Mar 31, 2005 | Parola di Vita
Gesù parlava sovente per immagini e con parabole. Un modo semplice ed efficace per insegnare le verità più profonde, di cui era portatore. La similitudine del pastore con il suo gregge, in cui è incastonata questa Parola di vita, richiamava ai suoi ascoltatori scene familiari di vita quotidiana. Gesù rammenta loro i ladri e i briganti che, come lupi rapaci, fanno razzia del gregge. Lui invece si paragona a un pastore buono, a cui stanno veramente a cuore le proprie pecore, le guida e le difende, al punto da affrontare se necessario la morte!
Ma in Gesù, al di là della parabola, questo diventa realtà: Lui è veramente morto sulla croce “perché noi avessimo la vita” .
«Io sono venuto perché abbiano la vita…»
È venuto perché il Padre l’ha inviato a portarci la sua vita divina. Dio infatti ha amato così tanto il mondo da dare il Figlio suo affinché chi crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna .
La vita che Gesù è venuto a portarci non è la semplice vita terrena che abbiamo ricevuto dai nostri genitori. La vita che Egli ci dona è infatti “vita eterna”, ossia partecipazione alla sua vita di Figlio di Dio, ingresso nella comunione intima con Dio: è la vita stessa di Dio, Gesù può comunicarcela perché lui stesso è la Vita. L’ha detto: “Io sono la Vita” , e “dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto” .
Ma la vita di Dio, lo sappiamo, è l’amore.
Gesù, Figlio di Dio che è Amore, venendo su questa terra, è vissuto per amore, e ci ha portato lo stesso amore che arde in Lui. Dona a noi la stessa fiamma di quell’infinito incendio e ci vuole “vivi” della sua vita.
«… e l’abbiano in abbondanza»
Poiché Gesù non soltanto possiede la vita, ma “è” la Vita, egli può donarla con abbondanza, così come dona la pienezza della gioia .
Il dono di Dio è sempre senza misura, infinito e generoso com’è Dio. Così Egli viene incontro alle aspirazioni più profonde del cuore umano, alla sua fame di una vita piena e senza fine. Solo Lui può appagare l’anelito all’infinito. La sua infatti è “vita eterna”, un dono non soltanto per il futuro, ma per il presente. La vita di Dio in noi comincia già da ora e non muore mai più.
Come non pensare a quei cristiani realizzati che sono i santi? Ci appaiono talmente pieni di vita da traboccarla attorno a loro.
Da dove veniva l’abbraccio universale di Francesco d’Assisi, capace di accogliere i poveri, di andare verso il Sultano, di riconoscere dei fratelli e delle sorelle in ogni creatura? Da dove l’amore fattivo di Madre Teresa di Calcutta, che si è fatta madre per ogni bambino abbandonato e sorella di ogni persona sola? Essi possedevano una vita straordinaria, quella che Gesù aveva donato loro.
«Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza»
Come vivere questa Parola?
Accogliamo la Vita che Gesù ci dona e che vive già in noi per il battesimo che abbiamo ricevuto e per la nostra fede, Vita che può sempre crescere nella misura in cui amiamo. È l’amore che fa vivere. Chi ama, scrive san Giovanni, dimora in Dio , partecipa della sua stessa vita. Sì, perché se l’amore è la vita e l’essere di Dio, l’amore è anche la vita e l’essere dell’uomo. Così com’è vero che tutte le volte che non amiamo noi non viviamo.
Ne è una testimonianza eloquente la partenza per il Cielo di Renata Borlone, una focolarina di cui in questi mesi si è aperto il processo di beatificazione. Accettata con tutto il cuore, come volontà di Dio, la notizia della morte imminente, diceva di voler testimoniare che “la morte è vita”, è risurrezione, e s’è proposta, con l’aiuto di Dio, di dare questa dimostrazione fino alla fine. E c’è riuscita, trasformando così un evento di lutto in un tempo di Pasqua.
Chiara Lubich
Mar 31, 2005 | Chiesa
Chiara Lubich e tutto il Movimento dei Focolari nel mondo in queste ore si stringono intorno al Papa, intensificando ancor più le preghiere, perché Dio lo sostenga in questo altissimo momento della sua vita. Nelle varie diocesi il Movimento si unisce alle iniziative di preghiera promosse dai vescovi. In tutto il mondo, il consueto time out quotidiano di preghiera per la pace, a mezzogiorno, è dedicato ora al Papa. Si uniscono nella preghiera anche i membri delle altre Chiese cristiane e gli amici ebrei, musulmani, indù, buddisti e di altre religioni che nutrono per lui un profondo affetto, sentendone la sua paternità spirituale.
In preghiera per il Papa i musulmani dell’Iran
Ci è appena giunto un toccante messaggio dall’Associazione scientifica Iraniana Genitori-Insegnanti con cui da alcuni anni si è instaurato un profondo dialogo a livello spirituale e culturale: Le gravi condizioni di salute di Papa Giovanni Paolo II hanno profondamente rattristato le persone del mondo. Sappiate che vi siamo vicini in questa sofferenza e che siamo uniti in preghiera con voi. Noi offriamo le nostre preghiere, così come le persone di tutto il mondo, perché il Papa possa ristabilirsi prontamente. “Possa essere sempre benedetto da una buona salute”. Noi abbiamo appreso che, nonostante la grave e dolorosa malattia, il Papa è rimasto calmo e sereno. Tale serenità, in queste condizioni, è un dono divino riservato ad un grande uomo come Lui. Ha chiesto anche che gli fossero letti dei testi sacri; noi leggeremo il Sacro Corano anche per Lui. Behzad Dehnavi and Kiyoomarss Jahangardi Membri del Consiglio di Amministrazione dell’Associazione scientifica Iraniana Genitori-Insegnanti (altro…)
Mar 24, 2005 | Focolari nel Mondo
Un viaggio fra le realizzazioni e gli aiuti del Movimento dei focolari nei paesi colpiti dal maremoto dello scorso dicembre.
INDONESIA.
Sono i primi di aprile. Aceh li aspetta. Jorge, focolarino centroamericano da alcuni anni a Singapore, e tre giovani, John Paul della Malesia, Ponty e Lambok indonesiani, stanno partendo per visitare alcuni villaggi della zona indonesiana più colpita dal maremoto. È la seconda volta. In febbraio avevano portato alcuni primi aiuti di emergenza, ma soprattutto avevano incontrato da vicino la realtà vista in televisione, e la gente, provata ma dignitosa, con cui avevano creato i primi rapporti di amicizia. Con loro erano stati individuati alcuni progetti che ora si può cominciare a realizzare: una falegnameria per costruire le barche dei pescatori e l’acquisto di reti per sostituire quelle distrutte. Si tratta insomma di ridare loro i mezzi che avevano, per ricominciare a lavorare e a riprendere la vita. Intanto a Medan e nell’isola di Nias prosegue il sostegno scolastico e l’assistenza a quattrocento bambini e alle loro famiglie. La generosità di tanti da tutto il mondo ha reso possibile queste azioni. Sono stati raccolti oltre 600 mila euro, alcuni preziosissimi come i venticinque euro dei bambini di Duala in Camerun o i sacrifici fatti in Kenya, paesi dove la povertà non manca. Ancora una volta non è stata solo la solidarietà e generosità di chi sta meglio, è stata la comunione dei beni fra tutti a caratterizzare la risposta all’appello lanciato dal Movimento dei focolari subito dopo la catastrofe. Il coordinamento delle iniziative è stato affidato all’Amu, la Ong dei Focolari. I nostri interventi – ci dice il presidente dell’Amu Franco Pizzorno – arrivano direttamente alle popolazioni colpite perché possiamo contare sulla presenza di persone del movimento. Dove non abbiamo una presenza diretta si sono avviate collaborazioni con la chiesa cattolica e in India anche con organizzazioni indù che conosciamo da tempo. Ma torniamo in Indonesia. Partiti da Medan, si attraversa il confine con la regione di Aceh: Abbiamo viaggiato più di quattro ore per raggiungere il primo campo profughi visitato in febbraio. Tanti sono però già rientrati nei villaggi e così andiamo a cercarli. Non se l’aspettavano, sono commossi e sorpresi, non pensavano che avremmo mantenuto la promessa. Raggiungiamo un altro villaggio dove incontriamo altri trenta pescatori e consegniamo anche a loro le reti. Condividiamo difficoltà e conquiste. Prima di ripartire ci dicono: ci avete ridato la speranza. Nei giorni seguenti il viaggio procede con la visita ad altri quattro campi profughi a Padang Kasab, Belang Lancang, Lancang e Ulee Kareung. Ciò che ci colpisce di più è il loro senso di fraternità. Quando spieghiamo che non possiamo dare tutto quello di cui ci sarebbe bisogno, perché dobbiamo darne anche ad altri rifugiati, ci capiscono, e colgono – ci sembra – il motivo profondo per cui siamo lì insieme a loro: dare espressione concreta alla fratellanza universale. La tappa successiva è Lampuuk, il luogo individuato per installare la falegnameria per costruire le barche e fissare una base d’appoggio nei prossimi mesi di attività. La chiesa locale offre la sua collaborazione e ospitalità, ma non è possibile restare a lungo presso la parrocchia. Lambok va a parlare con una persona che ha una casa libera e quando torna comunica a tutti la sua sorpresa: Non vuole niente per l’affitto. E pensare che dopo lo tsunami gli affitti nella zona sono aumentati anche di cinque volte! Ci sono delle difficoltà per procurarsi il legno in loco e così si decide di rientrare a Medan insieme con il leader dei pescatori di cinque villaggi. I suoi amici intanto cominceranno a riparare cinque barche solo semidistrutte… Visitiamo le zone vicine. Si aprono nuovi scenari. Il nostro amico ci racconta che dove stiamo passando c’era un villaggio di settemila persone, ora ce ne sono solo sette. Continuano nel frattempo i contatti con la popolazione e si viene a conoscere la situazione di un gruppo di vedove, che non hanno più nessuna fonte di sostentamento. Con loro si decide di avviare un nuovo business: preparare cibo locale e venderlo. Le aiutiamo ad avviare l’attività comprando le attrezzature adatte. A Lampuuk la scuola elementare è stata distrutta e i bambini devono fare a piedi tre chilometri di strada per rag- giungere la più vicina. Oltre alle reti sono state così consegnate 39 biciclette, insieme a scarpe e materiale scolastico.
THAILANDIA.
Ogni giorno il parroco di Phuket, un religioso stimmatino, va a visitare le vittime dello tsunami con la sua équipe di quattro laici. Vanno casa per casa chiedendo come va, cosa possono fare per loro… In questi mesi ha potuto aiutare oltre settecento situazioni: bisogni piccoli e grandi come dare da mangiare, offrire una borsa di studio, fino a cercare le barche per i pescatori. Si occupa anche dei morgan (gli zingari del mare) e li aiuta a trovare un posto per costruire la casa. Ci sono infatti persone che vogliono comprare i terreni vicino al mare e fanno di tutto per cacciare via i morgan. Il parroco li ha accompagnati passo per passo come un amico e un fratello. Lo stiamo aiutando – ci scrivono – ad acquistare barche di seconda mano per i pescatori, a ripararne altre o a sistemarne i motori. Nella provincia di Phanga invece la collaborazione è stata avviata con le suore salesiane. I due campi di fortuna gestiti dalla chiesa sono ancora affollati di profughi senza nessuna sistemazione definitiva in vista. Un primo aiuto va al sostentamento di quelli alloggiati provvisoriamente in questi due campi. Tra il personale che vi lavora ci sono da tre mesi due seminaristi del movimento, e uno di loro si è messo d’accordo con i suoi superiori per sospendere il suo studio presso il seminario e fare un anno intero di servizio con le vittime dello tsunami. Anche una ragazza del movimento, assieme ai suoi compagni di università, ha lavorato lì per qualche settimana. Le suore hanno individuato una cinquantina di famiglie in necessità per rifare o riparare la loro casa, costruire pozzi per l’acqua. Si tratta di famiglie che non ricevono aiuto da nessuna par- sette costa circa tremila euro, ma giacché tutti nel villaggio si aiutano concretamente, il costo effettivo si aggira introno a duemila euro. Finora sono state aiutate una decina di famiglie. Anche qui, come a Phuket, è prezioso l’aiuto che viene dato per costruire o riparare le barche.
INDIA.
Andrea è una giovane indiana, che insieme ad altri dei Focolari, si era data da fare a Madras nei primi giorni dopo lo tsunami. Era stata anche l’occasione per individuare alcune necessità per i pescatori conosciuti e per i loro bambini. Kovalam è una località della periferia di Madras – ci racconta – formata da un insieme di molti piccoli villaggi, dove seicento famiglie sono state seriamente colpite dal maremoto. È conosciuta per una vecchia moschea, i musulmani infatti ritengono che vi abbia abitato uno dei primi discepoli di Mohammed. Vi è anche una chiesa di duecento anni fa, dedicata a Nostra Signora del Monte Carmelo e costruita da un mercante portoghese, un uomo di profonda fede cristiana che ha condiviso il suo benessere con i poveri del villaggio. Andrea aveva affidato alla gente del posto la realizzazione di alcune centinaia di reti da pesca e di quasi quattrocento divise per i bambini. In prima fila negli aiuti ci sono i giovani stessi del villaggio che si sono costituiti in associazione e stanno coordinando le varie attività. Col loro aiuto Andrea può spiegare che questa azione è il frutto della collaborazione di famiglie, giovani, bambini, anziani che vogliono costruire in questo modo la fraternità con tutti loro. Alcuni pescatori si avvicinano e la invitano a pregare insieme a loro e a ringraziare Dio per quello che è avvenuto. Ci inginocchiamo in chiesa e desiderano mettere davanti all’altare uno dei pacchi con le reti come offerta simbolica. Mi colpisce la loro fede semplice e profonda allo stesso tempo . Si avvicinano alcune donne e si rivolgono a Andrea: Tu sei diversa da altri che sono venuti e che – portando gli aiuti – desideravano avere dei cartelloni pubblicitari, si aspettavano delle ghirlande… Tu sei venuta senza tutto ciò, sei venuta, e sei diventata una di noi. Forse è questo il frutto più importante di quanto si sta facendo in Indonesia, Thailandia, India, Sri Lanka, la condivisione porta alla fraternità. di Marco Aquini (Città Nuova, N.10/2005) (altro…)
Mar 23, 2005 | Spiritualità
Ogni anno ci sentiamo avvolti in un’atmosfera speciale. E non può essere che così, perché in questi giorni ricordiamo e riviviamo, condensati, molti misteri della nostra fede. Sono questi, infatti, i giorni dell’amore, perché è tutto amore ciò di cui si fa memoria.
Giovedì Santo
Amore il sacerdozio che possiede un carattere ministeriale, e cioè di servizio e quindi d’amore concreto. Amore l’Eucarestia nella quale Gesù ci ha dato tutto se stesso. Amore l’unità, effetto dell’amore, che Gesù ha invocato dal Padre: “Che tutti siano uno come io e te”. Amore quel comando che Gesù serbò in cuore tutta la vita, per rivelarlo il giorno prima di morire: “Come io vi ho amato, così amatevi anche voi. Da questo tutti conosceranno che siete miei discepoli, se vi amerete a vicenda”. Non possiamo passare questo giorno senza un attimo di raccoglimento, nel quale diciamo a Gesù tutta l’adesione della nostra anima a quel comando che chiamò “mio” e “nuovo”. Un comando che non ha lasciato senza spiegazione, quando ha soggiunto: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”.
Venerdì Santo
E’ proprio con la morte in Croce, il venerdì santo, che Gesù ci imparte l’altissima, divina, eroica lezione su cosa sia l’amore. Aveva dato tutto: una vita accanto a Maria nei disagi e nell’obbedienza. Tre anni di predicazione rivelando la Verità, testimoniando il Padre, promettendo lo Spirito Santo e facendo ogni sorta di miracoli d’amore. Tre ore di croce, dalla quale dà il perdono ai carnefici, apre il Paradiso al ladrone, dona a noi la Madre e, finalmente, il suo Corpo e il suo Sangue. Gli rimaneva la divinità. La sua unione col Padre, che l’aveva fatto tanto potente in terra, quale figlio di Dio, e tanto regale in croce, doveva non farsi più sentire, disunirlo in qualche modo da Colui che Egli aveva detto di essere uno con Lui: “Io e il Padre siamo uno” (Gv. 10,30). In Lui l’amore era annientato, la luce spenta, la sapienza taceva. Eravamo staccati dal Padre. Era necessario che il Figlio, nel quale noi tutti ci ritrovavamo, provasse il distacco dal Padre. Doveva sperimentare l’abbandono di Dio, perché noi non fossimo mai più abbandonati. Gesù ha saputo superare tale immensa prova riabbandonandosi al Padre – “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46) – ed ha così ricomposto l’unità spezzata degli uomini con Dio e fra loro. Si manifesta a noi ora come rimedio ad ogni disunità, come chiave dell’unità. Tocca ora a noi corrispondere a questa grazia e fare la nostra parte. Poiché Gesù s’è ricoperto di tutti i nostri mali, noi possiamo scoprire dietro ad ogni dolore, ad ogni separazione, lui stesso, un suo volto. Possiamo abbracciare lui in quelle sofferenze, in quelle divisioni, e dirgli il nostro sì come ha fatto lui, rimettendoci alla volontà del Padre. E Lui vivrà in noi – forse ancora doloranti – come Risorto; lo starà a dimostrare la pace che tornerà in noi.
Pasqua di Resurrezione
Gesù è fedele alla sua promessa: “dove due o tre sono riuniti nel mio nome, cioè nel mio amore, io sono in mezzo a loro.” Sì, dove due o più sono uniti nel suo amore si fa presente il Risorto, che porta con sé i doni dello Spirito: luce, gioia, pace, amore. E’ l’esperienza fatta con stupore sin dagli inizi quando a Trento, durante il secondo conflitto mondiale, con le mie prime compagne, avevamo fatto nostro quel comando: “amatevi come io ho amato voi” e avevamo stretto un patto: “io sono pronta a morire per te; io per te …”. Ed è proprio il Risorto che il mondo attende oggi! Attende testimoni che possano dire a tutti in verità: l’abbiamo visto con i sensi dell’anima; l’abbiamo scoperto nella luce con cui ci ha illuminato; l’abbiamo toccato nella pace che ci ha infuso; abbiamo sentito la sua voce in fondo al cuore; abbiamo gustato la sua gioia inconfondibile. Potremmo così assicurare a tutti che Lui è la felicità più piena e far risperare il mondo. Chiara Lubich (altro…)
Mar 22, 2005 | Sociale
Dal vuoto legislativo in materia di procreazione assistita, alla regolamentazione
Il Parlamento italiano, agli inizi del 2004, ha varato una legge che regola la materia della fecondazione artificiale. Dal 1984, vari governi, di diversi orientamenti politici, avevano incaricato commissioni di scienziati per l’approfondimento del problema. La legge viene varata grazie al voto trasversale di parlamentari di schieramenti opposti, col nome di “Legge 40/2004: Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”.
Il principio ispiratore della legge
Tutelare i diritti di tutti i soggetti coinvolti, in particolare quelli del concepito; arginare l’uso indiscriminato delle tecniche di procreazione artificiale che portano ad eccessi come il fenomeno delle mamme-nonne, degli embrioni congelati, degli uteri in affitto, delle tecniche eugenetiche. A pochi mesi dall’entrata in vigore della legge, sono stati proposti dei referendum per modificare quelle indicazioni che sono viste come divieti.
Un Comitato in difesa della legge
“Scienza & Vita” è il nome programmatico del Comitato, la cui nascita in Italia è stata annunciata alla stampa sabato 19 febbraio 2005. Vi aderiscono 120 personalità del mondo scientifico, culturale, politico e associativo, ma è aperto ad ulteriori adesioni. Il Comitato giudica la legge 40 sulla fecondazione assistita un risultato importante, che finalmente ha fissato delle regole per i laboratori che operano nel campo molto delicato della fecondazione umana. Sostiene che non si tratta di una legge perfetta, ma che tuttavia essa pone fine al cosiddetto «far west procreativo», assicurando ad ogni figlio le garanzie di una vita umana e la protezione di una vera famiglia, e che non è un referendum lo strumento adeguato a modificarla. Del Comitato Scienza & Vita fanno parte anche due membri dei Focolari: il prof. Antonio Maria Baggio, docente di Etica sociale e Filosofia politica presso la Pontificia Università Gregoriana, e la dott. Daniela Notarfonso Cefaloni, medico, esperta in bioetica e in lavoro nei consultori.
Dossier informativo: “Per la democrazia e la vita”
Il dossier è pubblicato sul n. 3 della rivista Città Nuova del 10 febbraio, dedicato alla procreazione artificiale e ai referendum che vogliono modificare l’attuale legge 40. Nel dossier sono indicati:
- I contenuti della legge 40/2004: “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”
- Che cosa dicono i referendum
- Referendum:i perché di una scelta.
- Piccola guida della procreazione artificiale: Fecondazione artificiale omologa; fecondazione artificiale eterologa; embrioni, cellule staminali, clonazione.
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Mar 21, 2005 | Famiglie
Il Familyfest 2005 sarà presentato in Conferenza Stampa giovedì 14.4.2005, ore 12:00 nella Sala degli Arazzi della RAI, in Viale Mazzini 14 – Roma Questo evento mondiale è formato da una rete di 193 meeting, in altrettante città e capitali di 78 Paesi nei 5 continenti, rivolto alle famiglie di ogni Paese, cultura, razza e religione. Previsti oltre 150.000 partecipanti. Collegamenti interattivi con i Familyfest: Tokyo (Giappone), Teheran (Iran), Algeri (Algeria), San Paolo (Brasile), Manila (Filippine), Johannesburg (Sudafrica), Krasnojarsk (Siberia), Toronto (Canada), Zagabria (Croazia). La diretta sarà ripresa da 40 emittenti nazionali di 39 Paesi, grazie a Telespazio, Eutelsat, CRC/Canada. Promosso da Famiglie Nuove, diramazione dei Focolari, l’evento vede l’adesione di movimenti, associazioni, istituzioni civili e religiose di varie fedi. Il logo Un’unica linea stilizzata tratteggia un germoglio con tre foglie in cui si profila una colomba: la famiglia, la prima forma sociale che si apre per far nascere e sviluppare tutta la società nella fraternità e nella pace. Perché il titolo: “Familyfest… al Papa della famiglia”? Il Familyfest: un evento preparato da tempo. Dopo la scomparsa del Papa, è venuto spontaneo dedicargli questo happening sul modello di famiglia da lui sognata e proposta. Il programma farà rivivere alcuni dei momenti forti vissuti con Giovanni Paolo II dalle famiglie di tutto il mondo. L’obiettivo Il Familyfest vuole rendere visibile un tipo di famiglia che crede nei valori e diviene cellula base di una società rinnovata. Il programma Storie di famiglie: dal fidanzamento al matrimonio, dai momenti di crisi all’apertura ad adozioni difficili. Sul fronte della pace: la testimonianza di due madri una israeliana e una palestinese. Momenti di riflessione, commenti di esperti, brevi interventi di vip e di volti noti dello spettacolo. Dai collegamenti in diretta con Tokyo, con Algeri e con Teheran verrà in rilievo l’apertura interreligiosa con saluto e testimonianze di famiglie buddiste e musulmane. Numeri artistici e di folclore introdurranno le dimensioni della poesia, della bellezza, del gioco, componenti tipiche della famiglia. Intervento conclusivo di Chiara Lubich, presidente e fondatrice dei Focolari. Solidarietà – Progetto: ”Una famiglia, una casa” – Verrà lanciato in diretta dall’Ultrastadion di Manila. Il progetto, nato dalle famiglie dei quartieri più diseredati della metropoli filippina, si estende ora anche a Thailandia e Sri Lanka colpite dallo Tsunami e alle periferie di Cochabamba in Bolivia. I contributi possono essere versati: sul c/c bancario 888885 intestato a Associazione Azione per Famiglie Nuove presso Banca Intesa: CIN T ABI 03069 CAB 05092. Dal 15 al 22 aprile è possibile inviare dal proprio cellulare SMS da 1€ al numero 46211 per i clienti WIND e al numero 44770 per i clienti TIM. (altro…)
Mar 20, 2005 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Sociale
Un gruppo di giovani del Movimento dei Focolari, fra cui alcuni europei e alcuni indonesiani, da Singapore si sono recati in viaggio nella provincia di Aceh, nel nord di Sumatra, Indonesia. Riportiamo alcuni stralci del loro diario di viaggio: Obiettivo del nostro viaggio è verificare di persona le necessità di queste zone colpite e capire cosa possiamo fare concretamente, come Movimento dei Focolari, sul posto, per le vittime del maremoto. E’ stata un’esperienza indelebile, in cui siamo andati per dare ed abbiamo ricevuto molto di più. Tornando, qualcuno ci ha detto di veder tornare persone come da un pellegrinaggio in un luogo sacro. Il nostro è un gruppo variegato: asiatici, di Singapore e della stessa Indonesia, e anche qualche europeo, cristiani, musulmani e senza un riferimento religioso. Insieme ci siamo recati in Indonesia, mosaico di culture.
La nipote del re
Ad Aceh, al nostro gruppetto si aggiunge una coppia del posto – lei indonesiana, lui inglese – che ci fa da guida. Il nonno di lei è stato l’ultimo re di Sigli, nella regione est di Aceh. La loro partecipazione nel gruppo è provvidenziale, perché ci aprono tante porte. A., da noi chiamata affettuosamente “principessa” – la nipote del re – durante il viaggio ci racconta della sua famiglia: “Fino a metà del secolo scorso Aceh ha avuto vari sultanati o regni. Mio nonno ne governava uno: era il “Raja” (re) di Sigli, ed è stato assassinato nel 1950 quando l’Indonesia ha acquistato l’indipendenza dagli olandesi, formando un’unica nazione con le 16.000 isole dell’arcipelago”. Da allora si è formato un gruppo armato, il GAM (Movimento per Aceh Libera), che attraverso continue azioni di guerriglia combatte per l’indipendenza del paese. I frequenti scontri fra l’esercito regolare indonesiano e il gruppo di guerriglia armata crea insicurezza e tensione nel popolo, che fuori di questa regione è più sconosciuto che amato, più oggetto di pregiudizi che del sentimento di comune nazionalità, e Aceh è vista come una zona pericolosa. Dopo questo viaggio abbiamo scoperto gli abitanti di Aceh come veri fratelli, pieni di ricchezza spirituale.
Un incontro col dolore e con la vita
Incontriamo tantissima gente: bambini, religiosi, insegnanti, poliziotti, la gente nelle tendopoli dove sono rifugiate centinaia e centinaia di famiglie, i pescatori – la categoria più colpita, avendo lo tsunami distrutto sia le barche che le reti. Ascoltiamo le loro storie di vita e le loro necessità: ci viene un senso di sgomento di fronte a così tanto dolore e a così tanti bisogni. Ma andiamo avanti, con pace. Ci ricordiamo che è Gesù nei fratelli a dirci: “Avevo bisogno di una barca e di reti per poter vivere e tu me le hai procurate…”. Ci sorprende la generosità della gente, che sa dimenticare il proprio dolore per pensare a noi, stranieri sconosciuti: un ragazzo, con la sua spada, taglia dall’albero un frutto di cocco per ciascuno, e ci offre da bere la squisita bevanda.
Piangere insieme
Nel villaggio Kampung Cina abbiamo incontrato una giovane signora musulmana che proprio in quel momento era andata a vedere la sua casa per la prima volta dopo il disastro. Era rasa al suolo: aveva perso il marito e 8 figli! Ci ha raccontato piangendo che, mentre scappava tenendo in braccio il più piccolo di pochi mesi, ad un tratto ha visto altri due suoi bambini in pericolo ed è tornata indietro a soccorrerli. Ma in quel momento ha sentito le grida del piccino che le era sfuggito di mano travolto dall’acqua. Un’altra altissima onda è arrivata trascinando via i due figli. In questo vortice d’acqua ha perso i sensi e si è risvegliata sopra una palma da cocco. Siamo rimasti impietriti ad ascoltarla: era impossibile dirle almeno la pur minima parola. Non sapendo che altro fare, come consolarla, l’abbiamo abbracciata e abbiamo pianto con lei. Quando entriamo nella parte della città più colpita dallo tsunami e nei villaggi attorno troviamo una totale desolazione! Case svuotate di tutto per la violenza dell’acqua, la maggioranza distrutte e con montagne di macerie sopra, dove si stanno ancora raccogliendo i corpi delle vittime. Nell’impossibilità di esumare i corpi, mettono sopra una bandiera, una per ogni corpo che si pensa sia sepolto lì, in una sorta di improvvisato funerale per rispetto a quelle vite che non vanno dimenticate. Lungo la strada che porta al centro della città, a circa 3 km dal mare, due grandi navi (di 350 tonnellate ciascuna) sono addossate ad un hotel. Resteranno lì come monumento, a ricordo di questa grande tragedia. Ma il dolore più intenso è vedere la punta estrema di Banda Aceh, dove la furia del mare si è riversata con tutta la sua potenza, colpendo in tutte le direzioni e distruggendo tutto. E’ una specie di penisola stretta, con mare da tutte le parti. Solo il pavimento di quelle abitazioni è rimasto, insieme ad un cumulo di macerie. Nessun segno di vita. Abbiamo percorso due ore di macchina nel più grande silenzio, ammutoliti dallo sgomento. Forse era anche preghiera, meditazione, condivisione di una sofferenza che grida solo “perché”. Abbiamo riconosciuto un volto di Gesù Abbandonato sulla croce – Egli che ha assunto tutti i dolori, le divisioni, i traumi dell’umanità -, e allora anche la certezza, pur nel mistero, del Suo Amore personale per ciascuno.
