Movimento dei Focolari
Prossimità e libertà

Prossimità e libertà

Margaret, perché hai scelto la prossimità come tema dell’anno per il Movimento dei Focolari?

Mi sono chiesta in quale mondo viviamo. E mi sembra che in questo momento della storia ci sia tanta solitudine e tanta indifferenza. E poi c’è una escalation di violenza, di guerre che portano tanto dolore in tutto il mondo. Inoltre, ho pensato alla tecnologia che ci ha connesso in modi mai conosciuti prima, ma allo stesso tempo ci rende sempre più individualisti. In un mondo come questo penso che la prossimità possa essere un antidoto; un aiuto per superare questi ostacoli e curare questi “mali” che ci rendono distanti gli uni dagli altri.   

Da dove possiamo cominciare?

Da mesi faccio questa domanda a me stessa. Mi sembra che dobbiamo ri-imparare ad avvicinarci alle persone, ri-imparare a guardare e trattare tutti come fratelli e sorelle. Sentivo che prima di tutto dovevo fare un esame di coscienza sull’atteggiamento mio. Le persone che avvicino ogni giorno, sono fratelli, sono sorelle per me? O sono indifferente verso di loro o addirittura li considero nemici? Mi sono fatta tante domande. Ho scoperto che alle volte voglio evitare una persona, perché forse mi darà fastidio o mi disturberà o mi vorrà dire delle cose difficili. Per tutto questo ho intitolato la mia riflessione sulla prossimità che ho presentato a metà novembre ai responsabili del Movimento dei Focolari così: “Chi sei tu per me?”

Potresti dirci alcune delle idee principali che hai sviluppato sotto questo titolo?

Volentieri. Accenno a quattro pensieri. La prima prossimità che la nostra anima sperimenta è quella al contatto con Dio. È lui stesso che si trasmette ai prossimi anche attraverso di noi. Il desiderio di amare l’altro è un movimento che da Dio in me vuole puntare a Dio nell’altro.

Un secondo pensiero: La prossimità è dinamica. Chiede un’apertura completa, cioè accogliere le persone senza riserve; entrare nel loro modo di vedere le cose. Non siamo fatti in serie! Ognuno di noi è unico, con un carattere, una mentalità, una cultura, una vita e una storia diversi. Riconoscere e rispettare questo chiede di uscire dai nostri schemi mentali e personali.

Parlavi di un terzo aspetto …

Sì. Il terzo aspetto che voglio sottolineare è che prossimità non coincide necessariamente con vicinanza, con l’essere simili, con l’appartenenza ad uno stesso orizzonte culturale. La parabola del Buon Samaritano (Luca 10,25-37) lo esprime molto bene. Mi ha colpito l’atteggiamento del Samaritano: L’uomo che era caduto tra i briganti era una persona sconosciuta a lui, persino era di un altro popolo. Era una persona distante sia per cultura sia per tradizione. Però il Samaritano si è fatto prossimo. Questo è il punto chiave per me. Ognuno ha la sua dignità, al di là del popolo e della cultura da cui proviene o del suo carattere. Il Samaritano non si è avvicinato solo per vedere se questa persona era ferita per poi allontanarsi o casomai chiamare aiuto. Si è fatto prossimo e ha curato la persona. Il quarto aspetto …

… sarebbe …

…lasciarci ferire. Affinché la prossimità possa portare frutto chiede a ciascuno di noi di non aver paura e di lasciarci ferire dall’altro.

E ciò significa: lasciarci mettere in discussione, esporci a delle domande alle quali non abbiamo risposte; essere disposti a mostrarci vulnerabili; presentarci forse deboli e incapaci. L’effetto di un tale atteggiamento può essere sorprendente. Pensi che un ragazzo di nove anni mi ha scritto che per lui prossimità vuol dire “alzare il cuore dell’altro”. Non è questo un effetto meraviglioso della prossimità? Alzare il cuore dell’altro.

Cosa cambierebbe all’interno del Movimento dei Focolari se vivessimo bene la prossimità?

