Movimento dei Focolari

dicembre 2004

Natale s’avvicina, il Signore sta per venire, e la liturgia ci invita a preparargli la strada.
Egli, entrato nella storia duemila anni fa, vuole entrare nella nostra vita, ma la strada in noi è irta di ostacoli. Occorre spianare le montagnole, rimuovere i massi. Quali sono gli ostacoli che possono ostruire la strada a Gesù?
Sono tutti i desideri non conformi alla volontà di Dio che sorgono nella nostra anima, sono gli attaccamenti che l’attanagliano; desideri minimi di parlare o di tacere, quando si deve fare diversamente; desideri di affermazione, di stima, di affetto; desideri di cose, di salute, di vita… quando Dio non lo vuole; desideri più cattivi, di ribellione, di giudizio, di vendetta…
Essi sorgono nella nostra anima e l’invadono tutta. Occorre spegnere con decisione questi desideri, togliere questi ostacoli, rimetterci nella volontà di Dio e così preparare la via del Signore.

«Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi»

Questa Parola, Paolo la indirizza ai cristiani della sua comunità, perché avendo sperimentato il perdono di Dio, essi sono capaci di perdonare a loro volta chi commette ingiustizia contro di loro. Egli sa che essi sono particolarmente abilitati ad andare oltre i limiti naturali nell’amare, fino a dare la vita anche per i nemici. Fatti nuovi da Gesù e dalla vita del Vangelo, essi trovano la forza per andare oltre le ragioni o i torti e tendere all’unità con tutti.
Ma l’amore batte in fondo ad ogni cuore umano e ognuno può attuare questa Parola.
La saggezza africana così si esprime: “Fa’ come la palma: le tirano sassi e lei lascia cadere datteri”.
Non basta quindi non rispondere ad un torto, a un’offesa…, ci è domandato di più: fare del bene a chi ci fa del male, come ricordano gli apostoli: “Non rendete male per male, né ingiuria per ingiuria, ma, al contrario, rispondete benedicendo”; “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene”.

“Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi”.

Come vivere questa Parola?
Nella vita di ogni giorno tutti possiamo avere parenti, compagni di studio o di lavoro, amici che ci hanno fatto un torto, un’ingiustizia, del male… Forse il pensiero della vendetta non ci sfiora, ma può rimanere in cuore un senso di rancore, di ostilità, di amarezza o anche soltanto di indifferenza, che impedisce un autentico rapporto di comunione.
Che fare allora?
Alziamoci al mattino con una “amnistia” completa nel cuore, con quell’amore che tutto copre, che sa accogliere l’altro così com’è, con i suoi limiti, le sue difficoltà, proprio come farebbe una madre con il proprio figlio che sbaglia: lo scusa sempre, lo perdona sempre, spera sempre in lui…
Avviciniamo ognuno vedendolo con occhi nuovi, come se non fosse mai incorso in quei difetti.
Ricominciamo ogni volta, sapendo che Dio non solo perdona, ma dimentica: è questa la misura che richiede anche a noi.
Così è stato per un nostro amico di un Paese in guerra, che ha visto massacrare i genitori, il fratello e tanti amici. Il dolore lo sprofonda nella ribellione, fino ad augurare ai carnefici un castigo tremendo, proporzionato alla colpa.
Gli tornano però di continuo alla mente le parole di Gesù sulla necessità del perdono, ma gli sembra impossibile viverle. “Come posso amare i nemici?” – si domanda. Gli occorrono mesi e tanta preghiera prima di cominciare a trovare un po’ di pace.
Ma quando, un anno dopo, sa che gli assassini non soltanto sono noti a tutti, ma circolano per il Paese a piede libero, il rancore gli attanaglia nuovamente il cuore e comincia a pensare a come si sarebbe comportato se avesse incontrato quei suoi “nemici”. Scongiura Dio di placarlo, di farlo ancora una volta capace di perdonare.
“Aiutato dall’esempio dei fratelli con cui cerco di vivere il Vangelo – racconta – comprendo che Dio mi chiede di non inseguire quelle chimere, ma piuttosto di essere attento ad amare le persone che ora mi stanno vicino, i colleghi, gli amici… Nell’amore concreto verso di loro, pian piano, trovo la forza di perdonare fino in fondo gli uccisori della mia famiglia. Oggi il mio cuore è nella pace”.

Chiara Lubich

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Un solo popolo nella molteplicità delle tradizioni

Un solo popolo nella molteplicità delle tradizioni

„Dove due o più sono uniti nel mio nome…Un solo popolo nella molteplicità delle tradizioni Sarà il Patriarca ecumenico Bartolomeo I che aprirà questo 23° convegno ecumenico sul tema: “Dove due o più sono uniti nel mio nome… Un solo popolo nella molteplicità delle tradizioni. A Istanbul sono giunti 52 vescovi di varie Chiese d’Oriente e d’Occidente: ortodossi, siro-ortodossi, armeni apostolici, anglicani, evangelico-luterani e cattolici di vari riti.

Momenti culmine Oltre all’apertura del convegno con il Patriarca ecumenico Bartolomeo I, gli incontri-dialogo con il card. Walter Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, con il Patriarca Armeno Apostolico di Costantinopoli, Mesrob II, e con il Vicario Patriarcale Siro-ortodosso per la Turchia, Filüksinos Yusuf Çetin. Al cuore della spiritualità dell’unità: la presenza di Cristo Risorto promessa a “due o più sono uniti nel suo nome” Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari, ha incaricato alcuni dei suoi più stretti collaboratori e collaboratrici a trasmettere i suoi interventi sulla tematica del congresso e sull’esperienza ecumenica del Movimento. Da loro verrà evidenziata la sintonia della spiritualità dell’unità, tipica dei Focolari con la spiritualità ecumenica fortemente incoraggiata dal Papa che ultimamente, il 13 novembre, aveva nuovamente invitato i cristiani a realizzare quella “piena comunione” che “non significa astratta uniformità, ma ricchezza di legittima diversità di doni condivisi e riconosciuti da tutti…” (Omelia di Giovanni Paolo II in occasione del 40° anniversario del decreto conciliare “Unitatis Redintegratio”) L’inizio: celebrazione ecumenica alla Chiesa di Sant’Antonio Il Convegno di Vescovi inizia con una celebrazione ecumenica, nella chiesa cattolica di Sant’Antonio, alla presenza dei Responsabili e dei membri delle varie comunità cristiane presenti a Istanbul. La visita a Nicea, sede di due tra i primi Concili ecumenici In programma la visita a Nicea, e al Monastero della SS. Trinità ad Halki, insigne centro di studi del Patriarcato ecumenico. Prevista anche la visita al Patriarca Mesrob II, nella sede del Patriarcato Armeno Apostolico e al Metropolita Filüksinos Yusuf Çetin, al Vicariato patriarcale Siro ortodosso. L’accoglienza delle reliquie di Giovanni Crisostomo e Gregorio di Nazianzo I Vescovi, ad Istanbul, parteciperanno, per felice coincidenza, all’accoglienza delle reliquie dei Padri della Chiesa indivisa Giovanni Crisostomo e Gregorio di Nazianzo, Vescovi di Costantinopoli nel IV-V secolo, consegnate da Giovanni Paolo II al Patriarca Bartolomeo nella Basilica di S. Pietro in Vaticano proprio in questi giorni, sabato 27 novembre. La festa dell’apostolo Sant’ Andrea al Fanar Al Fanar, sede del Patriarcato ecumenico, il 29/30 novembre i vescovi assisteranno alle solenni celebrazioni per la Festa di S. Andrea apostolo, Fondatore e Patrono del Patriarcato di Costamtinopoli, presiedute dal Patriarca Bartolomeo I, a cui parteciperà la delegazione della Santa Sede, guidata dal card. Walter Kasper. Gli appuntamenti precedenti I convegni ecumenici di vescovi di varie Chiese “amici del Movimento dei Focolari” si svolgono con cadenza annuale. Si sono tenute di anno in anno in diverse località: Costantinopoli (1984), Londra (1986 e 1996), Ottmaring/Augsburg in Germania (1988 e 1998),Trento (1995), Amman/Gerusalemme (1999), Zurigo (2001), Ginevra (2002) e più volte a Roma. Costante la benedizione da parte dei Capi delle diverse Chiese.   (altro…)

Un bonifico bancario che salva la ditta

Con mia moglie dal 1992 abbiamo una ditta di esportazione di macchine e tecnologie per la lavorazione della carne, che aderisce al progetto dell’Economia di comunione ed opera negli stati dell’ex-Unione Sovietica. Nell’agosto del 1997 sono crollati il sistema bancario ed il mercato russo. Tutto si è fermato colpendoci gravemente: avevamo, infatti, oltre dieci contratti in Russia; molti sono stati sospesi e i pagamenti dei crediti congelati. Ma la nostra ditta doveva andare avanti e assicurare anche i pagamenti regolari ai dipendenti, per il sostentamento di una decina di famiglie. Le riserve stavano per esaurirsi e tutte le mattine telefonavo alla banca per chiedere se fosse arrivato qualche bonifico dalla Russia o se fosse tornato qualcosa dai nostri creditori. La risposta era sempre la stessa: no. Dopo tre mesi ancora non era arrivato nulla. Tutti mi dicevano di non pensarci neanche: tutto era bloccato e non arrivava niente per nessuno. Un lunedì ho guardato il conto bancario e ho visto che avevamo solo 300.000 fiorini. Sapevo che il giorno seguente avrei dovuto pagare un conto di 400.000 fiorini e inoltre, rimanevano gli stipendi da pagare. A mezzogiorno sono tornato a casa molto preoccupato. Con mia moglie, ci siamo chiesti cosa fare: sciogliere l’impresa oppure andare avanti? Sentivamo la responsabilità non solo per noi, ma anche per gli altri. All’ingresso, sul tavolino, teniamo sempre qualche foglio della Parola di Vita del mese. Quella diceva: “Se avrete fede…”. Uscendo per tornare in ufficio ho detto a mia moglie: “Adesso abbiamo bisogno davvero di aumentare la nostra fede!”. Entrando in ufficio, mi ha accolto la notizia che mi avevano cercato dalla banca, perché era arrivato un bonifico di un milione e mezzo! I.B. – Ungheria Tratto da Quando Dio interviene. Esperienze da tutto il mondo. Città Nuova Editrice 2004

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Il silenzio e la parola. La luce.

Dal 5 al 7 novembre prossimi a Castelgandolfo (Roma) i comunicatori delle varie discipline si troveranno uniti per sperimentare le strade di una professione che sia costruttrice positiva della società. Sono già pervenute 650 prenotazioni da parte di 41 Paesi di tutti i Continenti. Europa: Italia, Gran Bretagna, Irlanda, Francia, Albania, Repubblica Ceca, Romania, Slovenia, Slovacchia, Ungheria. Medio Oriente: Libano e Turchia. America: Stati Uniti, Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Venezuela. Africa: Algeria, Camerun, Congo, Sudafrica. Asia: Corea del Sud, Filippine, India, Pakistan. La delegazione delle Filippine è composta da 30 persone, dagli Stati Uniti arriveranno 46 persone, fra cui 17 registi e sceneggiatori di Hollywood. Fra gli italiani, molto numerosi, sarà presente anche Susanna Tamaro, regista e scrittrice. Il convegno è rivolto a professionisti, docenti e studenti dei diversi campi dei media: informazione, cinema, televisione, ICT e nuovi media, editoria e scienze delle comunicazioni. E’ promosso da NetOne, espressione del Movimento dei Focolari, che vuol raccogliere e mettere in rete le idee, i progetti, gli approfondimenti culturali, le sperimentazioni di comunicatori di varie parti del mondo che lavorano o studiano nei diversi ambiti dei media nella prospettiva di un mondo unito. Il titolo “Il Silenzio e la Parola. La Luce” corrisponde alla dinamica del dialogo: dialogo e dimensione mondiale saranno i due elementi che caratterizzeranno la riflessione. Molte le religioni rappresentate al convegno: ebraismo, islam, induismo, buddismo. Oltre ai cattolici saranno presenti anche evangelico-luterani ed evangelici, oltre a persone senza riferimenti religiosi. Prima della conclusione dei lavori, in seduta comune verrà annunciato uno speciale premio a Chiara Lubich, il Life Achievement Award ( un “Premio per quanto ha realizzato nella vita” ), da parte della Family Theater Productions, per il suo efficace uso dei mezzi di comunicazione nello svolgere il suo straordinario servizio alla Chiesa e alla famiglia umana, e poiché ha ispirato migliaia e migliaia di persone in oltre 180 nazioni del mondo portandole sulla via del dialogo e della fraternità. UFFICIO STAMPA Net One – Alma Pizzi 3358092813 SIF – 06947989 – Carla Cotignoli 3488563347

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Strategia del dialogo per una svolta nell’informazione

A fronte di una comunicazione spesso condizionata pesantemente da una globalizzazione che rischia di essere appiattita dal “pensiero unico” occidentale, questa sessione intende proporre una “Strategia del dialogo per una svolta nell’informazione”. E’ questo il titolo generale, che verrà sviluppato in due tavole rotonde. La prima – “Diversità culturali-religiose e sintonie planetarie” – per una informazione che contribuisca al “nuovo” che si sta delineando con la società multirazziale, multiculturale e multireligiosa, e che sradichi pregiudizi e paure, allenti le tensioni, contribuisca alla pace. Di qui la scelta di dar voce a comunicatori di aree culturali e di religioni diverse: cristianesimo, ebraismo, islam, induismo e buddismo. Con la seconda tavola rotonda – “Media, società locale e globale. Dialogo (im)possibile” – cui interverranno giornalisti delle diverse latitudini, si prospetta una riconsiderazione del ruolo della società civile, non a caso definita il 6? potere, per una informazione che sappia non solo comunicare problematiche e conflittualità, ma anche intercettare i segni innovativi di fraternità e unità che stanno emergendo nella società reale. Interverranno, fra gli altri: Vera Araujo, sociologa brasiliana; Ela Gandhi, editore di due periodici fondati dal Mahatma (Sudafrica); Miriam Meghnagi, rappresentante del mondo ebraico; Ayesha Mustafaa, direttore The Muslim Journal (USA), Hiroshi Miyahira, gruppo editoriale buddista giapponese The Kosei Publishing; Martin Nkafu, professore universitario (Camerun), Piero Damosso, giornalista TG1-Rai; John Allen, giornalista, National Catholic Reporter (USA).

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ICT e new media, organizzazione e management

Gli incontri di ICT e new media, organizzazione e management avranno luogo nella sala Building 14 messa a disposizione da ESA/ESRIN a Frascati. Tra i relatori italiani, accanto a Raffaele Meo del Politecnico di Torino, che ha presieduto la Commissione governativa per l’”open source” nella Pubblica Amministrazione, e a Alessandro Musumeci, consulente del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, troviamo personaggi della Rete, come Giancarlo Livraghi (www.gandalf.it) autore di L’umanità dell’Internet e Il potere della stupidità e Luisa Carrada (www.mestierediscrivere.com), premio Donna è Web 2004. Numerosi i contributi internazionali: René Cluzel della divisione Informazione e informatica di UNESCO, Mauricio Pimentel membro del Centro Universitário Faculdades Metropolitanas Unidas di San Paolo e José Antonio Peralta dell’Università argentina di Salta, aderente a Hipatia (www.hipatia.info), organismo internazionale che promuove la libera disponibilità e sostenibilità della tecnologia e della conoscenza. All’organizzazione e management sarà dedicato il pomeriggio del giorno 6 con una relazione a più voci sugli aspetti della comunicazione all’interno delle organizzazioni e i principi del quality management, conclusa da un tema sul valore economico delle relazioni umane presentato da Luigino Bruni (Università Milano-Bicocca), coordinatore del Movimento per una Economia di Comunione (www.edc-online.org).

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Fotogrammi di vita, film maker a confronto, e strumenti per il dialogo, responsabilità dei Maestri, iniziative positive

La sezione Cinema e TV raccoglie i produttori registi, autori, operatori a tutti livelli del cinema e della tv (non quelli del campo dell’informazione giornalistica) presenti al Congresso, provenienti da tutto il mondo, dall’India a Buenos Aires. Particolarmente nutrita è la presenza di sceneggiatori e registi da Hollywood, che da anni si incontrano per una ricerca sulla possibilità di produrre film ispirati a valori universali. La prima sessione, del venerdì pomeriggio, ha come titolo: Fotogrammi di vita: percorsi di lavori tra il cinema e la TV. Verranno proiettati vari spezzoni video, e ogni autore ne indicherà la motivazione, la ricerca, il significato. Tali video rappresentano la testimonianza di impegno in prodotti ispirati a valori universali, a servizio dell’uomo. La seconda sessione, sabato mattina, presenterà una tavola rotonda durante la quale registi e produttori (vedere nomi sul programma) dialogheranno sul tema: Film maker a confronto: immagini da culture in dialogo. Cinema e televisione come strumenti di conoscenza tra gli uomini e i popoli. Condurrà José Maria Poirier, critico cinematografico argentino. La terza sessione, sabato pomeriggio, si articolerà sui temi: Televisione-Documentari: strumenti per il dialogo; Giovani professionisti: la responsabilità dei Maestri; Iniziative positive nel mondo del Cinema. Durante la serata del venerdì e del sabato la sezione Cinema TV offrirà a tutti i convegnisti la proiezione di brevi film, alcuni dei quali sono vincitori dell’International Angelus Awards di Los Angeles.

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Editoria e scienze delle comunicazioni

Fine della comunicazione? Tanti lo pensano, lo dicono e lo scrivono, di fronte alla babele planetaria e al relativismo imperante. Le discipline alle quali le scienze della comunicazione sono debitrici, sempre più si dotano di strumenti ad hoc per comunicare, e approfondiscono gli ingranaggi della comunicazione dal loro punto di vista, lasciando meno spazio agli studiosi della comunicazione tout court. NetOne crede che siamo invece alla vigilia di un nuovo inizio della comunicazione, o meglio, alla vigilia di una nuova epoca comunicativa, post-tecnologica e post-babelica.

NetOne è convinta che troppo spesso, nel dibattito culturale attuale, si riduce il problema della comunicazione a quello dei mezzi di comunicazione. Pensiamo che ciò sia fuorviante, perché – prima della discussione sulla natura di tali mezzi con le loro specificità, i loro contenuti, le loro professionalità e la loro etica –, esiste una finalità intrinseca alla comunicazione stessa.

Tale finalità è, come già sottolineato, l’incontro tra le persone che comunicano. Incontro, e non semplice relazione: se s’instaura una comunicazione vera, sia chi comunica sia chi è destinatario della comunicazione non rimane uguale a quel che era prima dello stesso processo di comunicazione, perché se lo scontro divide, l’incontro unisce. Incontro che porta alla reciprocità. Questo il quadro di riferimento della sessione “Scienze delle comunicazioni ed editoria” che riunisce un centinaio di accademici e di studenti, oltre ad alcuni esponenti del mondo dell’editoria, per riflettere insieme sulle implicazione di una comunicazione “in positivo” nel mondo della comunicazione e della cultura.

novembre 2004

Tenebre e luce: un’opposizione eloquente, nota a tutte le culture e a tutte le religioni. La luce simboleggia la vita, il bene, la perfezione, la felicità, l’immortalità. Le tenebre richiamano il freddo, il negativo, il male, la paura, la morte.
L’apostolo Paolo ricorda ai fedeli di Roma che il cristiano non ha più niente a che fare con un passato “tenebroso”, fatto di impurità, ingiustizia, malvagità, cupidigia, malizia, invidia, rivalità, frodi, malignità…

«Gettiamo via le opere delle tenebre…

Quali sono le “opere delle tenebre”? Al dire di Paolo sono: ubriachezze, impurità, contese, gelosie, ma anche dimenticanza di Dio, tradimento, furto, omicidio, superbia, ira, disprezzo dell’altro; e ancora: materialismo, consumismo, edonismo, vanità.
Opera delle tenebre è anche la facilità con cui spesso seguiamo qualsiasi programma televisivo o navighiamo su internet, con cui leggiamo certi giornali, o vediamo certi film, o sfoggiamo certi abbigliamenti.
Noi, al momento del battesimo, per bocca dei nostri padrini, abbiamo accettato di voler morire con Cristo al peccato quando, per tre volte, abbiamo decretato di voler rinunciare al demonio e alle sue seduzioni. Oggi non si ama parlare del demonio, si preferisce dimenticarlo e dire che non esiste, eppure c’è e continua a fomentare guerre, stragi, violenze d’ogni genere.
“Gettare via”: un’azione violenta, che costa, che richiede coerenza, decisione, coraggio, ma necessaria se vogliamo vivere nel mondo della luce. Continua, infatti, la Parola di vita:

… e indossiamo le armi della luce»

Non basta cioè rinunciare, “spogliarsi” del male, occorre “indossare le armi della luce”, ossia, come spiega Paolo più avanti, “rivestirsi del Signore Gesù Cristo”, lasciando che sia lui a vivere in noi. Anche l’apostolo Pietro invita ad “armarsi” degli stessi sentimenti di Gesù .

Immagini forti, sì, perché lasciar vivere Cristo, lo sappiamo, non è facile, vuol dire rispecchiare in noi i suoi stessi sentimenti, il suo modo di pensare, di agire; significa amare come lui ha amato e l’amore è esigente, chiede lotta continua contro l’egoismo che è dentro di noi.
Ma non c’è altra via per pervenire alla luce, come ricorda con chiarezza la prima lettera di Giovanni: “Chi ama suo fratello, dimora nella luce e non v’è in lui occasione di inciampo. Ma chi odia suo fratello è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi” (2, 10-11).

«Gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce»

Questa Parola di vita è un invito alla conversione, a passare continuamente dal mondo delle tenebre a quello della luce. Ripetiamo allora il nostro no a Satana e a tutte le sue lusinghe, e ridiciamo il nostro sì a Dio, così come l’abbiamo pronunciato il giorno del battesimo.
Non dovremo compiere grandi azioni. Basta che ognuna di quelle che già facciamo sia suggerita e animata dall’amore vero.
Concorreremo così a irradiare attorno a noi una cultura della luce, del positivo, delle beatitudini. Sarà costruire il Paradiso fin da questa terra, per possederlo eternamente in Cielo. Sì, perché il Paradiso è una realtà, ce l’ha promesso Gesù, ed è come una casa, che si costruisce di qua per poi abitarla di là. E sarà il suo dono: gioia piena, armonia, bellezza, danza, felicità senza fine, perché il Paradiso è l’amore.
Ce lo testimonia l’esperienza vissuta da Mary del Perù. Madre di tre figlie in tenera età, quando conosce la Parola di vita incontra Dio, trova la luce; viene coinvolta totalmente e la sua vita ha una svolta radicale.
Poco tempo dopo le viene diagnosticata una malattia grave. Ricoverata in ospedale scopre di avere poco più di un mese di vita. La confidenza nuova con Gesù, che ora sperimenta, le dà la forza di una preghiera, gli chiede cinque anni di tempo per consolidare la sua conversione e poter cambiare la vita anche attorno a lei.
Inspiegabilmente per i medici, la sua salute migliora e Mary viene dimessa dall’ospedale. Ritorna a casa, si prepara con il suo compagno alle nozze, che celebra in Chiesa, e chiede il battesimo per le figlie.
A distanza di cinque anni, il male si riacutizza all’improvviso, e nel breve volgere di due settimane si conclude la sua vita terrena.
Prima di morire, riesce a disporre ogni più piccola cosa nei riguardi delle figlie e a trasmettere speranza al suo sposo. “Adesso vado dal Padre che mi aspetta. Tutto è stato meraviglioso, Lui mi ha dato i cinque anni più belli della mia vita, da quando l’ho conosciuto nella Sua Parola che dà la Vita!”.

