Set 28, 2016 | Chiara Lubich, Chiesa, Cultura, Focolari nel Mondo, Senza categoria, Spiritualità
A seguito della morte di Paolo VI, «20 giorni dopo, il 26 agosto, sale alla Cattedra di Pietro il “Papa del sorriso”, Giovanni Paolo I. Ma, se il suo brevissimo pontificato dura solo un mese, egli ha tempo per fare un sorriso pure a noi con parole benedicenti». Così scrive Chiara Lubich nel libro “Il grido” (1), dove mette in evidenza il rapporto ininterrotto avuto con i successori di Pietro. Anche con Albino Luciani, pur nel brevissimo tempo del suo pontificato. «Il nuovo papa ha il dono di farsi capire immediatamente da tutti – scrive Guglielmo Boselli (2), allora direttore di Città Nuova –, anche dai bambini. Ha il linguaggio normale, immediato che usava Gesù, la sapienza del cuore che rende capace di comunicare subito un rapporto spontaneo: il dono meraviglioso di chi viene da una lunga esperienza pastorale, sempre a contatto con la gente, e non ha bisogno di discorsi difficili da addetti ai lavori. È un uomo con una vasta cultura umanistica e teologica, che ha superato la fase in cui si trovano coloro che ancora studiano il cristianesimo in laboratorio: le sue parole sono immediatamente quelle che devono essere. Basta che apra bocca e già l’intesa c’è, comunicativa, vera». La sua elezione si era svolta dopo un breve conclave durato solo ventisei ore. Era stato scelto “un apostolo del Concilio”, come si disse. All’udienza con i cardinali, il 30 agosto, infatti, in riferimento alla Lumen gentium 22 toccava uno dei punti chiave dell’ecclesiologia del Vaticano II. «I vescovi – disse a braccio – devono pensare anche alla Chiesa universale… dietro voi vedo i vostri vescovi, le Conferenze, che nel clima instaurato dal Concilio devono dare forte appoggio al Papa… Ecco, questo è vero, però oggi c’è un gran bisogno che il mondo ci veda uniti… Abbiate pietà del povero Papa nuovo, che veramente non aspettava di salire a questo posto. Cercate di aiutarlo e cerchiamo insieme di dare al mondo spettacolo di unità, anche sacrificando qualche cosa alle volte; ma noi avremmo tutto da perdere se il mondo non ci vede saldamente uniti». Dopo soli 33 giorni, il 28 settembre, la notizia sconcertante della sua morte. «Giovanni Paolo I – scrive ancora Guglielmo Boselli (3) – ha avuto il compito, forse, di abbattere le ultime apparenze esterne di ogni “distanza” fra il papa, fra il vescovo di Roma “presidente della carità” e il popolo, che ancora potevano resistere: per fare un dialogo da uomo fra uomini in una chiesa, nella quale tutto è credibile, autentico. Papa Luciani ha fatto la sua parte: forse non doveva, e non poteva, fare di più». Non si fa fatica a riconoscere una chiara continuità con papa Francesco. (1) Chiara Lubich, Il grido, Città Nuova ed., pag 107 (2) Città Nuova, 17/1978, pag. 8 (3) Ibid. 19/1978, pag. 9 (altro…)
Set 28, 2016 | Parola di Vita
In una società violenta come quella nella quale viviamo, il perdono è un argomento difficile da affrontare. Come si può perdonare chi ha distrutto una famiglia, chi ha commesso crimini inenarrabili o chi, più semplicemente, ci ha toccato sul vivo in questioni personali, rovinando la nostra carriera, tradendo la nostra fiducia? Il primo moto istintivo è la vendetta, rendere male per male, scatenando una spirale di odio e aggressività che imbarbarisce la società. Oppure interrompere ogni relazione, serbare rancore e astio, in un atteggiamento che amareggia la vita e avvelena i rapporti. La Parola di Dio irrompe con forza nelle più varie situazioni di conflitto e propone, senza mezzi termini, la soluzione più difficile e coraggiosa: