Padre Mychayl è un sacerdote greco-cattolico che vive la spiritualità dei Focolari. Dalle pagine di Città Nuova ci ha aiutato a seguire le vicende del suo amato e devastato Paese. Ad un anno dallo scoppio del conflitto gli abbiamo chiesto di rileggere quanto accaduto. «Dalla rivolta di Piazza Maidan al conflitto nel sud-est è passato quasi un anno e finora sono stati 5mila i morti e oltre un milione i profughi. Già da mesi dura la guerra nel Donbass. La gente sta morendo, l’infrastruttura è al collasso, centinaia di migliaia di persone sono in fuga. Nel patchwork di territori controllati da ucraini e da separatisti, nel caos di bande, comandanti in guerra tra loro, eserciti male armati e peggio addestrati, potrebbe esserci l’effetto collaterale di una guerra di tutti contro tutti». Per questo, secondo padre Mychayl, oggi più che mai l’Ucraina ha bisogno di educazione alla pace, in cui tutti si è protagonisti: adulti e giovani, educatori e bambini, genitori e figli: «Una pedagogia della pace semplice, ma coinvolgente, basata sulla coerenza tra teoria e pratica, valori ed esperienze. L’educazione per affermare la cultura della Pace, l’unica che possa rispettare e rispondere alle domande più vere di tutti, nell’impervio cammino verso la fraternità universale in Ucraina». Alla domanda sui passi necessari per l’Ucraina, afferma: «Mi permetto di rispondere con quanto disse Chiara Lubich a Londra nel 2004: “(…) si dovrebbe proporre a tutti quanti agiscono in politica di formulare quasi un patto di fraternità per il loro Paese, che metta il suo bene al di sopra di ogni interesse parziale, sia esso individuale, di gruppo, di classe o di partito. Perché la fraternità offre possibilità sorprendenti: essa consente di tenere insieme e valorizzare esigenze che rischiano, altrimenti, di svilupparsi in conflitti insanabili. Armonizza, ad esempio, le esperienze delle autonomie locali con il senso della storia comune; consolida la coscienza dell’importanza degli organismi internazionali e di tutti quei processi che tendono a superare le barriere e realizzano importanti tappe verso l’unità della famiglia umana». Ma la crisi ucraina ha innescato, dopo le guerre nei Balcani, la più grande ondata di rifugiati: oltre 900.000 solo gli sfollati interni. «Nella città assediata di Donetsk non è più possibile una vita normale. Gli anziani – testimoni per la seconda volta degli orrori della guerra – muoiono privi di cure mediche o devono lasciare la loro casa. Molti non ricevono la pensione dall’estate. In aree controllate dai separatisti c’è tutto nei negozi e farmacie, ma non ci sono i soldi. Banche e uffici postali hanno chiuso». Come ricostruire case, strade e quei ponti che non sono solo collegamenti strutturali ma risanamento delle ferite invisibili? «Non è cosa facile. Dare aiuto psicologico alle popolazioni colpite è meno semplice che ricostruire strade o inviare aiuti umanitari. Già da qualche anno i docenti dell’Istituto Universitario Sophia, in cooperazione con Iustitia et Pax Ukraine, fanno dei corsi per formare i giovani a dare il proprio contributo comecittadini, per la costruzione del bene comune dell’Ucraina». «Dopo l’ondata di proteste e la guerra, il paese ha bisogno di queste “Scuole di partecipazione” che formano all’impegno civile e politico, radicati nel tessuto cittadino; luoghi in cui sperimentare un agire politico fondato sui valori condivisi e nutrito dall’ideale della “fraternità universale”. L’Ucraina, grazie alle manifestazioni di piazza Maidan, è diventata una vera nazione, un popolo che vuole costruire la sua vita sui valori cristiani. Ora si tratta di trasformare i valori vissuti durante le proteste in piazza nelle cose concrete dell’agire quotidiano; di farsi carico delle aspettative e dei bisogni più profondi del Paese, per non cadere definitivamente nell’apatia». Le scuole di Partecipazione forniscono, infatti, modelli interpretativi e proposte operative volte a diffondere la cultura di pace: «Una delle sfide principali per l’Ucraina è la situazione degli immigrati interni, la loro integrazione in altre regioni d’Ucraina, e le conseguenze delle ostilità. La formazione di conoscenze e competenze flessibili, quindi, per promuovere il dialogo interculturale e interreligioso, i diritti umani, la mediazione, la prevenzione e risoluzione dei conflitti, l’educazione alla non violenza, la tolleranza, l’accettazione, il rispetto reciproco e la riconciliazione, sono gli obiettivi che vogliamo porre al centro dell’educazione del futuro». (altro…)