Chiara Lubich
 

 

Una parrocchia casa per tutti

   Carpi, una cittadina dell’Emilia Romagna. La parrocchia del Corpus Domini si trova in una zona in pieno sviluppo, abitata da famiglie delle più varie provenienze. L’interesse è concentrato sugli affari, predomina l’indifferenza religiosa, la frequenza alla Chiesa è appena del sette per cento. Come andare incontro a questa gente?   Dio ama tutti – L’azione pastorale del parroco non si limita al piccolo gruppo dei praticanti ma è rivolta a tutti. Avvicina ogni persona che incontra con un atteggiamento d’amore, sapendo che è un incontro con Gesù, e tanti ne sono conquistati e coinvolti. A loro comunica la sua scoperta: Dio è amore e vuole che anche noi ci amiamo. Basta vivere le sue Parole, che, se vissute, cambiano poco a poco la mentalità, promuovono lo spirito di comunione, suscitano il clima di famiglia. Ben presto tanti ne fanno l’esperienza. Iniziano gli incontri della Parola di Vita che poi si moltiplicano, si fanno nei caseggiati, coinvolgono sempre più persone. Si forma una vera comunità, aperta e accogliente, con uno stile di vita evangelico. Un uomo chiede al parroco un attestato d’idoneità per fare da padrino in un battesimo. Non è praticante e non è nemmeno certo di aver la fede. “Perché vuoi farlo?”, chiede il parroco. “Per far piacere a mia sorella che insistentemente me lo ha chiesto” risponde.“Un atto d’amore – rileva il parroco – è un pezzo di Vangelo vissuto!”. Lui non pensava di vivere il Vangelo, e rimane sorpreso. Nasce un colloquio su Dio che è amore e su come l’amore presente in ogni azione vissuta per gli altri è un riflesso di Lui. Rimane affascinato. Inizia un cammino di conoscenza del Vangelo.  L’amore non ha frontiere – L’amore è sempre creativo e spinge a gesti di amicizia anche verso coloro che sono contrari. In parrocchia c’è un circolo di anziani ostili alla Chiesa per educazione e ragioni storiche. Stanno costruendo una nuova sede. E’ un’opera sociale, di aiuto a queste persone. Considerando l’aspetto positivo dell’iniziativa,  il parroco propone al Consiglio pastorale  di incoraggiarli, offrendo loro un contributo in denaro. C’è un iniziale rifiuto.  Allora spiega che ai credenti tocca amare per primi. Acconsentono di dare una piccola somma. Lui l’accompagna con una calda lettera di ringraziamento per questo servizio a tutti gli anziani del quartiere. Il gesto ha parlato più di una predica: quando nel circolo si è ricevuto il dono e si è letta la lettera tutti avevano le lacrime agli occhi. Ed è incominciato un atteggiamento nuovo, di apertura, verso la Chiesa. Casa aperta anche a chi non può ricevere i sacramenti – La parrocchia è la casa di tutti: nessuno deve sentirsi escluso. Si trova il modo che tutti si sentano accolti, anche coloro che non possono ricevere i Sacramenti. Si spiega loro che possono intanto vivere la Parola di Dio, amare il prossimo, condividere gioie e dolori sapendo che Gesù ha detto: “Qualunque cosa avete fatto ad uno di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me”. T. aveva alle spalle un matrimonio fallito e viveva da alcuni anni con F. Aveva ricevuto una formazione cristiana ed ora si sentiva lontana da Dio e rifiutata dalla Chiesa. Un giorno entra in parrocchia. Il parroco le va incontro, la saluta con calore. La donna si sente accolta e gli apre il suo cuore, comunica il suo dolore. Da lui,  per la prima volta, si sente dire: “Dio ti ama immensamente”. E’ la luce: prende a frequentare gli incontri della Parola di Vita, si sforza di vivere il Vangelo, comincia a farne esperienza.   E, come loro, molti sono stati conquistati dall’accoglienza cordiale trovata in parrocchia e dall’atmosfera di carità che si respira in quella comunità.  Una comunità che è stata invitata ad offrire la propria esperienza anche in convegni e incontri a livello nazionale ed internazionale.   (altro…)

La cittadella internazionale compie 40 anni: un’utopia di pace diventata realtà

La cittadella internazionale compie 40 anni: un’utopia di pace diventata realtà

Compie 40 anni la prima delle 33 cittadelle dei Focolari che sorgono nei 5 continenti. Situata sui colli toscani nei pressi di Firenze nel comune di Incisa in Val d’Arno, con scuole, aziende, centri artistici, conta oggi circa 1000 abitanti di 70 nazioni: dalla Russia al Portogallo, dalla Giordania, Libano, Egitto al Burundi, Congo, Sud Africa, da Stati Uniti, Messico, Terra del Fuoco, Giappone, Cina, Corea, Filippine, ad Australia e Nuova Zelanda. Sono studenti e docenti, professionisti, artigiani, agricoltori, artisti, famiglie, religiosi e sacerdoti, cristiani di diverse chiese e fedeli di altre religioni: un prototipo di una nuova società fondata sulla legge evangelica dell’amore.

Una cittadella che rispecchia un ideale di unità e di pace Costruire una cittadella che rispecchi il proprio pensiero è stato spesso il sogno di chi ha dato vita a nuove correnti filosofiche, ideologiche o spirituali. È stato così anche per Chiara Lubich, fondatrice del Movimento die Focolari che, visitando nel 1962 l’abbazia benedettina di Einsiedeln, uno dei centri di irradiazione della civiltà cristiana europea, ha l’intuizione che sarebbero nate nel mondo cittadelle moderne con case, scuole, fabbriche. Più di 40.000 visitatori ogni anno passano da Loppiano. Insieme a chi vi abita, contribuiscono a comporre quel disegno di unità sul quale la cittadella si fonda. Maria Theotókos: la chiesa della cittadella In occasione di questo anniversario, giunge al traguardo anche la Chiesa della cittadella, dedicata a Maria Theotókos, la “Madre di Dio”. La solenne concelebrazione d’inaugurazione avrà luogo sabato, 30 ottobre 2004, alle ore 11.00 e sarà presieduta dal Card. Ennio Antonelli, Arcivescovo Metropolita di Firenze e da Mons. Luciano Giovannetti, Vescovo di Fiesole. Il progetto è stato realizzato con il contributo della Conferenza Episcopale Italiana. Un’opera del Centro Ave Realizzata dallo studio di progettazione Centro Ave che ha sede a Loppiano – formato da una scultrice, 3 donne architetto e 3 pittrici – la chiesa si staglia delicatamente sulle colline: un ampio piano inclinato nasce dal terreno e sale al culmine della costruzione. È coronata dalla torre campanaria, coperta da una falda triangolare dorata, la cui forma chiara lascia trasparire il riferimento trinitario. L’idea del progetto e la cappella ecumenica Nell’interno, al centro del presbiterio, una grande vetrata in una molteplicità di azzurri fa da sfondo al tabernacolo dorato. “Desideravo esprimere attraverso la forma – spiega Ave Cerquetti, scultrice e ideatrice dell’edificio – la grandezza di colei che, Madre di Dio, grande oltre ogni immaginazione, come la Chiesa l’ha confermata nei primi concili, è come un dolce piano che va dalla terra al cielo, a Dio”. Al primo piano della torre campanaria è situata la cappella ecumenica.   Ad onorare Maria in questa chiesa non sono solo i cristiani E’ arrivato dall’India un grande quadro impreziosito da lamine d’oro e tempestato da pietre semipreziose, opera di un artista indù, che la raffigura assieme al bambino. Sarà presente anche il Maestro Pra Maha Thongrattana, monaco buddista tailandese. La sua permanenza a Loppiano, nel 1992, era stata determinante per l’avvio di un fruttuoso dialogo tra i monaci buddisti tailandesi e i Focolari.  

La nuova chiesa ospiterà inoltre le spoglie di Renata Borlone Renata (1930-1990), per anni è stata costruttrice e corresponsabile di Loppiano. E’ ora in corso la causa di beatificazione.

Polo imprenditoriale “Lionello Bonfanti” Nell’anno del 40° di Loppiano sono iniziati anche i lavori di costruzione del polo imprenditoriale. 5.615 azionisti ne sostengono la costruzione, attraverso la società di gestione “E. di C. S.p.A.” costituitasi nel 2001 (www.edicspa.com). Nel mondo sono operativi o nascenti altri Poli in Brasile, Argentina, USA, Portogallo, Francia e Belgio, nati per dare visibilità al progetto dell’Economia di comunione, che ispira la gestione di 270 aziende di produzione in Italia e complessivamente di 800 nel mondo.   (altro…)

In famiglia, una voce in bilancio per chi ha più bisogno

Mettersi davanti alle cifre del bilancio mensile è sempre stato per la nostra famiglia un compito non piacevole, fino a quando non abbiamo capito che anche in questo campo è fondamentale l’intesa. Così l’argomento “soldi” ha preso una tinta familiare. Insieme alle uscite per il vitto, l’affitto, ecc… abbiamo pensato di inserire una cifra da mettere a disposizione di chi sapevamo in necessità.

Un giorno non riusciamo a far entrare quella cifra, perché la colonna delle uscite è più lunga di quella delle entrate. E’ un dispiacere. Proprio alcuni giorni prima avevamo visto alla TV bambini che muoiono di fame. I nostri due bambini, che avevano ascoltato tutto, sono arrivati con i loro portamonete e hanno versato tutto il contenuto. Erano piccole mance ricevute dai nonni, risparmi sulla loro paga settimanale. Quando la nonna è venuta a trovarci i bambini le hanno raccontato la cosa e lei: “Ma come? – ci ha detto perplessa – aiutate gli altri anche se voi non siete ricchi?” A sbloccare la situazione è stato il più piccolo: “Nonna, ma noi mangiamo tre volte al giorno!”. Qualche giorno dopo la nonna è arrivata con una busta in mano. “Questo è del denaro di cui posso fare a meno. Lo metto insieme al vostro… in fondo anche io mangio tre volte al giorno!”. (L.R. – Italia) Tratto da Quando Dio interviene – Esperienze da tutto il mondo, Città Nuova Editrice, 2004   (altro…)

A Vienna per “Educarsi ed educare attraverso lo sport”

A Vienna per “Educarsi ed educare attraverso lo sport”

Per una cultura dello sport orientata alla fraternità universale Che cosa possono avere in comune tra loro una maestra di sci ed un giornalista sportivo, un medico dello sport ed un operatore sociale, un istruttore sportivo ed un docente di pedagogia? Li accomuna il progetto di Sportmeet, una giovane realtà internazionale del Movimento dei Focolari, nata nel mondo dello sport: contribuire, ciascuno dal proprio ambito specifico, ad elaborare una cultura dello sport orientata alla costruzione della fraternità universale.

A Vienna per “Educarsi ed educare attraverso lo sport”. Per questo si sono dati appuntamento a Vienna, a metà settembre per un convegno internazionale (130 partecipanti da 17 nazioni, 6 extra-europee) sul tema Educarsi ed educare attraverso lo sport. L’Unione Europea ha promosso il 2004 ad Anno Europeo dell’Educazione attraverso lo Sport, ritenendolo, si legge nei documenti comunitari, “componente essenziale della nostra società”, capace di trasmettere “tutte le regole fondamentali della vita sociale” e portatore di valori educativi fondamentali quali “tolleranza, spirito di squadra, lealtà”. Quando lo sport può caricare di tensione morale Ma di fronte alle contraddizioni dello sport di oggi si può davvero concedere ad esso un simile credito? “Come altre attività umane lo sport è poliforme ed ambivalente: – ha ammesso, nella relazione di apertura, Paolo Crepaz, medico dello sport e coordinatore di Sportmeet – è liberazione di energie psicofisiche latenti, ma anche asservimento agli idoli del prestigio e del guadagno; è dono di sé, ma anche occasione di egoismo e di sopraffazione; è luogo di incontro, ma anche di scontro.” L’educazione del corpo implica favorire che la corporeità, espressione emblematica dello sport, sia in grado di mostrare e di accendere lo spirito. Ma quando lo sport è in grado di accendere lo spirito? “Quando è capace di conferire, a chi lo pratica, padronanza di sé, – ha spiegato Crepaz – dei suoi atti, meta questa sempre in divenire, e quando è capace di colorare l’azione dell’atleta di tensione morale.” Chiara Lubich: lo sport capace di rivelare dimensioni essenziali dell’uomo Questo il concetto ribadito da Chiara Lubich nel suo indirizzo di saluto ai partecipanti: “Lo sport può rivelare la dimensione essenziale dell’uomo sia come essere finito, di fronte a difficoltà e sconfitte, sia come essere chiamato all’infinito, capace di superare i propri limiti”. Ma chi sa educare in questo modo? “Come occorre la primavera perché un giardino fiorisca – ha concluso Chiara Lubich -, allo stesso modo è necessario quel calore che nasce dall’amore per far germogliare le verità che sono insite nell’uomo. In un’atmosfera di amore reciproco, fino a sperimentare le parole di Gesù: “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”, vi auguro di poter fare l’esperienza che Lui stesso, Gesù, sia il vostro maestro, anche nello sport.” Un’inversione di tendenza già in atto nello sport. La lezione dei più giovani Dai partecipanti si è avuta conferma che chi crede nei valori dell’uomo, anche senza legarsi a riferimenti religiosi, può condividere e sperimentare quanto possa essere educativo un sincero e profondo atteggiamento di fiducia reciproca fra chi educa e chi è educato attraverso lo sport. In questo senso, numerose riflessioni e testimonianze concrete, hanno testimoniato un’inversione di tendenza già viva e diffusa nello sport soprattutto fra i più giovani.

Non parole, ma nuovi progetti sportivi in atto Il congresso ha permesso soprattutto di conoscere i numerosi progetti sportivi a dimensione sociale già sviluppatisi, nei diversi continenti, attorno o grazie a Sportmeet. Una intera squadra di calcio di ragazzi di una difficile periferia di Bogotà “adottata” a distanza grazie all’aiuto di un club professionistico del sud – Italia; il progetto di promozione sportiva SportFontem, avviato al college della cittadella del Camerun dove il Movimento dei Focolari è presente da tempo; Deporchicos, una “mini Olimpiade” con riflessi sportivo–sociali a Buenos Aires; la pianificazione della promozione sportiva come strumento di riscatto sociale nella regione di Sao Paulo in Brasile ed in particolare a Jardim Margarida; il progetto scolastico Cafè con Leche, già attivo in una zona disagiata di Santo Domingo, che si svilupperà con la costruzione di un campo sportivo. Ma Sportmeet ha dato spazio durante il congresso anche ad altri progetti sportivi-sociali di valore, quali InterCampus, promosso dall’Inter di Milano, o Vivas, Vivere i valori dello sport, voluto dalla tenacia di un maestro dello sport, a Piacenza, o La Grande Sfida, di Verona, evento sportivo che mette in luce la ricchezza dei diversamente abili.

Sports4Peace, in Austria coinvolge 20.000 giovani Fra i tanti progetti, il più interessante è risultato Sports4Peace, realizzato proprio in Austria durante l’ultimo anno scolastico 2003 – 2004. Sono venuti a contatto con l’iniziativa circa 20.000 giovani di diverse scuole superiori austriache che hanno potuto sperimentare uno sport che non muove soltanto … palloni, ma uno sport che è via verso una società solidale e orientata alla pace. Guidati da sei semplici regole (gioca seriamente, gioca onestamente, non mollare mai, tieni gli occhi aperti agli altri, gioca per giocare, fai la differenza) stampate sulle facce di un dado, espressioni di una unica regola, la “regola d’oro”, presente in ogni religione: “Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”, i ragazzi coinvolti hanno fatto sport, organizzato tornei, eventi sportivi e musicali, hanno raccolto firme per la pace olimpica. Ogni evento o gesto sportivo vissuto dopo aver lanciato il dado, consentiva ai ragazzi di collezionare degli “anelli olimpici”. Ogni passo verso la pace, attraverso piccole o grandi azioni di comunione o di perdono, consentiva invece di conquistare degli “anelli d’oro”. Obiettivo finale: raggiungere i 51.000 anelli olimpici e anelli d’oro ed avvolgere così simbolicamente la superficie dei 510 chilometri quadrati della terra con una rete di pace. L’iniziativa ha avuto il patrocinio ed il sostegno dei massimi organismi sportivi e scolastici austriaci e di diversi campioni dello sport, tra i quali Ralf Schumacher, Hermann Mayer, Michael Walchhofer ed altri, che hanno accettato di fare da testimonial, trovando l’idea del dado molto originale ed efficace. Il progetto di Sports4Peace si è rivelato particolarmente contagioso: dopo il congresso di Sportmeet si diffonderà in altre nazioni. Cultura – Sport – Pace: l’interesse di docenti universitari d’Europa e America Latina I diversi progetti sportivi presentati da Sportmeet hanno suscitato in particolare l’interesse degli 8 docenti universitari, di diverse Università (Vienna, Innnsbruck, Teramo e Cattolica di Milano, Buenos Aires) e di diverse discipline nel campo dello sport, presenti al congresso proprio per approfondire i legami possibili fra sport e pace. (altro…)

La malattia: una chance per la comunione e la fecondità pastorale

T.: Quarant’anni fa ho fatto la scoperta della vita di comunione tra sacerdoti diocesani che seguivano la spiritualità dell’unità dei Focolari. Ho espresso al vescovo il desiderio  di vivere questa esperienza insieme ad un viceparroco. Mi ha accontentato ed ha aggiunto:  “Se dopo un anno l’esperienza non andasse bene, venite e troveremo un’altra soluzione”. Dopo un anno siamo tornati a ringraziarlo, assicurandolo che tutto andava bene. Visibilmente contento, ha commentato: “Questa è opera dello Spirito Santo!”. All’inizio J. era viceparroco. Poi gli vengono affidate, come parroco, due parrocchie. Continuiamo a vivere insieme, avendo ognuno in cuore le parrocchie dell’altro come la propria. J.: Sei anni fa mi è stato scoperto il morbo di Parkinson e non potevo nascondere le mie difficoltà alla gente. Le medicine infatti non funzionavano subito. Dovevo avere tanta pazienza e non temere di mostrarmi debole davanti agli altri. C’è stato un periodo poi, in cui, a causa di un’infezione, le medicine non agivano. E le conseguenze? Per alzarmi da letto ci voleva almeno mezz’ora… Ma, guardando a Gesù in croce, trovavo la forza per andare avanti. La malattia progredisce. A volte non posso neanche aprire il breviario. Allora penso: «Adesso Dio ha bisogno, in qualche posto, del mio piccolo contributo per risolvere qualche problema». Offrendo la mia sofferenza, facendone occasione per un rinnovato amore, il buio si trasforma in luce. Lo sento in modo speciale al mattino, quando nelle preghiere rinnoviamo il nostro sì a Gesù crocifisso. T.: Il nostro vescovo, parlando della vita comune ai sacerdoti, ha citato il nostro caso: «Questa vita fa tanto bene a loro due e alle loro parrocchie». Sì, perché la malattia di J. non è di ostacolo, anzi rende feconda la nostra pastorale. Diversi laici, uniti tra di loro e con noi, condividono con gioia tanti impegni pastorali in parrocchia e chi ci avvicina sente la forza della presenza di Gesù Risorto. (altro…)

ottobre 2004

Una preghiera accorata, quella dei discepoli. Anche loro hanno vacillato. Quante volte nel Vangelo Gesù li rimprovera per la poca fede!. Lo stesso Pietro, la “roccia” su cui Gesù avrebbe costruito la sua Chiesa, fu apostrofato come “uomo di poca fede”. Gesù dovette pregare per lui, che non venisse meno la sua fede.
La richiesta di aumentare la fede è in realtà un’invocazione di tutti i cristiani perché, nella vita di ognuno di noi, essa può avere oscillazioni. Anche santa Teresa di Lisieux, che pure lungo tutta la vita ha avuto un profondissimo rapporto filiale con Dio, gli ultimi diciotto mesi fu assalita dalla “prova contro la fede”: era come se un muro, racconta lei stessa, si alzasse fino ai cieli e coprisse le stelle.

«Aumenta la nostra fede!»

Il fatto è che, pur sapendo che Dio è Amore, spesso viviamo come fossimo soli su questa terra, come se non esistesse un Padre che ci ama e ci segue; che conosce tutto di noi: conta persino i capelli del nostro capo!; che tutto fa concorrere al nostro bene: ciò che di buono facciamo e le prove che passiamo.
Dovremmo poter ripetere come nostre le parole dell’evangelista Giovanni: “…e noi abbiamo creduto all’amore”.
Credere, infatti, è sentirsi guardati e amati da Dio, è sapere che ogni nostra preghiera, ogni parola, ogni mossa, ogni avvenimento triste o gioioso o indifferente, ogni malattia, tutto, tutto, tutto, dalle cose che noi diciamo importanti alle minime azioni o pensieri o sentimenti, tutto è guardato da Dio.
E se Dio è Amore, la fiducia completa in Lui non ne è che la logica conseguenza. Possiamo avere allora quella confidenza che porta a parlare spesso con Lui, a esporgli le nostre cose, i nostri propositi, i nostri progetti. Ognuno di noi può abbandonarsi al suo amore, sicuro di essere compreso, confortato, aiutato.

«Aumenta la nostra fede!»

A questa preghiera dei discepoli, Gesù risponde: “Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe”. “…come un granellino di senapa”: Gesù non domanda una fede più o meno grande, Egli la vuole autentica, fondata su di lui, dal quale attendere ogni cosa, senza fare calcolo unicamente sulle proprie capacità.
Se crediamo, e crediamo in un Dio che ci ama, ogni impossibilità può infrangersi. Possiamo credere che si “sradicheranno” l’indifferenza e l’egoismo che spesso ci circondano e che albergano anche nel nostro cuore; che si risolveranno situazioni di disunità in famiglia; che il nostro mondo si avvierà verso l’unità fra le generazioni, fra le categorie sociali, fra i cristiani divisi da secoli; che sboccerà la fraternità universale fra i fedeli di religioni diverse, tra le razze e tra i popoli… Possiamo credere anche che questa nostra umanità arriverà a vivere in pace. Sì, tutto è possibile, se permettiamo a Dio di agire; a Lui, l’Onnipotente, niente è impossibile.

«Aumenta la nostra fede!»

Come vivere questa Parola di vita e crescere nella fede?
Innanzitutto pregando, specie quando sopraggiungono la difficoltà e il dubbio: la fede è un dono di Dio. “Signore – possiamo chiedergli –, fammi rimanere nel tuo amore. Fa’ che mai un attimo io viva senza che senta, che avverta, che sappia per fede, o anche per esperienza, che Tu mi ami, che Tu ci ami”.
E poi, amando. A furia di amare, la nostra fede diventerà adamantina, saldissima. Non soltanto crederemo all’amore di Dio, ma lo sentiremo in maniera tangibile nel nostro animo, e vedremo compiersi “miracoli” attorno a noi.
L’ha sperimentato una ragazza della Gran Bretagna: “Quando mia madre mi comunicò che aveva deciso di lasciare papà e di trasferirsi in un altro appartamento, rimasi molto scossa dalla notizia e quasi disperata, ma non le dissi nulla. Altre volte avrei cercato una via di fuga o mi sarei chiusa in camera ad ascoltare musica, ora invece che ero decisa a vivere il Vangelo, mi sentivo attratta a rimanere lì, in mezzo a quella sofferenza e dichiarare il mio ’sì’ alla croce. Per me quella era l’occasione per credere al Suo amore al di là di ogni apparenza.
In seguito cercai di ascoltare con amore la mamma quando dava sfogo a tutto quello che aveva da dire su mio padre, accantonando la mia opinione. Cercai una via anche per restare vicino a papà.
Qualche mese più tardi i miei genitori erano già all’opera per rimettere in piedi il loro rapporto e fui toccata da una frase della mamma: ’Ricordi quando ti dissi che mi sarei separata? La tua reazione mi fece pensare che stavo prendendo una decisione sbagliata’.
Non le avevo detto nulla, soltanto un ’sì’ a Gesù nel silenzio, sicura che Lui si sarebbe preso cura di tutto.”

