Genfest 2012: Storia in un Flash
http://www.youtube.com/watch?v=cZEquQfVKCk&feature=youtu.be (altro…)
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«Sono arrivata in una scuola alberghiera come supplente ad anno iniziato catapultata in interminabili consigli di classe, senza avere alcun elemento che potesse aiutarmi a distinguere nomi, volti e situazioni. Mi si presentava un quadro poco incoraggiante, con la difficoltà espressa dai colleghi di motivare e “scolarizzare” gli allievi, soprattutto delle prime classi. Ed io avevo sei classi di prima! Dovevo dimenticare l’esperienza ricca e coinvolgente fatta l’anno precedente con i ragazzi del liceo e cambiare atteggiamento e metodo. E così è iniziata un’avventura entusiasmante che mi ha costretta a mettermi subito in gioco.
Sono una religiosa. Questo suscita nei miei alunni, oltre allo stupore, una miriade di domande. Non mi fermo di fronte alle provocazioni, alle battute. Mi ritrovo così a condividere qualcosa della mia vita, della mia vocazione, del motivo che mi spinge ad insegnare. È il primo passo per entrare in relazione, per iniziare un cammino. Pian piano si gioca sempre più a carte scoperte ed io incalzo i ragazzi con le domande. Non parto da ragioni filosofiche, ma dalla realtà quotidiana che invoca una risposta alla domanda di senso. Perché devo alzarmi al mattino, perché devo studiare, vivere il reale, amare, soffrire…
Abbiamo coscienza di cosa stiamo vivendo? Questa domanda cade sui ragazzi come un fulmine e suscita una smorfia tra il sorriso e il dolore. Aperta una breccia sulla loro apatia, insisto: il valore della persona, la responsabilità dell’io, la ricerca di Dio nell’uomo e nella storia. Qualcuno è sorpreso perché la classe ascolta e ironizza sul fatto che “Qualcuno s’è messo a pensare!”. Con una collega, tuttavia, nasce una stima reciproca e si cerca un percorso comune a partire dalle rispettive discipline. Ci si trova così a scegliere brani di letteratura o di poesia che parlano del desiderio di una felicità vera…
E i ragazzi rispondono, si sentono presi sul serio, diventando loro stessi i primi attori della lezione. Per spiegare il senso religioso, propongo brani musicali che esprimano l’atteggiamento dell’uomo rispetto alla domanda di senso. Seguendo i testi, i ragazzi s’imbattono con la “la risposta sospesa” di Bob Dylan, con lo “scetticismo” espresso da Guccini, con la “domanda e la ricerca” di Bono degli U2 e chiedo loro: “Voi dove vi ritrovate?”. Uno alza la mano: “Scrivo poesie, volete sentirne una?”. Un compagno gli fa da sottofondo e lui comincia mediante lo stile rap a raccontare l’esperienza dolorosa della morte di un amico di scuola. È un grido: qual è la risposta umana al dolore, al limite, alla morte? Ricordando Giovanni Paolo II, propongo la riflessione durante il giubileo degli artisti. Egli rispondendo proprio a Bob Dylan aveva detto che la risposta non soffia nel vento. Uno ha detto di essere la risposta: Gesù Cristo. E da qui ho iniziato il percorso cristologico.
Faccio continuamente l’esperienza che non è vero che i giovani siano indifferenti alla bellezza, alla verità. Molti vivono sulla loro pelle situazioni difficili, e forse proprio per questo sono più sensibili alla ricerca del vero, del giusto, del bene, ad uno sguardo d’amore per il loro destino. Questo l’ho imparato dalle persone che mi hanno testimoniato la passione educativa, tra le quali il mio Fondatore, Nicola Barrè: che si educa nella misura in cui ci si lascia educare dall’altro. Ma sento che occorre conservare ogni giorno lo stupore dell’inizio, senza perdere la curiosità e il desiderio di un’avventura sempre nuova che ogni mattina comincia in classe. Nel preparare le lezioni mi muove il desiderio di non lasciare nulla d’intentato per incontrare il volto d’ognuno e trasmettere questo messaggio: “Sono contenta perché tu esisti! Grazie perché sei diventato compagno del mio cammino!”». Sr. Marina Motta (altro…)
“La politica – diceva Chiara Lubich nel suo messaggio al Convegno Latinoamericano di Sindaci, effettuato a Rosario, Argentina, nel 2005 – è lo sfondo che dà parola, possibilità e armonia a tutti, in modo particolare a quelli che non hanno voce”. Tenendo presenti queste parole, che ancora risuonano come appena scritte, si è riunita la Commissione Nazionale del Movimento Politico per l’Unità (MPPU) argentino con rappresentanti delle varie regioni del Paese per approfondire le linee di azione che si propongono per l’anno che sta iniziando. Un gruppo di 30 persone, alcuni impegnati della prima ora del MPPU, altri che si sono coinvolti in alcune attività, o anche – come nel caso dei più giovani – che sono arrivati avendo partecipato alle Scuole di Politica che il Movimento sostiene e promuove in varie città dell’Argentina. A nessuno manca l’entusiasmo, la grinta, la dedicazione, anche se tutti sono coscienti che, nonostante i suoi 10 anni di vita ed una profusa attività, il MPPU sta dando i suoi primi passi. E la Mariapoli Lia è uno spazio specialmente adatto di incontro e di lavoro per l’occasione.
Tre giorni, dal 26 al 28 febbraio scorso, durante i quali hanno approfondito 3 aspetti che si sono proposti come programma di azione: 1. Rafforzamento della vocazione politica: accompagnamento, forum tematici e dialogo di politici; 2. Formazione dei giovani per l’interpretazione politica in tutti gli ambiti della cittadinanza; 3. Spazi di incontro e dialogo ed iniziative varie.
“Nelle province – dice Cecilia Dilascio, presidente del MPPU argentino – ci sono dei politici coi quali stiamo iniziando o portando avanti spazi di dialogo che dovrebbero avviarsi sempre di più verso l’approfondimento della proposta e dei temi di agenda politica come: mezzo ambiente, democratizzazione dei partiti politici, riforma costituzionale, difesa della vita ed anche uno spazio per condividere le esperienze e difficoltà della gestione”. Juan José, un giovane che ha completato la Scuola di formazione politica, aggiunge: “dobbiamo accompagnare i giovani che finiscono la Scuola e che stanno occupando cariche pubbliche, per fare in modo che la voragine dell’attività quotidiana nella funzione pubblica non spenga in loro l’esperienza di fraternità che abbiamo fatto e che può contagiare altri”.
