Movimento dei Focolari
600 anni della Vergine dell’Africa

600 anni della Vergine dell’Africa

vergine_africa_600anniAffacciata sul Mediterraneo, a sud-est dallo Stretto di Gibilterra ‒ ponte tra due continenti ed ex ‘fine del mondo’ ‒ sorge la città di Ceuta. Per la posizione strategica su un tratto di costa privilegiato nell’Africa del Nord la città da decenni è identificata dai migranti come possibile porta d’accesso all’Europa. Ogni giorno uomini, donne e bambini provenienti dai più svariati Paesi africani, in fuga da guerre, povertà e persecuzioni d’ogni tipo, attraversano interi Stati per provare a varcare la soglia sbarrata prossima alla città, in alternativa all’ancor più pericoloso viaggio per mare. Proprio in questo lembo di terra, che dal 1851 fa parte della Diocesi di Cadice (Spagna), ci si prepara ai grandi festeggiamenti per i 600 anni dell’arrivo di quella che da allora è chiamata “Vergine dell’Africa”, un blocco unico di legno che rappresenta la Madonna seduta con il corpo di Cristo morto tra le braccia. Dal 1949, per volere di Papa Pio XII, la Vergine è la patrona della città. (altro…)

Chiara Lubich: imitare Maria

Chiara Lubich: imitare Maria

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“Madonna della bella-accoglienza” © Centro Ave Ceramica

«In un anno dedicato a Maria noi dovremmo trovare il modo di onorare la madre di Dio. E quello migliore. Ma c’è maniera e maniera di onorarla. Lo si può fare parlandone, lodandola, pregandola, visitandola nelle chiese a lei dedicate; dipingendola, scolpendola, innalzandole inni, adornando le sue effigi di fiori… Ci sono tanti modi di imitare Maria. Ma ce n’è uno che supera tutti: è quello di imitarla, di comportarsi come altra lei sulla terra. Credo che sia quello a lei più gradito, perché le dà la possibilità di ritornare in certo modo sulla terra. Noi, senza escludere tutte le altre possibilità che abbiamo di onorare Maria, dobbiamo puntare su questa. Imitarla. Ma come imitarla? Cosa imitare di lei? Imitarla in ciò che è essenziale. Ella è Madre, madre di Gesù e spiritualmente madre nostra: Gesù ce l’ha data come tale sulla croce nella persona di Giovanni. Dobbiamo essere un’altra lei come madre. Dobbiamo in pratica formulare questo proposito: durante l’Anno Mariano mi comporterò verso tutti i prossimi che avvicinerò, o per i quali lavorerò, come fossi madre loro. Così facendo costateremo in noi una conversione, una rivoluzione. E non solo perché a volte ci troveremo a fare da madre magari a nostra madre o a nostro padre, ma perché assumeremo un atteggiamento particolare, specifico. Una madre accoglie sempre, aiuta sempre, spera sempre, copre tutto. Una madre perdona ogni cosa di suo figlio, fosse anche un delinquente, un terrorista. L’amore di una madre infatti è molto simile alla carità di Cristo di cui parla Paolo. Se noi avremo il cuore di una madre o, più precisamente, se ci proporremo di avere il cuore della Madre per eccellenza: Maria, saremo sempre pronti ad amare gli altri in tutte le circostanze e a tener vivo perciò il Risorto in noi. Ma faremo anche tutta quella parte che è richiesta a noi per mantenere presente Gesù, il Risorto, in mezzo a noi. Se avremo il cuore di questa Madre, ameremo tutti e non solo i membri della nostra Chiesa, ma anche quelli delle altre. Non solo i cristiani, ma anche i musulmani, i buddisti, gli induisti, ecc. Anche gli uomini di buona volontà. Anche ogni uomo che abita sulla terra: perché la maternità di Maria è universale (Cf. LG 79), come è stata universale la Redenzione. Anche se lei non è a volte riamata, ama sempre, ama tutti. Ecco dunque il nostro proposito: vivere come Maria, come fossimo madri di tutti».   Da CHIARA LUBICH – Cercando le cose di lassù – Città Nuova 1992 pp 40-41-42 (altro…)