Chiara Lubich

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Giornata dell’Interdipendenza. "Le persone, i popoli, gli stati per un mondo più unito"

Programma ROMA, 11 SETTEMBRE 2004 PIAZZA DEL CAMPIDOGLIO – ORE 20.30 In memoria dell’11 settembre – Dialogo per la pace S.E. Card. Paul Poupard, Presidente Pontificio Consiglio per la Cultura Rabbino Riccardo Di Segni, Capo della Comunità ebraica di Roma Shahrzad Hushmand, Teologa islamica iraniana PAROLE E MUSICA PER LA PACE Pamela Villoresi, Massimo Wertmuller, Miriam Meghnagy, Salaman Masahla, Ivry Gitlis, Faouzi Skali TESTIMONIANZE DI Rabbino Elio Toaff, Cittadino onorario di Roma S.E. Mons. Shlemon Warduni, Vescovo di Baghdad Imam Warith D. Mohammed, Leader “American Muslim Society” (USA) Cristian Carrara, Giovani delle ACLI Abdallah Kabakeby, Giovani Musulmani italiani Gadiel Liscia, Unione Comunità Ebraiche Italiane PROIEZIONE CARTOON POP – PACE OF PEACE realizzato dagli studenti della scuola palestinese di Qalqilia e della scuola israeliana di Raanana ROMA, 12 SETTEMBRE 2004 AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA – SALA SINOPOLI ORE 9.00 – APERTURA DEI LAVORI Roberto Della Seta, Presidente nazionale Legambiente: “Il ruolo della società civile per la promozione dell’interdipendenza positiva” Ore 9.15 – 11.00 – IL PARADIGMA POLITICO DELL’INTERDIPENDENZA – Benjamin Barber, politologo e fondatore “Interdependence Day”: “Democrazia globale e pace preventiva” – Walter Veltroni, Sindaco di Roma “Interdipendenza tra municipalità e cittadinanza globale” Intervengono: Kofi Annan, Segretario Generale ONU (messaggio in video) Pier Ferdinando Casini, Presidente Camera dei deputati Howard Dean, candidato democratico alle primarie USA Chiara Lubich, fondatrice Movimento dei Focolari Romano Prodi, Presidente Commissione Unione Europea Andrea Riccardi, fondatore Comunità di Sant’Egidio Lech Walesa, fondatore “Solidarnosc” Ore 11.00 – 12.30 – L’EUROPA E L’INTERDIPENDENZA Luigi Bobba, Presidente nazionale ACLI: “Presentazione della Carta europea per l’interdipendenza” Punti di vista di: Mustafa Akyol (Turchia) Harry Belafonte (USA) Kim Campbell (USA) Carlo De Benedetti (Italia) Sandro Calvani (Italia) Ruth Dreifuss (Svizzera) Andrei Gratchev (Russia) Milan Kucan (Slovenia) Enrico Letta (Italia) Adam Michnik (Polonia) Jeremy Milgrom Rabbi (Israele) Mbiaoh Francis Nkemabi (Camerun) Bhikhu Parekh (India) Edoardo Patriarca (Italia) Timothy Phillips (USA) Ermete Realacci (Italia) Michel Rocard (Francia) Conduce: Giovanni Floris Ore 13.00 – FIRMA della CARTA EUROPEA per L’INTERDIPENDENZA La partecipazione all’iniziativa, sia l’11 che il 12 settembre, è a ingresso libero

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Vocazione artistica: talento per l’unità

L’arte a servizio dell’unità per dare una speranza all’umanità. E’ questo l’obiettivo del convegno aperto a giovani artisti dei diversi campi: musica, danza, arti figurative, teatro e poesia. Il convegno vorrà essere una scuola per approfondire la vocazione artistica alla luce della spiritualità dell’unità, arricchita da uno scambio di esperienze di vari artisti. Dell’arte e l’unità parlerà Chiara Lubich in una video-conversazione. Liliana Cosi, già ballerina étoile, interverrà su “Danza come linguaggio dell’unità”. (Castelgandolfo, 10-12 settembre 2004)

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L’interdipendenza in risposta al terrorismo

D.Ma cosa significa in concreto il termine ‘interdipendenza’? R.Ovviamente, va tenuto presente che io vengo da un Paese, gli Stati Uniti, che da 225 anni si basa sulla premessa che indipendenza, giustizia, felicità e sicurezza vadano di pari passo; che se le persone volevano essere giuste, democratiche e sicure, dovevano essere indipendenti. Noi abbiamo una Dichiarazione d’Indipendenza. E tutti gli Stati nazionali – Italia, Francia, Cina – partono dagli stessi presupposti. Oggi questa premessa di indipendenza non è più sufficiente. Interdipendenza significa che noi possiamo creare un mondo che sia sicuro per tutti, oppure un mondo che non è sicuro per nessuno. D.Lei nutre speranze positive, nonostante gli eventi recenti di violenze e di terrorismo crescente? R.Il terrorismo è sintomo di una malattia nascosta, ma la buona notizia è che qui in Europa, dove per 300 anni le singole Nazioni si sono fatte la guerra e hanno compiuto genocidi una nei riguardi dell’altra, oggi vivono una condizione di interdipendenza civile ed economica. Ecco che l’Europa dimostra come l’interdipendenza sia un principio politico fattibile e realistico, sempre che i singoli individui abbiano la volontà di realizzarla. Quello che manca oggi, in alcuni Paesi come gli Stati Uniti, è proprio questa volontà. Noi stiamo cercando di costruire proprio questa volontà politica per attuare una sempre maggiore interdipendenza. (Radio Vaticana, 13.09.2004)

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Messaggio del Segretario generale dell’ONU, Kofi Annan

Porgo i miei più cari saluti a tutti coloro che si sono riuniti qui a Roma per celebrare la Seconda Giornata dell’Interdipendenza. Tutto intorno a voi, in questa “città eterna”, vi ricorda che questo era un tempo il centro di un impero in cui tutte le strade portavano a Roma, tutti gli abitanti vivevano nella Pax Romana e l’Esercito sorvegliava le frontiere e teneva a bada le possibili minacce.

Oggi, nessuna nazione, o gruppo di nazioni, neppure la più potente, è più in grado di proteggere se stessa dai pericoli che la minacciano dall’esterno, trasformandosi in un’inespugnabile fortezza militare. Nessun esercito può impedire che avvengano movimenti di capitale, fermare la diffusione dell’AIDS, ridurre gli effetti del riscaldamento del pianeta, fermare il flusso di informazioni, o invertire il processo di diffusione di quelle ideologie radicali e violente che rappresentano una minaccia per tutti noi. E nessuna società può nascondersi dietro il velo dell’ignoranza o la paura di ciò che è sconosciuto, e dimenticare così la lotta per la sopravvivenza che viene combattuta ogni giorno in molti altri Paesi. Nel bene e nel male, viviamo nell’era dell’interdipendenza, e dobbiamo riuscire a farlo tutti insieme. Rispetto ai risultati raggiunti da qualunque altro gruppo di nazioni nel corso della storia, i popoli europei sono già molto avanti nel loro cammino verso l’integrazione. A livello globale, il principale strumento che gli Stati hanno a loro disposizione per riuscire a gestire l’interdipendenza è rappresentato dalle Nazioni Unite. Non si tratta certamente di un’Organizzazione perfetta. Ma è sede della legittimità internazionale e deve, pertanto, rappresentare il centro vitale delle azioni multilaterali. E perché possa operare meglio, ho chiesto ad un gruppo di persone eminenti di aiutarci a preparare sia un’analisi condivisa delle minacce che ci troviamo a dover combattere – tra cui quella del terrorismo globale – sia una serie di raccomandazioni relative al modo in cui affrontarle. Chiederò a tutte le nazioni del mondo di rispondere a queste raccomandazioni con coscienza e senso di responsabilità e solidarietà. Lo stesso senso di responsabilità e solidarietà deve essere utilizzato per continuare ad affrontare i vecchi mali che, ahimè, ancora ci affliggono – gli orrori del genocidio e delle numerose violazioni dei diritti dell’uomo, la miseria causata dalla povertà, dalle malattie e dalla fame, la tragedia dell’ignoranza e della discriminazione. Si tratta di mali tutti collegati tra loro e sia i principi morali che la sicurezza della comunità intera saranno determinati, in gran parte, proprio dai risultati positivi raggiunti nell’eliminarli, e dalla speranza che si riuscirà a portare ai milioni di persone che nel mondo lottano ancora per la vita e la giustizia. Non basta semplicemente la cooperazione di governi lungimiranti nell’affrontare tali sfide. È necessario che gli uomini e le donne di ogni Paese sviluppino la propria percezione di essere cittadini del mondo e si impegnino anch’essi in queste battaglie. Questo è il motivo per cui le Nazioni Unite fanno appello alle organizzazioni civili e gli sforzi compiuti da persone come voi acquistano un significato così importante. All’inizio, ho affermato che la struttura dell’Impero Romano non potrebbe mai funzionare al giorno d’oggi. Ma gli ideali di res publica, cui gli antichi romani erano così legati, possono ancora continuare ad ispirarci nella ricerca di modi in cui accrescere il nostro senso di cittadinanza a livello globale. Con questo spirito, porgo a tutti voi i migliori auguri per una Seconda Giornata dell’Interdipendenza piena di successi. (altro…)

L’interdipendenza vivificata dalla fraternità, motore di processi positivi

I mille volti dell’interdipendenza Mi sento particolarmente a mio agio, oggi, a considerare, assieme a voi, da tante diverse prospettive, i mille volti dell’interdipendenza, che abbiamo inteso affrontare insieme, per comprendere meglio come poterla orientare al bene della famiglia umana. Per quanto mi riguarda, vorrei evidenziare un particolare dell’interdipendenza già accennato nel mio messaggio di adesione alla prima Giornata, lo scorso 12 settembre 2003 a Filadelfia. Si tratta di questo: la realtà dell’interdipendenza richiama nell’animo di molti l’urgenza e la necessità di quell’ideale, per il quale persone di buona volontà, sparse in tutto il mondo, hanno deciso di spendere la loro vita: concorrere a realizzare la fraternità universale, per la quale si attua l’unità della famiglia umana. Sì, perché interdipendenza significa rapporto di connessione reciproca tra due realtà che si condizionano a vicenda. Rapporto che non si potrà attuare alla perfezione, fra i singoli e fra gli Stati, se non sarà caratterizzato dal rispetto reciproco, dalla comprensione vicendevole, dal saper far posto gli uni e gli altri alle difficoltà, ai problemi e alle realtà altrui, all’accoglienza dei rispettivi doni. In pratica dal mutuo amore così come si vive tra fratelli. L’interdipendenza fraterna comporta, infatti, la scelta del dialogo rispetto a quella dell’egemonia, la via della condivisione rispetto a quella della concentrazione di risorse e dei saperi in una sola area del mondo. L’interdipendenza fraterna è davvero “mutua dipendenza”, perché implica che l’affermazione della mia identità non può avvenire né per difesa, né per opposizione, ma si raggiunge attraverso la comunione: delle risorse, delle virtù civiche, delle caratteristiche culturali, delle esperienze politico-istituzionali. Non sono solo parole queste mie; sono frutto dell’esperienza del Movimento dei Focolari cui appartengo, effetto d’un carisma dello Spirito Santo: Movimento multiculturale, multietnico, multireligioso, diffuso ormai in 182 Paesi, con milioni di aderenti, il cui scopo è la fraternità, anzi la fraternità universale. 11 settembre: paradossalmente la possibilità di un passo avanti verso la fraternità universale E’ quell’esperienza stessa che ha suscitato in me una certezza ed una convinzione nuova nel valutare, ad esempio, quanto era successo dopo il crollo delle Torri Gemelle: quel tragico evento, momento di massima disgregazione delle relazioni tra gli uomini e tra i popoli, mi appariva paradossalmente come un momento in cui il mondo poteva fare un passo avanti verso la fraternità universale. Ne avevo avuto conferma le ore immediatamente successive a quel terribile fatto, dalle reazioni e dalle testimonianze di tanti membri dei Focolari sparsi nel mondo. Dagli Stati Uniti mi informavano che, pur nel dramma che aveva scosso tutto il Paese, la società americana sperimentava una solidarietà ed una disponibilità alla condivisione in una dimensione forse inedita. I cristiani e i fratelli musulmani neri del nostro Movimento, reagivano insieme all’odio, mostrando la loro profonda sperimentata fraternità. Reazioni analoghe mi giungevano, come dall’Algeria, dai territori palestinesi, da Gerusalemme, così dal Sud-Africa e da tutte le nazioni dell’Europa. Giovani e adulti, membri di religioni diverse, si assumevano una responsabilità ancor più forte e consapevole, ed il nostro impegno per l’unità fra tutti gli uomini si è fatto, da quel giorno, più convinto e deciso. E’ stato anche per questo che la nostra adesione alle ragioni e ai contenuti delle Giornate dell’interdipendenza, è stata piena. Non possiamo, infatti, non vedere che interdipendenza e fraternità sono due fasi del cammino dell’umanità verso la sua completa riconciliazione. Come scrisse Giovanni Paolo II in occasione della Giornata mondiale della pace del 2001, proprio “la presente situazione di interdipendenza planetaria aiuta a meglio percepire la comunanza di destino dell’intera famiglia umana”. Abbiamo scelto la forma più alta di interdipendenza: l’unità Su questi presupposti, in accordo col dott. Barber, con cui subito l’intesa è stata profonda, vorrei ora offrire loro qualche idea sulle ragioni, umane e soprannaturali, che sostengono la nostra esperienza. 60 anni fa, eravamo poche ragazze, ma è ancora chiarissima dentro di me una delle prime intuizioni: in piena seconda guerra mondiale, sotto un furioso bombardamento, in una cantina, alla luce fioca di una candela, abbiamo trovato nel Vangelo, unico riferimento delle nostre vite, il Testamento di Gesù che proponeva l’unità universale: “Che tutti siano uno” (cf Gv 17,21). Capimmo che per quella pagina era sorto il Movimento. Quel “tutti” sarebbe stato il nostro orizzonte: l’unità, la ragione della nostra vita. Far nostro quel sogno di Dio ci legò al Cielo e nello stesso tempo ci immerse fortemente dentro la storia dell’umanità, per farne emergere il cammino verso la fraternità universale. Nei giorni della guerra, la più lacerante delle divisioni, abbiamo scelto paradossalmente la forma più alta di interdipendenza: l’unità. La possibilità di realizzare questo ideale affondava le sue ragioni in quella che ci apparve come un’autentica scoperta: Dio è Amore! Un Amore che abbraccia tutte le epoche e rende fratelli tutti gli uomini e che si è tradotto subito per noi in amore reciproco, generando un’esperienza comunitaria profonda. Quello stesso Amore ci spinse a cercare anzitutto i più poveri, per risolvere – come allora dicevamo – il problema sociale della nostra piccola città, Trento. Questo nuovo sguardo inclusivo sulla città si rivelò subito contagioso. Dopo pochi mesi eravamo, infatti, 500 persone, di ogni età, categoria professionale e condizione sociale. L’unità è dunque il “segno” specifico della fisionomia del Movimento dei Focolari al suo interno, ma è anche una “vocazione”, una chiamata per tutti gli uomini di buona volontà. Negli anni, sono venuti in luce alcuni ambiti specifici di dialogo e di condivisione. Ci siamo trovati a costruire luoghi ed occasioni di incontro all’interno delle Chiese a cui apparteniamo, perché ci sia sempre di più “comunione”; e poi, un’esperienza di popolo unito tra i cristiani di diverse denominazioni, che anticipa, nella condivisione dei doni specifici di ciascuna Chiesa, l’unità dottrinale. Ma in particolare c’è una frontiera in cui ci sentiamo chiamati ad operare ancor più, dopo l’11 settembre, sfida che peraltro abbiamo iniziato ad affrontare da più di 20 anni: è il dialogo con i fedeli delle grandi religioni. Puntiamo a vivere anzitutto, dall’una e dall’altra parte, in un dialogo della vita, rispettoso e fecondo, premessa alla pace, la cosiddetta “regola d’oro”: “Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”, che significa: ama gli altri. Norma presente, con diverse sfumature, in tutte le grandi tradizioni religiose. Infine, da sempre, ci siamo ritrovati insieme, in una fattiva collaborazione, con quanti non hanno un preciso riferimento religioso; ci unisce l’amore all’uomo ed ai suoi valori. La fraternità applicata a economia e politica in risposta alle grandi domande dell’oggi Questa costante ricerca di ciò che unisce, questa convinzione che l’unione è possibile, ha fatto maturare nel tempo piccole e grandi realizzazioni; ne cito due, ad espressione della sorprendente capacità che la fraternità dimostra se applicata dentro le grandi domande dell’oggi. Nel 1991 nasce il progetto per un‘Economia di Comunione, che raccoglie oggi 797 aziende, in tutto il mondo. Esse operano nel mercato e suddividono gli utili in tre parti: per aiutare i poveri, onde dar loro da vivere finché abbiano trovato un posto di lavoro; per sviluppare strutture di formazione alla “cultura del dare”; per incrementare le aziende stesse. Nell’idea e nell’esperienza che stanno alla base dell’Economia di Comunione, alcuni economisti intravedono una nuova chiave di lettura che potrebbe contribuire a superare l’impostazione individualistica, oggi prevalente. Nel ’96 si consolida nel “Movimento politico per l’unità” (diramazione del Movimento dei Focolari) un interesse per la politica, intesa fin dagli inizi come vocazione essenziale per la realizzazione della famiglia umana. Oggi è un laboratorio internazionale di lavoro politico comune, tra cittadini, funzionari, politici impegnati a vari livelli, di ispirazioni e partiti diversi, studiosi, che hanno messo al centro del loro agire i valori fondamentali presenti nelle culture politiche; ed è loro impegno, fra il resto, far in modo che la fraternità sia considerata categoria politica. L’interdipendenza vivificata dalla fraternità diventa motore di processi positivi Nella mia vita ho potuto conoscere innumerevoli persone, gruppi, popoli: sempre ho sperimentato che la tensione all’unità è un’aspirazione insopprimibile che pulsa nel cuore di ogni uomo, di ogni gruppo sociale, di ogni popolo. Ho imparato a scorgere i passi in avanti che segnano il progredire dell’umanità, fino a poter affermare che la sua storia altro non è che un lento, ma inarrestabile cammino verso la fraternità universale. Ma l’unità è un cammino che va accompagnato e sostenuto. Se c’è un dono specifico che possiamo portare a questa II? Giornata, esso è costituito proprio dalla fraternità, non solo nei frutti concreti che ne sono venuti dalla sua coniugazione nella vita, ma anche nel suo significato di paradigma culturale. Vivificata dalla fraternità, l’interdipendenza, da semplice “fatto” o “strumento”, potrà diventare motore di processi positivi. La fraternità potrà diventare dono per tutti e prospettiva strategica per il bene non di un solo popolo, ma di tutta l’umanità. Dopo millenni di storia in cui si sono sperimentati i frutti della violenza e dell’odio, abbiamo tutto il diritto oggi di chiedere che l’umanità cominci a sperimentare quali potranno essere i frutti dell’amore. E non solo dell’amore fra i singoli, ma anche fra i popoli. Chiedo a Dio che ci guidi e ci sostenga.

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Giornata dell’Interdipendenza 2004

Giornata dell’Interdipendenza 2004

Un’utopia realizzata? “L’avveniristico Auditorium-Parco della Musica ha una nota di utopia realizzata. L’interdipendenza dei popoli, resa assolutamente urgente dalla globalizzazione dei mercati e del… terrorismo è stata cantata e suonata in moltissime variazioni nella Sala Sinopoli dell’Auditorium, in un dialogo a più voci e a più fedi ed opzioni politiche ma all’unisono sulla necessità di un “sistema di interdipendenza virtuosa” cui concorrano tutti: dall’Onu alle religioni”. E’ quanto afferma Orazio Petrosillo su Il Messaggero del 13 settembre. E aggiunge: “Chi è arrivato a Roma per la II Giornata dell’Interdipendenza lo ha fatto perché crede che i popoli, le persone e gli Stati possano davvero essere più uniti”.

 

Benjamin Barber: L’interdipendenza virtuosa in risposta alle attuali sfide globali Il prof. Benjamin Barber, politologo americano, fondatore delle Giornate dell’Interdipendenza, in un’ intervista spiega che “Interdipendenza significa che noi possiamo creare un mondo che sia sicuro per tutti, oppure un mondo che non è sicuro per nessuno”. E, dando il benvenuto ai convenuti, afferma: “Poiché le sfide che ci troviamo ad affrontare oggi sono sfide globali, anche le risposte fornite devono essere tali. Da questo è nata l’esigenza di una Giornata dell’Interdipendenza e di una Dichiarazione dell’Interdipendenza”. “Le nostre risposte devono essere frutto di un sistema di interdipendenza virtuosa, un nuovo sistema transnazionale di diritto internazionale, cooperazione multilaterale e governance sociale globale”.

Un documento per una nuova convivenza mondiale La Carta europea per le politiche dell’Interdipendenza fissa le priorità per una nuova convivenza mondiale. Afferma, prima di tutto, che è indispensabile sradicare il terrorismo e questo lo si può fare attraverso la costruzione di salde reti sociali e linguistiche, così da favorire il dialogo interculturale e religioso; la cooperazione internazionale per abbattere il divario economico tra nord e sud del mondo. Sollecita anche la libera circolazione delle persone, il diritto di voto ai cittadini stranieri, l’accesso all’acqua potabile e il diritto alla salute per tutti. Si chiede che venga rafforzato il diritto di asilo e che si dia il voto agli stranieri. Prodi: superare le divisioni tra i popoli Nel suo messaggio, il presidente della Commissione Europea, Romano Prodi, afferma che “i tempi ci chiedono di essere lungimiranti, di superare le divisioni che hanno segnato il nostro passato”. “Adesso sappiamo qual è la via da seguire: unità nella diversità, dialogo tra le culture, messa in comune delle risorse”. Kofi Annan: urge una nuova consapevolezza di essere cittadini del mondo Per risolvere le disuguaglianze e gli orrori che affliggono il mondo – scrive il segretario generale dell’ONU, nel messaggio per l’occasione – “occorrono uomini e donne che sviluppino la consapevolezza di essere cittadini del mondo”. “Da sola nessuna nazione è in grado di proteggere se stessa dai pericoli che la minacciano dall’esterno”.  

Veltroni definisce l’ Interdipendenza: alternativa al divario tra nord e sud Il sindaco di Roma, Walter Veltroni, ribadisce che l’interdipendenza è l’alternativa a quella globalizzazione che scava un divario sempre crescente tra nord e sud del mondo: “L’ultimo rapporto sullo sviluppo umano dice che per 26 Paesi, soprattutto Paesi africani, la ricchezza è diminuita invece di crescere”. Serve quindi rafforzare gli organismi – vedi l’ONU – che governano il Pianeta.