Guardando in avanti, e di questo si tratta, rimane l’obbiettivo principale, come lo esprimeva Chiara Lubich nel suo messaggio sopra citato, di “un passaggio – come sintetizza il Dott. Angel Villagra, di Córdoba – dalla fraternità in politica a politiche di fraternità”. (altro…)
Il senso del dolore, l’unione con Dio e la preghiera, l’impegno a testimoniare la fede, il rapporto con la Chiesa, la libertà. Sono solo alcuni dei temi che in occasione delle più varie manifestazioni giovanili, Chiara Lubich ha approfondito in un dialogo “a tu per tu”, personale e profondo con i giovani per i quali ha sempre mostrato una particolare predilezione. Nelle risposte l’invito potente a vivere con radicalità la vita indicando in Gesù la strada per una piena realizzazione umana e spirituale. (altro…)
«Nel momento in cui anche le università sono toccate da questa crisi culturale economica e sociale, cosa vi ha spinto ad iniziare questo progetto, e qual è la novità di Sophia?» chiede Giorgia, italiana, rappresentante degli studenti, al Preside dello IUS, il teologo Piero Coda. Dà voce alla domanda dei numerosi studenti, giovani interessati e future matricole, presenti a Loppiano o in collegamento via internet dai quattro angoli del globo, per il primo “IUS Open Day”, lo scorso 1° marzo. Una novità, quale? Coniugare una rigorosa formazione scientifica con la Sapienza – da qui il nome Sophia – intesa come sguardo transdisciplinare che attinge alle radici della rivelazione cristiana. È questa la novità e la “mission” di questo Istituto Universitario (IUS) che ha l’obiettivo di formare uomini e donne capaci di riscoprire il destino dell’umanità, come evidenziato dal preside, Piero Coda, nella video intervista trasmessa in diretta. Ad oggi sono circa 150 gli studenti che hanno frequentato e seguono i corsi dello IUS, di cui una trentina i laureati. «L’esperienza di Sophia è iniziata anni fa con le “summer school” – ricorda il prof. Coda – e l’obiettivo era mettere in rapporto discipline diverse alla luce del carisma di Chiara Lubich per superare la frammentazione che si avvertiva tra esse. Oggi l’Istituto è giunto al suo quarto anno di vita e propone un percorso formativo che punta a superare la “schizofrenia” che si sperimenta tra la formazione accademica e le sfide sociali, politiche ed economiche del mondo d’oggi».
Diverse le novità nel percorso formativo, presentate dai professori Judith Povilus, vice-preside dello IUS, Antonio Maria Baggio, docente di Filosofia politica, Alessandro Clemezia, teologo e Giuseppe Argiolas, economista. A partire dal settembre prossimo la laurea magistrale in “Fondamenti e prospettive di una cultura dell’unità” si articolerà in quattro aree di specializzazione: studi politici, ontologia trinitaria, economia e management e , infine,“cultura dell’unità”. Quest’ultima è diretta a studenti provenienti da qualsiasi area di specializzazione, aperti alla costruzione di un mondo nuovo e che privilegino la dimensione relazionale. È seguita la voce di alcuni degli studenti di Sophia che provengono da diversi Paesi dei cinque continenti: Metta, tailandese di religione buddista, alle prese con lo studio in un ambiente d’ispirazione cristiana: “Per me lo studio qui è principalmente una relazione di fraternità e questi rapporti sono il linguaggio che ci accomuna tutti, studenti e docenti, pur nella nostra diversità, una dimensione che ritrovo anche nella mia religione”. Marco, italiano laureato in Scienze Motorie, frequenta il primo anno allo IUS: “Per quanto riguarda le prospettive future, la mia scelta di frequentare Sophia è nata dal desiderio non tanto di approfondire una disciplina specifica ma dall’esigenza di ricevere una formazione che mi permetta il più possibile di ampliare i miei orizzonti culturali e conoscitivi per affrontare meglio un mondo del lavoro che ora non mi offre certezze e che per questo richiede che io prenda l’iniziativa”. (altro…)
«Si avvicina la ricorrenza del 14 marzo, anniversario della nascita al Cielo di Chiara Lubich. Quest’anno vorremmo dedicare le celebrazioni in modo particolare all’impatto del suo carisma sulle nuove generazioni: giovani di oggi e di ieri testimonieranno in varie regioni del mondo cosa ha suscitato nella loro vita l’incontro con lei.
Chiara ha fiducia nei giovani e in ciascuno di noi. Insieme, tutti uno, vogliamo guardare ad un futuro pieno di speranza perché Dio ci ha dato un grande Ideale. Sarà ancora un’occasione per esprimere la nostra riconoscenza a colei che, corrispondendo in pienezza alla luce del carisma che Dio le ha messo in cuore, ha aperto la strada a molti per essere portatori di uno spirito nuovo.
Facciamo di questa data un punto di partenza: grati di tale dono, comunichiamolo a nostra volta a quanti ci circondano per contribuire all’edificazione della fraternità universale: la realizzazione del suo sogno, l’anelito di Gesù: “Che tutti siano uno”». Maria Voce, 5 marzo 2012 (altro…)
Eli Folonari è stata per oltre cinquant’anni segretaria personale di Chiara Lubich. Una posizione che le ha consentito di assistere, giorno dopo giorno, alla straordinaria avventura di una donna che ha aperto nuove strade nel dialogo ecumenico, interreligioso e interculturale. Una presenza silenziosa che ora – nell’intervista di Oreste Paliotti e Michele Zanzucchi – si fa parola per testimoniare un messaggio di pace e di fraternità universale. Nel racconto di Eli Folonari la vita quotidiana, gli incontri con grandi personaggi – da Giovanni Paolo II a Madre Teresa di Calcutta, da Vaclav Havel al patriarca Athenagoras I – e la gente comune, il rapporto con Dio, le passioni e gli interessi, l’anima di Chiara Lubich.
“Un cuore che è stretto solo per quelli che non si amano” (proverbio Kirundi). Il Burundi è un piccolo paese, situato nel cuore dell’Africa, fra due paesi giganti: il Congo e la Tanzania. È dotato di un paesaggio naturale di straordinaria bellezza e ricchezza, eppure è uno dei paesi più poveri del pianeta. Tre etnie: Hutu, Tutsi e Pigmei, che parlano un’unica lingua e condividono la stessa cultura. Le sue colline verdeggianti nascondono inoltre il grido di dolore di tanti che hanno conosciuto la violenza e la morte durante lunghi decenni di conflitti e dittatura. Solo nel 2002 il Burundi è uscito da un conflitto politico ed etnico che ha provocato un milione di sfollati e più di 300 mila morti.
