Movimento dei Focolari
Jesús Morán: aspetti antropologici del dialogo

Jesús Morán: aspetti antropologici del dialogo

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Foto © CSC Audiovisivi

«Il dialogo è un vero segno dei tempi, ma rappresenta una realtà che dobbiamo approfondire in tutti sensi. Sulla scia di Giovanni Paolo II e di altri pensatori contemporanei, Chiara Lubich ha descritto la nostra epoca, almeno in Occidente, con la categoria di “notte culturale”, non una notte definitiva, ma una notte che, secondo la Lubich, nasconde una luce, una speranza. Potremmo dire allora che nella notte culturale, che è anche una “notte del dialogo”, si occulta una luce, ossia la possibilità di elaborare insieme una nuova cultura del dialogo. Per fare questo – secondo me – la prima cosa è riscoprire che esso è così radicato nella natura umana che in tutte le culture possiamo trovare quello che chiamerei “le fonti del dialogo”. Queste fonti sono raccolte nelle grandi Scritture e sono fondamentalmente due: la fonte che sgorga dall’esperienza religiosa e quella che nasce dalla ricerca filosofica dell’umanità. In questa linea dovremmo parlare di fonte biblica, coranica, vedica, ecc. Vuol dire che in tutte le Scritture delle tradizioni religiose troviamo fortemente l’accento sul dialogo. Dovremmo attingere anche alla filosofia greca, alla metafisica islamica, alle Upanisad, al pensiero buddista, ecc. In Occidente nel secolo scorso si è sviluppata una vera scuola di pensiero dialogico di radice ebraica e cristiana. Attingo, in modo particolare, a questa ultima fonte per offrirvi alcuni principi di una antropologia del dialogo. Primo. Il dialogo “è iscritto nella natura dell’uomo” fino al punto che si può dire che è la definizione stessa dell’uomo. Secondo. Nel dialogo “ogni uomo è completato dal dono dell’altro”, cioè abbiamo bisogno gli uni degli altri per essere noi stessi. Nel dialogo io regalo all’altro la mia alterità, la mia diversità. Terzo. Ogni dialogo “è sempre un incontro personale”. Quindi non si tratta tanto di parole o di pensiero, ma di donare il nostro essere. Il dialogo non è semplice conversazione, né discussione, ma qualcosa che tocca il più profondo degli interlocutori. Quarto. Il dialogo “richiede silenzio e ascolto”. Questo è decisivo, perché il silenzio è importante non solo per il retto parlare, ma anche per il retto pensare. Come dice un proverbio: “Quando parli fa che le tue parole siano migliori del tuo silenzio” (Dionigi il Vecchio). Quinto. Il vero dialogo “costituisce qualche cosa di esistenziale” perché rischiamo noi stessi, la nostra visione delle cose, la nostra identità. A volte sentiamo che perdiamo la nostra identità culturale, ma è solo un passaggio perché in realtà l’identità viene arricchita immensamente nella sua apertura. Noi dovremmo avere una “identità aperta”. Questo vuol dire sapere chi siamo; ma anche essere convinti che “quando mi capisco con qualcuno… so meglio anch’io chi sono” (Fabris). Ancora altri principi. Il dialogo autentico “ha a che fare con la verità”, è un approfondimento della verità. Per i greci antichi il dialogo era il metodo per arrivare alla verità. Questo significa che la verità ha sempre bisogno di essere completata, nessuno possiede la verità, è lei che ci possiede. Quindi non si tratta di relatività della verità, ma di “relazionalità della verità” (Baccarini). “Verità relativa” vuol dire che ognuno ha la sua verità che è valida solo per sé. “Verità relazionale”, invece, vuol dire che ognuno partecipa e mette in comune con gli altri la sua partecipazione alla verità, che è una per tutti. Diverso è il modo come noi arriviamo e come partecipiamo alla verità. Per questo è importante dialogare: per arricchirci delle varie prospettive. Nella relazione ognuno scopre aspetti nuovi della verità come fossero propri. Come dice Raimond Panikkar: “Da una finestra si vede tutto il paesaggio, ma non totalmente”. È quello che dicevamo prima: dobbiamo concepire la differenza come un dono e non come un pericolo. Uno dei grandi paradossi di oggi è che in questo mondo globalizzato abbiamo paura della differenza, dell’altro. Il dialogo, poi, “richiede una forte volontà”. L’amore alla verità mi porta a cercarla e a volerla, e per questo mi metto in dialogo. Due ultimi principi. Il dialogo “è possibile solo tra persone vere”, e solo l’amore ci fa veri. In altre parole, l’amore prepara le persone al dialogo facendole vere. Ciò che fa fecondo il parlare è la santità di chi parla e la santità di chi ascolta. Ecco la responsabilità del dialogo in tutta la sua portata: richiede persone vere e fa le persone più vere. E infine: la cultura del dialogo “conosce solo una legge che è quella della reciprocità”. Ci vuole questo percorso di andata e ritorno perché ci sia vero dialogo. In definitiva, oggi si parla molto di interculturalità. Penso che una vera interculturalità è possibile se cominciamo a vivere questa cultura del dialogo. Nessuno ha mai detto che dialogare sia facile. Si richiede ciò che oggi è difficile pronunciare: sacrificio. Richiede uomini e donne “maturi per la morte” (Maria Zambrano), cioè morire a se stessi per vivere nell’altro».  Jesús Morán, Università di Mumbai, 5 febbraio 2016 (altro…)

