


Dal Monastero di Halki, in Turchia, un appello per la pace
Il 27 novembre si è conclusa la prima parte del Convegno ecumenico dei vescovi amici dei Focolari, nel Monastero della S.S. Trinità nell’isola di Halki. Il card. Francis Kriengsak ha messo in evidenza come l’unità tra le diverse chiese cristiane è al servizio dell’intera famiglia umana. «La diversità è un dono e un arricchimento reciproco, – sono parole del cardinale – ma ciò è possibile soltanto con un ascolto senza giudizio, con il dialogo della vita, con la condivisione delle esperienze, con una accoglienza che armonizza i vari carismi». Nella conoscenza reciproca sono emerse le sfide e le particolarità di ogni chiesa su problematiche scottanti.

Jesús Morán


Kenya, prima tappa del viaggio africano di papa Francesco
“Karibu Kenya Papa” (Benvenuto in Kenya, Papa). Tra canti e danze festanti, nel pomeriggio del 25 novembre il Papa sbarca a Nairobi per la sua prima tappa in terra d’Africa. Dall’aeroporto fino alla città, due ali di folla accompagnano l’auto papale: una semplice vettura grigia. Già al primo saluto Francesco esprime il suo amore per questa “Nazione giovane e vigorosa, una comunità con ricche diversità”. “Il Kenya è stato benedetto non soltanto con una immensa bellezza, nelle sue montagne, nei suoi fiumi e laghi, nelle sue foreste, nelle savane e nei luoghi semi-deserti, ma anche con un’abbondanza di risorse naturali”. E prosegue: “In un mondo che continua a sfruttare piuttosto che proteggere la casa comune”, auspico che i vostri valori ispirino “gli sforzi dei governanti a promuovere modelli responsabili di sviluppo economico”. L’agenda papale è fittissima: l’incontro con il clero, cui ‘regala’ tre parole: piangere, pregare, servire; quello con i rappresentanti dell’ONU di Nairobi, ai quali chiede un ‘cambio di rotta’, affinché economia e politica si mettano al servizio della persona in modo che siano debellate malaria e tubercolosi, che si continui a lottare contro la deforestazione, e si punti ad un equo commercio e ad uno sviluppo che tenga conto dei poveri.
Significativo l’incontro con i leader delle varie chiese e delle comunità musulmana e animista, nel quale afferma che il dialogo ecumenico e interreligioso non è un lusso né un optional. Per poi pronunciare, con forza, quella frase che è echeggiata in tutto il mondo: “Mai il santo nome di Dio sia utilizzato per giustificare odio e violenza.” Il 27, ultimo giorno a Nairobi, si reca a Kangemi, una poverissima baraccopoli dove si concentra quel degrado umano e ambientale che l’ha spinto a farsene paladino dinanzi all’ONU. Ad attenderlo 100 mila persone, anche qui ballando e cantando. E Francesco non le delude: “Mi sento a casa”, dice. “Condivido questo momento con voi fratelli e sorelle che avete un posto speciale nella mia vita e nelle mie scelte. I vostri dolori non mi sono indifferenti. Conosco le sofferenze che incontrate. Come possiamo non denunciare le ingiustizie subite?” Prima di partire per l’Uganda, nello stadio Kasarani incontra i giovani per rispondere alle loro domande fra cui: come vincere il tribalismo, la corruzione, l’arruolamento dei giovani. “Vincere il tribalismo – risponde il papa – è un lavoro di ogni giorno, un lavoro dell’orecchio, ascoltare gli altri, un lavoro del cuore, aprirlo agli altri, e un lavoro della mano, darsi la mano l’un l’altro”. “La corruzione è qualcosa che si insinua dentro di noi, è come lo zucchero, è dolce, ci piace, è facile, ma poi finiamo male”. E come superare la radicalizzazione? “La prima cosa che dobbiamo fare per evitare che un giovane sia reclutato è educazione e lavoro”. Ogni