Sr Tina Ventimiglia, Francescana dei Poveri, e Resi e Alessandra, volontarie dell’associazione Randi che nell’impegno a vivere la spiritualità dell’unità, trovano forme impensate per l’incontro e l’accompagnamento. E il riscatto. Il ruolo della prevenzione: creare opportunità di sviluppo nel sud del mondo. L’8 febbraio, in concomitanza con la memoria liturgica di s. Giuseppina Bakhita, suora sudanese, che da bambina fece la drammatica esperienza della schiavitù, si è celebrata la prima giornata mondiale contro la tratta. Una giornata per rompere il silenzio su questa “vergognosa piaga indegna di una società civile”. Così l’ha definita papa Francesco all’Angelus, col cuore gonfio di angoscia per la moltitudine di “uomini, donne e bambini schiavizzati, sfruttati, abusati come strumenti di lavoro e di piacere e spesso torturati e mutilati”, nell’auspicio che “quanti hanno responsabilità di governo si adoperino con decisione a rimuoverne le cause”. È emblematico che a sollevare la questione su questa ‘moderna’ e inaccettabile forma di schiavitù siano proprio le i religiosi che con la loro presenza nei vari punti del pianeta – primi e a volte unici ‘buoni samaritani’ – sanno farsi prossimi a persone cui con violenza è tolta la libertà personale impossessandosi di tutto il suo essere rendendola schiava. Significativa l’esperienza di Tina Ventimiglia, suora Francescana dei Poveri, che con la sua comunità da dodici anni si sta facendo carico, a Pistoia (Italia), di ragazze provenienti dalla strada. “L’immigrazione clandestina e forzata – racconta – mostra spesso un volto femminile, vittima dei cosiddetti protettori. Questi volti il cui sguardo timoroso, diffidente o sprezzante – di chi non sa più fidarsi di nessuno – ci interpellano fortemente. Alla luce dell’insegnamento della nostra fondatrice e del carisma di Chiara Lubich, non le vediamo realtà da sfuggire, scartare, rimuovere, o peggio da condannare, ma ‘piaghe” di Cristo da sanare. Il male non si deve ‘combattere’ ma ‘attraversare’ con l’esercizio di farsi ‘vuoto’ per accogliere la persona così com’è, degna di amore indipendentemente dalla situazione in cui si trova. L’amore non fa calcoli, ama senza misura, e continua ad amare anche quando non viene accolto o capito. Ed è ancora l’amore a farci comprendere i gesti concreti che si possono fare come il percorso sanitario, o giudiziario per restituire attraverso i documenti la propria identità. Come anche l’accompagnamento nella rielaborazione del vissuto e scoprire così le risorse interiori per riprendere a vivere, facendo sentire la persona degna di amore e capace di amare. Senza tralasciare l’offerta di una rete relazionale sana che consenta loro di integrarsi nel territorio con l’inserimento lavorativo e la successiva autonomia abitativa”. “Randi – racconta Alessandra – è la bambina che 22anni fa Rebecca è venuta a partorire nell’ospedale dove lavoravo. Immigrata clandestinamente a Livorno, non sapeva nulla di italiano ma ugualmente si captava tutta la sua angoscia poiché, non avendo documenti di soggiorno, temeva che le avrebbero tolta la bambina. Accolta senza ragionamenti e pregiudizi, siamo riuscite a trovare una soluzione. Dopo pochissimo tempo più di 70 ragazze in situazioni anche più drammatiche, sapevano di poter contare sulla nostra associazione, che abbiamo chiamato Randi”. “Di che cosa ci occupiamo? – incalza Resi – Spesso siamo di fronte a situazioni di vera e propria schiavitù a fini economici. E’ questo un business che muove un mercato di 24 miliardi di euro e coinvolge, nel mondo tra i 27 e i 50 milioni di esseri umani, soprattutto donne e bambini. Una vera e propria tratta che crea paura, isolamento, incapacità di difesa alcuna. Circa la metà del fenomeno riguarda giovani donne costrette alla prostituzione. Riuscire ad avvicinare queste persone incatenate, cui viene impedito qualunque contatto con il mondo esterno