perdonare. L’invito, questa volta, ci giunge da un saggio dell’antico popolo di Israele, Ben Sira, che mostra l’assurdità della domanda di perdono rivolta a Dio da una persona che a sua volta non sa perdonare. «A chi [Dio] perdona i peccati? – leggiamo in un antico testo della tradizione ebraica – A chi sa perdonare a sua volta»1. È quanto Gesù stesso ci ha insegnato nella preghiera che rivolgiamo al Padre: «Padre… rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori?» (Mt 6, 12). Anche noi sbagliamo, e ogni volta vorremmo essere perdonati! Supplichiamo e speriamo che ci sia data nuovamente la possibilità di ricominciare, che si abbia ancora fiducia nei nostri confronti. Se è così per noi, non lo sarà anche per gli altri? Non dobbiamo amare il prossimo come noi stessi? Chiara Lubich, che continua a ispirare la nostra comprensione della Parola, così commenta l’invito al perdono: esso «non è dimenticanza che spesso significa non voler guardare in faccia la realtà. Il perdono non è debolezza, e cioè non tener conto di un torto per paura del più forte che l’ha commesso. Il perdono non consiste nell’affermare senza importanza ciò che è grave, o bene ciò che è male. Il perdono non è indifferenza. Il perdono è un atto di volontà e di lucidità, quindi di libertà, che consiste nell’accogliere il fratello così com’è, nonostante il male che ci ha fatto, come Dio accoglie noi peccatori, nonostante i nostri difetti. Il perdono consiste nel non rispondere all’offesa con l’offesa, ma nel fare quanto Paolo dice: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male”(Rom 12, 21). Il perdono consiste nell’aprire a chi ti fa del torto la possibilità d’un nuovo rapporto con te, la possibilità quindi per lui e per te di ricominciare la vita, d’aver un avvenire in cui il male non abbia l’ultima parola». La Parola di vita ci aiuterà a resistere alla tentazione di rispondere a tono, di ricambiare il male subìto. Ci aiuterà a vedere chi ci è “nemico” con occhi nuovi, riconoscendo in lui un fratello, anche se cattivo, che ha bisogno di qualcuno che lo ami e lo aiuti a cambiare. Sarà la nostra “vendetta d’amore”. «Dirai: “Ma ciò è difficile” – continua Chiara nel suo commento –. Si capisce. Ma qui è il bello del cristianesimo. Non per nulla sei alla sequela di un Dio che, spegnendosi in croce, ha chiesto il perdono a suo Padre per chi gli aveva dato la morte. Coraggio. Inizia una vita così. Ti assicuro una pace mai provata e tanta gioia sconosciuta»2.
Fabio Ciardi
1 Cf. Talmud babilonese, Megillah 28a. 2 Costruire sulla roccia, Città Nuova, Roma 1983, p. 46-58. (altro…)
Set 28, 2016 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
La manna dal cielo «Sono iracheno e come professione faccio il veterinario. Nel drammatico momento storico che sta vivendo il nostro Paese anche il mio lavoro ne aveva risentito: pochi ormai i clienti. A forza di cercare qualche soluzione per tirare avanti, mi è stato promesso un posto con salario alto, lontano però, dalla mia città. Una soluzione favorevole per la mia famiglia ma che mi avrebbe allontanato da tutti. I parenti insistevano perché accettassi quella che sembrava proprio una manna discesa dal cielo. Ne ho parlato a lungo con mia moglie e alla fine, ci è sembrato non opportuno partire in quel momento sia per il bambino, sia per alcune famiglie di amici che avevano bisogno del nostro sostegno, se non altro morale. Così abbiamo rinunciato a quel progetto, fidandoci ciecamente dell’amore di Dio. Incredibilmente, già dal giorno dopo questa scelta sofferta, il mio lavoro ha avuto un miglioramento. Ora riesco a guadagnare quattro volte più di quanto