Giu 14, 2016 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Parroco della misericordia «Per iniziare con un gesto concreto l’Anno della misericordia, ho chiesto perdono ai miei parrocchiani se non sempre si erano sentiti amati da me ed ho invitato, chi lo desiderava, a venire a stringermi la mano per sigillare il patto di vederci con occhi nuovi. Si è formata una fila lunghissima; con ognuno ho potuto scambiare qualche parola. Il giorno dopo una parrocchiana che non era stata presente è venuta a chiedermi se potevo ripetere con lei quel gesto che tanto aveva toccato la gente del villaggio e che sta portando ancora molte conseguenze». (I. S. – Ungheria) Condivisione «Sono quasi cieco. Chi mi aiuta a studiare mi aveva dato 1.220 scellini per comprare la medicina contro la malaria. Sulla strada verso la farmacia, mi sono imbattuto in una donna povera che mi ha raccontato le sue necessità. Per aiutarla le ho lasciato 200 scellini. Poco dopo, davanti alla farmacia, ho incontrato un’altra donna, pure lei in ristrettezze economiche: non aveva di che comprare una medicina che le era necessaria. Anche in lei ho riconosciuto Gesù che mi chiedeva aiuto. Così altri 200 scellini sono andati a lei. Ora però per comprare la mia medicina mi mancavano 400 scellini. Certo che Dio non mi avrebbe fatto mancare il Suo aiuto, sono entrato ugualmente in farmacia. E lì ho trovato un amico che non vedevo da tempo. Appena gli ho confidato la mia necessità, lui ha insistito per offrirmi 500 scellini: più di quello che mi occorreva». (R. S. – Tanzania) Al lavatoio pubblico «Al lavatoio pubblico eravamo in tante a lavare i panni, quando è arrivato un uomo quasi cieco con due lenzuola, una camicia e un turbante da lavare. Ha chiesto che gli facessimo un po’ di posto. Siccome nessuna voleva spostarsi, mi sono rivolta a lui: «Baba, dammi le tue cose: te le lavo io». Le altre si sono messe a ridere. Prima di allontanarsi contento con gli indumenti lavati, lui mi ha dato la sua benedizione e anche un pezzetto di sapone che custodiva gelosamente. Nessuna rideva più. Anzi hanno cominciato a prestarsi le cose e ad aiutarsi fra loro». (F. R. – Pakistan)
Divorzio mancato «Non era stato facile far accettare a Susanna la mia decisione di chiedere il divorzio. Soprattutto perché intendevo trasferirmi in un’altra città con colei con la quale avevo iniziato un nuovo rapporto. Dopo un rifiuto iniziale, l’atteggiamento di mia moglie era cambiato: mi stupiva la sua grande dignità e non capivo da dove prendesse quell’energia che le permetteva di trattarmi bene nonostante il mio tradimento. Questo pensiero mi ha tolto la pace. Un giorno l’ho invitata a pranzo in ristorante: volevo sapere. Con semplicità lei mi ha confidato di aver avvertito, attraverso la vicinanza di alcuni amici cristiani, l’amore di Dio. Dio che ci ama sempre, nonostante le nostre infedeltà, ed è accanto a noi anche nei fatti dolorosi della vita. È bastato questo per farmi cambiare idea. Susanna ed io abbiamo ricominciato». (L. M. – Usa) (altro…)
Giu 12, 2016 | Chiara Lubich, Spiritualità
“Misericordiosi come il Padre” è il programma di vita proposto da papa Francesco per l’Anno Santo. “Nella misericordia, infatti – recita la Bolla di indizione -, abbiamo la prova di come Dio ama. Egli dà tutto se stesso, per sempre, gratuitamente, e senza nulla chiedere in cambio. Viene in nostro aiuto quando lo invochiamo. (…) E il suo aiuto consiste nel farci cogliere la sua presenza e la sua vicinanza” (MV 14). Ed è questo volto di Amore – Misericordia che svela in pienezza la Paternità di Dio. Dio è Amore: è la scintilla ispiratrice all’origine del carisma dell’unità di cui lo Spirito Santo nel nostro tempo ha fatto dono a Chiara Lubich. (…) Chiara scopre dunque non un Dio lontano, inaccessibile, estraneo alla sua vita, ma il volto paterno di Lui (…). Tutto ciò che accade quindi è visto come realizzazione del suo piano d’amore su ciascuno, come prova tangibile del suo sguardo vigile, della sua vicina presenza. “Persino i capelli del vostro capo sono tutti contati” (Mt 10,30). È un amore paterno che provvede a tutte le necessità, anche le più piccole, fino a colmare anche i vuoti lasciati dalle nostre imperfezioni, dalle nostre mancanze, dai nostri peccati. È il volto del Padre misericordioso che – mediante il Figlio incarnato – si manifesta, che svela in pienezza il suo amore di misericordia.