Premio “Renata Borlone, donna in dialogo”

Premio “Renata Borlone, donna in dialogo”

RenataBorloneDomenica 25 febbraio, presso l’Auditorium del Centro internazionale di Loppiano (Firenze), alla presenza di rappresentanti del mondo scientifico e autorità civili, verrà consegnato il “Premio Renata Borlone” al prof. Suleiman Baraka, originario di Gaza, astronomo di fama internazionale. Giunto alla IV edizione, il Premio, istituito dall’omonima Associazione culturale, in collaborazione con l’Istituto Universitario Sophia, nasce per onorare la memoria di Renata Borlone (1930-1990), per oltre vent’anni corresponsabile della cittadella di Loppiano ed ora Serva di Dio. Ricca di valori umani e spirituali, Renata nutriva una particolare passione per la scienza, intesa come strumento privilegiato per la costruzione dell’unità della famiglia umana. Il Comitato scientifico del Premio ha conferito il riconoscimento al prof. Baraka per “la sua ricerca scientifica attenta ai valori umani e alla pace”. «Questo premio in onore di Renata Borlone che molto ha operato a favore della società – ha detto il premiato – per me è un’ulteriore spinta e incoraggiamento a mettere la scienza e la sua bellezza al servizio dell’umanità, della pace fra i popoli e permettere alle giovani generazioni di aprirsi alla speranza malgrado le difficoltà e ostacoli in cui si possono trovare». Leggi anche: Terrasanta.net (altro…)

C’ero anch’io al Genfest ’90

C’ero anch’io al Genfest ’90

Chiara Favotti

Chiara Favotti

Quello del 1990 è stato per tutti il “Genfest del muro”. O meglio, del crollo del muro. Soltanto pochi mesi prima un fatto di portata storica aveva cominciato a cambiare il volto dell’Europa e del mondo. Durante una indimenticabile notte, dopo settimane di disordine pubblico e i primi spiragli di apertura tra la Germania dell’Est e quella dell’Ovest, molti cittadini di Berlino Est si erano arrampicati sul muro che da 28 anni li divideva dall’Ovest e avevano cominciato ad aprire delle brecce a colpi di piccone. Quel muro era solo un tratto di una linea spartiacque fra Est e Ovest lunga 6.500 chilometri, che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale spaccava in due il continente, dalla Finlandia, sul Baltico, fino a Trieste, sull’Adriatico. Muro non solo materiale, fatto di torrette, sbarramenti di filo spinato, cani poliziotto, radar infrarossi, ma anche mentale, economico e culturale. Sono nata a Trieste, città italiana del Nordest, dove tutto parla di “con-fine”, di convivenza con il limite. Già solo arrivarci significa fare l’esperienza del limite netto tra terra e mare, con lo spettacolo meraviglioso della costa rocciosa che si tuffa a strapiombo. La bellezza di questa città si rivela all’improvviso, dietro una curva. Dal limite “fisico” a quello “politico”, sull’altipiano che la circonda, passano pochi chilometri. A cinque minuti in macchina da casa mia il confine di Stato con la Slovenia, oggi sempre aperto, fino al 2007, data d’ingresso della Slovenia nell’area Schengen, era uno sbarramento presidiato dai militari dentro una garitta. Nella vicina città di Gorizia, un muro simile a quello di Berlino, ma più piccolo, in calcestruzzo, tagliava la città in due. Sono cresciuta con questa idea di “separazione”: italiani da una parte, sloveni e croati (minoranza anche a Trieste) dall’altra. Ricordo isole culturali, scuole e teatri rigorosamente italiani o sloveni, come arcipelaghi che raramente entravano in comunicazione. Ricordo la lingua incomprensibile di altri studenti in autobus, verso scuola. Ricordo i pullman targati Slovenia o Croazia che entravano in città e si dirigevano sicuri verso i negozi attigui alla Stazione per fare incetta di tutti i prodotti che “di là” non arrivavano, le donne che indossavano molteplici strati di gonne e pantaloni, fino a sembrare enormi, per portare più merce possibile. Ricordo il loro impulso a comprare di tutto, e la maleducazione con cui venivano trattati, con un epiteto irripetibile. Noi italiani superavamo il confine di Stato mostrando un “lasciapassare” riservato ai frontalieri, per acquistare benzina e carne a prezzi migliori. In macchina stavamo zitti, un po’ impauriti. L’ordine di papà era quello di “non dire nulla”, perché quanto si dichiarava al militare che controllava i documenti poteva essere frainteso. Appena superato il momento di suspence, entrati in Slovenia, tornava la solita allegria. Genfest1990Durante l’adolescenza, la frequentazione con i gen e giovani per un mondo unito e le tante esperienze vissute insieme mi hanno spalancato il cuore ben oltre i muri che conoscevo, pensando e sognando “in grande” un mondo davvero unito. Non era un’utopia, ma una mentalità nuova, una direzione verso cui muoversi con piccoli passi, ma di fraternità autentica. Con loro partecipai al Genfest ‘90. Indimenticabile. Per la prima volta, in un’esplosione di gioia, giovani dell’est e dell’ovest ci guardavamo negli occhi, ci stringevamo le mani, mentre una diretta via satellite portava milioni di telespettatori dentro il catino del Palaeur. A tutti venne rivolto un mandato: riportare nel mondo l’amore. «Non è sufficiente l’amicizia o la benevolenza – ci disse Chiara Lubich – non bastano la filantropia, la solidarietà o la non-violenza. Occorre trasformarsi da uomini concentrati sui propri interessi a piccoli eroi quotidiani al servizio dei fratelli». L’anno dopo partii per Mosca. La cortina di ferro che separava Est e Ovest era caduta, ma a caro prezzo, sgretolando ideali e polverizzando un sistema sociale. Non c’erano né vinti né vincitori, solo disillusione, sofferenza e povertà diffusa. Mi fu chiaro: non bastava abbattere un muro per creare una società libera e giusta. E le parole sentite al Genfest “solo nella concordia e nel perdono si può costruire un futuro” sono da allora, per me, l’unica strada possibile.