Anche qui nel cuore dell’Africa, solo qualche kilometro a Sud dell’Equatore, è arrivato l’Ideale del Movimento dei focolari. Le sue radici storiche affondano nel 1968, quando una famiglia belga trasferitasi a Bujumbura per motivi di lavoro, ha portato, attraverso la sua testimonianza di vita, una nuova luce sul messaggio cristiano. Quasi contemporaneamente, un altro nucleo si forma attorno a P. Alberton dei Missionari d’Africa, nella parrocchia di Mubimbi.
Nel contesto di un Paese tra i più poveri del pianeta, il Burundi, uscito da un conflitto politico ed etnico durato 12 anni, con un milione di sfollati e più di 300 mila morti, nel 1999 un gruppo di volontari del Movimento dei focolari fonda l’associazione CASOBU (Cadre Associatif des Solidaires du Burundi), allo scopo di cercare soluzioni durevoli ai problemi della povertà, attraverso la partecipazione ed il reciproco sostegno. Il risultato della loro attività non si misura solo in termini di infrastrutture e miglioramento delle condizioni socio-economiche ma nella diffusione di valori: partecipazione, solidarietà e fraternità.
CASOBU opera inizialmente in contesti rurali. Nel tempo prendono corpo diversi progetti, anche con il supporto dell’AMU, la Ong ispirata dal Movimento per la cooperazione allo sviluppo. Già da diversi anni CASOBU interviene inoltre con progetti comunitari di microcredito, che hanno consentito il raggiungimento dell’autonomia economica ad alcune centinaia di persone, quasi tutte donne capofamiglia. Nel 2008 l’azione sociale si concentra nella provincia di Ruyigi. Le 6.700 famiglie del comune di Butezi vivono di agricoltura di sussistenza. Durante la guerra civile gran parte della popolazione si è rifugiata nei campi profughi della Tanzania ed ora, al rientro in patria, i problemi per il reinserimento sono numerosi. L’intervento prevede diverse linee di azione:
I membri di CASOBU sono persone qualificate e preparate per svolgere il loro lavoro, animati dallo spirito di servizio evangelico. Puntano prima di tutto ad ascoltare con attenzione coloro che incontrano: “Spesso ci troviamo ad agire come fossimo padri e madri di queste persone che prima di tutto hanno un fardello di sofferenze da condividere con altri”. Sempre nel comune di Butezi, ci si accorge che in un’area, dove vivono quasi 3 mila famiglie, solo un centinaio può disporre di acqua pulita, mentre le altre attingono l’acqua da fonti non adeguate o direttamente da torrenti e stagni, esponendosi a gravi malattie. Da questa necessità nasce un nuovo progetto per portare l’acqua potabile, il primo di 5 realizzati fino ad oggi.
I punti di forza di questa azione sono: il coinvolgimento della popolazione nei lavori e la formazione di comitati locali per la cura e conservazione delle sorgenti e per la manutenzione delle infrastrutture realizzate. La popolazione accetta di cedere i terreni necessari e sopportare i disagi e le perdite dovute agli scavi nei propri campi. Lavorare tutti insieme aiuta a ricreare i legami sociali. Lo stile di vita ed il modo di lavorare dei membri di CASOBU colpisce molte persone. “Spesso – racconta Innocent di Kayanza – per avere un lavoro devi dare dei soldi, ma qui abbiamo notato una differenza: guardavano nei registri chi aveva già contribuito al progetto volontariamente e ti iscrivevano senza alcuna forma di corruzione”. “Sia che si fosse trattato di un semplice lavoratore o un operaio qualificato, eravamo tutti sullo stesso piano”.
Certo, non tutti capiscono subito, ed il paziente lavoro di CASOBU è determinante per rendere la gente consapevole che questi progetti sono mirati al bene comune. A 3 anni di distanza dal primo progetto, già si nota un notevole miglioramento nella salute delle famiglie ed in particolare dei bambini. L’ultimo progetto per l’accesso all’acqua potabile si è realizzato a Kibingo (provincia di Kayanza) ed ha raggiunto 600 famiglie e 1.200 alunni della scuola primaria. Chi desidera partecipare agli interventi realizzati da CASOBU a sostegno della popolazione burundese, anche con contributi “una tantum”, può utilizzare il conto corrente bancario intestato a: Associazione Azione per un Mondo Unito, presso Banca Popolare Etica, filiale di Roma. Codice IBAN: IT16G0501803200000000120434 Codice SWIFT/BIC CCRTIT2184D Causale: “Progetti in Burundi”. Il Burundi è un piccolo paese dell’Africa dei Grandi Laghi, ed è uno dei più poveri del pianeta. Nel Rapporto 2011 redatto da UNDP è classificato al terzultimo posto (185°) secondo l’Indice di Sviluppo Umano. I gruppi più vulnerabili della popolazione sono i malati di AIDS, le vedove, le ragazze-madri, gli orfani e le persone con handicap, senza tralasciare i problemi legati alla riconciliazione nazionale e alla ricostituzione del tessuto sociale ed economico. (altro…)
Vaikalpalayam è un piccolo villaggio indiano fatto di case umili e stradine asfaltate, anche se costellate di buche. All’imbocco del villaggio sorge una piccola costruzione in muratura ravvivata dalle grida di una ventina di bambini. Ospita uno dei dieci asili o balashanti, che l’istituzione gandhiana Shanti Ashram ha aperto nel corso degli anni nella zona di Coimbatore, vicino alla statale che porta verso il Kerala. Vent’anni fa, quando iniziò, l’asilo aveva un fine preciso: iniziare un processo educativo con i dalit (i più poveri) per offrire loro la possibilità di sperare in una vita più dignitosa. Quello che è successo qualcuno l’ha definito una vera rivoluzione. Nei villaggi indiani i dalit vivono ai margini dell’abitato, non possono attingere acqua dagli stessi pozzi dove si abbeverano gli altri e, fino a non molti decenni fa, era impensabile che entrassero negli stessi templi. Oggi, a Vaikalpalayam, bambini dalit e di casta superiore studiano, mangiano e pregano insieme e loro mamme si trovano fianco a fianco agli incontri dei genitori dei 220 bambini che frequentano gli asili fondati ed animati da questa organizzazione gandhiana, iniziata venticinque anni fa dal Dr. Aram, membro onorario del Parlamento indiano, pacifista ed educatore indiano di primissimo piano. Nei balashanti si mira a dare una formazione che coniughi i primi elementi dello scrivere e del leggere con il gioco, il canto e l’apprendimento di valori religiosi ed umani, oltre che un aiuto alla povera dieta quotidiana. Le famiglie del posto, infatti, non possono permettersi più di un pasto al giorno, con un salario che si aggira sui 60 dollari mensili.