Episodi evangelici sulla misericordia Nei vari documenti magisteriali dedicati al tema della misericordia, si fa sempre riferimento a quei brani evangelici che meglio lo illustrano. Un esempio classico è la parabola del figliol prodigo (Lc 15,11-32). (…) Una volta Chiara si è trovata ad illustrare questa parabola ad un folto gruppo di giovani riuniti nel Duomo di Paderborn, in Germania. Era il 12 giugno 1999. Ecco le sue parole: “Il padre del figliol prodigo avrà avuto molto da fare: seguire la fattoria, i dipendenti, la famiglia; ma il suo principale atteggiamento era quello dell’attesa, dell’attesa del figlio partito. Saliva sulla torretta della sua casa e guardava lontano. Così è il Padre Celeste: immaginate, giovani, se potete, la sua divina, altissima e dinamica vita trinitaria, il suo impegno nel sorreggere la creazione, nel dare il posto a chi sale in Paradiso. Eppure Egli fa soprattutto una cosa: attende. Chi? Noi, me, voi, specie se ci trovassimo lontani da Lui. Un bel giorno quel figlio, che il padre terreno tanto amava, scialacquata ogni cosa, torna. Il padre lo abbraccia, lo ricopre di una veste preziosa, gli infila l’anello nel dito, fa preparare il vitello grasso per la festa. Cosa dobbiamo pensare? Che egli desidera vedere il suo figlio tutto nuovo, non vuole più ricordarlo come era prima. E non solo lo vuole perdonare, ma arriva persino a dimenticare il suo passato. Questo è il suo amore per lui, nella parabola. Così è l’ amore del Padre per noi nella vita: ci perdona e dimentica”. Fonte: Centro Chiara Lubich Testo integrale di Alba Sgariglia (altro…)
Giu 11, 2016 | Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
«Ho dovuto lasciare tutto: patria, moglie, due figli piccoli. D’altra parte non avevo scelta. Essendo io insegnante e uomo ancora giovane, avrei dovuto seguire l´ISIS e diffondere le sue idee. Ma poiché mi sono opposto, se restavo lì mi avrebbero ammazzato». Giunto a Graz (Austria), Mohamed, come tanti altri immigrati, viene “parcheggiato” in un campo profughi, a far nulla per mesi, senza occasioni di contatti col mondo esterno. «Ci sentivamo isolati e depressi – racconta – ma ad un certo punto qualcuno inizia ad interessarsi a noi». Si tratta della locale comunità dei Focolari che, con la mediazione di un‘amica siriana, a Graz da tre anni, invita i rifugiati della Siria ospiti del campo profughi – una quarantina – a trovarsi in una sala parrocchiale. Essi hanno così modo di esporre le loro stringenti necessità: imparare la lingua e trovare un lavoro. La comunità si dà da fare e a breve riesce ad organizzare un corso di tedesco. Qualcuno dà soldi per i libri di testo, una signora raccoglie presso amici una quindicina di biciclette che fa riparare a sue spese per gli allievi che devono percorrere una decina di km per recarsi alle lezioni; altri ancora fanno dei lavoretti di restauro nelle case e nella cura dei giardini. «Finalmente avevamo qualcosa di utile da fare – sospira sollevato Mohamed –, finalmente qualcuno ci prendeva per mano e ci apprezzava». Nasce un‘amicizia che diventa sempre più sentita. Perciò diventa logico ritrovarsi, mangiare insieme e anche aprirsi al dialogo culturale e religioso. Il primo passo è andare insieme alla moschea, dove incontrano tante altre persone; una volta si trovano ad essere addirittura in 400: “Una cosa grandiosa per noi – confida Mohamed –. Finalmente ci sentivamo noi stessi, lì potevamo dimenticare ciò che ci succedeva ed entrare in contatto diretto con Dio. Vivere questo momento insieme musulmani e cristiani ci ha fatto sentire ancor più vicini l´uno con l’altro».