Se la viviamo veramente bene cambieranno tante cose. Io lo auguro, lo spero e prego che sia così. Però voglio anche sottolineare che tantissimi nel Movimento dei Focolari vivono già la prossimità. Quante iniziative ci sono, quanti progetti a favore della pace e per l’aiuto ai poveri. Abbiamo addirittura aperto focolari per dare assistenza e accoglienza agli immigrati o per la cura della natura.

E cosa dovrebbe cambiare?

La qualità delle relazioni fra le persone. Alle volte è più facile trattare bene le persone esterne al Movimento e più difficile fra di noi che facciamo parte della stessa famiglia. Rischiamo di vivere tra di noi dei rapporti “di buona educazione”: non ci facciamo del male, però, mi chiedo, è un rapporto autentico questo?

Così mi auguro che, al di là dei progetti, la prossimità diventi uno stile di vita quotidiano; che ci chiediamo più volte durante la giornata: “Sto vivendo questa prossimità? Come la vivo?” Una espressione importante della prossimità è il perdono. Essere misericordiosi verso gli altri – e verso noi stessi.

Quale messaggio contiene per la società?

La prossimità non è solo un atteggiamento religioso o spirituale, ma anche civile e sociale. In qualsiasi ambito è possibile viverla. Nell’ambito dell’educazione per esempio o della medicina, persino nella politica, dove forse è più difficile. Se la viviamo bene, possiamo avere una influenza positiva sui rapporti là dove siamo.

E per la Chiesa?

La Chiesa esiste perché con la venuta di Gesù, Dio si è fatto prossimo. La Chiesa, le Chiese allora sono chiamate a testimoniare una prossimità vissuta. Di recente la Chiesa Cattolica ha vissuto il Sinodo. Ho potuto partecipare alle due sessioni in Vaticano. Eravamo più di 300 persone, ognuno di una cultura diversa. Cosa abbiamo fatto? Un esercizio di sinodalità, un esercizio di ascolto, di conoscenza profonda, di accoglienza del pensiero dell’altro, delle sue sfide e dei suoi dolori. Sono tutte caratteristiche della prossimità.

Il titolo del Sinodo era “Camminare insieme”. Questo cammino ha coinvolto tantissime persone in tutto il mondo. Il logo del Sinodo esprimeva il desiderio di allargare la tenda della Chiesa affinché nessuno si senta escluso. Mi sembra che questo sia il vero senso della prossimità: che non si escluda nessuno; che tutti si sentano accolti, sia chi frequenta la Chiesa, sia chi non si riconosce in essa o chi si è addirittura allontanato per vari motivi.

Vorrei accennare un attimo ai limiti della prossimità. Come viverla bene?

È una domanda importante. Ci sono limiti alla prossimità? Come prima risposta direi che non dovrebbero esserci limiti.

Però?

Non possiamo essere sicuri che ciò che per noi o ciò che per me è vicinanza e solidarietà lo sia per l’altro. E in una relazione non può mai mancare il rispetto della libertà e della coscienza dell’altro. Queste due cose sono essenziali in ogni rapporto. Per questo è importante che quando ci avviciniamo a una persona, sia sempre fatto con delicatezza, e non come una cosa imposta. È l’altro che decide quanta e che tipo di prossimità vuole.

C’è da imparare, vero?

Assolutamente. Abbiamo commesso parecchi errori. Pensando di voler bene all’altro, lo abbiamo ferito. Nello slancio di comunicare la nostra spiritualità abbiamo costruito dei rapporti in cui l’altro non sempre si è sentito libero. Alle volte mi sembra che con la buona intenzione di amare una persona, l’abbiamo schiacciata. Non abbiamo avuto abbastanza delicatezza e rispetto della coscienza dell’altro, della libertà dell’altro, del tempo dell’altro. E questo ha portato a certe forme di paternalismo e anche di abusi.