Negli ultimi anni, con il grande sviluppo industriale di Coimbatore, sono sorti nuovi insediamenti di lavoratori precari nel campo dell’edilizia. Molti di questi sono musulmani. Anche in queste zone Shanti Ashram ha aperto alcuni balashanti, dove i bambini contribuiscono all’integrazione delle loro famiglie nel tessuto sociale della zona. L’idea di coinvolgere le madri ha permesso di iniziare incontri mensili dove si suggeriscono norme igieniche, regolesanitarie e si insegna alle donne come cucinare, con la limitatezza dei fondi a loro disposizione, cibi che abbiano un potere nutritivo sufficiente per i figli.
Per ovviare al problema dell’alcolismo che brucia le misere finanze familiari, si è integrato un gruppo di queste madri nel progetto del micro-credito. Ma anche i bambini, durante la loro formazione, ricevono insegnamenti mirati al risparmio. Karuna, quattro anni, lo scorso anno è riuscita a mettere nel suo salvadanaio 3 mila rupie, pari allo stipendio che il padre guadagna in un mese. Inoltre, nei balashanti s’imparano le norme igieniche che permettono di tenere lontane malattie tipiche della povertà. Il Dr. Aram e sua moglie Minoti, avevano ben chiaro che per costruire una pace duratura era necessario cominciare dai piccoli. Da qui l’idea di fondare asili che potessero formare bambini di pace. «Spesso – racconta Mrs. Murthy che per vent’anni ha seguito il progetto –, sono i bambini che aiutano a rompere il meccanismo della violenza familiare. Recentemente Divya, una bambina che studia al balashanti, durante un diverbio familiare è andata a sedersi in braccio al padre e gli ha detto: “Papà, la violenza è come il diavolo!”».
Inoltre, le maestre insegnano ai bambini il rispetto per ogni fede. La mattina si comincia con le preghiere indù, musulmane e cristiane. I piccoli di conseguenza crescono senza le barriere e i pregiudizi che hanno diviso per secoli gruppi e comunità di questa parte dell’India, creando tensioni sociali spesso sfociate in scontri violenti e sanguinosi. I Focolari lavorano a questo progetto fin dalla fine degli anni Novanta, quando Minoti Aram aveva avvertito la necessità di assicurare integratori nutritivi ed alimentari ai bambini dei balashanti. In quel momento i progetti di Famiglie Nuove e dei gandhiani di Shanti Ashram si sono incontrati dando vita ad una fraternità fra i due movimenti che si è aperta al dialogo interreligioso e alla formazione alla pace delle giovani generazioni. Gandhi, infatti, aveva affermato: «Se si desidera insegnare la vera pace (…), bisogna cominciare dai bambini». Roberto Catalano (Dall’Inserto redazionale allegato a Città Nuova n.5 – 2012) (altro…)
Mi chiamo Maria e lavoro per il Governo del mio Paese, nel settore della salute. Ogni giorno faccio l’esperienza che le parole del Vangelo aiutano a servire meglio il prossimo e anche a risolvere i problemi della società. Cercando di metterlo in pratica, infatti, i rapporti in ufficio sono radicalmente cambiati: sempre più familiari, aperti, liberi. Con tre colleghi condividiamo questo ideale di vita e insieme cerchiamo di fare del nostro lavoro un servizio alla gente, alla nostra città che ci presenta grandi sfide. In Sudafrica esistono due livelli di governo: uno più tradizionale, che vede a capo gli Kgosi (chief), che hanno determinate aspettative sul territorio e un livello governativo con i rappresentanti eletti che ne hanno altre. La nostra sfida è quella di comporre l’accordo tra i due livelli, in modo che ogni decisione presa sia per il bene reale della comunità, affinché essa sia sempre più partecipe dei progetti proposti.
Ad esempio, abbiamo realizzato sei ambulatori per il nostro distretto. Tutto il lavoro si è svolto col pieno accordo dei due livelli di governo, in modo che ogni struttura è stata pienamente riconosciuta sul territorio. Alla cerimonia di inaugurazione sono intervenute diverse autorità, anche i membri del comitato esecutivo del Governo. Pochi giorni prima dell’evento, uno degli Kgosi ci aveva chiamato, dicendo che non sarebbe venuto alla cerimonia per una presunta disparità di trattamento tra i membri del governo locale e i capi tradizionali. Si stava profilando un disastro vero e proprio, sotto tutti i punti di vista. C’era il pericolo che anche la gente del villaggio non partecipasse più alla cerimonia. Abbiamo cercato di risolvere la situazione andando a trovare il “chief” a casa sua. Gli abbiamo presentato un profilo dettagliato di ogni ambulatorio. Grazie a questo gesto il suo atteggiamento è cambiato e ha dato infine l’assenso alla cerimonia che poi si è rivelata un successo, un momento importante per tutta la comunità.
Anche oggi continuiamo a vivere ogni compito che ci viene affidato come un’occasione di incontro e di crescita per la città. E, lentamente, vediamo che migliorano i legami tra i cittadini e i funzionari. Cresce la fiducia gli uni negli altri. Leaders tradizionali e consiglieri eletti stanno trovando, inoltre, il proprio ruolo nel pieno rispetto di quello dell’altro. Così, mentre il progetto per la cura dell’infanzia è oggi affidato ai responsabili tradizionali, quello per i giovani è seguito dai consiglieri municipali. Non è più necessario nemmeno spiegare alle diverse autorità le nostre scelte, perché si fidano, e l’unione tra tutti cresce e si sviluppa a servizio della comunità. Sperimentiamo che se si cerca di mettere in pratica il Vangelo, niente è davvero impossibile! (altro…)
“Signore, da chi andremo? Solo tu hai le parole di vita eterna” (Gv. 6:68). Produzione: Movimento dei Focolari. Montaggio: Oscar Monteza (Rome). Animazione e doppiaggio: Corre Ruse (Londra) (altro…)
«Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» Pietro aveva capito che le parole del suo Maestro erano diverse da quelle degli altri maestri. Le parole che vanno dalla terra alla terra, appartengono e hanno il destino della terra. Le parole di Gesù sono spirito e vita perché vengono dal Cielo: una luce che scende dall’Alto ed ha la potenza dell’Alto. Le sue parole possiedono uno spessore ed una profondità che le altre parole non hanno, siano esse di filosofi, di politici, di poeti. Sono «parole di vita eterna»[4] perché contengono, esprimono, comunicano la pienezza di quella vita che non ha fine, perché è la vita stessa di Dio. Gesù è risorto e vive, e le sue parole, anche se pronunciate nel passato, non sono un semplice ricordo, ma parole che egli rivolge oggi a tutti noi e a ciascuna persona di ogni tempo e di ogni cultura: parole universali, eterne. Le parole di Gesù! Devono essere state la sua più grande arte, se così si può dire. Il Verbo che parla in parole umane: che contenuto, che intensità, che accento, che voce! «Un giorno ‑ racconta ad esempio Basilio il Grande[5] ‑, quasi svegliandomi da un lungo sonno, guardai la luce meravigliosa della verità del Vangelo e scoprii la vanità della sapienza dei prìncipi di questo mondo»[6]. Teresa di Lisieux in una lettera del 9 maggio 1897 scrive: «Qualche volta, quando leggo certi trattati spirituali… il mio povero piccolo spirito non tarda a stancarsi. Chiudo il libro dei sapienti