Chiara Favotti


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Vangelo vissuto: “la vita come dono”

Dal carrozziere Avevo portato la macchina dal carrozziere per una riparazione di poco conto. Il giovane operaio mi avrebbe chiamato quando sarebbe stata pronta. Passano sei ore e nessuna telefonata. Vado di persona al garage e stranamente lui fa finta di non ricordarsi nemmeno del lavoro da fare e si mette a servire altri clienti. Dopo un’ora di attesa lui torna con il conto. Spropositato, per un lavoro così piccolo. Ho la pelle nera, è chiaro che questo è un gesto di discriminazione. Pago, ma mi sale la rabbia e un acuto dolore. Quando sto per esplodere mi fermo a pensare come vivere questo momento alla luce del Vangelo. Mi calmo e pazientemente espongo i fatti al responsabile. Lui mi ascolta e capisce. E mi fa rimborsare. Quel rimborso mi è sembrato il compimento delle promesse del Vangelo. Welile – Sudafrica Fame e sete di giustizia Ero una rivoluzionaria, avevo fame e sete di giustizia e lo dicevo a voce alta, dappertutto. A un certo punto ho trovato una risposta in Dio, e per lui ho lasciato tutto. Un giorno mi è stato chiesto di parlare in una fabbrica, ma adesso c’era una differenza: non ero più io, era Gesù che parlava in me perché cercavo di amarlo nei fratelli. Guardando quei volti inquieti, sofferenti, in rivolta, assetati di giustizia, ho avuto la conferma che solo l’amore può realizzare il miracolo di cambiare le persone, le idee, le strutture. Questo amore è Dio in noi e tra noi. Maria Teresa – Brasile Cambio di programma D’accordo con mio marito, pensavo di iscrivermi a un corso di studi che sarebbe stato utile per il mio lavoro. Ero entusiasta, perché vedevo man mano appianarsi tutte le difficoltà e tutto sembrava confermare che ero sulla strada giusta. Avevo iniziato a raccogliere i documenti necessari quando la scoperta di essere incinta mi ha confuso le idee. Avrei dovuto accantonare il mio progetto per un po’. La lettura del Vangelo con mio marito ci ha fatto capire che Dio aveva altri piani su di noi e ci siamo disposti ad accogliere con gioia il bambino. D.T.B. – Croazia La carta vincente Sono un agente di commercio. Un giorno sono entrato nella sede di una grossa azienda per presentare i miei prodotti al responsabile degli acquisti. Poiché aveva dimostrato poco interesse, mi accingo ad uscire dal suo ufficio. Ma durante quel breve incontro mi ero accorto di avere a che fare con una persona sofferente. Sono già sulla porta, quando avverto di dover tornare indietro e gli chiedo semplicemente: “Ma lei è sicuro di stare bene?”. Con gli occhi sbarrati mi chiede: “Come mai questa domanda?”. Rispondo dicendogli della mia sensazione, rinnovo i saluti ed esco. Il giorno dopo ricevo una telefonata da lui. “La volevo ringraziare, dopo che lei è andato via la sua domanda mi risuonava in mente, così la sera sono andato dal mio medico che mi ha confermato che potevo avere un collasso da un momento all’altro e bisognava intervenire subito con una energica terapia”. Lo stesso giorno, quell’azienda ha fatto un ordine consistente. Così, non solo ho trovato un grosso cliente, ma anche ho aiutato una persona a stare meglio. Mettere l’amore al primo posto nelle nostre relazioni è sempre la carta vincente. Dal sito dei Focolari www.flest.it – Italia (altro…)