guadagnavo prima». (Y.K. Iraq) L’imprevisto «Eravamo sposati da poco quando, nell’imminenza di fare trasloco, abbiamo scoperto di aspettare il nostro primo bambino. A tutto ciò si è aggiunto un imprevisto: un piccolo nodulo al seno. Gli esami fatti hanno evidenziato trattarsi di tumore. Sia per me che per mio marito che è medico, è stato un duro colpo, il primo di questa gravità dopo il matrimonio. Appena tre giorni dopo il colloquio con lo specialista sono stata operata. Secondo lui e i suoi colleghi tenere il bambino costituiva il fattore aggravante la malattia: bisognava subito procedere ad un aborto terapeutico per cominciare la chemioterapia. Non volevamo però rassegnarci a fare questo passo. Confidando in Dio abbiamo consultato altri medici, cercando soluzioni alternative. Infine abbiamo deciso per il parto cesareo al settimo mese di gravidanza, quando il bambino sarebbe stato perfettamente in grado di sopravvivere. Solo dopo avrei iniziato la chemioterapia e la radioterapia. Sono passati 8 anni da allora. Ora attendiamo il terzo figlio». (M.D. Francia) Più gioia nel dare «Cercavo la felicità in modo sbagliato: pessime compagnie, discoteca, alcol e fumo. Il mio ragazzo faceva uso di droghe e spacciava. Scontrosa e ribelle sia a scuola che a casa, mi vestivo in modo strano, sempre di nero e con abiti pieni di borchie. Ed ero totalmente indifferente nei confronti di Dio. Quando mi sono accorta di aver toccato il fondo, con la forza della volontà ho lasciato quel ragazzo e abbandonato le vecchie amicizie. Ma come risolvere la tristezza e il senso di vuoto che provavo? Nel ricominciare l’anno scolastico, il nuovo professore di religione mi ha ispirato fiducia. Dai colloqui con lui ho ricevuto il dono della fede. L’incontro con Dio misericordia mi ha cambiata totalmente, appagando il mio bisogno d’amore. Ho iniziato a pregare e cercare il Signore, a spendermi nel volontariato, sperimentando che “c’è più gioia nel dare che nel ricevere”. Vivo una vita normale: studio e faccio tutto ciò che fa una ragazza della mia età, con la differenza che ora ho Dio nel cuor». (A.R. Italia) (altro…)
Set 27, 2016 | Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Spiritualità
«Ci torno dopo 5 anni: l’impatto è sconvolgente, non riconosco il Venezuela. La descrizione che me ne aveva fatto il giovane seduto accanto sull’aereo esprime il dolore di un popolo afflitto ma non rassegnato. “Ancora un po’ di speranza ce l’ho!”, mi diceva, descrivendomi i luoghi più belli della sua terra e invitandomi a visitarli. A Caracas le persone trasmettono un senso di vuoto. Solo i bambini danno un tocco di vitalità ad una realtà che sembra mostrarsi assurda. Il viaggio verso Puerto Ayacucho è durato più di 17 ore. Lungo il tragitto lo sguardo si ferma verso un giovane che, rovistando nel bidoncino della spazzatura, cerca di selezionare qualche resto di cibo. Ma è soprattutto la notizia di due ragazzi, di 14 e 15 anni, uccisi perché trovati a rubare del mango su un albero, che mi sottolinea a che livello di paura e di non condivisione si è arrivati. È questo un altro tipo di omicidio dovuto alla fame. La città è al confine con la Colombia. La piaga che l’infesta è rappresentata dagli omicidi di giovani che, agli occhi di chi dovrebbe proteggerli, appaiono violenti, ladri, ai quali serve la punizione estrema. Così è capitato anche a Felipe Andrés, un giovane diciassettenne che, per proteggere il fratello, non rivela a coloro che lo avevano prelevato dalla casa della nonna dove potesse trovarsi. Per questo suo atteggiamento viene brutalmente ucciso con il numero di proiettili pari ai suoi anni.