Chiara Lubich: Interdipendenza e fraternità per mettere in moto processi positivi Per Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, interdipendenza ha un significato ben preciso: comporta infatti la scelta del dialogo rispetto a quella dell’egemonia, la via della condivisione rispetto a quella della concentrazione di risorse e dei saperi in una sola area del mondo. Vivificata dalla fraternità, l’interdipendenza, da semplice “fatto” o “strumento”, potrà diventare motore di processi positivi… non di un solo popolo, ma di tutta l’umanità. Andrea Riccardi: tutti chiamati a lavorare per la pace “Un piccolo numero di uomini può destabilizzare il mondo con le armi – ha detto Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant’ Egidio – e questa è la storia del terrorismo. Ma è anche vero che tutti possono lavorare per la pace”. “C’è bisogno di una nuova cultura, di nuove iniziative”. (altro…)

Messaggio di Romano Prodi, Presidente della Commissione europea

Cari amici, la Giornata dell’Interdipendenza è un’iniziativa lodevole e illuminata che merita di essere celebrata e sostenuta pienamente. E’ per questo che faccio le mie congratulazioni agli organizzatori dell’evento e mando i miei più calorosi saluti a tutti i presenti. Mi dispiace solamente di non poter essere con voi per l’intera giornata, ma sono felice di riuscire a partecipare almeno in parte, più tardi, questa sera. In questo giorno, il nostro primo pensiero deve essere per le vittime dei tragici eventi che hanno sconvolto nei giorni scorsi l’Ossezia del Nord. Questi eventi ci ricordano il drammatico bisogno per le nostre società di tolleranza e pace. Ci ricordano quanto importante sia lavorare per la pace e la fraternità dei popoli. La Giornata dell’Interdipendenza acquista così un doppio significato e una doppia valenza: anzitutto, come giorno della memoria; secondo, perché ci impone di riflettere sul nostro avvenire comune e su come sia fondamentale evitare di cedere alla tentazione dell’odio e della violenza, e insistere piuttosto sulla necessità di rafforzare la cooperazione e la solidarietà. Oggi più che mai, non dobbiamo semplicemente rimanere sulla difensiva, confortati da un’analisi dei fatti errata e superficiale. Dobbiamo ricercare le cause profonde di questi tragici avvenimenti e affrontarli alla radice. Sarebbe un grave errore sottovalutare il possibile effetto di contagio di questa violenza. E proprio mentre dobbiamo rispondere fermamente e vigorosamente alla violenza e al terrorismo, dobbiamo anche trovare risposte di lungo termine. Tutto ciò perché le nostre speranze di mettere fine a tanto oltraggio una volta per tutte riposano nel lungo periodo. I tempi ci chiedono di essere lungimiranti. Ci chiedono di essere capaci di superare le divisioni che hanno segnato il nostro passato, ci richiedono di rispondere al momento storico che viviamo sviluppando un progetto nuovo e maturo per il nostro futuro comune. Abbiamo bisogno di visione e di idee forti. L’interdipendenza è una di queste idee, perché trascende i tecnicismi e solleva questioni che vanno al di là della possibile architettura istituzionale dell’Unione e della maniera in cui essa è governata. L’interdipendenza è di gran lunga più importante e essenziale, perché ha a che fare con i principi e i valori che guidano la nostra azione. Cinquant’anni fa, i Padri Fondatori dell’Europa avviarono un progetto incredibilmente ambizioso e misero in moto quel processo di integrazione europea che ha portato all’Unione europea come la conosciamo oggi. Sapevano che non esisteva alternativa all’integrazione e all’interdipendenza, alla messa in comune delle risorse per il benessere di tutti. Sapevano che la prosperità non dura se lascia che la povertà cresca al suo fianco. L’integrazione europea è cominciata all’indomani di quella che è stata probabilmente la più grande tragedia dell’umanità: la Seconda Guerra Mondiale. Grazie all’intuito e al coraggio dei Padri Fondatori, abbiamo goduto cinquant’anni di pace. L’ultimo allargamento che ha abbracciato l’Europa centrale, orientale e meridionale ha unificato il continente, mettendo fine a decenni di separazione artificiale. E’ la prima volta nella nostra storia che il processo di unificazione continentale si realizza pacificamente, democraticamente e con la partecipazione diretta dei cittadini dell’Unione. E sappiamo bene che non si tratta solo di vuote parole, perché il contributo tangibile e concreto del processo di integrazione europea alla pace è sotto gli occhi di tutti. Tuttavia, ci sono oggi nuove minacce che incombono sull’Europa e sul mondo intero. La situazione che ci troviamo a fronteggiare è drammatica e senza precedenti. E richiede intuito, coraggio, iniziativa, proprio come fu mezzo secolo fa. Sappiamo quale sia la via da seguire: unità nella diversità, dialogo tra le culture, messa in comune delle risorse, azioni congiunte. Dobbiamo promuovere questi valori a livello globale, poiché non esiste alternativa se vogliamo assicurare stabilità, sviluppo e pace. Allo stesso tempo, abbiamo bisogno di pensare assiduamente e in maniera approfondita al tipo di architettura istituzionale e di governance che meglio può servire lo spirito del dialogo e della pace. Abbiamo bisogno di assicurare che l’interdipendenza economica, sociale e politica venga promossa costantemente attraverso un multilateralismo efficace e rafforzato. Abbiamo bisogno di uomini e donne di buona volontà impegnati nel progresso economico e sociale per il bene comune. Abbiamo bisogno di nuove forme di partenariato tra le istituzioni pubbliche e la società civile in grado di portare nuovo entusiasmo e nuova vita al momento della definizione e dell’attuazione delle politiche pubbliche. Abbiamo bisogno di rafforzare il senso civico e la partecipazione per assicurare democrazie forti e sane. La partecipazione assegna ai cittadini un compito nella definizione del loro futuro, a livello nazionale, europeo e internazionale; dà loro il sentimento di appartenenza ad una comunità più ampia, il sentimento di come pace e prosperità siano un obiettivo e una missione comuni. Oggi non dobbiamo solamente pronunciarci in favore di, ma anche lavorare assiduamente per rivitalizzare quell’alleanza politica e sociale che è la base per un’interdipendenza positiva e fruttuosa tra le culture, i popoli e gli Stati. In favore di e per un mondo di pace, più unito e coeso. Vi esprimo i miei più cari auguri per la migliore riuscita di questa Giornata,

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I Poli imprenditoriali: laboratorio di una nuova economia

I Poli imprenditoriali: laboratorio di una nuova economia

“I Poli imprenditoriali dell’Economia di Comunione svolgono una funzione profetica, sono come il sale: possono dar sapore a questa economia che cerca il nuovo, ma non sa costruirlo”. Così il prof. Stefano Zamagni ordinario di Istituzioni di Economia all’Università di Bologna, nel suo intervento alla seconda giornata del Congresso sull’Economia di Comunione (EdC) a Castelgandolfo (Roma).

I Poli imprenditoriali di EdC Erano stati presentati in apertura della mattinata: sono nati o si stanno sviluppando in Italia, Brasile, Argentina, Portogallo, Francia, USA, Belgio. Ne sono state delineate le finalità: – dare visibilità concreta al progetto, radunando in un luogo più aziende in modo che si “veda” un modello economico concreto – fare da punto di riferimento per tutte le aziende di EdC di una nazione o regione in cui il Polo imprenditoriale è situato La vocazione principale dei Poli, quindi, è mostrare un’economia centrata sulla categoria della comunione, non solo nella cultura e nello stile di vita dei singoli attori (imprenditori, lavoratori), ma anche nelle dinamiche organizzative e di governance. Esperienze di economia civile che hanno radice in altre culture e religioni L’EdC si apre anche al dialogo con altre culture e così sul palco del convegno si parla ancora di consumo critico e responsabile: la dott.ssa A. Suriakanthi presenta l’esperienza della Gandhigram University dell’India, un modello di microcredito basato esclusivamente sui piccoli e piccolissimi risparmi accantonati dagli stessi indigenti e utilizzati per microfinanziamenti di attività. Ad oggi, dopo quasi tre anni di attività, sono 190 le famiglie che hanno ottenuto un prestito per le proprie microimprese. “Il successo – ha detto – non sta solo nel miglioramento delle condizioni economiche delle famiglie, senza l’intervento di istituzioni esterne, ma nello sviluppo integrale della persona, secondo l’ideale gandhiano di autosviluppo”. Nuovo umanesimo di comunione Il congresso si è concluso con l’ultimo panel: “Non solo economia: per un umanesimo di comunione”. L’EdC è stata presentata come parte di un progetto più ampio, interdisciplinare e interculturale, portato avanti dal Movimento dei Focolari.   (altro…)

Suscitare una corrente inversa al terrorismo, con un nuovo ordine economico

Suscitare una corrente inversa al terrorismo, con un nuovo ordine economico

Una povertà da sradicare e una povertà da scegliere C’è una “povertà subita” da sradicare. E’ la miseria ingiusta e disumana. Ma “c’è un’altra povertà, quella liberamente scelta che costituisce la precondizione per sconfiggere la miseria”. E’ questa la visione di povertà e ricchezza maturata dall’esperienza dell’Economia di comunione in atto da 13 anni nei 5 continenti, approfondita dal Prof. Luigino Bruni, docente di economia politica e tra i responsabili del Movimento per un’Economia di comunione. “Tutto ciò che sono ed ho mi è stato donato e quindi deve essere ridonato” – ha aggiunto il prof. Bruni. Di qui la scelta della condivisione: i “beni che diventano così ponti”.

L’EdC è un’esperienza di grande attualità Lo ha affermato Chiara Lubich, perché può “suscitare una corrente inversa al terrorismo”, contribuendo, “con le tante forze positive” a quella fraternità che rende possibile la comunione dei beni, la sconfitta delle disparità sociali. Infatti – ha proseguito – “una delle cause più profonde del terrorismo risiede nello spaventoso squilibrio tra Paesi ricchi e poveri.” che “genera ostilità, vendetta”. La prima idea dell’Economia di Comunione: sanare il contrasto tra ricchi e poveri Intervenendo al Centro Mariapoli di Castelgandolfo, di fronte a oltre 700 economisti, ricercatori, imprenditori, lavoratori, studenti, azionisti da 30 Paesi, dall’India agli Stati Uniti, all’Europa dell’Est e Ovest, la fondatrice dei Focolari ha ricordato come la prima idea dell’Economia di comunione era nata nel 1991, in occasione di un suo viaggio in Brasile, proprio sorvolando san Paolo, “colpita dal contrasto tra la selva di grattacieli e la miseria delle favelas che la circonda”. Di qui la sfida lanciata alle imprese: produrre utili a beneficio dei più bisognosi. Destinarli in parte per la formazione di uomini nuovi, atti a questa nuova economia, e in parte per l’incremento della stessa azienda. Il bilancio di 13 anni dell’Edc Poco prima era stato presentato a più voci il bilancio di questi 13 anni: le aziende e attività di produzione gestite secondo questo progetto sono 800 in tutti i continenti. 470 in Europa, 270 nelle Americhe.  

Un Movimento economico Chiara Lubich ha incoraggiato lo sviluppo di un vero e proprio movimento economico che possa esprimersi anche in termini culturali e scientifici. In questi anni seminari accademici, pubblicazioni, tesi di laurea (166 nel mondo) “già ne sono – ha detto – un promettente inizio”.

Come ha sottolineato il prof. Bruni, “senza una cultura nuova non si fa una economia nuova”: “nell’EdC – ha detto – intravediamo la possibilità concreta di un nuovo umanesimo; vi scorgiamo la strada per un ordine economico più giusto e solidale”. Una nuova visione del lavoro In questa visione anche il lavoro assume un’altra dimensione. Specchiandosi nel Vangelo, Chiara Lubich ne ha delineato quasi un decalogo: “far di ogni ora un capolavoro di precisione, di armonia”. “Sfruttare i propri talenti e perfezionarsi”. Lavorare “non solo per il guadagno”, ma per “trasformare in amore ogni cosa che esce dalle nostre mani”: “i destinatari sono fratelli”. Gesù stesso ritiene fatto a sé ciò che facciamo a loro. “Pesantezza del lavoro, difficoltà di rapporto, contraddizioni sono la tipica penitenza che non può mancare al cristiano”. Al primo posto tra datore di lavoro, lavoratori “quell’amore reciproco che attira la presenza di Gesù nella collettività”, e diventa luce per “trovare insieme nuove forme di organizzazioni del lavoro, di partecipazione di gestione”. Le “aziende diverranno così dimore di Dio con gli uomini, vere anticamere del Paradiso”. Il prolungato applauso diceva l’adesione a questa altissima proposta. Le esperienze di aziende di vari Paesi, che sono seguite nel pomeriggio, hanno mostrato questo volto nuovo dell’impresa. (altro…)

Giornata dell’Interdipendenza. "Le persone, i popoli, gli Stati per un mondo più unito"

Giornata dell’Interdipendenza. "Le persone, i popoli, gli Stati per un mondo più unito"

Di fronte al rischio dello scontro tra le civiltà, ecco l’idea dell’interdipendenza positiva come chiave per affrontare la grande sfida del “saper vivere insieme” posta dalla società postglobale. Per superare la visione di un’interdipendenza solo economica dei mercati e della finanza, l’interdipendenza positiva tra persone, popoli e Stati per un futuro di pace, dialogo, giustizia sociale e fraternità universale.

L’iniziativa L’11 e 12 settembre prossimo, sarà celebrata a Roma la seconda Giornata dell’Interdipendenza. La prima ha avuto luogo il 12 settembre 2003 a Philadelphia, per iniziativa di Benjamin Barber, professore dell’Università del Maryland (USA) e fondatore dell’associazione Civ-World. La scelta della data non è casuale, trattandosi del giorno seguente l’11 settembre in cui si ricordano gli attacchi terroristici alle Twin Towers e al Pentagono. Nel progetto del Civ-World questa è sembrata la data più appropriata in riferimento alla nuova realtà interdipendente che questi attacchi hanno così duramente espresso. Il significato dell’iniziativa è quello di sottolineare l’idea dell’interdipendenza positiva, come chiave per affrontare la grande sfida del “saper vivere insieme”, come valore necessario alla convivenza pacifica tra gli uomini, da applicare in politica e su cui impegnarsi culturalmente. L’interdipendenza è la condizione globale nella quale oggi ciascuno di noi, come singolo e come gruppo, vive, lavora, respira, pensa: prenderne coscienza accelera il cammino positivo dell’umanità. Di fronte ad una interdipendenza negativa organizzata dal crimine o dal terrorismo o ad un’interdipendenza solo economica, dei mercati e della finanza, che non riesce ad evitare il rischio di uno scontro fra civiltà, la ricerca di un’interdipendenza positiva tra i popoli e le nazioni contribuirà alla maturazione di una cultura della pace, del dialogo, della solidarietà e della fraternità universale. Obiettivo dell’evento del prossimo settembre è quello di promuovere anche in Italia e in Europa l’idea dell’interdipendenza positiva tra le persone, i popoli e gli Stati, collaborando per individuare azioni comuni locali, nazionali, europee e transnazionali. I promotori, insieme al Comune di Roma e al Movimento Civ-World del prof. Barber, sono: le ACLI, Legambiente, il Movimento politico per l’unità – Movimento dei Focolari e la Comunità di Sant’Egidio. Realtà così diverse si sono unite per rispondere insieme, ognuno con la sua tipicità e specificità, adeguatamente alla necessità di formare un “cittadino globale”, che con le sue virtù civiche sia in grado di costruire una “società civile globale”, capace di vera mutualità e reciprocità e di vero dialogo tra culture e popoli diversi.   (altro…)

Giornata dell’Interdipendenza. "Le persone, i popoli, gli stati per un mondo più unito"

Programma ROMA, 11 SETTEMBRE 2004 PIAZZA DEL CAMPIDOGLIO – ORE 20.30 In memoria dell’11 settembre – Dialogo per la pace

S.E. Card. Paul Poupard, Presidente Pontificio Consiglio per la Cultura Rabbino Riccardo Di Segni, Capo della Comunità ebraica di Roma Shahrzad Hushmand, Teologa islamica iraniana

PAROLE E MUSICA PER LA PACE Pamela Villoresi, Massimo Wertmuller, Miriam Meghnagy, Salaman Masahla, Ivry Gitlis, Faouzi Skali TESTIMONIANZE DI Rabbino Elio Toaff, Cittadino onorario di Roma S.E. Mons. Shlemon Warduni, Vescovo di Baghdad Imam Warith D. Mohammed, Leader “American Muslim Society” (USA) Cristian Carrara, Giovani delle ACLI Abdallah Kabakeby, Giovani Musulmani italiani Gadiel Liscia, Unione Comunità Ebraiche Italiane PROIEZIONE CARTOON POP – PACE OF PEACE realizzato dagli studenti della scuola palestinese di Qalqilia e della scuola israeliana di Raanana ROMA, 12 SETTEMBRE 2004 AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA – SALA SINOPOLI

ORE 9.00 – APERTURA DEI LAVORI Roberto Della Seta, Presidente nazionale Legambiente: “Il ruolo della società civile per la promozione dell’interdipendenza positiva” Ore 9.15 – 11.00 – IL PARADIGMA POLITICO DELL’INTERDIPENDENZA – Benjamin Barber, politologo e fondatore “Interdependence Day”: “Democrazia globale e pace preventiva”Walter Veltroni, Sindaco di Roma “Interdipendenza tra municipalità e cittadinanza globale” Intervengono: Kofi Annan, Segretario Generale ONU (messaggio in video) Pier Ferdinando Casini, Presidente Camera dei deputati Howard Dean, candidato democratico alle primarie USA Chiara Lubich, fondatrice Movimento dei Focolari Romano Prodi, Presidente Commissione Unione Europea Andrea Riccardi, fondatore Comunità di Sant’Egidio Lech Walesa, fondatore “Solidarnosc” Ore 11.00 – 12.30 – L’EUROPA E L’INTERDIPENDENZA Luigi Bobba, Presidente nazionale ACLI: “Presentazione della Carta europea per l’interdipendenza” Punti di vista di: Mustafa Akyol (Turchia) Harry Belafonte (USA) Kim Campbell (USA) Carlo De Benedetti (Italia) Sandro Calvani (Italia) Ruth Dreifuss (Svizzera) Andrei Gratchev (Russia) Milan Kucan (Slovenia) Enrico Letta (Italia) Adam Michnik (Polonia) Jeremy Milgrom Rabbi (Israele) Mbiaoh Francis Nkemabi (Camerun) Bhikhu Parekh (India) Edoardo Patriarca (Italia) Timothy Phillips (USA) Ermete Realacci (Italia) Michel Rocard (Francia) Conduce: Giovanni Floris Ore 13.00 – FIRMA della CARTA EUROPEA per L’INTERDIPENDENZA La partecipazione all’iniziativa, sia l’11 che il 12 settembre, è a ingresso libero

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La fraternità in politica: utopia o necessità ?

