Movimento dei Focolari

Rovigo: Ciclabile intitolata a Chiara Lubich

Dal quotidiano  “La Voce di Rovigo” E’ una delle ciclabili più frequentata dai giovani, perché collega la stazione e la facoltà di Giurisprudenza, con il polo universitario nella zona del CenSer. La Pista cicalabile, aperta ormai diversi mesi fa da sabato 22 agosto ha un nome: l’amministrazione comunale, infatti, ha scelto di dedicare questa ciclabile a Chiara Lubich, una donna coraggiosa e che si è fatta portavoce di un ideale di fraternità universale, quello portato avanti dal Movimento dei Focolari. L’assessore comunale Giovanni Cattozzi ha ricordato che Chiara Lubich fece una tappa a Rovigo il 22 agosto del 1948: “Allora venne ospitata vicino alla stazione della nostra città. Anche per questo abbiamo scelto di intitolare a lei la ciclabile che collega la stazione alla zona universitaria. Questa ciclabile diventerà un punto di incontro annuale del Movimento dei Focolari”. La cerimonia ufficiale si è svolta  sabato alle 10 all’inizio dei giardini di Marconi, punto di partenza del percorso.  Presenti le autorità cittadine e anche il vescovo, per la benedizione. Cattozzi ha anche ricordato che Chiara Lubich è cittadina di Rovigo dal 6 dicembre del 2000, quando l’allora sindaco Barbatella le conferì la cittadinanza onoraria. “Con questa intitolazione  – ha precisato il primo cittadino, Fausto Merchiori – la giunta intende rendere omaggio a una personalità che per qualità straordinarie ha dato al mondo intero il dono di una grande anima”. Ma il ricordo di Chiara Lubich non è avvenuto  solo attraverso l’intitolazione della ciclabile. In città è arrivato anche il Gen Rosso, per un confronto con i giovani per un concerto in piazza. Anche la presidente della provincia, Tiziana Virgili, sottolinea il profondo significato dell’iniziativa: “ E’ importante che Rovigo dedichi a Chiara Lubich una giornata di confronto e attenzione, oltre che una via. Fu una donna che seppe concretizzare l’Amore di Dio.” E il Gen Rosso conquista piazza Vittorio Dal quotidiano “Il Resto del Carlino di Rovigo” “ La pace è la nostra unica chance”, canta il Gen rosso. La piazza applaude, partecipa. Sul palco per cantare, ballare, e soprattutto per lanciare un messaggio di speranza. Da 17 anni non venivano a Rovigo, tanti non li avevano mai ascoltati. Per loro una lieta sorpresa. Invece sotto il palco c’era anche il pubblico degli affezionati. Qualcuno preferisce chiamarli fans. Sono quelli che conoscevano tutte le canzoni a memoria. In gran parte giovanissimi, adolescenti. Perché la speranza diventi realtà c’è bisogno soprattutto di loro. Sopra il palco, invece, l’assessore Cattozzi, con la seconda veste di presentatore. E’ stato lui a volere questo show che ha richiamato sulla piazza circa duemila persone, forse di più. Sopra il palco anche il vescovo della diocesi di Rovigo, mons. Lucio Soravito de Franceschi. Accanto a lui pure il vicesindaco Graziano Azzalin, per portare il benvenuto della città al gruppo di musicisti.