Siamo in uno dei quartieri fuori Valencia. Mi colpisce una coda per l’acquisto delle bombole del gas. Angel, 12 anni, candido come il suo nome, mi confida con disarmante semplicità: “Io non cresco perché non bevo latte”. Anche il latte in polvere rientra tra i beni più preziosi del Paese. Mi rimangono impressi gli occhi semplici e vivissimi dei piccoli conosciuti. Una serata coi giovani. Si sente una grande voglia di riscatto. Le loro esperienze rafforzano quel voler essere portatori di speranza, cominciando dai loro amici, a scuola, nel lavoro… Nella Nuvoletta. Un minibus ci porta in alto, dove si trova il Centro Mariapoli “La Nuvoletta”. Vi si arriva percorrendo luoghi segnati dalla povertà. Anche qui diverse code in attesa di poter acquistare qualche prodotto. Gabriel mi ringrazia per la pasta che gli ho offerto. “Sai che io mangio pasta solo la domenica” – “E gli altri giorni?” – chiedo. “Gli altri giorni solo sopa”. Domando se è contento di stare insieme. “Sì – mi risponde –, perché qui tutti sono contenti”.
Al momento della partenza un’altra sconvolgente notizia: vengo a sapere che Fabián, un ragazzo così limpido e vivace, pochi mesi prima ha perso il padre in modo tragico, ucciso da dei sicari. Mi viene da raccontargli la mia esperienza: proprio la malattia e la partenza per il cielo di mio papà mi ha fatto riavvicinare a Dio. Ci guardiamo e sembra che ci capiamo almeno un po’. Arriviamo a Maracaibo, la città più calda del Venezuela. Facciamo un giro e percorriamo gli 8 e più chilometri del ponte che la unisce a San Francisco. A Tamale ci aspetta una giornata con i Ragazzi per l’unità. Sentire una tredicenne raccontare: “Ho incoraggiato mia mamma a perdonare coloro che avevano ucciso mio padre”, non può lasciare indifferenti. L’appuntamento successivo è in una parrocchia. Ci accolgono con canti, e poi inizia il dialogo: “Cosa fare quando un ragazzo ti dice che non torna a casa perché non ha niente da mangiare?”. Cerco di rispondere parlando del dolore e del silenzio di Dio avvertito da Gesù sulla Croce. Ci lasciamo con il pensiero che uno dei ragazzi comunica a tutti: “La forza dell’amore è più forte del dolore”». (A. S.) (altro…)
Set 26, 2016 | Famiglie, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Senza categoria, Spiritualità
John: «È l’inizio dell’anno scolastico. Nostro figlio sta entrando nel penultimo anno delle superiori, ma già al primo giorno di scuola dice a mia moglie Claire che non sarebbe più tornato perché non sopporta la gente. Da allora rimane nel chiuso della sua stanza, per uscirvi solo dopo essersi accertato che noi siamo già addormentati. Con me non parla, lo fa sporadicamente solo con la madre. Confesso che non è facile accettare il ruolo di vedersi rifiutare dal proprio figlio. Ciò che mi aiuta ad andare avanti è la frase del Vangelo: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). Una notte egli prende la disperata decisione di suicidarsi, ma mentre chiamiamo l’ambulanza scappa dalla finestra inghiottito dal buio. La polizia coordina una ricerca nella zona, ma lui non si trova. Ad un certo punto ritorna spontaneamente, così possiamo ricoverarlo in ospedale. Una settimana in terapia intensiva per una persona in preda al panico e col terrore delle persone e degli spazi chiusi è molto lunga! Notte dopo notte, giorno dopo giorno siamo da lui. Dormiamo a turno, affinché al suo risveglio ci trovi vicino a sé. E’ l’unico modo che ci è dato di amarlo concretamente. Quando esce riusciamo a convincerlo ad entrare in un programma di terapia giornaliera. Non potendo fare altro, con mia moglie facciamo da supporto per le cose pratiche, affidando questo nostro figlio a Dio e chiedendo a Lui di fare il resto. E ci accorgiamo che Egli lo fa davvero, compreso il fatto di mettergli accanto un gruppo di ragazzi che, pur nel loro disagio, si sostengono vivendo l’uno per l’altro». Claire: «Con una delle ragazze del gruppo nasce un’amicizia e ben presto anche lei diventa parte della nostra vita familiare. Ha molteplici problematiche, non ultima quella della tossicodipendenza, ma dimostra di saper comprendere nostro figlio. Lo aiuta a superare i momenti ansiosi, mentre lui la sostiene nei duri tentativi di astinenza dalla droga». John: «Ben presto però la loro relazione si interrompe, perché nostro figlio è contrario all’uso di qualsiasi tipo di droga. La ragazza trascorre un periodo di ricovero forzato nel quale sembra riuscire a farcela. E quando esce provano a ricostruire il loro rapporto su una base più solida: “niente più droghe”. Dopo un po’ di tempo decidono di sposarsi». Claire: «Un mese prima del matrimonio nostro figlio mi telefona tutto allarmato: “Mamma, lei usa di nuovo la droga, cosa devo fare?”