Movimento dei Focolari
Natale oltremisura, nel carcere di San Vittore a Milano

Natale oltremisura, nel carcere di San Vittore a Milano

«Sono giovani, sono un’onda. Chi li guida è come un surfista: tutti vedono il suo bel numero, ma è l’onda che lo spinge. Sono giovani, sono una corrente. Chi la prende giusta va lontano senza faticare». Comincia così la lettera aperta di Don Pietro Raimondi, cappellano del carcere di San Vittore, a Milano, dove un gruppo di giovani dei Focolari, alla vigilia di Natale, ha portato una ventata di calore, vivendo insieme ai carcerati un «silenzioso miracolo di luce». La storia parte da quando questi giovani hanno iniziato ad animare le Messe della domenica in carcere: un’esperienza toccante che ha lasciato il segno. A distanza di qualche mese, pensando al Natale, hanno voluto lanciare l’idea di “Buono dentro e buono fuori” con la sfida di riuscire a raccogliere panettoni sufficienti per ogni cella del carcere. «La cella è la sola casa del detenuto – scrivono i Giovani per un mondo unito – e quindi in ogni cella – cioè in ogni casa della grande città che è il carcere di San Vittore – vogliamo portare il Natale». «È da loro che vengono le idee, le proposte, le intuizioni migliori – continua il cappellano. E a chi mi dice che sono incostanti e mutevoli dico che questo è tipico di ogni liquido. Però aggiungo che i liquidi hanno una proprietà magica: non li puoi comprimere. La pressione che esercitano è enorme, spostano montagne. Sono giovani e ti fanno pressione inventandone sempre una in più. Chi li ascolta è fortunato e cammina sull’acqua». «Oggi siamo stati a portare i panettoni a San Vittore! – adesso è uno dei giovani a parlare – Eravamo una bella squadra, chi li scaricava dai furgoni, chi li metteva nei sacchi neri, chi li portava fino al metal detector… ce n’era per tutti insomma! Poi quattro di noi hanno avuto il bellissimo regalo di poter portare i panettoni da distribuire nelle celle. Penso sia impossibile descrivervi l’emozione del varcare la soglia delle celle, dare il panettone ad ogni detenuto e vedere la loro gioia, il loro stupore, la loro gratitudine. Non solo, per la prima volta dopo tanto tempo, non vedevano solo guardie e compagni di cella… ma li andavamo a trovare portandogli un dono, un dono perché loro potessero passare bene il Natale. E anche noi viviamo un Natale diverso….molto più vero». «La generosità degli adulti spesso sedimenta in abitudine e ogni loro slancio creativo tramonta rapido in un tradizione rigida – scrive Don Pietro, che di Natali a San Vittore ne ha visti tanti. Persino donare dei panettoni ai detenuti rischia di trasformarsi in un gesto istituzionale. Sempre lo stesso offerente, con lo stesso furgone della stessa ditta… E il gesto meccanico della distribuzione uccide lo slancio che stava all’origine». «Loro no. Loro, i giovani, ti dicono “perché non…?”. Loro hanno lanciato una sfida anzitutto a se stessi, poi al mondo intero: non compreremo nemmeno un panettone né cercheremo chi faccia una donazione massiccia. Parleremo di quel mondo oscuro che sta dietro il muro di cinta. Parleremo per le strade, nelle scuole, agli amici ed in famiglia. Parleremo di loro, di quelli che non ci importa se sono buoni o cattivi, colpevoli o innocenti, ma che certo hanno bisogno di un gesto di amore. Quei gesti che non sono un soccorso ad una carenza ma un di più. E la risposta è oltremisura. Si puntava a 450 panettoni, uno per cella. Diventano presto 500, poi 1000, infine 1400 e poi si perde il conto. Possiamo solo dire che oggi vi erano in carcere 1553 uomini e 96 donne, senza contare gli agenti e gli operatori. E pare che tutti ricevettero un dono…». «E noi che vi scriviamo – conclude il cappellano siamo, ancora una volta, quelli che hanno ricevuto il dono più bello. Quello di aver visto i volti di questi giovani mentre distribuivano i panettoni. Quello di aver visto gli occhi di chi li riceveva. Quello di poter immaginare le mani di bimbo, anziano o chissà chi, che li ha donati. E quello infine di potervi raccontare come testimoni questo silenzioso miracolo di luce avvenuto oggi negli inferi di San Vittore». Su Città Nuova leggi anche: Miracolo di luce http://www.cittanuova.it/contenuto.php?TipoContenuto=web&idContenuto=332565# [nggallery id=81] (altro…)