che manda in pezzi la mia testa e dissecca il mio cuore, e prendo in mano la Sacra Scrittura. Allora tutto mi diventa luminoso, una sola parola dischiude all’anima mia orizzonti infiniti e la perfezione mi sembra facile»[7]. Sì, le parole divine saziano lo spirito fatto per l’infinito; illuminano interiormente non solo la mente, ma tutto l’essere, perché sono luce, amore e vita. Danno pace ‑ quella che Gesù chiama sua: «la mia pace» ‑ anche nei momenti di turbamento e di angoscia. Danno gioia piena pur in mezzo al dolore che a volte attanaglia l’anima. Danno forza soprattutto quando sopraggiungono lo sgomento o lo scoraggiamento. Rendono liberi perché aprono la strada della Verità. «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» La Parola di questo mese ci ricorda che l’unico Maestro che vogliamo seguire è Gesù, anche quando le sue parole possono sembrare dure o troppo esigenti: essere onesti nel lavoro, perdonare, mettersi a servizio dell’altro piuttosto che pensare egoisticamente a se stessi, rimanere fedeli nella vita familiare, assistere un ammalato terminale senza cedere all’idea dell’eutanasia… Ci sono tanti maestri che ci invitano a soluzioni facili, a compromessi. Vogliamo ascoltare l’unico Maestro e seguire lui, che solo dice la verità ed ha «parole di vita eterna». Così possiamo ripetere anche noi queste parole di Pietro. In questo periodo di Quaresima in cui ci prepariamo alla grande festa della Resurrezione, dobbiamo veramente metterci alla scuola dell’unico Maestro e farci suoi discepoli. Anche in noi deve nascere un amore appassionato per la parola di Dio: la accogliamo con attenzione quando ci viene proclamata nelle chiese, la leggiamo, la studiamo, la meditiamo… Ma soprattutto siamo chiamati a viverla, secondo l’insegnamento della stessa Scrittura: «Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi»[8]. Per questo ogni mese ne prendiamo in considerazione una in particolare, lasciando che ci penetri, ci modelli, “ci viva“. Vivendo una Parola di Gesù viviamo tutto il Vangelo, perché in ogni sua Parola egli si dona tutto, viene lui stesso a vivere in noi. E’ come una goccia di sapienza divina di Lui, il Risorto, che lentamente ci scava dentro e sostituisce il nostro modo di pensare, di volere, di agire in tutte le circostanze della vita. Chiara Lubich Pubblicata in Città Nuova, 2003/4, p.7
Maria e John vivono in Italia da tanti anni. “Ci siamo chiesti – raccontano, dando la loro testimonianza in occasione dell’anniversario di Renata Borlone – se, pur sicuri di essere fatti l’uno per l’altra, avremmo potuto essere testimoni d’unità nella nostra stessa famiglia: io americano e Maria austriaca immersi nella società italiana”. Le diversità tra loro sono molteplici e sembrano contrapporsi: il nuovo continente americano e il vecchio mondo d’Europa. La lingua: non parlano tra loro né il tedesco né l’inglese, ma una terza, l’italiano. Diversità di cultura, di famiglia d’origine, di formazione professionale e intellettuale, di età (13 anni di differenza), e poi – racconta ancora John – “semplicemente io sono un uomo e lei è una donna, con carattere, esigenze e sensibilità diverse”. «Un episodio emblematico di questa diversità è accaduto proprio durante il viaggio di nozze in Sicilia – continua -. Tutto è bello, incantevole… arriviamo a Selinunte e Maria esclama entusiasta: ‘Che belli questi templi, parlano di un passato meraviglioso’. Ed io: ‘Che ci stanno a fare queste vecchie pietre e colonne mezze rotte? Sarebbe meglio buttarle giù per costruire un bel grattacielo’ Dove sarà il nostro punto d’incontro? Certi del progetto d’amore che Dio aveva su di noi, abbiamo intuito che né nei templi (=storia), né nel grattacielo (= terra giovane, nuova) ci saremmo incontrati, ma nell’accoglierci l’un l’altro».
«E questo accoglierci ce lo ha insegnato Renata con la sua vita. Lei aveva un’arte speciale nell’ascoltare, metteva sempre l’altro al primo posto, in assoluto. Mi sentivo pienamente accolta, capita, amata». È Maria che racconta, toccando alcuni momenti difficili vissuti nel matrimonio. «Non capivo più mio marito. Il suo modo di essere e di pensare mi metteva in crisi, ma ormai avevamo quattro figli piccoli. Una sera mi sembrava di non farcela più e sono corsa da Renata. Ho buttato su di lei il mio più grande dubbio: avevo sbagliato a sposare John! Come sempre, mi ha accolta prendendo su di sé la mia sofferenza poi, con una certezza incrollabile, mi ha ricordato che, quando mi ero sposata, ero sicura che John fosse la persona giusta per me, al di là delle nostre diversità. Quella sera ho acquistato una forza nuova. Sì, ce l’avremmo fatta ad amarci fino alla fine!». «Ancora oggi, dopo 40 anni di vita insieme, – conclude John – sperimentiamo, quanto sia vero che se accogliamo le nostre diversità in positivo, come qualcosa che ci può arricchire e completare, allora nasce e rinasce un’armonia nuova tra noi». (altro…)
Dedicato al tema della solidarietà tra le generazioni. Il progetto: Caritas Italiana propone un itinerario per vivere la Quaresima e la Pasqua rivolto ai bambini e agli adulti. Il Kit comprende:
Professor Luigino Bruni, nel suo articolo pubblicato su Nuova Umanità lei descrive la figura dell’imprenditore, in modo singolare. Ci può spiegare da dove, le figure dell’investitore, del manager, dello speculatore, si sono andate a confondere con quella dell’imprenditore-innovatore? Molto dipende dalla rivoluzione della finanza, che ha investito l’economia (prassi e teoria) negli ultimi 20 anni (…) per effetto della globalizzazione. L’Occidente ha rallentato la sua crescita, ma non ha voluto ridurre i consumi. La finanza creativa ha allora promesso una fase di crescita dei consumi senza crescita di reddito, con nuovi strumenti tecnici. Questo ha fatto sì che tanti imprenditori si sono trasformati in speculatori, pensando di fare profitti speculando, lasciando il loro settore tradizionale e vocazione (si pensi a che cosa facevano negli anni novanta la Fiatela Pirelli, per restare in Italia, ma anche l’ex Olivetti). Una seconda ragione è stata la uniformazione delle culture aziendali, sulla scia di un forte potere della cultura anglosassone. La tradizione europea e italiana di gestione delle imprese erano caratterizzate da una forte attenzione alla dimensione comunitaria e sociali, a causa della presenza di un paradigma cattolico-comunitario. Questo ha fatto sì, insieme alla prima causa della rivoluzione finanziaria, che i managers assumessero un ruolo sempre più centrale nelle grandi imprese, a scapito degli imprenditori tradizionali. Oggi c’è un enorme bisogno di rilanciare una nuova stagione di imprenditori, se vogliamo uscire dalla crisi, e di ridurre il peso degli speculatori. Partendo dalla Teoria dello sviluppo economico di Schumpeter, descrive il mercato come una “staffetta virtuosa” tra innovazione e imitazione, però il profitto per l’innovatore è essenzialmente circoscritto al lasso di tempo che passa tra l’innovazione e l’imitazione. Come evitare che tale “staffetta virtuosa”generi invece il danneggiamento reciproco tra imprese?