. Non è facile rispondere. Potrei approfittare per convincerlo a lasciarla, ma non mi sembra la strada giusta. Così gli suggerisco di guardare bene nel suo cuore: “Se vedi che hai amato saggiamente e fino in fondo, allora questo è il momento di dire che la tua parte è conclusa; ma se vedi che in te c’è ancora amore ‘saggio’ che puoi darle, allora continua a provare”. Segue un lungo silenzio, poi: “Credo che posso amare un po’ di più”. Dopo il matrimonio riescono a trovare un ottimo centro di recupero con un supporto ambulatoriale esterno. Trascorrono 14 lunghi mesi, nei quali lei riesce a mantenere l’impegno “niente più droghe”. È una strada lunga per tutti, ma l’amore evangelico che cerchiamo di avere tra noi due – anche tra le lacrime – ci dà la forza di amare nostro figlio in questa delicata situazione. Un amore che forse aiuta anche a lui a capire come amare sua moglie». (altro…)
Set 25, 2016 | Chiara Lubich, Spiritualità
Durante l’estate del 1949, Chiara Lubich, con i suoi 29 anni, vive un’esperienza di luce e di vita. Lasciare quel “paradiso” in montagna non è facile, ma avverte che Dio la vuole immersa nei dolori dell’umanità, “prosciugando l’acqua della tribolazione” in quelli che più soffrono. È con quello spirito che scrive di getto: «Ho un solo Sposo sulla terra: Gesù Abbandonato: non ho altro Dio fuori di Lui. In Lui è tutto il Paradiso con la Trinità e tutta la terra con l’Umanità. Perciò il suo è mio e null’altro. E suo è il Dolore universale e quindi mio. Andrò per il mondo cercandolo in ogni attimo della mia vita. Ciò che mi fa male è mio. Mio il dolore che mi sfiora nel presente. Mio il dolore delle anime accanto (è quello il mio Gesù). Mio tutto ciò che non è pace, gaudio, bello, amabile, sereno…, in una parola: ciò che non è Paradiso. Poiché anch’io ho il mio Paradiso ma è quello nel cuore dello Sposo mio. Non ne conosco altri. Così per gli anni che mi rimangono: assetata di dolori, di angosce, di disperazioni, di malinconie, di distacchi, di esilio, di abbandoni, di strazi, di… tutto ciò che è lui e lui è il Peccato, l’Inferno. Così prosciugherò l’acqua della tribolazione in molti cuori vicini e – per la comunione con lo Sposo mio onnipotente – lontani. Passerò come Fuoco che consuma ciò che ha da cadere e lascia in piedi solo la Verità. Ma occorre esser come Lui: esser Lui nel momento presente della vita». Da: Chiara Lubich, Il grido, Ed. Città Nuova (Pag. 56 – 57) (altro…)
Set 24, 2016 | Dialogo Interreligioso, Focolari nel Mondo
Unità, dialogo, comunione. Questi tre obiettivi, tipici dei Focolari, riassumono anche l’impegno del Dr. Tarunjit Singh Butalia, lo scienziato della Ohio State University di Columbus, che il 18 settembre ha ricevuto l’onorificenza Luminosa 2016 a Hyde Park (New York). “Il suo decennale e instancabile sforzo – ha dichiarato nel suo messaggio la presidente dei Focolari Maria Voce – merita la nostra ammirazione e il nostro profondo apprezzamento. Ci sentiamo solidali con lei e la comunità Sikh nel promuovere, insieme ad altri, la pace e la cura per la nostra casa comune”. Butalia, mosso dalla convinzione che le religioni svolgono un ruolo cruciale nella costruzione della pace, è un pioniere delle relazioni cattolico-sikh negli Stati Uniti. Ed è proprio per il suo grande impegno nel dialogo interreligioso che nel dicembre 2011 ha partecipato alla Preghiera per la pace ad Assisi invitato da papa Benedetto XVI. Nel suo discorso di accettazione, lo scienziato ha ricordato gli amichevoli inviti a cena e a picnic interreligiosi