Lahore: un attacco contro l’uomo

Lahore: un attacco contro l’uomo

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Foto: Flickr CC / NC_20 CNA

Lahore è la seconda città del Pakistan, nella provincia del Punjab, nel nord-est del Paese. «Da tempo in tutto il paese scuole e università sono protette come delle fortezze, chiese e moschee sono sorvegliate da guardie armate: certamente un parco pubblico non avrebbe potuto essere presidiato così. Colpisce che la maggior parte delle vittime siano bambini e intere famiglie, molte delle quali in festa per la ricorrenza della Pasqua», scrivono dalla comunità dei Focolari a Lahore. Erano le 19, ora locale, del 27 marzo, quando un kamikaze si è fatto esplodere nel Gulshan-e-Iqbal Park. Un crimine “vile e insensato”, lo ha definito papa Francesco al Regina Coeli, ricordando la Pasqua nel Pakistan “insanguinata da un esecrabile attentato, che ha fatto strage di tante persone innocenti”, di cui 29 bambini e tante  donne. «Insieme con tutti – scrivono ancora da Lahore – vogliamo nuovamente abbracciare questo volto di Gesù Abbandonato perché Lui possa trasformare questo grande dolore in nuovo slancio d’amore, generare Luce che illumini le menti e dare forza a tutte le persone di buona volontà. Stiamo pregando per tutte le vittime, i feriti e tutte le famiglie coinvolte e soprattutto che l’odio non produca altro odio». «Stavo andando con i nipotini al parco e ad un certo punto ho sentito di ritornare a casa ed andare un’altra volta», testimonia un’amica che con questo cambiamento di programma non è stata coinvolta nella strage. «C’erano anche nostri parenti al momento dell’esplosione, ma non hanno avuto danni. Tra loro, un ragazzo di 18 anni che ha soccorso un bambino che è morto poco dopo tra le sue braccia». «Invito a pregare il Signore per le numerose vittime e per i loro cari», ha detto ancora il Papa, appellandosi poi «alle autorità civili e a tutte le componenti sociali» del Pakistan «perché compiano ogni sforzo per ridare sicurezza e serenità alla popolazione e, in particolare, alle minoranze religiose più vulnerabili». «Colpisce con quale sacralità e dignità si vive il dolore – testimoniano dalla città colpita – e quanta solidarietà ci sia: i feriti sono stati portati con veicoli privati, senza paura, negli ospedali circostanti. Il personale ospedaliero ha lavorato senza sosta; all’appello di donare il sangue, si sono formate lunghe file negli ospedali. La sofferenza in cui si vive da tempo e che sembra arrivata al culmine fa nascere un nuovo atteggiamento nel sopportare e nell’agire, una nuova speranza che si esprime in piccoli gesti che dimostrano un unico desiderio: Pace». «In vari posti la gente è uscita sulle strade ed ha acceso candele. Anche le proteste si sono svolte pacificamente. In molte testate in tutto il mondo si parla di attentato contro i cristiani e forse è partito anche così, ma qui lo viviamo come un attacco contro l’uomo e non ci sono differenze. Le vittime sono musulmane e cristiane. Sono stati accolti molto bene i gesti di solidarietà dall’estero, come l’aver spento le luci della torre Eiffel. Hanno fatto sperimentare – concludono – che il Pakistan non è isolato nel soffrire questa tragedia così dolorosa e assurda». Maria Chiara De Lorenzo (altro…)

