale vescovo di Orano, Jesús Morán, copresidente dei Focolari, i responsabili dei Focolari in varie regioni del Medio Oriente, fra cui la Siria, e naturalmente persone da ogni parte del Paese. Proprio a Tlemcen, nell’odierno “Centro Mariapoli Ulisse” – chiamato così in ricordo di Ulisse Caglioni (5 marzo 1943 – 1 settembre 2003) tra i focolarini che hanno speso la loro esistenza per testimoniare la fraternità senza risparmiarsi – il 15 ottobre 1966, su una Citroën, è arrivato il primo gruppo, viaggiando in macchina da Parigi. Lo ricorda come fosse ieri Pierre Le Vaslot, focolarino francese oggi in Italia.
Al loro arrivo i tre – Pierre, Ulisse e Salvatore Strippoli – si trovano davanti un monastero benedettino da rimettere in funzione, costruito negli anni ‘50 da don Walzer, abate tedesco cacciato dalla Germania per essersi rifiutato di accogliere Hitler nell’abazia di Beuron. Il monastero è addossato alla montagna, a 900 mt di altezza, a pochi passi dalla tomba del mistico sufi Sidi Boumedienne, che ha lasciato una forte impronta spirituale nella regione e oltre. Il posto si presta perfettamente agli incontri, all’accoglienza e al dialogo. Vi si respira pace e serenità. Al Centro “Dar es Salam”, così è conosciuto a Tlem-cen, inizia allora un’avventura di presenza e di vita condivisa con gli abitanti della città. «Gioia per noi ad Orano, nel vedere il monastero rivivere – racconta Thierry Becker, allora giovane sacerdote –. Ma chi sono questi focolarini? Nessuno ne aveva sentito parlare. Non sono monaci né preti, vivono in comunità. Sono venuti per vivere l’unità e farla vivere intorno a loro. Li ho sentiti parlare del loro ideale, di Chiara Lubich, di cui ho imparato a conoscere la spiritualità. Si sono rapidamente messi a lavoro e Ulisse ha presto trasformato la casa». Sono anni di continue esperienze, come il contatto con l’Imam Barkat. I focolarini lo aiutano a salvare il figlio piccolo, portandolo in ospedale nel cuore della notte e insistendo con i medici. Sarà poi questo Imam, il papà del piccolo Bahi, ad andare in Focolare per dei corsi sugli Hadits profetici e trasmettere così la giusta comprensione dei loro scritti spirituali. Parole commoventi arrivano anche dai primi giovani che frequentavano il focolare di Tlemcen negli anni ‘60 – Mourad, Bouziane, Farouk – oggi felici di vedere i loro figli e le nuove generazioni portare avanti quell’ideale nel quale loro per primi hanno creduto. Maria Chiara De Lorenzo (altro…)
Nov 20, 2016 | Focolari nel Mondo, Spiritualità
Sapevo tutto «Come prete, credevo di saper dare un giudizio su tutto. Un giorno sono stato invitato a celebrare la messa al ritiro di alcuni giovani impegnati, che durante il rito hanno fatto esplicitamente il patto di essere pronti a dare la vita l’uno per l’altro. Ne sono rimasto sconvolto: sarei stato capace di fare una cosa del genere? Tutto quello che sapevo mi è sembrato, non dico inutile, ma insufficiente a essere un vero cristiano. Quante cose trascurate in nome dello studio, quante omissioni giustificate con qualche impegno che ritenevo importante …! Quei giovani mi hanno cambiato la vita». (R. P. – Francia) Prima dell’offerta «Dopo il trasferimento nel nuovo paesino è nata un’amicizia con una famiglia di vicini che ci ha molto aiutati a inserirci nel nuovo ambiente, a sistemare i bambini nelle scuole… La stima era reciproca, i figli di quella famiglia ci chiamavano zii, e così i nostri con gli altri. Purtroppo qualcosa con il tempo si è incrinato ed i figli dei vicini hanno cominciato a salutarci con un “buongiorno, signori”. Non si poteva andare avanti così, anche perché facevamo parte della stessa comunità parrocchiale. Una