Qui un ruolo importante lo svolge la politica, e in generale le istituzioni, che dovrebbero far sì, con opportune normative a garanzia della concorrenza e del corretto funzionamento dei mercati, che la staffetta sia virtuosa e non viziosa. Ma un ruolo co-essenziale lo svolge anche la società civile, i cittadini-consumatori, che con le loro scelte di acquisto debbono premiare le imprese che hanno comportamenti eticamente corretti, e “punire” (cambiando impresa) quelle che hanno un atteggiamento predatorio e aggressivo. Il mercato funziona e porta frutti civili quando è in continuo rapporto con le istituzioni e con la società civile. Infine tratteggia le caratteristiche della “civil concorrenza” in cui la competizione non si gioca sull’asse Impresa A contra Impresa B per sottrarsi il cliente C, bensì sull’asse Impresa A pro cliente C e Impresa B pro cliente C. Ci può spiegare gli effetti positivi, che questo diverso modo di vedere la concorrenza genera? In primo luogo contribuisce a creare un tono affettivo diverso nel vivere gli scambi di mercato. La nostra lettura e descrizione del mondo è molto importante per i comportamenti che poniamo in essere. Se leggo che il mercato è una lotta per vincere, quando vivo momenti di scambio di mercato, o anche a lavoro, tendo ad avvicinarmi a questi ambiti con un atteggiamento mentale e spirituale che influenza molto i risultati che poi ottengo, e la felicità (o infelicità) che sperimento. Se invece vedo il mercato come un grande network di relazioni cooperativo, favorisco la creazione di beni relazionali anche nei momenti “economici” della mia vita, e la felicità individuale e collettiva aumenta. Inoltre, leggere il mercato come cooperazione è più aderente alla visione dei grandi classici della storia del pensiero economico (Smith, Mill, Einaudi, e oggi Sen o Hirschman), e più vicino a quanto milioni di persone sperimentano ogni giorno lavorando e scambiando, e non solo nell’economia sociale. Quali esempi di “civil concorrenza” ci può fornire? E come pensa che possano essere sostenuti e valorizzati, per creare quella rete sociale di rapporti di cooperazione e mutuo vantaggio?
Il microcredito, la cooperazione sociale, l’economia di comunione, il commercio equo e solidale, sono esempi di questa civile concorrenza, almeno come fenomeni macroscopici. Ma anche fenomeni che sembrano lontani possono essere letti con questa griglia. Pensiamo, ad esempio, alla logica degli hotel low cost e il loro rapporto con gli hotel più tradizionali. Possiamo leggere la logica di questi nuovi hotel in questo modo: «ti propongo, cliente, un contratto di mutuo vantaggio.
Ti diamo meno di altri hotel (reception, servizi in camera, accompagnatori negli ascensori…), ma ti chiediamo anche di meno (paghi poco): se nell’hotel cerchi l’essenziale (dormire in un luogo pulito e semplice) vieni da noi; se vuoi altre cose, vai dai nostri concorrenti». Il mercato dovrebbe funzionare così: cercare di soddisfare sempre meglio i bisogni degli altri, in un’ottica di mutuo vantaggio. Per sostenere un mercato civile, anche qui conta la sfera politica. Oggi, ad esempio, in Italia se si estendono all’economia civile i provvedimenti che il Governo sta varando, per ora, solo per le imprese for-profit, si creerebbero centinaia di migliaia di posti di lavoro. Cose serie, quindi, e rilevanti per la vita di tutti. di Valentina Raparelli (Nuova Umanità, n. 199, 19 Gennaio 2012) (altro…)
L’Unione di 50 Stati, conosciuta come Stati Uniti d’America, si estende su un vasto territorio dall’estremo nordovest dell’Alaska all’estremo sudest della Florida.
I primi focolarini arrivano dall’Italia nel 1961. In quegli anni si aprono i primi centri del Movimento a Manhattan, Chicago e Boston; verso la fine del ’70, a San Antonio e Los Angeles, seguiti dai centri di Washington, D.C., Columbus e Atlanta. La “Mariapoli Luminosa”, situata a Hyde Park (NewYork) e inaugurata nel 1986, è il cuore del Movimento in Nord America. “Sono stata profondamente colpita da questo Paese, ho avuto una bella impressione – ebbe a scrivere Chiara Lubich nel 1964 durante il suo primo viaggio a New York – (…) Mi sembra particolarmente adatto allo spirito del Focolare. Non c’è aria di superiorità etnica, ma un chiaro senso di internazionalità. Vi è la semplicità. Alla Messa ho pregato per il Movimento in questo continente e spero che Dio ascolti la mia preghiera perché sto pregando per la diffusione del Suo regno”.
La sua preghiera viene ascoltata. Infatti, nel corso degli anni fioriscono comunità in tutto il Paese. Con la crescita del Movimento dei focolari si sviluppano i dialoghi con altre religioni. Con gli ebrei che vengono a contatto con la Spiritualità dell’unità, il dialogo si esprime nella vita quotidiana, nella collaborazione professionale e nello studio teologico. Un fraterno “dialogo della vita” si sviluppa con i musulmani seguaci dell’Imam W.D Mohammed in ogni angolo del Paese. Chiara visita gli Stati Uniti per ben sette volte. Nel 1990 evidenzia di aver “colto i vari segni d’un mondo unito” in questa terra. Nel maggio 1997, ospite dell’Imam W. Deen Mohammed, parla della spiritualità dell’unità a circa 3000 musulmani riuniti alla Moschea Malcolm Shabazz, di Harlem. Al Palazzo di vetro delle Nazioni Unite, poi, in un simposio organizzato in suo onore dalla WCRP (Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace), parla dell’unità dei popoli. Infine, le viene conferita una laurea h.c. dalla Sacred Heart University di Fairfield (Connecticut).
