Nov 12, 2018 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Con un bilancio provvisorio di 31 vittime, l’enorme incendio che si è sviluppato in California ha raggiunto il triste primato del peggiore rogo della storia del Golden State. Altre 220 persone risultano disperse. Il principale degli incendi, quello sviluppatosi a Nord della capitale Sacramento, è in parte ancora fuori controllo. In questa zona della Sierra Nevada la devastazione è gravissima: la cittadina di Paradise, 27 mila abitanti, è stata spazzata via dalle fiamme, con un tributo altissimo di vittime, almeno 14. Più al sud, tra la contea di Los Angeles e quella di Ventura, a imperversare sono altri due fronti di fuoco, di dimensioni più ridotte. In totale, dal nord al sud del Paese, gli sfollati sono oltre 300 mila. Nelle aree più colpite la scena appare spettrale, con boschi e villaggi ridotti a cumuli di cenere, e le poche zone risparmiate dal fuoco completamente deserte. I forti venti, fino a oltre 110 chilometri orari, generano spettacolari quanto devastanti “fire tornado”, tornado di fuoco che inceneriscono ogni cosa al loro passaggio. L’ennesimo dei disastri ambientali che purtroppo si succedono in tutto il mondo, causati dai cambiamenti climatici ma anche dalla mancanza di cura dell’ambiente. (altro…)
Ott 22, 2018 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Sociale, Spiritualità
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Ago 16, 2018 | Focolari nel Mondo, Spiritualità
«La Mariapoli di Calgary – scrivono Alizza e Norio dal Canada – ha visto la partecipazione di circa 120 persone, in particolare giovani e famiglie, per la maggior parte provenienti dalle provincie di Alberta, Saskatchewan, ma anche da Manitoba e dalla British Columbia. Nel programma c’è stata la presentazione dell’Esortazione Apostolica di Papa Francesco sulla chiamata alla santità nel tempo contemporaneo (“Gaudete et exsultate”), seguita da un dialogo aperto. La presentazione, curata dal Rev. A. Martens della diocesi di Calgary, ha suscitato in tutti la voglia di leggerla personalmente. Un’altra novità, nella “città basata sulla fede”, come è stata definita da una partecipante, è stata la serata di preghiera per la pace». «Siamo al termine – scrive la comunità di Chicago – della Mariapoli che si è tenuta per tutta la comunità del Midwest. Già l’anno scorso avevamo avvertito l’esigenza di cambiare il luogo e lo stile del nostro tradizionale appuntamento, che finora si era sempre svolto in un campus universitario nella città. La scelta è ricaduta su un centro posto sulle amene rive di un lago.
Il programma, dal titolo “Maria: la sua esperienza, la nostra esperienza” ci ha ricordato che nessuno di noi è immune dalle prove e dalle incertezze che Maria di Nazareth ha vissuto, mostrandoci come affrontarle. Il risultato? “L’atmosfera della Mariapoli sembrava quella di un pranzo di famiglia: rilassata, con molta flessibilità, improvvisazione (che significa anche sano umorismo) e una sensazione generale di pace”. “I temi svolti e la condivisione delle esperienze mi hanno aiutato a comprendere più in profondità Maria, i tempi difficili in cui è vissuta e il modo in cui è riuscita a superare le prove. Mi è piaciuto il gruppo di condivisione sul tema del ‘saper perder’. Questo non è un modo di pensare molto popolare nel mondo di oggi». «La nostra Mariapoli si è svolta nella Virginia dell’Ovest – scrive la comunità dei Focolari di Washington DC – con 160 partecipanti. I giovani, che costituivano oltre la metà dei partecipanti, da ospiti sono diventati protagonisti, e hanno messo a disposizione i loro numerosi talenti, dall’aspetto tecnico all’accoglienza e alla gestione dei gruppi».
Nel Tennesse, USA, una settantina i partecipanti provenienti da vari Stati del sud est: Maryland, Georgia, Tennessee, Arkansas, Alabama, Florida, Texas, oltre che dall’Indiana e da New York. «Abbiamo dedicato molto tempo a costruire rapporti, e persino a guardare un paio di partite del campionato del mondo di calcio… La presenza dei più piccoli è stata un dono, sempre i primi a raccontare i loro atti d’amore concreto. Abbiamo approfondito il “sì” di Maria, il suo “portare Gesù al mondo”. Mentre era in corso la serata finale, un ragazzo che alloggiava nello stesso centro ha voluto dare un contributo alla serata. Un papà: “Sono rimasto colpito dall’amore di mio figlio, 7 anni. Mentre ero impegnato a preparare la serata finale, lui è andato a prendere la cena e me l’ha portata”. E un bambino: “Perché non stiamo qui un mese intero?”». Ricca di foto è la lettera inviata dalla Bulgaria: «È già la seconda volta che la Mariapoli si svolge nei Balcani centrali, con circa ottanta persone da 1 a 85 anni. Prima che iniziasse, nel Monastero ortodosso che si trova lì accanto c’era una festa dedicata alla Madonna. Incontrandoci lì, l’Abate ha insistito che ci vedessimo la domenica successiva con tutti i mariapoliti. Siamo stati un’unica famiglia: cattolici, ortodossi e protestanti (battisti)».