Senz’altro è una situazione dolorosissima che stiamo affrontando e dove le vittime hanno una importanza unica, veramente unica. Perché da soli non riusciamo a capire sufficientemente cosa è successo. Sono le vittime ad aiutarci a comprendere gli errori che abbiamo commesso e fare i passi necessari perché queste cose non accadano più.

Un augurio conclusivo?

Mi auguro che questo tema ci possa riportare all’essenza di quello che Gesù stesso ci ha donato nel Vangelo. Lui ci ha dato tantissimi esempi di che cosa vuol dire vivere la prossimità.

C’è un pensiero di Chiara Lubich che mi è risuonato molto forte pensando a questa tematica. Dice così: “C’è chi fa le cose ‘per amore’, c’è chi fa le cose cercando di ‘essere l’Amore’. L’amore ci stanzia in Dio e Dio è l’Amore. Ma l’Amore che è Dio, è luce e con la luce si vede se il nostro modo di accostare e servire il fratello è conforme al Cuore di Dio, come il fratello lo desidererebbe, come sognerebbe se avesse accanto non noi, ma Gesù.”

Grazie di cuore, Margaret, della tua passione per una prossimità vissuta con decisione e rispetto.

Peter Forst
(Pubblicato nella rivista Neu Stadt)
Foto: © Austin Im-CSC Audiovisivi

Margaret Karram a conclusione del Sinodo

Margaret Karram a conclusione del Sinodo

“E’ stata per me una grazia immensa, un dono di Dio non solo personale, ma per tutto il Movimento dei Focolari” con queste parole della Presidente Margaret Karram apre alcune riflessioni sull’esperienza sinodale e sul documento finale della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (2-27 ottobre 2024) “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione”. 

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Genfest, la strada prende forma 

Genfest, la strada prende forma 

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Tutta l’esperienza del Genfest – dalla “Fase 1” fino alla “Fase 3” – è la testimonianza tangibile che voi giovani credete e anzi, state già lavorando, per costruire un mondo unito. Questi sono stati per tutti noi giorni di grazie straordinarie, abbiamo messo in pratica la “cura” in vari modi: nella Fase 1, attraverso il servizio ai poveri, agli emarginati, a chi più soffre e lo abbiamo fatto vivendo la reciprocità, quella comunione tipica del carisma del Movimento dei Focolari; nella Fase 2, nella condivisione di vita, esperienze, ricchezze culturali; e poi, nella Fase 3, abbiamo sperimentato la straordinaria generatività delle communities, che sono anche uno spazio intergenerazionale di formazione e progetti.

Qualcuno mi ha raccontato della creatività che ogni “community” ha sviluppato e degli interessanti workshops di cui avete appena raccontato.

“Dal Genfest mi porto a casa la mia community – ha detto uno di voi – è qualcosa di concreto che continua. Una possibilità per vivere l’esperienza del Genfest nel quotidiano”.

Vi siete sentiti protagonisti nella costruzione di queste “community” e volete continuare a “generare” idee e progetti. Mi ha dato gioia sapere che qualcuno di voi ha detto di aver riscoperto il senso della sua professione e che ora vuole viverla all’insegna del mondo unito.

Abbiamo questi giorni camminato insieme, con uno stile che papa Francesco definirebbe “sinodale” e non solo tra voi giovani, ma anche con gli adulti; con persone di altri movimenti e comunità; con persone di diverse Chiese e religioni e persone che non si riconoscono in un credo religioso. Questa rete ha arricchito moltissimo il Genfest!

È stata molto bella anche la presenza fra noi di alcuni vescovi che hanno vissuto il Genfest in mezzo a noi.

Ora il Genfest non finisce! Ma continua proprio nelle “United World Communities” dove resteremo connessi sia globalmente che localmente.  

Sono sicura che quando arriverete nei vostri Paesi e nelle vostre città capirete in che, in cosa vorrete impegnarvi, in base ai vostri interessi e ai vostri studi o le vostre professioni: in economia, in dialogo interculturale, nella pace, nella salute, nella politica ecc…

In questi giorni avete fatto l’esperienza di vivere “community” in “unity”, in unità; una realtà che continuerà: sarà questa la vostra palestra in cui imparerete e vi allenerete a vivere la fraternità. 