Rimboccarsi le maniche
Cerchiamo di darci da fare: uno di noi lavora in una ditta che commercializza reti da pesca. Possiamo interessarci concretamente al problema. Facciamo i calcoli: quante reti, quanto filo monofilamento, quanto legno per costruire le barche, possibilmente con il motore, quante biciclette per permettere ai bambini di andare a scuola, quanto materiale scolastico, quanti soldi servono. Adesso tornando potremo organizzare la distribuzione degli aiuti raccolti, conoscendo una per una le necessità e i volti delle persone che vi stanno dietro (abbiamo incontrato 953 pescatori). Ci sembra di aver costruito una famiglia con tutti, cristiani e non. Ed è solo l’inizio! La nostra impressione è quella di aver assistito ai miracoli operati dalla solidarietà che questo tsunami ha provocato in tutto il mondo. Si constata la generosità di gruppi, ong, congregazioni… e c’è posto per tutti! Il motto sullo stemma nazionale dell’Indonesia è: “Unità nella diversità”. Ci sembra che questo immenso Paese, dopo la terribile prova, sia più vicino all’unità. (altro…)
Mar 5, 2005 | Chiesa
Una solenne concelebrazione eucaristica per invocare la completa guarigione del Papa è stata officiata da 90 Vescovi, amici dei Focolari, provenienti da 47 Paesi dei 5 continenti, riuniti a Castelgandolfo per il loro annuale Convegno spirituale. La notizia del nuovo ricovero del Papa, che ha suscitato sorpresa e trepidazione, è giunta poco prima della conclusione dell’incontro, iniziato il 19 febbraio. Prima di partire, i Vescovi hanno inviato al Santo Padre un messaggio di gratitudine e di assicurazione di preghiere per il suo pronto ristabilimento: “Uniti con tutta la Chiesa chiediamo per Lei specialissime grazie”. I Vescovi esprimono al Papa profonda gratitudine “per il luminoso esempio di fede e di amore con cui affronta questa nuova prova e per il suo ministero che è tutto dono!”. Una nota saliente del Convegno è stata proprio lo scambio di messaggi con il Papa. Inattesa una sua lettera autografa, giunta in apertura dell’incontro, indirizzata al Card. Miloslav Vlk. “Davvero, Lei è colui che ‘più ama’ e ‘conferma i fratelli’”, gli hanno scritto in risposta i Vescovi. Giovanni Paolo II, nel suo messaggio, aveva indirizzato un pensiero speciale a Chiara Lubich, esprimendole la sua riconoscenza
per la “testimonianza evangelica che il Movimento rende in tante parti del mondo”. Richiamandosi al tema dell’incontro, aveva incoraggiato i Vescovi a “testimoniare nell’odierna società la presenza di Cristo risorto, centro della Chiesa” e “principio vitale” che non può non suscitare una “rinnovata vitalità apostolica” e una “audacia missionaria” rispondenti alle sfide dei nostri tempi. Aveva quindi invitato i partecipanti ad essere “segni eloquenti” dell’amore del Signore crocifisso e risorto, presente nel sacramento dell’Eucaristia, e “artefici della sua pace in ogni ambiente”. Chiara Lubich, nel suo intervento letto da Natalia Dallapiccola, una delle sue prime compagne, ha sottolineato che “Gesù risorto non è una presenza statica”, ma agisce essendo “principio unificante e quindi attivo: l’amore”. “Ma ciò – ha aggiunto – richiede la risposta dell’uomo”. “Ogni divisione nella comunità altera l’identità profonda della Chiesa. Ecco perché la Chiesa non è, a volte, amata”. “E’ la reciprocità, la comunione, che rende ‘visibile’ il Signore”. Toccanti le testimonianze dei Vescovi di vari Paesi: esperienze di fecondità evangelizzatrice, di riappacificazione tra etnie diverse e tra politici in terre ferite da conflitti, come in Burundi e Centroamerica. Non sono mancate testimonianze di Vescovi, sacerdoti e laici sulla “rinnovata vitalità apostolica” suscitata dalla presenza del Risorto, nel dialogo ecumenico e interreligioso e nel campo politico e sociale. (altro…)
Mar 5, 2005 | Chiesa
La notizia del ricovero del Papa, che ha suscitato sorpresa e trepidazione, è giunta poco prima della conclusione del 29° Convegno spirituale di Vescovi amici del Movimento dei Focolari riuniti al Centro Mariapoli di Castel Gandolfo dal 19 al 25 febbraio 2005. Prima di partire hanno inviato al Papa il seguente messaggio: Santo Padre carissimo, prima di ripartire da Castelgandolfo, vogliamo farle giungere un calorosissimo saluto assieme ai più vivi auguri di una pronta ripresa. Uniti con tutta la Chiesa, in incessante preghiera, assieme a Maria Santissima chiediamo per Lei specialissime grazie e il conforto dello Spirito Consolatore. Grazie, Santo Padre, per il luminoso esempio di fede e di amore con cui affronta questa nuova prova. Grazie per il Suo ministero che è tutto dono!”. Una nota saliente di questi giorni è stato proprio lo scambio di messaggi con il Papa. Una sua lettera autografa, inattesa in questi giorni di infermità, indirizzata al Card. Miloslav Vlk, promotore dell’incontro, ha dato un’intonazione forte ed incisiva al Convegno. “Davvero, Lei è colui che ‘più ama’ e ‘conferma i fratelli’”, hanno scritto in risposta i Vescovi. Giovanni Paolo II aveva indirizzato un pensiero speciale a Chiara Lubich, esprimendole la sua “riconoscenza per la testimonianza evangelica che il Movimento rende in tante parti del mondo”. Riferendosi al tema del Convegno – “La presenza del Risorto in mezzo al suo popolo: principio vitale della Chiesa del terzo millennio” – il Papa ha incoraggiato i Vescovi a “testimoniare nell’odierna società la presenza di Cristo risorto, centro della Chiesa” e si è detto convinto che da un’adunanza basata su questo “principio vitale” non può non sorgere una “rinnovata vitalità apostolica” e una “audacia missionaria” rispondenti alle sfide dei nostri tempi. Ha quindi invitato i partecipanti ad essere “segni eloquenti” dell’amore del Signore crocifisso e risorto, presente nel sacramento dell’Eucaristia, e “artefici della sua pace in ogni ambiente”. Riprendendo l’appello del Papa, gli interventi dei Vescovi che hanno trascorso insieme giorni di intensa fraternità, hanno dato voce alle numerose sofferenze dell’umanità: guerre, fame, malattie, situazioni politiche ed economiche precarie; ma nello stesso tempo hanno trasmesso una fede ancora più grande nell’agire di Dio che spinge ad un’azione decisa ed illuminata. Così, il Vescovo Simon Ntamwana del Burundi ha raccontato di come l’episcopato del Paese si adopera per creare fra la gente, dopo gli anni difficili che ha vissuto il Paese, una cultura di pace e di riconciliazione. Un Vescovo del Centroamerica, sostenuto da quanto aveva sperimentato nel Convegno dell’anno scorso, ha comunicato come, a partire dalla spiritualità di comunione, è riuscito a svolgere una sorprendente funzione di riappacificatore fra i politici. Un Vescovo della Tanzania, Desiderius Rwoma, ha parlato della diffusione del Vangelo attraverso la costituzione di piccole comunità cristiane, formate spiritualmente, che cominciano ad attirare numerose persone ancor lontane dal cristianesimo. Approfondendo la promessa di Gesù di farsi presente là “dove due o tre sono uniti” nel suo nome (cf. Mt 18,20), Chiara Lubich nel suo intervento – letto da Natalia Dallapiccola, una delle sue prime compagne – ha sottolineato: “Gesù risorto non è una presenza statica”, ma agisce essendo “principio unificante, e quindi attivo: l’amore”. “Ma ciò – ha aggiunto – richiede la risposta dell’uomo”. “Ogni divisione nella comunità è perciò contro natura” anzi, “per essa viene alterata l’identità profonda della comunità che è Cristo presente… Ecco perché la Chiesa non è, a volte, amata”. Occorre pertanto portare i rapporti fra i credenti sempre più “alla reciprocità, alla comunione, che rende ‘visibile’ il Signore”. Consci dell’odierna situazione mondiale, i Vescovi presenti si sono mostrati profondamente sensibili a queste affermazioni che nei giorni successivi si sono approfondite attraverso una serie di riflessioni culturali: del filosofo Giuseppe Maria Zanghì sulla svolta epocale in atto e su sviluppi del dialogo accademico con indù e buddisti; dei due teologi Hubertus Blaumeiser e Brendan Leahy su aspetti di una comprensione della Chiesa che ponga al centro la presenza del Risorto in mezzo ai suoi; della sociologa brasiliana Vera Araujo sulla persona nella società globale. A questi contributi di riflessione hanno fatto da riscontro testimonianze di Vescovi, sacerdoti e laici sulla “rinnovata vitalità apostolica” suscitata dalla presenza del Risorto. La dimensione ecumenica è stata aperta con esperienze sul dialogo della vita tra Vescovi di diverse Chiese e sul cammino di comunione tra movimenti e comunità, reso visibile a Stoccarda nella grande manifestazione del maggio scorso “Insieme per l’Europa”, sulla quale è intervenuto il pastore evangelico Friedrich Aschoff. La dimensione politica è stata illustrata da Lucia Crepaz, presidente del “Movimento politico per l’unità”, che, a partire dall’esperienza ormai decennale di questo Movimento, ha tracciato l’identikit di un’azione politica che s’ intende come servizio alla società e, scegliendo come metodo il dialogo, sa fare senza preclusione “rete fra le diversità”. Particolare interesse, in questo momento di forte crisi dell’istituto famigliare, ha suscitato l’annuncio del “Familyfest” del 16 aprile prossimo, da parte di Annamaria e Danilo Zanzucchi, responsabili del Movimento Famiglie Nuove dei Focolari, volto a dare visibilità alla realtà della famiglia secondo il disegno di Dio e sullo sfondo delle sfide attuali. Molti Vescovi hanno espresso il loro desiderio di cooperare alla realizzazione dei Familyfest che si svolgeranno nelle loro nazioni. Ne sono previsti infatti 120 in tutto il mondo, collegati in diretta televisiva con Roma. “Ho avvertito qui un Vangelo fresco”, ha dichiarato al momento delle conclusioni uno dei 20 partecipanti dell’Africa presenti, il Vescovo Jean Ntagwarara del Burundi. Ed esprimendo una convinzione condivisa da numerosi suoi confratelli: “Vivere la spiritualità di comunione è il rimedio che può guarire le tante ferite del nostro popolo”. E così si è espresso il vescovo Giovanni Dettori della Sardegna: “Questa unità mi dà forza: si sperimenta che siamo un cuor solo e un’anima sola”. La constatazione più frequente dei partecipanti era infatti quella di aver sperimentato nei giorni del Convegno “Gesù vivo”, non solo quello di 2000 anni fa, ma il Gesù che ancora oggi tocca i cuori e muove menti e braccia ad agire in un modo conforme al suo Vangelo e ad esprimere il dono del suo amore fra gli uomini. Momenti particolarmente intensi, nel contesto di quest’anno dedicato all’Eucaristia, sono state le concelebrazioni animate di giorno in giorno dai Vescovi di un Continente diverso con elementi caratteristici della loro cultura. (altro…)
Mar 4, 2005 | Cultura
Da quasi vent’anni lavoro come Operatore Sociale nel campo delle tossicodipendenze. Attualmente mi occupo di soggetti in doppia diagnosi e sto collaborando ad un progetto di ricerca destinato a stabilire criteri di revisione empirica dei risultati per le comunità terapeutiche. La mia attività professionale è iniziata quasi per caso (mi stavo laureando in matematica), dopo aver sperimentato, in alcune attività di volontariato, che applicando in modo molto semplice alcune tra le intuizioni di Chiara Lubich sul modo di amare il prossimo, riuscivo ad entrare profondamente in rapporto con questi ragazzi. Era motivo di interesse anche per me il constatare come il loro percorso terapeutico ed educativo ne fosse arricchito in modo significativo. In capo ad alcuni anni, i frutti di questo lavoro hanno iniziato ad essere degni di attenzione e dentro di me si è sviluppata la convinzione che ciò non poteva essere un caso; doveva necessariamente esserci una precisa relazione di causa ed effetto che giustificasse i risultati che stavano emergendo. Avevo l’impressione di essermi imbattuto in qualche modo in una novità dalle potenzialità significative. Ho sentito quindi l’esigenza di approfondire ciò che stava accadendo e cercare di tradurlo in un modello teorico ben strutturato e quindi in opportune strategie d’intervento.
Come mettersi in relazione con l’altro
In questi anni le riflessioni in tal senso sono state molte, ma forse il concetto sociologico che mi è stato più utile in questo lavoro di ricerca, è stato quello di empatia. Il sociologo Achille Ardigò, per esempio, la descrive come la capacità di un attore sociale di mettersi intenzionalmente di fronte ad un altro uomo per fare un’esperienza di relazione. Il rendersi conto, cioè, di ciò che l’altro vive in profondità, non commisurandolo con la propria esperienza e non riducendolo a propri schemi ma riconoscendolo nella sua alterità. L’empatia non è vista quindi come un atto mentale ma come un’esperienza attraverso cui l’attore sociale va oltre il mondo di vita quotidiano e si apre ad altre esperienze, anche di rapporto con altre persone. Carl Rogers, uno tra gli autori che più hanno contribuito all’approfondimento del termine, la descrive come la “capacità di vivere momentaneamente la vita dell’altro”. Nel ‘59 egli afferma che ciò significa: “il percepire la cornice interna di riferimento dell’altra persona con accuratezza, con la componente emozionale e con i significati che le appartengono e per di più come se uno fosse l’altra persona”. E’ quasi impossibile non rilevare evidenti similitudini tra l’empatia così come l’abbiamo definita e ciò che Chiara Lubich, nell’esplicarsi del suo pensiero spirituale ha chiamato “Farsi Uno”, idea fondamentale nella relazione di reciprocità così come lei l’ha intuita. Si tratta di un’espressione già presente in alcuni autori, in particolare della scuola fenomenologica, ma che in questo contesto si arricchisce di nuovi significati. Ho scelto alcuni tra i tanti passi in cui lei descrive questo concetto e la “tecnica” per viverlo in modo efficace: “Amare “come sé” l’altro, l’altro sono io. E lo amo come me: ha fame, sono io che ho fame; ha sete, sono io che ho sete; è privo di consiglio, ne sono privo io.” Oppure: “Occorre fermarsi e sentire con il fratello: farsi uno finché ci si addossa il suo peso doloroso o si porta assieme quello gioioso…. Questo farsi uno esige la continua morte di noi stessi.” Ancora: “Farsi uno con ogni persona che incontriamo: condividere i suoi sentimenti; portare i suoi pesi; sentire in noi i suoi problemi e risolverli come cosa nostra fatta uno dall’amore…” “Nel farsi uno occorre essere totalmente e per tutto il tempo staccati da sé. C’è infatti – noi lo sappiamo – chi per attaccamento a sé o a qualcos’altro non ascolta fino in fondo il fratello, non muore tutto nel fratello e vuol dare risposte raccolte via via nella sua testa…” Questo discorso, può essere esteso con molta facilità a quelle che Roger e la sua scuola hanno chiamato “tecniche di comprensione empatica” che tuttora sono molto attuali nel counseling e vengono utilizzate da molti operatori del sociale. Per descriverle esaurientemente occorrerebbe molto tempo; metteremo in luce solo alcune caratteristiche essenziali. La comprensione empatica, si fonda su tre presupposti fondamentali che sono l’empatia, la congruenza (o coerenza interiore del terapeuta) e l’accettazione positiva dell’altro, presupposti che sono non solo presentissimi, ma addirittura indispensabili per chiunque voglia farsi uno col suo prossimo. L’approccio Rogersiano, inoltre, si avvale di tutta una serie di atteggiamenti non verbali che servono a mettere a proprio agio la persona che si ha davanti, tranquillizzarla e “farla sentire importante” (la postura, lo sguardo, il silenzio interiore per far posto all’altro…) che, come abbiamo appena letto, sono indispensabili e particolarmente evidenti in chiunque si stia “facendo uno ”. Si potrebbe continuare a lungo…
Rimuovere il primato dell’Io
Non si può, però, non mettere in luce una profonda e fondamentale differenza, e cioè quella necessaria “morte del proprio io” che Chiara Lubich ripete ogni volta descrivendola come passaggio obbligato e indispensabile. Si sviluppa in questo modo una visione per così dire alterocentrica che non si accontenta del semplice atto di mettersi nei panni dell’altro ma richiede una rivoluzionaria operazione di autoannullamento; si fonda, penso per la prima volta, la relazione con l’alter rimuovendo il primato dell’io. Molti dei moderni approcci nel sociale insistono sull’idea di reciprocità che di conseguenza rischia di essere un po’ inflazionata, ma penso di poter affermare che nessuno di essi si avvicina ad un concetto di reciprocità così puro e così profondo. A mio avviso, però, non bisogna assolutamente fare l’errore di considerare queste riflessioni dal punto di vista puramente speculativo in quanto esse posseggono un campo d’applicazione infinito nella pratica quotidiana e, a maggior ragione nell’agire di un operatore sociale. Nel mio caso, per esempio, hanno permesso di modificare integralmente il mio modo di condurre colloqui aiutandomi a sviluppare tecniche molto efficaci e di facile applicazione. Ho sperimentato più volte che l’atto di rimozione del proprio sé, che abbiamo appena descritto, permette all’individuo che si ha davanti di donarsi perché trova in chi lo sta accogliendo un vuoto da riempire. Così facendo la persona che ha bisogno di aiuto perde, per così dire, la posizione subordinata rispetto a chi la sta accogliendo, si sente di nuovo protagonista del proprio agire e ciò può aiutarla a mettere da parte le sue diffidenze e i suoi meccanismi di difesa per aprirsi in modo spontaneo e più profondo. Molto spesso, persone chiuse e difese, di fronte a questo vuoto posto in essere per amore, si sono, per così dire, “sciolte” e sono riuscite ad aprirsi. Mi sembra importante aggiungere che un siffatto modo di operare non sminuisce la figura di sostegno rappresentata dal terapeuta, anzi, attraverso questo agire comunicativo di grande efficacia, la rafforza in quanto l’annullamento di sé per amore non è uno scomparire ma diventa una profonda espressione dell’essere. Inoltre, ho sperimentato che è possibile mettere in relazione o per usare un termine un po’ improprio, ”fondere“, il nuovo approccio che stiamo descrivendo con teorie o tecniche preesistenti, arrivando a risultati interessantissimi e di grande valore sociologico e socio terapeutico. In questo caso, non si può parlare della superiorità di una impostazione rispetto all’altra in quanto dalla fusione dei due paradigmi nasce prende corpo una sorta di “terza via” che li comprende e arricchisce entrambi caricandoli nuova bellezza e di nuovi significati …. Nel nostro caso, per esempio, il farsi uno può arricchire e rendere più facilmente applicabili le tecniche di ascolto empatico e allo stesso tempo quest’ultime possono fornire uno strumento per farsi uno in modo più efficace. Un altro aspetto da sottolineare, è che in base a quanto abbiamo detto, tecniche e modi di agire che prima erano patrimonio esclusivo di pochi esperti possono trasformarsi, con le dovute cautele, in strumenti efficaci e alla portata di tutti.
Un fatto
Per spiegarmi meglio ricorrerò ad un episodio accadutomi qualche mese fa. Si trattava della situazione del nipote di un mio amico, dopo aver perso prematuramente il padre, aveva iniziato a manifestare preoccupanti sintomi di disagio: aveva lasciato la scuola, sembrava del tutto indifferente verso il proprio futuro, si era chiuso fortemente in se stesso e lasciava intravedere i primi sintomi relativi all’utilizzo di sostanze stupefacenti per così dire “leggere”. Nel momento in cui i familiari della madre, preoccupati da una situazione che stava degenerando, hanno cercato di aprirle gli occhi su quanto stava accadendo, come spesso succede, la donna ha innescato nei loro confronti un meccanismo di rifiuto molto violento. Li ha accusati di giudicare negativamente ciò che non capiscono, e di sparare sentenze. Asseriva che il ragazzo passava una normalissima crisi adolescenziale e non aveva bisogno dell’aiuto di nessuno; li ha tacciati di invidia, di atteggiamento subdolo ecc. A grandi linee è questo il quadro che mi era stato presentato; appariva evidente che qualunque intervento da parte mia o di chiunque operi nel sociale avrebbe rischiato di scatenare una reazione ancor peggiore. Cosa fare a questo punto? La mia esperienza mi portava a ipotizzare che probabilmente per tranquillizzare la donna, poteva essere produttivo utilizzare una metodologia spesso usata in questi casi, che consiste nell’esprimere il proprio punto di vista non attraverso una verità oggettiva che può suonare come una sentenza (con frasi del tipo: “tuo figlio ha un problema”) ma come vissuto personalissimo (attraverso espressioni inconfutabilmente vere ma soggettive del tipo: “Sai, sono preoccupato e questa preoccupazione mi fa star male“). Rimaneva in piedi il problema di spiegare questa tecnica ad una persona che normalmente non si occupa di queste cose. Allora ho pensato che poteva essere importante iniziare consigliandogli di “farsi uno” con la sorella, (forte del fatto che lui sapeva bene di cosa io stessi parlando), chiederle quindi scusa per quanto era successo; accoglierla nel suo evidente dolore, non dare consigli e ascoltarla fino in fondo. Solo a quel punto era eventualmente possibile accennare al problema del figlio ma presentandolo come preoccupazione personale e non come situazione oggettiva. Anche qui il passaggio fondamentale era rappresentato da un atto di “spogliamento” dal proprio sé in quanto era necessario liberarsi completamente del look da “persona brava e saggia” per presentarsi con molta umiltà e dare all’altro la possibilità di esprimersi con libertà. Il risultato è stato notevole, perché di fronte a questo inaspettato atteggiamento di vuoto interiore, la sorella ha avvertito l’impulso di riempirlo col proprio amore e di conseguenza si è aperta tantissimo dando sfogo a tutte le sue preoccupazioni ed alla giusta disperazione di una madre che vede la situazione sfuggirle di mano… Mi sembra che in questo caso sia avvenuta proprio la dinamica di cui parlavamo un attimo fa; l’approccio empatico è stato compreso ed applicato in modo efficace in quanto chi lo ha usato era partito dal presupposto di farsi uno con l’altro. Allo stesso tempo, però, chi voleva farsi uno fino in fondo è riuscito a farlo in modo migliore applicando intelligentemente la tecnica che gli era stata spiegata. Ne è risultata una tecnica nuova che, forte di entrambe le impostazioni, è riuscita a risolvere il problema. Una cosa importante da mettere in luce è che quest’esperienza è stata fatta da una persona che non aveva nessuna pratica nella cosiddetta relazione di aiuto. Essendo però un “esperto” nel farsi uno ha potuto utilizzare questa sua risorsa spirituale ma anche (e in questo caso soprattutto) culturale per comprendere al meglio una metodologia a lui sconosciuta ed applicarla con successo creando un rapporto reciproco di tipo empatico.
Tappe del percorso socio-terapeutico. Parola d’ordine: condivisione
Incoraggiato dai primi risultati, ho pensato di proseguire su questa strada. Il passo successivo è stato quello di elaborare dei gruppi di incontro che, forti di quanto abbiamo appena descritto, spingessero verso un’esperienza di condivisione e reciproco aiuto, attori sociali che per anni avevano vissuto in uno stato di totale isolamento, rinchiudendosi in se stessi e filtrando ogni rapporto con l’alterità attraverso quelle forme di gratificazione autoreferenziale che sono tipiche della tossicodipendenza. La letteratura e le varie esperienze già esistenti in tal senso mi sono venute in aiuto fornendomi strumenti particolarmente efficaci; mi riferisco in particolare ad alcuni gruppi d’animazione che utilizzano giochi interattivi proposti dalla scuola bio-energetica, ed ad altri gruppi di approccio rogersiano o appartenenti a quello che comunemente viene definito approccio socio-affettivo). La mia idea era abbastanza semplice: scegliere alcuni tra questi strumenti e concatenarli in un opportuno percorso socio-terapeutico da proporre ai ragazzi che stavo seguendo, indicando, però, come presupposto fondamentale, un’idea di condivisione basata su quel particolare rapporto interpersonale di tipo empatico che abbiamo appena descritto. Anche qui alcune tra le idee di Chiara Lubich mi hanno aiutato ad arricchire queste metodologie di nuovi contenuti. Faccio riferimento, in particolar modo, ad alcuni “passaggi” che lei consiglia e che si sono rivelati particolarmente efficaci per aiutare piccoli gruppi di individui che vogliano portare avanti un percorso di condivisione e di crescita attraverso un rapporto di reciproco amore fraterno.
Un patto di solidarietà
La prima fase di questo percorso è rappresentata da un “Patto” che può essere descritto come un “Patto di solidarietà e reciproco aiuto”. Si tratta di un passaggio fondamentale che ha lo scopo di aiutare gli individui coinvolti a cementare il rapporto interpersonale ed a rimuovere gli atteggiamenti egocentrici per interessarsi attivamente gli uni agli altri. In questa fase, che può prevedere più di un incontro, può essere opportuno inserire momenti che utilizzano strumenti classici come sociogrammi o altre attività interrelazionali opportunamente riadattate e tradotte in giochi interattivi che aiutano a conoscersi meglio ed entrare in rapporto in modo più profondo. Arricchite dallo spirito di reciprocità e condivisione appena descritto, queste attività acquistano nuova linfa e nuovi significati.
Giochi interattivi
Per fare un esempio, un’idea apparentemente semplice che però ha dato risultati molto interessanti è stata un “gioco” nel quale ognuno estrae a sorte il nome di un componente del gruppo e si impegna per una settimana ad avere nei suoi confronti un’attenzione particolare, a conoscerlo meglio, a stargli vicino e sostenerlo nei momenti di difficoltà… In questo modo ognuno si trasforma in una sorta di tutor, di supervisore della vita dell’altro (per dirla come direbbe un bambino, ognuno si trasforma in un piccolo “angelo custode”) ed è spinto ad uscire dal suo mondo per lasciar spazio all’altro. Inoltre, il risultato dell’estrazione è segreto e ciò contribuisce a creare uno stimolante clima di curiosità. Sarebbe lungo descrivere dettagliatamente i risultati ottenuti, ma lo stupore e l’entusiasmo spesso dimostrato dai partecipanti, nonché il modo in cui sono riusciti concretamente ad aiutarsi, a mio avviso merita molta attenzione. Un aspetto da sottolineare, è che, a prescindere dalle tecniche che si decide di utilizzare, se il suddetto Patto, per così dire, “vacilla”, ossia per qualsivoglia motivo viene a diminuire la volontà di mutuo aiuto descritta, questi gruppi e anche quelli seguono si ritrovano ad essere quasi del tutto svuotati di significato e perdono ogni efficacia.
Scambio di esperienze
Procedendo in questo senso, successivamente è stato possibile strutturare altri incontri basati su uno scambio molto intenso di esperienze vissute e di stati d’animo. Anche qui lo scopo è quello di aiutare i ragazzi ad evadere dalla prigione rappresentata dagli atteggiamenti egocentrici e spingerli a condividere il proprio mondo interiore. Ciò può essere fatto in vari modi, a condizione che lo scambio esperienziale non risulti fine a se stesso ma sia un dono reciproco tra chi parla e chi accoglie.
Una cartolina della tua vita
Anche qui mi limiterò ad un solo esempio: una tecnica tra le tante che si sono mostrate efficaci, è stata quella di chiedere ad ogni componente del gruppo, di regalare una “cartolina della sua vita”, narrando un vissuto emozionalmente significativo in modo da creare un’atmosfera empatica che permettesse agli altri di riviverlo, in un certo senso, assieme a lui. Normalmente questi gruppi assumono contenuti emozionali molto forti. A volte però succedeva che il clima empatico non decollava. In questi casi, indagando sul perché emergevano quasi sempre situazioni di conflitto irrisolto tra alcuni ragazzi. Ciò, come abbiamo già messo in luce, è un’altra conferma dell’importanza terapeutica dell’ aver aderito al Patto sopraccitato in modo pieno e sincero…
Migliorare insieme
Infine, nel momento in cui, attraverso questo percorso, il rapporto tra le persone coinvolte era maturato in modo sufficiente, è stato possibile compiere un ulteriore passo avanti, facendo ricorso a tecniche più impegnative. Mi riferisco in particolare ad una tipologia di gruppo in cui i partecipanti, spinti da una indispensabile volontà di aiutarsi reciprocamente, scelgono una persona e, sotto la guida di un moderatore, gli dicono con rispetto ma in modo molto chiaro prima quali sono i suoi difetti e le cose che dovrebbe migliorare per andare avanti nel suo cammino e successivamente quali sono i suoi pregi ed i suoi punti di forza. Si tratta di un momento (che potremmo definire “della verità”) da gestire con molta attenzione a causa della delicatezza delle problematiche e della possibile fragilità di alcune persone coinvolte. Metodologie simili sono presenti, con qualche differenza, in diversi approcci classici, ma ciò che in questo caso fa la differenza, è proprio lo sforzo di uscire da se stessi per concentrarsi sulle caratteristiche e le problematiche dell’altro. Devo ammettere che spesso i risultati di questi gruppi mi hanno commosso; non avrei mai immaginato sviluppi del genere. Ragazzi molto duri, incattiviti dalla vita, diffidenti e restii al rapporto con gli altri, si sono sciolti creando un clima empatico difficilmente descrivibile. Lo stupore e l’entusiasmo da loro dimostrato ha facilitato il rapporto comunicativo con me e tra di loro in un modo che non avevo mai visto e troppo evidente per essere casuale. Ho ripetuto la cosa più volte e con attori sempre diversi per essere sicuro che i risultati non dipendessero dal particolare campione di persone scelto ma le conseguenze sono state pressoché identiche. E’ chiaro che una esperienza ripetuta così tante volte con gli stessi risultati non può essere frutto di circostanze accidentali. Si tratta sicuramente un discorso da sviluppare, in quanto stiamo parlando di strumenti ancora in embrione ma, a mio avviso, già da questi primi timidi risultati emergono con forza l’efficacia e l’aspetto rivoluzionario del patrimonio socio-culturale che scaturisce dall’esperienza di fraternità universale proposta da Chiara Lubich. (altro…)
Mar 3, 2005 | Cultura
L’Economia di Comunione (EdC) è sempre più una realtà in dialogo con istituzioni del mondo politico, civile, religioso, che vedono nel modello EdC un seme di risposta alle domande di solidarietà e di giustizia nel mondo dell’economia.
Riportiamo qui di seguito alcuni eventi in programma per il 2005:
Sportello di orientamento e di sostegno alle imprese del territorio secondo l’economia di comunione:nell’ambito del Quadro Cittadino di Sostegno del Comune di Roma, lo sportello offre un’attività di consulenza e orientamento per le imprese e altri servizi.
- In varie città d’Italia, Europa e in Brasileprendono vita nuove scuole di formazione all’economia di comunione.
Secondo Convegno su economia e felicità All’Università di Milano/ Bicocca, con il professore indiano Amartya Sen, premio Nobel per l’economia Piazza dell’Ateneo Nuovo, 1 16 – 18 giugno 2005
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Mar 3, 2005 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Incontro tra la Federazione trentina delle cooperative ed Economia di Comunione
Una delegazione della Cooperazione Trentina si è recata in visita a Loppiano e al nascente Polo imprenditoriale “Lionello Bonfanti”. Da tempo i vertici della Federazione maturavano il desiderio di conoscere l’Economia di Comunione di cui avevano avuto notizia attraverso articoli o casuali contatti. La delegazione trentina era guidata dal Presidente dott. Diego Schelmi, insieme a 20 dirigenti, rappresentativi dei vari settori della produzione, del consumo, del credito e della cooperazione sociale.
Federazione Trentina delle Cooperative
Da 110 anni è il cuore della cooperazione attiva nella provincia di Trento, con oltre 180.000 soci in circa 630 società cooperative: 120 nel settore agricolo, 104 nel consumo, 66 nel credito e 340 nell’ambito del sociale, lavoro, servizi e abitazione. Attraverso la formazione dell’uomo-cooperatore e la promozione degli ideali cooperativi soprattutto fra i giovani, la Federazione contribuisce a mantenere vivo il patrimonio di storia e di solidarietà sociale del popolo trentino. Dall’incontro a Loppiano emerge come la Cooperazione Trentina – che ha una lunga tradizione di solidarietà, di operosità e di impegno nell’economia sociale e nel tessuto capillare del Trentino – costituisca una sorta di retroterra per l’Edc, se si guarda come parte integrante di quella cultura nella quale Chiara Lubich nacque e crebbe, tessuto sociale al nuovo carisma dell’unità che si sarebbe via via manifestato, diffuso e concretizzato anche in una nuova esperienza economica. Nell’intervento del prof. Luigino Bruni risulta significativa “L’importanza nell’economia di oggi di attuare due esigenze del Vangelo: essere ‘città sul monte’ -, la cittadella della Cooperazione in progetto a Trento da parte della Federazione, e i Poli industriali come laboratori economici per l’Edc – ed essere ‘sale e lievito’ – la capillarità delle cooperative nel territorio trentino, e le quasi 800 imprese di Edc immerse nell’imprenditoria di tutto il mondo. Ricorre una promessa: quella di consolidare la reciproca conoscenza, perché nelle due diverse esperienze economiche, si confermi l’impegno a formare persone che sappiano agire economicamente in modo evangelico e costruiscano e diffondano una nuova cultura economica. Alla fine della giornata si respira la forza genuina di due ispirazioni di solidarietà e di comunione che potranno efficacemente ‘cooperare’ per l’unità. ‘Unitas’ è, infatti, la frase incisa nello stemma centenario della Federazione delle cooperative trentine. E “Unità” declinata come “comunione” è lo scopo delle aziende e il fulcro del pensiero del Movimento economico di comunione.