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«Siate una famiglia»

«Se oggi dovessi lasciare questa terra e mi si chiedesse una parola, come ultima che dice il nostro Ideale, vi direi – sicura d’esser capita nel senso più esatto –: “Siate una famiglia”. Vi sono fra voi coloro che soffrono per prove spirituali o morali? Comprendeteli come e più di una madre, illuminateli con la parola o con l’esempio. Non lasciate mancar loro, anzi accrescete attorno ad essi, il calore della famiglia. Vi sono tra voi coloro che soffrono fisicamente? Siano i fratelli prediletti. Patite con loro. Cercate di comprendere fino in fondo i loro dolori. Fateli partecipi dei frutti della vostra vita apostolica affinché sappiano che essi più che altri vi hanno contribuito. Vi sono coloro che muoiono? Immaginate di essere voi al loro posto e fate quanto desiderereste fosse fatto a voi fino all’ultimo istante. C’è qualcuno che gode per una conquista o per un qualsiasi motivo? Godete con lui, perché la sua consolazione non sia contristata e l’animo non si chiuda, ma la gioia sia di tutti. C’è qualcuno che parte? Lasciatelo andare non senza avergli riempito il cuore di una sola eredità: il senso della famiglia, perché lo porti dov’è destinato. Non anteponete mai qualsiasi attività di qualsiasi genere, né spirituale, né apostolica, allo spirito di famiglia con quei fratelli con i quali vivete. E dove andate per portare l’ideale di Cristo, per estendere l’immensa famiglia dell’Opera di Maria, niente farete di meglio che cercare di creare con discrezione, con prudenza, ma decisione, lo spirito di famiglia. Esso è uno spirito umile, vuole il bene degli altri, non si gonfia… è la carità vera, completa. Insomma, se io dovessi partire da voi, in pratica lascerei che Gesù in me vi ripetesse: Amatevi a vicenda… affinché tutti siano uno». Chiara Lubich – (Gen’s, 30 [2000], 2, p. 42) (altro…)

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Africa, “Ora tocca a noi”