In Bolivia la Mariapoli, a forte presenza giovanile, si è conclusa con il Genfest dei giovani. «Un grande amore reciproco tra giovani e adulti ha permesso la realizzazione di queste due manifestazioni. In Mariapoli abbiamo fatto dei workshop sull’ecologia, l’economia di comunione, il dialogo, realizzando anche le coreografie e i giochi per il Genfest dell’ultimo giorno, una grande occasione per andare ben al di là dei nostri limiti, come recitava il titolo, e per parlare di Dio a tanti giovani!”». (altro…)
Lug 23, 2018 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale
Immaginate di scoprire nei materiali di scarto la possibilità di una forma nuova, già presente in potenza, di trasformarli in “qualcosa” di bello, utile e prezioso, che prima non esisteva. Poi, coinvolgete in questo processo virtuoso delle persone vulnerabili come, per esempio, le donne che, scontata la loro pena in carcere, fanno fatica a reintegrarsi nella società, a trovare un posto di lavoro e l’indipendenza economica. È questa la mission del “Project Lia”, un’associazione non profit e un’impresa sociale sorta nella città di Indianapolis (USA). «Da noi, queste donne che cercano di reinserirsi nella società, imparano a creare oggetti d’arredo e mobili, in un ambiente di lavoro educante, che è uno spazio di comprensione e rispetto reciproco, dove si trasformano i materiali ma anche le vite delle persone attraverso relazioni basate sulla reciprocità e la fiducia,» spiega Elizabeth Wallin fondatrice e direttore esecutivo di Project Lia «forniamo anche opportunità educative in materia finanziaria, di comunicazione, di etica aziendale, salute e benessere, oltre a promuovere la partecipazione alla vita comunitaria e sociale». Secondo le statistiche pubblicate sul loro sito, estratte da dati del Bureau of Justice, negli ultimi tre decenni e mezzo, la popolazione carceraria femminile degli Stati Uniti è cresciuta di oltre il 700 per cento. Nel 1980, erano 12.144 le donne sotto la giurisdizione statale o federale. Cifra salita a più di 100.000, nel 2015. Se a queste aggiungiamo le detenute nelle strutture carcerarie locali, in libertà sulla parola o agli arresti domiciliari, la somma raggiunge e supera il milione di donne.
«Quando queste persone escono dal carcere», continua Elizabeth Wallin «devono trovarsi un lavoro stabile e una casa, mentre cercano di riallacciare i rapporti con le proprie famiglie. Se a questo si associa lo stigma generato dal carcere e la discriminazione razziale, è molto difficile per loro riuscire a reintegrarsi, escludendo il rischio di recidiva». Per questo, Project Lia ha scelto di dedicare la sua azione alle donne. Aiutando loro, si rafforza indirettamente la famiglia e la comunità perché, secondo importanti studi, queste donne responsabilizzate pensano “comunitario”, reinvestendo il 90% del loro reddito nelle proprie famiglie. A questo punto, viene da chiedersi qual è stata l’idea ispiratrice. «Durante un mio viaggio in Argentina», comincia a raccontare Elizabeth «ho partecipato all’organizzazione di un festival giovanile dal titolo “No Te Detengas” (in italiano: “non ti trattenere”). Un festival che ha riunito oltre 1.000 giovani e che parlava di quelle gabbie in cui spesso ci imprigioniamo per paura, pressioni altrui, situazioni di comodo o pregiudizio. Tornando negli Stati Uniti, mi sono resa conto che lì, le donne uscite di prigione continuavano ad essere “trattenute” da una gabbia più grande e sistematica. Per me, Project Lia è una risposta alla paura, alle pressioni, alle comodità e ai pregiudizi di un sistema di giustizia penale e di una società che, anche dopo aver scontato la pena, continua a “trattenere” gli ex prigionieri, senza offrire possibilità di vera integrazione sociale». Insomma, un progetto inclusivo, che mira a costruire ponti di vera solidarietà sociale. L’unica curiosità che rimane da soddisfare, giunti a questo punto è il nome: perché proprio “Lia”? Elizabeth mi spiega che:«“Lia” è il nome di una donna che ha dedicato tutta la sua vita a costruire ponti tra persone di razze, culture, religioni e background sociali diversi. Il suo nome completo era Lia Brunet, era di Trento e fu una delle prime compagne di Chiara Lubich, la fondatrice del Movimento dei Focolari». Lia Brunet, nel 1961, raggiunse l’Argentina, dove sorge nel cuore della pampas la cittadella che oggi porta il suo nome. Là dove anche Elizabeth ha potuto sperimentare l’ideale di un mondo unito. Fonte: United World Project (altro…)