Sportello di orientamento e di sostegno alle imprese del territorio secondo l’Economia di comunione
Nell’ambito del Quadro Cittadino di Sostegno del Comune di Roma, lo sportello ha in progetto di:
- Offrire un servizio di consulenza e orientamento per le imprese
- Facilitare l’acquisizione di competenze adeguate alla creazione di imprese mediante corso di formazione
- Diffondere la conoscenza del modello Economia di Comunione anche nelle scuole del territorio
- Sostenere e accompagnare gli imprenditori che aderiranno
Enti promotori: Comune di Roma – Municipio VII – Borgo Ragazzi don Bosco – Associazione “Nuove vie per un mondo unito” (altro…)
Mar 3, 2005 | Cultura
Prima scuola sociale dell’economia di comunione
Cosa significa operare per un’ economia che dia spazio al principio di reciprocità, alle virtù civili, alla comunione?Può un’impresa al tempo stesso essere solidale ed efficiente? A queste ed altre domande cerca di rispondere la prima scuola sociale dell’economia di comunione, attraverso un ciclo di lezioni a Villapiana Lido (Cosenza). Il 21 gennaio c’è stata l’inaugurazione della scuola con il primo modulo di lezioni tenute dal prof. Luigino Bruni, con circa un centinaio di persone provenienti da tutta la Calabria e dalla Sicilia. Le altre lezioni si svolgeranno, con scadenza mensile, fino al maggio 2005. Nata in collaborazione con la Diocesi di Cassano all’Ionio, la scuola di formazione sociale si rivolge ad operatori economici, imprenditori, studenti e quanti sono interessati ad una visione di economia incentrata sul principio di reciprocità.
Calendario dei lavori 2005
21 gennaio: Inaugurazione 22 gennaio: Alcuni concetti fondamentali di una economia civile e di comunione – prof. Luigino Bruni 25/26 febbraio: Fiducia e incentivi nelle organizzazioni – prof. Vittorio Pelligra 18/19 marzo: Fiducia e incentivi nelle organizzazioni – dr. Giovanni Mazzanti e consulenti Gm&p consulting network 22/23 aprile: Bilancio sociale e bilancio a più dimensioni – dr.ssa Elisa Golin 20/21 maggio: Economia come impegno civile – prof. Stefano Zamagni
“Scuola Mediterranea dell’Economia di Comunione”
L’11 febbraio 2005, a Benevento (presso il Centro Mariapoli Faro) è stata inaugurata la Scuola Mediterranea dell’EdC, con partecipanti da Campania, Abruzzo, Puglia, Molise e Basilicata. Collegate in videoconferenza la Sicilia e la Sardegna, mentre la Calabria, e Malta erano collegate via audio. Approfondito il tema: “Dio amore e l’economia”, a cui sono seguite esperienze di imprese. Antonietta Giorleo e Luigino Bruni hanno svolto i temi di riflessione, mentre l’imprenditore pugliese Enzo Scarpa ha donato la sua esperienza di imprenditore EdC. E’ seguito un ricco e partecipato dialogo con i 250 presenti e con tutte le sedi collegate. I prossimi appuntamenti: 1 aprile e 3 giugno 2005.
Nuove scuole di formazione all’EdC
Croazia, Mariapoli Faro: il 29 e 30 Gennaio è stata inaugurata vicino Zagabria la Scuola di formazione all’EdC per il Sud-Est europeo. 140 i partecipanti, che, insieme ad Alberto Ferrucci e Luigino Bruni, hanno riflettuto sul significato dell’amore nella vita economica. Il 31 maggio l’EdC è stata presentata con due conferenze alla facoltà di Pedagogia e a quella di Economia nell’Università di Zagabria. Prima Scuola di Formazione per operatori nel Semiarido – Fortaleza, Brasile Nel luglio 2004 il Governo dello stato del Cearà aveva promosso un simposio con alcuni rappresentanti dell’EdC, per studiare insieme un progetto culturale nella zona del semiarido, dove vivono, in condizioni di disagio, oltre un milione di contadini. Da quel primo incontro è nata l’idea di una scuola di formazione, “Escola de economia humana do projeto sertão vivo”, che sarà inaugurato il prossimo 11 marzo a Fortaleza, con la presenza del Governatore dello Stato del Cearà, e del ministro dell’agricoltura. (altro…)
Feb 28, 2005 | Nuove Generazioni
In questo popolo nato dal Vangelo e ormai diffuso in tutto il mondo, ci sono anche bambine e bambini che condividono la spiritualità dell’unità e la vivono nella vita quotidiana secondo la loro particolare sensibilità. Al loro ultimo congresso mondiale, una bambina coreana ha chiesto a Chiara Lubich: «Tu ci insegni a dare sempre, senza risparmiare mai. Io però non ho tante cose da dare. Come posso fare?» La risposta è diventata un colorato libretto che illustra i molti modi del dare Dare in prestito una matita; dare un aiuto in cucina alla mamma; insegnare un gioco a chi non lo conosce; dare un ascolto a chi vuole essere ascoltato; dare una risposta gentile; dare una parte della merenda; dare il “buon giorno” con amore; dare perdono; dare un sorriso; dare un aiuto ai poveri; dare compagnia; dare un regalo; dare una mano; dare una gioia; dare una bella notizia. Alcuni flash dal mondo:
Dare una bella notizia – In una città molto grande del Messico, Cecilia, Martina, e Alejandra sono state invitate a raccontare le loro esperienze alla radio locale. Si sono preparate insieme e hanno chiesto a Gesù di aiutarle. Cecilia ha raccontato dell’arte di amare, e Alejandra ha raccontato come ha amato un nemico. Martina dice al microfono: “Abbiamo decorato un salvadanaio dove mettiamo i soldi per i bambini poveri. Tutti i soldi che ricevo, li risparmio per comperare dei dolcetti, che poi vendo per guadagnare ancora di più per i poveri, perché in tutti c’è Gesù che mi dirà: ‘L’hai fatto a me’. Quest’anno con i soldi risparmiati abbiamo comperato coperte e maglioni per i poveri che stanno vicino alla porta della chiesa”. Dare compagnia – Un pomeriggio ero molto stanco e faceva molto caldo. Alcuni amici mi hanno invitato a giocare a pallone, ma il sole picchiava così forte che non ci volevo proprio andare. Poi ho pensato che potevo amarli e sono andato. Dopo un po’ uno di questi amici, vedendo che ero tutto sudato, è andato al bar e ha comprato un’aranciata per me. (A. – Pakistan) Dare consolazione – Un giorno stavo giocando con il più piccolo dei miei fratellini, mentre l’altro dormiva. La mamma mi ha mandato al mercato per comprare banane e verdure. Quando sono tornato, il fratellino che prima dormiva era già sveglio e piangeva. “E’ Gesù”, ho pensato, e l’ho preso a giocare con me. Per farlo contento abbiamo giocato con le biglie, il gioco che gli piace di più. Ero felice e il gioco è andato molto bene. (T. – Madagascar) (Esperienze e immagini sono tratte dal periodico Gen 4) (altro…)
Feb 28, 2005 | Parola di Vita
Se c’è una realtà misteriosa nella nostra vita è il dolore. Vorremmo evitarlo ma, prima o poi, arriva sempre. Da un banale mal di testa, che sembra avvelenare le più semplici azioni quotidiane, al dispiacere per un figlio che prende una strada sbagliata; dal fallimento nel lavoro, all’incidente stradale che ci porta via un amico o un familiare; dall’umiliazione per un esame non riuscito, all’angoscia per le guerre, il terrorismo, i disastri ambientali…
Davanti al dolore ci sentiamo impotenti. Anche chi ci è accanto e ci vuol bene è incapace spesso di aiutarci a risolverlo; eppure a volte ci basta che qualcuno lo condivida con noi, magari in silenzio.
Questo ha fatto Gesù: è venuto vicino ad ogni uomo, ad ogni donna, fino a condividere tutto di noi. Più ancora: ha preso su di sé ogni nostro dolore e si è fatto dolore con noi, fino a gridare:
“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”
Erano le tre del pomeriggio quando Gesù lanciò questo grido verso il cielo. Da tre lunghe ore era appeso alla croce, inchiodato mani e piedi.
Aveva vissuto la sua breve vita in un costante atto di donazione verso tutti: aveva sanato i malati e risuscitato i morti, aveva moltiplicato i pani e perdonato i peccati, aveva pronunciato parole di sapienza e di vita.
Ancora, sulla croce, dà il perdono ai carnefici, apre il Paradiso al ladrone, e infine dona a noi il suo corpo e il suo sangue, dopo averceli dati nell’Eucaristia. E infine grida:
«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»
Ma Gesù non si lascia vincere dal dolore; come per una divina alchimia lo tramuta in amore, in vita. Infatti, proprio mentre sembra sperimentare l’infinita lontananza dal Padre, con uno sforzo immane e inimmaginabile, crede al suo amore e si riabbandona totalmente a Lui: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” .
Ristabilisce l’unità tra Cielo e terra, ci apre le porte del Regno dei cieli, ci rende pienamente figli di Dio e fratelli tra di noi.
È il mistero di morte e di vita che celebriamo in questi giorni di Pasqua, di resurrezione.
È lo stesso mistero che sperimentò in pienezza Maria, la prima discepola di Gesù. Anche lei, ai piedi della croce, è stata chiamata a “perdere” quanto aveva di più prezioso: il suo Figlio Dio. Ma in quel momento, proprio perché accetta il piano di Dio, diviene Madre di molti figli, Madre nostra.
«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»
Col suo infinito dolore, prezzo della nostra redenzione, Gesù si fa solidale in tutto con noi, prende su di sé la nostra stanchezza, le nostre illusioni, i disorientamenti, i fallimenti e ci insegna a vivere.
Se Egli ha assunto tutti i dolori, le divisioni, i traumi dell'umanità, posso pensare che dove vedo una sofferenza, in me o nei miei fratelli e sorelle, vedo Lui. Ogni dolore fisico, morale, spirituale mi ricorda Lui, è una sua presenza, un suo volto.
Posso dire: “In questo dolore amo te, Gesù abbandonato. Sei tu che, facendo tuo il mio dolore, vieni a visitarmi. Allora te voglio, te abbraccio!”
Se siamo poi attenti ad amare, a rispondere alla sua grazia, a volere ciò che Dio vuole da noi nel momento che segue, a vivere la nostra vita per Lui, sperimentiamo che, il più delle volte, il dolore sparisce. E ciò perché l’amore chiama i doni dello Spirito: gioia, luce, pace. Risplende in noi il Risorto.
Chiara Lubich
Feb 24, 2005 | Cultura
Editoriale
UNA SFIDA PER L’UOMO – La nostra è un’epoca particolarmente difficile, segnata da innegabili conquiste e da altrettanto innegabili smarrimenti. Da qui, grandi possibilità di maturazione per l’uomo, e insieme grandi possibilità di involuzione. In questo panorama complesso la dimensione etica della vita umana è in crisi. Etica che prima d’essere un insieme anche sacro di norme, è la rivelazione delle radici dell’uomo e il pulsare vitale in esse per sempre più ampie attuazioni. E tutto ciò a causa dello smarrimento dell’autentica dimensione spirituale: smarrimento per il quale il passaggio dal già vissuto al non-ancora vissuto, è oggi tentato da una soluzione radicale: il non-ancora vissuto come negazione del già vissuto. Siamo, perciò, davanti a un’etica della trasformazione continua, di fronte a un’etica dell’immobilità, della pura conservazione. Solo nell’etica dell’amore le due prospettive possono trovare il loro punto di equilibrio.
Nella luce dell’ideale dell’unità
CONFERIMENTO DELLA LAUREA HONORIS CAUSA IN TEOLOGIA DELLA VITA CONSACRATA – di Chiara Lubich – Riportiamo il testo dell’intervento preparato per il 25 ottobre 2004 in occasione del conferimento della Laurea Honoris Causa in teologia della vita consacrata al Claretianum di Roma. L’”APOSTOLATO” NELLA VITA DELLA CHIESA – di Pasquale Foresi – La parola «apostolato» ha ormai acquisito nel linguaggio usuale il senso piuttosto generico di «diffusione del regno di Dio» con la parola, con le opere o con la preghiera. Pertanto l’Autore partendo dalle fonti della Rivelazione cerca di cogliere il significato che il Nuovo Testamento ha dato a tale vocabolo che vi si trova esplicitamente solo pochissime volte e sempre in relazione alla parola «apostolo» – essendo l’apostolato il contenuto della sua azione. Dopo aver sottolineato come dai testi del Nuovo Testamento emergano due concezioni del termine greco apóstolos, una più giuridica in Luca e una più carismatica in Paolo, si analizzano alcuni brani significativi che presentano i primi seguaci di Gesù, la chiamata degli apostoli, la scelta dei Dodici e la loro prima missione. Infine viene trattata la questione di poteri loro conferiti nei confronti della comunità per concludere con l’unico brano esplicito del NT circa l’apostolato dei fedeli. LA TERZA NAVIGAZIONE. PREGHIERA DI UN FILOSOFO – di Giuseppe M. Zanghì – «La sapienza è una delle cose più belle, ed Eros è l’amore per il bello. Perciò è necessario che egli sia filosofo e, in quanto filosofo, che sia intermedio fra il sapiente e l’ignorante». Così Platone nel Simposio. E questo filosofare è forza di braccia, è “fatica”, quella «fatica del concetto» di cui parlerà Hegel molti secoli dopo. E’ la «seconda navigazione» che si fa non più affidandosi allo scorrere delle acque ma alla forza dei remi. Affascinato, fin dalla giovinezza, da questa seconda navigazione, l’Autore racconta – con un linguaggio intimo, vivido e che si fa spesso preghiera –, tutto il percorso che da lì si è snodato fino ad approdare alla scoperta e all’esperienza di «un amore altro da Eros, che seppi chiamarsi Agápe». Un amore che apre a quella che egli chiama «terza navigazione», affidata, questa, non più alla forza del remo e alla fatica del concetto ma al soffiare dello Spirito.
Saggi e ricerche
SULLA LOGICA TRINITARIA DELLA VERITÀ CRISTIANA – di Piero Coda – Ciò che interpella oggi la verità cristiana è la sua capacità di farsi percepire come umanamente rilevante e persino decisiva: come quella via che dà ragione del destino dell’uomo e del mondo alla luce di Gesù Cristo. Ciò invita a una riproposizione creativa della “logica” intrinseca alla verità cristiana, tenendo conto dei guadagni dell’epoca classica e anche di quelli dell’epoca moderna, ma riproponendoli e, per così dire, sviscerandoli e riordinandoli più profondamente secondo il disegno originale della «logica trinitaria» esibita dalla rivelazione. EUROPA. I SUOI FONDAMENTI SPIRITUALI IERI, OGGI E DOMANI – di Joseph Card. Ratzinger – Riportiamo per gentile concessione dell’Autore e del Presidente del Senato della Repubblica Italiana, Sen. Marcello Pera, l’intervento tenuto presso la Biblioteca del Senato, il 13 maggio 2004. In esso l’Autore partendo dalla domanda su cosa sia propriamente l’Europa, sottolinea come essa solo in maniera del tutto secondaria sia un concetto geografico: l’Europa non è un continente nettamente afferrabile in termini geografici, ma è una realtà culturale e storica. LA SOCIOLOGIA RELAZIONALE: UNA PROSPETTIVA SULLA DISTINZIONE UMANO / NON UMANO NELLE SCIENZE SOCIALI – di Pierpaolo Donati – L’Autore espone, in grande sintesi, il senso dell’approccio relazionale nelle scienze sociali, nella versione del realismo critico da lui proposto. Tale approccio parte dalla constatazione che la società contemporanea è caratterizzata da un progressivo distanziamento fra l’umano e il sociale e che, di conseguenza, il sociale non è più percepito come il luogo dove abiti l’umano. L’umano si trova altrove rispetto a ciò che costituisce il tessuto sociale degli incontri che stanno fra i soggetti agenti: sta negli stati interiori degli individui oppure in rappresentazioni o fantasie collettive. Di fronte a tale esito storico, l’Autore sostiene che occorre elaborare un nuovo paradigma teorico che connetta fra loro l’umano e il sociale, da un lato assumendo la loro crescente differenziazione, e dall’altro cercando una teoria sociale e applicazioni pratiche che portino ad un livello più elevato la loro reciproca integrazione. Nella parte critica il saggio sottolinea le profonde ambiguità che hanno caratterizzato il pensiero del Novecento e la necessità di superare, i riduzionismi, le contraddizioni e i dilemmi che abbiamo ereditato dalle scienze sociali moderne.. Nella parte ricostruttiva viene delineato un quadro concettuale volto a definire ciò che vi è di umano nel sociale in chiave relazionale, nell’orizzonte della società in via di globalizzazione.
Spazio letterario
HELENO OLIVEIRA, POETA MIGRANTE, UOMO DI DIALOGO – di Giovanni Avogadri e Giovanni Casoli – Dieci anni fa, la nostra rivista pubblicò alcune poesie di Heleno Oliveira, focolarino brasiliano, poeta e professore universitario. Dopo la sua morte, alcune delle voci più alte del mondo culturale luso–brasiliano, Sophia de Mello Breyner Andresen, Luciana Stegagno Picchio, Armindo Trevisan, hanno presentato in Portogallo, Italia e Brasile raccolte e sillogi di colui che fino ad allora era stato uno sconosciuto. Nel maggio del 2004 la raccolta antologica di Repubblica sulla poesia luso–brasiliana ha consacrato la voce di Heleno nel “canone” di quella letteratura. Presentiamo adesso, con un contributo a due voci, una scelta di poemi dalle raccolte finora pubblicate, più alcuni inediti. RIVISITAZIONI. L’ORRORE PER LA GUERRA – di Oreste Paliotti – Quale messaggio ci tramanda un capolavoro dell’arte musiva come la celebre Battaglia di Alessandro? E’ quanto si chiede l’Autore in questo breve testo.
Per il dialogo
Nel 40° ANNIVERSARIO DELL’ISTITUZIONE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO – di Teresa Osorio Gonçalves – A quaranta anni dalla sua istituzione il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso ha organizzato, dal 14 al 19 maggio 2004, un’assemblea plenaria che si è conclusa, con una sessione pubblica all’Università Urbaniana. In tale assemblea si è ribadito che il fondamento teologico di tale dialogo, come è espresso nella dichiarazione conciliare Nostra Aetate,è Dio stesso, in cui tutti i popoli trovano origine e meta. La Chiesa nulla rigetta di quanto è vero e santo nelle varie religioni.
Libri
UNA NUOVA PROPOSTA DI TEOLOGIA DELLE RELIGIONI NE ‘IL LOGOS E IL NULLA’ DI PIERO CODA – di Juvénal Ilunga Muya e Adriano Fabris – Nel corso degli ultimi decenni, numerose sono state le pubblicazioni dedicate alla teologia delle religioni e al dialogo interreligioso, ma rari gli studi che abbiano tentato di fondare teologicamente, sulla base di una solida spiritualità e riflessione speculativa, l’identità cristiana come relazione all’altro e quindi l’impegno non opzionale ma originario dei cristiani al dialogo. Il recente libro di Piero Coda, Il Logos e il nulla. Trinità religioni mistica (Città Nuova Editrice, 2003, che già nel 2004 ha visto una nuova edizione), tra le tante cose che offre, viene a colmare questa mancanza. Di esso si rilevano, nelle presenti recensioni, alcuni aspetti di fondo: il carattere relazionale del cristianesimo, la centralità della rivelazione trinitaria nell’evento pasquale di Cristo, la missione stessa della Chiesa come relazione agapica, nell’intento di sottolineare l’originalità e la provocazione a pensare che suscita la proposta innovatrice di una teologia cristologica delle religioni fondata sul Cristo crocifisso, abbandonato e risorto. E, in ultimo, la possibilità, all’interno di tale impostazione, di un dialogo fecondo con altre prospettive disciplinari. NUOVA UMANITÀ XXVII – Gennaio – febbraio – 2005/1, n.157 SOMMARIO (altro…)
Feb 22, 2005 | Chiesa
Di mons. Giussani ho un ricordo che non si cancellerà mai. Avevo avuto con lui un colloquio personale a Milano, nel novembre 1998, poco dopo quello storico incontro dei Movimenti con il Papa in piazza s. Pietro, la vigilia di Pentecoste di quell’anno. E’ una delle poche volte che ho avuto l’impressione di incontrare un santo, una santità conquistata con non poche sofferenze. Forte poi un’altra impressione che ho ripetuto ai suoi collaboratori: “Ho incontrato un carisma autentico!”.
Il Papa, in quella vigilia di Pentecoste, ci aveva chiesto “comunione ed impegno”. Era per questo motivo che mi ero recata a Milano. Quell’incontro con il Papa era stato
per tutti noi, come mons. Giussani ha poi scritto anche in una lettera alla sua Fraternità, “la giornata più grande della nostra storia”. E aggiungeva: “L’ho detto anche a Chiara e a Kiko, che avevo di fianco in piazza san Pietro: come si fa, in queste occasioni, a non gridare la nostra unità?”. “La nostra responsabilità è per l’unità, fino a una valorizzazione anche della minima cosa buona che c’è nell’altro”.
Da allora non sono mancate le occasioni per crescere nella conoscenza reciproca e nella comunione, sia personale che come movimenti, in Italia e in altri Paesi. Nel cuore mi resta un’ immensa gratitudine per la sua vita spesa senza risparmio a servizio di un carisma che ha immesso nella Chiesa una nuova corrente di intensa vita spirituale, spalancando a migliaia e migliaia di uomini e donne del mondo l’incontro personale con Gesù e suscitando tante opere concrete in risposta alle attese del nostro tempo. Ora la mia, nostra preghiera è non solo per lui, ma per la sua Opera, nella certezza che porterà nuovi abbondantissimi frutti dello Spirito. Chiara Lubich (altro…)
Feb 20, 2005 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
«Dopo questi eventi non si riesce ad essere più come prima. Mi succede di svegliarmi di notte e di pensare a questi miei fratelli e sorelle del sud. Conosco queste zone: sono delle vere perle di bellezza. E’ tutto distrutto: cose e vite umane… Risuonano dentro le domande che da millenni ci seguono e ci aspettano: “Cos’è l’uomo? Cos’è la vita che stiamo vivendo?” Risuona in tutto il Paese questo grido: “Perché… perché tutto questo?” Questo dolore solca l’aria, come la puzza terribile dei corpi in decomposizione. Non puoi andare avanti nemmeno un metro senza vederne uno.
Buddisti e cristiani sono d’accordo nell’affermare che il lavoro più grande post-catastrofe sarà quello spirituale: dare una risposta a questo senso di smarrimento che attanaglia le anime di molti. Non si possono contare le persone che di colpo, dopo mesi e mesi di scarsità di donatori, si sono letteralmente riversate nelle corsie degli ospedali, in cerca di una siringa per donare il proprio sangue! Sì, ci sono troppi donatori, tanto che già due volte siamo dovuti ritornare indietro io ed un amico mio. Continuo a non dormire la notte: sento le grida della gente che soffre e delle migliaia che corrono in loro soccorso. Tornando a casa trovo una piccola scatola bianca: sono i risparmi di uno studente di scienze politiche, che con i suoi amici, in poche ore, ha raccolto un bel po’ di denaro: eppure lo giudicavo un “insensibile”… Poche ore prima un ragazzino ci aveva portato il sacco dei suoi vestiti «per i nostri al sud». Così un’altra famiglia: tutti corrono, tutti fanno qualcosa. Uno dei nostri amici mi ha chiesto la macchina in prestito: finalmente aveva una buona occasione per dare un colpo d’ala alla sua vita, distribuendo un bel po’ di vestiti superflui: impossibile usare il motorino. Il paese è cambiato, la gente è trasformata. Da vent’anni li conosco i thai, e mai li ho visti così, nella donazione e tutti insieme. Sono felice di stare qui, di piangere i loro morti che ora sono i miei e con tanti far quello che è possibile. Tutti sono mobilitati: anche l’elicottero di una principessa, che trasporterà un piccolo svedese di pochi mesi, salvato per miracolo. Lei ha perso suo figlio, travolto dall’onda. Penso a quell’attrice che ho riconosciuto in mezzo ai soccorsi, ai pacchi, alle medicine da distribuire. Si vedeva dai suoi occhi luminosi che l’amore ci illumina dal di dentro, ci trasfigura. Persino quel riccone, col suo paracadute motorizzato, è venuto al sud per sorvolare le zone disastrate ed avvertire della presenza di cadaveri. Recuperare i corpi in decomposizione è l’allarme del momento. Questo Paese, dunque, non è sensibile solo ai bollettini economici, ma anche sa piangere i propri morti come quelli di quanti sono venuti qui solo per una vacanza e ci hanno lasciato la vita. Siamo uomini, siamo fratelli: è la risposta che mi nasce dentro in queste ore post-tsunami. La solidarietà che respiri nell’aria andando in giro per le strade è più forte dell’odio stupido e cieco che le notizie di guerra ti vorrebbero portare. La gente presta attenzione alle migliaia di storie di solidarietà “fino al dono della vita”, nate durante e dopo l’onda. Una ragazza inglese piange uno sconosciuto tailandese dalla maglietta arancione che l’ha salvata facendola aggrappare ad un albero. Lui poi, è scomparso nell’acqua. Ci si guarda tutti, anche al semaforo, con occhi diversi. Si annullano distanze, differenze. Non ci stordiscono più il successo, la salute, il benessere. Sarei potuto essere io al posto loro! E’ questo in definitiva il senso della vita, e la tragedia te lo svela: l’amore nasce dal dolore, vissuto e superato a favore di un altro essere umano. Per questo ho fiducia che quel «che tutti siano una cosa sola» un giorno si realizzerà». (L. B. – Tailandia) Tratto da CN n. 2/2005 (altro…)
Feb 20, 2005 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Le adozioni a distanza e i progetti di ricostruzione e sostegno economico si muovono insieme per garantire sia un primo soccorso e far fronte così all’emergenza, sia un sostegno mirato alla ripresa e allo sviluppo economico e sociale. Grazie ai nostri amici musulmani in Indonesia, si sono aperte alcune strade per favorire gli aiuti alla popolazione.
I primi interventi
Fino al 1° febbraio sono arrivati all’AMU 280.000 € provenienti da tutto il mondo, anche dalle zone più povere. Così sono stati avviati alcuni progetti in India, Indonesia, Tailandia.
India
Da Madras, Tamil Nadu, una giovane con il fratello e gli amici ha organizzato una rete di aiuti alle persone del posto. Con la somma inviatale sta mantenendo 14 bambini sotto i due anni, qualche adulto ammalato, ha acquistato medicine per un ospedale delle suore francescane di Madras, e adesso propone l’acquisto di reti da pesca per 333 famiglie di Nargecoil e materiale scolastico per 250 bambini. Ecco quanto ci scrive: «A Nargecoil ci sono famiglie che come lavoro producono delle reti per la pesca. Ma hanno perso quasi tutto. Col nostro aiuto potrebbero riprendere questo lavoro. Ogni famiglia di pescatori ha bisogno di una rete di 5 kg. I pescatori vivono in un villaggio a Kovalam nel Tamil Nadu che è a circa due ore da Madras. In questo modo potremmo aiutare sia le famiglie che producono le reti, sia quelle che ne hanno bisogno. I pescatori sono cattolici, indù e musulmani. Il vescovo di Kovalam è già intervenuto, ma sono rimaste ancora 333 famiglie senza nessun aiuto. Un cardiologo di Madras ha donato una grande imbarcazione e se le famiglie avranno le reti potranno usarla insieme. Infatti queste famiglie non vogliono tanto il piatto di riso che il governo passa ogni giorno, dovendo percorrere lunghe distanze per avere la loro razione, ma sono felici di avere un aiuto per poter ricominciare a lavorare. Mio fratello ed un suo amico sono andati ieri a vedere la situazione e per trasportare le primi reti da Nargecoil a Kovalam (700 km). Hanno trovato un trasporto gratis: le autobotti di benzina e i camion che portano le bombole del gas. Il totale necessario per queste reti sarà di circa 7.200 Euro». «Ci sono due scuole cattoliche. I bambini sono traumatizzati e si deve aiutarli a tornare al più presto a scuola per rientrare nella normalità. Siamo già riusciti a
trovare il grembiulino e le scarpe, la piccola lavagna dove scrivono, un quaderno… mancano ancora 250 bambine. Il totale della spesa sarebbe circa 1000 Euro».
Indonesia
Fra i vari progetti abbiamo avviato un sostegno alimentare e scolastico di 400 bambini di Aceh, Nias e rifugiati a Medan, in attesa di regolari adozioni a distanza; un sostegno alle attività di E., musulmana, che porta aiuti in un campo profughi musulmano ad Aceh; è partito un primo «campo di lavoro» a Sumatra: dal 5 al 13 febbraio, in corrispondenza delle ferie per il Nuovo Anno Cinese, da Singapore due gruppi di giovani si sono messi in viaggio per aiutare con il proprio lavoro e il denaro mandato dall’AMU le persone colpite dallo Tsunami. Questi giovani presteranno il loro servizio ad Aceh, guidati da un pastore metodista, e a Nias, da un parroco cattolico. Per venire incontro a queste necessità è già stato assicurato un primo finanziamento di 36.000 Euro.
Thailandia
Abbiamo deciso di collaborare al progetto della Conferenza Episcopale thailandese per il rilancio dell’economia locale attraverso l’acquisto di barche per i pescatori colpiti dallo tsunami. Sono stati stanziati allo scopo 50.000 Euro. (altro…)
Feb 19, 2005 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Una vita da marinaio
R.: «A causa della guerra a 5 anni ho perso mio padre, la casa e l’agiatezza. Ho sofferto per le ingiustizie sociali che si riflettevano sulla mia famiglia suscitando in me sentimenti di ribellione. Sognavo di poter vivere libero in un mondo di vera fraternità. A 20 anni, finiti gli studi nautici, carico di entusiasmo, mi sono imbarcato su una nave come allievo ufficiale, ma, a bordo, la realtà era ben diversa dai miei sogni. I rapporti tra i compagni di equipaggio erano duri e suscitavano in me altrettanta durezza; anche Dio lo sentivo lontano e indifferente alla condizione degli uomini. Ero nella solitudine più cruda. Durante una licenza, conosco M., e si spalanca per me un orizzonte inaspettato di felicità. Con il matrimonio lascio il mare; la nostra vita a due è densa di reciproche aspettative che ben presto, però, naufragano nell’incomprensione e nell’incapacità di accoglierci con i nostri limiti e le nostre diversità, arrivando allo scontro. La delusione è grande e alla speranza subentra lo smarrimento: ci separiamo. E’ il crollo di tutto. Sono oppresso da un senso di fallimento, di angoscia, di disperazione. Una persona amica mi porta nella cittadella del Movimento dei Focolari, Loppiano. Scopro un altro volto di Dio: lo scopro vicino, Amore. Allora c’è speranza! – mi dico. Un’ondata di gratitudine e gioia profonda m’invade. Vorrei comunicarla a M. ma non so come raggiungerla. Intanto muovo i primi passi sulla strada della fraternità: a contatto con altre persone che condividono questo spirito, sperimento che la fraternità non è un’utopia».