Quando io avevo la vostra età mi ha colpito moltissimo un invito che Chiara ha fatto a tutti noi, e lei diceva così:

“Se saremo uno, molti saranno uno e il mondo potrà un giorno vivere l’unità. E allora? Costituire dappertutto cellule di unità” (1) – forse Chiara se fosse viva oggi avrebbe forse chiamato queste cellule di unità “United world communities” – Lei ci invitava a concentrare in questo tutti i nostri sforzi. 

Per questo vorrei chiedervi ora una cosa importante: per favore, per favore non perdete questa occasione, questa occasione unica che abbiamo vissuto qua: Dio ha bussato al cuore di ciascuno di noi e adesso chiama tutti ad essere protagonisti e portatori di unità nei diversi ambiti in cui vi siete impegnati.

Ieri qualcuno mi ha fermato mentre stavo uscendo e mi ha detto: devo dirti una cosa. Una di voi che è qui in sala e mi ha detto: devo dirti una cosa importante, per favore voglio dirti una cosa importante. Ha detto che era la prima volta che partecipava ad un Genfest e che lei non conosceva il Movimento dei Focolari e mi ha detto: io voglio dire a te, dovete fare di più perché questo movimento non è conosciuto tanto, bisogna fare di più ma non come avete fatto finora. Dovete fare di più perché questo Movimento, questa idea della fraternità deve essere conosciuta da molti più giovani. Allora io ho chiesto a lei se lei ci poteva aiutare e lei si è impegnata. Ma adesso spero che tutti noi ci impegniamo a fare questo.

Certo, come avete anche sentito prima, non sarà tutto facile e non possiamo davvero illuderci che le difficoltà non arrivano… ma in questo Genfest voi stessi avete annunciato: “un Dio diverso, abbandonato sulla croce” voi avete detto “abbandonato sulla croce tutto divino e tutto umano, che fa domande senza risposte” è per questo che è un Dio vicino a tutti noi. Sarà abbracciando ogni dolore, nostro o degli altri, che troveremo la forza di continuare in questo cammino. 

Allora andiamo avanti insieme con una nuova speranza, convinti più che mai che ormai una strada è stata tracciata. 

E come uno scrittore cinese Yutang Lin, dice una cosa molto bella: “La speranza è come una strada nei campi: non c’è stata mai una strada, ma quando molte persone vi camminano, la strada prende forma”. Io penso che questa strada in questo Genfest ha preso forma. Allora camminiamo e ci sarà questa strada difronte a noi.

Allora saluto tutti, auguro buona continuazione a chi farà il post-Genfest e buon viaggio a chi torna a casa!

Ciao a tutti!

Margaret Karram

(1) Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, Città Nuova, 2019, p. 64.


 

La fase 3 di Genfest 2024 si è conclusa, ma è solo l’inizio…

La fase 3 di Genfest 2024 si è conclusa, ma è solo l’inizio…

La terza fase di Genfest 2024, svoltasi ad Aparecida (Brasile), ha incluso laboratori organizzati dalle cosiddette United World Communities, luoghi di incontro in cui i giovani possono condividere i loro talenti e le loro passioni. Queste communities offrono l’opportunità di scoprire persone di talento, forme concrete di impegno e di avviare azioni e progetti finalizzati alla costruzione di un mondo più unito, che mirano a rispondere alle sfide locali e globali del mondo di oggi; ad attivare processi di cambiamento personale e collettivo; a far crescere la fratellanza e la reciprocità in tutte le dimensioni della vita umana. Una caratteristica importante di queste communities è che sono il frutto del lavoro tra persone di diverse generazioni. 