Nel 2000, l’Imam Mohammed la invita a tornare negli Stati Uniti: “L’America ha bisogno del tuo messaggio”– dice. Il 2 novembre di quell’anno, 5000 tra cristiani e musulmani si radunano a Washington D.C. per un incontro promosso dalle due comunità intitolato “Faith Communities Together” (Comunità di fede insieme). Incontri di questo tipo si moltiplicano in varie città, con eventi annuali che somigliano di più a riunioni di famiglia che ad incontri di dialogo. In quello che è il suo ultimo viaggio negli USA, Chiara riceve una laurea honoris causa in pedagogia all’Università Cattolica di Washington D.C., con una sala gremita da oltre 3.000 persone tra cui ebrei, buddisti, indù e numerosi musulmani afro americani, a sottolineare il contributo dei Focolari al dialogo tra le religioni. Intanto, mette radici il progetto dell’Economia di Comunione con 19 aziende che operano in campi diversi: come l’ingegneria ambientale, l’arte, l’istruzione, l’agricoltura, il tempo libero e la consulenza aziendale.
La recente visita, nel 2011, dell’attuale presidente dei Focolari Maria Voce e del co-presidente Giancarlo Faletti, in occasione del 50° anniversario dell’arrivo del Movimento in Nord America, raduna 1.300 persone rappresentanti delle molte comunità del Canada, Stati Uniti e Caraibi, compresi ebrei e musulmani afroamericani. E sempre per il 50° anniversario, esce il volume “Focolare – Living a Spirituality of Unity in the United States”. Il libro cerca di rispondere alle domande sul Movimento oggi, attraverso storie avvincenti di una varietà di Americani (bambini, giovani, coppie di sposi, anziani, single, suore, sacerdoti e vescovi che fanno parte dei Focolari), le cui vite sono state trasformate dall’incontro con Gesù. I lettori vi possono scoprire i valori spirituali e pratici essenziali del Focolare, i vari ‘sentieri vocazionali’ dei suoi membri e la sua efficacia nell’impegno per sostenere i valori della cultura americana come la felicità, la libertà, la comunità e l’impegno per il bene comune nella vita pubblica.
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Nel 1979, la nostra famiglia si è trasferita a North Riverside, un sobborgo di circa 6.000 abitanti, vicino a Chicago. Durante quel periodo venimmo a sapere che nostro figlio David, gravemente handicappato, aveva bisogno di terapia intensiva. I nostri vicini, compresi anche i vigili del fuoco, ci hanno aiutato, ogni giorno, per sei anni, per far sì che David potesse un giorno riuscire a camminare e a parlare. Mi ricordo di aver chiesto a Dio che ci mostrasse il modo di fare anche noi qualcosa per la nostra città e la sua gente. Non molto tempo dopo, il nostro ex-sindaco scrisse una lettera chiedendo idee per un programma di servizi di quartiere per cui vi sarebbero stati dei responsabili per ogni isolato. Risposi alla sua lettera raccontandogli la mia esperienza. Qualche tempo dopo, mi chiese se potevo essere io a coordinare il programma. C’erano 72 responsabili, uno per ogni isolato di North Riverside. Pensai di proporre loro di mirare a far diventare il loro isolato una famiglia, in cui nessuno si sentisse più solo. Abbiamo adattato “i punti dell’arte di amare”, di Chiara Lubich, e ne son venuti fuori quattro che ho chiamato “L’Arte del Prendersi Cura”. In ogni incontro dei responsabili prendevo uno dei punti e lo illustravo con un’ esperienza concreta su uno di questi punti. All’inizio utilizzavo esperienze mie e della mia famiglia , oppure storie di persone famose. Dopo un paio d’anni, però, loro stessi cominciarono a comunicare agli altri ciò che avevano fatto per vivere i punti del “prendersi cura”.
Una delle prime esperienze riguardava una nuova arrivata che aveva l’abitudine di lasciare i suoi cani fuori ad abbaiare, dalla mattina presto fino alla sera tardi. Invece di lamentarsi e chiamare la polizia, il responsabile e i vicini si misero ad “amare i loro nemici” cercando di stabilire un rapporto con la proprietaria, preparando dei biscotti per lei ed aiutandola perfino a prendere i cani quando scappavano dal cortile. Solo allora le fecero presente la loro preoccupazione che il continuo abbaiare potesse disturbare un bambino appena nato loro vicino. Il sindaco non solo incoraggiava queste azioni individuali, ma cercò anche, attraverso i responsabili degli isolati, di coinvolgere tutto il villaggio nel “prendersi cura degli altri”. Ad esempio, quando arriva un nuovo residente, i responsabili gli danno il benvenuto con pacco regalo. Si interessano delle persone, specialmente di quelle che soffrono. Mandano loro un biglietto, portano viveri, ascoltano i loro problemi… “Ci serviamo del mail per comunicarci queste necessità, come in una famiglia, e così tutti sappiamo chi ha bisogno di aiuto” – raccontano.