Una “semplice” regola

Siamo convinti che, nonostante siano ancora presenti conflitti o minacce di guerra, nel mondo ci sono già tanti segni positivi che ci dicono che è possibile realizzare la pace. Ma voi mi chiedereste forse: “Cosa possiamo fare noi, ragazzi di varie religioni, per contribuire alla pace? Qual è la strada più breve, più sicura per raggiungerla?”. La Regola d’oro – Chi conosce un po’ le Religioni, che noi pratichiamo, dice che c’è una formula presente in quasi tutte le fedi del mondo. È chiamata: “Regola d’oro”. Essa dice: “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”. In pratica essa chiede il rispetto degli altri. E per avere il rispetto occorre amare, amarli. Amare tutti – Chiede, ad esempio, di amare tutti senza fare distinzioni tra l’antipatico o il simpatico, il bello o il brutto, il grande o il piccolo, quello della mia patria o lo straniero, il bianco o il nero, il giallo, l’americano, l’africano o il giapponese, il cristiano, il musulmano o il buddista. Tutti vanno amati nello stesso modo. Amare per primi – Questo amore vuole poi che si ami per primi, senza aspettare che l’altro ci faccia una gentilezza o un sorriso. Non bisogna attendere di essere amati, ma fare noi il primo passo. Amare come sé – E ancora occorre amare l’altro come se stessi, condividere i suoi dolori, i suoi successi, le sue gioie… Pensate: se anche tra i popoli si mettesse in pratica questa semplice regola, gli uomini amerebbero la patria degli altri come la propria e non ci sarebbero più guerre. Amare con i fatti – È un amore questo che ama concretamente, non solo a parole ma con i fatti. Se a scuola c’è un ragazzo che ha difficoltà nello studio, questo vorrebbe dire aiutarlo, studiare magari con lui. Amare il nemico – È un amore forte che è pronto ad amare anche il nemico, a pregare per lui, a vincere le offese con il perdono. Amarsi a vicenda – Quando poi questo amore è vissuto insieme da due o più persone, da due o più ragazzi, c’è l’amore vicendevole. Ed è questo il segreto, la via sicura per costruire la pace e l’unità, per realizzare la fraternità sulla terra. Questo amore che dà tanta gioia a chi lo mette in pratica, chiede anche impegno, fatica, coraggio, allenamento. Non si può costruire la pace senza sacrificio. Coraggio allora, carissimi ragazzi! Molto dipende da voi. Allenatevi oggi nell’amare, anche per il futuro che vi appartiene. L’augurio più bello che vi faccio è quello di trovare la felicità incominciando subito a vivere questo amore, nelle famiglie, nelle scuole, nei quartieri delle vostre città e di esserne portatori a tutti. Che tanti altri ragazzi e anche adulti, toccati dal vostro amore, possano dire: “Anch’io voglio vivere come voi”. Così facendo la pace e l’unità diverranno giorno dopo giorno realtà. (dal videomessaggio per la Conferenza dei Ragazzi per il Futuro – Giappone – luglio 2000)

Il migrante è un nemico?

Il Punto

La frontiera? E’ la soglia dell’altro di Michele Zanzucchi

Riparliamone

Il migrante è un nemico? Sul decreto sicurezza continuano ad arrivare lettere di rammarico

Editoriali

Scudo fiscale condono inefficace di Vittorio Pelligra Un giorno di storia al Fanar di Roberto Catalano Natalia Estemirova la Cecenia piange di Edoardo Guedes

Primo piano

Vacanza alternativa. Le ferie tra i terremotati. di Paolo Lòriga Dal tragico giorno del sisma la presenza e l’apporto delle comunità dei Focolari accompagnano e sostengono tante persone. Anche in luglio e agosto.

Uomini e vicende

Colpo di Stato, o no? di Francisco Morazàn Il 28 giugno le istituzioni sembrano aver fatto rispettare le leggi del Paese, nel tentativo di ridare onore all’intera nazione.

Estate dinamica. Vacanza in città di Aurora Nicosia Non tutti possono partire. Come godersi le ferie rimanendo a casa.

3 domande a Stefano Zamagni di Paolo Lòriga L’enciclica e un mercato “fraterno”.      Quale punto reputa più innovativo della “Caritas in veritate”? «Un primo punto è l’invito a superare la separazione tra la sfera dell’economico e la sfera del sociale…

Nel mondo dei fumetti. Altro che nuvolette. di Maddalena Maltese Incontro con Marco Rizzo, emergente sceneggiatore e disegnatore siciliano. In giro per l’Italia con l’ultimo libro «Lavorare per migliorare la storia».

Cultura

I luoghi della rete. Internet, le sviste possibili di Riccardo Poggi Crisi e rinascita dei media: che futuro ci aspetta?

Il maestro del meeting. Ferito dalla bellezza. di Michele Genisio A quattro anni dalla morte, viene tratteggiato il profilo di Don Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione.

agosto 2009

agosto 2009

audio 

Sai quando il Vangelo riporta questa frase? La scrive l’evangelista Giovanni prima che Gesù si accinga a lavare i piedi ai suoi discepoli e si prepari alla sua passione.
Negli ultimi momenti che vive con i suoi Gesù manifesta in modo supremo e più esplicito l’amore che da sempre nutriva per loro.

“Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”.

Le parole “sino alla fine” significano: fino alla fine della sua vita, fino all’ultimo respiro. Ma vi è anche in esse l’idea della perfezione. Vogliono dire: li amò completamente, totalmente, con una intensità estrema, fino al culmine.
I discepoli di Gesù rimarranno nel mondo mentre Gesù sarà nella gloria. Si sentiranno soli, dovranno superare tante prove; proprio per quei momenti Gesù vuole che siano sicuri del suo amore.

“Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”.

Non senti in questa frase lo stile di vita del Cristo, il suo modo di amare? Lava i piedi ai discepoli. Il suo amore lo porta fino a questo servizio, a quel tempo riservato agli schiavi. Gesù si sta preparando alla tragedia del Calvario per dare ai “suoi” e a tutti, oltre le sue straordinarie parole, oltre gli stessi suoi miracoli, oltre tutte le sue opere, anche la vita. Ne avevano bisogno, il bisogno più grande che ha ogni uomo; quello di essere liberato dal peccato, che significa dalla morte, e poter entrare nel regno dei cieli. Dovevano aver pace e gioia nella Vita che non finisce più.
E Gesù si offre alla morte, gridando l’abbandono del Padre, fino al punto di poter dire alla fine: “tutto è compiuto”.

“Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”.

Vi è in queste parole la tenacia dell’amore d’un Dio e la dolcezza dell’affetto d’un fratello.
Anche noi cristiani, perché Cristo è in noi, possiamo amare così.

Ora però non ti vorrei proporre tanto di imitare Gesù nel morire (quand’era la sua ora) per gli altri: non ti vorrei offrire, come necessari modelli, padre Kolbe che muore al posto d’un fratello prigioniero, né padre Damiano che, divenuto lebbroso con i lebbrosi, muore con loro e per loro.
Può darsi che mai, nel corso degli anni, ti sia chiesto di offrire la tua vita fisica per i fratelli. Ciò che Dio però certamente ti domanda è di amarli fino in fondo, fino alla fine, fino al punto che anche tu possa dire: “tutto è compiuto”.

Così ha fatto la piccola Cetti, di 11 anni, di una città italiana. Ha visto la sua amichetta e compagna Giorgina, della stessa età, molto triste. Vuole tranquillizzarla, ma non ci riesce. Vuol allora andare fino in fondo e sapere il perché della sua angoscia. Le è morto il papà e la mamma l’ha lasciata sola presso la nonna, andando a vivere con un altro uomo. Cetti intuisce la tragedia e si muove. Chiede, pur piccola, alla compagna di poter parlare con la sua mamma, ma Giorgina la prega di accompagnarla prima sulla tomba del suo papà. Cetti la segue con grande amore e sente Giorgina implorare nel pianto il babbo perché venga a prenderla.

A Cetti il cuore si spezza. C’è lì una piccola chiesa diroccata, entrano. Sono rimasti soltanto un piccolo tabernacolo ed un Crocifisso. Cetti dice: “Guarda, in questo mondo, tutto verrà distrutto, ma quel Crocifisso e quel tabernacolo resteranno!”. Giorgina, asciugandosi le lacrime, risponde: “Sì, hai ragione tu!”. Poi, con garbo, Cetti prende Giorgina per mano e l’accompagna dalla mamma.

Arrivata, con decisione le rivolge queste parole: “Guardi, signora, non sono cose che riguardano me; ma io le dico che lei ha lasciato la sua figlia senza un affetto materno di cui ha bisogno. E le dico ancora una cosa: che lei non sarà mai in pace finché non l’avrà presa con sé e non si sarà pentita”.
Il giorno dopo Cetti sostiene con amore Giorgina che ritrova a scuola. Ma ecco il fatto nuovo: una macchina viene a prendere Giorgina: la guida la mamma. E da quel giorno la macchina ritorna, perché Giorgina ormai vive con lei, che ha abbandonato decisamente l’amicizia con quell’uomo.
Della piccola e grande azione di Cetti, si può dire “tutto è compiuto”. Ha fatto bene ogni cosa. Fino in fondo. E c’è riuscita.

