Feb 21, 2011 | Chiara Lubich, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Terra Santa, 1956: La pietra divisa
A Gerusalemme le religioni sono varie e le denominazioni cristiane senza numero. Avevo negli occhi e nell’anima la Città Santa, quando entrai a visitare il santo sepolcro. Fummo introdotti nella chiesa che già conteneva il Calvario e, girando a sinistra, ci fu mostrato il luogo, tuttora venerato, dove Gesù venne unto dalle pie donne. Più in là ci fecero entrare in una stanzetta antistante il sepolcro. Finalmente fummo al luogo sacro: ivi ci fu mostrata una pietra lunga un metro e novanta, quella su cui Gesù morto era stato deposto. Dall’alto pendevano varie lampade con luce più o meno pallida: lampade antiche, diverse l’una dall’altra. Ci inginocchiammo e pregammo.
Un padre francescano, accanto a noi, disse: “Questo primo pezzo di pietra è dei cattolici, quest’altro pezzo lo tengono tuttora i greco-ortodossi”. Anche il sepolcro di Gesù era diviso. Povero Gesù! In quel momento mi passarono nell’anima tutti i traumi e le separazioni che hanno colpito nei secoli la Chiesa, il mistico Corpo di Cristo e un dolore profondo minacciava sommergermi, quando una luce, attraversandomi l’anima, mi ridiede la speranza (…): un giorno, ci riaccosteremo come fratelli con una unità fra noi, non solo nella fede ma in una carità più profonda vissuta fino all’estremo Allora faremo una grande festa senza confronto… Uscii dal sepolcro con qualcosa di molto diverso da prima, nella fiducia, piena di speranza, che quel cielo di Gerusalemme possa riudir un giorno le parole dell’Angelo a Maria Maddalena: “E’ risorto, non è qui”. Le pietre che parlano Emmaus ci accolse in un pomeriggio di sole. Ricordo le pietre della strada dove Gesù era passato in mezzo ai discepoli e l’accoglienza più che fraterna fattaci dai padri francescani di lì. Essi desiderano essere, verso i pellegrini, ospitali come lo furono un giorno i due con Gesù. Ci offrirono di tutto, dopo la visita ai luoghi santi con un sorriso pieno e un cuore largo. Quando salimmo sul taxi, per tornare a Gerusalemme, un sole rosso-dorato ammantava tutto il luogo e la scritta che incornicia il cartello d’entrata “Resta con noi Signore, perché si fa sera”, raccolse tutti i presenti in un sentimento misto di commozione e divina nostalgia. Betania la vidi in pieno sole e, salendo le straducole che portano alla tomba di Lazzaro, mi sembrava riudire le parole di Gesù a Marta: “Una sola è la cosa di cui c’è bisogno…”. Vidi Betfage,con la pietra, venerata tuttora, dove Gesù avrebbe posto il piede per montare sull’asina e avviarsi a Gerusalemme tra gli ulivi e gli osanna della folla. Il Getsemani e l’orto, splendido giardino, mi fecero rimanere raccolta e addolorata nella linda chiesa decorata con gusto, illuminata di viola, che chiude nel cuore una pietra arrossata ora da una luce, un tempo dal sangue di Gesù. Mi sembrava di vedere Gesù ma non azzardavo immaginarlo. Poi il Gallicantus, dove il gallo cantò, e la scaletta ancora ben mantenuta, all’aperto sotto il cielo, tra il verde dei prati che la costeggiano, e di piante. Porta dal Sion al torrente Cedron. Qui il Maestro, ormai vicino a morire, col cuore pieno di tenerezza verso i suoi discepoli, scelti dal Cielo sì, ma ancor fragili e incapaci di comprendere, a nome suo e di tutti quelli per i quali era venuto ed era pronto a morire, alzò al Padre la sua preghiera: “Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola come noi”. Lì Gesù aveva invocato il Padre di affiliarci, anche se lontani per colpa nostra, e di affratellarci tra noi, nella più salda, perché divina, unità. Vidi tanti altri posti, seguii tante strade che Gesù aveva fatte, osservai luoghi che Gesù aveva osservato, mi passarono sotto gli occhi pietre, pietre e pietre ancora… E ogni pietra diceva una parola, molto di più di una parola, cosicché, alla fine, l’anima era tutta inondata, tutta piena della presenza di Gesù. Ricordo con evidenza di essermi letteralmente scordata della mia patria, dei miei conoscenti, dei miei amici, di tutto. Io mi vedevo là, immobile ed estatica, spiritualmente pietrificata tra quelle pietre, senz’altro compito che rimanere e adorare. Adorare fissa con l’anima nell’Uomo Dio che quelle pietre mi avevano spiegato, svelato, cantato, esaltato! Un solo pensiero mi smosse e mi fece tornare. C’era anche in Italia un posto che valeva di più di quei luoghi, dove avrei trovato Gesù vivo: era il tabernacolo, ogni tabernacolo con Gesù eucarestia. Stralci tratti da Scritti Spirituali 1 “L’attrattiva del tempo moderno” – 2° ed. 1978 e 3° ed. 1991. (altro…)
Feb 18, 2011 | Centro internazionale, Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Per il testo completo, in italiano, rimandiamo a Città Nuova online. 16 febbraio 2011: all’Università ebraica di Gerusalemme, nella sede dell’Istituto Truman per la pace, Maria Voce tiene una conferenza dal titolo: “Il ruolo del dialogo nel promuovere la pace”.