Nell’amore la risposta
M: «Nel buio in cui mi trovavo, anch’io sono venuta in contatto con l’ideale dell’unità, con quell’amore di cui ero assetata ma di cui non conoscevo la fonte. Le parole del Vangelo: “Amatevi come io ho amato voi”, mi hanno raggiunta con una forza rivoluzionaria che ha capovolto la mia vita. In Gesù ho scoperto che l’amore è dono totale di sé».
Sboccia un amore nuovo
R: «Quando mi è arrivata una lettera da M. in cui mi comunicava la sua gioia per questa scoperta, mi sembrava di sognare. Dopo circa quattro anni di separazione, sono andato a trovarla all’ospedale, dov’era ricoverata. Arrivo senza preavviso e nella semioscurità della stanza i nostri sguardi s’incontrano. “Ti darò un cuore nuovo” dice la Scrittura: nel silenzio sboccia un amore nuovo, che ha ora tutta un’altra misura, quella di esser pronti ad amarci come Gesù ci ha amato. Quella promessa che si legge sul Vangelo “Dove due o più sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”, si realizza anche per noi: Gesù, il Risorto in mezzo a noi è diventato luce, gioia, forza in tutti questi anni di matrimonio, presenza che ha sostanziato i rapporti con i nostri 6 figli, ormai tutti grandi, e con tante famiglie e persone con le quali abbiamo condiviso un grande tratto di vita». Tratto da Storie di fraternità – spazio al dialogo tra vecchi e nuovi cittadini, in www.loppiano.it (altro…)
Feb 12, 2005 | Cultura
Messaggio di Chiara Lubich Sin dall’inizio del Movimento dei Focolari, il carisma donatoci dall’Alto ci ha rivelato nuovamente che Dio è Amore. I nostri occhi si sono allora aperti e, benché la guerra divampasse attorno a noi (eravamo a Trento nel 1943), abbiamo scorto Dio presente dappertutto col suo amore: nelle nostre giornate, negli avvenimenti gioiosi e confortanti, nelle situazioni tristi e difficili… Questa fede profonda e adamantina in Dio Amore ha immediatamente suscitato tra noi, prime e primi focolarini, un nuovo e fortissimo legame. Ci sentivamo figlie e figli del Padre che è nei Cieli e, per questo, sorelle e fratelli. Inoltre il comandamento che Gesù chiama “mio” e “nuovo”: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 13,34), ci è apparso come la sintesi dei desideri di Dio ed è stato per noi logica conseguenza prometterci di esserne la realizzazione e porlo a base della nostra vita. Nasceva così un nuovo stile di vita nella Chiesa, una spiritualità personale sì, ma comunitaria insieme, adeguata alle esigenze del nostro tempo, caratterizzato dall’intensificarsi dei rapporti interpersonali e dall’interdipendenza fra i popoli. Dio, che si manifestava a noi quale Egli è: Amore, si rivelava Amore anche in se stesso: Padre, Figlio e Spirito Santo. E il dinamismo della sua vita intratrinitaria ci appariva come reciproco dono di sé, mutuo annullamento amoroso, totale ed eterna comunione. Nel Vangelo di Giovanni sta scritto: “Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie” (Gv 17,10) tra Padre e Figlio nello Spirito. Analoga realtà è stata impressa da Dio nel rapporto tra gli uomini. Come il Padre nella Trinità è tutto per il Figlio ed il Figlio è tutto per il Padre così – m’è parso di capire – che anch’io sono stata creata in dono a chi mi sta vicino e chi mi sta vicino in dono per me. E, per questo, il rapporto tra noi è amore, è Spirito Santo: lo stesso rapporto che c’è fra le Persone della Trinità. Immersi in questa luce, abbiamo visto, come qui sulla terra tutto è in relazione d’amore con tutto, ogni cosa con ogni cosa. Non sempre o raramente la nostra razionalità, o sensibilità, è capace di cogliere questa verità. Siamo spesso in grado di vedere solo una parte della realtà e vengono più in rilievo i rapporti sociali difficili, contrassegnati dalla contraddizione e dal conflitto. E diventa arduo, specie nella complessa società odierna, individuare rapporti di concordia, di comunione. Il nostro carisma ci ha indicato nella fraternità un principio spirituale che è al contempo una categoria antropologica, sociologica, politica…, capace di innescare un processo di rinnovamento globale della società. L’amore fraterno stabilisce ovunque rapporti sociali positivi, atti a rendere il consorzio umano più solidale, più giusto, più felice. La nostra esperienza di più di sessanta anni ci dice che questi rapporti fraterni vissuti sia nella quotidianità della vita personale, familiare e sociale, sia nella vita delle istituzioni politiche e delle strutture economiche, liberano risorse morali e spirituali inaspettate. Sono relazioni nuove, piene di significato, che suscitano le più varie iniziative, che creano strutture a beneficio del singolo e della comunità. In base a questa esperienza si può quindi affermare che la fraternità universale non solo non è un’utopia, un desiderio bello e auspicabile, ma irrealizzabile. Essa è piuttosto una realtà che sempre di più si va facendo strada nella storia. Si potrà osservare che il contrasto e il conflitto sono presenti nella vita relazionale delle società umane ad ogni livello. Ciò è sicuramente conseguenza e frutto di quel mistero del male che investe, oltre che la nostra vita personale, anche il nostro vivere in società. Ma il nostro carisma ci ha indicato sin dagli inizi una chiave di comprensione di questo mistero e, con essa, il modello del superamento di ogni disunità: Colui che ha ricomposto l’unità fra Dio e gli uomini e degli uomini fra di loro. E’ Gesù, che in croce grida: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46; Mc 15,34). In quel dolore straziante di un Dio che si sente abbandonato da Dio, ogni dolore, ogni sofferenza, ogni disunità è racchiusa e assunta e… tramutata in amore. Gesù infatti è venuto in terra a offrire la sua vita perché tutti siano uno (Ut omnes unum sint). Gesù, nell’abbandono ha pagato per il raggiungimento di questa meta. Da noi vuole una mano per realizzarla nell’oggi. Auguro a tutti i presenti che in questi giorni si possano costruire veri rapporti di fraternità, così che l’impegno intellettuale sia supportato da una autentica esperienza di vita comunitaria. Che Maria, la Madre del Bell’Amore, Colei che per prima ha imparato dal Figlio suo il messaggio della fratellanza universale, Colei che andò da Elisabetta per aiutarla e servirla nel bisogno, Colei che, vera “persona sociale”, ha creato con il Verbo fatto carne e con i discepoli suoi, una famiglia dove l’amore univa, cresceva, circolava e traboccava su tutti, guidi e illumini l’intero congresso. Nell’ amore fraterno Chiara Lubich (altro…)
Feb 12, 2005 | Cultura
Intervento di Vera Araújo Non è certo usuale, nella storia delle discipline che hanno per oggetto formale l’analisi della società o gli interventi sul/nel sociale, la ricerca di un accostamento con la spiritualità. Non mi riferisco ovviamente ad uno studio della religione come fattore di cambiamento sociale o come elemento integratore di formazioni sociali in diversi periodi storici. La formulazione che intendo porre è più ardita: può una spiritualità nel suo complesso, o uno o più elementi di una spiritualità, fungere da agente ispiratore per le nostre discipline sociali nelle loro riflessioni teoriche, nei loro schemi di applicazione pratica, nelle loro metodologie? Mi rendo perfettamente conto di aver messo il piede su un terreno estremamente scosceso, pieno di ostacoli, di controversie, di dibattito acceso. Non intendo, nel modo più assoluto, inoltrarmi in questo tipo di disputa. Vorrei, più semplicemente, narrare la nostra esperienza che – come ogni esperienza – è limitata, va posta all’interno di un certo contesto e indubbiamente offre il fianco a mille analisi e obiezioni. Ciononostante, ritengo valido affrontare questo rischio e offrire lo stesso alcuni primissimi frutti della nostra fatica, augurandomi che queste incomplete riflessioni siano percepite e accolte per quello che sono, ovvero, uno sforzo e un tentativo di comunicare qualcosa in cui crediamo e di cui viviamo e siamo perché costatiamo sempre di più la sua validità. Il contesto da dove partiamo è la spiritualità che il Movimento dei Focolari offre, spiritualità dell’unità, dunque, spiritualità comunitaria – e quindi costitutivamente con influsso nel sociale – che costituisce la nostra ispirazione, la nostra fonte di studio e di ricerca. Una spiritualità è una visione complessiva dell’esistenza, un modo offerto a tutti, di guardare, comprendere e vivere la realtà partendo da un riferimento religioso; una spiritualità cristiana guarda, comprende e vive la realtà dall’angolazione di uno o più elementi del messaggio evangelico, del messaggio del Nazareno. La prospettiva della spiritualità dei Focolari è l’unità, quell’unità che è frutto e compimento dell’amore-agape, cioè dell’amore con quelle caratteristiche proprie dell’insegnamento di Gesù di Nazaret, con tutta la sua ricchezza non solo teologica ma anche antropologica e sociale. «L’unità – scrive Chiara Lubich – è la parola sintesi della nostra spiritualità. L’unità, che per noi racchiude in sé ogni altra realtà soprannaturale, ogni altra pratica e comandamento, ogni altro atteggiamento religioso». L’unità intesa, dunque, come valore spirituale e non solo, vista come forza capace di comporre effettivamente la famiglia umana superando tutte le divisioni, non solo territoriali, ma anche quelle frutto di scelte politiche, di condizioni etniche, linguistiche, sociali, religiose (cf 1 Cor 12). Allora si può cogliere e comprendere il Testamento di Gesù – «Che tutti siano uno» (Gv 17,21) – come un’enorme risorsa per le relazioni di ogni tipo perché contiene in sé il germe di ogni forma di integrazione e unità, nel rifiuto e superamento di ogni discriminazione, guerra, controversia, nazionalismo, ecc. L’unità compone ogni relazione fra persone, gruppi, comunità, stati, apportandovi, nell’integrazione dei diversi attori sociali, una serie di contenuti valoriali indirizzati ad un compimento di senso e significato. L’unità, poi, nel suo versante sociale si chiama fraternità, categoria di portata non più solo cristiana, ma universale: «Voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8). «Gesù, modello nostro – è convinzione fin dai primi tempi del Movimento – ci insegnò due sole cose che sono una: ad essere figli d’un solo Padre e ad essere fratelli gli uni gli altri». «Egli – afferma ancora la Lubich – rivelando che Dio è Padre, e che gli uomini, per questo, sono tutti fratelli, introduce l’idea dell’umanità come famiglia, l’idea della “famiglia umana” possibile per la fraternità universale in atto. E con ciò abbatte le mura che separano gli “uguali” dai “diversi”, gli amici dai nemici. E scioglie ciascun uomo da ogni rapporto ingiusto, compiendo in tal modo un’autentica rivoluzione esistenziale, culturale, politica». Lungo i secoli, c’è una storia della fraternità, nel suo intento di informare e penetrare vita e fatti religiosi, sociali, politici, nonché le istituzioni. Questa storia conosce momenti di successo teorico e pratico (come non pensare alla fraternità monastica che determina la rinascita dell’Europa tra il quinto e il sesto secolo; o alle Reduciones dei gesuiti nel cono Sud dell’America latina, vero esempio di incontro culturale nell’opera di evangelizzazione, di riscatto e crescita economica e sociale), ma anche fallimenti e tradimenti cocenti (basti ricordare le guerre di religione in Europa con il loro seguito di sofferenze e morte, le crociate in Medio Oriente, il saccheggio dell’Africa nell’epoca coloniale). Eppure è possibile e doveroso individuare un percorso – anche se accidentato e tortuoso – di crescita e maturazione della fraternità. La fraternità, poi, emerge nella modernità come categoria sociale e politica nel trittico della rivoluzione francese: liberté, égalité, fraternité. Si legge nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789): «Tutti gli uomini nascono liberi e uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza». In verità questo trinomio esprime e dà volto al dinamismo di una umanità una e molteplice. Una: nel riconoscimento della dignità di ognuno e nell’affermazione dell’uguaglianza sul piano relazionale; molteplice: nella diversità delle sue espressioni culturali, sociali, politiche, ecc. La lettura ideologica di questi valori diede vita a mediazioni storiche variegate e in contrasto – a volte anche aspro e conflittuale – tra loro. Lo spirito borghese lesse la libertà prevalentemente come allargamento del potere economico e delle libertà individuali, favorendo di fatto i detentori del capitale e dei mezzi di produzione a scapito del proletariato nascente. L’uguaglianza trovò posto come affermazione solenne nei codici giuridici divenendo, poco a poco, più formale che reale. La fraternità si risolse in ristretti accordi di interessi della classe privilegiata e in realtà rimase disattesa, distante da ogni riflessione e prassi sociale e politica. La reazione fu il collettivismo socialista o scientifico con una sua lettura della libertà intesa quasi esclusivamente sul piano economico a detrimento della libertà più interiore e profonda; la uguaglianza divenne egualitarismo e la fraternità si chiuse negli angusti spazi della classe. Forse oggi è possibile una lettura più completa e ricca del trinomio, per ritrovarvi un nuovo equilibrio tra i tre elementi. Lo stesso insegnamento della storia ci sembra indichi nella fraternità il fondamento dell’intero edificio, l’amalgama che lega gli altri due dando loro senso e significato. Perché? Perché la fraternità è la pienezza della reciprocità che, a sua volta, ci offre una chiave di lettura per un’ulteriore comprensione dell’autentica uguaglianza e della libertà. «L’elemento base del trinomio, sul piano della garanzia vitale, è la fraternità. L’elemento condizionante è la libertà, come capacità di promuovere quella dell’altro. L’elemento verificante è l’applicazione universale». La comprensione dei rapporti o delle relazioni sociali lungo la storia della sociologia si avvale dei diversi paradigmi che l’hanno illuminata, finora piuttosto in opposizione tra loro. La conoscenza delle dinamiche relazionali passa attraverso l’analisi dell’integrazione (Durkheim), della competizione (Weber), dell’alienazione (Marx), del conflitto (Dahrendorf) e così via. A loro volta, i paradigmi si basano su un postulato che ha a che vedere con una visione antropologica. Senza questo sarebbe abbastanza arduo, se non impossibile, una spiegazione, non dico chiara, ma almeno intelliggibile della realtà sociale stessa. Non solo, trova consenso quasi unanime il fatto che questi paradigmi vengono influenzati e, quindi, pagano un tributo reale al contesto socio-culturale da cui sono nati e in cui si sono sviluppati e realizzati. Questo rapporto tra teorie sociologiche e contesto storico-sociale è già stato messo in evidenza con chiarezza dal prof. Iorio nel suo intervento. Attualmente ci troviamo nel bel mezzo di un cambiamento strutturale-culturale di notevole portata e di esito ignoto. La celerità dei mutamenti in corso, il loro influsso sugli stili di vita, sulle conoscenze e sulla cultura, nonché sull’organizzazione socio-politica è tale da prevedere un nuovo tipo di società i cui contenuti, aspirazioni valoriali (o antivaloriali), linee di pensiero portanti, sistemi di comunicazione e assetto politico-sociale sono al momento inimmaginabili. Il noto filosofo della scienza Thomas Kuhn, affermava che ogni rivoluzione scientifica – e non c’è dubbio che l’attuale cambiamento abbia questa connotazione – non solo trasforma l’immaginazione scientifica tout court, ma trasforma in modo profondo il mondo stesso entro il quale viene realizzato il lavoro scientifico. Possiamo allora pensare che questa nuova situazione in pieno movimento, possa generare, o richiedere, o attendere nuovi paradigmi capaci a loro volta di suscitare o produrre teorie sociali nuove? Detto al contrario, il sorgere di un nuovo paradigma sta ad indicare che la società che si sta affacciando ha bisogno di un nuovo punto di riferimento, di una nuova prospettiva per illuminare, spiegare i propri lineamenti, chiarire le proprie aspirazioni e spingere verso nuovi traguardi? Mentre nell’attuale panorama delle scienze sociali si affacciano nuovi modelli interpretativi quali la rete (Barnes-Bott), il dono (Caillé, Godbout) e la stessa relazione sociale (Touraine, Donati, Bajoit), alla ricerca di una nuova chiave di lettura e interpretazione della tarda-modernità, noi crediamo che il binomio unità-fraternità possa costituire un paradigma o un modello innovativo e capace di condurre le scienze sociali, nel nostro caso in special modo la sociologia e il campo delle politiche sociali e dell’esistenza sociale, verso sentieri inediti e ancora inesplorati. Questa convinzione non parte solo da un dato teorico, ma dalla constatazione dell’incisività dell’unità-fraternità sui comportamenti e sulle scelte di milioni di attori sociali individuali e collettivi che agiscono nei più svariati settori della vita sociale, a dimensione planetaria. Il Movimento dei Focolari con i suoi otto milioni di membri e aderenti – nelle sue branche, diramazioni, movimenti di massa, opere sociali, cittadelle di testimonianza, dialogo a tutto campo – rappresenta un formidabile laboratorio dove si sta sperimentando cosa significhi considerare e vivere l’ “unità-fraternità” come principio ispiratore della convivenza sociale. Tale realtà non è più un fatto di nicchia, ma oggi è riconosciuto, anche a livello di scienziati, come un fenomeno sociale di sicuro influsso sulla società. In occasione del conferimento del Dottorato honoris causa in scienze sociali a Chiara Lubich da parte dell’Università di Lublino (Polonia), il prof. Adam Biela – allora decano di quella facoltà – ha affermato nella sua Laudatio: «L’azione del Movimento dei Focolari costituisce un vivo e reale esempio di applicazione nei rapporti sociali del paradigma dell’unità, così tanto necessario alle scienze sociali perché esse acquistino una nuova forza di applicazione – capace di curare e di prevenire la patologia sociale, i conflitti, le malattie psicogene, le aggressioni manifeste, le guerre e i crimini (…) «L’attività sociale di Chiara Lubich, intrisa del carisma dell’annuncio dell’unità evangelica, costituisce un’ispirazione viva ed un esempio per le scienze sociali incitante a creare un paradigma interdisciplinare di unità, come fondamento metodologico per la costruzione di modelli teorici, di strategie di ricerca empirica e di schemi di applicazioni. Chiara Lubich, dapprima insieme alle sue collaboratrici, e poi ai suoi collaboratori, ha creato un nuovo fenomeno sociale che, indicando la possibilità di applicazione per il nuovo paradigma di unità, può avere un importante ruolo ispiratore che, a mia convinzione, ha chance di trovarsi alla base delle scienze sociali e di significare tanto quanto la rivoluzione copernicana per le scienze naturali». Parole molto impegnative ma non per questo meno vere se le riteniamo non tanto lo specchio di una realtà già compiuta, quanto le potenzialità di un carisma che chiede e ambisce, e ha già cominciato da lungo tempo, a diventare un fatto concreto. Ancora, parole che invitano al lavoro di studio e di ricerca, cariche di fascino. Detto questo, mi accingo, non senza timore e senso dei limiti del mio balbettio, ad offrire alcune primissime indicazioni dei contenuti insiti nel modello “unità-fraternità”. Non si tratta ovviamente di un abbozzo di teoria e, tanto meno, di un pensiero articolato. Sono solo spunti di riflessione, indicazioni, punto di partenza per un ulteriore lavoro di approfondimento e scavo che ci auguriamo di portare avanti, adesso e per quanto possibile anche in futuro, assieme a tutti voi. L’unità-fraternità come relazione Si potrebbe pensare che caratterizzare il nostro discorso sul valore della persona ci dovrebbe, in certo qual senso, far prendere le distanze da approcci olistici, preferendo quelli dell’individualismo metodologico che pone l’attore sociale e le sue scelte al centro della costruzione teorica. Ma le cose non stanno propriamente così. Anzitutto perché la categoria di individuo può risultare assai povera, astratta e chiusa, mentre l’idea di persona appare ricca di identità, di carica valoriale e soprattutto di relazioni societarie e comunitarie, in una parola, ricca di storia. Secondo Horkheimer e Adorno «Affermando che la vita umana è essenzialmente e non solo casualmente convivenza si rimette in questione il concetto dell’individuo come atomo sociale ultimo. Se nel fondamento stesso del suo esistere l’uomo è attraverso altri, che sono i suoi simili, e solo per essi è ciò che è, allora la sua definizione ultima non è quella di una originaria indivisibilità e singolarità, ma piuttosto quella di una necessaria partecipazione e comunicazione agli altri. Prima di essere – anche – individuo, l’uomo è uno dei simili, si rapporta ad altri prima di riferirsi esplicitamente a se stesso, è un momento delle relazioni in cui vive prima di poter giungere eventualmente ad autodeterminarsi. Tutto ciò viene espresso nel concetto della persona…» Persona vuol dire relazione, possibilità e capacità di porsi davanti all’altro e venire da esso riconosciuto. «La persona emerge presso di noi tutti e presso ciascuno soltanto quando il ri-conoscimento contiene in sé sia la designazione–indicazione empirico-cognitiva sia la reazione alla designazione-indicazione stessa. Mediante la designazione-indicazione io riconosco che alter è un idraulico, un collega di Facoltà, un venditore di frutta. La persona emerge allorché la designazione fa scattare una reazione morale, e quindi alter viene incluso nell’universo morale di ego collocandolo all’interno di una responsabilità priva di sanzione e di contraccambio». Le persone compongono la relazione che li avvolge, li comprende, li contiene, li trasforma condizionandoli dall’esterno e stimolandoli dall’interno. La relazione allora diventa una realtà fra i due o più, nata e alimentata dal loro essere e dal loro agire e, a sua volta, alimenta il loro essere e il loro agire, li aiuta a crescere e maturare in un dato modo e con una crescente profondità di vita. Una qualità primaria dell’unità-fraternità ispirata ad una prospettiva cristiana è l’universalità. Ciò significa distendere i rapporti fraterni oltre i vincoli del rapporto parentale e dei legami familiari per raggiungere ed abbracciare ogni essere umano, uomo o donna, cittadino o straniero, della mia o dell’altrui razza, patria, etnia, religione, considerato e accolto come un fratello, una sorella. Si può anche asserire che tutti sono fratelli e sorelle proprio perché l’intera umanità è radunata dal Cristo come un’unica famiglia. La fraternità costituisce un valore così costitutivo dell’umanità e così universale, che la si trova in qualche misura affermata in tutte le grandi religioni. Per rimanere in ambito cristiano e portarlo alle sue ultime conseguenze, bisogna aggiungere che la preghiera del Cristo prima del suo avviarsi all’evento passione e morte: «Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io sono in te, siano anch’essi una cosa sola in noi» (Gv 17,21), indica la relazione trinitaria delle tre Persone divine come il fondamento e il modello del relazionarsi degli esseri umani. Il donarsi reciproco dei Tre in una relazione agapica costituisce il loro essere Persona. Analogamente avviene fra gli esseri umani. «Più tu dai, più ti realizzi, più tu sei, perché si ha ciò che si dà, ciò che si dà ci fa essere». L’unità-fraternità richiede unità e distinzione La relazione di unità-fraternità esige e richiede per compiersi, il darsi contemporaneo dell’unità e della distinzione. Ravvisare la presenza simultanea dei due elementi non è solo importante ma necessario perché l’unità ben concepita rafforza e realizza una sana simbiosi fra le parti della relazione pur mantenendole distinte. La distinzione, a sua volta, sottolinea, preserva e tutela l’identità di ciascuno, impedendo ogni assorbimento, dipendenza o sottomissione, e allo stesso tempo mantenendola nell’unità. Ancora solo grazie alla distinzione, ognuno diventa attore e prende iniziative per alimentare e arricchire l’unità. Allora, la distinzione opera una differenziazione che, in certo modo, significa “opposizione”, non certo nel senso di contrapposizione, contrasto o conflitto, ma nel senso che ognuno “essendo l’altro” diventa più pienamente se stesso. Come è possibile che ciò si realizzi, che la relazionalità non sfoci nell’esclusione reciproca? La vera intersoggettività come unità nella distinzione o nella differenza, è possibile quando si ha l’esperienza cognitiva ed affettiva profonda del proprio io e di quello dell’altro fino al punto di cogliersi e di cogliere gli altri come centri di essere autonomo, autocosciente, libero; uguali, nella propria dignità e, nello stesso tempo, diversi. Differenza vuol dire anche coscienza che si ha qualcosa di unico da offrire all’altro o all’insieme. Da qui tutta la dinamica e la necessità di saper prendere iniziative per dar impulsi nuovi all’unità e la prontezza nel perdere i propri eventuali ‘doni’ se non fosse il momento di offrirli. Allora, non solo ognuno non è l’altro ma anche ognuno è se stesso solo attraverso l’altro. D’altra parte l’unità opera un congiungimento e una fusione molto intensa ed una intima comunanza di sentire senza però mai annullare la distinzione. Si può anche configurare e ipotizzare un relazionarsi fraterno che comporta l’unità-distinzione a livello non solo micro ma anche a livello macro: fra comunità, popoli, etnie, nazioni, stati, religioni, istituzioni. Il processo di mondializzazione lo richiederebbe come dimensione necessaria della nuova realtà sociale che si va prospettando. La fraternità potrebbe essere in grado di attivare nelle relazioni internazionali un plus nuovo e innovativo, certamente difficile e complesso da articolare e realizzare, ma fattibile e decisivo per il futuro dell’umanità. Infatti, in questo senso, la storia offre esempi non trascurabili. L’unità-fraternità come reciprocità Uno dei dinamismi dell’azione sociale è quello di essere reciproca. Già Weber indica la reciprocità come un dinamismo dell’azione sociale. Lo stesso fa Simmel per il quale tutto avviene nella relazione sociale da lui definita come azione reciproca. La relazione sociale è la categoria teorica fondamentale, che deve essere intesa come interazione, ossia azione reciproca. «Per Simmel il fenomeno sociale non è una emanazione di un soggetto e neppure di un sistema astratto più o meno posto a-priori. Il sociale è il relazionale in quanto tale, ossia l’azione reciproca in quanto inter-azione che produce, si incorpora e si manifesta in qualcosa che, pur non visibile, ha una sua “solidità”». Simmel stesso spiega come si costituisce questo processo fra individui che dà vita ad una realtà nuova e che ha vita propria al di là degli elementi da cui deriva. «La vita della società consiste nelle relazioni reciproche dei suoi elementi–relazione reciproche che in parte si sviluppano in azioni e reazioni momentanee ed in parte si consolidano in strutture definite: in uffici e leggi, ordinamenti e proprietà, lingua e mezzi di comunicazione. Tutti questi effetti sociali reciproci nascono sulla base di determinati interessi, scopi ed impulsi. Questi formano al tempo stesso la materia che si realizza socialmente nello stare insieme degli individui l’uno accanto all’altro, l’uno per l’altro o l’uno con l’altro». Sia Weber che Simmel cercano di spiegare questa reciprocità: dettata da un senso dato dal soggetto (Weber), o in vista di determinati scopi (Simmel). Si può dire che l’unità-fraternità genera la reciprocità nell’amore, che è agape, specchio e riflesso dell’Agape trinitaria («Dio è Amore» 1 Gv 4,8). «Il Dio della religione è il Dio della relazione: l’unità concepita come interazione». Ci troviamo davanti a un tipo particolare di amore che non si aggiunge agli amori umani (paterno, materno, filiale, amicale, sponsale) ma li informa tutti, sottostà a tutte le possibilità di amore nelle loro diverse sfumature. Cosicché ogni tipo di amore umano è più pienamente tale nella misura in cui si modella sulla fraternità. Reciprocità, secondo il modello trinitario, nella concretizzazione del comandamento di Gesù: «Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34), significa ancora mutua inabitazione, ovverosia, il mutuo contenersi, il reciproco essere l’uno nell’altro e l’altro nell’uno, fino a compenetrarsi in modo che i soggetti si uniscono distinguendosi e si distinguono, unendosi. La relazione fraterna è essenzialmente reciproca, come movimento che va e che torna, carico di valori quali la fiducia, l’accoglienza, l’ascolto, il dono, la condivisione, ed è orientata a superare e risolvere il contrasto, il conflitto, la contrapposizione, la rottura. La conseguenza è la piena e autentica realizzazione dell’intersoggettività degli attori coinvolti nella relazione, allorché vivono l’impegno reciproco l’uno verso l’altro. In questo modo si danno le condizioni per una più piena realizzazione della persona. L’unità-fraternità come dono Al di là dei paradigmi dell’individualismo metodologico e dell’olismo collettivista, oggi il dono viene presentato addirittura come un “terzo paradigma” che risponde ai paradigmi precedenti con una logica di libertà e gratuità nei suoi tre momenti costitutivi: dare, ricevere, restituire. Il dono appare così, anche da un punto di vista sociologico, come un concetto forte di riferimento per la descrizione, la comprensione e l’interpretazione della dinamica delle relazioni sociali. «Il dono contiene un ineliminabile risvolto di socialità e di relazionalità; e in esso è presente una concretezza di espressioni e di conseguenze, anche indipendentemente dagli orientamenti interni o interiori – ad esempio caritatevoli, filantropici o “interessati” – di chi lo pone in essere» . I sociologi del MAUSS – Movimento antiutilitaristico nelle scienze sociali – definiscono il dono come «ogni prestazione di beni o servizi effettuata, senza garanzia di restituzione, al fine di creare, alimentare o ricreare il legame sociale tra le persone». Il problema della restituzione come elemento costitutivo e indispensabile del dono era già stato posto da Marcel Mauss nel suo “Essai sur le don” nel 1924, senza peraltro risolvere la questione. Infatti, secondo molti autori il problema è rimasto aperto. Un tentativo di soluzione si è avuto con l’indicazione e la ricerca di una logica di reciprocità come spiegazione della necessità della restituzione. Essa, la reciprocità, sarebbe la ragione della contropartita in tutte le situazioni. L’interrogativo che persiste è: rimane ancora la responsabilità negli attori nell’atto di donare, ricevere e contraccambiare? Recentemente in una conferenza tenuta in Germania, il filosofo Paul Ricouer, sotto l’influsso di M. Henaff (“Le prix de la vérité”) indica una nuova soluzione: «(Se gli attori) devono essere veramente gli attori della reciprocità la sola via aperta è di dire