Proseguendo le esperienze delle precedenti fasi del Genfest, in questa terza fase i giovani hanno potuto partecipare a laboratori in diversi ambiti, la cui metodologia era basata sulla fraternità e sul dialogo, come una prova per progetti e azioni che ora possono essere sviluppati nella sfera “glocale” (progetti locali con una prospettiva globale). Le attività si sono svolte nei settori dell’economia e del lavoro, dell’interculturalità e del dialogo, della spiritualità e dei diritti umani, della salute e dell’ecologia, dell’arte e dell’impegno sociale, dell’istruzione e della ricerca, della comunicazione e dei media, della cittadinanza attiva e della politica. Le équipe responsabili della gestione dei laboratori erano composte da giovani e professionisti che hanno lavorato intensamente per mesi per organizzare queste attività.

D’ora in poi, le Comunità avranno un metodo di lavoro che consiste in tre fasi: Imparare, Agire e Condividere. La prima (Imparare) è un’esplorazione e un’analisi approfondita dei temi e delle questioni più attuali in ogni community, con l’obiettivo di identificare problemi e presentare soluzioni. La fase successiva (Agire) consiste nella realizzazione di azioni con un impatto principalmente locale, ma con una prospettiva globale. Infine, nella terza fase (Condividere), si propone alla comunità di promuovere spazi di scambio e dialogo continuo tra le iniziative, con l’obiettivo di rafforzare la rete di collaborazione globale. È stata creata un’applicazione – la WebApp  United World Communities, – che è uno strumento per la condivisione di idee, esperienze e notizie, oltre che per la promozione di progetti di collaborazione.

“Dio ha visitato il cuore di tutti”

Al termine della terza fase del Genfest, le Communities hanno presentato in modo creativo le loro impressioni e alcuni dei risultati delle attività svolte nei giorni precedenti. Da questo lavoro è nato il documento “The United World Community: One Family, One Common Home”, che sarà il contributo dei partecipanti del Genfest 2024 al “Summit of the Future” delle Nazioni Unite del prossimo settembre. Secondo i giovani che hanno presentato il testo, esso non è un documento conclusivo, ma vuole essere un “programma di vita e di lavoro” per le varie United World Communities, oltre che una testimonianza da presentare al “Summit of the Future”.       

“Con le nostre communities non vogliamo fare richieste, formulare slogan o lamentarci con i leader politici”, hanno detto i giovani. “Cerchiamo invece di dare un nome ai nostri sogni comuni, sogni di un mondo unito. Sogni personali e comunitari, che ci guideranno nelle attività che svolgeremo nei prossimi anni”. E hanno concluso: “Speriamo che vivendoli, ‘insieme’ e passo dopo passo, diventino segni di speranza per altri”.  

Alla conclusione del Genfest 2024 sono intervenuti anche Margaret Karram e Jesús Morán, Presidente e Copresidente del Movimento dei Focolari. Jesús Morán ha affermato che, sebbene l’esperienza della cura sia stata la più vissuta nella storia dell’umanità, non quella sulla quale più si è riflettuto. 

Questa situazione ha iniziato a cambiare, come ha dimostrato il Genfest, nel quale è emersa la cura come una risposta al bisogno di dignità umana. In questo senso, ha concluso, è importante che i giovani rimangano connessi a questa rete globale di comunità generative. Margaret Karram, da parte sua, ha detto di aver visto nel corso dell’esperienza del Genfest che i giovani hanno dato una testimonianza tangibile della loro fede e che sono già in azione per costruire un mondo unito. Per quanto riguarda in particolare la Fase 3, ha sottolineato la ricchezza di questa esperienza per la sua creatività, l’impronta intergenerazionale e interculturale e il fatto che, attraverso le communities, c’è la possibilità concreta di vivere la stessa esperienza del Genfest nella propria vita quotidiana. La Karram ha invitato i giovani a sentirsi protagonisti di queste comunità, il cui fondamento è l’unità. “Vi prego di non perdere questa opportunità unica che stiamo vivendo qui: Dio ha visitato il cuore di ognuno di noi e ora chiama tutti a essere protagonisti e portatori di unità nei vari ambiti in cui sono coinvolti”, ha concluso. 

Luís Henrique Marques

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