La presenza di un’ottantina di uditori scelti – tra cui il nunzio mons. Antonio Franco, il vescovo ausiliare di Israele mons. Giacinto Marcuzzo, il rabbino David Rosen, la sig.ra Debbie Weissmann, presidente del ICCJ, rabbini ed accademici ebrei, rappresentanti palestinesi, responsabili di comunità e congregazioni cristiane –, manifesta l’interesse, in particolare di personalità del mondo ebraico, nei confronti del Movimento dei focolari, dopo decenni di presenza in Terra Santa. Una presenza fatta di numerosi e duraturi contatti instauratisi con singoli cristiani, ebrei e musulmani, ma anche con istituzioni e associazioni impegnate nel dialogo interreligioso.
Maria Voce avvia il suo intervento riportando una citazione di Chiara Lubich, del 1969, a un gruppo di giovani: «Girando per il mondo mi sono resa conto che ci sono dei grandi mali. Ho visto l’umanità come un grande Adamo piagato. Ho visto la lotta fra popoli e quindi la minaccia continua di guerra. Ho visto i problemi sociali da risolvere. Ricordo Gerusalemme come una città divisa. E in tutta la zona del Medio Oriente ci sono focolai di guerra, per cui la pace è sempre in pericolo. E allora ho detto: cosa possiamo fare noi, che portiamo l’ideale dell’unità? Dobbiamo fare che questi fratelli si amino, questo corpo deve risanarsi. Qui ci deve essere la salute dell’umanità». Continua allargando il discorso, Maria Voce, presentando il “dialogo della vita” tipico dei Focolari, «che non mette in opposizione gli uomini, ma fa incontrare persone anche di fedi diverse e le rende capaci di aprirsi reciprocamente, di trovare punti in comune e di viverli insieme». Precisando che il dialogo «noi non lo facciamo con le fedi o tra le fedi, ma con le persone, a qualsiasi fede appartengano». Un dialogo presentato come un “segno dei tempi” più che mai attuale, nella “notte culturale” che attraversa gran parte dell’umanità: «Potremmo dire allora che dalla notte culturale, che appare anche come notte del dialogo, può emergere una nuova cultura che parte dalla riscoperta della natura dialogica della persona umana».