Parola di vita – Aprile 2016

Come mai queste parole di Gesù ci sono così care e tornano spesso nelle Parole di vita che scegliamo per ogni mese? Forse perché sono il cuore del Vangelo. Sono quelle che il Signore ci rivolgerà quando alla fine ci troveremo davanti a Lui. Su di esse verterà l’esame più importante della vita, al quale possiamo prepararci giorno per giorno. Chiederà se abbiamo dato da mangiare e da bere a chi era affamato e assetato, se abbiamo accolto il forestiero, se abbiamo vestito il nudo, visitato l’ammalato e il carcerato… Si tratta di gesti piccoli, eppure hanno il valore dell’eternità. Niente è piccolo di ciò che è fatto per amore, di ciò che è fatto a Lui. Gesù infatti non soltanto si è reso vicino ai poveri e agli emarginati, ha guarito i malati e confortato i sofferenti, ma li ha amati di un amore di predilezione, al punto da chiamarli fratelli, da identificarsi con essi in una misteriosa solidarietà. Anche oggi Gesù continua ad essere presente in chi subisce ingiustizie e violenze, in chi è in cerca di lavoro o vive in situazione precaria, in chi è costretto a lasciare la propria patria a causa delle guerre. Quante le persone che soffrono attorno a noi per molte altre cause e implorano, anche senza parole, il nostro aiuto. Sono Gesù che ci domanda un amore concreto, capace di inventare nuove “opere di misericordia”, rispondenti ai nuovi bisogni. Nessuno è escluso. Se una persona anziana e ammalata è Gesù come non procurarle il necessario sollievo? Se insegno la lingua a un bambino immigrato, la insegno a Gesù. Se aiuto la mamma nelle pulizie di casa, aiuto Gesù. Se porto speranza a un carcerato o consolo chi è nell’afflizione o perdono chi mi ha ferito, mi rapporto con Gesù. Ed ogni volta il frutto sarà non soltanto dare gioia all’altro, ma provare noi stessi una gioia ancora grande. Donando si riceve, si avverte una pienezza interiore, ci si sente felici perché, anche se non lo sappiamo, abbiamo incontrato Gesù: l’altro, come ha scritto Chiara Lubich, è l’arco sotto il quale passare per giungere a Dio. Ella rievocava così l’impatto di questa Parola di vita fin dall’inizio della sua esperienza: «Tutto il nostro vecchio modo di concepire il prossimo e di amarlo è crollato. Se Cristo era in qualche modo in tutti, non si potevano fare discriminazioni, non si potevano avere preferenze. Sono saltati in aria i concetti umani che classificano gli uomini: connazionale o straniero, vecchio o giovane, bello o brutto, antipatico o simpatico, ricco o povero, Cristo era dietro ciascuno, Cristo era in ciascuno. E un “altro Cristo” era realmente ogni fratello (…). «Vivendo così ci siamo accorti che il prossimo era per noi la strada per arrivare a Dio. Anzi, il fratello ci è parso come un arco sotto il quale era necessario passare per incontrare Dio. «Lo si è sperimentato fin dai primi giorni. Quale unione con Dio la sera, alla preghiera, o nel raccoglimento, dopo averlo amato tutto il giorno nei fratelli! Chi ci dava quella consolazione, quell’unione interiore così nuova, così celeste, se non Cristo che viveva il “date e vi sarà dato” (Lc 6,38) del suo Vangelo? Lo avevamo amato tutto il giorno nei fratelli ed ecco che ora Lui amava noi» (1) Fabio Ciardi (1) Chiara Lubich, Scritti spirituali/4, Città Nuova, Roma 19952, p. 204-205. (altro…)