suo incontro trasuda di affetto, vicinanza, amore. E il popolo risponde esprimendo gratitudine, gioia, speranza. Il tema dell’inculturazione del Vangelo è una delle sfide più significative in queste terre, nelle quali si deve tener conto di aspetti, percepiti come valori, preesistenti al cristianesimo: la visione familiare, il ruolo del clan, la poligamia tribale e quella musulmana, ecc. È una sfida che anche i Focolari hanno raccolto fin dal loro ingresso in Africa, negli anni ‘60, e che continua ad impegnarli in una sincera ricerca con le persone del posto, nello spirito della reciprocità. Un cammino che ha portato Chiara Lubich nel 1992 a fondare, proprio qui a Nairobi, una cittadella di testimonianza dove si tengono appositi corsi di inculturazione. Il prossimo si terrà a maggio 2016 cui parteciperanno anche Maria Voce e Jesús Morán, rispettivamente presidente e co-presidente dei Focolari. Guarda video sulla fondazione della Cittadella Piero (altro…)
19 Maggio 1992, prima pietra della “Mariapoli Piero” in Kenya

Siria, il dramma che continua
«Mentre i colpi di mortaio stanno cadendo vicino a noi, la paura e la preoccupazione ci assalgono sia per la nostra vita che per quella di tutti quelli che conosciamo cristiani o musulmani, siriani o stranieri: ci accomuna l’appartenenza all’umanità e l’essere tutti fratelli e sorelle. In queste vie di Damasco si vive e si muore insieme, senza distinzione alcuna. Il bilancio del bombardamento è tragico: 9 morti e 52 feriti. Nessuno ne parla. Parigi ha per ora la ribalta. Ma questi sono i numeri della guerra dall’altra parte del Mediterraneo, sono i numeri di questa giornata. Non voglio fare somme che rendano ancora più raccapricciante quanto qui è per tutti una normale quotidianità. Appena il frastuono termina, perché il rumore delle bombe è assordante, prendo il cellulare e chiamo parenti e amici: “Stai bene? Dove sei? Non muoverti! Aspetta…”. Queste sono le domande ricorrenti dopo ogni lancio di bombe o dopo i colpi sul quartiere. Ci raccomandiamo a vicenda di restare fermi nel posto che per ora ci ha dato rifugio e scampo e lì si resta perché non si capisce dove andare. L’ufficio, la cucina, l’androne diventano rifugi o tombe a seconda se le bombe ti hanno risparmiata o ti hanno centrata. Dentro di me le domande persistono, continue come un mantra: “Ma è normale vivere con questa agitazione? È normale che la gente debba vivere sempre nella paura? Perché l’altra parte del mondo tace? Fino quando dovrà durare questa assurdità? È possibile che il potere, i soldi, gli interessi possono vincere sulla volontà di pace dei popoli e della gente semplice? Aleppo all’inizio di novembre è rimasta per 15 giorni senza viveri e le strade di accesso erano chiuse. Le mine sono un altro dei lasciti di questa guerra. Prima di riaprire ogni via di transito, bisogna sempre sminarla. Un villaggio vicino Homs è stato preso di mira dall’Isis e ci sono circa tremila sfollati. La gente desidera che la guerra finisca e si fa tante domande: “Chi procura le armi a queste milizie crudeli? Perché non arriva il cibo ma arrivano munizioni e ordigni bellici?”. Questi interrogativi ci lacerano, mentre la preghiera diventa il balsamo, la nostra roccia. La comunità cristiana cerca di vivere nella normalità, si incontra alle celebrazioni, lavora a tanti progetti di solidarietà, ma siamo in pochi. Si parte inesorabilmente, si lascia una terra amata perché non si vedono prospettive e tutto è costosissimo, dai farmaci ai cibi. Ma anche chi parte, desidera tornare: la vita è salva, ma non è la vita in Siria, non gli stessi rapporti, non gli stessi gusti, non la stessa complicità. Eppure non si è divisi. Si è sparsi, ma si continua a vivere tutti insieme per la stessa pace». Fonte: Città Nuova (altro…)