domenica alla messa il brano del Vangelo ci ricorda che prima di offrire l’offerta sull’altare è bene riconciliarsi con il fratello… Mia moglie ed io ì ci siamo guardati e abbiamo deciso di operare di conseguenza. All’uscita della messa, siamo andati verso i nostri vicini e abbiamo chiesto loro perdono se li avevamo offesi in qualche modo. Dopo un attimo di sorpresa imbarazzante, ci siamo abbracciati». (A.T. – Ungheria) Era un’altra persona «Nell’ospedale dove lavoro come ginecologa era stata ricoverata una donna conosciuta come prostituta. Le altre pazienti e anche qualche infermiera cercavano di evitarla. Avendo notato il suo isolamento, le ho prestato attenzioni particolari, e questo ha incoraggiato anche altre a rivolgerle la parola, a darle qualche aiuto. Lo stesso racconto della sua triste vita le ha attirato attenzione e benevolenza. Pochi giorni e già sembrava un’altra persona. Quando è stata dimessa, ringraziandomi, diceva: «La vera guarigione non è fisica … La vita ricomincia in altro modo». (M. S. – Polonia) (altro…)
Nov 19, 2016 | Chiesa, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Spiritualità
«Ho imparato ad essere aperto, a non nascondere la polvere sotto il tappeto». È il commento di uno dei 170 seminaristi di Pune (India) soddisfatto per aver partecipato al workshop sulle dinamiche di gruppo progettato sui principi della spiritualità dell’unità, tipica dei Focolari. «Ho capito che devo pensare positivo in tutto ciò che faccio – dichiara entusiasta un altro seminarista – ho fatto nuove amicizie, anche con compagni più anziani di me». Colpisce lo sprint di questi giovani. Sorprende anche che in India – una regione dai mille riti e divinità, patria dell’induismo e del buddismo – ci sia un seminario cattolico con così tanti giovani. E che, come testimonia il direttore spirituale del seminario, Padre George Cordeiro, siano fortemente motivati e decisi per il sacerdozio. Il rapporto dei Focolari col seminario pontificio dell’India risale al 1980; da allora, in varie occasioni i focolarini sono stati invitati a presentare ai seminaristi la loro spiritualità. Molti di questi, diventati sacerdoti o vescovi, continuano a promuovere – nella loro non facile azione pastorale – la dimensione comunitaria del messaggio cristiano. In questo 2016 hanno chiesto al Movimento di organizzare un workshop di tre giorni sulle dinamiche di gruppo. Era la prima volta che i focolarini di Mumbai si trovavano di fronte ad una simile impresa, ma hanno accettato la sfida. Con un team di 12 persone, uomini e donne, fra cui alcuni esperti nel campo psicologico e relazionale, si sono dedicati al progetto organizzando un workshop su misura per seminaristi. Un lavoro impegnativo, anche per la diversità delle culture dei partecipanti, originari di ogni parte dell’India, e per i loro differenti percorsi di studio: dal ginnasio agli studenti di teologia e filosofia. Obiettivo del workshop era di mettere in mano ai seminaristi gli strumenti per costruire la comunità. E di farlo, questa era la richiesta specifica, attingendo a quegli elementi della spiritualità dell’unità che più hanno a che fare con la relazione interpersonale: il “farsi uno” con l’altro, l’ascolto profondo, il patto dell’amore scambievole, la condivisione delle esperienze, il dialogo, ecc. In pratica, si doveva presentare ai seminaristi i vari modi di andare incontro all’altro, privilegiando i rapporti. Con tali caratteri come paradigma culturale, declinati in chiave psicologica e relazionale, ne è uscito un mix con brevi relazioni, scenette, giochi di ruolo, testimonianze (di laici e sacerdoti), esercitazioni pratiche per provarne su se stessi l’efficacia.