Dialogo che ha una dimensione ontologica ed una etica, a cui Chiara Lubich ha dato uno spessore tutto particolare: «Nel dialogo interreligioso puntiamo a vivere anzitutto, dall’una e dall’altra parte, la cosiddetta “regola d’oro” – “fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te” –, che significa amare gli altri. Secondo il Talmud, Hillel la esprimeva in questi termini: “Non fare al prossimo ciò che non vorresti fosse fatto a te: questa è tutta la Torà; il resto è commento. Và e studia”. È una norma, lo sappiamo, presente, con diverse sfumature, nelle nostre tradizioni monoteiste nate in questa parte di mondo. Ma lo è anche nelle altre grandi tradizioni confuciana, buddhista e indù. Tutti, quindi, uomini e donne di buona volontà possiamo viverla nella nostra esistenza quotidiana». Aggiunge Maria Voce: «La pratica della “regola d’oro”, diventata reciproca, ha messo in moto una vera metodologia del dialogo che può essere definita come una “arte di amare”», proposta da Chiara stessa. E conclude: «Questo percorso, non possiamo nascondercelo, è difficile e richiede un grande impegno per superare l’ostacolo, per vincere la tentazione dell’egoismo, del ripiegamento su di sé. È il prezzo per trasformare la ferita in benedizione, la morte in vita, per fare dell’incontro con l’altro il luogo dove fiorisce la pace e la fraternità». E cita ancora Chiara Lubich: «La fraternità non è solo un valore, è un paradigma globale di sviluppo politico, perché motore di processi positivi. Dopo millenni di storia in cui si sono sperimentati i frutti della violenza e dell’odio, abbiamo tutto il diritto oggi di chiedere che l’umanità cominci a sperimentare quali potranno essere i frutti dell’amore». Al termine della conversazione inizia un lungo e profondo dialogo con il pubblico: sul dialogo con persone che non hanno una fede religiosa; sulla serietà di un dialogo che non si riduca a semplice cortesia; sul riconoscimento dell’altro; sulla “regola d’oro” non sempre facilmente applicabile in contesti difficili. «Il messaggio portato da Maria Voce, quello di Chiara Lubich, mette in luce la presenza di Dio nell’altro», commenta in conclusione Rabbi David Rosen. E Rabbi Emile Moatti: «Il dialogo deve penetrare nelle pieghe della storia dei conflitti, per farsi esso stesso storia». di Michele Zanzucchi Fonte: www.cittanuova.it (altro…)
Feb 18, 2011 | Centro internazionale, Dialogo Interreligioso, Focolari nel Mondo
«A Gerusalemme le case, le scuole, i mezzi di trasporto, i luoghi di divertimento, i quartieri dove abitiamo sono tutti separati: per gli arabi o per gli ebrei. E’ davvero difficile vivere in un ambiente del genere». «Sono una ragazza dall’aspetto europeo. Dalle mie gonne si capisce subito che sono ebrea ortodossa. Nella nostra città questo non è sempre visto positivamente. Non so neanche una frase in lingua araba e sono stata educata a scappare da situazioni in cui potrei trovarmi in mezzo ad un gruppo di palestinesi». Queste parole di N. e J., due giovani gerosolimitane, araba cristiana la prima ed ebrea la seconda, descrivono i mondi di Gerusalemme. Vivono uno accanto all’altro, si sfiorano, si toccano in questa città ‘santa’ per tutti, ma carica di una tensione che si respira e che ci si sente addosso. Sono due delle partecipanti all’incontro che si è svolto il 16 febbraio in una sala della Castra Gallery, un centro commerciale alla periferia sud di Haifa: un centinaio di persone per un incontro modesto, semplice. Sono arrivati ebrei, cristiani e musulmani da Haifa, , Tel Aviv, Gerusalemme, Nazareth ed altre località della Galilea. Hanno intitolato l’incontro con Maria Voce: «Quanto è buono e soave che i fratelli vivano insieme» (Salmo 133). Tanti gli interventi, che hanno presentato un quadro ricco e variegato al quale tutti stanno lavorando. Ad Haifa, da alcuni anni, ebrei e cristiani hanno un appuntamento mensile per approfondire la Sacra Scrittura nelle rispettive tradizioni. Basta l’ascolto, cercare di comprendere la visione dell’altro. Senza sincretismi. E questo porta «ad un’amicizia vera e sincera, sempre più solida», al punto che un mese tra un incontro e l’altro sembra troppo lungo!
Una ragazza araba racconta di un progetto per intessere rapporti di amicizia fra studenti delle tre religioni. «I momenti più belli li abbiamo vissuti quando abbiamo visitato i luoghi sacri delle rispettive fedi: il Muro del Pianto, il Santo Sepolcro e la Moschea. Un’esperienza che ha cambiato la mia vita.» Altre testimonianze riguardano la crisi di Gaza, tre anni fa, quando ebrei, cristiani e musulmani si riunirono per pregare per la pace. Un caso unico in tutto Israele. Gli accenti sono commossi, perché certamente il grande coraggio manifestato in quell’occasione andava assolutamente controcorrente rispetto al pensiero che si sviluppava attorno. Fatti di vita quotidiana, di ascolto, di scoperta del diverso-da-sé. Persone che hanno scommesso sulla pace, come dice una giovane ebrea: «Sta scritto nella Mishna che Dio non trova nessuno strumento che contenga la sua benedizione se non la Pace. Solo con la pace vera otterremo tutte le benedizioni che il Padre in Cielo vuol dare ai suoi figli.»