Nel 1998, in occasione del 150° anniversario della Costituzione svizzera, ero stata invitata dal Comitato “Una visione per la Svizzera” a prendere la parola proprio qui a Berna durante la giornata federale di riflessione. Era stato un onore per me, italiana, e quindi straniera in questo Paese, poter rivolgermi ad un’assemblea così qualificata e rappresentativa di tutta la Svizzera. L’avevo fatto con una particolare gioia perché, da decenni ormai, amo e considero questa terra come la mia seconda patria. Così è una gioia speciale per me rivolgermi oggi a loro, impegnati in diversi modi in politica. Ringrazio in modo particolare il gruppo di politici del Comitato d’organizzazione per questa giornata. Essi, dopo aver promosso nel marzo dell’anno scorso una giornata molto riuscita a Martigny, seguita da vari incontri a livello locale, hanno ora voluto approfittare della imminente sessione autunnale delle Camere federali per organizzare l’odierno incontro. Il titolo che mi è stato proposto è: “La fraternità in politica: utopia o necessità?” La mia speranza è che, nel presente intervento, possa dimostrare la necessità della fraternità e la possibilità di realizzarla. Il trittico: “libertà, uguaglianza, fraternità”, quasi una sintesi del programma politico della modernità, esprime un’intuizione profonda, e sollecita oggi da noi una profonda riflessione: a che punto siamo con la realizzazione di questa grande aspirazione? La Rivoluzione francese ha annunciato i tre principi, ma certamente non li ha inventati: essi avevano già cominciato il loro faticoso cammino attraverso i secoli, soprattutto a partire dall’annuncio cristiano, che ha illuminato il meglio delle tradizioni antiche dei diversi popoli e il patrimonio della rivelazione ebraica, portando un’autentica rivoluzione: l’umanesimo nuovo, aperto da Cristo, che ha reso l’uomo capace di vivere pienamente questi principi. Da quell’annuncio, attraverso i secoli, essi vanno rivelando la loro ricchezza nelle opere degli uomini. Libertà e uguaglianza hanno segnato profondamente la storia politica dei popoli arrivando ad esprimere frutti di civiltà e creando le condizioni per la progressiva espressione della dignità della persona umana. La libertà e l’uguaglianza sono diventati principi giuridici e vengono quotidianamente applicati come vere e proprie categorie politiche. Ma l’affermazione esclusiva della libertà, lo sappiamo bene, può trasformarsi nel privilegio del più forte, mentre l’uguaglianza, e la storia lo conferma, può tradursi in collettivismo che massifica. Inoltre, molti popoli, in realtà, ancora non beneficiano dei contenuti della libertà e dell’uguaglianza… Come fare allora perché la loro acquisizione porti frutti maturi? Come rimettere in cammino la storia dei nostri Paesi e quella dell’umanità intera, verso quel destino che le è proprio? Noi crediamo che la chiave stia nella fraternità universale, nel darle il giusto posto tra le categorie politiche fondamentali. Solo l’uno accanto all’altro, i tre principi potranno dar origine ad una politica adeguata alle domande dell’oggi. Raramente come nel tempo presente, il nostro pianeta è stato ed è attraversato dalla sfiducia, dal timore, dal terrore persino: basta ricordare l’11 settembre 2001 e, più vicino a noi, l’11 marzo 2004, senza dimenticare le centinaia di attentati che, in questi ultimi anni, hanno crivellato la nostra cronaca quotidiana. Il terrorismo: una calamità grave almeno quanto le decine di guerre che tuttora insanguinano il nostro pianeta! E quali ne sono le cause? Molteplici. Non si può però non riconoscere che una delle più profonde è lo squilibrio economico e sociale che esiste nel mondo fra Paesi ricchi e Paesi poveri. Squilibrio che genera risentimento, ostilità, vendetta, favorendo in questo modo il fondamentalismo che attecchisce più facilmente in un simile terreno. Ora, se le cose stanno così, perché il terrorismo s’allenti e taccia, non è certo una risposta la guerra, occorre cercare le vie del dialogo, vie politiche e diplomatiche. Ma non basta; occorre suscitare nel mondo più solidarietà fra tutti e una più equa comunione dei beni. Senza contare che ancor più numerosi sono i temi scottanti che interpellano la politica, nella dimensione nazionale come in quella internazionale. Anche nel mondo occidentale lo stesso modello di sviluppo economico è ormai innegabilmente in crisi, crisi che chiede non più solo limitati aggiustamenti, ma un ripensamento globale. La marcia inarrestabile della ricerca scientifica non può avvenire senza provvedere a garantire l’integrità e la salute della specie umana e dell’intero ecosistema. Il riconoscimento della funzione essenziale dei mezzi di comunicazione nel mondo moderno, deve trovare regole certe di fronte alle specifiche esigenze di promozione dei valori e di tutela delle persone, dei gruppi, dei popoli. Un’altra domanda centrale emerge dalla necessità di difendere e valorizzare la ricchezza che viene dalle diverse appartenenze etniche, religiose, culturali, pur nell’orizzonte degli irreversibili processi di globalizzazione in atto. Queste, che appaiono come alcune tra le maggiori sfide poste dall’attualità, reclamano fortemente l’idea e la pratica della fraternità, e, data la vastità del problema, di una fraternità universale. E’ pensiero di grandi anime la fraternità universale. Diceva il Mahatma Gandhi: “La regola d’oro è di essere amici del mondo e considerare ’una’ tutta la famiglia umana” . E, a proposito di quanto era successo l’11 settembre 2001, il Dalai Lama ha scritto: “Per noi le ragioni (degli eventi di questi giorni) sono chiare. (…) Non ci siamo ricordati delle verità umane più basilari. (…) Siamo tutti uno. Questo è un messaggio che la razza umana ha grandemente ignorato. Il dimenticare questa verità è l’unica causa dell’odio e della guerra (…)”. Senza dimenticare il santo svizzero, Nicola da Flüe, profeta e fautore di pace, per realizzare la quale afferma che i conflitti si possono risolvere in maniera proficua solo nel pieno e totale rispetto reciproco; e perciò nella fraternità spinta fino all’obbedienza reciproca. Chi però ha indicato e portato la fraternità, come dono essenziale all’umanità, è stato Gesù, che ha pregato così prima di morire: “Padre, che tutti siano uno” (Gv 17,21). Egli, rivelando che Dio è Padre, ci ha resi tutti fratelli e ha abbattuto le mura che separano gli “uguali” dai “diversi”, gli amici dai nemici. La fraternità, dunque, come ideale da affermare, come ideale di oggi. Ma esistono segni della fraternità nelle attuali vicende dei popoli? Durante gli anni, avendo sperimentato innumerevoli volte, nella mia vita ed in quella degli altri, l’azione provvidenziale di Dio, e avendo potuto conoscere direttamente tanti popoli, ho imparato a scorgere i passi in avanti che segnano il progredire dell’umanità, fino a poter affermare che la sua storia è un lento, ma inarrestabile, cammino verso la fraternità universale. I fatti sono davanti a noi, dobbiamo saperli interpretare. La tensione del mondo verso l’unità non è stata mai così viva e riconoscibile come oggi. Segni ne sono le Unioni di Stati e i processi di integrazione economica e politica che con maggiore intensità si vanno realizzando a livello continentale o per aree geo-politiche; il ruolo degli organismi internazionali, in particolare delle Nazioni Unite, che torna ad essere determinante per conoscere, affrontare e gestire le principali questioni che toccano la vita di popoli e Paesi; lo sviluppo di un dialogo a 360? sempre più diffuso e fecondo fra le più varie persone; la crescita di Movimenti sociali, culturali e religiosi, che si presentano come nuovi protagonisti delle relazioni internazionali e operano verso obiettivi a dimensione mondiale. Per dare al mondo la fraternità che generi un’unità spirituale, garanzia dell’unità politica, economica, sociale, culturale, non mancano poi gli strumenti. Basta saperli individuare. Uno, la cui efficacia non è ancora del tutto scoperta, è quello dell’apparire nel mondo cristiano, dopo i primi decenni del ’900, di decine e decine di Movimenti che, come tante reti collegano i popoli, le culture e le diversità: quasi un segno che il mondo potrebbe diventare una casa delle nazioni perché esso lo è già attraverso queste realtà, pur se ancora a livello di laboratorio. Sono Movimenti effetto non di progettualità umane, ma di carismi dello Spirito di Dio, che conosce meglio di qualsiasi uomo e donna della terra i problemi del nostro pianeta ed è desideroso di concorrere a risolverli. Questi Movimenti, poiché fondati o prevalentemente composti da laici, veicolano un sentito e profondo interesse per il vivere umano con ricadute nel campo civile, cui offrono concrete realizzazioni politiche, economiche, e così via. Sono vari e splendidi questi Movimenti, sorti nella Chiesa cattolica, riformata, anglicana, evangelica, ortodossa, ecc. Una loro particolarità è la presenza in essi di moltissimi giovani, garanzia del futuro, che meno condizionati degli adulti da deludenti esperienze del passato, sanno credere con maggior entusiasmo ad ideali veri ed ai più grandi. Si sono fatti conoscere, questi Movimenti, l’8 maggio scorso a Stoccarda (Germania) in una Giornata riuscitissima, da essi stessi indetta, trasmessa via satellite nel nostro continente ed oltre, dal titolo: “Insieme per l’Europa”. Si sono offerti come contributo a realizzare, accanto all’Europa politica o economica o dell’euro, l’Europa dello spirito, nel cercare di ridare un’anima all’Europa che, oltre tutto, avrebbe così meglio garantita la propria molteplicità e coesione. Per dare un esempio di questi Movimenti vorrei esporre loro le linee principali di quello che meglio conosco perché ad esso legata: il Movimento dei Focolari, il cui obiettivo è proprio l’unità e la fratellanza universale. E’ nato durante la seconda guerra mondiale, sotto i bombardamenti, a Trento, nell’Alta Italia, quando crollavano le case, e con esse progetti di vita – anche i nostri -, le speranze, le sicurezze. Tutto veniva meno, mentre nei cuori di noi, giovani focolarine, si affacciava, con forza mai prima conosciuta, una sola verità: Dio è l’unico Ideale che non crolla; Dio che si rivelava a noi per quello che è: Amore. E, proprio al culmine dell’odio e della divisione, Dio Amore ci ha suggerito che, per amarlo, dovevamo impegnarci ad amarci tra di noi, e a portare poi questo amore a tutti. Amore che da subito si è esteso alla città. E poi, con gli anni, su tutto il pianeta, in 182 nazioni. La chiamata all’unità ci ha fatto preferire i punti della terra dove più forte era la divisione, e sono così venuti sempre più in luce alcuni luoghi specifici di dialogo e di condivisione: prima di tutto all’interno delle singole Chiese, dove il Movimento dà il suo contributo perché ci sia sempre di più “comunione”; tra i cristiani di diverse denominazioni; con i fedeli delle grandi religioni, con numerose esperienze di “dialogo della vita” rispettoso e fecondo, premessa alla pace. E dialogo, infine, intessuto di fattiva collaborazione, anche con quanti non hanno un preciso riferimento religioso. Il Movimento dei Focolari poi, pur essendo primariamente religioso, ha avuto, sin dagli inizi, e poi durante gli anni, un’attenzione particolare per tutti gli ambiti della società, compreso il mondo politico, sino a veder nascere dal suo seno, a Napoli (Italia) nel 1996, il cosiddetto “Movimento politico per l’unità”. Movimento che pure esso sta ora diffondendosi e organizzandosi su tutto il pianeta. Della sua genesi e del suo sviluppo ho potuto parlare più volte, fra il resto, a parlamentari di varie nazioni europee e non solo: a Strasburgo, al Centro Europeo di Madrid e all’ONU. Quale espressione politica del Movimento dei Focolari, questo Movimento ha come scopo quello di aiutare persone e gruppi impegnati in politica, a riscoprire i valori profondi, eterni dell’uomo, a mettere la fraternità a base della loro vita e, solo dopo, muoversi nell’azione politica. Ne consegue che l’agire politico, da amore interpersonale, diventa possibilità di un amore più grande, quello verso la polis. Un amore che, acquisendo la dimensione politica, non perde le sue caratteristiche: il coinvolgimento di tutta la persona, con l’intelligenza e la volontà di arrivare a tutti, l’intuizione e la fantasia per fare il primo passo, il realismo del mettersi nei panni dell’altro, con la capacità di donarsi senza interessi personali e di aprire strade nuove anche quando i limiti umani e i fallimenti sembrano chiuderle. Non si tratta di un nuovo partito, né si vuol confondere religione e politica, come è avvenuto e avviene per gli integralismi di cristiani e anche di non cristiani. Soggetti del Movimento politico per l’unità sono: politici di ogni livello – amministratori, parlamentari, militanti di partito -, di appartenenze partitiche le più varie, che sentono il dovere di agire assieme al vero titolare della sovranità: il cittadino; cittadini, che vogliono fare la loro parte di soggetto politico attivo; in modo speciale poi i giovani che dovunque, come qui in Svizzera, sanno impegnarsi in modo mirabile e appassionato quali studiosi di politologia, ad es., che vogliono offrire il loro contributo di competenza e di ricerca; funzionari della Pubblica Amministrazione, coscienti del proprio ruolo specifico. Ciò che si propone e si testimonia insieme è uno stile di vita che permetta alla politica di raggiungere nel miglior modo il suo fine: il bene comune nell’unità del corpo sociale. Anzi, si vorrebbe proporre a tutti quanti agiscono in politica di formulare quasi un patto di fraternità per il loro Paese, che metta il suo bene al di sopra di ogni interesse parziale, sia esso individuale, di gruppo, di classe o di partito. Perché la fraternità offre possibilità sorprendenti: essa consente di tenere insieme e valorizzare esigenze che rischiano, altrimenti, di svilupparsi in conflitti insanabili. Armonizza, ad esempio, le esperienze delle autonomie locali con il senso della storia comune; consolida la coscienza dell’importanza degli organismi internazionali e di tutti quei processi che tendono a superare le barriere e realizzano importanti tappe verso l’unità della famiglia umana. E’ la fraternità, infatti, che può far fiorire progetti ed azioni nel complesso tessuto politico, economico, culturale e sociale del nostro mondo. E’ la fraternità che fa uscire dall’isolamento e può aprire la porta dello sviluppo ai popoli che ne sono ancora esclusi. E’ la fraternità che indica come risolvere pacificamente i dissidi e che può relegare la guerra ai libri di storia. E’ per la fraternità vissuta che si può sognare e persino sperare in una qualche comunione dei beni fra Paesi ricchi e poveri. Il profondo bisogno di pace che l’umanità oggi esprime, dice che la fraternità non è solo un valore, non è solo un metodo, ma il paradigma globale di sviluppo politico. Ecco perché un mondo che di fatto è sempre più interdipendente ha bisogno di politici, di imprenditori, di intellettuali, di artisti che pongano la fraternità – strumento di unità – al centro del loro agire e del loro pensare. Era il sogno di Martin Luther King che la fraternità diventi l’ordine del giorno di un uomo d’affari e la parola d’ordine dell’uomo di governo. I politici del “Movimento politico per l’unità” vogliono fare di questo sogno una realtà. Ma questo può essere solo se nell’attività politica non si dimentica la dimensione spirituale, o, comunque, la fede nei valori profondi che devono regolare la vita sociale. Ne era convinto, anche qui, Nicola da Flüe che tanto ebbe da fare per la vita politica di questa nazione. Egli era sempre informato di tutto. Nella sua cella una finestra guardava verso l’esterno, agli uomini, ma l’altra verso l’interno, all’altare della cappella. E l’on. Igino Giordani, parlamentare italiano e confondatore del nostro Movimento, oggi dichiarato Servo di Dio, nel suo stile inconfondibile, scriveva: “Quando si varca la soglia di casa per tuffarsi nel mondo, la fede non s’appende come una papalina stinta a un chiodo dietro l’uscio” . Un giorno mi sembrò di comprendere cosa volesse dire la politica come amore. Se dessimo un colore ad ogni attività umana, all’economia, alla sanità, alla comunicazione, all’arte, al lavoro culturale, alla amministrazione della giustizia… la politica non avrebbe un colore, sarebbe lo sfondo, il nero, che fa risaltare tutti gli altri colori. Per questo la politica deve ricercare un rapporto continuo con ogni altro ambito di vita, per porre in questo modo le condizioni affinché la società stessa, con tutte le sue espressioni, possa realizzare fino in fondo il suo disegno. E’ chiaro che in questa continua attenzione al dialogo, la politica ha il dovere di riservare a sé alcuni specifici spazi: dare le priorità in un programma equo, fare degli ultimi i soggetti privilegiati, ricercare sempre e comunque la partecipazione, che vuol dire dialogo, mediazione, responsabilità e concretezza. Per i politici di cui parlo, la scelta dell’impegno politico è un atto di amore, con il quale ognuno risponde ad un’autentica vocazione, ad una chiamata personale. Chi è credente avverte che è Dio stesso a chiamarlo, attraverso le circostanze; il non credente risponde ad una domanda umana, ad un bisogno sociale, ad un problema della sua città, alle sofferenze del suo popolo, che trovano eco nella sua coscienza. E gli uni e gli altri hanno la loro casa nel Movimento politico per l’unità ed è sempre l’amore che entrambi immettono nella loro azione. Quell’amore che è fonte di luce, che fa vedere la possibilità di grandi risultati, che sostituisce quel timore schiacciante – che, spesso presente nel mondo politico, immette paura – col coraggio, con nuovo coraggio. I politici dell’unità, che prendono coscienza che la politica è, nella sua radice, amore, comprendono che anche gli altri, a volte chiamati avversari politici, possono avere compiuto la propria scelta per amore. Prendono coscienza che ogni formazione politica, che ogni opzione politica, possono essere la risposta ad un bisogno sociale e quindi sono necessarie alla composizione del bene comune. Quindi si interessano al destino dell’altro e all’istanza che porta, come alla loro, e la critica si fa costruttiva. Si cerca di praticare l’apparente paradosso di amare il partito altrui come il proprio, perché il bene del Paese ha bisogno dell’opera di tutti. Questo è a grandi linee l’ideale del “Movimento politico per l’unità” ed è questa – mi pare – la politica che vale la pena di essere vissuta, una politica capace di riconosce e servire il disegno della propria comunità, della propria città e nazione, fino all’umanità intera, perché la fraternità è il disegno di Dio sull’intera famiglia umana. E’ questa la vera politica autorevole di cui ogni Paese ha bisogno; il potere, infatti, conferisce la forza, ma è l’amore che dà autorità. E’ questa la politica che costruisce opere che rimarranno. Le generazioni che verranno non saranno grate ai politici per avere detenuto il potere, ma per come lo avranno gestito. Questa è la politica che il “Movimento politico per l’unità” desidera, con l’aiuto di Dio, generare, sostenere. E allora quale il mio augurio per loro, politici della splendida Svizzera? Che questo popolo e in particolare i suoi rappresentanti, ricchi della loro nobile storia di democrazia, trovino nella fraternità il vigore necessario per continuare con efficacia ancora maggiore il loro cammino e per dare un apporto da protagonisti nella storia di unità della famiglia umana. Noi, da parte nostra, ci impegniamo a non lasciarvi soli, mettendo a vostra disposizione il carisma dell’unità offerto dal Cielo per l’umanità intera. Grazie dell’ascolto.

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I Poli imprenditoriali: laboratorio di una nuova economia

La fraternità in politica: per rimettere in cammino la storia verso la pace

ANSA, 4 sett. – La fraternità in politica. “E’ la chiave per rimettere in cammino la storia nei nostri Paesi e dell’umanità”. Così Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari, a Berna, di fronte a 450 politici elvetici e giovani riuniti al Palazzo dei Congressi per riflettere sull’interrogativo: “Fraternità in politica: utopia o necessità?”, promosso da un gruppo di politici elvetici del Movimento politico dell’unità. La fraternità in politica non solo necessaria, ma urgente Sullo sfondo della tragica virulenza del terrorismo, la fraternità, proposta come “categoria politica fondamentale” si è evidenziata non solo necessaria, ma urgente. “Fraternità in politica: non potrebbe essere più attuale di fronte a terrore, morti e violenze”. Lo aveva affermato in apertura del convegno il Cancelliere della Confederazione, la signora Annemarie Huber Hotz. La Svizzera in profonda crisi di trasformazione Fraternità più che mai necessaria anche per la vita stessa della Svizzera, definita dalla Consigliera nazionale Chiara Simoneschi “un po’ speciale”, che non nasce da una comune cultura e lingua, ma dalla volontà di stare insieme. “Il Paese – ha aggiunto – sta ora attraversando una profonda crisi, sottoposta alle sfide della costruzione europea, dei nuovi equilibri geopolitici mondiali, del fenomeno delle migrazioni, della lunga stagnazione economica”. La Simoneschi ha parlato di timori e incertezze, di divisioni e contrapposizioni. Di qui il perché dell’invito a Chiara Lubich.

Un orizzonte ad ampio respiro La fondatrice dei Focolari ha aperto un orizzonte ad ampio respiro. Vivo in lei il dramma del terrorismo: “Perché si allenti e taccia – ha detto con forza – non è certo una risposta la violenza”. Occorre andare “alle cause degli squilibri economici e sociali che generano risentimento, ostilità, vendetta”. “Occorre cercare le vie del dialogo, vie politiche e diplomatiche”. Urge una politica sostanziata di fraternità. Fraternità che ha definito “non solo un valore, né solo un metodo, ma il paradigma globale di sviluppo politico”. Fraternità possibile “solo se non dimentica la dimensione spirituale”, i valori profondi ispirati dall’amore. “Quell’amore che è fonte di luce – ha detto – che fa vedere la possibilità di grandi risultati e che sostituisce quel timore schiacciante che spesso percorre il mondo politico”.

Amare il partito altrui come il proprio Luce che fa vedere “in ogni opzione politica la risposta ad un bisogno sociale e quindi pratica l’apparente paradosso di amare il partito altrui come il proprio, perché il bene del Paese ha bisogno dell’Opera di tutti”. “Dove la critica si fa costruttiva”. Questa “la vera politica autorevole di cui ogni Paese ha bisogno”. La fraternità in politica non solo necessaria, ma possibile E’ seguita una carrellata di voci di politici elvetici e italiani aderenti al Movimento politico dell’unità, nato nel 1996 e diffuso in vari Paesi, che hanno testimoniato che non solo la fratellanza in politica è necessaria, ma è possibile. Nel pomeriggio, vivace il confronto tra politici e giovani.

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I Poli imprenditoriali: laboratorio di una nuova economia

Educarsi ed educare attraverso lo sport

Dopo l’evento olimpico, che ha rappresentato un momento significativo di incontro e di fratellanza fra i popoli in un quadro mondiale segnato da odii e violenze, l’incontro vuole mettere in luce il valore educativo dello sport, soprattutto sulle giovani generazioni.

L’appuntamento assume un particolare significato culturale in relazione al fatto che il 2004 è stato proclamato, dall’Unione Europea, Anno Internazionale dell’Educazione attraverso lo Sport.

Saranno presenti 130 sportivi, operatori e professionisti dello sport, da 10 paesi, con rappresentanti dall’Argentina e dal Brasile.

Sono arrivati al convegno messaggi di saluto e di incoraggiamento da parte della Commissione Europea, dei Comitati Olimpici Italiano e Austriaco, dall’ex-calciatore Gianni Rivera, ora consulente del Comune di Roma per l’attività sportiva.

settembre 2004

Impressiona una richiesta così esigente e radicale. Non è riservata a una categoria particolare di persone come i missionari, i religiosi, che devono essere liberi per andare ovunque ad annunciare il Vangelo. Non è neppure per momenti eccezionali, come potrebbe essere il tempo di persecuzione, quando viene chiesto al discepolo non soltanto di lasciare i beni, ma di donare la vita stessa per rimanere fedele a Dio. Queste parole Gesù le rivolge a tutti. Dunque tutti possiamo rispondere.
Si tratta di una delle condizioni per seguire Gesù, condizione su cui Luca insiste nel Vangelo: “Vendete ciò che avete e datelo in elemosina… Perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore”; “Nessun servo può servire a due padroni… Non potete servire a Dio e a mammona”; “Quant’è difficile, per coloro che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio”.

«Chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo»

Perché Gesù insiste tanto sul distacco dai beni, fino a farne una condizione indispensabile per poterlo seguire?
Perché la prima ricchezza della nostra esistenza, il tesoro vero è Lui! Ecco allora l’invito a mettere da parte tutti quegli idoli – gli “averi” – che possono prendere in noi il posto di Dio.
Egli ci vuole liberi, con l’anima sgombrata da ogni attaccamento e da ogni preoccupazione, così da poterlo amare veramente con tutto il cuore, la mente e le forze. I beni sono necessari per vivere, ma vanno usati col massimo distacco. Tutto dobbiamo essere pronti a spostare, qualora prendesse il primo posto nel nostro cuore. Non c’è spazio, in chi segue Gesù, per la cupidigia, per il compiacimento delle ricchezze, per la ricerca smodata delle comodità e delle sicurezze.
Lui ci chiede di rinunciare agli averi anche perché vuole che ci apriamo agli altri, che accogliamo e amiamo il prossimo come noi stessi: è a suo vantaggio la rinuncia ai propri beni. Non c’è posto, nel discepolo di Gesù, per l’avarizia e la chiusura verso il povero.

«Chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo»

Come vivere allora questa “Parola di vita”?
Il modo più semplice di “rinunciare” è “dare”.
Dare a Dio amandolo, offrendogli la nostra vita perché ne usi come vuole, pronti a fare sempre la sua volontà.
E per dimostrargli quest’amore amiamo i nostri fratelli e sorelle, pronti a giocare tutto per loro. Anche se non ci può sembrare, abbiamo tante ricchezze da mettere in comune: abbiamo affetto nel cuore da dare, cordialità da esternare, gioia da comunicare; abbiamo tempo da mettere a disposizione, preghiere, ricchezze interiori da mettere in comune; abbiamo a volte cose, libri, vestiti, automezzi, soldi… Doniamo senza troppi ragionamenti: “Ma questa cosa mi può servire in tale o tal altra occasione…”. Tutto può essere utile, ma intanto, assecondando questi suggerimenti, si infiltrano nel nostro cuore tanti attaccamenti e si creano sempre nuove esigenze. No, cerchiamo di avere soltanto quello che occorre. Facciamo attenzione a non perdere Gesù per una somma accantonata, per qualche cosa di cui possiamo fare a meno.

«Chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo»

Per un “tutto” che si perde c’è un “tutto” che si trova, inestimabilmente più prezioso. Chi ne guadagnerà, crediamolo, saremo proprio noi, perché al posto del poco o molto che abbiamo donato, avremo in cambio la pienezza della gioia e della comunione con Dio. Diventeremo discepoli veri.
Ché se un bicchiere d’acqua dato avrà la sua ricompensa, quale ricompensa avrà chi dona tutto quanto può per Dio nel fratello e nella sorella?
Lo conferma uno tra i tanti episodi che mi vengono comunicati continuamente da quanti vivono con noi la “Parola di vita”.
Un padre di famiglia di Caracas rimane senza lavoro. Dopo due settimane si ammala gravemente. In quegli stessi giorni subisce il furto della macchina. Per lui e per la sua famiglia è un momento molto difficile. Presto si rendono conto che dovranno lasciare l’appartamento perché non possono più pagare l’affitto.
Nel frattempo un loro amico povero avverte interiormente la spinta a rispondere in modo più totalitario all’amore di Dio e a vivere la Parola sull’esempio dei primi cristiani che mettevano in comune tutto.
La sera stessa, confidando questo suo desiderio alla moglie, decide insieme a lei di cedere parte della loro casa a quella famiglia. La loro povertà non poteva essere un motivo per lasciarli sulla strada. La casa però non è ancora ultimata…
Il giorno dopo arriva, inaspettato, un aiuto economico per portare a termine quello che mancava alla costruzione della casa.

Chiara Lubich

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Nuovi orizzonti dell’Economia di Comunione/2

10 SETTEMBRE

9.00 Saluto iniziale Gisella Calliari e Oreste Basso 9.15 Panel 1 “L’EdC oggi” Introducono e coordinano Lorna Gold e Luca Crivelli Interventi: – “Le Tesi di laurea” – Antonella Ferrucci – “Tredici anni di profitti condivisi” – Carla Bozzani – “Le scuole imprenditori” – Giovanni Mazzanti “Bilancio dell’Economia di Comunione dopo 13 anni” Luigino Bruni 11.00 “Nuovi orizzonti dell’EdC” Chiara Lubich 15.30 Panel 2 “Quale azienda sta nascendo dall’EdC”? – “Verso un’azienda di comunione” – Alberto Ferrucci – “Per una governance di comunione” – Leo Andringa – Esperienze di imprese 17.00 Forum paralleli sulla vita dell’impresa EdC (per aree linguistiche): – Spagnolo – Inglese – Francese – Portoghese – Tedesco – Italiano 11 SETTEMBRE 9.00 Video: Chiara Lubich al Polo Lionello Introduce Tommaso Sorgi 9.15 Panel 3 “I Poli” Introduce e coordina Filipe Coelho Interventi: – Polo Spartaco (San Paolo) – Polo Lionello (Firenze) – Polo Ginetta (Recife) – Polo Solidaridad (Buenos Aires) In dialogo: nascenti poli solidali ispirati all’EdC Conclude Prof. Stefano Zamagni 11.15 Panel 4 “Povertà e sviluppo” Introduce e coordina Cristina Calvo – EdC e indigenti – Quale consumo? (F.Tortorella) – Banko Kabajan (Manila) In dialogo: Gandhigram University (India) 15.30 Panel 5 “Nuovi orizzonti per la riflessione economica” Introduce e coordina Benedetto Gui Interventi di: – Prof.Micheal Noughton (USA) – Prof.Manuela Silva (Portogallo) – Prof.H.C. Parekh (India) – Prof. Bob Goudzwaard (Olanda) – Dr. Rogate Mshana (Ginevra) 17.15 Due Forum in parallelo Forum 2a: Imprese – Coordina Eva Gullo Forum 2b (in inglese): Cultura e teoria economica – coordina Vittorio Pelligra 12 SETTEMBRE 9.00 Video: C. Lubich:“Lancio dell’EdC: maggio 1991” Introduce Pino Quartana 9.30 Panel 6 Tavola Rotonda “Non solo economia: per un umanesimo di comunione” Introduce e coordina Luigino Bruni Interventi:“Per una cultura della comunione” – Giuseppe Zanghì – “Comunione e Ecologia” – Sergio Rondinara – “Comunione e città” – Elena Granata – “Comunione e vita politica” – Pasquale Ferrara 11.30 Dialogo e impressioni dei partecipanti Conclusioni e prospettive future Riascolto del tema di Chiara Lubich Introduce Vera Araujo 12.30 Chiusura dei lavori (altro…)

Nuovi orizzonti dell’Economia di Comunione/1

Nuovi orizzonti dell’Economia di Comunione/1

Mai come in questi ultimi anni si avverte la fragilità e la non sostenibilità dell’attuale sistema economico: dai crak finanziari di grandi imprese alla crisi energetica, tutto dice che l’economia così come l’abbiamo concepita negli ultimi due secoli è gravemente malata. Al tempo stesso, mai come in questi anni la società civile esprime una fioritura di nuove forme di economia sociale: commercio equo, finanza etica, consumo critico. Un fenomeno che fa intravedere la possibilità di una economia e di uno sviluppo sostenibili.