che il dono è il pegno e il sostituto di un riconoscimento reciproco che non si riconosce affatto; dunque il riconoscimento non può attestarsi che nel pegno del regalo. (…) «Il regalo è senza prezzo: non che non abbia avuto un costo; ma nell’atto dello scambio non appare per il suo prezzo – è il senza prezzo. Ed è nelle esperienze non commerciali che abbiamo la possibilità del regalo come pegno e come sostituto di un riconoscimento reciproco». Ecco come Simmel spiega l’azione reciproca del donare e dell’accettazione del dono: «In ogni donare, al di là del valore intrinseco del dono, è inserito un valore spirituale in base al quale non possiamo assolutamente sciogliere o annullare con un altro dono esteriormente equivalente il legame interiore venutosi a creare con l’accettazione del dono. L’accettazione del dono non è solo un arricchimento passivo, ma anche una concessione del donatore. Come nel donare anche nel farsi donare si evidenzia una predilezione che va ben al di là del quanto di valore del suo oggetto». Nell’unità-fraternità il dono viene vissuto in una dimensione ancora più ampia e profonda, più avvolgente lo stesso nostro essere. «Ho sentito – scrive Chiara Lubich – che sono stata creata in dono a chi mi sta vicino e chi mi sta vicino è stato creato da Dio in dono per me. Come il Padre nella Trinità è tutto per il Figlio ed il Figlio è tutto per il Padre» . La fraternità inoltre rivela e spiega in che cosa consista l’essenza del dono. «L’uomo origina le società grazie ad una generosità radicale che si trova inscritta nel suo essere, nella sua vita, nella sua intelligenza e nell’amore, che gli consentono il dialogo con gli altri e di sovrabbondare nel dono di sé». L’essere umano dunque è un essere per il dono e questa sua qualità viene trasferita in tutti i legami e in tutte le relazioni in cui esso è coinvolto. Dono, dunque, è sinonimo di amore. Il dono non è altro che amore in atto, che non solo non si chiude, ma è di per sé diffusivo. L’amore richiede il dono, chiede ad ogni agente sociale, individuale o collettivo, di trasformarsi e di agire come un donatore. «E amare significa donarsi: pensare al fratello vivendolo…» (Lubich, Scritti inediti). La relazione fraterna simbolo compiuto dell’amore-agape si carica così di contenuti. E’ un puro dono ma non disdegna lo scambio e la reciprocità, anzi, la richiede, ma in un profilo alto. Non include ciò che si può comprare, vendere, possedere e consumare, ma si innalza verso la libertà e l’amore. Il dono di sé all’altro si manifesta pure nel dare beni spirituali e materiali, come condivisione e comunione di beni. «Così l’amore circola e porta naturalmente (per la legge di comunione che vi è insita), come un fiume infuocato, ogni altra cosa che i due possiedono per rendere comuni i beni dello spirito e quelli materiali». La condivisione e la comunione dei beni rafforzano i legami fraterni creando una vera arte del dare ricca di ulteriori atteggiamenti ben precisi: gratuità, oblatività, larghezza, letizia, reciprocità. L’unità-fratenità come comunione La categoria “comunione” non è molto usata in sociologia, anzi, direi che è distante dal linguaggio sociologico e, comunque, in certo modo quasi sconosciuta. Eppure oggi va guadagnando terreno ed emergendo come un concetto molto ricco e con molte valenze. Essa è ovviamente anzitutto categoria che trova largo uso e cittadinanza nell’ambito della spiritualità e della teologia cristiane. Infatti in questo senso si può asserire che la comunione trova la sua fonte generatrice nella comunione di vita di Dio stesso nel suo essere Trinità, comunione d’amore tra Persone. La comunione trinitaria è dunque il fondamento ontologico di ogni forma di comunione, come sostanza e come vita. Ed è così che diventa pure categoria antropologica. Giovanni Paolo II nella lettera enciclica Sollicitudo Rei Socialis afferma: «Al di là dei vincoli umani e naturali, già così forti e stretti, si prospetta alla luce della fede un nuovo modello di unità del genere umano (…). Questo supremo modello di unità, riflesso della vita intima di Dio, Uno in Tre Persone, è ciò che noi cristiani designiamo con la parola comunione» (n. 40). L’insigne teologo Klaus Hemmerle, già vescovo di Aquisgrana, sottolinea e spiega questo rapporto, questa relazione tra la divinità e l’umanità: «Il nostro essere personale è assunto nella comunione di vita e di amore, tra Padre, Figlio e Spirito; ma con ciò io e soltanto io non posso più rappresentare il punto di partenza ed il punto finale del mio essere, ma posso vivere l’esistenza trinitaria soltanto nella reciprocità, nel “noi”, che tuttavia non dissolve l’io e il tu, ma li costituisce». E’ evidente che, anche non considerando questo fondamento spirituale, la convivenza sociale relazionale, intesa come interazione, si compie nella comunione. E’ così che la comunione assurge anche a categoria economica con l’“Economia di Comunione”. Essa è un progetto economico lanciato da Chiara Lubich in Brasile nel 1991 e che poggia su due colonne portanti: la condivisione degli utili dell’impresa con i bisognosi e l’inserimento della comunione nelle relazioni economiche. Se il primo elemento esige il superamento della cultura dell’avere per assumere la cultura del dare, il secondo implica lo scavalcamento della razionalità formale o strumentale e l’assunzione di una razionalità “espressiva” o “non strumentale”. Le aziende che aderiscono al Progetto EdC stanno enucleando delle linee di condotta dell’impresa che ruotano attorno al concetto di comunione come essenza delle relazioni aziendali all’interno (con i lavoratori, clienti, fornitori, ecc.) e all’esterno (con il fisco, il territorio, la concorrenza, ecc.). Questo implica privilegiare, nei rapporti interpersonali, le motivazioni, i valori e dare enfasi a tematiche come la fiducia, la reciprocità, ecc. La comunione in economia offre alla scienza economica nuovi stimoli e nuove possibilità di risolvere le proprie contraddizioni con i suoi effetti perversi, innescando un circolo virtuoso in cui trovano luogo nuovi elementi più positivi e più propositivi. La comunione, ancora, trova spazio come categoria giuridica all’interno del cosiddetto Diritto Sociale che deriva direttamente dal funzionamento dei gruppi sociali. Georges Gurvitch è stato colui che meglio ha compiuto l’opera di sistematizzazione della tradizione che sfocia nel Diritto Sociale, da lui denominata pure Diritto di Comunione. Secondo Gurvitch il «”Diritto Sociale”, è un diritto autonomo di comunione che integra in forma obiettiva ogni totalità attiva reale, che incarna un valore positivo extratemporale. Questo diritto si deriva direttamente dal “tutto” in questione per regolare la sua vita interiore indipendentemente dal fatto che questo “tutto” sia organizzato o in-organizzato. Il “Diritto di comunione” fa partecipare al “tutto” di forma immediata nella relazione giuridica che da lui emana, senza trasformare questo “tutto” in un soggetto separato dai suoi membri». Si può dunque dire che il “Diritto di comunione” e la comunione trovano, l’uno nell’altro, rispettivamente, la propria giustificazione. Questo “tutto” sociale – per i teorici del Diritto sociale – ha il significato di una “comunione immanente” dunque di una realtà allo stesso tempo giuridico-etica e giuridico-formale. Nel significato giuridico-formale questa “comunione immanente” indica e la comunità umana che si costituisce e il fatto che ci troviamo dinanzi a qualcosa che Gierk ha denominato “persona giuridica complessa”, caratterizzata dal fatto che il “tutto” non è trascendente rispetto ai membri che lo compongono ma neanche può confondersi con i membri in questione e nemmeno con la loro somma. Si può quindi definire la comunione in termini veramente etici e giuridici in coerenza con lo spirito della fraternità. Infine, ancor di più, la comunione è categoria sociologica. In una delle sue opere fondamentali Gurvitch compie una profonda analisi sulla manifestazione della socialità derivata dalla parziale fusione dei soggetti. Secondo il grado, l’intensità e la profondità di questa fusione egli distingue tre forme di socialità, da lui chiamate: un “Noi”. Queste tre forme sono: la Massa, la Comunità e la Comunione. Egli, poi, descrive abbondantemente le relazioni che si compiono tra gli Io, i Lui e gli Altri all’interno del “Noi”. «Un “noi” (come “noi francesi”, “noi militanti sindacalisti”, “noi studenti”, “noi genitori”) costituisce un tutto irriducibile alla pluralità dei suoi membri, una nuova unità indecomponibile, in cui tuttavia l’insieme tende ad essere immanente alle parti, e le parti immanenti all’insieme. Questa immanenza reciproca, che potrebbe anche definirsi come una partecipazione vicendevole dell’unità alla pluralità e della pluralità all’unità può assumere forme assai diverse nei differenti Noi». La comunione rappresenta il grado massimo d’intensità di partecipazione, di forza di attrazione e della profondità di fusione dei “Noi”. Si tratta a ben vedere del “Noi” più profondo, dove la fusione è massima e «riunisce le profondità più personali e più intime degli Io e degli Altri, nessun aspetto delle quali resta al di fuori della partecipazione e dell’integrazione nel Noi». Le riflessioni di Gurvitch si sviluppano nel campo della microsociologia e sono di indubbio interesse per una maggior comprensione delle relazioni faccia a faccia. Nel caso delle relazioni fraterne si esprimono una serie di dinamiche correlate che arricchiscono, danno unicità e ulteriore senso al rapporto stesso. Esso infatti include l’essere gli uni con gli altri, dove viene in evidenza la libertà e l’assoluta scelta di entrare e partecipare alla relazione; l’essere gli uni per gli altri che fa risaltare il “come” della relazione, ossia le sue modalità; l’essere gli uni negli altri che ancora sottolinea la capacità di essere e di fare dono di sé agli altri; l’essere gli uni grazie agli altri dove viene in luce che l’identità di ciascuno può esprimersi al meglio nella comunione reciproca tra loro. Si può ancora asserire che nella relazione fraterna la profondità dei rapporti, l’intensità dell’interazione e dei sentimenti di amore, di stima, affetto, fiducia – resi universali – compongono relazioni di comunione in grado di ispirare nella realtà sociale a tutti i livelli e ampiezza, un soffio positivo e suggeritore di armonia, equilibrio, ordine e, proprio per questo, di progresso, sviluppo e perfezionamento di notevole portata, tutti elementi particolarmente richiesti da una società caratterizzata da anomia e contrasti. (altro…)
Feb 12, 2005 | Cultura
In questo tempo di cambiamento epocale, al convegno è emersa da più voci l’urgenza di focalizzare l’attenzione non solo sui rapporti sociali contradditori e conflittuali, ma anche sui “rapporti di concordia e di comunione” in atto nella complessa società odierna. Lo ha evidenziato Chiara Lubich che, nel suo messaggio, ha indicato nella ’fraternità’ “un principio spirituale che è al contempo una categoria antropologica, sociologica, politica, capace di innescare un processo di rinnovamento globale della società”. La proposta nasce dall’esperienza pluridecennale sia a livello personale che a quello delle istituzioni politiche e strutture economiche. Il convegno è stato caratterizzato proprio dal dialogo, tipico della disciplina sociologica, tra teoria e esperienze realizzate nei più vari contesti culturali e sociali come quella del Centro culturale La Pira di Firenze, aperto a studenti stranieri di varie culture e religioni; di una comunità terapeutica italiana per ex-tossicodipendenti; del Centro internazionale per la famiglia della cittadella di Loppiano (Incisa Valdarno-Firenze), oltre all’esperienza di integrazione, a Fontem, nel cuore della foresta camerunese, tra europei al primo impatto con la cultura africana, e i Bangwa, un popolo profondamente ancorato alle proprie tradizioni.
Dalla lettura sociologica delle diverse esperienze, si sono evidenziati nuovi possibili modelli, nuovi schemi di applicazione, come il “paradigma dell’unità” di cui ha parlato il professore polacco Adam Biela, già Preside della Facoltà di sociologia dell’Università di Lublino, ora senatore. Categoria sviluppata dalla sociologa brasiliana Vera Araujo, come paradigma di unità-fraternità, capace di leggere le relazioni di unità e distinzione, di reciprocità, dono e comunione. A conclusione del Convegno – come ha detto Vera Araujo – è emersa “un’ incipiente comunità scientifica che assume ora questi paradigmi, queste nuove strategie di ricerca, per cercare insieme nuove prospettive per le scienze sociologiche”. (altro…)
Feb 9, 2005 | Cultura
IL VOLUME In The Ways and Power of Love – qui proposta in prima traduzione italiana assoluta –, Pitirim A. Sorokin, figura di spicco della sociologia del XX secolo, si dedica ad una esposizione ed analisi sistematica dell’amore, delle sue cause ed effetti, del suo significato umano ed universale. Consapevole infatti che «l’amore disinteressato ha enormi potenzialità creative e terapeutiche, molto più di quanto non pensi la maggior parte delle persone. L’amore è la forza vivificante indispensabile alla salute fisica, mentale e morale», Sorokin, con l’intento di arrivare ad una conoscenza integrale, analizza sette aspetti dell’amore: religioso, etico, ontologico, fisico, biologico, psicologico e sociale, con una particolare attenzione a questi ultimi.
Pubblicato per la prima volta nel 1954, quando Sorokin era alla guida dell’Harvard Research Center for Creative Altruism, per l’originalità e profondità di analisi, frutto certamente di un intuito straordinario, il saggio è oggi un classico della sociologia. L’AUTORE Pitirim Aleksandrovic Sorokin (1889-1968) visse da protagonista i drammatici eventi della Rivoluzione russa: fu arrestato per la sua opposizione allo zarismo nel 1911 e nel 1913, in seguito segretario del presidente Kerenskij, fu poi perseguitato sotto la dittatura leninista nel 1918 ed esiliato nel 1922. Nel 1923 si trasferì negli Stati Uniti per insegnare dapprima all’Università del Minnesota, quindi ad Harvard, dove fondò nel 1931 la Facoltà di Sociologia e successivamente l’Harvard Research Center for Creative Altruism. È da annoverare tra i massimi sociologi del secolo XX, ricevendo per la sua carriera accademica onori e riconoscimenti, tra cui, nel 1963, la presidenza dell’American Sociology Association. LA COLLANA La collana Società e socialità raccoglie studi di approfondimento sulla realtà sociale ed economica, alla ricerca dei fondamenti antropologici come orientamento nel mondo attuale caratterizzato dalla globalizzazione. Ed. Città Nuova – Roma, febbraio 2005 Pp. 784 – Prezzo: € 45,00 (altro…)
Feb 9, 2005 | Cultura
Africa – Un’esperienza quarantennale nel cuore della foresta camerunese è oggetto di un singolare rilevamento sociologico che verrà presentato il 12 febbraio 2005, al 1° Convegno internazionale promosso da Social-One, espressione in campo sociologico del Movimento dei Focolari. Sarà questo uno dei momenti più significativi del Convegno – che si svolgerà al Centro Mariapoli di Castelgandolfo dall’11 al 13 febbraio – incentrato su “Rapporti sociali e fraternità: paradosso o modello sostenibile? Una prospettiva a partire dalle Scienze sociali”.
Lo studio analizza in campo politico, antropologico e spirituale, l’evoluzione di una popolazione africana, i Bangwa, dal rischio di estinzione all’attuale sviluppo avvenuto sotto l’influsso dell’incontro con il carisma dell’unità del Movimento dei Focolari, portato da medici, insegnanti e giovani focolarini europei giunti a Fontem, sin dagli anni Sessanta, in soccorso di questo popolo. Il rilevamento sociologico analizza anche gli influssi di questo incontro sugli europei.
Di rilievo anche la presentazione della prima traduzione italiana, a cura di Città Nuova, del volume “Il potere dell’amore” (The ways and power of love) di Pitirim Sorokin, russo, emigrato negli Stati Uniti, figura di spicco della sociologia del XX secolo, che si dedica ad una esposizione ed analisi sistematica dell’amore, delle sue cause ed effetti, del suo significato umano ed universale. Pubblicato per la prima volta nel 1954, quando Sorokin era alla guida dell’Harvard Research Center for Creative Altruism, per l’originalità e profondità di analisi, frutto certamente di un intuito straordinario, il saggio è oggi un classico della sociologia.
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Feb 9, 2005 | Cultura
COMUNICATO STAMPA N. 1
Fontem – Camerun: Laboratorio di relazioni
Una lettura sociologica dell’evoluzione politica, antropologica e spirituale
del popolo Bangwa:
dal rischio di estinzione a modello di sviluppo
Presentazione della prima traduzione italiana del classico
“The ways and power of love” di Pitirim Sorokin
edito da Città Nuova
Castelgandolfo (Roma)
12 febbraio 2004
Africa – Un’esperienza quarantennale nel cuore della foresta camerunese è oggetto di un singolare rilevamento sociologico che verrà presentato il 12 febbraio 2005, al 1° Convegno internazionale promosso da Social-One, espressione in campo sociologico del Movimento dei Focolari. Sarà questo uno dei momenti più significativi del Convegno – che si svolgerà al Centro Mariapoli di Castelgandolfo dall’11 al 13 febbraio – incentrato su “Rapporti sociali e fraternità: paradosso o modello sostenibile? Una prospettiva a partire dalle Scienze sociali”.
Lo studio analizza, in campo politico, antropologico e spirituale, l’evoluzione di una popolazione africana, i Bangwa, dal rischio di estinzione all’attuale sviluppo avvenuto sotto l’influsso dell’incontro con un carisma moderno, il carisma dell’unità, portato da medici, insegnanti e giovani focolarini europei giunti a Fontem, sin dagli anni Sessanta, in soccorso di questo popolo. Il rilevamento sociologico analizza anche gli influssi di questo incontro sugli europei.
Lo studio verrà introdotto dal sociologo belga prof. Bennie Callebaut e sviluppato da studiosi originari del popolo Bangwa come il prof. Martin N. Nkafu, docente di Filosofia delle culture alle Pontificie Università Urbaniana e Lateranense di Roma e altri docenti universitari ora residenti in Stati Uniti e Gran Bretagna. Non mancherà la testimonianza dei primi focolarini giunti a Fontem, come il dott. Lucio Dal Soglio, e di quelli che vi operano attualmente. In programma per la sera una festa africana, a cui parteciperanno anche giovani africani di Kenya, Tanzania, Madagascar, Angola, Sudafrica, Uganda, Congo e, naturalmente, Camerun.
Di rilievo anche la presentazione della prima traduzione italiana a cura di Città Nuova, di un classico della sociologia: “The ways and power of love” di Pitirim Sorokin, grande sociologo russo, emigrato negli Stati Uniti, che analizza cause ed effetti, significato umano e universale delle potenzialità creative e terapeutiche dell’amore disinteressato. Interverranno sociologi di primo piano, come i prof. Raffaele Rauty, specializzato in Sociologia americana, Arturo Parisi, dell’Università di Bologna, e Michele Colasanto, Direttore della Facoltà di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano.
Il Convegno si aprirà con un messaggio di Chiara Lubich. Dopo la presentazione delle “Sfide della società complessa e globalizzata”, presentata dal prof. Vincenzo Zani, seguiranno riflessioni metodologiche su alcuni racconti di vita che verranno presentati da un assistente sociale argentino presso il Ministero delle Politiche sociali, dal Centro internazionale culturale interreligioso La Pira, di Firenze; da una comunità terapeutica per ex-tossicodipendenti italiana; dal Centro internazionale per la famiglia, della cittadella di Loppiano (Incisa Valdarno-Firenze).
Sabato mattina, la sociologa brasiliana Vera Araujo presenterà la relazione fondamentale sul tema del Congresso: “Rapporti sociali e fraternità: paradosso o modello sostenibile?”.
L’attualità della tematica “rapporti sociali” – L’interesse crescente della dimensione relazionale e le sfide della globalizzazione sollecitano la comprensione dei rapporti complessi e molteplici nel mondo contemporaneo. Aumenta tra gli scienziati del sociale l’esigenza di una maturazione teorica della loro disciplina. Diffusa è la domanda di nuovi modelli, di nuove strategie di ricerca, nuovi schemi di applicazione per rilevare non solo la realtà conflittuale, ma anche i nuovi fenomeni positivi e costruttivi.
Obiettivo del Convegno – Dal confronto e dialogo sugli studi e le acquisizioni a cui sono giunte sinora le scienze sociali, il Convegno cercherà di individuare prospettive per il futuro, proponendo la fraternità come categoria concettuale su cui fondare un nuovo paradigma scientifico.
La proposta di “Social One” – E’ proprio in questa direzione che sono impegnati gli scienziati del sociale che aderiscono a “Social One”, composto da sociologi, operatori e studiosi dei servizi sociali dei 5 continenti. Attraverso una dinamica dialogica, si è iniziato ad attingere dal patrimonio vitale e culturale che caratterizza l’esperienza di fraternità universale proposta da Chiara Lubich e dal Movimento dei Focolari, da lei fondato. Ne stanno scaturendo idee, orientamenti e spunti per la ricerca, chiavi di lettura e interpretazione della realtà e di intervento nel sociale che evidenziano nuovi prospettive nei contenuti e nel metodo del pensare, analizzare, comprendere, operare.
Per ulteriori informazioni:
Servizio Informazione Focolari – Carla Cotignoli – tel. 06.947989 – 348.856.33.47
Feb 8, 2005 | Chiara Lubich, Focolari nel Mondo

Lia Brunet aveva conosciuto Chiara Lubich sin dal 1945 a Trento. Sarà lei, insieme al primo focolarino, Marco Tecilla e a Fiore Ungaro, a intraprendere il primo viaggio fuori dai confini dell’Europa, nel 1958. Erano gli anni di gravi conflitti sociali in tutto il continente latinoamericano. Quel viaggio segnerà l’inizio della tessitura di una rete d’amore che getterà semi di rinnovamento spirituale e sociale in quei Paesi dove Lia ha speso, senza risparmiarsi, 44 anni della sua vita. Ci ha lasciati il 5 febbraio. A Natale aveva compiuto 87 anni. Quel primo viaggio in America latina, è un viaggio pieno di incognite. A Trento, con Chiara, nei quartieri più poveri, aveva sperimentato la forza di trasformazione sociale del Vangelo vissuto e la sua forza diffusiva. In 12 intensi mesi, i tre fanno tappa a Recife, San Paolo, Rio de Janiero, Belo Horizonte in Brasile; a Montevideo, in Uruguay; a Buenos Aires in Argentina; a Santiago del Cile… Così tratteggia il loro programma in “Diario di un viaggio”: “Anche la nostra è una rivoluzione, usando l’arma più potente, l’Amore che Gesù ha por
tato sulla terra. Anche noi parlavamo di ‘uomo nuovo’, quello di san Paolo, ma anche di ‘uomo vecchio’, che cerchiamo di far morire anzitutto in noi stessi. Anche il nostro è un progetto di morte e di vita: punta a ‘che tutti siano uno’.” (altro…)
Feb 7, 2005 | Nuove Generazioni
Feb 6, 2005 | Focolari nel Mondo
Il Movimento Famiglie Nuove, espressione dei Focolari per il mondo della famiglia, attraverso le adozioni a distanza raggiunge attualmente 14.200 bambini inseriti in 96 progetti di sviluppo in 45 Paesi. In risposta all’emergenza sud-est asiatico, numerose le richieste e le offerte di adozioni a distanza. Sono stati avviati i primi nuovi progetti.
India – Tamil Nadu
Il Tamil Nadu, uno dei 32 stati dell’India, con capitale Madras, è situato nel sud est della penisola indiana, ed è tra i più densamente popolati. Dalle coste, colpite in modo devastante dal maremoto, la popolazione si è riversata nei territori dell’interno, rendendo necessaria l’attivazione di centri di assistenza in tutto lo Stato. Ma la situazione di povertà dell’area, aggravata dagli effetti della catastrofe, non consente un’accoglienza adeguata, e urgono finanziamenti immediati.
Progetto “Ilanthalir”
Father Susai Alangaram è un sacerdote molto vicino ai Focolari, con il quale Famiglie Nuove collabora dal 1997. L’Associazione da lui creata ha lo scopo di offrire educazione ai bambini dei villaggi dando la priorità a bambini poveri e/o orfani. Oltre ai 600 minori già inseriti nel programma di sostegno a distanza, Famiglie Nuove propone il sostegno a distanza di altri circa 200 bambini vittime dello tsunami dei quali il centro può prendersi cura con continuità.
Progetto “Bala Shanti”
Coimbatore – Tamil Nadu: dal 1986 vi opera l’associazione gandhiana ‘Shanti Ashram’ che raggiunge le popolazioni di una trentina di villaggi nell’intento di formare uomini di pace in una società pluralista come quella indiana, tipica per la diversità di culture, religioni e caste, offrendo ai bambini anche adeguato supporto alimentare e sanitario. Shanti Ashram ha accolto famiglie e bambini che dalla costa si sono rifugiati a Coimbatore. Si propone il sostegno a distanza per un centinaio di bambini Tsunami che si aggiunge alle 180 avviate da anni.
Progetto “K. Gandhi Kanya Gurukulam”
Nagapattinam -Tamil Nadu: dal 1946 opera l’associazione ‘K. Gandhi Kanya Gurukulam’ attraverso attività educative e sociali, dirette alle ragazze povere e orfane. Si portano avanti 1.700 ragazze di tutte le religioni, che ricevono
gratuitamente l’insegnamento, imparando vari mestieri per potersi poi mantenere. Dal 2003 le Famiglie Nuove collaborano inviando 49 sostegni a distanza: dopo la tragedia il referente del progetto invita ad accogliere e seguire nella continuità almeno 200 bambini colpiti dallo Tsunami, mediante il sostegno a distanza.
I progetti in Indonesia, Sri Lanka, isole Andamane e Nicobare
Indonesia
In Indonesia sta prendendo forma un intervento continuativo per 600 minori gestito da uno dei centri dei Focolari presente a Medan (Sumatra).
Sri Lanka
Nello Sri Lanka, in partnership con Apostolic Carmel, congregazione con diverse case sparse nel paese e con la quale da anni Famiglie Nuove collabora per progetti infanzia, si è presa cura di 150 bambini vittime Tsunami e delle loro famiglie.
Isole Andamane e Nicobare
Nelle isole Andamane e Nicobare stiamo mandando aiuti di emergenza tramite il vescovo di Port Blair, amico dei Focolari, che ospita un migliaio di persone nel cortile della sua parrocchia, in attesa di finalizzare un progetto di sostegno a distanza. Tutti i progetti possono essere sostenuti con l’invio di 216 €. Il versamento della quota, preferibilmente in un’unica soluzione, va effettuato su uno dei seguenti conti: c/c postale n° 48075873; c/c bancario n° 1000/2497 presso SAN PAOLO – IMI – Agenzia di Grottaferrata (Roma) – ABI 01025 – CAB 39140. intestati a: Associazione AZIONE PER FAMIGLIE NUOVE Onlus – Via Isonzo 64 – 00046 Grottaferrata (RM) Specificare la causale del versamento. (altro…)
Feb 1, 2005 | Parola di Vita
In Quaresima la Chiesa ci ricorda che la nostra vita è un cammino verso la Pasqua, quando Gesù, con la sua morte e risurrezione, ci introduce nella vita vera, all'incontro con Dio. Un cammino non privo di difficoltà e di prove, paragonato ad una traversata del deserto.
Fu proprio nel deserto, mentre stava andando verso la terra promessa, che il popolo d'Israele abbandonò, per un momento, il suo Dio e adorò il vitello d'oro.
Anche Gesù ripercorre lo stesso cammino nel deserto e anche lui è tentato da Satana di adorare il successo e il potere. Ma Egli taglia netto con ogni lusinga del male e si rivolge con decisione verso l'Unico Bene:
«Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto»
Come è stato per il popolo ebraico e per Gesù, così anche per noi, nel nostro quotidiano, non mancano le tentazioni a farci deviare verso percorsi più facili. Esse ci invitano a cercare la nostra gioia e a riporre la nostra sicurezza nell'efficienza, nella bellezza, nel divertimento, nel possesso, nel potere…, realtà di per sé positive, ma che possono essere assolutizzate e che spesso la società propone come autentici idoli.
E quando non si riconosce e non si adora Dio, subentrano inevitabilmente altri “dèi” ed ecco riapparire il culto dell'astrologia, della magia…
Gesù ci ricorda che la pienezza del nostro essere non sta nella ricerca di queste cose che passano, ma nel metterci davanti a Dio, dal quale tutto proviene, e riconoscerlo per quello che Egli veramente è: il Creatore, il Signore della storia, il nostro Tutto: Dio!
Se lassù in Cielo, dove siamo incamminati, lo loderemo incessantemente, perché non anticipare fin da adesso la nostra lode a Lui?
Che sete sentiamo, a volte, anche noi di adorare, lodandolo nel fondo del nostro cuore, vivo nel silenzio dei tabernacoli e nella festante assemblea dell'Eucaristia…
«Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto»
Ma che cosa significa “adorare” Dio?
E' un atteggiamento che va diretto solo a Lui. Adorare significa dire a Dio: “Tu sei tutto”, cioè: “Sei quello che sei”; ed io ho il privilegio immenso della vita per riconoscerlo.
Adorare significa anche aggiungere: “Io sono nulla”. E non dirlo solo a parole. Per adorare Dio occorre annientare noi stessi e far trionfare Lui in noi e nel mondo. Questo implica il costante abbattimento dei falsi idoli che siamo tentati di costruirci nella vita.
Ma la via più sicura per giungere alla proclamazione esistenziale del nulla di noi e del tutto di Dio è tutta positiva. Per annientare i nostri pensieri non abbiamo che da pensare a Dio ed avere i suoi pensieri che ci sono rivelati nel Vangelo. Per annientare la nostra volontà non abbiamo che da compiere la sua volontà che ci viene indicata nel momento presente. Per annientare i nostri affetti disordinati basta aver in cuore l'amore verso di Lui ed amare i nostri prossimi condividendone le ansie, le pene, i problemi, le gioie.
Se siamo “amore” sempre, noi, senza che ce ne accorgiamo, siamo per noi stessi nulla. E perché viviamo il nostro nulla, affermiamo con la vita la superiorità di Dio, il suo essere tutto, aprendoci alla vera adorazione di Dio.
«Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto»
Quando tanti anni fa scoprimmo che adorare Dio significava proclamare il tutto di Lui sul nulla di noi, componemmo una canzone che diceva: “Se su nel ciel si spengono le stelle / se ogni giorno muore / se l'onda in mar s'annulla e non riprende / è per la tua gloria. / Che il creato canta a Te: / Tutto sei. / Ed ogni cosa dice a sé: / nulla son!”
Il risultato del nostro annullarci per amore era che il nostro nulla veniva riempito dal Tutto, Dio, che entrava nel nostro cuore.
Chiara Lubich
Gen 24, 2005 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Dalla Thailandia «Ci siamo messi a disposizione, aiutando negli ospedali, donando il sangue, facendo da interpreti per i molti turisti coinvolti.
Da Bangkok alcuni di noi sono partiti per il sud per portare i primi aiuti raccolti sul posto e vedere cosa si potrà fare successivamente. Mons. Prathan, Vescovo del Sud della Thailandia, sottolinea l’importanza dell’aspetto spirituale, oltre che degli aiuti materiali, della potenza della preghiera per coloro che soffrono. Gli abbiamo assicurato che da tutto il mondo si partecipa anche con la preghiera alle sofferenze del nostro Paese».