Dopo Grand Bassam: una testimonianza dalla Costa d’Avorio

Dopo Grand Bassam: una testimonianza dalla Costa d’Avorio

20160329-01«Il 13 marzo scorso la Costa d’Avorio e il mondo intero hanno appreso con stupore che la città balneare di Grand-Bassam era stata duramente colpita da sconosciuti e che era ancora difficile contare il numero delle vittime», scrivono Jeanne Kabanga e Damase Djato, dei Focolari ad Abidjan. «Si può immaginare la carneficina, perché durante il weekend molte persone arrivano lì da Abidjan, città situata a 40 km e da altre parti della regione, per riposare su questa spiaggia di fronte all’Hotel chiamato «l’étoile du SUD». È un luogo frequentato soprattutto da turisti di ogni provenienza. Grand-Bassam – ricordiamo – è stata la prima capitale della Costa d’Avorio ed è classificata come patrimonio mondiale dell’UNESCO».

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Mons. Joseph Spiteri

Quello stesso giorno, 180 persone erano riunite ad Abidjan per sottolineare l’attualità del messaggio di Chiara Lubich, che nel 1996 aveva ricevuto il premio UNESCO per l’educazione alla pace, e di cui il 14 marzo ricorreva l’8° anniversario della morte. Tra loro c’erano sia il nunzio apostolico in Costa d’Avorio, mons. Joseph Spiteri, sia l’imam Diara. Ogni anno, su suo invito, la comunità dei Focolari partecipa nella sua moschea alla celebrazione del Maouloud (commemorazione della nascita del Profeta). «Dalle loro parole – e partendo dall’invito di Chiara ai decisori politici a vivere l’arte d’amare come vera terapia per il nostro tempo – abbiamo riscoperto insieme il nostro comune dovere di esercitarci con fedeltà ad amare tutti senza distinzione, per non perdersi nel fondamentalismo, ma coltivando la speranza e la misericordia». «La nostra tendenza, invece, ha sottolineato il nunzio, è di far passare il giudizio davanti alla misericordia», mentre «se musulmani e cristiani si amassero», ha sottolineato l’imam, «il mondo si salverebbe». I giovani e i ragazzi presenti raccontano del loro impegno nella raccolta di firme per la pace: dopo avere preparato con cura messaggi di Ghandi, Madre Teresa di Calcutta, Chiara Lubich, Dalai Lama, da distribuire alle persone, sono usciti per strada. «Non era facile avvicinare gli adulti per presentare il progetto – che continueremo anche durante la Settimana Mondo Unito – ma abbiamo vinto la nostra paura». Il racconto dei più piccoli è quello che più colpisce i presenti, anche perché sostanziato da tanti episodi concreti che dicono il loro impegno a essere “messaggeri di pace” nel proprio ambiente. «Una volta, a casa, – racconta Marie Lucie – la mia sorella più piccola non aveva lavato i piatti. Al momento del pranzo quindi non potevamo mangiare. Le ho detto di farlo, ma non ha voluto. Mi sono detta che – se li avessi lavati io – avrei fatto un gesto di pace. Così ho fatto e abbiamo mangiato». «A scuola – racconta Prince – alcuni miei compagni prendevano in giro un altro, più debole, insultandolo e picchiandolo. Con un altro ragazzo abbiamo deciso di intervenire, parlando con loro, spiegando gli ideali di pace in cui crediamo e chiedendogli di lasciarlo stare. Hanno smesso e adesso sono diventati amici». 160220_Abidjan_06_ridIn questo contesto, anche la presentazione dell’Economia di Comunione, che in Costa d’Avorio ha mosso già alcuni passi, è risultata come un possibile antidoto alla povertà e alla miseria; azioni, anche piccole, come l’attività di Firmin a favore dell’istruzione in uno dei quartieri di Abidjan, assumono – sullo sfondo della costruzione capillare della pace – un significato più grande. E la raccolta di firme per la pace ha sottolineato la presa di impegno personale di ciascuno.  «Solo di ritorno a casa – continuano Jeanne e Damase – abbiamo appreso alla televisione la notizia dell’attentato di Grand Bassam. Dopo questa giornata in cui abbiamo sentito parlare e sperimentato la pace, è chiara la chiamata ad essere operatori di pace, mettendo in pratica quanto imparato e sopratutto cercando prima di tutto di conservare la pace in noi, per poi donarla attorno a noi. Solo così, ci sembra, possiamo dare il nostro contributo per disinnescare il terrorismo e ogni sorta di odio». Maria Chiara De Lorenzo (altro…)