Nell‘estate sono 4 i musulmani che partecipano alla Mariapoli, la cui data coincide proprio con la fine di Ramadan, festeggiato tutti insieme con musiche arabe, danze all’aperto e dolci siriani. In quegli stessi giorni Mohamed viene a sapere della morte di sua madre: toccante occasione per pregare insieme per lei con la recita di alcuni Salmi scelti in modo da risultare rispettosi della sensibilità di tutti. Anche capire il dolore dell’altro è un dialogo profondo. Mohamed fa poi richiesta alle Autorità di ricongiungere in Austria la famiglia, impresa che si rivela quanto mai complicata. Per ben 22 volte sua moglie si mette in viaggio per raggiungere a piedi la frontiera (7 ore di cammino, patendo fame, freddo, pericoli). Per poi venire puntualmente rimandata indietro. Una volta viene perfino rinchiusa in prigione. Ma ecco che finalmente ce la fa a varcare i confini. Si avvicina così la tanto agognata ricomposizione della famiglia, alla quale viene consigliato non di stabilirsi a Graz, ma a Vienna. Con rammarico Mohamed deve lasciare i suoi amici di Graz, ignaro che la medesima calorosa accoglienza l‘avrebbe trovata anche nella comunità focolarina della capitale che, nel frattempo, è stata avvertita del suo arrivo. Comunità che si attiva per una degna sistemazione della famiglia, cosa non facile data la carenza di alloggi. Nasce l’idea di rivolgersi a delle religiose amiche che gestiscono una casa per anziani. Nel giro di un giorno c’è già una prima risposta positiva, grazie ad un rassicurante colloquio con i membri del Focolare. Ed è così che da due mesi la famiglia di Mohamed vive in questa casa di suore cristiane, con nessun disagio da ambo le parti: le suore, nel prendere atto delle usanze degli ospiti musulmani e la famiglia nel vivere in una struttura con numerosi ed evidenti segni cristiani. Anche questo fa parte del dialogo e, come afferma Mohamed: «cristiani e musulmani siamo davvero fratelli». Scuola internazionale di dialogo interreligioso (Castel Gandolfo, 26-29/05/2016) (altro…)
Giu 10, 2016 | Centro internazionale, Cultura, Focolari nel Mondo, Spiritualità

Igino Giordani (1942)
«Nonostante il suo girovagare per il mondo, il suo radicamento romano e, in un certo senso, vaticano, il suo perlustrare dottrine politiche e sociali, Igino Giordani non ha mai reciso il cordone ombelicale con la propria città natia: Tivoli. È sufficiente scorrere le pagine nelle quali Giordani racconta della sua città, o leggere il romanzo La città murata, idealmente ambientato a Tivoli, per constatare quanto Giordani abbia amato la sua Tivoli. Nelle Memorie di un cristiano ingenuo raffigura l’ambiente della sua città con parole che ne lasciano trapelare l’intenso rapporto e, in un certo senso, sembra quasi che giustifichi se stesso e le sue scelte fondamentali, riportandole all’interno del carattere tipicamente tiburtino: giocoso e indomabile, coraggioso e coerente, a tratti aggressivo, ma sollecitato dall’amore per Dio e la sapienza. Igino Giordani nasce in una famiglia di umili origini. Igino ha più volte testimoniato la sua venerazione per entrambi i genitori, per la dignità con cui vivevano le loro giornate, per la fede cristiana che ne scandiva le tappe fondamentali della vita. A Tivoli Giordani è cresciuto umanamente e intellettualmente. Non ha certo avuto le opportunità che un bambino intelligente come lui avrebbe potuto sperare di avere: gli studi se li conquista. Infatti è avviato dal padre al lavoro manuale, quale muratorino. Nel frattempo, ancora bambino, rimane affascinato, durante le funzioni religiose, dalla celebrazione della Messa, e, sebbene questa si esprima in lingua latina, il piccolo Giordani ne manda a mente alcune parti, e quando è solo, pure durante il lavoro, invece di fischiettare qualche motivetto mondano, lui si mette a declamare a memoria frasi latine della Messa. La provvidenza si serve di Sor Facchini (l’impresario per cui lavoravano i Giordani) che comprende che Igino non è certo fatto per la cazzuola e il secchio di cemento, ma per lo studio. Il Sor Facchini decise di finanziare gli studi di Igino nel Seminario, a Tivoli, a quel tempo l’istituzione che poteva meglio provvedere alla formazione intellettuale e spirituale di un giovinetto di tredici anni. Qui stette fino al 1912, quando avrebbe dovuto spostarsi nel Seminario