Dall’India, una giovane del Movimento, di Madras (Tamil Nadu), ci scrive: «Il dolore è di una dimensione che ti sconvolge. La situazione nello Sri Lanka è molto più grave. Tante persone sono state trasportate a Madras e alloggiano negli uffici del comune, in chiese, templi. Eppure in tutto questo immenso dolore vedi l’amore, l’Amore per Dio a cui affidiamo tutto, l’Amore tra la gente: le famiglie hanno aperto le proprie case per accogliere chi è rimasto senza nulla, i giovani sono impegnati a raccogliere i corpi per fare funerali semplici ma dignitosi come l’uomo immagine di Dio merita, suore e religiosi lavorano senza sosta e sono punto di riferimento per tutti al di là della religione, le donne non smettono di cucinare riso per tutti, i medici intervengono senza sosta, i più poveri cercano di aiutare chi è in situazione più tragica della propria». E ancora: «Con mio fratello e una rete di benzinai prepariamo dei pacchi “fabbisogno”: una cucinetta al kerosene, piatti, medicine per pulire l’acqua, un tappeto di foglie secche per dormire, riso e biscotti per i bambini, lenticchie. Raccogliamo dalla gente e nei negozi acquistiamo con lo sconto; non facciamo calcoli sui nostri soldi che sono praticamente finiti, ma sulla provvidenza. Anche la nostra piccola macchina l’abbiamo data per trasportare le persone. Abbiamo avviato un programma per la distribuzione. Io non posso più spostarmi dalla città: la nostra casa accoglie adulti e bambini, malati o feriti, di cui prenderci cura rientrando dal lavoro. Un contributo piccolo ma che arriva subito e direttamente alle famiglie e permette loro di sopravvivere. E questa adesso è la cosa più importante… la grande lezione è che solo l’amore resta». (altro…)
Gen 24, 2005 | Focolari nel Mondo
Tra le molte iniziative che fioriscono sia nei Paesi colpiti che nel resto del mondo, ad opera delle varie espressioni del Movimento dei Focolari, soprattutto tra i giovani è partita una staffetta d’amore. Alcuni flash:
Milano: i giovani hanno partecipato alla fiaccolata organizzata dall’Associazione Arcobaleno, un centro di accoglienza per stranieri gestito da persone dei Focolari, con la significativa partecipazione della comunità dello Sri Lanka che vive nel capoluogo lombardo, segnata da molti lutti a causa del maremoto. La manifestazione si è conclusa in piazza Duomo dove hanno parlato rappresentanti buddisti e cristiani della comunità. Molto toccante è stata la testimonianza di un operatore italiano dell’Arcobaleno, che ha voluto ringraziare il popolo cingalese per la sua generosità: sua figlia e suo genero erano in viaggio di nozze sulle spiagge dello Tsunami e sono stati tratti in salvo, per miracolo, da gente del luogo, che ha messo a repentaglio la propria vita per salvare quella di un gruppetto di 20 turisti, tra cui loro. Germania: il movimento di Schoenstatt e alcune comunità della Chiesa evangelico-luterana si sono unite alle iniziative dei Focolari per far arrivare anche i loro aiuti attraverso i contatti diretti che i Focolari hanno nelle zone colpite. Time-Out: ogni giorno, a mezzogiorno, i membri del Movimento, in tutto il mondo, si fermano per un minuto di silenzio e di preghiera per la pace. L’iniziativa, nata negli anni novanta a seguito della prima guerra del Golfo, ha oggi come prima intenzione di preghiera proprio le vittime dell’Asia. Le veglie di preghiera sono state molte, con raccolte di soldi: l’ultima, in ordine di tempo, il 18 gennaio scorso a Grottaferrata (RM), in concomitanza con l’inizio della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, che da sempre vede il Movimento attivo con molte iniziative in campo ecumenico. Come è avvenuto in tutto il mondo, anche i giovani hanno colto l’occasione delle feste natalizie e del Capodanno per raccogliere fondi a favore delle popolazioni colpite. Dall’Italia, qualche esempio: Loppiano: il ricavato della ormai tradizionale festa di Capodanno è stato destinato alle vittime dello tsunami (€ 2.100). Ancona: “Calze della befana” è il nome dell’iniziativa dei ‘Giovani per un Mondo Unito’, una raccolti di fondi attraverso la vendita nelle parrocchie della tradizionale calza del 6 gennaio, Gite turistiche, come ad Anagni (FR), o tombolate con piccoli e grandi, come a S. Anastasia (NA). (altro…)
Gen 24, 2005 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale
El Alto, simbolo della rivolta. El Alto, l’altopiano della capitale boliviana, La Paz, simboleggia la rivolta, il conflitto, l’esasperazione del popolo boliviano. La difficile situazione sociale in Bolivia, incastonata tra la catena delle Ande e le grandi pianure del Sud America, alimenta uno stato di conflitto continuo che sfocia in manifestazioni e scioperi, non ultimo quello di questi giorni, sempre a El Alto, per chiedere agevolazioni nell’erogazione dell’acqua potabile. Sono oltre 40.000 le famiglie della zona, che non vi hanno attualmente accesso.
Cosa fare per rispondere a questa situazione drammatica Tra le numerose iniziative che fioriscono nel Paese, nasce l’operazione “Da El Alto all’Alto”, promossa dal Movimento dei Focolari per portare la realtà sociale conflittuale ad un piano più elevato, con l’apporto della dimensione spirituale. Si è dato vita così ad una «scuola di formazione alle responsabilità civili», preludio per azioni concrete, seppur umili, in cui la solidarietà e la fraternità possano sempre più informare le relazioni sociali. Inizia un tavolo di dialogo per approfondire, anche con l’aiuto di esperti, tematiche importanti, come il documento elaborato dalla Conferenza episcopale boliviana, con un’analisi approfondita della realtà sociale, insieme alla proposta per una nuova legge che regoli lo sfruttamento delle risorse naturali, essenziali per lo sviluppo economico del Paese. I conflitti sociali La Bolivia, infatti, pur essendo ricca di risorse come gas naturale e giacimenti di petrolio, è da secoli preda di una povertà endemica. Tra le cause, l’ingiusta ripartizione della ricchezza: da una parte c’è una piccola minoranza che detiene il potere economico e politico, dall’altra la maggioranza della popolazione si deve accontentare delle «briciole» e vede preclusa ogni speranza di miglioramento. Nell’autunno scorso sono scoppiati, prolungandosi per oltre un mese, una serie di scontri tra popolazione ed esercito, iniziati a El Alto e dilagati poi nel resto del Paese, che hanno registrato oltre 70 morti. La fraternità, risposta ai problemi sociali La spiritualità dell’unità dei Focolari inizia a diffondersi in Bolivia già negli anni ’70, attraverso alcuni sacerdoti e religiosi. Nascono i primi centri, a La Paz e poi a Cochabamba, e da lì il Movimento si diffonde anche a Santa Cruz, Oruru e Sucre. Il desiderio di tutti è quindi anche oggi di dare una testimonianza viva di come la fraternità può essere una risposta ai problemi sociali. (altro…)
Gen 24, 2005 | Non categorizzato
Giovani che vogliono spendersi per la propria comunità
Parte in Argentina la prima scuola di formazione politica per i giovani promossa dal Movimento Politico per l’Unità in nove città: grazie a internet, il progetto è diventato operativo contemporaneamente a Buenos Aires, Cordoba, Rosario, José C. Paz, Avellaneda, La Plata, Mar del Plata, Bahía Blanca, Neuquén. I 140 giovani che da maggio scorso frequentano questi corsi di formazione politica chiedono alla politica l’utopia di un mondo unito e allo stesso tempo la concretezza di ciò che può incidere nel cambiamento. Sono giovani che vogliono spendersi per la propria comunità.
Come si svolge il corso
La scuola punta a offrire gli strumenti per una azione collettiva innovativa nel campo sociale e politico, attraverso corsi tematici svolti nelle città di appartenenza, progetti differenziati di azione locale e seminari per tutti gli studenti, due volte l’anno. Nelle diverse città i giovani si riuniscono insieme ad un animatore e interagiscono virtualmente con i professori e le altre comunità”. (altro…)
Gen 23, 2005 | Ecumenismo
La manifestazione “Insieme per l’Europa” del maggio scorso a Stoccarda, ha segnato non solo un momento culmine del cammino di comunione avviato tra oltre 150 movimenti comunità e gruppi cattolici, evangelico-luterani, anglicani e ortodossi, ma anche ha reso visibile la ricchezza della fede cristiana nelle diverse Chiese.
In questi mesi non sono mancate le occasioni per ritrovarsi e lavorare insieme, mentre già si prepara a livello mondiale un nuovo appuntamento. Questa settimana è un’occasione per aprire una finestra sul mondo ortodosso, anglicano ed evangelico-luterano, partendo da tre realtà – diffuse in tutto il mondo – presenti l’8 maggio a Stoccarda: la fraternità ortodossa Syndesmos, i Corsi Alpha, nati all’interno di una parrocchia anglicana, e l’YMCA, associazione giovanile di origine europea, molto diffusa in Germania. – Syndesmos (“legame di unità”) fraternità iniziata nel 1953, raggruppa 121 scuole teologiche e movimenti giovanili ortodossi, in 43 nazioni. Suo fine specifico è sviluppare la collaborazione e la comunicazione fra i movimenti ortodossi di giovani e le facoltà teologiche sparse nel mondo, e di promuovere fra loro una più profonda comprensione e l’impegno a testimoniare il Vangelo nel XXI secolo. – Corso-Alpha, nato negli anni ’70, tenuto in 152 paesi e tradotto in 47 lingue, è rivolto a tutti gli strati sociali ed interessa soprattutto i giovani e chi non si definisce cristiano; è basato sul Vangelo e dura 10 settimane. Offre a chiunque lo desideri un primo approccio alla fede cristiana. – YMCA, Associazione cristiana dei giovani, è nata a Londra nel 1844 ed è oggi sparsa in tutto il mondo; il suo scopo è lavorare per il cambiamento sociale formando i giovani come cristiani anche attraverso lo sport e altre attività educative, insieme a servizi per i rifugiati ed emigrati. (altro…)
Gen 23, 2005 | Ecumenismo
La Chiesa ortodossa ha mille anni di storia nella provincia orientale della Finlandia, la Carelia.
Come conseguenza della Seconda guerra mondiale, la Finlandia ha perso nella regione quasi tutte le terre tradizionalmente ortodosse. La maggior parte degli 80 mila ortodossi si trovarono ad essere dei rifugiati.
Molti movimenti della gioventù ortodossa hanno avuto inizio in modo spontaneo e miracoloso durante la guerra e nell’immediato dopoguerra. Il contributo del Movimento della gioventù ortodossa della Finlandia è stato determinante per la sopravvivenza di questa chiesa, con un ruolo chiave nell’aiutare a raccogliere le persone per la divina liturgia, per i gruppi di studio e i campeggi, e nella formazione di comunità eucaristiche che – in alcuni casi – divennero le nuove parrocchie in tutto il paese. La chiesa divenne il centro focale della vita e del servizio del Movimento della gioventù. Il rinnovamento evangelico della vita della chiesa venne iniziato in vari modi dal Movimento della gioventù ortodossa. Gioia e entusiasmo per la liturgia si espressero in ciò che viene definito: “santificare il tempo”. Questo rinnovamento liturgico è stato accompagnato da un interesse per gli scritti ascetici dei Padri e delle Madri del deserto. È stato un invito ad una spiritualità di amore per il bene e per la bellezza. È stato anche una scoperta dell’universalità della fede cristiana ortodossa. La piccola minoranza ortodossa della Finlandia non era sola al mondo. Attraverso i contatti all’interno di Syndesmos, che è la Fraternità mondiale dei 126 Movimenti della gioventù ortodossa, abbiamo riscoperto la nostra fraternità in Cristo. Una identità così rafforzata ha reso possibile, a noi che eravamo una minoranza, di coinvolgerci ecumenicamente: e abbiamo capito che ciò che è una sfida per una chiesa lo è anche per le altre, e ciò che è una benedizione per una chiesa lo è anche per le altre. (Heikki Huttunen – Outi Vasko) Tratto da Insieme per l’Europa – Il grande appuntamento di Stoccarda tra movimenti e comunità di varie chiese cristiane – supplemento a Città Nuova N. 10/2004 (altro…)
Gen 23, 2005 | Ecumenismo
Non ho ricevuto un’educazione cristiana. Mio padre era un ebreo tedesco. Mia madre non andava in chiesa.
Ho conosciuto la fede in Gesù quando avevo 18 anni, e da allora ho desiderato parlare di Gesù a persone come me. Questo è tutto ciò che si propone Alpha. È indirizzato principalmente alle persone che non frequentano la Chiesa, a coloro i quali non si definiscono cristiani.
Il Corso-Alpha é fondato sul Vangelo. Si svolge in un arco di tempo di 10 settimane e comprende un pasto comune, un discorso e la costituzione di piccoli gruppi. Siamo positivamente toccati da ciò che é accaduto negli ultimi undici anni. Il Corso-Alpha si tiene in 152 paesi e in 30.000 parrocchie. E’ stato tradotto in 47 lingue ed è rivolto a tutti gli strati sociali. 124 delle 160 prigioni presenti nel Regno Unito (l’80%) ospitano circa 70.000 detenuti, dei quali – secondo le nostre statistiche – più di 30.000 hanno partecipato ad un Corso-Alpha. Esso ha suscitato in particolare grande interesse fra i giovani. Viene utilizzato da tante Chiese, riunendo i Cristiani nella loro comune missione di evangelizzazione ed è sostenuto dai leader delle maggiori Chiese cristiane. Durante il Corso, incentrato sulla figura di Cristo, insegniamo ciò che ci unisce come cristiani. Abbiamo capito che ciò che ci unisce é infinitamente più grande di ciò che ci divide. (Nicky Gumbel – Londra) Tratto da Insieme per l’Europa – Il grande appuntamento di Stoccarda tra movimenti e comunità di varie chiese cristiane – supplemento a Città Nuova N. 10/2004 (altro…)
Gen 23, 2005 | Ecumenismo
Ivan è cresciuto a Zagabria. Durante la guerra nei Balcani è riuscito a fuggire con la sua famiglia in Germania, ma i bombardamenti e tutto ciò che aveva sperimentato durante la guerra avevano inciso sul suo stato di salute e provocato aggressività, droga e alcol. Alcuni pensavano già che fosse impossibile riabilitarlo e, proprio in quel momento, fu invitato al centro giovanile del Cvjm (l’YMCA tedesca). Per la prima volta sentì parlare dell’amore di Dio per ciascuno di noi. Apprese dai collaboratori del centro che Gesù sa perdonare e riappacificare gli uomini tra loro. Ben presto Ivan affidò la sua vita a Dio, e trovò la forza di aver fiducia negli altri. Ora va avanti per la sua strada in unità con Dio. Storie di questo genere ci incoraggiano a proseguire nel compito affidatoci dall’YMCA: formare bambini e giovani forti e una società solida.Nei nostri gruppi, assai vari, si intrecciano spesso delle amicizie profonde: bambini hanno la possibilità di misurarsi con sé stessi e scoprire dei talenti finora sconosciuti, per esempio nello sport, durante il gioco, in lavori creativi o nel far della musica. E periodi di vacanza o viaggi durante le ferie sono un’occasione ideale per sperimentare la fede, la fiducia e la gioia di vivere insieme. Nei nostri incontri vogliamo dedicarci in modo particolare ai giovani che provengono da difficili situazioni sociali o che si sentono tagliati fuori, sapendoli ascoltare e accogliere. Nei nostri gruppi si promuove nei giovani una competenza nel campo sociale, la capacità di instaurare rapporti e di risolvere conflitti, di sapersi prendere la propria responsabilità. Il Movimento dell’YMCA è nato nel 1844 a Londra, come movimento ecumenico, e si è poi esteso in tutto il mondo come il più grande movimento cristiano-ecumenico per la gioventù. Solo in Germania vi fanno parte 30 mila collaboratori e collaboratrici senza retribuzione e 700 referenti per la gioventù che lavorano a tempo pieno. (Mathias Ritter – Katja Muessig) Tratto da Insieme per l’Europa – Il grande appuntamento di Stoccarda tra movimenti e comunità di varie chiese cristiane – supplemento a Città Nuova N. 10/2004 foto: Helmut Nicklas (YMCA Monaco) (altro…)
Gen 22, 2005 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Sono parroco cattolico in una città di 90.000 abitanti in Romania, dove la storia ha creato un mosaico di sette nazionalità e diverse Chiese. Quando 16 anni fa sono arrivato in quel posto, mi sono proposto di amare tutti, ma in modo speciale i ministri delle altre Chiese. Ero convinto, infatti, che tutti eravamo lì per una sola cosa: testimoniare alla gente Dio. Dapprima i contatti erano sporadici, in occasione di qualche funerale o altro. Cercavo di cogliere queste opportunità per costruire rapporti più profondi, interessandomi della vita degli altri ministri e dei problemi che incontravano nella pastorale. Sono nate così spontaneamente le prime iniziative. Un giorno, per esempio, ho chiesto al sacerdote ortodosso di parlare ai miei giovani. In seguito anche lui mi ha invitato. Nel 1992 è nata l’idea di stabilire un giorno della settimana, nel quale, secondo le possibilità, si sarebbero incontrati tutti i sacerdoti e pastori della città. Dopo 10 anni eravamo già 30 sacerdoti e pastori con due vescovi. Il nostro gruppo – composto da sacerdoti ortodossi rumeni e serbi, cattolici di rito latino e greco, riformati ungheresi, evangelici tedeschi e ungheresi, poi slovacchi, ucraini e croati – è diventato come un piccolo laboratorio ecumenico. Vivendo insieme il Vangelo, cerchiamo di far crescere fra noi rapporti di amore reciproco. Ci ispira, ci incoraggia la promessa di Gesù: “Dove due o più sono uniti nel mio nome…”. Da questi incontri sono sorte le “giornate ecumeniche” che hanno luogo ogni anno nella “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani”. In queste giornate è una gioia scambiarci i doni delle diverse tradizioni con canti e preghiere che svolgiamo in tutte le chiese della città, facendo con i nostri fedeli una specie di pellegrinaggio da una chiesa all’altra. Qualche tempo fa, siamo riusciti ad individuare due santi patroni per la nostra città che potessero essere accettati da tutte le Chiese: i santi Pietro e Paolo. Questa ricorrenza è stata accolta anche dalle autorità civili. Così il 29 giugno è diventato la festa più bella della città, con la partecipazione di una moltitudine di persone, ed è per tutti un simbolo d’unità. A volte ci sono pure difficoltà. Un anno, proprio mentre ci preparavamo alla cerimonia ecumenica, in sacrestia si è verificato un diverbio abbastanza aspro fra uno dei sacerdoti ortodossi ed il prete greco-cattolico. Ho pensato: “Adesso tutto il lavoro di questi anni sarà distrutto e l’ecumenismo andrà indietro”. Non potevo che affidare questa situazione a Dio. Dopo tre giorni, all’incontro in un’altra chiesa, il sacerdote che aveva offeso l’altro, ha chiesto pubblicamente perdono, per essere stato di impedimento nella via dell’unità. Un’altra volta un fedele mi ha detto che una persona di un’altra Chiesa parlava male di me. Mi sono messo a pregare, certo che Gesù avrebbe risolto anche questa cosa. Ho telefonato poi a quella persona che conoscevo e l’ho pregata di dirmi se aveva qualche difficoltà nei miei riguardi. E’ bastato questo piccolo passo per riavvicinarci. Un sacerdote che si trovava in difficoltà, sentendosi solo e isolato, in questi incontri ha trovato nuovo slancio. Un pastore evangelico era stato ingiustamente denunciato presso i suoi superiori. Allora tutti insieme abbiamo scritto al suo Vescovo, per informarlo sulla vera realtà delle cose. Ogni volta, poi, quando ci incontriamo preghiamo insieme per i problemi pastorali in quest’epoca di transizione. (altro…)
Gen 14, 2005 | Famiglie, Focolari nel Mondo
Sembrava una sera come tante, ma non è stato così. Dopo ripetuti inviti, quella sera ho deciso di partecipare ad una riunione con un gruppo di famiglie che vivevano la spiritualità dell’unità, rinunciando al corso di nuoto. Sono tornata a casa felice, commossa: avevo trovato qualcosa di grande per cui valeva la pena di vivere. Avevo un grande desiderio di comunicare tutto a J., mio marito. Stava già dormendo e l’ho svegliato, ma non mi ha presa troppo sul serio. All’inizio non facevo che pensare a quanto quelle riunioni avrebbero aiutato J. a cambiare certi aspetti negativi del suo carattere, ma molto presto ho capito che ero io a dover cambiare. Ho cominciato allora a perdonare certi fatti passati che non ero mai riuscita a dimenticare. Poi ho cercato di essere più tollerante e di amare tutti di più e per prima, senza aspettarmi nulla in cambio. In casa si sono accorti del mio cambiamento e dopo qualche tempo anche J. ha accettato di partecipare con me a questi incontri: lo vedo entrare piano piano nel clima di fraternità che lì si respira, fino a diventarne costruttore attivo, mettendosi al servizio di tutti. J. decide di portare anche i nostri bambini, e di mettere a disposizione il suo autobus per trasportare le persone del nostro quartiere che avessero voluto partecipare agli incontri, così avrebbero risparmiato i soldi del viaggio. Ma non ha potuto farlo perché pochi giorni dopo non solo ha perso il lavoro, ma è stato minacciato pesantemente. Qualche tempo dopo viene convocato nell’ufficio della ditta. Sa di rischiare grosso, presentandosi, ma accetta. All’appuntamento lo aspetta la persona che gli toglie la vita. Per me è un colpo durissimo, ma sento che Dio aveva preparato mio marito e me a quanto ci stava per accadere. Prego che questo dolore non passi invano e lo offro perché la persona che ci ha fatto così tanto male si possa pentire. Non capisco il perché di quel che è successo, ma dentro di me non c’è rancore. Faccio di tutto perché anche i miei figli, di dodici e nove anni, superino la rabbia e riescano a perdonare. Le parole di Gesù sul perdono e sull’amore al nemico mi danno forza giorno per giorno. Un nostro conoscente sa chi è il colpevole e mi fa capire che, se voglio, posso ottenere la vendetta. «No! – rispondo – lo lascio alla giustizia di Dio. Siamo tutti creature sue e questa persona, oltretutto, ha bisogno di tempo per pentirsi». J. l’aveva sperimentato che Dio ci ama. Ho fatto scrivere sulla sua tomba: “Dillo a tutti: Dio ti ama immensamente”. (B.L. – Colombia) Tratto da L’amore vince. Trenta storie vere raccontate dai protagonisti. Ed. Città Nuova
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Gen 13, 2005 | Chiara Lubich, Spiritualità
Se siamo uniti, Gesù è fra noi. E questo vale. Vale più di ogni altro tesoro che può possedere il nostro cuore: più della madre, del padre, dei fratelli, dei figli. Vale più della casa, del lavoro, della proprietà; più delle opere d’arte d’una grande città come Roma, più degli affari nostri, più della natura che ci circonda coi fiori e i prati, il mare e le stelle: più della nostra anima. E’ Lui che, ispirando i suoi santi colle sue eterne verità, fece epoca in ogni epoca. Anche questa è l’ora sua: non tanto d’un santo, ma di Lui; di Lui fra noi, di Lui vivente in noi, edificanti – in unità d’amore – il Corpo mistico suo. E allora viviamo la vita che Egli ci dà attimo per attimo nella carità. E’ comandamento base l’amore fraterno. Per cui tutto vale ciò che è espressione di sincera fraterna carità. Nulla vale di ciò che facciamo se in esso non vi è il sentimento d’amore per i fratelli: ché Dio è Padre ed ha nel cuore sempre e solo i figli. Da MEDITAZIONI, di Chiara Lubich (altro…)
Gen 12, 2005 | Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Una nuova pagina di fraternità tra cristiani e buddisti si è aperta in Giappone. In questo grande Paese del Sol Levante, di 127 milioni di abitanti, in maggioranza scintoisti e buddisti, i cristiani non superano la soglia dell’1%. E’ proprio un Movimento buddista giapponese, la Rissho Kosei-kai, ad invitare il complesso musicale internazionale, Gen Verde, fra la sua gente, per portare un messaggio di pace e fraternità. Questa iniziativa è nata dopo che una delegazione della RKK aveva assistito ad uno spettacolo di questo complesso, in Corea nel 2002, dove avevano portato sui palcoscenici Prime Pagine, un “teatro musicale” che narra la scoperta del Vangelo, alle radici della storia del Movimento dei Focolari.
Gli spettacoli – per l’occasione allestiti in giapponese – raggiungono oltre 17.000 persone in 9 città, da Tokyo a Nagasaki. Un tifone particolarmente violento e il terremoto a Niigata spinge a fare degli spettacoli un gesto di solidarietà concreta.
L’invito della RKK si innesta sulla base del dialogo intessuto dal 1979 con Chiara Lubich e i Focolari in Giappone. Motivo ufficiale: la partecipazione alle cerimonie di commemorazione di Nikkyo Niwano, fondatore del Movimento, a 5 anni dalla sua dipartita. Sei milioni sono gli aderenti della RKK che si collegano via satellite alle cerimonie. La tournée segna, come aveva auspicato Chiara Lubich in un messaggio al Presidente della RKK, Nichiko Niwano, “un nuovo impegno a vivere e a lavorare assieme, con dedizione e fiducia, sostenendosi sempre l’un l’altro, per costruire l’unità della famiglia umana”.
Varie le occasioni di contatto diretto con la cultura giapponese, con lo scintoismo e il buddismo tradizionale, attraverso la visita ai loro templi e ad alcuni maestri spirituali, come il venerabile Takeuchi, già da tempo in contatto con i Focolari. Attraverso i Koriukai (incontri di approfondimento), il Gen Verde entra in contatto con altri 3.000 buddisti. “Questo popolo non ha mai smesso di stupirci – dice Paola Stradi del Gen Verde – forte e delicato allo stesso tempo, determinato e irriducibile, ma sensibilissimo ai valori dello spirito”.
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Gen 12, 2005 | Cultura, Dialogo Interreligioso, Focolari nel Mondo
“Vogliamo essere strumenti di pace come voi”. “E’ cresciuto dentro di noi il seme della pace”. “Questa è veramente l’espressione più alta dell’arte: donare forza e speranza!”. Alcune delle espressioni raccolte dal pubblico che numeroso, in 17.000, è intervenuto a Tokyo, Nagasaki, Hiroshima, Osaka, Fukuoka, Nagoya, Nagano, le città toccate nei 68 giorni di tournée giapponese del Gen Verde, espressione artistica del Movimento dei Focolari, in una lunga tournée iniziata il 24 settembre e conclusa il 1° dicembre scorso. L’invito è partito dal movimento buddista giapponese Rissho Kosei-Kai (RKK), sulla base del profondo dialogo intessuto dal 1979 con Chiara Lubich e i Focolari in Giappone. Il Gen Verde ha portato sui palcoscenici Prime Pagine – per l’occasione allestito in giapponese -, un “teatro musicale” che risale alle radici della storia del Movimento dei Focolari, alla scoperta del Vangelo, per realizzare il testamento di Gesù, “Padre, che tutti siano uno”.
Che la tournée porti frutti di pace e di fraternità
Il 1° ottobre, il Presidente Nichiko Niwano offre al Gen Verde un pranzo di benvenuto ufficiale. “L’augurio che ci scambiamo è che la tournée porti frutti di pace e di fraternità e che chi ci vede possa esclamare, per l’amore reciproco fra RKK e Gen Verde: “guardate come si amano”. Un augurio che si è realizzato: la tournée promossa dal Movimento giapponese, ha dato un contributo al dialogo tra cristiani e buddisti e all’unità tra il Movimento dei Focolari e la Rissho Kosei-Kai.
Nel cuore del popolo giapponese
Il tour è un’occasione per conoscere da vicino le sofferenze passate e presenti della nazione, come dice Paola Stradi del Gen Verde: “In 68 giorni questo popolo non ha mai smesso di stupirci: forte e delicato allo stesso tempo, determinato e irriducibile, ma sensibilissimo ai valori dello spirito. Cerchiamo di fare nostre le sofferenze passate: la tragedia della bomba atomica e le sue conseguenze a Nagasaki e Hiroshima, dove invitiamo il pubblico a cominciare con un momento di silenzio per la pace. Tra le sofferenze presenti, un tifone particolarmente violento e il terremoto a Niigata ci spinge a fare degli spettacoli un gesto di solidarietà concreta per questa gente così provata”.
Numerosi i contatti
Oltre alle 17.000 persone incontrate nei 9 spettacoli, 2.120 sono stati i partecipanti ai Koriukai, incontri di scambio fissati tra uno spettacolo e l’altro, dove il dialogo si approfondisce; e ancora un incontro-spettacolo per 215 universitarie su invito delle suore salesiane; incontri con l’arcivescovo di Nagasaki e con il vescovo di Hiroshima, con vari sacerdoti e religiosi. L’arcivescovo di Tokyo, card. Shirayanagi, interviene allo spettacolo del 14 novembre alla Fumon Hall. E’ presente Nichiko Niwano, Presidente della RKK, con sua figlia Kosho, futura presidente designata, che, assieme al cardinale, introduce il Gen Verde. E’ presente anche S.E. Ambrose De Paoli, nunzio apostolico in Giappone.
L’incontro con alcuni bonzi e la visita ai loro templi
E’ l’occasione di un contatto diretto con la cultura giapponese ed anche con lo scintoismo e col buddismo tradizionale. Un’accoglienza particolare, in un clima di vera fraternità, è riservata dal venerabile Takeuchi, che in aprile aveva partecipato in Italia al primo simposio buddista-cristiano promosso dai Focolari.
Le cerimonie in onore del Fondatore del Movimento giapponese
Motivo ufficiale dell’invito è la partecipazione alle cerimonie per la commemorazione di Nikkyo Niwano, fondatore della RKK. Il 2 ottobre, nella Fumon Hall di Tokyo, se ne ricorda la morte, avvenuta il 4 ottobre 1999, il “giorno di S. Francesco”, come fanno presente gli amici buddisti. “La preghiera di S. Francesco” è proprio una delle canzoni presentate dal Gen Verde in lingua giapponese! 3.000 persone sono presenti. Un milione seguono via satellite, così come ad una seconda cerimonia che si tiene nell’Aula Sacra il 15 novembre, per il compleanno del fondatore a cui sono presenti in 7000. La prima parte è una preghiera solenne che conducono Nichiko Niwano e sua figlia Kosho. Il messaggio che Chiara Lubich invia per l’occasione riscuote risonanza e adesione, soprattutto l’invito a “un nuovo impegno a vivere e a lavorare assieme, con dedizione e con fiducia, sostenendosi sempre l’un l’altro, per costruire l’unità della famiglia umana.” Sempre nell’Aula Sacra, il 20 novembre il Gen Verde presenta canzoni ed esperienze a 1500 giovani buddisti venuti da tutto il Giappone, responsabili di gruppi locali. E con un’intervista televisiva, a conclusione della tournée per il “collegamento” mensile della RKK, vengono raggiunte 6 milioni di persone.
‘Sayonara’, arrivederci, Giappone!
Alcune tra le moltissime impressioni raccolte dopo gli spettacoli, dicono il “termometro” della tournée: “Avete risvegliato in me l’amore di Dio e mi avete reso cosciente che è questo amore che mi fa vivere”. “E’ cresciuto dentro di noi il seme della pace. Anche nel terremoto ho sentito la forza dell’amore”. “Voglio diventare una che dà”. “Ho capito che anche nella sofferenza io esisto per gli altri”. Al momento di partire – come dichiara Paola Stradi – “cuore e anima sono arricchiti, dilatati, rinvigoriti. In ogni città il Presidente Niwano ci ha fatto trovare stupende composizioni di fiori come benvenuto. Ma c’è un profumo ancora più intenso che continua a seguirci: quello dei cuori che abbiamo conosciuto e che ora, insieme ai nostri, vivono con rinnovata decisione per un mondo più unito”. (altro…)
Dic 31, 2004 | Parola di Vita
Era l'anno 50 quando Paolo arrivò a Corinto, la grande città della Grecia famosa per l'importante porto commerciale e vivace per le sue molteplici correnti di pensiero. Per 18 mesi l'apostolo vi annunciò il Vangelo e pose le basi di una fiorente comunità cristiana. Altri dopo di lui continuarono l'opera di evangelizzazione. Ma i nuovi cristiani rischiavano di attaccarsi alle persone che portavano il messaggio di Cristo, piuttosto che a Cristo stesso. Nascevano così le fazioni: “Io sono di Paolo”, dicevano alcuni; e altri, sempre riferendosi all'apostolo preferito: “Io sono di Apollo”, oppure: “Io sono di Pietro”.