Fin dall’inizio il laboratorio è stato seguito con entusiasmo e sostenuto con una vivace partecipazione, che ha aiutato al continuo passaggio “dall’io al noi” che i ragazzi andavano facendo. Un processo che diventerà molto utile a loro quando si ritroveranno a lavorare in gruppo e quando saranno chiamati a suscitare e condurre gruppi di altre persone. Mettendo così in atto quella cultura dell’incontro e del dialogo tanto sottolineata da papa Francesco. Padre George ha definito il workshop “un’autentica esperienza di Dio fra gli uomini”. L’intuizione di tradurre la spiritualità in vita e le idee in fatti quotidiani, si è rivelata vincente. Lo attestano i numerosi feedback scritti dai partecipanti: «Posso fare tutto, ma ad una condizione: che in me ci sia sempre l’attenzione agli altri». «L’incoraggiamento a mettere in pratica il vangelo e non soltanto a studiarlo, ha provocato un cambiamento radicale della mia vita». «Questo workshop è stato un trampolino di lancio per la mia vocazione e le mie interazioni sociali. Le storie di altre persone sono state per me una grande lezione». «Un’esperienza estremamente feconda di addestramento ad essere comunione. Nuove strade si sono aperte davanti a noi. È una grazia poter offrire la spiritualità di comunione nel contesto odierno». (altro…)
Nov 18, 2016 | Chiara Lubich, Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
«In un mondo dove la globalizzazione detta le sue leggi, uno dei paradossi più significativi a cui assistiamo è che la voce del sud del mondo è ignorata. L’Africa, ricca di risorse naturali come diamanti, oro, petrolio, e altri minerali preziosi, si trova di fronte a: povertà, sottosviluppo sempre più crescente, la peggiore attesa di vita, un livello elevato di analfabetismo; e ciò nonostante i milioni di dollari degli aiuti occidentali versati nel corso degli anni in vari progetti. Perché? La drammatica risposta non è solo la guerra che subiamo, non sono le malattie; è soprattutto la corruzione, diventata in Africa un fatto normale e accettato, che sta lacerando il continente. Un continente in cui i poveri devono corrompere per sopravvivere; per curarsi negli ospedali, per entrare nelle “migliori” scuole di formazione professionale, per ottenere posti di lavoro e per uscire dalla prigione. Neanche le leggi riescono a sradicare questo male. Nella stragrande maggioranza dei paesi africani, il diritto è di origine occidentale, con qualche sfumatura presa dalle culture locali. La tutela dell’individuo, per quanto valore universalmente accettato, si contrappone al principio della comunità, molto caro alle tradizioni africane, che sta a sottolineare l’importanza della solidarietà. L’individuo è tale solo se appartiene a una comunità e agisce in funzione della comunità. È il principio dell’“Ubuntu”: Io sono perché noi siamo. L’Ubuntu nelle culture africane è un invito a sostenersi e aiutarsi reciprocamente, è coscienza dei propri doveri. Così si è espresso Nelson Mandela: Ubuntu significa porsi la domanda: “Voglio aiutare la comunità che mi sta attorno a migliorare?” È una regola di vita, basata sul rispetto dell’altro, una credenza in un legame di condivisione che unisce tutta l’umanità. È un desiderio di pace. Eppure, proprio in Africa manca la pace in tanti posti, e la causa remota dei conflitti è per assurdo la propria immensa ricchezza. Si lotta per il controllo dei minerali e le vittime di questi conflitti sono i più deboli. Nello sforzo di integrare valori ereditati dalla colonizzazione con i propri valori tradizionali, e di fronte alle sfide di un mondo in cui solo lo sviluppo economico dà diritto alla parola, l’Africa sta sempre di più perdendo i propri valori, senza acquisire per davvero quelli “importanti”.
Nel mio Paese, il Camerun, che conosce una grande corruzione, è sorta una piccola città, a cui Chiara Lubich ha dato vita realizzando opere sociali a favore del popolo Bangwa, che era a rischio di estinzione e ha trovato la salvezza. Ma con le opere, Chiara ha portato soprattutto un nuovo stile di vita, ispirato a prassi di fraternità: è nata una convivenza ispirata nella reciprocità a una vera giustizia, che spegne ogni litigio, previene il conflitto, trova soluzione ai problemi anche nelle famiglie; nessuno ruba, né uccide, si seguono “vie di pace”. Così la fraternità può diventare principio anche giuridico per la convivenza e cambiare rapporti di forza in relazioni di accoglienza e inclusione e tradursi in solidarietà, responsabilità e sussidiarietà. La pace si declina oggi come sviluppo, sicurezza, universalità dei diritti dell’uomo, rispetto della vita; la pace è un diritto, ma attende che il diritto se ne faccia strumento. E per questo non bastano le Dichiarazioni e i Trattati. I diritti, se declinati solo al singolare, affermano l’individuo e danno spazio a interessi e conflitti. Ma “universale” non significa “assoluto”, significa “comune”; è ciò che accomuna, diversamente non potrebbe esserci alcuna relazione fra individui, culture o concezioni differenti fra loro [1]. E se l’universalità racchiusa nella dignità umana permette la relazione con ogni altro, la fraternità, quale nuovo paradigma, può costituirne il principio ispiratore fino a “farsi” cultura anche giuridica e via che prepara la pace. Quella che inizia dal cuore e si traduce in atteggiamenti coerenti nella vita di ogni giorno capaci di trasformare rapporti conflittuali in relazioni di condivisione, fino alla reciprocità, in cui il dovuto si fa dono per l’altro».