Loppiano: Gen Rosso “Music and Arts Village”

Loppiano: Gen Rosso “Music and Arts Village”

Genrosso villageIl GEN ROSSO (INTERNATIONAL PERFORMING ARTS GROUP) presenta la 1° edizione del Gen Rosso Music and Arts Village, un’esperienza residenziale di approfondimento artistico e di condivisione di valori alla luce del carisma dell’unità. Il progetto intende coinvolgere giovani professionisti e studenti di discipline quali: musica, danza, canto e teatro, di età, preferibilmente, compresa tra i 18 e i 30 anni. La metodologia didattica è progettata e gestita da tutor del Gen Rosso con docenti dalla riconosciuta capacità ed esperienza artistica. Il programma prevede l’approfondimento di tematiche specifiche, lo scambio di esperienze, sessioni di dialogo e laboratori pratici che convergeranno in una performance finale. Le serate saranno arricchite da interessanti contributi artistici. La prima edizione del Village si terrà dal 25 marzo (con arrivo nel pomeriggio) al 1° aprile 2018. A conclusione verrà rilasciato un attestato di partecipazione. Il Gen Rosso, attraverso la segreteria del Village, è a disposizione per fornire ulteriori informazioni e tutta la documentazione necessaria all’iscrizione (a numero limitato). Contatti Segreteria VILLAGE: +39 0558339821 (ore 9,00-13,00, ora italiana) Franco Gallelli cell +39 3806592166 Email segreteria VILLAGE: village@genrosso.com (altro…)