Pensaci un po’. Quante volte hai incominciato a prenderti cura di qualcuno che poi hai abbandonato, facendo tacere la tua coscienza con mille scuse? Quante azioni hai iniziato con entusiasmo che poi non hai proseguito di fronte a difficoltà che ti sembravano superiori alle tue forze?…
La lezione che oggi Gesù ti dà è questa:

“Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”.

Fa' così.
E se un giorno Dio ti chiedesse sul serio la vita, non tentennerai. I martiri andavano alla morte cantando. E il premio sarà la più grande gloria, perché Gesù ha detto che nessuno al mondo ha più grande amore di colui che versa il suo sangue per i suoi amici.

Chiara Lubich

La castità politica di Igino Giordani

Riportiamo uno stralcio dell’articolo pubblicato su Avvenire Lazio Sette del 12 luglio 2009 Giordani ha attraversato tutte le fasi salienti del secolo in cui visse, ma immerso nella storia non ha mai seguito le mode storiche del momento. Perché è stato casto? Lo è stato perché staccato dalla brama del potere. Non ha mai fatto carte false per ottenere le poltrone che pure ha ottenuto. Nel 1946 fu De Gasperi a chiedere a Giordani di candidarsi come membro dell’Assemblea costituente. Era anche staccato da sé: nelle trincee del Carso non sparò contro il nemico rischiando di persona a tal punto da venire ferito gravemente, mutilato e reso invalido. Era staccato dai soldi: costretto a insegnare dopo lo scioglimento dei partiti del 1925-26, si dimise dall’incarico pubblico per non seguire i rituali che il fascismo chiedeva. Ancora: direttore di giornali importanti si licenziò puntualmente quando i poteri forti chiesero più duttilità. La castità spirituale di Igino vive ancora oggi nella vocazione di tanti che nella scelta di consacrazione tornano agli ideali evangelici da vivere anche nella vita pubblica. leggi l’articolo integrale – pubblicato su Avvenire – Lazio Sette del 12.7.2009 (altro…)

Come il Padre ha mandato me, io mando voi

leggi il pensiero del giorno

 Fra le divine parole che disse [Gesù], ve n’è una che dà le vertigini se si pensa pronunciata da Dio e fa comprendere l’eccellenza di una elezione.

È un paragone paradossale, ma vero e ricco di mistero. E Cristo lo rivolge a quelli che sarebbero stati nei secoli i suoi sacerdoti: «Come il Padre ha mandato me, io mando voi». Chi è allora il prete? È colui che Cristo ha eletto per continuarlo nel tempo. Purtroppo alle volte il sacerdote non è così. E d’altronde se il prete non è Cristo, è ben poco. Le sue prediche sono vuote e le chiese deserte. Perché la parola che Cristo dava era lui stesso. Se il prete prima vive ciò che predica e poi parla, la sua parola sarà Cristo e sarà, anche lui, altro Cristo.

Come il Padre ha mandato me discorsi trascineranno allora le folle e le chiese diverranno strabocchevoli. Perché non è tanto la scienza che fa il prete, quanto il carisma vivificato dall’amore.  

Chiara Lubich, Il celibato sacerdotale, Città Nuova  14 (1970/3) p. 9

 
Tratto dal volume: Come il Padre ha amato me… 365 pensieri per l’anno sacerdotale, Città nuova 2009 http://editrice.cittanuova.it/notizia.asp

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Oltre il profitto: obiettivi più grandi, che sanno di eterno