Il Risorto

Il Risorto

20160327-a«Una circostanza provvidenziale mi ha portato ad approfondire la realtà di Gesù che, dopo l’abbandono e la morte in croce, è risorto. Non solo: ho avuto l’occasione di meditare intensamente con la mente e con il cuore molti particolari della risurrezione di Gesù e della sua vita dopo la risurrezione. E sono rimasta sbalordita (è la parola esatta) dalla maestosità, dalla grandiosità che da questo avvenimento divino emanava: dall’unicità del Risorto, da questo fatto soprannaturale che, come si sa, è unico al mondo. Per cui non posso non soffermarmi questa volta a metterlo ancora in rilievo. […] La risurrezione di Gesù è ciò che maggiormente caratterizza il cristianesimo, ciò che distingue il suo fondatore, Gesù. Il fatto che è risorto. Risorto da morte! Ma non nella maniera di altri risorti, come Lazzaro ad esempio, che poi, a suo tempo, è morto. Gesù è risorto per non morire mai più, per continuare a vivere, anche come uomo, in Paradiso, nel cuore della Trinità. E l’hanno visto in 500 persone! E non era certo un fantasma. Era Lui, proprio Lui: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato” (Gv 20, 27), ha detto a Tommaso. E ha mangiato con i suoi e ha parlato ai suoi ed è rimasto con loro ben 40 giorni… Aveva rinunciato alla sua infinita grandezza per amore nostro e si era fatto piccolo, uomo fra gli uomini, come uno di noi. […] Ma, poiché è risorto, ha rotto, ha superato ogni legge della natura, del cosmo intero, e si è mostrato, con questo, più grande di tutto ciò che è, di tutto ciò che ha creato, di tutto ciò che si può pensare. Sicché anche noi, al solo intuire questa verità, non possiamo non vederlo Dio, non possiamo non fare come Tommaso e, inginocchiati di fronte a Lui, adoranti, confessare e dirgli col cuore in mano: “Mio Signore e mio Dio”. […] E ho visto con altri occhi quello che ha fatto in quei nuovi favolosi giorni terreni. Dopo la discesa dal Cielo di un angelo che ha ribaltato la pietra del suo sepolcro e lo ha annunciato, ecco il Risorto apparire per primo alla Maddalena, già peccatrice, perché egli aveva preso carne per i peccatori. Eccolo sulla via di Emmaus, grande e immenso com’era, farsi il primo esegeta a spiegare ai due discepoli la Scrittura. Eccolo come fondatore della sua Chiesa, imporre le mani ai suoi discepoli, per dar loro lo Spirito Santo; eccolo dire straordinarie parole a Pietro, che ha posto a capo della sua Chiesa. Eccolo mandare i discepoli nel mondo ad annunziare il Vangelo, il nuovo Regno da lui fondato, in nome della Santissima Trinità da cui era disceso quaggiù e che nell’Ascensione seguente avrebbe raggiunto pienamente. […] E perché Risorto, ecco anche le sue parole detteci in precedenza, prima della sua morte, acquistare una luminosità unica, esprimere verità incontrastabili. E prime fra tutte quelle in cui annuncia anche la nostra risurrezione. Lo sapevo e lo credevo perché sono cristiana. Ma ora sono doppiamente certa: risorgerò, risorgeremo […]». C. Lubich, In unità verso il Padre, Città Nuova editrice, Roma 2004, p.102-105 (altro…)