In questo contesto si situa l’Economia di comunione. Il Convegno internazionale che avrà luogo a Castelgandolfo dal 10 al 12 settembre, presenterà un bilancio sui risultati raggiunti dopo oltre un decennio di sperimentazione a livello internazionale, e prospetterà nuovi orizzonti. Il Convegno presenterà le esperienze più significative sulla condivisione dei profitti delle aziende con i poveri; le tesi di laurea, 130, presentate in Università di vari Paesi; i poli imprenditoriali sorti in America Latina e quello nascente in Italia. Sono queste infatti alcune tra le realizzazioni del progetto dell’Economia di comunione lanciato da Chiara Lubich in Brasile nel 1991 per rispondere al grave divario tra ricchi e poveri. Uno dei temi più importanti sarà: “Povertà e sviluppo nella prospettiva della comunione”. La stessa fondatrice dei Focolari affronterà il tema centrale: “Nuovi orizzonti dell’Economia di Comunione”. Un’altra novità che caratterizza il Convegno: il dialogo tra le diverse forme di economia sociale attuate in altri universi culturali. Verranno presentate esperienze di microcredito ispirate all’economia gandhiana, altre esperienze innovative in campo economico, originate dalla cultura indù e jainista. Saranno proposti stili di vita improntati alla sobrietà, tra cui l’esperienza olandese dell’“Economy of enough”. Interverranno in questo dialogo studiosi di economia sociale a livello internazionale, tra cui Michael Noughton e Stefano Zamagni, e altri studiosi e imprenditori di vari continenti e di diverse discipline. “Non solo economia: per un umanesimo di comunione”, questo il titolo dell’ultima sessione del Convegno che inserirà le realizzazioni di questo progetto nel quadro più ampio di un umanesimo di comunione a cui danno il loro apporto studiosi di altri ambiti tra cui ecologia, politica e urbanistica.   (altro…)

I Poli imprenditoriali: laboratorio di una nuova economia

La fraternità in politica: utopia o necessità?

In un’epoca contrassegnata dalla frammentazione provocata da una crescente polarizzazione a tutti i livelli dell’amministrazione federale, e dalla diffusa visione della politica come lotta di potere tra partiti, il Convegno di Berna che si svolgerà al Centro Congressi della BEA (Bern-expo) sabato 4 settembre 2004, proporrà una rilettura dei principi dell’agire politico alla luce di un’idea-guida innovativa: la fraternità universale. Questa iniziativa vuole offrire ai politici svizzeri nuovi stimoli per il loro impegno e favorire il dialogo tra politici e giovani.

Il tema principale: “La fraternità in politica: utopia o necessità” è stato affidato a Chiara Lubich che nel 1996, a Napoli, ha dato il via al Movimento politico dell’unità, poi diffuso in vari Paesi. La fondatrice dei Focolari ha già affrontato l’impegnativo argomento in varie sedi politiche in ambito internazionale, tra cui: Londra, Madrid, Bratislava, Brasilia. Aprirà l’incontro il Cancelliere federale, Annemarie Huber-Hotz. Presenterà Chiara Lubich il Consigliere nazionale del Ticino, Chiara Simoneschi-Cortesi. Seguirà un dialogo tra i partecipanti e politici di vari Paesi che hanno già iniziato a sperimentare sul campo questa nuova proposta. Nel pomeriggio verrà dato particolare spazio ai giovani. L’appuntamento di Berna fa seguito al Convegno svolto nel marzo 2003 a Martigny, nel Vallese, a cui avevano partecipato 250 persone impegnate in politica a vari livelli. Di qui nasce il progetto di questo nuovo appuntamento a cui hanno già confermato la loro partecipazione deputati, membri dei parlamenti cantonali, sindaci e numerosi giovani. L’iniziativa è stata promossa da: W. Donzé, Consigliere Nazionale (Frutigen, Berna), dai sindaci elvetici: M. Schwery di St. Léonard (Vallese), R. Lurati di Canobbio (Ticino), M. Wenger di Schaffhausen, S. Pont di Mollens (Vallese), M. Weber, vicesindaco di Oberägeri (Zugo), dal Presidente e dalla delegata del Parlamento dei giovani del Vallese*, Laurent Mösching e Krystel Bovy. * Il Parlamento dei Giovani del Vallese è stato creato nel 1995. Iniziative simili sono in atto anche negli altri cantoni svizzeri. E’ aperto a giovani che sono domiciliati o studiano nel Vallese, sia Svizzeri che stranieri. Nei vari incontri vengono affrontati temi di attualità che toccano la politica regionale, nazionale o internazionale. (altro…)

La fraternità in politica: utopia o necessità?

PROGRAMMA

MATTINA 10,00 Inizio trasmissione di TELEPACE e internetBenvenuto Stéphane Pont, sindaco di Mollens Messaggio del Cancelliere della Confederazione Annemarie Huber-Hotz 10,15 Storia del Congresso Charlotte Schaedler, delegata di Umanità Nuova 10,30 Presentazione di Chiara Lubich Chiara Simoneschi-Cortesi, Consigliere nazionale del Ticino 10,40 “La Fraternità in politica: utopia o necessità?” Chiara Lubich 11,15 Dialogo con la sala (impressioni, domande-risposte) 11,45 Il Movimento politico per l’unità Lucia Fronza Crepaz 11,20 Intermezzo musicale 11,50 Interviste a persone impegnate in politica tra cui: Giuseppe Gambale – deputato al Parlamento italiano Laurent Mösching e Krystel Bovy – Parlamento dei giovani del Vallese Stéphane Pont, sindaco di Mollens Alberto Pacher, sindaco di Trento ecc. 12,20 Conclusione Michel Schwéry, sindaco di St-Léonard 12,30 Fine DIRETTA POMERIGGIO 13,45 Dialogo tra i politici e i giovani 15,30 Conclusione (altro…)

Ti voglio bene, anche quando…

Lavoro come psicologa in un’agenzia internazionale. Sto per partire per un nuovo incarico, le valigie sono pronte, il biglietto confermato. Arriva una visita inattesa: è un amico di infanzia, un chirurgo molto conosciuto, di passaggio nella nostra città, venuto a salutarci. Approfittando della sua presenza, gli chiedo di controllare una cisti al seno che ogni tanto mi fa male. Mi esamina e … sembra passare un’eternità. Poi mi guarda. Il suo sguardo è serio e attento. Gli chiedo: “Sto per morire?”. Sorride, poi mi spiega che la cisti è grande e che devo fare immediatamente la biopsia, poi l’intervento per asportarla. Mormoro un grazie. In me si è scatenato un grande subbuglio. Quegli interrogativi che si affollano Rientrata in camera guardo i bagagli: non si parte più. Sento come una lama di coltello attraversarmi e nella mente mille interrogativi: le mie bambine, come sarebbero cresciute senza di me? Mio marito si sarebbe risposato? Provo paura e confusione. Prendo il telefono, in cerca di una persona che condivide con me la fede nell’amore di Dio: lei piange con me e mi ricorda che questo è proprio il tempo di credere che Dio ci è Padre e non abbandona i suoi figli. Le sue parole subito mi portano in un’altra dimensione. Ritorna la calma. Capisco che devo rispondere a questo amore, devo essere la prima ad amare, la prima ad accettare questa sofferenza ed essere coraggiosa per amore di quelli che mi amano. Sono pronta ad andare in ospedale. Riesco a cantare entrando in sala operatoria Capisco ora perché i primi cristiani cantavano quando andavano verso i leoni: non avevano paura perché sentivano Dio con loro; così anch’io ho cantato mentre entravo nella sala operatoria. In ospedale tocco con mano il Suo amore: trovo subito una stanza, scopro che il chirurgo è un amico di mio marito, ricevo un trattamento pieno di attenzioni, ricevo visite, fiori e amore da parte di tutti. Ho il sostegno delle preghiera di tanti. Tornata a casa, questa gara d’amore è continuata. Non potendo più lavorare, l’economia della famiglia è drasticamente ridotta, tuttavia non manca nulla: il Padre si è preso cura di noi! La sofferenza in dono d’amore Da parte mia devo solo fare la Sua volontà e questo è semplice da dire, ma non sempre da fare. Abituata a una vita attiva, sento il peso di rimanere a casa tutto il giorno spesso sola, e di tutti gli effetti della chemioterapia. Essendo una psicologa, so che essere ammalati gravemente comporta una crisi grave di tutta la persona: influenza il fisico, la psiche, l’anima. Però l’amore del Padre per me in questo periodo è così forte che non posso non rispondere a Lui: «Ti voglio bene, Signore, quando al mattino gli esercizi per il mio braccio destro sono troppo dolorosi. Ti voglio bene quando il cibo sembra diventato di gomma. Ti voglio bene quando per alzarmi devo chiedere aiuto. Ti voglio bene quando la nausea mi assale. Ti voglio bene quando i capelli cadono a ciocche. Ti voglio bene quando il pensiero della morte mi invade». L’arte di ricominciare sempre Molte volte non riesco ad amarLo, molte volte sono insofferente con gli altri, ma, quando il giorno dopo mi sveglio, chiedo perdono e ricomincio di nuovo. Mi è stata offerta la più grande lezione di vita che mi fa diventare una persona paziente, che perdona, che ha la temperanza, la fortezza. Imparo a pregare gettando ogni preoccupazione per la mia famiglia, la salute, nel cuore del Padre. Mi sento più vicina a Maria, ai piedi della croce, che non ha mai cessato di credere all’amore. Ho visto molti frutti lungo il cammino. Può sembrare assurdo, ma ci sono dei momenti in cui ringrazio Dio per questa mia malattia. (Tratto da Quando Dio interviene. Esperienze da tutto il mondo, a cura di Doriana Zamboni, Città Nuova 2004)

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agosto 2004

Più volte Gesù ha paragonato il Paradiso ad una festa di nozze, ad una riunione di famiglia attorno alla tavola. Nella nostra esperienza umana sono questi infatti i momenti più belli e sereni. Ma quanti entreranno in Paradiso, quanti prenderanno posto nella “sala del convito”?
È la domanda che un tale rivolge un giorno a Gesù: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?”. Gesù, come ha fatto altre volte, va al di là della discussione e mette ognuno davanti alla decisione che deve prendere. Lo invita ad entrare nella casa di Dio.
Ma ciò non è facile. La porta per entrare è stretta e resta aperta per poco tempo. Per seguire Gesù è necessario infatti rinnegarsi, rinunciare, almeno spiritualmente, a se stessi, alle cose, alle persone. Addirittura occorre portare la croce come Lui ha fatto. Una via difficile, è vero, ma che tutti, con la sua grazia, possiamo percorrere.

«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno»

È più facile imboccare “la porta larga e la via spaziosa”, di cui parla altrove Gesù, ma essa può condurre alla “perdizione”. Nel nostro mondo secolarizzato, saturo di materialismo, di consumismo, di edonismo, di vanità, di violenza tutto sembra consentito. Si tende a soddisfare ogni esigenza, a cedere a ogni compromesso pur di raggiungere la felicità.
Ma noi sappiamo che la vera felicità si ottiene amando e che la rinuncia è la condizione necessaria all’amore. Occorre esser potati per dare buoni frutti. Occorre morire a se stessi per vivere. È la legge di Gesù, un suo paradosso. La mentalità corrente ci investe come un fiume in piena e noi dobbiamo camminare controcorrente: saper rinunciare, ad esempio, alla bramosia del possedere, all’antagonismo per partito preso, alla denigrazione dell’avversario; ma anche compiere con onestà il proprio lavoro, e con generosità, senza ledere gli interessi altrui; saper discernere ciò che si può vedere alla televisione o ciò che si può leggere, ecc.

«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno»

Per chi si lascia andare ad una vita facile e non ha il coraggio di affrontare il cammino proposto da Gesù, si apre un futuro triste. C’è anche questo nel Vangelo. Gesù ci parla del dolore di quelli che saranno lasciati fuori. Non basterà vantare la propria appartenenza religiosa o accontentarsi di un cristianesimo di tradizione. Inutile dire: “Abbiamo mangiato in tua presenza…”. La salvezza non è un dato scontato per nessuno.
Sarà duro sentirsi dire: “Non vi conosco, non so di dove siete”. Sarà solitudine, disperazione, assoluta mancanza di rapporto, il rammarico bruciante di aver avuto la possibilità di amare e di non poter più amare. Un tormento di cui non si vede la fine perché non avrà mai fine: “pianto e stridore di denti”.
Gesù ci avverte perché vuole il nostro bene. Non è Lui che chiude la porta, semmai saremo noi a chiuderci al suo amore. Lui rispetta la nostra libertà.

«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno»

Se la porta larga conduce alla perdizione, quella stretta si spalanca sulla vera felicità. Dopo ogni inverno spunta la primavera. Sì, dobbiamo vivere con prontezza la rinuncia che il Vangelo richiede, portare ogni giorno la propria croce. Se sapremo soffrire con amore, in unità con Gesù che ha assunto ogni nostro dolore, sperimenteremo un paradiso anticipato.
È stato così anche per Roberto quando è andato all’ultima udienza del processo contro chi, quattro anni prima, aveva causato la morte del papà. Dopo la sentenza di condanna, l’investitore, insieme alla moglie e al padre, appariva molto depresso. “Avrei voluto avvicinarmi a quell’uomo, vincendo l’orgoglio che mi diceva di no; fargli sentire che gli ero vicino”.
Ma la sorella gli dice: “Sono loro che devono scusarsi con noi…”. Roberto la convince e insieme vanno dalla famiglia “avversaria”: “Se questo può alleggerirvi l’animo, sappiate che non nutriamo nessun rancore nei vostri riguardi”. Si stringono la mano con forza. “Mi sento pervadere dalla felicità: ho saputo cogliere l’occasione per guardare al dolore dell’altro dimenticando il mio”.

Chiara Lubich

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I Poli imprenditoriali: laboratorio di una nuova economia

Il mistero d’amore

«E’ da poco iniziato il processo per la possibile beatificazione di Igino Giordani, che noi chiamavamo Foco, per il fuoco dell’amore che viveva in lui. Mi sono chiesta: ha pensato Foco nella sua vita a farsi santo? Che idea aveva della santità?

Ho consultato, allo scopo, alcune documentazioni ed ho scoperto un Foco nuovo in certo modo anche per me. Egli non solo ha meditato qualche volta sulla santità, ma è stato immerso nel tentativo quotidiano di farsi santo. Come? Iniziando con l’impersonare quel tipo di santo che egli definisce così: “Un cristiano con la spina dorsale”, frutto perciò di un’ascesi personale quotidiana. E’ una storia meravigliosa la sua. Nel 1941, sette anni prima che incontrasse il Focolare, nel Diario di fuoco, un suo libro che iniziava a scrivere, leggiamo: “Infine, quel che conta è una cosa sola: farsi santi”. Nel 1946, chiamato a candidarsi alle elezioni politiche, perplesso alquanto, si poneva questo interrogativo: “Può un uomo politico farsi santo?” Non conosceva una risposta precisa al suo anelito: farsi santo. Quando nel 1948 incontrò il Movimento, rimase, come egli disse, folgorato, sconvolto, trasformato. Perché? Per più motivi, ma anche perché la sua spiritualità fino allora era stata prevalentemente individualista. Da quel momento invece gli si era aperto un cammino di santità collettiva. Definiva il nostro come “un Movimento che ci induce a fare la scalata a Dio in unione, in cordata… Il fratello vale come ianua coeli…”, la porta del cielo. E scrive: “Dio scende in me per il tramite del pane (eucaristico); io salgo a Lui per il tramite del fratello”. Immerso nella spiritualità comunitaria, in un colloquio intimo con Gesù, lo ringrazia così: “Il tuo amore mi ha scoperto i fratelli (…); me ne ha fatto il viatico per salire sempre di terra in cielo”. E’ poi suo quello che chiamerà il “mistero d’amore”: (…) “Dio, il Fratello, Io”. Nel 1955, in mezzo alle prove che non mancano mai a nessuno, va acquistando una certa familiarità con la Santissima Trinità, ed anche qui il bisogno di santificarsi si fa evidente. “Questi passi – scrive -, affaticati (…) sono la marcia di ritorno alla casa tua, o Padre; (…) tutte queste pene, si fanno gocce di sangue, del tuo Sangue, o Figlio; (…) e questo bisogno di santificarsi è partecipazione dei tuoi doni, o Spirito Santo”. Da particolari episodi della sua vita si capisce come lo Spirito Santo, in questa sua tensione alla santità, lo abbia pian pianino introdotto nella vita mistica. Percorre poi un cammino di distacco progressivo da ogni cosa, ma lo vede come la possibilità di santificarsi nell’unione con Dio: “Osservando – scrive – con pena questa caduta di fronde (illusioni di fama, di potere, amicizie), dall’albero della mia vita, (…) mi sono ancora meglio accorto (…) che ho un più intenso convegno amoroso con Dio: l’anima trova tempo (…) per intrattenersi con lo Sposo (…), per convivere con gli angeli e con i beati (…). Ora, via via l’unione si fa costante. Imparo e preparo la vita del Paradiso”. A proposito di vivere Gesù al posto del proprio io (è stato questo un suo desiderio costante), scrive nel ’63: “Parmi oggi d’aver (…) compiuto il trasloco; il trasloco del mio essere: dall’Io a Dio”. E “sente” l’unione con Dio: “Ecco – dice – l’immensità di Lui (…), io la sento nell’intimo della mia anima (…). Mi rivolgo all’interno e L’ascolto. Lo vivo. Si stabilisce, nel fondo dell’essere, un colloquio con l’Eterno: Dio in me”. E l’anno dopo incalza: “Ora sento che si vola (…)”. Due anni prima della partenza per il Cielo, conferma: “Sento d’aver trovato l’accesso libero per andare a Lui. Ora sono in terra e abito in cielo (…) Sono di Dio. Non mi serve altro”. Queste le poche frasi di Foco che ho potuto riportare sul suo anelito alla santità. Che dire? E che cosa dice Foco a noi, ancora pellegrini su questa terra? “Ora tocca a voi”. Percorriamo allora questo viaggio con amore. Facciamoci santi, imitando Foco soprattutto nel suo “mistero d’amore”: “Io, il fratello, Dio”. Amiamo il fratello, ogni fratello pronti a morire per lui. Sarà anche per noi la porta del Cielo». Chiara Lubich (altro…)

Roma, Stazione Termini: il coraggio di rischiare la vita

Un giorno mi reco a Roma per un controllo medico specialistico. Scesa alla Stazione Termini vengo urtata da un giovane extracomunitario, inseguito da tre uomini: “E’ un ladro, fermatelo!”. La folla lo ferma, facendolo cadere per terra. Gli inseguitori lo insultano, riempendolo di percosse e di calci allo stomaco. Vedendo quello spettacolo brutale penso un attimo alla mia situazione di ipertesa grave, ma subito capisco che in quel momento la vita di quel ragazzo era più importante della mia stessa vita. Non potevo lasciar spazio alla mentalità comune e far finta di niente. La coerenza con il Vangelo chiedeva qualcosa di più. Mi precipito di corsa, spiazzando tutti e dando colpi a destra e a manca con la mia borsa; mi getto su di lui facendogli da scudo. Il giovane gridava forte di salvarlo dagli aggressori, i quali, vedendo il mio atteggiamento, decidono di fermarsi. “Non vi vergognate a trattarlo in questo modo? Cosa ha fatto di tanto grave per essere trattato così?”. “Mi ha rubato il portafoglio!”, risponde uno di loro. Il ragazzo – aveva 16 anni – mi dice di aver rubato per comprare un po’ di pane per sopravvivere, visto che da due giorni non toccava cibo e dormiva sotto i ponti. Nel frattempo arrivano i carabinieri, e il ragazzo inizia a spiegare: era fuggito dal suo Paese da circa due anni. La sua famiglia era stata distrutta e lui solo era riuscito a salvarsi nascondendosi sotto una balla di paglia. Aveva poi raggiunto l’Italia dove degli amici gli avevano raccontato che c’era tanto benessere. Con i carabinieri lo portiamo in ospedale. Durante il trasporto mi stringe forte la mano e mi dice: “Mamma, tu mi hai salvato la vita. Tu sei la mia mamma italiana”. Al Pronto Soccorso arriva la diagnosi: trauma cranico e lesioni a tre costole. Dopo un po’ una suora ci dice che doveva essere ricoverato, ma che era sprovvisto del vestiario per la degenza. Vado a comprare il necessario, così possiamo portare il ragazzo in corsia. Mentre lo accudisco, i carabinieri e le suore stilano il referto medico, chiedendomi se fossi una sua parente. Rispondo di no. Vedo negli occhi dei presenti perplessità ed emozione. “Perché ha fatto tutto questo?”, mi chiedono. Rispondo che ogni giorno cerco di amare il fratello cercando di vedere in lui il volto di Gesù, e di non voltarmi indietro nelle situazioni più scomode. La suora, con gli occhi rossi, mi dice che le avevo dato una bella lezione d’amore, perché solo chi vive il Vangelo può fare questo, e mi incoraggia ad andare avanti su questa strada. Prima di andare via provo a lasciare una certa somma, quella di cui disponevo, per la visita specialistica e per i bisogni del ragazzo. Ma la suora mi dice di non preoccuparmi per lui: “Lei gli ha già salvato la vita, ora io mi prenderò cura di lui”. Anche i carabinieri mi ringraziano del gesto, dicendo che avevo rischiato molto. La giustizia ha fatto il suo corso; so, però, che oggi questo ragazzo vive in una comunità cattolica come custode, raccomandato dalla suora dell’ospedale. (M.T. – Italia, tratto da Quando Dio interviene, Esperienze da tutto il mondo, Città Nuova, Roma 2004)

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Vivere nell’amore per morire nell’amore

Vivere nell’amore per morire nell’amore

Vincenzo, quarto degli otto figli della famiglia Folonari, era un bambino vivacissimo: a scuola faceva dispetti, chiacchierava invece di ascoltare, talvolta l’insegnante lo puniva; poi, dal giorno della sua prima Comunione, di colpo cambiò radicalmente. Un giorno a tavola Vincenzo domandò ai fratelli: “A che età ti piacerebbe morire?” “A me da giovane…”, “A me a 100 anni…”. E lui: “A me a 33 anni, come Gesù”.