Un racconto a due voci: Tom, che ci ha lasciato da qualche anno, e Jeanne, la moglie, che ha condiviso con lui questa esperienza. “Il mio settore di attività si stava riducendo, ed avendo risparmiato qualche soldo, ho pensato che era il momento di iniziare una attività in proprio. Proprio allora avevo saputo dell’economia di comunione, e con mia moglie Jeanne siamo stati subito attratti dalla possibilità di renderci responsabili non solo di provvedere alla nostra famiglia ma anche alle necessità di tanti nel mondo”. “Il saper preparare e condividere il cibo era da generazioni tradizione della famiglia Petrucci, così abbiamo deciso di aprire un ristorante a Camarillo, in California: il Petrucci’s”. Jeanne, che ha lavorato negli ultimi anni al ristorante, così descrive come Tom gestiva l’azienda: “Voleva dare a ciascuno dei suoi collaboratori la possibilità di migliorarsi: se qualcuno era stato assunto come lavapiatti o autista ma voleva imparare un lavoro di livello superiore,Tom gli dava sempre la possibilità di farlo; se poi uno diventava esperto nel nuovo lavoro e non vi era per lui un posto adeguato, non cercava di trattenerlo in azienda. Molti avevano una famiglia a cui provvedere e Tom voleva che potessero migliorare ed avere successo”. Tom scriveva: “Nel nostro ristorante cerchiamo di lavorare come se tutto dipendesse da noi, ma sapendo che in realtà tutto dipende da Dio. Jean ed io ben sappiamo che non faremo mai grandi profitti, ma sentiamo che riuscendo a dare lavoro a dieci persone, assicurando così un’entrata a dieci famiglie, ed in più contribuendo a ridurre il problema della povertà, abbiamo raggiunto obiettivi più grandi, che sanno di eterno”. “Nel breve momento di meditazione del mattino scegliamo un pensiero chiave da mettere in pratica durante il giorno. A volte sono bombardato da migliaia di idee su come gestire meglio il ristorante, su come guadagnare di più, e così via, ma l’unità degli altri mi permette di rimanere orientato a ‘quello che conta veramente’. Il momento insieme del mattino rafforza nella mia anima la decisione che con Jeanne abbiamo preso quando abbiamo iniziato questa avventura: e cioè di amare il momento presente e cercare la volontà di Dio, non la nostra. Quando abbiamo iniziato l’attività sapevamo ben poco su come gestire un ristorante. Se ha successo, è perché è nei Suoi piani”. “Fin dal primo mese di apertura del ristorante, abbiamo deciso di dare comunque una somma mensile per i poveri. Un atto di fede che ci ha aiutato a tenere sempre al primo posto l’importanza del dare”. (Tom e Jeanne Petrucci, da L’amore come piatto principale in Economia di Comunione, Periodico quadrimestrale, Anno X/n.2, novembre 2004) (altro…)

agosto 2009

Una visione universale d’amore

I problemi del terzo mondo non sono uno scherzo. Esigono uno spostamento massiccio di beni: un ridimensionamento, una formidabile messa a punto. E tutto ciò noi non lo sappiamo fare. Non siamo in grado di disegnare progetti completi sul mondo nel suo insieme, nemmeno allo scopo di beneficarlo, perché occorre un amore universale. Qui deve entrare in gioco Colui che ha creato questo mondo, ne sa i destini, e scruta i più reconditi pensieri degli uomini, le loro aspirazioni e le possibilità spirituali e materiali dei popoli. Colui che conosce anche per diretta esperienza quest’umanità, Colui che riassume l’umanità perché non è un uomo, ma l’Uomo: Egli solo può accendere in noi uno spirito e una visione universale d’amore. Giovanni XXIII, ad esempio, ci dice che il superfluo da darsi a chi non ha è misurato dal bisogno altrui. Ma chi misurerà le necessità di tutti gli altri nostri fratelli, se non qualcuno che ha in sé la misura della umanità? E questi non è che Cristo. E la sua azione sul mondo la vuol fare generalmente attraverso i cristiani. E la può fare con coloro in cui, per la carica di amore, Egli vive ed agisce pienamente. Allora i programmi che essi faranno saranno illuminati dalla sua sapienza e s’attueranno, nonostante tutte le difficoltà.  Tratto da “Cristiani sottosviluppati” pubblicato in: Chiara Lubich, Scritti Spirituali/2 – L’essenziale di oggi, Città Nuova Editrice pp. 158-159 ed. 1997

agosto 2009

luglio 2009

audio della Parola di Vita letta da Chiara Lubich, andato in onda su Radio Due il 4 marzo 1979

download mp3 dal sito del Centro Chiara Lubich

Sei giovane e reclami una vita ideale, totalitaria, radicale? Senti Gesù. Nessuno al mondo ti chiede tanto. Sei nell’occasione di dimostrare la tua fede e la tua generosità, il tuo eroismo.