di Anagni. Ma Igino sceglie la sua Tivoli e si iscrive al liceo classico, dove si diploma nel 1914. È probabile che la passione per l’argomentazione forbita e incisiva, per la declamazione intellettuale delle ragioni della fede cristiana si siano scolpite nell’esperienza giordaniana già in tenerissima età, quando dal pulpito della Chiesa di S. Andrea di Tivoli padre Mancini, gesuita, “tonava avvincendo l’uditorio”. Padre Mancini è descritto da Giordani come uomo di una fede irresistibile e inattaccabile. Era un divulgatore del Vangelo combattivo; era per Giordani un vero e proprio modello. Così in questa primaria formazione possiamo ravvisare già alcuni tratti di quello che sarà il carattere che porterà Giordani ad affermarsi come polemista e difensore della fede. Poco tempo dopo il suo diploma al liceo, anche l’Italia entra in guerra. Igino si affaccia alle vicende della vita pubblica italiana nel clima del dibattito controverso della guerra e della pace: è un pacifista convinto e risoluto, in tempi non facili per coloro che propugnavano idee pacifiste. È probabile che dalla figura carismatica di padre Mancini alla salda esperienza di fede maturata in seminario, fino alla plurale concezione politica e ideologica respirata nel liceo, Giordani – che pur in quegli anni sembrava intiepidito dal punto di vista religioso – non abbia perso la dimensione dell’amore per il prossimo, che lo portò ad escludere ogni forma di comportamento violento nei confronti di qualsiasi altro uomo. Lo dirà con semplicità luminosa, qualche anno più tardi, quando esprimerà la sua avversione per la guerra vissuta in quegli anni: “Quando nella prima guerra mondiale vigilavo durante la notte in trincea, mi torturava sempre il pensiero del comandamento divino: “Quinto: non ammazzare”. Una formazione alla pace, dunque, maturata nella sua Tivoli. E in un brano scritto da Giordani molti anni più tardi, intriso dell’esperienza devastante della guerra, ma anche della fede e speranza scaturita dall’incontro con la spiritualità dell’unità: “Il disprezzo dell’uomo e il suo deprezzamento derivano dal fatto che non si vede più in lui il Cristo; e allora all’amore è sostituito l’odio, la spiritualità del principe della morte. Non vale la protesta: e neppure valgono le armi, da quanto la storia incisa sulle nostre carni dimostra. Contro l’odio vale la carità: contro il disprezzo della persona vale solo il valutarla un altro Cristo; contro l’eliminazione, la deportazione, il genocidio, vale solo l’amore, per cui si ama il fratello come si ama se stesso, sino all’unità, onde si fa uno con lui, qualunque sia il suo nome”». Alberto Lo Presti Cfr. Igino Giordani, La divina avventura, Città Nuova, Roma, 1993, p. 141. (altro…)
Giu 9, 2016 | Dialogo Interreligioso, Spiritualità
“Siano rese glorie al Signor mio, Lui l’Adorabile, il Solo da adorare, l’Eterno, per sempre esistente, che ci ama, la Cui Clemenza e Potenza abbracciano l’universo (…). Sei Tu l’Adorato, o mio Signore, Tu sei il Maestro che ama e perdona. Il Tuo perdono e la Tua misericordia sono infiniti, o mio Signore, sei Tu l’aiuto dell’afflitto, il Consolatore di ogni sconforto, il Rifugio di chi ha il cuore spezzato” (Dalla Preghiera di ‘Ali ibn Abi Talib’, cugino e genero del Profeta dell’Islam) (altro…)
Giu 9, 2016 | Chiara Lubich, Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
La spaziosa aula “Centro Trasferimento della conoscenza” dell’Università Cattolica di Lublino Giovanni Paolo II, ha accolto il congresso Conflicts, Dialogue and Culture of Unity (3-4 giugno 2016). Si è svolto all’insegna della “trasmissione” di conoscenze attraverso il dialogo accademico tra i 180 partecipanti, professori e studiosi di diverse discipline dell’area delle scienze sociali, con 95 contributi. Una interazione fatta anche di domande e di sollecitazioni nel condividere lo sforzo di una ricerca. Un dono fra specializzazioni, ma anche fra generazioni e aree geografiche dell’Europa nell’apertura alle sfide del mondo. Il convegno, aperto dalla relazione di Jesús Morán, copresidente dei Focolari, dal titolo “La cultura dell’unità e alcune grandi sfide dell’umanità di oggi”, prendeva le mosse dal 20° anniversario della consegna a Chiara Lubich del Dottorato honoris causa in Scienze Sociali, da parte dell’Università Cattolica di Lublino nel