Raphaël Takougang
[1] Cfr. F. Viola, L’universalità dei diritti umani: un’analisi concettuale, in F. Botturi – F. Totaro (a cura di), Universalismo ed etica pubblica, Vita e Pensiero, Milano 2006, p. 164 s. (altro…)
Nov 17, 2016 | Chiara Lubich, Cultura, Focolari nel Mondo, Spiritualità

Jesús Morán © Fabio Bertagnin – CSC Audiovisivi
«Vent’anni fa, in questa prestigiosa sede, Chiara Lubich descriveva il rapporto fra la cultura dell’unità e la pace, presentando l’esperienza del Movimento dei Focolari nel mondo. Essa – diceva – era al servizio del mutuo riconoscimento della dignità di ciascuno, favoriva uno stile di vita comunitario, abbatteva le artificiali barriere che producevano diffidenza, ostilità e inimicizia, e soprattutto presentava l’idea portante del nuovo ordine mondiale basato sulla visione della pace: l’umanità come famiglia, con Dio Padre, sorgente di infinito amore per tutti e per ciascuno. E se si elevavano, allora, venti di guerra nell’umanità, Chiara Lubich metteva in luce le tante iniziative ed esperienze che indicavano la strada della ricerca dell’unità fra le persone, le comunità, i popoli. Vent’anni fa il mondo era diverso. Era afflitto da numerosi conflitti, i quali si presentavano in forma perlopiù localizzata e coinvolgevano gruppi riconoscibili di belligeranti. La guerra è, oggi, un dramma dai mille volti. Alle guerre fra gli Stati si aggiungono guerre all’interno degli Stati, fra etnie, gruppi politici e comunità religiose. […] Anche gli strumenti della guerra sono cambiati. È evidente che le guerre oggi si manifestano spesso sugli inediti campi di battaglia dei mercati finanziari ed economici, per l’approvvigionamento delle materie prime e delle risorse energetiche, per conquistare nuovi mercati. L’insorgenza e lo sviluppo di nuovi conflitti chiede anche alle culture di pace di trovare nuove e più aggiornate risposte. Pensiamo, per esempio, alla cultura della non-violenza. Essa è autenticamente una forza rivoluzionaria al servizio della pacificazione dei contesti di guerra più cruenti. È potente perché trasforma l’ingiustizia subita nell’opportunità di fondare azioni di pace e di perdono. È la risposta di chi, offeso e perseguitato, rifiuta di impugnare le armi perché non crede che l’azione di guerra sia il modo ragionevole di superare i conflitti. […] La spiritualità di Chiara Lubich, centrata sull’unità, può dare un contributo alle culture di pace odierne. Il Movimento dei Focolari è impegnato, al pari di altre organizzazioni, in questi ambiti. È presente in circa 180 paesi del mondo, e in molti di essi rappresenta una sorta di presidio per l’unità e la pace. Consentitemi di ricordare qui che esiste oggi una comunità dei focolari ad Aleppo, in Siria, che offre spazi di condivisione e reciproca solidarietà a una popolazione martoriata dalla guerra. […] Nessuno può salvarsi da sé, nessuno può sperare di rimanere felice da solo. 