Maria Voce si commuove nel ringraziare coloro che hanno parlato. Appare vero che «nulla è piccolo di quello che è fatto per amore», come diceva Chiara Lubich. Anzi, è grandissimo, perché qui si tratta di spostare le montagne del pregiudizio. È questo il piccolo-grande miracolo della serata di Haifa. La Presidente dei Focolari sottolinea la dimensione profetica di quanto vissuto da loro durante la crisi di Gaza: «E’ un’esperienza basata su Dio e sul suo volere, e sulla sofferenza condivisa: la cosa più preziosa agli occhi di Dio. Essa porterà frutti duraturi, ne sono certa». E sottolinea come sia stata un contributo importante alla Storia: «Testimonianze piccole ma necessarie perché il quadro della pace sia completo». Racconta poi, come in quei giorni abbia incontrato gente di tutte le religioni, veri fratelli e sorelle. E cita la Scrittura: «Beato il popolo che ha Dio come Signore». La serata si conclude con una cena. Tutti hanno portato qualcosa, piatti arabi e piatti kosher. Non si distinguono più arabi ed ebrei, cristiani e musulmani. E’ vero quanto detto da una ragazza musulmana: «Ora guardo all’altra persona al di là della sua fede. Siamo ancora un piccolo gruppo, ma impegnati a coinvolgere molti altri amici». di Roberto Catalano (altro…)
Feb 17, 2011 | Centro internazionale, Chiesa, Focolari nel Mondo, Spiritualità
16 febbraio: la mattinata è trascorsa nella località di Emmaus, a 27 km da Gerusalemme, nella pianura verso la capitale Tel Aviv. Si tratta di una delle tre località con lo stesso nome che potrebbero vantare di aver offerto la scena al passo che conclude il Vangelo di Luca: dopo la crocefissione, due discepoli di Gesù si trovano per strada ricordando i dolorosi fatti avvenuti, quando un uomo li si accosta e spiega loro le Scritture, riempiendo di pace i loro cuori. È “al momento di spezzare il pane” – racconta il Vangelo –, che i due riconoscono che si trattava dello stesso Gesù risorto. Maria Voce è stata ricevuta da Mons. Giacinto Marcuzzo, vescovo ausiliare dei Latini, titolare della sede di Emmaus-Nicopolis. Il vescovo ha confidato a lei e a tuta la delegazione del Centro del Movimento che l’accompagnava, che all’atto della sua elezione, ha scelto quella sede per vari motivi. Si tratta di una delle dodici diocesi cristiane che esistevano nei primi secoli in Terra Santa, riporta tutti i cristiani al punto dove tutto è ricominciato dopo la morte di Gesù e, non ultimo, il fatto che ancora giovane sacerdote aveva visto la distruzione del villaggio di Emmaus avvenuta nel 1967, dopo la Guerra dei Sei giorni. La presidente dei Focolari, da parte sua, ha raccontato al vescovo un fatto che la riguarda personalmente. Come molti sanno, spesso lei viene chiamata Emmaus all’interno del Movimento. “E’ stata Chiara stessa a darmi questo nome nel 1964. Era venuta a parlare ad un gruppo di giovani focolarine della realtà di Gesù fra noi, che realizza il passo di Matteo 18,20 ‘Dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro’, se ci impegniamo a vivere il comandamento nuovo reciprocamente. Nel mio entusiasmo giovanile avevo scritto a Chiara che desideravo dare la vita per realizzare quella frase. Lei allora mi diede questo nome, Emmaus, perché i due discepoli avevano vissuto e sperimentato la presenza di Gesù fra loro.” L’incontro è stato ricco di significato, in un luogo unico nella storia della primissima comunità di Gerusalemme. La messa celebrata da Mons. Marcuzzo e concelebrata da Giancarlo Faletti, copresidente del Movimento, è stata un momento ricco di comunione con spunti preziosi sui frutti della presenza di Cristo nel cuore della comunità. Il carisma di Chiara Lubich fortemente incentrato sulla presenza di Gesù fra gli uomini è venuto in luce proprio nei luoghi dove questo si realizzò vitalmente e storicamente. di Roberto Catalano (altro…)