Sei maturo e brami un’esistenza seria, impegnata, ma sicura? O anziano e desideri vivere i tuoi ultimi anni abbandonato a chi non inganna, senza preoccupazioni che ti logorano? Vale anche per te questa parola di Gesù.
Essa conclude infatti una serie di esortazioni nelle quali Gesù ti invita a non preoccuparti di ciò che mangerai e vestirai, esattamente come fanno gli uccelli dell’aria che non seminano e i gigli del campo che non filano. Devi bandire perciò dal tuo cuore ogni ansia per le cose della terra, perché il Padre ti ama assai più degli uccelli e dei fiori, e pensa lui stesso a te.
Per questo ti dice:

“Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma”.

Il Vangelo è, nel suo insieme ed in ogni sua parola, una richiesta totale agli uomini di ciò che sono e di ciò che hanno.
Dio non domandava tanto prima che venisse Cristo. L’Antico Testamento considerava un bene, una benedizione di Dio la ricchezza terrena e, se chiedeva di far elemosina ai bisognosi, era per ottenere benevolenza dall’Onnipotente.
Più tardi, nel giudaismo, il pensiero della ricompensa nell’aldilà era diventato più comune. Un re rispondeva a chi gli rimproverava di sperperare i suoi beni: “I miei avi accumularono tesori per quaggiù, io invece ho accumulato tesori per lassù”. […].
Ora l’originalità della parola di Gesù sta nel fatto che lui ti chiede il dono totale, ti domanda tutto. Vuole che tu sia un figlio spensierato, senza preoccupazioni per il mondo, un figlio che si appoggia soltanto su di lui.
Egli sa che la ricchezza è un enorme ostacolo per te, perché essa occupa il tuo cuore, mentre egli vuole avere tutto lo spazio per sé.
Ecco quindi la raccomandazione:

“Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma”.

E se non puoi disfarti dei beni materialmente, perché sei legato ad altre persone, o perché la tua posizione ti obbliga ad un contorno dignitoso ed adeguato, certamente devi staccarti dai beni spiritualmente ed essere nei loro confronti un semplice amministratore. Così, mentre tratti con la ricchezza ami gli altri e, amministrandola per loro, ti fai un tesoro che il tarlo non corrode e il ladro non porta via.
Ma sei certo che devi tenere tutto? Ascolta la voce di Dio dentro di te; consigliati, se non sai decidere. Vedrai quante cose superflue troverai fra ciò che hai. Non tenerle. Dà, dà, a chi non ha. Metti in pratica la parola di Gesù: “Vendi… e dà”. Così riempirai le borse che non invecchiano.
E’ logico che per vivere nel mondo occorra interessarsi anche di denaro, anche di roba. Ma Dio vuole che ti occupi, non che ti preoccupi. Occupati di quel minimo che è indispensabile per vivere secondo il tuo stato, secondo le tue condizioni. Per il resto:

“Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma”.

Paolo VI era veramente povero. Lo ha testimoniato il modo col quale ha voluto essere sepolto: in una povera bara, nella vera terra. Poco prima di morire aveva detto a suo fratello: “Da tempo ho preparato le valigie per quell’impegnativo viaggio”.
Ecco, questo devi fare: preparare le valigie.
Ai tempi di Gesù si chiamavano forse borse. Preparale giorno per giorno. Riempile più che puoi di ciò che può essere utile agli altri. Hai veramente ciò che dai. Pensa a quanta fame c’è nel mondo. A quanta sofferenza. A quanti bisogni…
Riponivi anche ogni atto d’amore, ogni opera in favore dei fratelli.
Compi queste azioni per lui. Diglielo nel tuo cuore: per Te. Ed adempile bene, con perfezione. Sono destinate al Cielo, rimarranno per l’eternità.

Chiara Lubich

Parola di vita, marzo 1979, pubblicata per intero in Essere la Tua Parola. Chiara Lubich e cristiani di tutto il mondo, vol. I, Città Nuova, Roma 1980, pp.189-191.