
Un Centro per “generare comunità”

Maurizio Certini, direttore del Centro Internazionale Studenti Giorgio La Pira.


Maurizio Certini, direttore del Centro Internazionale Studenti Giorgio La Pira.
«Il desiderio di fare il medico, che avevo nutrito da sempre, divenne ancora più forte quando, anni fa, mio padre e mio fratello ebbero un grave incidente. L’ospedale diventò la nostra seconda casa, per una serie di operazioni alle gambe che mio padre dovette affrontare. In quei momenti compresi la difficoltà dei pazienti, specie quelli che non avevano sufficienti risorse economiche, a ricevere cure adeguate. “Sarò un medico – mi dissi – per offrire a tutti la speranza di una cura”. Anche la mia famiglia aveva una situazione economica molto precaria. Mio padre, per una disabilità permanente causata dall’incidente, non poteva più lavorare. Al termine della scuola, il mio desiderio di studiare medicina si infranse quando mia madre mi disse: “Non abbiamo i mezzi”. Piansi amaramente, poi però pensai: “Se Gesù vuole così, allora lo voglio anch’io”. Eravamo stati sempre in contatto con il Focolare, e loro sapevano del mio grande desiderio. Alcuni giorni dopo, mi telefonarono per dirmi che avevano trovato, attraverso le organizzazioni AMU e AFN, il modo di sostenermi economicamente. Ero così felice! Un segno dell’amore di Dio. Cominciai gli studi all’università. Non era tutto facile. Ogni giorno dovevo avere una buona dose di pazienza e perseveranza. Nella mia classe c’erano studenti di religioni e culture diverse, e alcuni di loro erano prepotenti con me, che avevo un carattere più morbido e remissivo. Cercavo ugualmente di essere amica di tutti e di restare unita a Gesù, e da Lui ricevevo la forza per affrontare ogni difficoltà. Dormivo anche solo due ore al giorno a causa delle tonnellate di pagine da memorizzare. Non facevo altro che studiare, eppure sperimentai anche l’insuccesso a un esame, o la tristezza di non poter uscire con gli amici. E poi mi mancava tanto la mia famiglia. Ma ero certa che Dio aveva dei piani su di me. Durante il tirocinio lavoravamo in reparto, con i pazienti, con turni anche di 30-36 ore consecutive, ed era veramente faticoso. Bisognava fare molte cose insieme, sincerarsi che tutti i pazienti ricevessero le cure e contemporaneamente dovevo studiare per gli esami. L’incontro con ogni paziente era sempre un’occasione per amare. Nonostante fossi stanca e assonnata, cercavo di presentarmi a loro con energia, di ascoltarli con un sorriso e con sentimenti di vera compassione. In ospedale, gli infermieri tendevano ad essere bruschi con noi stagisti e ci impartivano ordini. Tuttavia, cercavo di mettere a tacere il mio orgoglio e di costruire con loro un rapporto amichevole. Dopo qualche tempo, hanno cambiato atteggiamento. Nel mio gruppo, c’era una studentessa sempre scontrosa, che alzava la voce contro di noi, suoi compagni di corso, anche davanti ai pazienti. Nessuno la sopportava. Ho pensato: “Se non le voglio bene io, chi lo farà?”. Ho imparato a capire lei e le sue difficoltà, a volerle bene. All’inizio era difficile, voleva sempre ottenere qualcosa. Ho pregato Gesù di darmi il coraggio e la forza, perseverando in questo atteggiamento di comprensione. Alla fine, anche lei ha cominciato a capire me, e siamo diventate amiche. Se c’è una cosa che ho imparato, è che le cose possono anche diventare meno facili, ma tu puoi diventare più forte. Ho avuto paura tante volte di non farcela, ma “ricominciare” era il segreto che avevo imparato da Chiara Lubich. Ora sono un medico, il mio sogno si è realizzato, e ho tante più opportunità per amare Dio servendo i miei pazienti, ricordando quella frase del Vangelo “Qualunque cosa avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, lo avete fatto a me”». Chiara Favotti (altro…)
Una grande massa di sfollati, in attesa di riuscire a tornare nelle proprie abitazioni, ancora sommerse dalle devastanti inondazioni che si sono verificate nel Kerala, è al momento radunata in 3.800 campi di raccolta. Le operazioni di soccorso e assistenza vengono portate avanti in mezzo a grandi difficoltà, a causa dell’inaccessibilità di alcune zone. In certi casi, cibo e acqua vengono lanciati dagli elicotteri, essendo stati distrutti strade e ponti. Dalla comunità locale dei Focolari scrivono: «Siamo di ritorno da Trichy (a 300 Km circa dal Kerala), dove si è svolta la Mariapoli con le persone dei gruppi della Parola di vita, sparsi in un raggio di 120 km. In cuore, però, avevamo le persone del Kerala travolte dalle fortissime piogge. Siamo ancora nel periodo del monsone, vento caldo che provoca questi tifoni tropicali. Per quanto sappiamo le persone del Movimento stanno bene. C’era in programma un ritiro per sacerdoti a Trivandrum (nel sud del Kerala), ma l’abbiamo dovuto cancellare perché i viaggi non sono sicuri e tanti sacerdoti prenotati sono coinvolti nella tragedia. Nel fine settimana, le nostre comunità locali si sono impegnate a raccogliere generi alimentari e oggetti di prima necessità da inviare alle zone colpite. Contiamo sulle vostre preghiere». Anche Papa Francesco ha pregato per le vittime e perché “non manchi a questi fratelli la nostra solidarietà e il concreto sostegno della comunità”.