Vescovi di varie chiese: l’unità impegno di tutti
Nel contesto attuale parlare di unità può sembrare assurdo, anacronistico. Eppure la spinta che anima i vescovi presenti al Convegno ecumenico nell’isola di Heybeliada (Halki) è tutt’altro che un’utopia. L’impegno a vivere l’amore scambievole tra di loro e con le loro chiese è già una testimonianza vitale per chi ha perso la speranza nel dialogo e nella pace. Il 25 novembre Maria Voce, nel suo discorso programmatico, ha parlato ai vescovi di unità. Una realtà che oltre ad essere un dono dall’alto, diventa anche un impegno impellente che – assicura – ci permette di “inserirci in questa storia sacra dell’umanità”. Una storia sacra in cui i cristiani hanno un ruolo imprescindibile. L’unità diventa una risposta alle sfide di oggi. “Di fronte all’impotenza, che talvolta anche oggi ci assale, – continua Maria Voce – forse dobbiamo fare un unico primo passo: ridonarci a Dio come strumenti nelle Sue mani, perché Lui, sul nostro nulla, operi l’unità. Questo è il nostro primo impegno, il primo passo che occorre fare singolarmente e insieme”. Oggi con una realtà sociale così drammatica molti, soprattutto i giovani, sentono la spinta ad essere presenti e visibili accanto a chi soffre. Ma il compito dei Focolari non si esaurisce qui. È necessario comprendere che l’unità è un traguardo verso il mondo unito, quindi “siamo chiamati all’unità con tutti – sottolinea ancora Maria Voce – nessuno escluso”. E citando dei brani di Chiara Lubich, svela ai vescovi la strada scoperta dalla fondatrice dei Focolari. “La porta che ci apre all’unità è per noi Gesù Crocifisso e Abbandonato” che “ha operato la riunificazione del genere umano col Padre e degli uomini fra loro ed è Lui crocifisso e abbandonato causa, chiave dell’unità, che la opererà anche oggi”.
Portare la ricchezza dell’unità in ogni angolo della terra, è il compito che si pone il Movimento dei Focolari, suscitare cellule vive ovunque. “Nei campi profughi, – continua Maria Voce – negli ospedali dei feriti di guerra, nelle manifestazioni in piazza, nelle file di chi cerca lavoro e non lo trova, nei porti affollati di immigrati… dappertutto, dappertutto, Dio ci chiede di accendere fuochi sempre più vasti”. Nel dialogo successivo alcuni vescovi raccontano delle loro azioni in contesti difficili, la vicinanza dei fedeli delle diverse chiese là dove c’è la guerra e la sofferenza. In loro è forte la certezza che è la croce ad accomunare tutti e a far fiorire nei posti più impensati comunità vive. Il programma apre poi uno sguardo particolare sulla realtà delle chiese locali nel Medio Oriente, il ruolo dei cristiani e le loro difficoltà. Il vescovo Sahak Maşalyan nonostante la complessa situazione della Chiesa Armena in Turchia, trasmette ottimismo, e asserisce: “Quando i cristiani perdono il senso dell’ottimismo, alla fine emigrano da qualche altra parte”. Un appello arriva anche dal vescovo Simon Atallah della chiesa maronita del Libano. Chiede di pregare con fervore per sconfiggere la guerra, per far sì che i cristiani non abbandonino le loro terre e possano ritornare a vivere in pace e armonia. A conclusione della giornata Angela Caliaro e Carmine Donnici, rappresentanti del Movimento, raccontano dello sviluppo e dell’influsso dei Focolari in tutta l’area mediorientale; un seme di speranza che coinvolge cristiani, musulmani ed ebrei a continuare sul cammino della riconciliazione e della pace. Dall’inviata Adriana Avellaneda (altro…)