che hanno segnato l’inizio dei suoi contatti con il Movimento dei Focolari. Un’amicizia, ha spiegato, che nel tempo è diventata fiducia. Ha poi sottolineato che la fede ha sempre avuto un ruolo particolare nella società americana, proprio perché è una nazione di immigrati, gente che ha potuto integrarsi abbastanza e che negli ultimi 50 anni sta sempre più manifestando il desiderio di mantenere la propria identità religiosa. “Musulmani, buddhisti, sikh, indù, Jain e Baha’i, portando qui la loro religione – ha affermato Butalia – hanno reso gli Stati Uniti una nazione fra le più cosmopolite del mondo. Rilevava inoltre l’importanza di riconoscere il pluralismo come valore “nel quale ogni componente mantiene la sua identità e tuttavia rimane parte del tutto armonico”. “Dobbiamo concentrarci sulla costruzione di relazioni”, ha detto; “dobbiamo riuscire a parlare delle nostre differenze”.
Butalia ha poi proposto a se stesso un ulteriore passo avanti rispetto alla regola d’oro (“Fai agli altri come vorresti fosse fatto a te” Mt 7,12), definendo tale sua versione “regola platinum”: “Fai agli altri ciò che essi vorrebbero che tu faccia per loro”. Andare cioè oltre l’ipotesi di trattare gli altri col proprio metro, ma trattarli assumendo il loro. Ha poi invitato i 130 partecipanti a costruire un dialogo “ascoltando, più che parlando” e a non fare mai confronti su quale sia la religione migliore. Riferendosi alla islamofobia, Butalia ha sottolineato che dobbiamo lavorare contro la discriminazione nei confronti di qualsiasi fede. In chiusura ha citato il detto di un discepolo del fondatore Sikh Guru Nanak, “Nessuno è mio nemico, e nessuno è straniero. Vado d’accordo con tutti”.

Dr Tarunjit Butalia con la delegazione Sikh
La premiazione era stata preceduta dal 7° ritiro cattolico-sikh, organizzato dal Segretariato per gli Affari ecumenici ed interreligiosi della Conferenza Episcopale Statunitense e del Consiglio Sikh per le relazioni interreligiose. 25 rappresentanti della Chiesa cattolica e dei Sikh provenienti da varie parti degli USA si erano infatti riuniti alla “Mariapoli Luminosa” per una più profonda conoscenza all’insegna del dialogo. “Questo incontro – ha detto il direttore del Segretariato cattolico Antony Cirelli – è stato l’esempio di quel dialogo auspicato da Papa Francesco, il dialogo dell’amicizia”. Destinatari del Premio Luminosa, istituito dal 1988: il compianto card. O’Connor, Arcivescovo di New York; Norma Levitt, ex presidente delle Religioni per la Pace (RFP) e presidente onorario di Women of Reform Judaism; il rev. Nichiko Niwano, presidente dell’organizzazione buddista laica giapponese, Risshō Kōsei Kai; il Fon di Fontem Lukas Njifua, re del popolo Bangwa (Camerun); e Imam Warith Deen Mohammed, leader musulmano americano. (altro…)
Set 23, 2016 | Chiesa, Cultura, Dialogo Interreligioso, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Organizzato dalla Diocesi umbra con le famiglie francescane e la Comunità di Sant’Egidio, l’evento ha raccolto leaders religiosi di tutto il mondo con la partecipazione anche di uomini e donne di cultura e delle istituzioni. Presente anche il Movimento dei Focolari, sia in fase di preparazione che di partecipazione, soprattutto dalle comunità in Umbria e da Rita Moussalem e Roberto Catalano responsabili centrali del dialogo interreligioso dei Focolari. Con la sua presenza, lo scorso 20 settembre, papa Francesco ha dato continuità a quanto Giovanni Paolo II aveva intuito nel 1986: la necessità di pregare per la pace e il ruolo che le religioni hanno per evitare i conflitti come pure per contribuire a risolverli. Nel 2011, Benedetto XVI aveva presentato la pace non solo come un impegno degli uomini di fede, ma anche come un progetto culturale. Ma il mondo non è più quello degli anni ’80, quello bi-polare della Guerra fredda. Si è arrivati al mondo globalizzato e multipolare di oggi, dove anche le guerre sono cresciute, senza mai essere di religioni. Papa Francesco ha salutato i leader presenti uno a uno, iniziando da un gruppo di profughi, immagine delle sfide del mondo di oggi. Non si è trattato solo di un