La rete d’amore intessuta da Gis

La rete d’amore intessuta da Gis

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Gis e Ginetta

Terza di tre sorelle, fra cui Ginetta che diventerà anch’essa focolarina, Gis nasce a Lavis (provincia di Trento), il 18 aprile 1920. Grazie ai tanti sacrifici della madre, le tre ragazze riescono a proseguire gli studi anche dopo la morte prematura del papà. Con lo scoppio della guerra Gis e Ginetta si trasferiscono per lavoro in Veneto dove, di tanto in tanto, Gis riceve notizie da una compagna di scuola. Con espressioni forti e incisive l’amica le descrive la singolare esperienza di Vangelo che sta nascendo a Trento da un gruppo di loro coetanee. Le sue parole colpiscono profondamente l’animo sensibile di Gis che tornata a Trento per la Pasqua, vuole conoscere Chiara Lubich. Ben presto avverte in quell’esperienza evangelica la sua strada. Senza indugi comunica all’imprenditore veneto che, pur grata per il vantaggioso lavoro, non sarebbe più tornata in azienda e al giovane cui è legata da un promettente sentimento scrive: “Non è per un altro uomo che ti lascio, ma per Dio”. Da allora ogni occasione è buona per recarsi alla ‘casetta’ in Piazza Cappuccini, l’appartamento che una signora aveva messo a disposizione di quel gruppo di ragazze. «Abitavo a qualche chilometro da lì – racconta Gis – e la strada era tutta in salita. Mi alzavo alle cinque per assistere con loro alla messa e per la meditazione, nella quale Chiara ci faceva penetrare nel fuoco delle parole del Vangelo che cambiavano il senso a tutto: non c’era difficoltà di sorta per metterle in pratica». In città a causa della guerra manca tutto. Gis si ricorda di un podere della sua famiglia coltivato a frutta e verdura. Ma come reperirle se a transitare sono solo i carri armati? Per amore dei tanti che bussano alla porta della ‘casetta’ in cerca di cibo, si arma di coraggio e, posta sul ciglio della strada, fa l’autostop ai soldati che guidano i carri armati. Essi passano via senza neppure guardarla, ma ad un certo punto uno si ferma e, sentite le ragioni del suo ardire, la fa salire sul carro armato. Lo stesso avviene al ritorno, così può portare alla ‘casetta’ due grosse sporte di tanto ben di Dio. FNFOC-20180123-Profilo-024_600x333Finita la guerra Gis e Ginetta chiedono alla madre di andare a vivere in focolare. Ginetta ha il permesso ma la ‘piccola’ no. Lei non si rassegna: sa che la sua scelta è definitiva; è solo questione di tempo. La soluzione la trova l’on. Giordani il quale, sapendo che mamma Calliari è una sua appassionata lettrice, offre a Gis un posto di lavoro a Roma. Il 6 dicembre ‘49, la madre, contenta di favorire Giordani, la lascia partire alla volta di Roma, ignara che la figlia, oltre a far da segretaria all’onorevole, con Chiara e altre sue compagne avrebbe aperto il primo focolare nella capitale. Da allora Gis vive accanto a Chiara, con qualche breve intervallo per l’avvio dei Focolari in alcune regioni italiane. Di questa sua vita con lei, nel 2005 confida: «È molto semplice, limpida, profonda: tutto ciò che è suo è mio, tutto ciò che è mio è suo». Affermazioni che trovano pieno riscontro in ciò che rappresenta per Chiara il suo focolare: «La filadelfia è più che una realtà – dice Chiara –. È qui che io prendo forza per affrontare le croci di ogni giornata, dopo l’unione personale con Gesù. Qui si va dalla sapienza, comunicata con spontaneità, ai consigli pratici sulla salute, sul vestito, sulla casa, sul mangiare; ad aiuti continui, quotidiani, con sacrifici che spesso non si contano. Qui […] scorre sangue di casa, ma celeste». FNFOC-20180123-091«Dal suo ufficio – ricorda Gabri Fallacara – telefonava a tutti, intessendo una rete d’amore, incisivo, omnicomprensivo. Nella massima fiducia, ci metteva nelle condizioni più favorevoli per capire quello che il carisma dell’unità, giorno dopo giorno, chiedeva a Chiara e a noi». Dopo la morte di Chiara, Gis continua a vivere per tutti essendo, al di là delle ridotte capacità, sorgente zampillante di affetto e tenerezza. Ai primi di luglio 2017 un peggioramento di salute trasforma la sua camera in un crocevia di incontri di cielo. Il 20 gennaio 2018, a 97 anni, Gis lascia serenamente questo mondo. La presidente dei Focolari Maria Voce, al suo funerale testimonia: «Fino alla fine ha dato tutta se stessa per continuare a far vivere Chiara nel Movimento di oggi. Mi ha dato una grande lezione di essenzialità, di radicalità, di fiducia nei disegni di Dio, di unità con tutti». A cura di Chiara Favotti (altro…)