Jesús Morán © Fabio Bertagnin – CSC Audiovisivi
[…] Al centro della nostra esperienza non c’è un ente collettivo, non c’è un impersonale “noi”, ma una persona: la persona di Gesù. È Gesù, perciò, a portare la sua pace. Di più, Gesù ci indica la misura radicale con cui dovremmo agire per guarire ogni ferita, sanare ogni problema, risolvere ogni conflitto. Amare come Lui ci ha amato, fino a salire sulla Croce per amore dell’umanità. […] Non c’è altra soluzione che intavolare processi di dialogo che coinvolgano culture diverse, fedi diverse, concezioni del mondo diverse, finalizzati al mutuo riconoscimento, alla cooperazione internazionale, alla promozione della solidarietà e del bene comune. Questi sono i caratteri di una comunità fondata su uno stile di vita alla ricerca dell’unità. […] È questa la cultura di pace che nasce dall’unità. La sua efficacia è stata mostrata ad Assisi, lo scorso settembre, all’incontro di dialogo fra le religioni e le culture, a trent’anni dal primo grande incontro voluto da san Giovanni Paolo II. Il Movimento dei Focolari è al servizio di tale prospettiva, oggi avvertita come determinante per pacificare un mondo sempre più interdipendente. La profezia del messaggio di Chiara Lubich, premiata vent’anni fa dall’Unesco, risuona oggi ancora più attuale». Leggi il discorso integrale (altro…)
Nov 16, 2016 | Chiara Lubich, Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità

Arooj Javed. Foto © Fabio Bertagnin – CSC Audiovisivi
«I giovani oggi aspirano a diventare cittadini del mondo e noi, aspiriamo ad un mondo unito». A fine giornata, questa dichiarazione di Arooj Javed, giovane studentessa in relazioni internazionali, ha riassunto le speranze, gli obiettivi fissati da New Humanity (Ong dei Focolari presso l’ONU). Perché, questo anniversario dei 20 anni della consegna del premio per l’educazione alla pace a Chiara Lubich non aveva nulla di nostalgico. Le recenti elezioni americane, la tragedia dei rifugiati, le minacce climatiche, la disuguaglianza crescente, i mercati dominati dall’avidità…; questa attualità drammatica evocata nei diversi interventi giustificava appieno il titolo scelto per il simposio: “Reinventare la pace”. Cioè in che modo, a partire dalla Spiritualità comunitaria del Movimento dei Focolari, “trovare nuove risposte” al “volto duro e angoscioso di nuove situazioni di guerra”, ha detto Jesús Morán, copresidente del Movimento. Diverse parole chiave hanno così illuminato le riflessioni: laboratori interculturali, fraternità universale, solidarietà interreligiosa, arte del “vivere insieme” e, soprattutto, educazione al dialogo e alla pace. 
Enrico Letta. Foto © Fabio Bertagnin – CSC Audiovisivi
«Dobbiamo dialogare come in un’orchestra, dove ogni strumento deve suonare in armonia con tutti gli altri, creando una sinfonia», dirà con linguaggio poetico mons. Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO. Enrico Letta, presidente dell’Istituto Jacques Delors ed ex presidente del Consiglio dei Ministri italiano, affermerà: «Per dialogare occorre la consapevolezza che siamo tutti minoranze su questa terra […] Se seguiamo la freschezza dei giovani e la loro apertura mentale, capiamo che l’educazione al dialogo rimane la nostra missione fondamentale». Nella dichiarazione finale, tra le proposte, una molto concreta: «Fornire agli Stati membri percorsi di formazione per gli insegnanti sull’arte del vivere insieme». 
Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO. Foto © Fabio Bertagnin – CSC Audiovisivi
Papa Francesco – che ha inviato un messaggio – ha parlato recentemente di una “terza guerra mondiale a pezzi”. Questa guerra «chiama in risposta una pace anch’essa costruita “a pezzi”, fatta di piccoli passi, di azioni concrete. Ognuno ha il proprio ruolo, la propria responsabilità. La pace non è una promessa, è uno sforzo, una scelta. È un invito a tutti noi che siamo qui e a coloro che ci seguono nel mondo intero, ad armarci di pace…», ha dichiarato nel suo discorso letto da Catherine Belzung, Maria Voce, presidente dei Focolari, assente per motivi di salute. Diversi video hanno illustrato tante opere di pace in diverse parti del mondo che ci permettono di sperare. La presentazione di alcune esperienze in atto ha dimostrato quanto “la pace non sia solo una teoria, un sogno, ma un modello”, come: l’associazione delle donne cristiane e musulmane Koz Kazak, al Cairo (Egitto) diventate “come sorelle” tra loro, le 40 imprese dell’economia di comunione in Africa, la presenza di una comunità dei Focolari ad Aleppo (Siria) che offre uno spazio per la condivisione alla popolazione martoriata, la scuola Santa Maria a Recife (Brasile), dove si vive la reciprocità tra scuola e famiglie. Tante piccole pietre poste al servizio della costruzione di una cultura di pace. Da Parigi, Chantal Joly Rivedi la diretta Messaggio del Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella (altro…)