Feb 17, 2011 | Ecumenismo, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Per il testo completo, in italiano, rimandiamo a Città Nuova online
È il patriarca latino, mons. Foud Twal, che dà il tono agli appuntamenti che Maria Voce ha in agenda nella sua visita a Gerusalemme iniziata lo scorso 11 febbraio: «Le preoccupazioni della gente sono le nostre. Sembra che l’ascesa al Calvario non abbia mai fine qui in Terra Santa». Ma non bisogna scoraggiarsi: «La speranza non muore mai. Ad esempio, osservo di questi tempi che ci sono cento e più associazioni che raccolgono ebrei, cristiani e musulmani da queste parti. Tutta gente che vuole dialogare. Avverto che poco alla volta, forse a causa del tanto dolore patito, si comincia a parlare di “vicini” e non più solo di “nemici”». Maria Voce riprende: «Se nell’istinto di difesa delle persone entra una briciola di amore, ecco che si fa un passo in più, si va avanti», senza cedere alla disperazione. Conclude il patriarca: «Questa è la specialità di noi cristiani, seminare amore e andare avanti».
Stesso sfondo di sofferenza ma anche di fiducia nel colloquio che la presidente ha con il vescovo luterano Munib Younan, presidente della Federazione luterana mondiale: «Avverto nella gente – esordisce – la forte tentazione di occuparsi solo di cose materiali. No, qui c’è bisogno di Dio». E specifica: «Abbiamo bisogno di una profonda spiritualità, per i nostri figli e per noi stessi, una spiritualità profondamente evangelica». Maria Voce fa notare come una tale spiritualità auspicata dal vescovo sia naturalmente ecumenica. Al Patriarcato armeno apostolico, Maria Voce s’intrattiene con il vescovo Aris Shirvanian. «Dobbiamo essere uniti per difendere la Chiesa cristiana – dice –, ma non posso dire che esistano problemi particolari per noi armeni, perché continuiamo a vivere per mantenere la nostra fede, la nostra eredità». Maria Voce sottolinea la grandezza di questa vocazione. «Sì – riprende il vescovo – bisogna difendersi, ma ancor più cercare di essere “ponti” tra le Chiese, ponti tra le religioni, ponti tra i popoli».
Calorosa accoglienza, alla libanese, all’arcivescovado maronita della Terra Santa, una comunità di circa 10 mila fedeli, soprattutto in Galilea, con il vescovo mons. Paul Nabil Sayah. Il vescovo maronita sottolinea l’importanza della dimensione pastorale dell’azione delle Chiese cristiane in Terra Santa, in particolare nella famiglia e per la famiglia: «Non si dà mai abbastanza spazio all’educazione, che per noi è la vera priorità. Con una buona educazione poi si può sperare di arrivare alla pace». Il desiderio di cooperare viene ribadito anche da Maria Voce.
Infine, visita di rilievo al patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme, dove Sua Beatitudine il patriarca Theophilos III riceve Maria Voce e i suoi collaboratori. Chi conosce la storia sa bene tutti i conflitti che hanno opposto in passato le diverse Chiese presenti in Terra Santa. Il clima è certamente migliorato, anche se parlare di un “vero ecumenismo” è ancora talvolta difficile. Ma nel colloquio tra il patriarca e la presidente si respira il desiderio di “alzare il tono della discussione”, ancorandosi «all’unità dei cristiani “in Cristo”, nel suo amore», come precisa Theophilos III. Maria Voce spiega cosa voglia dire “unità” per i focolarini, «l’unità che Gesù ha chiesto alla sua Chiesa». di Michele Zanzucchi Fonte: Città Nuova online Leggi anche: Reciproca simpatia – Incontro di Maria Voce e Giancarlo Faletti con i rappresentanti dei Movimento e delle nuove comunità Pace ora! Pace dopo! – Incontro col Rabbino Kronish Dall’11 al 20 febbraio in Terra Santa – Il programma del viaggio di Maria Voce e Giancarlo Faletti 1956: Ho visto la Terra Santa – Dal diario di Chiara Lubich (altro…)