atto formale. Sono stati attimi profondi, di rapporto intenso, capaci di stabilire intese importanti per il futuro. Un secondo momento è stato il pranzo per il quale, nel Sacro Convento, il Papa ha voluto tutti accanto a sé. Consumare un pasto insieme, sotto lo stesso tetto è in sé un atto di pace. È seguita, poi, la preghiera comune. Ben inteso, non insieme. Ogni religione aveva un luogo dove i suoi seguaci potevano recarsi per pregare, secondo la propria tradizione religiosa, per la pace del mondo. Ognuno lo ha fatto distintamente; un atto che ha inteso cancellare il dubbio che questi momenti trasudino di sincretismo. I cristiani hanno pregato insieme, a dimostrare che l’unità fra le Chiese è fondamentale per dare un contributo importante alla pace, come seguaci di Cristo.

Il Papa presiede la preghiera ecumenica nella basilica di S. Francesco. Foto: CNS/Paul Haring
Il momento finale, sulla piazza antistante la Basilica di San Francesco. Leader di ogni religione seduti a semicerchio, attorno a papa Francesco, a dimostrare che nessuno reclama una superiorità, nonostante la stima e il riconoscimento di tutti per il papa di Roma. Il suo nome, il suo esempio di vita sobria, le sue parole, i suoi gesti sono stati costantemente citati nel corso dei 29 panel o tavole rotonde svoltisi nelle due giornate precedenti in ogni angolo di Assisi. La conclusione è stata scandita da riflessioni profonde e vitali da parte di leader cristiani, buddhisti e musulmani, ma anche da condivisioni toccanti: quella di una giovane madre siriana arrivata in Italia attraverso i corridoi umanitari e quella di un anziano rabbino israeliano sopravvissuto ai campi di concentramento nazisti. A coronare la serata è arrivato l’intervento di papa Francesco che ha tracciato una road-map della pace. Infatti, «Solo la pace è santa, non la guerra!». Il Papa ha declinato il significato di pace parlando di perdono, di accoglienza, di collaborazione e di educazione, come degli elementi fondanti per renderla possibile. «Il nostro futuro è vivere insieme», ha affermato. Un’idea che universalizza la lettura del grande Bauman che, nella cerimonia inaugurale, aveva sottolineato come l’umanità sia chiamata oggi a vivere la dimensione del “noi”, dimenticandosi del “loro”. Ancora una volta è stato decisivo l’ambiente Assisi. Qui, infatti, la pace si respira. La famiglia francescana ha offerto in questi giorni un esempio di ospitalità umile, intelligente, rispettosa, costantemente al servizio dei leader delle diverse fedi. È stata una dimostrazione evidente di come l’umiltà di cui Francesco d’Assisi parlava e che chiedeva ai suoi seguaci sia una condizione fondamentale per il dialogo e per la pace. Una dimostrazione che la pace la costruiamo tutti, insieme, e che ognuno porta un dono unico e imprescindibile per i processi di pace. di Roberto Catalano (altro…)
Set 22, 2016 | Focolari nel Mondo
Parigi, 19 dicembre 1996: l’UNESCO conferisce a Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, il prestigioso premio per l’Educazione alla Pace, in riconoscimento alla sua vita tutta spesa per la costruzione e all’educazione alla Pace di migliaia e migliaia di persone di ogni credo e latitudine. Oggi il tema dell’educazione alla pace è più che mai attuale. L’evento, promosso dall’Unesco e New Humanity, si celebrerà il 15 novembre, presso la sede dell’UNESCO (Parigi, Francia), dalle ore 10:00 alle ore 18:00. I lavori si apriranno con la prolusione di un rappresentante dell’UNESCO, quindi il saluto di Mons. Francesco Follo, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’UNESCO e gli interventi di Maria Voce e Jesús Morán, presidente e copresidente, rispettivamente, del Movimento dei Focolari. Seguiranno altri due momenti: 5 idee per educare alla pace oggi; il dialogo in un mondo unito e plurale. Scarica il programma Iscrizioni Leggi l’intervento di Chiara Lubich Video dell’occasione – 17 dicembre 1996 https://vimeo.com/77226264 (altro…)
Set 22, 2016 | Chiesa, Cultura, Ecumenismo, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Senza categoria

L’arcivescovo maronita di Damasco, mons. Samir Nassar.