Alcuni responsabili spesso si offrono di portare qualcuno dal medico o far la spesa per chi è confinato in casa. “Proprio di recente abbiamo pubblicato un libretto con le esperienze fatte nell’arco di vent’anni; ed anche con delle idee per aiutare chiunque voglia vivere la ‘Regola d’Oro’ di fare agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te” – continuano. Il libretto è stato distribuito a medici, assistenti sociali, insegnanti e politici; e a tutti quelli che vogliono fare la differenza nel loro angolo di mondo. “L’Arte del Prendersi Cura” si è anche estesa da North Riverside ad altre città. In uno degli incontri tra delegazioni di varie città, il redattore del bollettino d’informazione ha detto: “Quando parlo di North Riverside ai miei concittadini, mi dicono che una città del genere non può esistere. Ed io rispondo: Venite e vedrete!” Leggi più: http://www.northriverside-il.org/departments/recreation/neighborhoodservices.html (altro…)
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Cristiani di una parrocchia cattolica di Basilea in visita alla comunità islamica del quartiere. Dopo la preghiera dei musulmani, c’è stato il pranzo insieme. «Nel pomeriggio, un torneo di calcio: squadre di bambini, giovani, adulti, e anche “imam contro preti”!» – racconta l’imam Mohammed Tas di Kleinbasel. «Noi parroci abbiamo perso, ma l’amicizia è cresciuta», osserva con un sorriso il parroco Ruedi Beck. E l’imam continua: «Abbiamo la gioia di ritrovarci. Molte cose ci uniscono: viviamo nella stessa città, siamo persone, abbiamo tutti molto lavoro e molte preoccupazioni. Preghiamo l’uno per l’altro e ci aiutiamo, dove possiamo». Questo è uno degli esempi che, durante la giornata “Musulmani e cristiani in dialogo”, lo scorso 12 febbraio a Baar, ha manifestato che è possibile realizzare rapporti di famiglia fra comunità religiose diverse. Erano 80 i partecipanti, convenuti dalle tre regioni linguistiche svizzere, 40 cristiani e 40 musulmani, originari di 17 nazioni, fra cui Kosovo, Iraq, Iran, Turchia, Macedonia, Costa d’Avorio, Africa del Nord. Hanno partecipato attivamente al dialogo anche personalità conosciute nella Confederazione Elvetica, come il dott. Taner Hatipoglu, presidente della lega delle organizzazioni musulmane di Zurigo e quattro Imam. Alla base del dialogo il tema “Ascoltare e vivere la Parola di Dio”. Ali Cetin, imam di Baar, ha introdotto i presenti alla comprensione musulmana di chi è Dio e la sua parola per i musulmani: «Colui che è veramente amato e lo riconosce, legge l’e-mail, il messaggino o una lettera del suo amico parola per parola più volte. Stima la scrittura, ogni parola, ogni frase. È così che il musulmano onora il Corano, come una lettera che Dio ha inviato agli uomini. I suoi versetti sono citati con amore, imparati a memoria e messi in pratica».
Nel pensiero cristiano l’amore di Dio uno e trino è un punto centrale. La sua importanza è venuta in forte rilievo in un brano di un discorso di Chiara Lubich, in occasione di un congresso internazionale con amici musulmani a Roma, nel 1998. Diceva: «Noi crediamo che Dio ci ama immensamente… E nel Corano sta scritto: ‘I credenti non amano diversamente da come amano Dio.’ Questa è la cosa più forte che ci può unire. Così non siamo più solo musulmani e cristiani, ma fratelli e sorelle, persone che mettono Dio al primo posto».
L’imam Mustapha Baztami di Teramo (Italia), uno dei relatori, che ha personalmente conosciuto Chiara Lubich, ha affermato: “Chiara Lubich è la prima cristiana, la prima donna che ha parlato in una moschea ad Harlem (1997). È riuscita a creare un ponte fra le religioni. Non ha avuto timore di incontrare le differenze delle varie religioni, perché ha fatto della sua fede nell’Amore di Dio un modo di vivere e non degli slogan vuoti”. Gli ha fatto eco una musulmana impegnata: “Oggi ci siamo incontrati sullo stesso livello, come in una famiglia, accettati da tutti. Formiamo un ponte, una ‘terra di nessuno’ che lega tutti”.
E infine, la Regola d’oro, a conclusione dell’incontro, ricordata da Marianne Rentsch e Franco Galli, responsabili del Movimento dei focolari in Svizzera: «Nessuno di voi è credente se non desidera per il fratello ciò che desidera per se stesso» (Maometto, Hadith 13, libro dei 40 Hadithe di al-Nawawii); «E come volete che gli uomini facciano a voi, così fate a loro» (Vangelo secondo Luca 6,31). Così come viene espressa nella tradizione cristiana e in quella islamica, che – stampata in formato carta di credito, nelle tre lingue nazionali della Svizzera, ciascun partecipante ha portato via come promemoria. Beatrix Ledergerber-Baumer (altro…)
Conoscere, Vivere, Comunicare, Agire. Attorno a queste 4 piste di pensiero e azione si è svolto dal 17 al 21 febbraio al Centro Mariapoli di Castelgandolfo il congresso dei gen 3. 410 ragazzi, dai 13 ai 17 anni, di 17 nazionalità diverse, alcune anche extraeuropee: Brasile, Panama, Cile, Costarica e Venezuela. Presente anche un rappresentante dall’Iraq. Tema centrale dell’incontro: “La Parola Crea”, che i ragazzi hanno approfondito in vari modi attraverso un articolato programma che ha alternato momenti in sala, lavoro in gruppo, tempi di dialogo su vari temi e anche spazi di “a tu per tu con Dio”. I gen 3 non sono stati con le mani in mano. Da veri protagonisti dell’incontro si sono lanciati in una serie di laboratori in cui hanno potuto sperimentarsi sul tema della “Parola” nei diversi campi della comunicazione. Divisi in piccoli gruppi hanno lavorato esplorando i segreti della pubblicità e le tecniche dei telegiornali e del Web. Hanno conosciuto da vicino le redazioni del Giornale gen3, di focolare.org e del SIF (servizio informazione focolari). E ancora si sono messi alla prova con la Teens TV, Teens radio, Città nuova, il Centro Santa Chiara Audiovisivi, e il settore informatica. Alcuni poi sono scesi in campo e sono andati ad intervistare il sindaco di Grottaferrata (Roma) Gabriele Mori al quale hanno rivolto 9 domande su Chiara Lubich, il movimento dei Focolari, la sua vita politica, su come vive il Vangelo e sul ruolo dei ragazzi nella vita della città. Un nutrito gruppo di gen 3 ha lavorato fianco a fianco con i membri del gruppo internazionale Gen Rosso, per la messa a punto di uno spettacolo dal titolo “Street light” che è andato poi in scena al palazzetto dello sport di Genzano (Roma) messo a disposizione dal sindaco ed aperto a tutti con ingresso gratuito. È una storia metropolitana di bullismo accaduta negli anni ’60 a Chicago in cui si racconta in maniera creativa come si può vincere con la pace, il perdono, la solidarietà reciproca. L’avversario non è un nemico. Anche i gen 3 hanno le loro storie di vita quotidiana illuminata dal Vangelo. Prendono la parola ragazzi africani, europei, sudamericani dove alla vendetta per un danno subito, si risponde con il perdono, e alla strada più facile dell’adeguarsi, si sceglie di andare controcorrente. “Gioco in una squadra di pallacanestro – racconta Andrea -. Tempo fa, durante una partita, per un mio fallo, un ragazzo è caduto a terra; mi sono avvicinato e l’ho aiutato ad alzarsi. Dalla panchina, il mio allenatore si è arrabbiato perché avevo aiutato un avversario. Secondo la sua filosofia non avrei dovuto farlo. Ho pensato però che dovevo voler bene a quel ragazzo ma anche all’allenatore e fargli capire che si poteva vincere rispettando comunque l’avversario, non considerandolo un nemico”. (altro…)
Maria Voce visita la comunità dei Focolari (9-14 febbraio 2012) (altro…)
Castelgandolfo, 17-21 February 2012 (altro…)