Lug 10, 2018 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Spiritualità
«I muri dividono nazioni, culture e persone. Sono cresciuto di fronte al muro che separa Stati Uniti e Messico. Mi chiamo Noé Herrera e sono nato in una città del Messico il cui nome, Mexicali, sta per Messico e California. Fin da piccolo, mi chiedevo perché fosse così difficile attraversare il confine con gli Stati Uniti. Questi due paesi hanno molti tratti in comune nella loro cultura, come il cibo, la lingua e persino aspetti economici. Ho molti amici da entrambi i lati e molte persone, come me, vanno avanti e indietro dal Messico agli Stati Uniti e viceversa. Tuttavia, ho visto come questo confine rappresenti motivo di grandi sofferenze per i nostri paesi. L’ho visto nelle molte famiglie che sono separate, negli immigrati che lottano per trovare un futuro migliore, nei molti pregiudizi che abbiamo creato. Eppure, ho visto che le persone sono indifferenti a questa situazione. Perché? Perché ci siamo abituati a vedere questa divisione». «Non ho avuto la stessa esperienza di Noè con il muro, posso dire che dagli Stati Uniti è più facile attraversare il confine verso il Messico, che non viceversa. Mi chiamo Josef Capacio. Vengo da una città nel sud della California, San Diego, vicino al confine. Anche io ho visto la divisione negli Stati Uniti, ma per fortuna ho imparato, fin da quando ero molto giovane, a vivere per l’unità. Nel corso degli anni, una nuova percezione del mondo si è fatta strada dentro me. Crescendo, esposto alla multiculturalità, non solo ora la tollero, ma l’ho fatta mia! Penso sia parte del motivo per cui Noé e io siamo diventati amici. Io non sono solo Josef, americano, nato in una famiglia emigrata dalle Filippine, e lui Noé, della grande stirpe messicana. Siamo tutto questo e altro ancora. Siamo due cittadini del mondo. E non dimenticherò mai come ci siamo incontrati. Dopo aver passato un anno lontano da casa, e frequentato una scuola di formazione per i giovani dei Focolari in Italia, ero entusiasta di tornare a casa e sostenere le nostre iniziative in California. Un amico mi ha suggerito di unirmi agli sforzi per un progetto a Mexicali. In tutta onestà, all’inizio ero riluttante. Tuttavia, mi sono morso un labbro e l’ho ascoltato. Fortunatamente, dopo aver incontrato Noé, mi sono deciso ad andarci con alcuni amici. Quella giornata non si può descrivere a parole. Una meraviglia!» «L’obiettivo era quello di mostrare la nostra visione di un mondo unito attraverso una corsa in simultanea lungo i due versanti del muro. C’erano circa 200 persone da entrambe le parti, con un unico messaggio: “Possiamo essere divisi da un muro, ma siamo insieme a costruire un mondo unito”. Molte persone di tutte le età hanno aderito e da allora sta diventando un appuntamento annuale in cui abbiamo coinvolto i governi locali, da entrambi i lati. Dopo quel primo grande evento, il nostro obiettivo è diventato più visibile. Josef ed io, con altri amici dei nostri paesi, abbiamo avuto molte opportunità di lavorare insieme in molte attività sociali, ma anche, nel tempo, abbiamo sviluppato rapporti di fraternità e di vera amicizia con i nostri vicini oltre confine. Ho scoperto che i nostri valori, obiettivi e visione del mondo sono molto simili. Siamo tutti uguali e posso amare il suo paese come il mio». «Ho scattato questa foto durante uno dei nostri eventi, che mi ha ispirato questo pensiero: “Ci sono, per vari motivi, confini fisici, geopolitici, economici, di sicurezza. Ma nei nostri cuori non ci sono barriere. Siamo un unico popolo e vogliamo un mondo unito!”. Quelli che hanno avuto il privilegio di guardare il nostro pianeta dallo spazio parlano spesso di questa nuova percezione della vita umana, sulla Terra. Da lassù non ci sono confini. Svaniscono. Sono invisibili, inesistenti. I motivi per cui continuiamo a farci la guerra diventano piccoli. Un astronauta ha persino detto: “Da quassù è chiaro che sulla Terra siamo una sola umanità”». A cura di Chiara Favotti (altro…)