A sei anni dell’inizio della guerra nel suo Paese e nella regione, quali secondo lei gli effetti più duri sulla società? Sei anni di guerra hanno finito per scuotere il baluardo della società siriana: la famiglia, la cellula base che ha assorbito i colpi e le disgrazie di questa violenza senza fine e che è stata il salvataggio del Paese e della Chiesa fino al 2014. Ma l’insicurezza, l’intolleranza, la violenza e la distruzione caotica hanno sradicato ormai più di due milioni di famiglie. Prive di abitazioni e disperse per tutto il mondo, come potrebbero portare ancora questo calvario così pesante? Dall’inizio della guerra (15 marzo 2011) è abbastanza comune vedere la famiglia incentrata su una mamma. Gli uomini vanno alla guerra e lì spesso muoiono. Un detto popolare recita: “un orfano senza padre non è un orfano”. La famiglia rimane radunata attorno alla madre che assicura l’unità e la sopravvivenza del focolare. In questa lunga e pesante sofferenza queste madri eroiche vivono nella povertà e nelle lacrime. Esse hanno ben onorato la loro vocazione, vivendo in tende e morendo annegate. C’è un sacrificio più grande? Distruzione della cellula naturale della società, e i giovani? Si può contare su di loro per guardare al futuro? La mobilitazione generale decretata nell’ottobre 2015 invita tutti gli uomini sotto i 45 anni ad aderire al servizio militare. Una decisione che ha turbato anche gli altri membri della famiglia che non potevano partire e che sono rimasti sul posto, in attesa della fine di una guerra interminabile. Questa fascia di età che è sparita costituiva la spina dorsale delle attività economiche ancora rimanenti. Alcuni hanno raggiunto le caserme e altri hanno scelto di fuggire seguendo il cammino dell’immigrazione clandestina, spesso irreversibile, destabilizzando il mercato del lavoro e la modesta vita famigliare privata di risorse. Quale futuro per una comunità senza giovani? Quali gli effetti della guerra nei riguardi della Chiesa? Queste situazioni hanno indebolito la Chiesa. Le famiglie spesso scelgono di raggiungere il figlio partito. Da qui l’esodo delle famiglie con la conseguente vertiginosa diminuzione di fedeli in tutte le parrocchie. Squilibrio demografico: in assenza di giovani le nostre ragazze lasciate sole si sposano con musulmani poligami. Quindi, meno matrimoni, meno battesimi. Per la prima volta la Chiesa si trova ad affrontare anche un altro problema cruciale: un prete su tre presenti a Damasco ha scelto di trasferirsi in un altro Paese più tranquillo. Come fare per trattenere i sacerdoti a Damasco? Che ne diviene della Chiesa senza preti? Secondo lei, qual è la sfida e la speranza dei cristiani oggi in Siria? Le città morte nel nord della Siria sono un’inquietante fotografia di ciò che potremmo diventare. Come evitare di ridursi a guardiani di pietre? Rimane ai cristiani di Oriente il compito di riconsiderare la loro vocazione e di vivere nella scia della piccola Chiesa primitiva minoritaria che viveva senza garanzie né protezione. Saremo noi in grado di rispondere a questa sfida apostolica? Il Vangelo ci rincuora: “Non temere piccolo gregge” (Lc 12, 32). (altro…)