“Ora tocca a noi”. “Sarà una grande festa, un evento storico”. “Un passo importante nella formazione delle nuove generazioni in Africa”. Così i giovani del Movimento dei focolari dell’Africa presentano il “Congresso panafricano Gen”, che si terrà nella cittadella dei Focolari in Kenya, conosciuta come Mariapoli Piero, dal 27 al 31 dicembre 2011. Le radici.La recente lettera apostolica di Benedetto XVIPorta Fidei’ e il prossimo Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione – dicono i giovani dei Focolari – ci hanno fortemente interpellati. Sentiamo di vitale importanza rispondere alla sfida già rilevata da Giovanni Paolo II nell’Esortazione Apostolica Post-Sinodale ‘Ecclesia in Africa’, cioè la necessità dell’inculturazione e la sua priorità per un reale radicamento del Vangelo in Africa”. È la prima volta che il Movimento Gen promuove nel continente africano un evento di questo tipo, con giovani provenienti da 15 paesi dell’Africa sub-sahariana, fra i più impegnati, appunto i e le gen. Circa 200 giovani dai 19 ai 30 anni, si troveranno in un clima di festa ma anche di riflessione per approfondire l’eredità del Vangelo vissuto, la spiritualità dell’unità che Chiara Lubich ha lasciato ai giovani. “Anche qui da noi – si chiedono i gen africani –, i giovani vengono sempre più e rapidamente assorbiti nella mentalità materialista; è ancora possibile fare delle scelte forti e radicali?” Obiettivo. Il progetto, di cui il Congresso panafricano fa parte, prevede la durata di un anno, e include un processo di formazione sul posto e giornate d’incontro per l’annuncio del Vangelo vissuto, coinvolgendo il maggior numero possibile di giovani. Quindi, un seminario conclusivo nel Centro internazionale dei Focolari, che culminerà con l’udienza con il Santo Padre, la visita ai luoghi dei martiri a Roma e un’immersione del cuore della cristianità. Infine, la valutazione sul posto e congressi locali per arricchire la comunità cristiana del posto dell’esperienza vissuta e la proposta di nuovi progetti. Sfida. Radunare in Kenia 200 giovani di paesi così distanti fra loro potrebbe sembrare un traguardo irraggiungibile. Come James dice: “La maggior parte di noi sono studenti e quelli che lavorano hanno lavori mal retribuiti“. I gen stanno lavorando, quindi, dallo scorso anno, per raccogliere i fondi necessari per i lunghi viaggi, in modo che – attraverso una grande comunione dei beni – ciascuna regione geografica possa essere rappresentata. A Nairobi, il 28 novembre hanno presentato il Congresso al Nunzio Apostolico, l’arcivescovo Alain Paul Lebeaupin che ha parlato ai gen dell’Esortazione apostolica Africae munus che il Papa ha personalmente consegnato al popolo africano nel suo ultimo viaggio in Benin, dove invita i giovani a non lasciarsi scoraggiare e non rinunciare ai loro ideali. “L’avvenire è nelle mani di chi sa trovare ragioni forti per vivere e sperare (…), è nelle vostre mani”. (Benedetto XVI, n.63 Esortazione apostolica Africae munus) Maria Voce, presidente dei Focolari, ha inviato ai gen dell’Africa un messaggio in cui tra l’altro scrive: “Se mantenete la presenza di Gesù sempre tra voi, in quei giorni, ci sarà un’esplosione di gioia e di vita nuova tra tutti i Gen che parteciperanno. Avanti allora, con coraggio ed entusiasmo! Mettete l’amore alla base di tutto, e ogni piccola cosa durante la giornata acquisirà un significato profondo e diventerà un mattone per la crescita del Movimento Gen in Africa “. [nggallery id=80] (altro…)

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Giordani e Il Fratello

Dall’incontro tra storia, spiritualità e arte nasce l’evento alla Libreria L’Arcobaleno – con sede presso il Polo Lionello Bonfanti a Incisa Valdarno, vicino alla cittadella di Loppiano – di lunedì 19 dicembre. Ospiti il regista Maffino Redi Maghenzani e la studiosa Colomba Kim, in dialogo sul volume di Igino Giordani, edito da Città Nuova, “Il Fratello”.   Riproponiamo qui l’intervista di Città Nuova online, curata da M.Grazia Baroni. «Non avevo mai proposto per la rassegna Incontri tra le pagine qualcosa su Igino Giordani» ci spiega Gualtiero Palmieri, uno dei soci della libreria L’Arcobaleno, luogo prescelto per la presentazione con lettura del regista Maffino Redi Maghenzani dei brani tratti da Il Fratello del giornalista e politico italiano (lunedì 19 dicembre, località Burchio – Loppiano). Con tanto di brindisi finale: «Concludere l’anno con Il fratello poi significa invitare a vivere il momento con chiunque io incontri e prima di tutto essere io stesso “fratello”». Tra i protagonisti di questa serata Gualtiero Palmiero, il regista Redi Maghenzani e Colomba Kim, studiosa di teologia morale presso l’Istituto Internazionale Mystici Corporis di Loppiano (Fi) ed autrice sempre per Città Nuova del libro Gli sposi e la famiglia in Igino Giordani. Redi, come risulta da punto di vista artistico questo linguaggio di Giordani ne “Il fratello”? «Giordani è personalità poliedrica, è giornalista, è agiografo ecc… Ma tali connotazioni riguardano ‘il cosa‘, mentre il fatto che Giordani sia scrittore riguarda principalmente ‘il come‘; è questa la discriminante; il fraseggio giordaniano trasuda il bello e ne fa strumento per esporre il vero ed indirizzare al buono; Giordani sviluppa i suoi temi con musicalità, con colpi di scena, con neologismi, tutti strumenti del bello. e qui sta la differenza tra un puro scritto di spiritualità o d’altro argomento e Il fratello: l’ispirazione poetica che vi soggiace. Un indubbio di più». Colomba, tu hai studiato molto la personalità di Giordani. Chi era Giordani? «Veramente sono stata attirata da questa figura da giovane, quando ero ancora in Corea. Due amiche focolarine mi invitarono a pregare insieme a loro perché era giunta la notizia della sua scomparsa, avvenuta nel 1980. Lo conoscevo solo di nome ma sono rimasta fortemente colpita dal loro raccoglimento e mi domandavo “chi sarà quest’ uomo?” E poi l’ho conosciuto direttamente attraverso i suoi scritti editi e inediti, prima per lo studio e poi il lavoro per la sua causa di beatificazione. Per me Giordani è un “gigante” che si è lasciato trasformare dal Carisma dell’unità, diventando così “il bambino evangelico”». Hai conosciuto attraverso i tuoi studi Igino Giordani. Quanto di ciò che scrive nel libro Il fratello lo ritrovi poi in lui, nella sua vita? «Ho impiegato un po’ di tempo a meditare Il fratello, perché sono pagine dense di alta spiritualità e teologia, ma rispecchiano pienamente la sua vita. Giordani aveva chiara l’idea che uno scrittore cristiano prima si deve santificare e poi quanto scrive deve essere il riflesso della sua santità come ne La società cristiana. Il fratello è proprio una testimonianza viva, tangibile di questo suo profondo pensiero». Fonte: Città Nuova editrice online (altro…)