Un ideale per cui vivere Qualche anno dopo, nell’estate del 1951, Vincenzo e due sorelle, finita la scuola, andarono in vacanza in montagna. Chiara Lubich si trovava in quel periodo a Tonadico sulle Dolomiti. Era diventato ormai consuetudine, per gli aderenti al Movimento dei Focolari nascente, quell’appuntamento sui monti trentini, che prese poi il nome di Mariapoli. I giovani Folonari, che già avevano conosciuto il Movimento a Brescia, loro città natale, ottennero il consenso dei genitori di passare le vacanze lì vicino, a S. Martino di Castrozza. Non mancarono di fare frequenti puntate a Tonadico; erano in gruppi diversi e non si vedevano durante il giorno. La prima sera, al ritorno in pullman, Vincenzo era sconvolto e felice: “Bellissimo, bellissimo!” – diceva. Era come se avesse trovato qualcosa che lo saziava profondamente, l’ideale per cui vivere. “Non tu hai eletto Dio, ma è Dio che ha eletto te” Alcuni mesi dopo, Vincenzo si trasferì a Roma, per iscriversi all’Università; si mise subito in contatto col focolare. Alla vigilia di Pentecoste andò a piedi al santuario della Madonna del Divino Amore per chiedere un segno esterno che gli facesse capire la sua vocazione. Il giorno dopo, quando Chiara lo incontrò, gli ricordò una frase di Gesù: “Non voi avete eletto Me, ma Io ho eletto voi!”. Da allora tutti lo chiamarono Eletto.

In una lettera a Chiara, Eletto scrisse: “Ho scelto Dio per sempre e solo Lui! Nessunissima altra cosa!” Le comunicò di voler dare al Movimento dei Focolari tutti i beni avuti in eredità – tra cui gli 80 ettari su cui oggi sorge la cittadella di Loppiano – aggiungendo: “Non ne avevo nessun merito per possederli perché ricevuti gratis”.

Una vita per donare l’Ideale dell’Unità ai ragazzi Una delle caratteristiche di Eletto era il suo rapporto con i bambini ed i ragazzi del Movimento che Chiara gli aveva affidato. Alle Mariapoli di Fiera di Primiero era sempre circondato da loro. Con loro faceva passeggiate, organizzava commedie…. Parlando con la sorella Virgo, che a sua volta aveva affidate le ragazze, era solito dirle: “Ma t’immagini se questo Ideale dell’unità prendesse tutti i ragazzi, tutti i giovani… che cosa ne verrebbe fuori!”. Quel sorriso tra le onde del lago Quel 12 luglio 1964 era domenica; c’era con lui uno di questi ragazzi, Gabriele, ed Eletto lo invitò a fare una gita. Andarono al lago di Bracciano. Faceva molto caldo e decisero di fare un giro in barca. A circa 200 metri dalla riva Eletto – sportivo e nuotatore – si calò in acqua tenendosi con entrambe le mani. “E’ molto fredda” – disse a Gabriele – e diventò molto pallido. Il lago era agitato e un’onda staccò prima una e subito dopo l’altra mano dal bordo della barca, che, non più trattenuta dal peso di Eletto, si allontanò improvvisamente di diversi metri. Eletto gridò subito a Gabriele: “Vieni qui, vieni qui, avvicinati”, ma Gabriele, che non sapeva né remare né nuotare, non riusciva ad avvicinarsi; anzi, per la forte corrente, la barca si allontanava sempre di più. “Oramai vedevo a malapena il suo volto affiorare tra le onde, lo chiamavo, chiamavo aiuto, gli ho gridato che non riuscivo a raggiungerlo” – racconta Gabriele. E continua: “Mi ha gridato: ‘Vado a riva… vado a riva’, poi si è voltato, l’ho visto ancora per qualche secondo: il suo volto era illuminato da un sorriso radioso”. Poi scomparve, inghiottito dal lago. Il suo corpo non fu più ritrovato; la sua “tomba azzurra” è il lago di Bracciano.

Vivere nell’amore per morire nell’amore Chiara, il 19 luglio, scriveva: “Eletto era così buono, così umile che apparteneva più a Dio che a noi ed Egli, forse per questo, se lo è preso. Ora è con Gesù che ha amato, con Maria e con i nostri che sono in Paradiso e, da ultimo che si sentiva, è diventato il primo. Dio mio, che abisso questa vita e questa morte che ognuno di noi deve affrontare! Dacci di vivere nell’amore per poter morire nell’amore. Eletto ha fatto – come ultimo atto – un atto d’amore. Vuol dire che c’era abituato, perché altrimenti, in quei momenti, non si può pensare che a sé. Eletto nostro, prega in cielo ora per noi che preghiamo per te. Siamo certi che Dio, amandoti, ti ha colto nel momento buono. Tu Lo hai amato nella tua vita; non avevi che Lui e Maria. Sei giunto dove pur noi dobbiamo venire. Facci la strada, Eletto, e preparaci il posto (…). Ora tu che vedi quello che vale, come del resto t’eri abituato quaggiù, aiutaci a non andar fuori strada, a mantenerci nella carità come tu hai fatto”.

Il Movimento GEN La sua morte così improvvisa lasciò nello sgomento non solo gli adulti, ma anche i bambini e i ragazzi che lui seguiva. “Anche loro hanno avuto la loro prova – ha scritto Chiara – tremenda ed irrimediabile. Speriamo che su questo dolore nasca qualcosa per loro, nel seno del Movimento, per la gloria di Dio, a bellezza della Chiesa. Nulla di meglio del resto Eletto avrebbe desiderato”. Pochi anni dopo, nacque il Movimento Gen, che conta ora migliaia di giovani, ragazzi e bambini, di tutto il mondo. Il ricordo a Trevignano Il 12 luglio, a 40 anni dalla “partenza” di Eletto, saranno in molti a ricordarlo a Trevignano, sul lago di Bracciano (Roma). L’incontro inizierà alle ore 11.00, con la S. Messa nella chiesa di S. Maria Assunta, che sovrasta la cittadina. La conclusione è prevista per le ore 17. Per maggiori informazioni: tel.: 06/94315300; 06/9412419 (altro…)

luglio 2004

I discepoli vedevano come Gesù pregava. Erano colpiti soprattutto dal modo caratteristico con cui si rivolgeva a Dio: lo chiamava “Padre”. Altri prima di lui avevano chiamato Dio con questo stesso nome, ma quella parola, sulla bocca di Gesù, parlava di una intima reciproca conoscenza tra lui e il Padre, nuova e unica, di un amore e di una vita che li legava entrambi in una incomparabile unità.
I discepoli avrebbero voluto sperimentare quello stesso rapporto con Dio, così vivo e profondo che vedevano nel loro Maestro. Volevano pregare come lui pregava; per questo gli chiesero:

«Signore, insegnaci a pregare»

Gesù più volte aveva parlato ai suoi discepoli del Padre, ma ora, rispondendo alla loro domanda, ci rivela che il Padre suo è anche Padre nostro: anche noi, come lui, tramite lo Spirito Santo, possiamo chiamarlo “Padre”.
Egli, insegnandoci a dire “Padre”, rivela a noi stessi che siamo figli di Dio e ci fa prendere coscienza che siamo fratelli e sorelle tra di noi. Fratello accanto a noi, ci introduce nel suo stesso rapporto con Dio, orienta la nostra vita verso Lui, ci introduce nel seno della Trinità, ci fa diventare sempre più uno tra di noi.

«Signore, insegnaci a pregare»

Gesù insegna non soltanto a rivolgersi al Padre, ma anche cosa domandargli.
Che sia santificato il suo nome e venga il suo regno: che Dio si lasci conoscere e amare da noi e da tutti; che entri in modo definitivo nella nostra storia e prenda possesso di ciò che già gli appartiene; che si realizzi pienamente il suo disegno d’amore sull’umanità. Gesù ci insegna così ad avere i suoi stessi sentimenti, uniformando la nostra volontà su quella di Dio.
Ci insegna ancora ad aver fiducia nel Padre. A Lui, che nutre gli uccelli del cielo, possiamo chiedere il pane quotidiano; a Lui, che accoglie a braccia aperte il figlio smarrito, possiamo domandare il perdono dei peccati; a Lui, che conta anche i capelli del nostro capo, possiamo chiedere che ci difenda da ogni tentazione.
Ecco le domande a cui Dio certamente risponde. Possiamo rivolgerle con parole diverse – scrive Agostino di Ippona – ma non possiamo domandare cose diverse.

«Signore, insegnaci a pregare»

Ricordo quando anche a me il Signore ha fatto capire, in modo nuovissimo, che avevo un Padre. Avevo 23 anni. Facevo ancora scuola. Un sacerdote di passaggio chiede di dirmi una parola: mi domanda di offrire un’ora della mia giornata per le sue intenzioni. Rispondo: “Perché non tutta la giornata?” Colpito da questa generosità giovanile, mi dice: “Si ricordi che Dio la ama immensamente”. È la folgore. “Dio mi ama immensamente”. “Dio mi ama immensamente”. Lo dico, lo ripeto alle mie compagne: “Dio ti ama immensamente. Dio ci ama immensamente.”
Da quel momento scorgo Dio presente dappertutto col suo amore. C’è sempre. E mi spiega. Che cosa mi spiega? Che tutto è amore: ciò che sono e ciò che mi succede; ciò che siamo e ciò che ci riguarda; che sono figlia sua ed Egli mi è Padre.
Da quel momento anche la mia preghiera cambia; non è più un essere rivolta a Gesù, quanto un mettermi a fianco a Lui, Fratello nostro, rivolta verso il Padre. Quando lo prego con le parole che Gesù ci ha insegnato, sento di non essere sola a lavorare per il suo Regno: siamo in due, l’Onnipotente ed io. Lo riconosco Padre anche a nome di quanti non lo sanno tale, chiedo che la sua santità avvolga e penetri la terra intera, domando il pane per tutti, il perdono e la liberazione dal male per tutti quelli che sono nella prova.

Quando avvenimenti mi allarmano o mi turbano, getto ogni mia ansietà nel Padre, sicura che Lui ci pensa. E posso testimoniare che non ricordo alcuna preoccupazione messa nel suo cuore della quale Egli non si sia preso cura. Il Padre, se noi crediamo al suo amore, interviene sempre, nelle piccole e nelle grandi cose.
In questo mese cerchiamo di recitare il “Padre Nostro”, la preghiera che Gesù ci ha insegnato, con una nuova consapevolezza: Dio ci è Padre e ha cura di noi. Recitiamola a nome di tutta l’umanità, rinsaldando la fratellanza universale. Che sia la nostra preghiera per eccellenza, sapendo che con essa chiediamo a Dio quello che più gli sta a cuore. Egli esaudirà ogni nostra richiesta e ci colmerà dei suoi doni. Fatti così liberi da ogni preoccupazione, potremo correre nella via dell’amore.

Chiara Lubich

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Dal dialogo tra le religioni, una strategia di fraternità per un mondo nuovo

Dal dialogo tra le religioni, una strategia di fraternità per un mondo nuovo

“Quale futuro per una società multietnica, multi culturale e multireligiosa?” E’ un interrogativo sempre più diffuso, particolarmente vivo nella società inglese, la più cosmopolita d’Europa, quello affrontato da Chiara Lubich alla Westminster Central Hall, sabato pomeriggio, 19 giugno, davanti a oltre 2000 persone, tra cui il cardinale Murphy O’ Connor, arcivescovo di Londra, personalità musulmane, buddiste e sikh. Titolo dell’incontro, promosso dal Movimento dei Focolari della Gran Bretagna: “Immagina un mondo… arricchito dalla diversità”.

Una strategia di fraternità per una svolta nei rapporti internazionali Mentre molti parlano della minaccia di scontro di civiltà provocata dal terrorismo, la fondatrice dei Focolari ne ha indicato il rimedio preventivo nel dialogo interreligioso. Non solo. Da questo dialogo – ha detto – può prendere il via quella “strategia della fraternità, capace di segnare una svolta nei rapporti internazionali”.  

Dalla società multi etnica e multi religiosa può nascere un mondo nuovo Facendo un parallelo tra il nostro tempo di così profonde trasformazioni, con quello di S. Agostino di Ippona, che aveva visto lo sconvolgimento della società, sotto la pressione delle migrazioni dei popoli, con lui Chiara Lubich ha affermato che ciò che sta avvenendo è “la nascita di un mondo nuovo”. Il mondo nuovo del terzo millennio, per Chiara Lubich sarà l’unità della famiglia umana, arricchita dalle diversità, secondo il disegno di Dio. In bozzetto lo si è intravisto dal fitto intrecciarsi di testimonianze, di canti e danze dai colori e ritmi orientali e africani, dagli interventi di rappresentanti di varie religioni, come quello dell’Imam iraniano, Mohammed Somali, e della signora Didi Athavale, leader del grande movimento indù “Swadyaya family”.

Come attuare il dialogo tra le religioni? Il dialogo deve essere animato da quell’amore – ha affermato Chiara Lubich – che giunge ad “entrare nella pelle dell’altro”, perché sa farsi “nulla d’amore” davanti all’altro, sa farsi quello spazio di accoglienza e ascolto che prepara “il rispettoso annuncio del Vangelo”. Qui la fondatrice dei Focolari ha ricordato le parole pronunciate da Giovanni Paolo II in India: “Quando ci apriamo l’uno all’altro, ci apriamo anche a Dio e facciamo in modo che Dio sia presente in mezzo a noi”. In Lui è “la forza segreta che dà vigore e successo ai nostri sforzi, per portare dovunque l’unità e la fratellanza universale.”  

Una visione condivisa da leader di varie religioni e politici E’ quanto hanno espresso il leader degli Imam del Regno Unito, il dott. Zaki Badawi, il capo spirituale dei Sikh della Gran Bretagna e d’Europa, Bai Shaib Mohinder Singh di Birmigham, intervenuti subito dopo Chiara Lubich insieme alla baronessa Kathleen Richardson della Camera dei Lord, che ha ricordato come “subito dopo la guerra, l’assemblea dell’Onu si era riunita per la prima assemblea plenaria proprio in quest’aula. La visione espressa oggi – ha aggiunto – è ancora più ricca, perché non è costruita solo sull’aspirazione degli uomini, ma dalla partecipazione dell’amore di Dio”.

Le nuove tecnologie a servizio della fratellanza tra i popoli Unità e fratellanza universale. E’ stata un’esperienza viva lì alla Westminster Central Hall che, come testimoniano fax e email, ha portato un’ondata di speranza in molti Paesi delle Americhe, Australia, Europa, Medio Oriente e Nordafrica, collegati via satellite grazie a Telepace e via internet. Qualche flash. Dalla Bulgaria: “Siamo stati coinvolti da quella fraternità tra le religioni e culture che vogliamo realizzare anche nel nostro Paese dove sono presenti quasi un milione di musulmani, che sono per noi la memoria di una piaga del passato”. Dall’Irlanda: “Abbiamo sperimentato un brano di fratellanza universale realizzata ammirando la bellezza e ricchezza di tante fedi e culture. Oggi ha segnato per noi l‘inizio di un nuovo cammino pieno di speranza, ora che l’Irlanda sta divenendo sempre più multiculturale”. Da Stoccolma: “Abbiamo intravisto la soluzione della violenza che c’è nel mondo, una nuova speranza che l’unità e la pace sono possibili”.  

Mercoledì 16, su invito del Rettore del St. Mary’ College dell’Università Statale del Surrey (Londra), Chiara Lubich aveva tenuto una lezione su “I nuovi Movimenti e il profilo mariano”, a conclusione di un ciclo su “Missione e Evangelizzazione” dedicato lo scorso anno ai Cardinali Connell, Pulic, Grinze, Napier, Williams, Daly, O’Connor, Stafford, e quest’anno ai Movimenti, comunità e cammini ecclesiali.

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La fraternità come categoria politica, antidoto al terrorismo e salvaguardia del bene comune

La fraternità come categoria politica, antidoto al terrorismo e salvaguardia del bene comune

Di libertà o uguaglianza si parla molto ma che fine ha fatto la fraternità? E’ questo l’interrogativo al centro dell’intervento di Chiara Lubich al palazzo di Westminster, sede del Parlamento britannico, ieri pomeriggio. Erano presenti anche il Ministro degli affari costituzionali, David Lammy, di origine africana e un membro protestante del Partito Unionista dell’Irlanda del Nord.

E’ questa l’ultima tappa del viaggio di Chiara Lubich in Gran Bretagna, dopo gli incontri con le massime autorità anglicane e cattoliche e leader musulmani, indù e sikh, che hanno aperto prospettive nuove. “Oggi c’è un velo di scetticismo verso la politica e non si sa come andare oltre. Nessuno più vuole ascoltare le campagne elettorali… Il potere corrompe astutamente… Come fare ad andare avanti mantenendo il potere e l’obiettivo del bene comune?” Sono alcuni flash del dialogo tra i politici e Chiara.

E’ una visione della politica decisamente innovativa quella presentata dalla Lubich. Si richiama al trinomio della rivoluzione francese e osserva che libertà e uguaglianza col tempo, “sono diventati principi giuridici e vengono applicati come vere e proprie categorie politiche”. Chiede lo stesso riconoscimento per la fraternità. Solo insieme potranno dare origine ad una politica che risponda alle urgenze più gravi dell’oggi, compreso il terrorismo. E va ad una delle cause fondamentali: il crescente divario tra ricchi e poveri. Solo la fraternità può far muovere i beni e mettere in moto la solidarietà.

Utopia? Chiara Lubich cita i fatti: sono circa 3000 i politici che hanno assunto la fraternità come categoria politica in vari Paesi, dall’Europa all’America Latina. Formano il Movimento politico per l’unità cui ha dato il via una decina d’anni fa. Ne dà testimonianza l’on. Giuseppe Gambale, deputato italiano che parla di numerose iniziative. Ne citiamo solo una: deputati di vari schieramenti hanno avviato “un gruppo di lavoro trasversale sulla riforma della cooperazione internazionale ferma da anni in Commissione Esteri e sono stati scoperti – dice – vari punti di convergenza tra le proposte di legge già presentate. Un modo concreto per contribuire ad affrontare i grandi squilibri economici e sociali tra nord e sud del mondo.” Sullo sfondo di una politica sempre più conflittuale, fraternità significa capovolgere l’atteggiamento verso gli avversari politici, ha detto ancora Chiara Lubich. “Si prende coscienza che ogni formazione politica può essere la risposta ad un bisogno sociale e quindi è necessaria al bene comune. La critica si può fare costruttiva sino ad arrivare a praticare l’apparente paradosso di amare il partito altrui come il proprio, perché il bene del Paese ha bisogno dell’opera di tutti”. “E’ questa la vera politica di cui ogni Paese ha bisogno – aggiunge – il potere infatti conferisce la forza, ma è l’amore che dà l’autorità”. Un incontro questo che avrà una continuità. Si prospetta qui a Londra l’inizio di quegli incontri periodici che già si attuano in altri Paesi. (altro…)

Chiara Lubich in udienza dall’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams

Chiara Lubich in udienza dall’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams

Il primo appuntamento di Chiara Lubich a Londra era avvenuto al Lambeth Palace, ricevuta in udienza dall’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, Primate della Chiesa d’Inghilterra.

Ne ha parlato Chiara Lubich stessa, in una conferenza stampa a Londra: “L’arcivescovo Williams era particolarmente interessato alla nostra esperienza del dialogo interreligioso. Mi ha chiesto quale era il nostro il segreto. Mi sono richiamata alla Novo Millennio Ineunte, dove il Papa approfondisce il mistero di Gesù che in croce grida: ‘Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato’. Gesù, dopo che ha perduto la madre, i discepoli e la sua stessa vita, ha perso anche il senso dell’unità con il Padre che era tutto per lui. Gesù si è ridotto a nulla. E’ questo un punto della nostra spiritualità di comunione che ci insegna, di fronte a persone di altre religioni, a essere “niente”, “nulla di amore” per “entrare” in loro, perché – come è stato detto – bisogna “saper entrare nella pelle dell’altro”, sino a capire che cosa significa per loro essere buddisti, musulmani, indù. Ma non si può entrare nell’altro se non si è niente. Allora la figura di Gesù abbandonato è il modello”. “Poi abbiamo parlato di molti altri argomenti: del movimento ecumenico; dell’impegno che ci siamo assunti – insieme a molti altri movimenti cattolici, anglicani, evangelici e ortodossi – di contribuire a realizzare un’Europa dello Spirito. Questo ha suscitato in lui vivo interesse, essendo lui teologo”. “Sono rimasto molto colpito dalla ‘qualità’ del rapporto tra Chiara e l’Arcivescovo” – ci ha detto Callan Slipper, ministro della Chiesa d’Inghilterra, focolarino, presente all’udienza. “L’arcivescovo aveva un atteggiamento di profonda apertura, l’intelligenza di chi sa ascoltare e apprezzare. Quest’atteggiamento si vedeva dal primo momento, quando, dopo che Chiara ha nominato tutti i vari Primati della Chiesa d’Inghilterra che ha conosciuto, ha detto scherzosamente: ‘Allora, lei conosce la Chiesa d’Inghilterra meglio di me!’. Poi, informato degli appuntamenti pubblici in programma, affermava che quanto si sarebbe verificato in questi giorni capita proprio al momento giusto, perché – ha detto – “ne abbiamo tanto bisogno sia come nazione che come Chiesa” La pagina ecumenica, nei rapporti con la Chiesa d’Inghilterra, inizia nel 1961, con l’Arcidiacono Bernard Pawley, che incontra Chiara lubich a Roma. Più tardi alcuni ministri anglicani sono presenti ad un incontro a Grottaferrata (Roma) fra cattolici ed evangelico-luterani. Sono toccati dall’atmosfera suscitata dall’amore reciproco che li fa riconoscere fratelli e sorelle in Cristo. Nel 1966, a Londra, al Lambeth Palace, Chiara incontra per la prima volta il Primate della Chiesa d’Inghilterra, l’allora arcivescovo Michael Ramsey. Le dice: “Vedo la mano di Dio in quest’Opera” e la incoraggia a diffondere la spiritualità del Movimento nella Chiesa d’Inghilterra. In seguito Chiara incontra i successori: Coggan, Runcie e Carey. In Gran Bretagna, il Movimento dei Focolari si è sviluppato tra cattolici, tra anglicani, presbiteriani, metodisti, battisti. A Welwyn Garden City sta nascendo una cittadella ecumenica. E’ l’unità, cuore della spiritualità dei Focolari, che interessa in particolare gli anglicani. (altro…)

“Libertà, uguaglianza… che fine ha fatto la fraternità”

Un importante appuntamento è previsto alla sede del Parlamento, Palazzo di Westminster, dove sono attesi oltre 50 deputati e membri della Camera dei Lord di vari schieramenti a cui Chiara Lubich si rivolgerà affrontando una tematica politica di particolare attualità: “Libertà, uguaglianza… che fine ha fatto la fraternità?”, a cui seguirà un dibattito.

Tra i politici che hanno dato la loro adesione: Clara Short, già incaricata del governo per lo sviluppo internazionale, Lord Ahmed of Rotherham (musulmano) e il Rev. Martin Smyth, ministro protestante del Democratic Unionist Party dell’Irlanda del Nord. L’on. Giuseppe Gambale, membro del Parlamento italiano, presenterà il Movimento politico per l’unità, promosso da Chiara Lubich in Italia, nel 1996 ed ora diffuso tra politici in altri Paesi Europei e in America Latina. (altro…)

“Immagina un mondo… arricchito dalla diversità”

“Immagina un mondo… arricchito dalla diversità”

Sta suscitando vasto interesse, a Londra, la capitale d’Europa più cosmopolita, e in tutta la Gran Bretagna, l’evento dal titolo: “Immagina un mondo…. arricchito dalla diversità”. Attraverso interventi, riflessioni, testimonianze, spazi artistici, questo incontro vuol esprimere il comune impegno di cristiani di diverse Chiese e comunità ecclesiali, e seguaci di varie religioni, nel costruire un mondo di pace e unità nella fraternità. Significativa la scelta del luogo: la storica Westminster Central Hall, dove nel 1946 si è svolta la prima Assemblea Generale delle Nazioni Unite, e nel 1931 aveva preso la parola il Mahatma Gandhi.