Davanti alla divisione che turbava la comunità, Paolo afferma con forza che i costruttori della Chiesa, paragonata ad un edificio, ad un tempio, possono essere tanti, ma uno solo è il fondamento, la pietra viva: Cristo Gesù.
Soprattutto questo mese, durante la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, le Chiese e le comunità ecclesiali ricordano insieme che Cristo è l'unico loro fondamento, e che soltanto aderendo a Lui e vivendo l'unico suo Vangelo possono trovare la piena e visibile unità tra di loro.
«Cristo, unico fondamento della Chiesa»
Fondare la nostra vita su Cristo significa essere una sola cosa con Lui, pensare come Lui pensa, volere ciò che Lui vuole, vivere come Lui ha vissuto.
Ma come fondarci, radicarci su di Lui? Come diventare una cosa sola con Lui?
Mettendo in pratica il Vangelo.
Gesù è il Verbo, ossia la Parola di Dio che si è incarnata. E se Egli è la Parola che ha assunto la natura umana, noi saremo veri cristiani se saremo uomini e donne che informano tutta la loro vita della Parola di Dio.
Se noi viviamo le sue parole, anzi, se le parole sue ci vivono, sì da fare di noi “Parole vive”, siamo uno con Lui, ci stringiamo a Lui; non vive più l'io o il noi, ma la Parola in tutti. Potremo pensare che vivendo così daremo un Contributo perché l'unità tra tutti i cristiani diventi una realtà.
Come il corpo respira per vivere, così l'anima per vivere vive la Parola di Dio.
Uno dei primi frutti è la nascita di Gesù in noi e tra noi. Questo provoca un mutamento di mentalità: inietta nei cuori di tutti, siano essi europei o asiatici o australiani o americani o africani, gli stessi sentimenti di Cristo di fronte alle circostanze, alle singole persone, alla società.
E' l'esperienza di uno dei miei primi compagni, Giulio Marchesi, ingegnere in una grande industria, poi direttore di un'altra importante azienda di Roma. Le tante esperienze vissute sul lavoro e in altri campi sociali, lo portarono alla sconfortante constatazione che dappertutto erano scopi egoistici a muovere le persone e che quindi non poteva esserci felicità a questo mondo.
Quando però incontrò un giorno delle persone che vivevano la Parola di vita, tutto in lui e attorno a lui sembrò cambiare. Mettendosi anch'egli a vivere il Vangelo cominciò ad avvertire in cuore un senso di pienezza e di gioia. Scriveva: “Sperimentavo l'universalità delle Parole di vita, scatenavano una vera rivoluzione in me, cambiavano tutti i rapporti con Dio e col prossimo, tutti mi parevano fratelli e sorelle, avevo l'impressione di averli sempre conosciuti. Ho anche sperimentato l'amore di Dio per me: bastava pregarlo. Insomma, la Parola vissuta mi ha fatto libero!”
E tale è rimasto anche quando, negli ultimi anni della vita, fu costretto su una carrozzella.
Sì, la Parola vissuta rende liberi dai condizionamenti umani, infonde gioia, pace, semplicità, pienezza di vita, luce; facendoci aderire a Cristo, ci trasforma a poco a poco in altri Lui.
«Cristo, unico fondamento della Chiesa»
Ma c'è una Parola che riassume tutte le altre, è amare: amare Dio e il prossimo. Gesù sintetizza in questa “tutta la Legge e i Profeti” .
Il fatto è che ogni Parola, pur essendo espressa in termini umani e diversi, è Parola di Dio; ma siccome Dio è Amore, ogni Parola è carità.
Come vivere allora questo mese? Come stringerci a Cristo “unico fondamento della Chiesa”? Amando come Lui ci ha insegnato.
“Ama e fa' quello che vuoi” , ha detto sant'Agostino, quasi sintetizzando la norma di vita evangelica, perché amando non sbaglierai, ma adempirai in pieno la volontà di Dio.
Chiara Lubich
Dic 30, 2004 | Chiara Lubich
La compagnia con i santi Mille grazie di questa laurea h.c. incentrata sulla vita consacrata, laurea assolutamente imprevista, ma graditissima. Le persone consacrate, infatti, mi portano sempre a pensare a quelle creature fra esse, che, perché donate completamente a Dio, hanno raggiunto la perfezione, la santità. E la conoscenza e la compagnia con i santi è uno dei doni più belli che un’anima cristiana può ricevere, delle meraviglie celesti che può sperimentare. Grazie dunque. Di cuore. La vita consacrata nel Movimento dei Focolari In questo mio intervento dovrò esporre, penso, come è vista e considerata la vita consacrata nel Movimento dei Focolari, di cui, come fondatrice, sono stata e sono uno strumento sempre “inutile e infedele”. Sarà quindi necessario anzitutto conoscere, per ampie linee, detto Movimento, e per meglio capirlo, qualche premessa al suo inizio ufficiale, effetto già del nuovo carisma dell’unità, che è stato ed è dono di Dio per molti. Sarò io il tuo Maestro La prima volta che ho avuto sentore che qualcosa di nuovo stava succedendo in me, e non partiva dalla mia intelligenza, è stato quando a 18 anni il mio cuore non aveva che un unico struggente desiderio: conoscere Dio. La filosofia, che avevo studiato nelle scuole superiori, non mi aveva appagata. E, dovendo iniziare a frequentare l’Università, avevo pensato che forse in un Ateneo cattolico avrei trovato chi avrebbe saziato la mia sete. Circostanze apparentemente avverse, ma che ho visto poi provvidenziali, me lo hanno impedito. Ne ho pianto costernata con mia madre che non riusciva a consolarmi. Ma proprio in quei momenti ho sentito chiare, nella mia anima, queste parole: “Sarò io il tuo Maestro”. Smisi di piangere, continuai la mia vita e mi iscrissi ad un’Università laica. A Loreto Un anno dopo, nel lontano 1939, sono stata invitata a partecipare a Loreto ad un convegno. Appena potevo correvo alla casetta di Nazareth, custodita nella grande chiesa-fortezza. Non avevo tempo di rendermi conto se storicamente quello fosse l’ambiente dove era vissuta la Sacra Famiglia. M’inginocchiavo accanto al muro annerito dalle lampade, ma non riuscivo a pronunciare parola: ogni volta qualcosa di nuovo e di divino mi avvolgeva, quasi mi schiacciava. Contemplavo col pensiero la vita verginale dei tre. Quella convivenza di vergini: Maria e Giuseppe, con Gesù fra loro aveva un’attrattiva irresistibile per me. L’ultimo giorno del convegno, quando la chiesa era gremita di giovani, mi è passato un pensiero: sarai seguita da una schiera di vergini. Una quarta strada Tornata nel Trentino ho trovato il mio parroco. Questi mi vede felice e mi domanda: “Hai trovato la tua strada?” “Sì”, rispondo. “Il matrimonio?” “No”. “Il convento?” “No”. “Rimarrai vergine nel mondo?” “No”. Erano le tre strade allora possibili per una ragazza. Però io non sapevo di più. Più tardi capirò: quella era una quarta strada, una strada nuova di consacrazione a Dio, che lo Spirito Santo apriva nella Chiesa; strada caratterizzata proprio dalla presenza di Gesù fra più persone vergini o, pur sposate, verginizzate dall’amore: e questo è il focolare. “Datti tutta a Me” Quattro anni dopo, poi, mentre compivo un atto d’amore verso mia madre (ero andata, in una freddissima mattina d’inverno, a comperare del latte al posto delle mie sorelle), è successo un fatto un po’ particolare: mi è sembrato quasi che il Cielo s’aprisse e Dio mi dicesse: “Datti tutta a me”. Era la chiamata esplicita di Dio, a cui ho subito risposto con tutto l’amore del mio giovane cuore. Ne ho parlato con il confessore che mi ha permesso di donarmi a Dio per sempre. Non mi sarà mai possibile descrivere ciò che è passato nel mio cuore quel giorno: avevo sposato Dio! Potevo aspettarmi ogni cosa da Lui! «Tutto vince l’Amore» Intanto avevo conosciuto alcune giovani alle quali non tenevo segrete quelle mie prime idee su ciò che stava per nascere, e anch’esse hanno fatto la mia stessa scelta. Ma l’amore, il mio amore è stato messo alla prova. Erano i tempi della seconda guerra mondiale che distruggeva ogni cosa, e quasi tutte le persone sfollavano dalle città. Un giorno di maggio un bombardamento su Trento aveva reso inabitabile la mia casa sicché, con la famiglia, ho dovuto ripararmi in un bosco alla periferia della città. Ricordo di quella notte, passata all’addiaccio, due particolari: stelle e lacrime. Stelle, perché le ho viste tutte – lungo le ore notturne – passare sopra il mio capo; lacrime, perché capivo che non potevo allontanarmi dalla città con i miei, che tanto amavo, in cerca di rifugio. Qualcosa stava nascendo: non avrei potuto abbandonare le mie compagne. Ad un dato punto mi è sembrato che Dio, per farmi capire la sua volontà, mi ricordasse una frase studiata a scuola: “Tutto vince l’amore” . L’amore per Dio doveva vincere anche quella cruda separazione dai miei? Al mattino l’ho fatto, con la benedizione di mio padre. E, mentre la famiglia andava verso la montagna, sono tornata verso la città distrutta. Ho cercato le mie compagne fra le case e le strade ridotte a macerie. Grazie a Dio, erano tutte salve. Il primo focolare Ci ha ospitato così, poco dopo, un piccolo appartamento. Era il primo focolare, anche se noi non lo sapevamo ancora. Anni dopo, per la presenza di quell’anima grande che era Igino Giordani, confondatore della nostra Opera e ora servo di Dio, si è precisata la fisionomia del focolare: esso è, ad immagine della famiglia di Nazareth, una convivenza, in mezzo al mondo, di persone vergini e coniugate, tutte donate, anche se in maniera differente, a Dio. Una nuova spiritualità Ma, tornando ai primi tempi del Movimento, ecco il Signore istruirci scolpendo a caratteri di fuoco nelle nostre anime quelli che sarebbero diventati i cardini di una spiritualità nuova – personale e comunitaria insieme -: la “spiritualità dell’unità”. Dio Amore Con la guerra e le sue conseguenze scomparivano quelle cose o persone che formavano quasi l’ideale della nostra vita e la lezione, che Dio ci offriva con quelle circostanze, era chiara: tutto al mondo passa. “Tutto è vanità delle vanità” (cf Qo 1,2). Contemporaneamente sorgeva per tutte, nel mio cuore, una domanda: “Ma, ci sarà un ideale che nessuna bomba può far crollare, per cui poter impegnare tutte noi stesse?”Sì, è stata la risposta, c’è. E’ Dio, Dio che è Amore. E lì, in mezzo alle stragi della guerra frutto dell’odio, siamo state abbagliate, come fosse la prima volta, dalla verità su Dio: “Dio è Amore” (1 Gv 4,8). E abbiamo creduto, con fede ardentissima, al Suo Amore. E, di conseguenza, se prima avevamo pensato Dio lontano, inaccessibile, ora Lo avvertivamo vicinissimo: illuminava, trasfigurava col suo amore ogni circostanza che ci riguardava, lieta o triste o indifferente che fosse: tutto ci appariva espressione del suo amore. E la gioia e lo stupore sono stati così grandi che non abbiamo atteso un attimo a scegliere proprio Lui, Dio Amore, come l’Ideale della nostra vita. E Dio Amore è il primo cardine della “spiritualità dell’unità”. Il Vangelo vissuto parola per parola Ben presto però si è imposta a noi un’esigenza: “Se Dio, che è Amore, è il nostro nuovo ideale, come comportarci per poter dire che Egli è veramente il tutto per noi?” Era ovvio: dovevamo a nostra volta amare Dio. Correvamo nei rifugi ad ogni allarme aereo e non potevamo prendere con noi null’altro se non un piccolo libro: il Vangelo. In esso – ne eravamo certe – avremmo trovato come amare Dio. Lo aprivamo. Ed ecco la meraviglia: quelle parole, che avevamo sentito tante volte, s’illuminavano, come se una luce vi si accendesse sotto, infiammavano il nostro cuore. Le capivamo ed una forza ci spingeva a metterle subito in pratica. Lo facciamo e avviene un susseguirsi di episodi che stupiscono e incantano. Ci rendiamo conto, con sorpresa, che ciò che Gesù aveva promesso anche ora mantiene. Il Vangelo, dunque, è vero. Questa costatazione mette le ali al nostro cammino da poco intrapreso. La nostra gioia è grande, contagiosa. Comunichiamo agli altri ciò che accade. Ed essi comprendono che Gesù è vivo. Sicché molti vogliono seguirLo. Amare Dio vivendo il Vangelo, parola per parola, è il secondo cardine della nuova spiritualità che Dio ci stava dando. L’arte di amare Fra tutte le parole del Vangelo, lo Spirito Santo ci sottolineava in modo speciale quelle riguardanti l’amore verso il prossimo: amore sempre nuovo che va diretto a tutti, che domanda a ciascuno d’aver l’iniziativa, che deve essere concreto, che vede Gesù in ogni prossimo. Ed abbiamo iniziato ad amare tutti i poveri, i mutilati della guerra, gli orfani, i soli…, che incontravamo, ad invitarli, ad esempio, alla nostra tavola in focolare, mentre ardeva nel nostro cuore il desiderio d’arrivare a risolvere il problema sociale della città. Vi dò un comandamento nuovo La guerra però ci poneva sempre di fronte alla morte, cosicché ci siamo chieste un giorno se vi è nel Vangelo una parola che piace particolarmente a Dio. Avremmo voluto viverla, per dargli gioia, almeno negli ultimi istanti della nostra vita. Il Vangelo presto ce la rivelò in quel comandamento che Gesù dice suo e “nuovo”, quindi speciale: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,12-13). Colpite fortemente dalla bellezza e dalla radicalità di queste parole, ci siamo guardate in faccia e ci siamo dichiarate, sotto l’azione – pensiamo proprio – d’una grazia tutta particolare: “Io sono pronta a dare la vita per te. Io per te. Io per te… Tutte per ciascuna”. E’ stato un patto solenne, che da allora abbiamo cercato di mettere in pratica sempre ed è diventato la base su cui poggia l’intero Movimento dei Focolari. Vivere l’amore evangelico e in modo particolare l’amore reciproco è il terzo cardine da cui non può prescindere chiunque voglia vivere la “spiritualità dell’unità”. Quell’amore che genera la presenza di Gesù in mezzo a noi Ma ecco che, avendo messo in atto l’amore vicendevole, la nostra vita interiore ha avuto un balzo di qualità: abbiamo avvertito una nuova sicurezza, una volontà più decisa, una gioia e una pace mai sperimentate, una pienezza di vita, un’abbondanza di luce. Come mai? La risposta è stata subito evidente quando abbiamo letto queste altre parole di Gesù: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome (e cioè in me, nel mio amore, dicono alcuni Padri della Chiesa), io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). Gesù silenziosamente si era, dunque, introdotto come Fratello invisibile, nel nostro gruppo. Ed abbiamo subito intuito l’infinito valore della sua presenza. Non abbiamo più voluto perderla. Con l’amore reciproco, che generava Gesù fra noi, si realizzava pure l’unità da Lui invocata nel suo testamento: “Che siano uno come io e te” (cf Gv 17,21). Unità che abbiamo potuto suggellare ricevendo quotidianamente la santissima Eucaristia. Gesù in mezzo ai suoi e l’unità sono il quarto cardine della nostra spiritualità. La chiave dell’unità: il grido di Gesù in croce Non sempre naturalmente riuscivamo a vivere così. Alle volte difetti anche piccoli offuscavano lo splendore dell’unità, allontanavano Gesù di mezzo a noi. Ma non ci arrendevamo. Avevamo saputo che Gesù aveva sofferto il massimo dei suoi dolori quando in croce, sperimentando l’abbandono del Padre e la separazione da Lui, aveva gridato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Toccate da questo suo dolore, ci siamo sentite spinte a prendere come modello nostro proprio Gesù nel suo abbandono. Egli si è fatto “peccato” per noi? Ha assunto ogni nostra difficoltà, ogni nostra divisione? Dunque, ovunque appaiono, Egli è presente. E, da allora, abbiamo scoperto il suo volto: nelle aridità della nostra anima, nel buio, nei dubbi; nei prossimi soli, derelitti, delusi; nelle più varie divergenze presenti nelle famiglie; nelle disunità fra le generazioni, fra le comunità della nostra Chiesa; nelle divisioni fra le Chiese; nell’incomunicabilità fra fedeli di religioni diverse, fra credenti e non credenti. E tutti questi dolori, tutte queste disunità non ci hanno spaventate. Anzi abbiamo amato in esse la presenza di Gesù abbandonato. E, comportandoci come Lui ha fatto, quando abbandonato dal Padre al Padre si è riabbandonato (“Nelle tue mani raccomando il mio spirito” – Lc 23,46), abbiamo trovato la chiave per porre rimedio alle diverse situazioni. Amare Gesù crocifisso e abbandonato è il quinto cardine della “spiritualità dell’unità”. La vocazione della nostra Opera: portare Gesù nel mondo Ci vollero cinque, sei anni perché potessimo far nostri questi principali cardini e perché essi raggiungessero il loro vero scopo: insegnarci a vivere sempre con “Gesù in mezzo a noi”. Tutti, infatti, sono in funzione di questa altissima finalità. Si delineava così quella che sarebbe stata la vocazione della nostra Opera: portare spiritualmente Gesù nel mondo. Ed è ciò che è successo, ancora sotto la guerra, attorno al primo focolare: dopo pochi mesi circa 500 persone di tutte le età, uomini e donne, delle più varie estrazioni sociali e di tutte le vocazioni, condividevano il nostro Ideale e formavano lì, in mezzo al mondo, una comunità simile a quella dei primi cristiani. Tra essi non mancavano i figli dei fondatori, religiosi dei più vari Ordini, le cui diverse spiritualità si armonizzavano e risplendevano maggiormente nella comune fraternità. Essi ci hanno dato modo di contemplare gli Ordini, le Congregazioni, le Famiglie religiose, come splendide aiuole del magnifico giardino della Chiesa in cui sono fiorite e fioriscono tutte le virtù. Cristo dispiegato nei secoli Se, infatti, Cristo è il Verbo incarnato, la Chiesa ci è apparsa, per i più vari carismi donatile dallo Spirito, come un Vangelo incarnato. Ogni famiglia religiosa è in particolare l’incarnazione di un’espressione di Gesù, d’un fatto della sua vita, d’un suo dolore, di una sua parola… Ci sono i francescani, che continuano a predicare nel mondo, anche con la loro solo esistenza: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno di Dio” (Mt 5,3). Ci sono i domenicani che, contemplando il Logos, il Verbo, spiegano e diffondono la verità. I gesuiti che sottolineano la totale disponibilità nel servizio della Chiesa mediante l’obbedienza. Gli Ordini missionari che attuano il precetto: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura” (cf Mt 28,19). I carmelitani che adorano Dio sul Tabor pronti a discendere per predicare e affrontare la passione e morte. Le famiglie di san Vincenzo de’ Paoli e di san Camillo de’ Lellis che incarnano le opere di misericordia. E così via. Per tutti questi carismi, fioriti lungo i secoli, la Chiesa appare proprio come un Vangelo dispiegato nel tempo e anche nello spazio, perché i figli dei santi fondatori sono presenti spesso dovunque. I moderni Movimenti ecclesiali e le Nuove Comunità, prevalentemente composti da laici, continuano questa meravigliosa “incarnazione” del Vangelo. Infatti, anche in essi, pur nella diversità delle loro forme, si possono ravvisare doni particolari dello Spirito e una spinta a mettere in pratica le parole di Gesù. Ora, compresa così la Chiesa, quale può essere il rapporto del nostro Movimento con tutte queste ricchezze della Sposa di Cristo e in particolare quale la relazione fra la nostra spiritualità e le altre? L’unità, il supremo disegno di Cristo Come ho già detto, la spiritualità del Movimento s’incentra sull’unità, sul Testamento di Gesù. E, come chiave per attuarla, sul più grande dolore di Gesù: sul suo abbandono in croce. Ora, essendo l’unità – come già diceva Paolo VI – il “supremo disegno” di Cristo, la “sintesi dei suoi precetti” , la parola riassuntiva dei suoi desideri divini , il “vertice del Vangelo” ; ed essendo l’abbandono il culmine del patire, che Cristo ha offerto per la nostra salvezza, è evidente che ogni altra espressione della sua dottrina o della sua vita si ritrovi nell’unità e nell’abbandono. Anzi, è logico che scopra nel Testamento di Gesù e nel vertice del suo patire, il senso vero di se stessa. Rinnovamento delle comunità religiose Ecco perché i numerosi religiosi e religiose che, fin dal nascere del Movimento hanno avuto contatto con esso, vi hanno scoperto una luce che ravvivava la loro spiritualità ed aiutava a comprenderla meglio. Sono assai consolanti, infatti, gli effetti che la partecipazione al carisma dell’unità produce nei più di ventimila religiosi di circa 200 Istituti che sono in contatto con la spiritualità e fanno parte del nostro Movimento, e nelle cinquantaduemila religiose di oltre 2800 Istituti. Essi, per la luce di questo carisma dei tempi attuali, affermano, ad esempio, di comprendere meglio il loro fondatore. Nasce un nuovo amore per lui, un apprezzamento, a volte, non avvertito prima ed un desiderio forte di rivivere ed attualizzare il suo carisma nell’oggi della Chiesa. Conosciuto poi più in profondità il proprio fondatore, affermano di riscoprire le loro regole e sentono una maggiore spinta a metterle in pratica. E ancora, per aver compreso di più il fondatore, nasce una più profonda unità con i superiori che lo rappresentano e, nel padre comune, si trovano a riconoscersi meglio come fratelli della stessa Famiglia religiosa. Tutto ciò favorisce la presenza di Gesù in mezzo alla comunità così unita ed Egli illumina e valorizza ogni suo aspetto, e dà senso ad ogni sua manifestazione. Per questo si assiste ad un vero e proprio rinnovamento di comunità, con aumento di vocazioni, con nuovi sviluppi nelle missioni, con possibilità per i superiori d’affidare compiti difficili a persone di cui possono veramente fidarsi. E ancora si osserva il realizzarsi di una reale e profonda comunione fra membri di Ordini diversi, potenziando il senso dell’unità ecclesiale, così come fra religiosi e sacerdoti secolari, e fra religiosi e laici impegnati. Di qui il sentirsi in modo nuovo parte viva non solo della propria Famiglia religiosa, ma della Chiesa. Comunione tra movimenti ecclesiali Se, sin dall’inizio del nostro Movimento, abbiamo scorto questi frutti e abbiamo sperimentato con forza che il carisma che Dio ci aveva dato incrementava la comunione fra singoli, gruppi e associazioni, in questi ultimi anni abbiamo assistito al dilagare di questa comunione oltre ogni nostra aspettativa e ben al di là del nostro Movimento. Come loro ricorderanno, nella vigilia della Pentecoste 1998, Giovanni Paolo II, pensando maturo il tempo, ha radunato 60 Movimenti ecclesiali e Nuove Comunità in Piazza San Pietro, mettendo in rilievo, nel suo discorso, queste realtà della Chiesa che, con le altre sorte nel passato, rappresentano l’aspetto carismatico di essa, aspetto coessenziale – come ebbe a dire – al suo aspetto istituzionale. In quel giorno, io stessa, essendo venuta a conoscenza del desiderio della Chiesa e del Papa che i Movimenti ecclesiali siano in comunione fra loro, rivolgendo la parola al santo Padre, mi sono detta completamente disponibile a questo scopo. Si è così attuata subito una comunione caratterizzata da una carità fattiva, dapprima fra alcuni Movimenti, poi con altri. Sono fiorite in tutto il mondo delle “Giornate” (200 finora) sostenute dai membri di diversi Movimenti, presenti i Vescovi del luogo o convocate da loro stessi. In esse si sono esposti i propri carismi e si sono donate le proprie esperienze. Le “Giornate” hanno rivelato, in genere, ai singoli Vescovi la grande ricchezza che i Movimenti e le Nuove Comunità portano, e hanno fatto loro intravedere, per essi, la possibilità di rendere la Chiesa più unita, più bella, più viva, più dinamica, più familiare, più carismatica, più mariana. Comunione tra carismi antichi e nuovi In seguito a tutto ciò Famiglie religiose, nate da antichi o meno antichi carismi, costatata la vitalità dei Movimenti ecclesiali e delle Nuove Comunità, hanno desiderato anch’esse conoscerci e iniziare con noi una comunione. Così è stato, ad esempio, con l’intera famiglia francescana ad Assisi, con quella benedettina a Montserrat in Spagna, con la Congregazione di Madre Teresa a Calcutta, con le Piccole sorelle di Gesù e con i cistercensi a Roma, ed altri. L’augurio del Papa E, mentre si svolgevano queste diverse iniziative, il santo Padre promuoveva, attraverso la Novo millennio ineunte, all’inizio dell’anno 2001, una “spiritualità di comunione” per tutta la Chiesa. Come scrisse il Papa in due lettere ai Vescovi amici del nostro Movimento , questa “spiritualità di comunione” si identifica con la “spiritualità dell’unità”, dell’Opera di Maria, e ne viene “arricchita”. Nell’anno 2002, poi, ci ha dato grande gioia il documento della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata intitolato: Ripartire da Cristo. In esso si consiglia ai e alle religiose “di far crescere la ’spiritualità di comunione’ prima di tutto al proprio interno”(n.28) e poi “nella stessa comunità ecclesiale”, favorendo così la comunione fra i diversi Istituti. E’ “un compito dell’oggi delle comunità di vita consacrata” dice il documento. “Nei confronti delle nuove forme di vita evangelica (i Movimenti, ad esempio), si domanda dialogo e comunione” (n.30), e si parla dei vantaggi della comunione per gli uni e per gli altri. Infine si ammonisce: “Non si può più affrontare il futuro in dispersione” (n.43). Queste indicazioni del Papa e della Santa Sede sono un’ulteriore conferma che la “spiritualità dell’unità” può essere vissuta insieme ad un’altra, ad esempio a quella propria di una Famiglia religiosa: essa non è, infatti, che la spiritualità del Corpo mistico nel quale tutti siamo inseriti. Per cui, anche se la nostra singolare vocazione ci chiama a incarnare un particolare della vita di Gesù, una delle sue tante parole, lo dobbiamo fare vivendo prima di tutto l’amore che è l’anima di quel Corpo. I nostri carismi porteranno più copiosi frutti se metteremo a base della vita delle nostre comunità la mutua e continua carità che è l’essenza della vita cristiana, qualunque sia la forma che essa prende. Tutto quanto ho riferito fin qui ci sembra voglia dire che lo Spirito Santo sta soffiando sulla Chiesa perché si compia, anche attraverso di noi, il grande desiderio del santo Padre: far sì che essa sia “la casa e la scuola della comunione” (NMI 43). Insieme per l’Europa Abbiamo toccato con mano gli straordinari effetti di questa comunione e le sue enormi potenzialità nel maggio scorso a Stoccarda, in una grande Giornata dal titolo Insieme per l’Europa. Essa era frutto della collaborazione di più di 150 Movimenti e Comunità di varie Chiese (luterani, ortodossi, anglicani, di Chiese libere…), che da alcuni anni si sono aggregati ecumenicamente alla comunione sorta tra i Movimenti cattolici. Tutti questi Movimenti e Comunità ci erano apparsi come tante reti che Dio aveva steso sull’Europa, quasi a preparare- a livello di laboratorio – la sua unità. Volevamo far conoscere queste buone opere onde dare gloria a Dio (cf Mt 5,16) e concorrere a realizzare, accanto all’Europa politica ed economica, l’“Europa dello spirito”. La Giornata è stata un evento profetico e storico che ha radunato in un tripudio di comunione 9.000 persone, presenti numerosi politici tra i quali Romano Prodi. Trasmessa via satellite nel nostro continente ed oltre, questa Giornata è stata seguita in diretta da 100.000 persone in 163 incontri contemporanei, svoltisi in altrettante città europee collegate con Stoccarda. A conclusione di essa è stato detto autorevolmente che c’era in quella sala una fortissima energia, gioia, decisione, vitalità, coraggio, arte, profezia, un’incredibile comunione d’intenti. Mons. Stanislaw Rylko, Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, ha definito la manifestazione una “cosa miracolosa”, mentre il card. Kasper si è detto certo che da un simile spirito anche il movimento ecumenico riceverà nuovi impulsi e andrà avanti con nuova speranza. Ma, per chi più vi ha lavorato, un simile evento si spiega con una sola parola: Gesù, Gesù che era spiritualmente presente in mezzo a tutti, cattolici ed altri cristiani, perché tanti si erano impegnati a mantenerlo vivo costantemente, col loro reciproco amore a tutta prova, e con l’amore totale verso chiunque. E’ Lui, infatti, il Risorto, il principio, il mezzo e il fine della nostra comunione, nella Chiesa e oltre. E’ Lui, reso vivo e palpitante fra quanti si amano, la fonte dell’amore e della luce, l’artefice della nostra gioia. E’ Lui che vince il mondo, Lui che ha pregato così prima di morire: “Padre, che siano uno affinché il mondo creda. Che tutti siano uno” (cf Gv 17,21). Preghiera del Figlio di Dio al Padre. Preghiera quindi che non potrà non essere esaudita. Che il Signore dia a tutti noi di lavorare ancora a lungo nella sua vigna e che mandi numerosi operai in essa! Grazie di questo dottorato. Grazie della loro attenzione.