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Droga e voglia di farcela

«In città un giovane si avvicina: Posso chiederti 50 centesimi? Dovrei andare con il bus a casa dei miei genitori, ma non ho più un centesimo.” Capisco subito che è qualcuno che vuol comprarsi la droga, cosa fare? La scelta di impegnarmi a vivere il Vangelo mi spinge a vedere in lui un mio prossimo, un fratello. Forse anche lui, come me, come ognuno, ha bisogno di sentire che Dio lo ama immensamente, così com’è, che lo accoglie, che lo capisce! E Dio si può servire ora di me per fargli arrivare il suo amore. “Certo! – replico – Posso accompagnarti fino alla stazione del bus e lì ti compero un biglietto!” Lui: “Cosa, tutto il biglietto? – esclama il ragazzo, precisando immediatamente che il biglietto costa 4.50 franchi e che la fermata è ancora lontana. “Non fa niente, sono contenta di poter fare un pezzo di strada con te!” E gli chiedo come si chiama. Michele riprende: “Sai, a dire il vero, non è che avevo l’intenzione di prendere il bus, ma sarei piuttosto contento se posso comperarmi qualche cosa da mangiare, ho una fame atroce”. Gli propongo di accompagnarlo fino al prossimo bar in modo che possa scegliere quello che vuole. “Cosa?  Tu faresti questo per me? Non potresti darmi piuttosto i soldi?” “No, mi dispiace, ma i soldi non te li do perché so che….” E lui: “…che li utilizzo per comprarmi la droga.” A questo punto vedo un cambiamento nei suoi occhi, diventano chiari, belli e mi dice la verità. Che è già stato diverse volte in una casa per disintossicarsi ed era anche riuscito a smettere, ma appena in libertà: è più forte di lui! … e racconta della sua vita, della sua voglia di farcela… ma… L’ascolto e alla fine gli dico: “Una cosa ti prometto, forse tu non credi, ma da oggi in poi io pregherò per te e ti porterò nel mio cuore!” Lui: “Grazie!” E nel suo sguardo c’è un filo di speranza e di serenità!

Sento che Gesù non mi chiede solo di parlare dell’Amore, ma di amare concretamente. Allora prendo il mio borsellino, dicendo: “Guarda, non ho tanti soldi. Pensavo di comprarmi un Kebab per il pranzo, ma questi soldi sono per te!” Mi abbraccia, mi guarda e dice: “Vado a comperarmi una birra!”»

(C.P. – Svizzera)