Per chi vuole collaborare, sono stati attivati i seguenti conti correnti:
Azione per un Mondo Unito ONLUS (AMU) | Azione per Famiglie Nuove ONLUS (AFN) |
IBAN: IT58 S050 1803 2000 0001 1204 344 presso Banca Popolare Etica | IBAN: IT55 K033 5901 6001 0000 0001 060 presso Banca Prossima |
Codice SWIFT/BIC: CCRTIT2T | Codice SWIFT/BIC: BCITITMX |
CAUSALE : Emergenza Kerala (India) | |
I contributi versati sui due conti correnti con questa causale verranno gestiti congiuntamente da AMU e AFN. Per tali donazioni sono previsti benefici fiscali in molti Paesi dell’Unione Europea e in altri Paesi del mondo, secondo le diverse normative locali. I contribuenti italiani potranno ottenere deduzioni e detrazioni dal reddito, secondo la normativa prevista per le Onlus, fino al 10% del reddito e con il limite di € 70.000,00 annuali, ad esclusione delle donazioni effettuate in contanti. |
https://vimeo.com/279279673 (altro…)
«Secondo dati attendibili, nella sola giornata dell’11 agosto, 5.100 venezuelani hanno varcato la frontiera tra Ecuador e Perù. Un record che supera quello raggiunto nel maggio scorso, quando in un giorno c’erano stati 3.700 nuovi arrivi. Per questo motivo l’Ecuador ha dichiarato uno stato di emergenza migratoria». Roggero, nato in Venezuela da genitori italiani, conosce bene l’America Latina, dove ha vissuto quasi 40 anni ed ora nella capitale peruviana, dove vive dal 2015. Non solo Brasile, Colombia, Ecuador e Perù, ma anche Paesi più lontani come il Cile, l’Argentina e perfino l’Uruguay sono alle prese con un esodo epocale, che secondo molti osservatori rischia di provocare in quell’area una delle maggiori crisi umanitarie degli ultimi decenni. Le nuove norme di ingresso in Ecuador e Perù impongono da pochi giorni ai cittadini venezuelani di esibire un passaporto, impossibile da ottenere di questi tempi, al posto della carta d’identità. «Si tratta di una realtà difficilmente comprensibile se non si vive in prima persona. I venezuelani fuggiti in Perù potrebbero aver già raggiunto la quota di 400 mila persone. Sono fuggiti da un Paese attanagliato da una crisi gravissima, dove manca tutto, e sono qui per trovare un lavoro e mantenere il resto della famiglia rimasta in Venezuela. Ma a costo di grandi sacrifici. Sono disposti a tutto, fanno spesso la fame, trascorrono anche 3-4 ore al giorno in autobus per guadagnare pochi dollari. Molti dormono sul pavimento e soffrono il freddo perché non hanno nemmeno una coperta, o fanno la doccia con l’acqua fredda. Ma, perlomeno, sanno che chi è rimasto in Venezuela (moglie, figli, fratelli, nonni…) ha un tetto sopra la testa e può in qualche modo sopravvivere con i pochi dollari che arrivano dall’estero. Ormai, le “rimesse” che arrivano da fuori sono una voce importantissima nell’economia venezuelana». La comunità dei focolari, intanto, da vari mesi cerca di accogliere le persone che parenti o amici segnalano in arrivo o con cui per svariate circostanze è entrata in contatto. «Importante per noi – dice Silvano – è che trovino un’aria di famiglia. Se poi possiamo condividere del cibo, qualche giaccone, delle medicine, una coperta o delle indicazioni per ottenere il permesso di soggiorno temporaneo, meglio ancora. Il 12 agosto ci siamo incontrati per la terza volta nel focolare di Lima, insieme al Centro Fiore una delle nostre sedi operative. Eravamo in 23 persone, due terzi delle quali venezuelane. Prima di tutto, con chi voleva, abbiamo partecipato alla messa. Poi abbiamo offerto un pranzo, con due grandi tavolate. Prima di congedarci abbiamo visto una presentazione in video di Chiara Lubich, perché la maggioranza dei presenti non conosceva il Movimento. Un momento sempre commovente è quello dedicato alla distribuzione dei vestiti che generosamente la comunità locale raccoglie e ci fa pervenire. Abbiamo anche riso parecchio quando uno dei presenti ha visto che un altro indossava il suo giaccone, preso per sbaglio come uno degli indumenti “disponibili”. Questa inusuale contentezza celava realtà molto dure e ogni genere di storie dolorose, vissute prima, durante e dopo la fuga dal Venezuela. Parlarne e ascoltarle è diventato per loro un momento di liberazione. A qualcuno in emergenza abbiamo potuto offrire, nel frattempo, qualche giro di lavatrice. Due rockettari, amici di uno degli invitati, sono capitati lì per caso. Uscendo, colpiti dal rapporto che avevano visto tra tutti noi, ci hanno definito “persone di qualità”. Pare che questa definizione, nel mondo dei rockettari, almeno in Venezuela, sia il massimo elogio possibile. E non era ancora finita: da colui che meno te l’aspetti è giunto l’invito a fare una preghiera finale, tutti in circolo e presi per mano, davvero significativo! Quella stessa sera siamo venuti a sapere che l’ONU stima che 2,3 milioni di venezuelani siano già scappati dal loro Paese, dall’inizio della crisi. Quindi abbiamo ancora molto lavoro da fare. E per un bel po’». Chiara Favotti (altro…)