Chiara Lubich, nel suo intervento, affronterà l’interrogativo sempre più diffuso: ”Quale futuro per una società multietnica, multiculturale e multireligiosa?”. Premio Unesco per l’Educazione alla pace 1996, fondatrice e presidente dei Focolari, Chiara Lubich proprio a Londra, in occasione del Premio Templeton per il progresso della religione, nel 1977, diede un impulso decisivo al dialogo interreligioso, in cui da allora è impegnato il Movimento dei Focolari, nei 5 continenti. Sono attese 2000 persone di varie Chiese, con rappresentanze di varie religioni, tra cui Musulmani, Sikhs, Indù. Tra le personalità che hanno dato la loro adesione: il leader sikh, Bhai Sahib Ji Mohinder Singh di Birmigham; il dr. Zaki Badawi, Presidente del Consiglio degli Imam e delle Moschee della Gran Bretagna; la signora Didi Athavale, leader del vasto movimento indù Swadhyaya Family. Saranno presenti anche il vescovo anglicano Tom Butler, dirigente dell’organizzazione: “Rete interreligiosa per la Gran Bretagna”, l’arcivescovo di Glasgow, Mario Conti, particolarmente impegnato nell’ecumenismo, la baronessa Shirley Williams, nota personalità, leader dei democratici liberali alla Camera dei Lord.  

Martedì 15 giugno, Chiara Lubich è stata ricevuta in udienza al Lambeth Palace dall’Arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, Primate della Chiesa d’Inghilterra (anglicana) e Primo inter-pares tra i Primati della Comunione Anglicana mondiale. Il Rev.do Williams ha iniziato il suo ministero il 27 febbraio 2003.

La pagina ecumenica, nei rapporti con la Chiesa anglicana, inizia nel 1965 quando alcuni ministri anglicani si trovano ad un incontro a Grottaferrata (Roma) fra cattolici ed evangelico-luterani. Sono toccati dall’atmosfera suscitata dall’amore reciproco che li fa riconoscere fratelli e sorelle in Cristo. A Londra, nel 1966, al Lambeth Palace, l’allora Primate della Chiesa d’Inghilterra, l’Arcivescovo Michael Ramsey, incontrando Chiara, le dice: “Vedo la mano di Dio in quest’Opera” e la incoraggia a diffondere la spiritualità del Movimento nella Chiesa d’Inghilterra. Così in seguito i suoi successori: Coggan, Runcie e Carey.  

Il giorno seguente, mercoledì 16, su invito del Rettore del St. Mary’ College dell’Università Statale del Surrey (Londra), Chiara Lubich aveva tenuto una lezione su “I nuovi Movimenti e il profilo mariano”, a conclusione di un ciclo su “Missione e Evangelizzazione” dedicato lo scorso anno ai Cardinali Connell, Pulic, Grinze, Napier, Williams, Daly, O’Connor, Stafford, e quest’anno ai Movimenti, comunità e cammini ecclesiali.

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Igino Giordani: un’anima di fuoco

Igino Giordani, scrittore, giornalista, politico, ecumenista e patrologo, è una delle figure più rappresentative del Novecento, una personalità poliedrica che ha lasciato tracce profonde ed ha aperto prospettive profetiche a livello culturale, politico, ecclesiale, sociale.

Nato nel 1894 a Tivoli, primo dei sei figli di Orsolina e Mariano muratore, si avvia agli studi per l’aiuto di un benefattore. Nel 1915 è chiamato alle armi nella prima guerra mondiale. Ufficiale in trincea, confesserà poi di non aver mai voluto sparare al nemico, meritandosi comunque la medaglia d’argento per l’ardire e la generosità, insieme a ferite che lo angustieranno per tutta la vita. Laureato in lettere, si dedica all’insegnamento a Roma e sposa Mya Salvati, intessendo una storia d’amore sempre più delicata e forte, dalla quale nasceranno quattro figli: Mario, Sergio, Brando e Bonizza. Negli anni ’20 comincia il suo impegno politico Conosce Don Sturzo, che lo sceglie come capo ufficio stampa del neonato Partito Popolare. Piero Gobetti gli pubblica il libro Rivolta Cattolica, definendolo “sintesi di pensiero cattolico nuovo”. Fonda il periodico Parte Guelfa. E già negli anni ’24 e ’25 elabora e diffonde idee sulla “Unione delle Chiese” e sugli “Stati Uniti d’Europa”. Abbandonata per motivi politici la scuola pubblica, nel 1927 trova lavoro presso la Biblioteca Vaticana, dove riesce a far assumere anche Alcide De Gasperi, appena uscito dalle prigioni fasciste. Diviene direttore di Fides, la rivista della “Pontificia Opera per la preservazione della Fede”. Collabora al periodico Il Frontespizio di Piero Bargellini, stringendo rapporti col vivace movimento letterario fiorentino. Nel 1944 dirige Il Quotidiano, il nuovo giornale dell’Azione Cattolica del secondo dopoguerra; in seguito succede a Gonella nella direzione de Il Popolo. Il 2 giugno 1946 viene eletto deputato ed entra a far parte di quei “padri costituenti” che hanno posto le fondamenta ideali della Repubblica italiana. Sarà rieletto ancora nel 1948, e nel 1950 diverrà membro del Consiglio dei popoli d’Europa a Strasburgo. In sintesi, Giordani è stato politico militante, non per ambizione, ma per amore e servizio alla comunità in momenti difficili. Negli anni ’20 lotta con coraggio per la libertà di fronte alla dittatura. La forte connotazione etica del suo impegno politico gli vale l’emarginazione sotto il regime: periodo di intelligente, continua “resistenza culturale”, in cui esalta nei suoi libri i valori della libertà e di un ordine diverso. Il periodo dal ’46 al ’53 è quello più creativo e vivace, con iniziative audaci e profetiche per la pace tra le classi e tra i popoli, e un timbro originalissimo: la ormai famosa “ingenuità” – come lui la chiama -, che lo porta su posizioni scomode, come l’obiezione di coscienza, il no alle spese militari, il no alla demonizzazione dei comunisti, … Una “ingenuità” che lo mette presto fuori gioco (non viene rieletto nel ’53) ma che oggi lo fa riscoprire come (sono parole dello storico De Rosa) “un politico dell’anti-politica, non fatto per tutte le stagioni, non disponibile alle ragioni del potere per il potere”. Come scrittore, ha pubblicato oltre 100 opere (una media di quasi due all’anno), tradotte nelle principali lingue, senza contare i saggi, gli opuscoli, gli articoli (oltre 4000), le lettere, i discorsi. Esemplare la sua esperienza cristiana Tra le sofferenze dell’ospedale militare, a 22 anni avverte una prima chiamata alla santità, rafforzata dagli scritti di Caterina da Siena. Si fa terziario domenicano per amore di lei, “la prima – dirà – che m’incendiò dell’amor di Dio”. Come cristiano ha vissuto con spirito evangelico ogni attività terrena, vedendola sempre come vocazione. I suoi scritti più validi – di continua attualità – nascono da una profonda conoscenza della storia del cristianesimo e dei Padri della chiesa. Da qui la solida formazione teologica e spirituale che lo contraddistingue. La mette a frutto in una feconda attività di animazione cristiana della cultura e di formazione spirituale dei laici ed anche di sacerdoti e religiosi. Precursore del dialogo ecumenico, anticipa negli anni ’30 le linee del Concilio Vaticano II. Studia, traduce, spiega i Padri del primo cristianesimo in anni in cui erano quasi dimenticati. Da essi tira fuori quel “Messaggio sociale del cristianesimo” che è una delle sue opere più note. Si immedesima tanto in loro, che Italo Alighiero Chiusano lo definisce “un qualche antico Padre della Chiesa a cui Dio ha dato il privilegio di risorgere e di girare oggi in mezzo a noi”. Verso i sentieri della santità Ma l’evento che eleva ancor di più la sua vita verso i sentieri luminosi ed esigenti della santità, avviene nel settembre 1948, ed è l’incontro con Chiara Lubich. Si può dire che inizia per lui una esperienza nuova che lo coinvolge completamente, un sodalizio spirituale singolare per umiltà, trasparenza, unità. Dirà più tardi: “Tutti i miei studi, i miei ideali, le vicende stesse della mia vita mi apparivano diretti a questa meta… Potrei dire che prima avevo cercato; ora ho trovato”. Affascinato dalla radicalità evangelica della “spiritualità di comunione” da lei annunziata e vissuta, vi scorge la possibile realizzazione del sogno dei Padri della Chiesa: spalancare le porte dei monasteri perché la santità non sia privilegio di pochi, ma fenomeno di massa nel popolo cristiano. Aderisce perciò con totalità di mente e di cuore al Movimento dei Focolari, all’interno del quale viene chiamato “Foco”, per l’amore che testimonia e diffonde. Non solo. Col suo “sì” diviene strumento provvidenziale perché la fondatrice dei Focolari abbia ulteriori comprensioni del proprio carisma. Giordani pare quasi uscire gradualmente dalla scena culturale e politica fin allora calcata, per riviverla su un piano soprannaturale. Nel “farsi bambino” davanti all’amore totalitario dei chiamati alla verginità, a lui sposato si spalanca, proprio “nell’amore senza misura”, una via di comunione con essi. Puro di cuore e con l’anima dilatata sull’umanità, può così aprire la strada ad una schiera di coniugati in tutto il mondo, chiamati a questa nuova consacrazione. E dietro a loro sono sorti movimenti di massa per le famiglie e per la rianimazione evangelica delle varie attività umane. Diviene così uno dei più stretti collaboratori di Chiara Lubich, che lo considera “confondatore” del Movimento dei Focolari. Sulle vie della mistica Nel crogiolo del Focolare, Giordani compie un più alto viaggio dell’anima sulle vie della mistica, dove le prove spirituali, le incomprensioni e le umiliazioni delle progressive emarginazioni, i dolori fisici, si scoloriscono davanti all’esperienza quotidiana della presenza di Cristo “tra due o più” uniti nel suo nome, e del mistero d’amore di un Dio crocifisso e abbandonato. Ottiene dal Cielo straordinarie esperienze di unione con Dio e con Maria, ed anche quelle prove “oscure” dell’anima che il Signore riserva a chi più egli ama. Il suo viaggio diventa così un “volo” in Dio, concluso la sera del 18 aprile 1980. I suoi resti mortali riposano nel cimitero di Rocca di Papa (Roma). Definire Giordani con una parola? Molti, anche intellettuali esigenti, l’hanno chiamato “un profeta”. Per Chiara Lubich è “l’uomo delle beatitudini”, e ne svela l’ampiezza insolita quando lo definisce “anima-umanità”. Per Tommaso Sorgi, attento suo studioso, è un “innamorato di Dio e dell’uomo”. Nedo Pozzi ———————————– Il viaggio dell’anima di Giordani, attraverso i suoi scritti, soprattutto quelli più autobiografici, è ripercorso in una recente breve biografia di Tommaso Sorgi, responsabile del Centro Studi “Igino Giordani”, dal titolo: “Un’anima di fuoco”, edita da Città Nuova. (altro…)

I Poli imprenditoriali: laboratorio di una nuova economia

Riportare Dio nella società, nella cultura e nella politica: l’ideale di Igino Giordani

Igino Giordani: con la sua vita si potrebbe riscrivere la pagina evangelica delle beatitudini. Così Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, nel giorno dell’apertura ufficiale del processo di beatificazione di questa personalità “poliedrica”: scrittore, giornalista, politico, ecumenista, studioso dei Padri della Chiesa e della dottrina sociale del cristianesimo. La cerimonia si è svolta nella Cattedrale di San Pietro a Frascati, diocesi dove Giordani ha concluso la sua vita terrena. Tra la folla che gremiva la cattedrale, erano presenti i figli Sergio, Brando e Bonizza. La solenne concelebrazione liturgica, che ha preceduto l’insediamento del tribunale ecclesiastico, era presieduta dal vescovo di Frascati, mons. Giuseppe Matarrese. “Giordani ha attraversato il XX secolo da protagonista – ha detto all’omelia il teologo Piero Coda, vicario episcopale. “Ha partecipato alla ricostruzione dell’Italia repubblicana come membro della Costituente e come parlamentare”, ha contribuito a preparare e poi a promuovere “con la vita e con la penna” la primavera del Concilio. “In lui ardeva un desiderio: riportare Dio nel mondo, nella società, nella cultura”. E sarà dopo l’incontro con il carisma di Chiara Lubich, incontrata a Montecitorio nel 1948, che Giordani dirà: “Sentii di passare dal Cristo cercato, al Cristo vivo”. Di lui, la fondatrice dei Focolari, intervenendo al termine della Messa, ha detto: “E’ stata la purezza di cuore che gli affinò i sentimenti più sacri e glieli potenziò verso sua moglie e verso i figli”. E’ stato “povero in spirito, per il distacco completo non solo da ciò che possedeva, ma soprattutto da ciò che era”. “Operatore di pace, come documenta la sua storia di uomo politico”. In Giordani Chiara Lubich riconosce un confondatore del Movimento dei Focolari: ha dato un impulso eccezionale ai movimenti ad ampio raggio, nati per l’animazione cristiana del mondo dei giovani, della famiglia, della politica, scuola, medicina, arte. E’ stato lui che ha spalancato una nuova via di consacrazione per i coniugati che lo portò a sperimentare “le gioie della contemplazione e della vita mistica”. Finalmente è superato quell’”abisso” – come lui lo chiamava – tra i religiosi che seguivano ‘l’ideale di perfezione’ e i laici, i quali – come diceva con una punta di ironia – seguivano ‘l’ideale dell’imperfezione’. “E’ stato lui – ha ancora detto Chiara Lubich – la personificazione di uno degli scopi più importanti dei Focolari: concorrere all’unificazione delle Chiese”. Giordani, oltre che membro della Costituente, fece parte del Consiglio dei popoli d’Europa a Strasburgo. E’ autore di 100 libri e di oltre 4000 articoli. Tra le sue opere più diffuse, tradotta in molte lingue, tra cui il cinese, il “Messaggio sociale del cristianesimo”. Già negli anni 1924-25 elabora e diffonde idee sull’”Unione delle Chiese” e sugli “Stati Uniti d’Europa”. Il periodo dal 1946 al 1953 è il più creativo, con iniziative audaci e posizioni scomode per quel tempo, come l’obiezione di coscienza, il no alle spese militari, il no alla demonizzazione dei comunisti. Una “ingenuità” – è questa una sua espressione – che lo mette presto fuori gioco (non viene rieletto nel 1953), ma che oggi lo fa riscoprire, secondo lo storico Gabriele De Rosa, come “un politico dell’anti-politica, non fatto per tutte le stagioni, non disponibile alle ragioni del potere per il potere”. Negli ultimi anni, nei dolori fisici, dovuti al riacutizzarsi delle ferite di guerra, gioiva di potersi “concrocifiggere” con Cristo. Acquistava tale luce degli occhi e affabilità nei rapporti da infondere serenità in tutti e indurre anche i piccoli a trattarlo alla pari. Otteneva dal Cielo straordinarie esperienze di unione con Dio e con Maria, ed anche quelle prove “oscure” dell’anima che il Signore riserva ai suoi eletti. Il suo “viaggio” era diventato un “volo” in Dio., che si è concluso la sera del 18 aprile 1980. Era stato mons. Pietro Garlato, allora vescovo di Tivoli, città dove Igino Giordani era nato nel 1894, che nell’anno del grande Giubileo, aveva preso l’iniziativa di proporre “un gesto significativo”: “vedere introdotta la causa di beatificazione, perché la Chiesa tutta trovi in lui un modello, un testimone del Vangelo, e modello di comunione”. (altro…)

Chiara Lubich: Igino Giordani cristiano e confondatore

Con l’insediamento del tribunale ecclesiastico, inizia la fase diocesana del processo canonico. A ciascuno dei suoi componenti, qui presenti, assicuro il mio, il nostro sostegno attraverso la preghiera per il loro delicatissimo lavoro e la nostra attiva collaborazione per quanto può essere utile.

In quest’occasione così particolare, spero sia gradita ora da parte mia qualche parola sull’on. Igino Giordani. Come si sa, egli è stato una eminente personalità cattolica poliedrica, che all’impegno politico ha sempre unito un’intensa e feconda attività culturale come giornalista e scrittore, apologista e agiografo, studioso insigne dei Padri della Chiesa e della dottrina sociale del cristianesimo. Si potrebbe e dovrebbe parlare molto a lungo dei diversi impegni che hanno reso famoso l’on. Igino Giordani. Ma oggi, in questo luogo sacro e in questa circostanza particolare, mi sembra di dover parlare di lui soprattutto come cristiano, come focolarino e confondatore del Movimento dei Focolari: azione questa svolta nell’arco degli ultimi trentadue anni della sua vita. Giordani cristiano Qualcuno ha detto che se il Vangelo scomparisse su tutti i punti della terra, il cristiano dovrebbe essere tale che, chi lo vede vivere, potrebbe riscrivere il Vangelo. Quando Igino Giordani se ne partì da questa terra, venne letta nella Messa del giorno la pagina delle beatitudini. Ebbene: quanti lo avevano conosciuto a fondo erano concordi nell’affermare che egli le aveva vissute tutte. “Beati i puri di cuore”. E’ stata questa purezza che gli fece definire l’esistenza terrena dell’uomo, perché sempre seguita dall’amore provvidenziale di Dio, un’avventura divina. E’ stata la stessa purezza di cuore che gli affinò i sentimenti più sacri e glieli potenziò: verso sua moglie, verso i suoi amatissimi figli. Egli è stato un “povero in spirito” per il distacco completo che aveva, non solo da tutto ciò che possedeva, ma soprattutto da tutto ciò che egli stesso era. Il suo cuore era carico di “misericordia”: vicino a lui anche il più miserabile peccatore si sentiva perdonato e rivestito di dignità. E’ stato sempre un “operatore di pace”, come documenta la sua storia di uomo politico. Di carattere forte e impetuoso, è arrivato a possedere tale “mitezza” da far capire che chi ha questa virtù possiede la terra, come afferma il Vangelo. Con la più raffinata gentilezza, con quelle parole tutte sue, conquistava quanti avvicinava. E… potremmo continuare… Giordani focolarino Cristiano di prim’ordine, dotto, apologeta, apostolo, quando gli è parso d’incontrare una polla di acqua genuina, che sgorgava dalla Chiesa, ha saputo posporre ogni cosa per seguire Gesù che lo chiamava. Per cui, se Giordani fu un vero cristiano, fu anche un cristiano con una sua via particolare. Dio lo chiamò ad essere focolarino. Ha impersonato il nome di battaglia col quale era chiamato da noi: “Foco”, fuoco e cioè quell’amore verso Dio e il prossimo, soprannaturale e naturale, che sta al vertice della vita cristiana. Egli era sempre stato in attesa che gli si aprisse una qualche strada, nella linea di quel desiderio di consacrazione totale a Dio, nonostante la sua condizione di coniugato. Ed ecco che nel 1948 si è imbattuto nel Movimento dei Focolari. Ed è stato proprio attraverso la spiritualità dell’unità, tipica di quest’Opera, che si poté leggere il Vangelo nella sua persona. Perché vivesse in lui Cristo, per attuare la piena comunione con i fratelli che Egli domanda, seppe veramente morire a sé stesso come afferma in un suo scritto poetico del 1951: “Mi son messo a morire, e quel che accade non m’importa più; ora voglio sparire nel cuore abbandonato di Gesù. Tutto questo penare Per l’avarizia e per la vanità nell’amore scompare: ho riacquistato la mia libertà. Mi son messo a morire a questa morte che non muore più: ora voglio gioire con Dio della sua eterna gioventù.” Ma se Giordani conobbe l’ascetica cristiana, non gli mancarono le gioie della contemplazione e della vita mistica. Dice Luigi Maria Grignion de Montfort, parlando delle persone che la Vergine ama in modo particolare, che il principale dono che esse acquistano è la realizzazione quaggiù della sua vita nelle loro anime, di modo che non è più l’anima a vivere, ma Maria in esse o, se si vuole, l’anima di Maria diventa la loro. Scrive Giordani nel ’57: “La sera del primo ottobre, mese sacro a Maria, dopo le preghiere, di colpo l’anima mi fu sgombrata di cose e creature umane; e al loro posto entrò Maria, con Gesù dissanguato, e tutta la stanza dell’anima fu piena della sua figura di dolore e di amore. (…) Per 24 ore, Ella stette, come altare che regge la Vittima: Virgo altare Christi. La mia anima era la sua stanza: il tempio. (…) Sì che mi venne da dire: ’Vivo non più io, ma vive Maria in me’. La sua presenza aveva come verginizzato la mia anima: marianizzato la mia persona. L’io pareva morto e nata al suo posto Maria. Sì che non sentivo più il bisogno di levare gli occhi alle icone delle strade o alle immagini della Madonna; mi bastava configgere gli occhi dell’anima dentro di me, per scorgere, in luogo dell’idolo sordido e grottesco solito, la Tutta bella: la Madre del bell’Amore. E anche questo povero corpo sofferente apparirmi una sorta di cattedrale (…). Se non sono l’ultimo cialtrone, devo farmi santo: essere in armonia con questa realtà.” Giordani confondatore Ed è stato anche confondatore del Movimento dei Focolari. Fu lui che spalancò il focolare ai coniugati, mandando ad effetto quel progetto, prima solo intravisto, d’una convivenza di vergini e coniugati, per quanto a questi è consentito dal loro stato. E’ stato lui che ha dato un impulso eccezionale alla nascita di quelle diramazioni di quest’Opera che sono i Movimenti a largo raggio, come il “Movimento Famiglie Nuove”, “Gioventù Nuova”, “Umanità Nuova”, la quale s’adopera per animare del genuino spirito cristiano il mondo del lavoro, dell’arte, della medicina, della scuola, della politica… E’ stato lui ad iniziare con altri deputati il “Centro Santa Caterina” proprio per animare la politica dello spirito del Movimento. E’ stato lui la personificazione di uno degli scopi più importanti di quest’Opera: concorrere all’unificazione delle Chiese, dirigendo per anni il “Centro Uno” ecumenico. E’ stato lui soprattutto che aiutò il Movimento a piantare solide radici nella Chiesa sicché, ancora in vita, lo vide espandere i suoi rami sui cinque continenti con tutto il bene che si può immaginare, se si considera il suo spirito evangelico che sottolinea la fratellanza universale, l’unità fra tutti gli uomini. Giordani è stato un dei più grandi doni che Dio ha fatto al nostro Movimento. Ed ora, per concludere, voglio ricordare con loro uno dei suoi ultimissimi giorni. Si era aggravato. Gli avevo portato una foto a colori del santo Padre con una bella benedizione e firma autografa. Egli ne era rimasto felice e, tra un assopimento e l’altro, ha detto: “Oggi è una bella festa! Chi se l’aspettava?” E mentre don Antonio Petrilli – uno dei primi focolarini sacerdoti, che lo accudiva nei suoi ultimi anni e l’ha raggiunto ora nell’Altra Vita – appendeva la benedizione incorniciata al muro, ha aggiunto: “Ho l’idea di stare in Paradiso”. Alla mia richiesta se era contento che ascoltassimo insieme la santa Messa e rinnovassimo il Patto d’unità del focolarino, ha esclamato: “Che bello! Questo è un dono aggiunto”. E ad un dato momento: “Ho sempre presente Dio sotto questo nome: Donator”; ed elencò alcuni doni che gli aveva fatto. Alla mia domanda se gli sarebbe piaciuto andare in Paradiso, ha fatto un cenno con la testa, come per dire: magari! Poi, più volte, con un sorriso unico, aggiunse: “Questo è Paradiso! Che può esserci di più bello?” Riferendosi ancora alla benedizione del Papa, ha sussurrato: “Non si può dire che dono è stato; più ci penso e più mi perdo…”. E dopo la santa Messa con l’indulgenza plenaria ha affermato: “Tutto completo”. Giordani oggi è qui presente fra tutti noi. (altro…)