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Dic 30, 2004 | Chiara Lubich, Focolari nel Mondo, Senza categoria
Alla scuola dei santi
Ero ancora studente di teologia quando con i miei compagni donammo a Chiara Lubich un libretto ciclostilato con alcuni pensieri sulla vita fraterna, tratti dagli scritti del nostro fondatore. Pochi giorni dopo ci chiese se poteva mandarne copia a tutti i focolari sparsi nel mondo. Lo aveva letto d’un fiato, “come si beve un sorbetto”, diceva, ed aveva annotato alcuni pensieri su sant’Eugenio de Mazenod, mostrando di averlo capito nel profondo della sua personalità spirituale. Ciò che più mi colpì furono le parole che rivolse a noi Oblati in quella circostanza: “Se loro, per via del carisma dell’unità, si sentono dell’Opera di Maria, io per via del loro fondatore mi sento “Oblata di Maria Immacolata”. E subito aggiungeva: “Ma io mi sento di tutti gli Ordini: di san Francesco, di san Benedetto…”. “Mi sento di tutti gli Ordini…”. Queste stesse parole, espresse in modo diverso, le ho poi ritrovate spesso negli scritti di Chiara. “Se da una parte siamo coscienti che il carisma del nostro Movimento è utile a tutta la Chiesa – scriveva ad esempio durante la lettura delle opere di S. Giovanni della Croce -, dall’altra siamo pure convinti che tutti i carismi della Chiesa sono utili a noi, figli della Chiesa. E allora dobbiamo imparare da tutti i santi” 1. Si sente, in queste parole, una “donna-Chiesa”, capace di dire, come un’altra grande donna, Teresa d’Avila, “sono figlia della Chiesa”. Perché tale sa mettersi con umiltà alla scuola dei santi. La loro esperienza le appartiene, come tutto ciò che è Chiesa. “È proprio della nostra spiritualità – scrive in pro-posito – imparare dai santi, farci figli di essi, per partecipare del loro carisma”. 2 Leggendo i suoi scritti si rimane impressionati di come Chiara Lubich ha camminato in compagnia dei santi.Si è confrontata costantemente con loro, in un rapporto che potremmo definire d’amore vicendevole, di unità e di distinzione. Da una parte i santi, con la loro esperienza di Dio, quasi le si accostano per incoraggiarla nella nascita e nello sviluppo della sua Opera, per illuminarla, aiutarla 3. Dall’altra il confronto con la vita e le opere dei santi le consente di cogliere tutta l’originalità della sua fondazione. Una ricca dottrina sulla dimensione carismatica della Chiesa Nello stesso tempo, grazie a questa particolare reciprocità d’amore con i santi, Chiara sa rico-noscere “il compito, la missione, il disegno che Dio ha pensato per essi” 4. Più ancora, ella arriva ad elaborare una ricca ed originale dottrina sulla dimensione carismatica della Chiesa e sui carismi della vita consacrata in particolare. È il primo motivo per cui le viene meritatamente conferito il dottorato in teologia della vita consacrata. Chiara Lubich possiede una sua originale comprensione dei carismi. Li vede come lo spiegarsi di Cristo attraverso i secoli, come un Vangelo vivo. Se Cristo è il Verbo di Dio incarnato, scriveva nel lontano 1950, a soli 30 anni, “la Chiesa è il Vangelo incarnato. Così è Sposa di Cristo. Noi vediamo attraverso i secoli fiorire tanti Ordini religiosi su tante ispirazioni quanti essi sono. Ogni Ordine o Famiglia Religiosa è l’incarnazione d’un’“espressione” di Gesù, d’una sua Parola, d’un suo atteggiamento, d’un fatto della sua vita, d’un suo dolore, d’una parte di Lui”. 5 Poi, sempre in questo illuminante testo del 1950, ecco la percezione estetica della Chiesa cari-smatica, quale “magnifico giardino in cui fiorirono tutte le Parole di Dio, fiorì Gesù, Parola di Dio, in tutte le più svariate manifestazioni. (…). Come l’acqua si cristallizza in stelline di tutte le forme quando cade come neve sulla terra, così l’Amore assunse in Gesù la Forma per eccellenza, la Bellezza delle Bellezze (“il più bello dei Figli degli uomini” [cf Sal 45, 3]). L’Amore assunse nella Chiesa diverse forme e sono gli Ordini e le famiglie religiose. Nella Chiesa fiorirono e fioriscono tutte le virtù. I fondatori degli Ordini sono quella virtù fatta vita e salirono al Cielo solo perché erano Parola di Dio. (…) Tutte queste Parole formano la Chiesa, un Altro Cristo o un Cristo continuato, la Sposa di Cristo. È la Nuova Gerusalemme ammanta-ta di tutte le virtù”. 6 I carismi appaiono sostanziati dal Verbo, sue espressioni: lo contengono e lo manifestano, sono verbo nel Verbo, un Vangelo incarnato. “In tutti gli Ordini è un raggio dell’Ordine che è Dio. In tutte le spiritualità una luce della luce che è Gesù”. 7 I fondatori sono contemplati come “ortoprassi” della dottrina cristiana. La loro vita è illuminata e guidata dal Vangelo e insieme lo spiega. Ognuno di loro, scrive ancora Chiara, “ha ordinato in famiglia” i propri seguaci “con le leggi eterne del Vangelo, sentite risuonare con novella e attuale forza dallo Spirito Santo nel suo spirito”. 8 È la motivazione ultima e il senso profondo della vita consacrata: vivere appieno la vita evangelica, seguendo con radicalità Cristo nelle sue parole e nella sua opera. Il Vangelo è l’unica vera regola, come già sapeva il primitivo monachesimo. Inevitabile il confronto di questa intuizione del 1950, in cui Chiara Lubich legge la vita consacrata a partire dal suo dinamismo storico-carismatico, con la teologia che si elaborava nel medesimo periodo. Il Congresso mondiale degli istituti di perfezione, che si celebrava a Roma in quello stesso anno, riproponeva una statica teologia degli “stati di perfezione”, ancora ferma al “culto dei voti”. Occorrerà attendere ancora sette anni prima che Karl Rahner scriva il famoso libro sul principio dinamico della Chiesa nel quale rilegge in questa chiave anche l’evento della vita religiosa. Una nuova corrente di spiritualità Fin dall’inizio sono stati coinvolti in questa nuova corrente di spiritualità anche religiosi e religiose.Da qui ha preso vita, in seno all’Opera di Maria, un Movimento di religiosi e un Movimento di religiose e consacrate, a cui aderiscono migliaia di membri dei diversi istituti. In questo ambito l’esperienza spirituale di Chiara ha espresso anche una originale metodologia ermeneutica dei carismi, che si è rivelata via privilegiata per il rinnovamento auspicato dal Concilio Vaticano II. Ed è questo il secondo motivo per cui le viene conferito il dottorato. Essere parola nell’unica Parola Se i carismi e gli istituti possono essere paragonati a fiori sbocciati dal Vangelo, di certo essi conserveranno o ritroveranno la loro freschezza, e quindi saranno pienamente se stessi, nella misura in cui saranno capaci di andare alla radice da cui sono nati, immergendosi nuovamente nel Vangelo “nel quale solo valgono – ricorda Chiara -, ed il quale solo debbono essere”. 9 Ogni istituto ed ogni spiritualità ad esso legata è chiamato a tornare ad essere parola nell’unica Parola. Vivendo il Vangelo in pienezza si accende la luce per cogliere la particolare di-mensione evangelica da cui il carisma è sgorgato. In definitiva, ricorda Chiara, “Tutti questi Ordini, queste spiritualità nate attraverso i secoli debbono ritrovare la loro vera essenza, il loro principio: tutte sono Gesù: sono Amore Incarnato (…). Sono tutte pregne di Amore, Spirito Santo. (…) Per ridonare la vera spiritualità agli Ordini dobbiamo far sì che i seguaci vedano il loro fondatore come Dio lo vede e Dio non può vedere che Dio, ciò che è Divino. Dio non vede S. Francesco, ma vede l’Idea della Povertà. In S. Teresina vede la piccolezza, in S. Caterina il Sangue di Cristo. Iddio ama ogni Ordine perché Gli ricorda Se stesso, Gli ricorda Gesù, l’Idea di Sé umanata”. 10 La parola per eccellenza: il grido di Cristo in croce La proposta ermeneutica di Chiara va ancora più in profondità quando orienta verso il mistero di Gesù crocifisso e abbandonato. Il grido di Cristo in croce: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato” (Mc 15, 34; Mt 27, 46), è colto da Chiara come la Parola per eccellen-za, quella in cui tutte le altre parole del Vangelo trovano la più alta spiegazione. Conseguentemente, quando ella pensa ai carismi come “parola di Dio”, non può non vederli se non in riferimento a Gesù abbandonato. Essi sono tutti sgorgati da quella “piaga”, da dove è sgorgato lo Spirito Santo, autore dei carismi. 11 Dal punto di vista ermeneutico il ritorno al Vangelo va quindi portato alle sue estreme conse-guenze: deve giungere al culmine del Vangelo. “Questi Ordini e spiritualità – spiega Chiara – si mantengono se vanno alla Fonte donde hanno Vita: Dio, il Vangelo intero, Gesù nell’espressione più completa di Sé”, ossia “quando redime e redime nell’attimo dell’abbandono”. 12 Ogni carisma ha bisogno del dono dell’altro Riprendendo nuovamente la metafora della Chiesa come giardino,una ulteriore legge metodologica per la comprensione profonda di un carisma viene così formulata: non fermarsi a guardare soltanto il proprio fiore, ma guardare piuttosto tutti gli altri fiori. Per il fatto che il mistero di Cristo è inesauribile e inesauribile la ricchezza della sua parola, ogni carisma ha bisogno del dono dell’altro, della luce dell’altro, per capire in profondità se stesso. Senza la piena comunione fra tutti i carismi difficilmente si può raggiungere il senso vero di ciascuno di essi. Si può ora comprendere meglio l’apporto specifico della spiritualità dell’unità alle altre spiritualità nella Chiesa. Nessuna concorrenza o dicotomia. La spiritualità dell’unità aiuta piuttosto a vivere l’amore reciproco in tutta la sua autenticità, con la misura espressa da Gesù croci-fisso e abbandonato, anche tra benedettini e domenicani, tra gesuiti e francescani, tra verbiti e lazzaristi, introducendo nella pienezza della vita evangelica. Grazie a questa co-munione dei doni tra persone di differenti ordini e istituti Gesù si rende nuovamente presente tra di loro e lui, il Signore Risorto, torna a spiegare le Scritture – il carisma di ciascuno –, proprio come aveva fatto quando si era reso presente tra i due discepoli di Emmaus. “Noi – spiega Chiara riguardo al proprio contributo alle altre vocazioni nella Chiesa – dobbiamo soltanto far circolare fra i diversi Ordini l’Amore. Si devono comprendere, capire, amare come si amano [tra di loro] le Persone della Trinità. Fra essi c’è come rapporto lo Spirito Santo che li lega perché ognuno è espressione di Dio, di Spirito Santo”. 13 Forse perché la sua è “Opera di Maria”, “si comprende come lei [Maria], madre di tutti i fedeli e della Chiesa, possa aver suscitato un Movimento ecclesiale che raduni tutte le vo-cazioni della Chiesa. E, perché colma di tutti i carismi di Dio, non abbia escluso i religiosi che ama senz’altro di un amore particolarissimo. Essa vuole, anche attraverso questa sua opera, dar una mano a tali figli prediletti”. 14 Il focolare: una originale forma di vita consacrata Vi è infine un terzo motivo per cui consegniamo a Chiara Lubich il dottorato, ed è fondamentale. Lo accenno soltanto preferendo lasciare a lei stessa, come la più competente, di illustrarcelo. Chiara non soltanto ha elaborato una dottrina nuova sulla vita consacrata e una metodo-logia ermeneutica per la sua comprensione e il suo rinnovamento. Ha fatto molto di più: ha creato una nuova originalissima forma di vita consacrata, il focolare. J.M.R. Tillard ci ha ricordato che i grandi fondatori posti dallo Spirito all’origine di nuove organiche riletture evangeliche, capaci quindi di dare vita a nuove spiritualità – ed è questo il ca-so di Chiara Lubich – “piuttosto che innestare il loro carisma nell’istituzione religiosa che li precede, la modificano per adattarla al loro progetto e porla al loro servizio, dandole così un nuovo volto”. 15 Essi suscitano nuove forme di vita consacrata. E nuova è la forma del focolare e, attorno ad esso, della grande e complessa architettura dell’Opera di Maria, che abbraccia ormai tutte le vocazioni presenti nella Chiesa e che va oltre, nella comunione con le altre Chiese, con i membri delle altre religioni, con le persone di convinzioni non religiose, attuazione dei quattro grandi dialoghi sui quali il Concilio Vaticano II ha aperto tutta la Chiesa. Un’audace Opera della Chiesa Ricordo che in queste aule, spiegando a noi studenti il perché del dottorato a Teresa d’Avila, Jean Leclercq ci diceva che esso non riguardava soltanto il suo magistero nell’ambito della dottrina spirituale ma, grazie alla regola da lei scritta, anche in quello canonico. Chiara Lubich ha visto approvato dalla Chiesa uno Statuto accompagnato finora da ben 18 regolamenti per al-trettante diramazioni e branche. Il nostro dottorato è il riconoscimento dell’audacia della sua istituzione. La comunità è composta da vergini e sposati, membri a pieno titolo del focolare, e questo obbliga a ripensare l’idea stessa di consacrazione. Il governo, sempre presieduto, per Statuto, da una donna, è lo spazio che consente a “Gesù in mezzo” di guidare il Movimento secondo il di-segno di Dio. La finalità apostolica travalica luoghi e settori specifici per abbracciare gli oriz-zonti stessi del Figlio di Dio: “Che tutti siano uno”; tutti, senza alcuna esclusione di ambiti e di persone. La molteplicità delle vocazioni ecclesiali che vivono nel suo seno, delinea, in bozzetto, come ha avuto occasione di sottolineare Giovanni Paolo II 16, una Chiesa interamente ordinata dalla reciprocità dell’amore, secondo il modello trinitario. L’accoglienza di membri di altre Chiese e religioni, insieme a persone di buona volontà, dilata i confini della Chiesa su quelli infiniti di Cristo e della sua redenzione. In definitiva è apparsa nella Chiesa, ed è vita della Chiesa, una realtà nuova che è destinata a fermentarla tutta, dal di dentro. Chiara Lubich ha disegnato un immenso affresco che rimarrà segno emblematico della grande stagione carismatica vissuta dalla Chiesa tra i due millenni. ________________________________ 1 Diario, 30 agosto 1980, inedito, riportato in C. Lubich, Cristo dispiegato nei secoli. Testi scelti, Città Nuova, Roma 1994, p. 68. 2 Diario, 21 maggio 1963, Diario 1964/65, Città Nuova, Roma 19852, p. 61. 3 Cf. Ibid., p. 63. 4 Scritti spirituali/2, Città Nuova, Roma 19843, p. 223. 5 [La Chiesa], 1959, inedito. Questo,m come si successivi testi inediti sono stati riportati in F. Ciardi, I carismi parole di Dio vive, “Nuova umanità”, 19 (1997) 387-407. 6 Ibid. 7 Ibid. Sembra qui riecheggiata l’esperienza di san Paolo, che è poi quella di ogni carismatico: “E Dio che disse: Rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo” (2 Cor 4,6). Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica Vita consecrata scrive che “nell’unità della vita cristiana le varie vocazioni sono come raggi dell’unica luce di Cristo “riflessa sul volto della Chiesa”” (n. 16). 8 Scritti Spirituali/1, p. 87. 9 [La Chiesa], 1950, inedito. 10 Ibid. 11 In uno dei suoi scritti così esprime tale rapporto tra Gesù abbandonato e le spiritualità degli istituti religiosi: “Se per i francescani è importante la povertà, di cui Francesco è il carisma incarnato, chi più “Ma-donna povertà” di Gesù, il quale nell’abbandono ha perduto Dio? Se i gesuiti mettono in rilievo l’obbedienza, chi più obbediente di Gesù che, orbato del senso della presenza del Padre, a Lui si abbandona? Gesù abbandonato è il modello dei benedettini, “ora et labora”, perché il suo grido è la più straziante preghiera e frutta l’opera più favolosa. Gesù abbandonato è il modello dei domenicani, perché è lì che esprime, che dà tutta la Verità. (…) La spiritualità di Gesù abbandonato può penetrare tutte le altre riportandole, qualora ne avessero bisogno, al loro vero significato, al carisma riposto dal Cielo nel cuore del fondatore, e illuminando i discepoli onde capire ciascun loro maestro e quanto, nelle loro regole di vita, ha loro lasciato”(Citato da A. Balbo, Gesù abbandonato nella vita religiosa, in AA.VV., Il sacerdote oggi, il religioso oggi, o.c., p. 29). Rivolgendosi poi ai religiosi Chiara Lubich così si scriveva: Maria, attraverso la sua Opera (l’Opera di Maria) “concorre anch’essa, con una sua spiritualità, a far sì che queste aiuole [delle famiglie religiose] siano sempre più fiorenti agli occhi di Dio e del mondo. La Vergine opera questo, facendo splendere su molti religiosi quel sole radioso della carità che genera vita; mentre li invita a contemplare le particolari parole, che lo Spirito ha insegnato loro ad incarnare, in Colui nel quale ogni virtù ha raggiunto il culmine, ha toccato il vertice: Gesù crocifisso e abbandonato. Chi saprà mai cantare la sua povertà, affrontare la sua obbedienza, misurare la sua sapienza, raggiungere la sua umiltà? Chi conosce la sua forza? Chi può immaginare la sua fiducia? Chi scrutare l’abisso del-la sua misericordia o imitare la sua magnanimità? Chi bruciare del suo amore? È alla sua luce che molti religiosi riscoprono alla radice il carisma della proria famiglia religiosa” (Messaggio rivolto al Congresso, in AA.VV., Il sacerdote oggi, il religioso oggi, Città del Vaticano, 30 aprile 1982, p. 11). Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica Vita consacrata scrive in proposito: “Nella contemplazione di Cristo crocifisso tro-vano ispirazione tutte le vocazioni; da essa traggono origine, con il dono fondamentale dello Spirito, tutti i doni e in particolare il dono della vita consacrata” (n. 23). 12 Andare a Gesù abbandonato vuol dire scoprire la fonte ultima della propria vocazione e, insieme, ciò che costantemente può alimentarla. Chi punta “l’occhio del cuore su di Lui”, spiega ancora Chiara Lubich, trova “non una spiritualità ma la Spiritualità (che è l’Unità); non trova un Ordine, ma l’Ordine; non regole ma la Regola, cioè il Vangelo puro” (1950 [?], inedito). 13 [La Chiesa] 1959, inedito. “Il carisma dell’unità – spiega ad alcuni religiosi – mette in moto i figli dei Fondatori, e fa che si conoscano e li uniscano tra di loro. Siccome la carità è illuminante, ognuno viene il-luminato sulla propria vocazione, che sente dentro di sé, perché, se quel dato religioso è figlio di un Santo, ha naturalmente una grazia di figliolanza dentro di sé” (29 settembre 1974, inedito). La carità fa rifiorire la grazia carismatica che lo Spirito ha deposto nel cuore di ciascuno chiamandolo in quella determinata famiglia religiosa. 14 Inedito, citato da J. Castellano, Un carisma a servizio dell’unità tra i religiosi, in F. Ciardi (ed.), Il coraggio della comunione. Vie nuove per la vita religiosa, Città Nuova, Roma 1993, p. 94. 15 Le dynamisme des vocations, “Vocations” (1881), n. 295, p. 22-24. 16 Cf. Discorso al Movimento dei Focolari, Rocca di Papa, 19 agosto 1984; “L’Osservatore Romano”, 20/21.8.1984, p. 5. (altro…)
Dic 30, 2004 | Chiara Lubich, Spiritualità
“La Chiesa ci è apparsa, per i più vari carismi donatile dallo Spirito, come un Vangelo incarnato. Ogni famiglia religiosa è in particolare l’incarnazione di un’espressione di Gesù, d’un fatto della sua vita, d’un suo dolore, di una sua parola… Per tutti questi carismi fioriti lungo i secoli, la Chiesa appare proprio come un Vangelo dispiegato nel tempo e anche nello spazio”
Queste, alcune parole della lectio di Chiara Lubich in occasione del conferimento del dottorato honoris causa in Teologia della Vita Consacrata dalla Pontificia Università Lateranense – Istituto “Claretianum” di Roma, specializzato in teologia della vita consacrata.
In una sala gremita di religiosi, religiose e studenti è il preside dell’Istituto, prof. Santiago Ma González Silva che apre la cerimonia presentando la spiritualità dell’unità del Movimento dei Focolari agli oltre 400 alunni di 57 nazioni, rappresentanti di 177 istituti. Dopo l’esecuzione di una versione polifonica del Veni Creator, cantata dal coro interuniversitario di Roma, il preside traccia una presentazione della fondatrice dei Focolari: “In Chiara – afferma – contempliamo limpidamente riflessa una parola del Vangelo che ormai varca, oltre i confini della Chiesa, tutte le regioni del pianeta: il comandamento nuovo di Gesù, «Amatevi l’un l’altro come io ho amato voi» (Gv 13,34)”.
Il prof. Fabio Ciardi, Omi, docente al Claretianum, nella laudatio ricorda il suo incontro giovanile con la spiritualità dell’unità dei Focolari e la sorpresa nel constatare in Chiara «il bisogno di partecipare al carisma di tutti i santi». Illustra poi le tre motivazioni fondamentali del dottorato: – l’aver elaborato una dottrina sui carismi della vita consacrata, con la singolare intuizione dello spiegarsi di Cristo lungo i secoli, come un Vangelo vivo; – l’apertura della spiritualità di comunione – tipica dei focolari – alle varie forme di vita consacrata (sono decine di migliaia i religiosi e le religiose in contatto con questa spiritualità); – l’aver creato una originale forma di vita consacrata, il focolare. Il dottorato è il riconoscimento anche dell’Opera fondata da Chiara Lubich, che coinvolge non soltanto le diverse vocazioni della comunità cristiana, ma anche membri di altre Chiese cristiane, di altre religioni e persone di altre convinzioni. (altro…)
Dic 29, 2004 | Focolari nel Mondo
I responsabili delle comunità del Movimento presenti in India, Sri Lanka, Tailandia, Indonesia e Malesia, si sono attivati per sostenere varie iniziative d’aiuto alle popolazioni disastrate.
Si possono mandare contributi attraverso l’AMU: Associazione Azione per un Mondo Unito Via Frascati 342 00040 Rocca di Papa (Roma) – Italia c/c bancario n. 640053 presso Sanpaolo IMI, Agenzia di Grottaferrata (Roma) ABI 01025 CAB 39140 CIN M Coord. Bancaria internazionale per i versamenti dall’estero: IBAN IT16 M010 2539 1401 0000 0640 053 BIC IBSPITTM Per l’Italia si può utilizzare anche il conto corrente postale 81065005, sempre intestato all’AMU: Associazione “Azione per un Mondo Unito”, Via Frascati 342 00040 Rocca di Papa (Roma), indicando come causale ‘Emergenza Sud-est asiatico’. L’Associazione “Azione per un Mondo Unito” (AMU) è un’ organizzazione non governativa (ONG) che si ispira alla spiritualità dell’unità del Movimento dei Focolari e si propone di favorire la fraternità tra i popoli, promuovendo progetti di cooperazione allo sviluppo, nel rispetto delle realtà sociali, culturali ed economiche delle popolazioni. Per chi desiderasse avviare delle adozioni a distanza: http://www.famiglienuove.org/it/sostegnoadistanza.php
Nota. Secondo la normativa fiscale italiana i contributi ricevuti sono deducibili nella misura massima del 2% del reddito complessivo sia per le persone giuridiche che per le persone fisiche.
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Dic 28, 2004 | Focolari nel Mondo
Tempo fa, come responsabile di un progetto europeo, mi trovo a riferire sullo stato dei lavori al consesso dei rappresentanti degli stati dell’Unione, presenti gli ufficiali della Commissione Europea. Il suggerimento dei colleghi più esperti è di essere generico e fumoso nell’esposizione per non correre il rischio di essere criticato e messo in difficoltà dai rappresentanti degli stati; ma questo non corrisponde al mio stile di vita e di lavoro: prima di ogni riunione, oltre al problema in esame, penso al rapporto con le persone che mi stanno intorno, alla loro vita e a quel poco che so delle speranze, difficoltà e aspettative con cui sono arrivate alla riunione. Penso agli utenti finali che potrebbero ricevere un beneficio dal nostro lavoro. E torniamo a Bruxelles, alla nostra sessione plenaria; contrariamente ai suggerimenti dei miei colleghi, espongo lo stato del progetto con calma e chiarezza, guardando i rappresentanti degli stati in faccia per essere sicuro che comprendano bene. Si trattava di un servizio per i pensionati europei che, per essere realizzato correttamente, aveva bisogno del contributo convinto dei rappresentanti degli Stati, in modo da tener conto delle situazioni locali. Al termine dell’esposizione, per più di un’ora sono stato sottoposto ad una raffica di domande e osservazioni di tutte le delegazioni. Nel rispondere cercavo sempre di mettermi nella pelle e nella cultura di colui che faceva la domanda, in modo da capire cosa c’era dietro, e rispondere in modo mirato e personale. Durante la discussione si sono accesi vivaci contrasti tra i delegati, spesso dovuti solo ad incomprensioni a causa delle diverse culture, modi di dire, legislazioni, abitudini… Ho cercato quindi di intervenire con delicatezza, spiegando all’uno perché l’altro aveva fatto quell’osservazione, che però andava letta ed interpretata in un certo modo, aiutandoli quindi a capirsi, a dissipare il sospetto di secondi fini, per trovare un punto comune. Il risultato finale è stato l’approvazione del progetto, con una serie di osservazioni e miglioramenti condivisi da tutti i delegati. C’era una distesa ed insolita aria tra tutti. Quando alla fine mi sono alzato, salutandoli e ringraziandoli per la fruttuosa revisione che avevamo fatto insieme, mi hanno fatto un applauso, cosa raramente successa in quella sala. I. N. – Italia Tratto da Tutta rivestita di Parola, a cura di Michele Zanzucchi, Città Nuova 2004
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Dic 12, 2004 | Chiesa, Ecumenismo
INTERVISTA:
Quello vissuto in questi giorni è stato un incontro tanto atteso che ha visto una maggiore partecipazione di vescovi di varie Chiese, rispetto agli anni scorsi. Perché? Metropolita Serafim Joanta: Perché Istanbul, l’antica Costantinopoli, questa terra, la Turchia è un Paese anticamente cristiano, ricco di storia, di tanti luoghi santi. E’ per questo che molti vescovi sono stati attirati: per vivere proprio qui momenti di unità. E’ stato un incontro speciale. In questi giorni abbiamo vissuto un’esperienza estremamente ricca che ci ha rinnovato spiritualmente a contatto con questa cristianità antica: con gli ortodossi, con i siro-ortodossi, gli armeno-apostolici, i cattolici di diversi riti. Un fatto del tutto eccezionale e straordinario. Da dar gloria a Dio! Loro hanno vissuto questa settimana proprio in un momento in cui sono stati compiuti gesti storici nei rapporti tra Costantinopoli e Roma, per il ritorno a Costantinopoli delle reliquie dei due grandi Padri della Chiesa, san Giovanni Crisostomo e san Gregorio Nazianzeno detto “il Teologo”. Inoltre, hanno avuto più di un contatto diretto con il Patriarca. Quale significato ha assunto il loro convegno? Metropolita Serafim Joanta: Il ritorno delle reliquie dopo secoli è stato per questi cristiani, per la Turchia, un segno di speranza molto forte, molto commovente. Sono stato impressionato da come i vescovi delle Chiese anglicana e evangelico-luterana, che assistevano per la prima volta alla venerazione delle reliquie da parte di ortodossi e cattolici, abbiano apprezzato questo gesto. Il patriarca Bartolomeo ha parlato in modo commovente, ringraziando il Papa e la Curia romana per questo gesto eccezionale. E per il Patriarcato ecumenico e per le altre comunità siro-ortodossa, armena, anglicana che hanno visitato, quale significato ha avuto la loro presenza? Metropolita Serafim Joanta: Tutte le comunità hanno avvertito l’unità che c’era tra di noi. Hanno apprezzato la preghiera, la “qualità” della comunione. E’ stata per loro una cosa straordinaria vedere vescovi di tante Chiese uniti nella preghiera. Hanno manifestato gioia per il fatto che siamo stati in mezzo a loro. E’ stata per loro come una nuova chiamata all’unità: se i vescovi sono insieme, anche il popolo di Dio deve essere insieme. Penso che tutte queste comunità abbiano ricevuto un grande impulso per l’avvenire. Il Patriarca ecumenico Bartolomeo I, alla festa di s. Andrea, ha parlato del primato dell’unità spirituale che siamo chiamati a vivere in Cristo, sul modello della Trinità. Sembra un traguardo lontano… Metropolita Serafim Joanta: Penso che quanto abbiamo vissuto qui a Costantinopoli e quanto vivono cristiani di diverse Chiese insieme, nello spirito d’unità del Movimento dei Focolari, con Gesù in mezzo, è un esempio, una speranza, è un seme dell’unità che esiste già tra le diverse Chiese nella comunione, nell’amore della Trinità. Tra noi, infatti, c’è un grande amore, grande rispetto per ogni Chiesa, per ogni tradizione. Ho visto come i vescovi evangelici, anglicani e cattolici hanno apprezzato le icone, le reliquie, la liturgia ortodossa che è lunga, ma bella. Tutto questo è stato un esempio dell’unità che esiste già e che si deve diffondere in tutte le Chiese, in tutta la cristianità. E’ l’amore che può far avanzare l’unità dei cristiani. Se, soprattutto noi vescovi e i capi delle Chiese, diamo questa testimonianza – il dono delle reliquie ne è un segno molto forte – tutto questo sarà recepito dalla coscienza delle nostre Chiese. Dove ha radice questa loro esperienza di unità, da dove attinge la linfa? Metropolita Serafim Joanta: La radice dell’unità è l’amore di Dio, l’amore del Cristo che unisce nello Spirito Santo il mondo intero e prima di tutto i cristiani che si uniscono nel suo nome. E’ per questo che abbiamo in noi, nel nostro cuore, Gesù, Gesù in mezzo a noi. Questa spiritualità del Movimento dei Focolari è la spiritualità per eccellenza della Chiesa di Cristo, di ciascuna Chiesa. Sottolineo questo sempre: non è qualcosa specifico di questo movimento o della Chiesa cattolica soltanto. L’unità proposta da Chiara Lubich e dal Movimento dei Focolari è anche per le Chiese ortodossa, luterana, anglicana, perché è semplicemente evangelica, riassume, comprende tutto il Vangelo, l’essenza del Vangelo: è l’amore di Dio, l’unità in Cristo per lo Spirito Santo. Tra le tappe del loro pellegrinaggio in questa terra antica del cristianesimo c’è stata Nicea. Che significato ha avuto per loro? Metropolita Serafim Joanta: A Nicea abbiamo vissuto un momento molto forte: è un luogo che testimonia la Chiesa indivisa. Dove nel 325, si è celebrato il primo Concilio che ha formulato la prima parte del nostro credo. Insieme abbiamo firmato un patto di amore tra noi vescovi, e, in quanto vescovi, ci siamo impegnati anche per tutta la nostra Chiesa locale ad adoperarci per il ristabilimento della piena comunione visibile. E’ stato un segno molto forte e una speranza per l’avvenire. Dove e quando il prossimo appuntamento? Metropolita Serafim Joanta: Il prossimo anno ci ritroveremo in Romania, a Bucarest. Ci troveremo in un Paese ex-comunista che ha sofferto per 50 anni la repressione e da pochi anni ha ritrovato la libertà, non senza incontrare difficoltà. Questo nostro incontro sarà un segno di incoraggiamento per i cristiani di Romania, non solo ortodossi. C’è una forte comunità di cattolici, ci sono evangelici, calvinisti. Sarà l’occasione per incontrare il patriarca Teoctist … Metropolita Serafim Joanta: Sì, sarà l’occasione per incontrare il Patriarca Teoctist e i responsabili delle Chiese cattolica e evangelica e molti vescovi del Paese. Sarà l’occasione per dar loro modo di conoscere più da vicino il ruolo di unità del Movimento dei Focolari: abbiamo avuto qui a Costantinopoli una testimonianza molto forte di un sacerdote cattolico romeno che si è impegnato a incontrare regolarmente i sacerdoti ortodossi, cattolici, riformati e luterani. Questi incontri hanno cambiato lo spirito di questa città. Ora tutti pregano insieme, c’è tra tutti una vita veramente nello Spirito Santo. Sì, il Movimento dei Focolari ha un grande rispetto per ogni Chiesa: anzi, ognuno ritrova le proprie radici nella propria Chiesa, ogni sacerdote, ogni cristiano approfondisce la propria tradizione. E’ qualcosa di straordinario che può cambiare la situazione.
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