non è davvero facile. A volte la svolta avviene grazie ad un incidente, ad un ricovero ospedaliero, un incontro su un treno. Nel contatto, la spiritualità dell’unità ci aiuta a trasmettere loro che si possono finalmente fidare di qualcuno. E qui avviene il miracolo perché forse per la prima volta non viene chiesto loro nulla in cambio”. Sanare le ferite: la grande scommessa del Vangelo. Ma anche, fin dove è possibile, prevenirle. È in questo versante che sono impegnate le schiere di religiosi e religiose che, portatisi in terre lontane, insieme alla buona novella si adoperano a far crescere la dignità delle persone. È quanto stanno facendo anche i Focolari nel sud del mondo, dove, in 53 paesi dei 4 continenti, sono attivi oltre cento interventi di sviluppo cui sono inseriti 15.000 bambini e le loro famiglie, per creare con essi concrete opportunità di sviluppo da spendere nella propria terra, nella libertà. (altro…)
«Ventotto anni di matrimonio, quattro figli dei quali tre rimasti a Lubumbashi (Congo) per studiare all’Università. La riscoperta di Dio come amore, il metterlo al primo posto della nostra vita personale e di coppia. Sono questi i presupposti spirituali che ci hanno spinti a lasciare tutto per seguire Cristo. Da lungo tempo le comunità del Movimento in Gabon chiedevano l’apertura di un focolare a Libreville. Ed è così che, nel 2011, arriviamo noi come “focolare-famiglia”. Una scelta, la nostra, che ci ha incamminati ad offrire la nostra disponibilità, lasciare il nostro lavoro e partire per una nuova terra. Mai ci eravamo separati dai nostri figli per un così lungo periodo. Non è stato facile, ma con il consenso di tutta la famiglia, abbiamo sentito di poterlo fare. Erano molti gli interrogativi… ma la fiducia in Dio-Amore era grande. Al nostro arrivo in Gabon la prima preoccupazione è stata di rafforzare il nostro amore vicendevole di sposi. In questo modo l’amore tra di noi è ancora più cresciuto, portandoci a ricominciare sempre ad amarci l’un l’altro e ad amare tutti quelli che incontravamo.Qui abbiamo trovato una comunità davvero accogliente, recettiva e, malgrado le ristrettezze della vita, molto generosa. Abbiamo fatto numerosi viaggi attraversando tutto il Paese, per incontrare le comunità anche le più lontane. Tutti ci hanno accolti con entusiasmo. Addirittura, in certi villaggi, ci attendevano lungo i bordi delle strade, con rami di alberi piantati lungo il percorso per manifestare la loro gioia. La famiglia cristiana qui, come del resto in tutta l’Africa, subisce il contraccolpo delle mutazioni socioculturali, e questo ci interpella molto. Stiamo accompagnando nel cammino di fede molte coppie e ad oggi diverse di loro hanno ricevuto il sacramento del matrimonio, altre stanno facendo il percorso per prepararsi a regolarizzare la loro unione. Abbiamo fortemente sperimentato la provvidenza di Dio, a cominciare dalla casa che è stata donata dall’Arcivescovo di Libreville per le attività del Movimento. Per arredarla, ciascuno della comunità ha portato ciò che poteva: un letto, un materasso, una coppia di lenzuola, un fornello, una forchetta, un piatto… Contemporaneamente, tutte le comunità del Gabon si sono organizzate per aiutare concretamente la nostra vita quotidiana. Periodicamente ci fanno arrivare manioca, riso, banane… spesso qualcuno suona il campanello di casa e con sorpresa vediamo arrivare ciò di cui abbiamo bisogno. L’unità, l’amore, la fede nelle parole del Vangelo ci permettono di superare le immancabili difficoltà che qui incontriamo: la mancanza di lavoro, la malattia, l’incomprensione… Dopo tre anni, siamo tornati a Lubumbashi. Abbiamo trovato i nostri figli cresciuti in età e saggezza. Anche in questo abbiamo visto che il Vangelo è vero. Rivederli è stata una gioia grandissima e con ciascuno di loro abbiamo sentito una profonda unità di cuore e di animo. Quando siamo ripartiti, essi hanno rinnovato la loro disponibilità a ‘mandarci’ nuovamente in missione, che consiste nel far incontrare Dio alle persone attraverso il nostro amore reciproco e coprire, con il calore della famiglia e la nostra unità, il grande desiderio delle comunità del Gabon di un vero focolare”. Jeanne et Augustin Mbwambu (altro…)