giugno 1996. La Laudatio tenuta allora dal prof. Adam Biela ne precisava la motivazione: il carisma dell’unità «è un’attualizzazione concreta e pratica di una nuova visione delle strutture sociali, economiche, politiche, di educazione, dei rapporti religiosi, che consiglia, raccomanda, suggerisce, educa e promuove l’unità» fra le persone. E coglieva, nell’ispirazione rivoluzionaria di Chiara Lubich, manifestata a partire dagli anni ’40, gli elementi di un nuovo paradigma delle scienze sociali, tanto da coniare l’inedito concetto di paradigma dell’unità. Quello a Lublino, 20 anni dopo, è «un convegno complesso e interessante», secondo il prof. Italo Fiorin, Presidente del corso di laurea in Scienze della Formazione, Università Lumsa, Roma. «Anzitutto per il tema, costruito su tre parole collegate. Conflitto: con la riflessione sulla situazione del mondo, non catastrofica ma problematica, stimolando la responsabilità. Dialogo: via per condurre e tradurre il conflitto in qualcosa di nuovo, con un’azione positiva. Unità: risultato di un dialogo, che non è il manifestarsi di un pensiero unico, ma la conquista di una maggiore consapevolezza della propria identità». «Da 200-300 anni il sapere si è diviso in tanti campi», afferma la neuro scienziata Catherine Belzung, Università di Tours, Francia. «Ma l’attuale frammentazione non permette di fare progressi. È arrivato il tempo del dialogo anche interdisciplinare e qui si è visto che è possibile, desiderato ed efficace. Nel mio campo ci sono già delle scoperte che mostrano che il progresso è possibile solo amplificando il sapere attraverso il dialogo interdisciplinare. Il pensiero di Chiara Lubich mi sembra il paradigma da avere davanti quando mi interesso della ricerca interdisciplinare perché “paradigma trinitario”: ogni disciplina rimane distinta, ma deve avere dentro di sé le conoscenze delle altre discipline per essere a sua volta trasformata e in questo modo continuare il dialogo. Penso che il modello di unità e distinzione, proposto già nel campo spirituale, possa essere trasferito al campo del dialogo interdisciplinare molto facilmente». Conferma il prof. Marek Rembierz, pedagogo dell’Università di Silesia, Katowice, Polonia: «Mi è risultato molto interessante pensare in una dimensione interdisciplinare. E ciò ha richiesto un cambiamento di mentalità notevole: modificare il linguaggio della scienza, della cultura, con il linguaggio del cuore. È stato fonte di ispirazione per i partecipanti e può esserlo per la vita sociale delle persone». Gianvittorio Caprara, ordinario di Psicologia e neuroscienze sociali, Università la Sapienza, Roma: «Chiara Lubich ha avuto delle intuizioni particolarmente felici e feconde. Feconde perché hanno ispirato un lavoro, un movimento; ora ispirano questo congresso e progetti di ricerca. È una riflessione che continua e che diventa ispirazione. Una scoperta particolare per me è stata la pregnanza della categoria della fratellanza, proprio in una società come la nostra, il cui grave rischio è quello di non avere più fratelli. Incoraggio i Focolari ad insistere di più ancora sulla ricerca sistematica della conoscenza perché l’azione diventi più trasformativa ed efficace». «Riguardo la fraternità – riprende Fiorin – il prof. Stefano Zamagni operava nel suo intervento una lettura molto affascinante sull’Economia di Comunione e la riferiva pure alla politica. Ritengo che tale lettura sia trasferibile anche all’educazione per ispirare il legame educativo e didattico e condurre a delle soluzioni didattiche importanti. È un terreno che merita approfondimento e al quale intendo dedicare la mia attenzione». La conclusione del congresso è affidata al prof. Biela, a Daniela Ropelato vicepreside dello IUS e a Renata Simon del Centro internazionale dei Focolari. Per dare continuità al dialogo interdisciplinare, che ha permeato il convegno, un’indicazione forte viene dal pensiero riportato di Chiara Lubich: «Per accogliere in sé il Tutto bisogna esser il nulla come Gesù Abbandonato (…). Bisogna mettersi di fronte a tutti in posizione di imparare, ché si ha da imparare realmente. E solo il nulla raccoglie tutto in sé e stringe a sé ogni cosa in unità». Un incoraggiamento raccolto a cooperare con competenza, sapienza e capacità dialogica anche e proprio sul piano accademico. (altro…)