Mosca, ali alla speranza
https://vimeo.com/162282516 (altro…)
https://vimeo.com/162282516 (altro…)
Foto: Jose Jacome
Azione per un Mondo Unito ONLUS (AMU) | Azione per Famiglie Nuove ONLUS (AFN) |
IBAN: IT16 G050 1803 2000 0000 0120 434 presso Banca Popolare Etica | IBAN: IT55 K033 5901 6001 0000 0001 060 presso Banca Prossima |
Codice SWIFT/BIC: CCRTIT2184D | Codice SWIFT/BIC: BCITITMX |
I contributi versati sui due conti correnti con questa causale verranno gestiti congiuntamente da AMU e AFN. Per tali donazioni sono previsti benefici fiscali in molti Paesi dell’Unione Europea e in altri Paesi del mondo, secondo le diverse normative locali. I contribuenti italiani potranno ottenere deduzioni e detrazioni dal reddito, secondo la normativa prevista per le Onlus, fino al 10% del reddito e con il limite di € 70.000,00 annuali, ad esclusione delle donazioni effettuate in contanti. (altro…)
Papa Francesco visita il campo dei rifugiati a Moria, in Mytilene, Lesbo, 16 aprile 2016.
«Quando in Siria sono iniziati i conflitti, vedendo che il futuro non prometteva nulla di buono, ho pensato che sarebbe stato prudente lasciare il Paese. A rafforzare la decisione era giunta la possibilità di un lavoro in Libano. Così ho fissato i biglietti per il viaggio e ho cominciato i preparativi per il trasferimento di tutta la famiglia. Dentro di me però affioravano tanti dubbi: era giusto andarsene per assicurare un futuro alla famiglia o non sarebbe stato più opportuno rimanere nel Paese che tanto amavo per aiutare la mia gente? Parlandone con mia moglie capivo che lei sarebbe stata più propensa a rimanere, ma si rimetteva a me: per lei l’importante era che rimanessimo tutti assieme. Mi sentivo molto agitato e confuso. Finché un giorno – ero in chiesa – ho avvertito chiaramente che il nostro posto era qui, ad Aleppo, a condividere le sorti del nostro popolo. Un popolo variegato dalle tante etnie, religioni e confessioni diverse, ma che era stato capace di vivere in armonia. Un popolo così generoso da accogliere negli ultimi decenni, nonostante gli embargo, palestinesi, libanesi, iracheni, dando loro uguali diritti e possibilità di lavoro. Abbiamo deciso di rimanere. Lavoravo in proprio e guadagnavo bene. Ma dopo i sanguinosi eventi che hanno cominciato a devastare il Paese, la mia bottega è stata derubata e poi distrutta. Ciò nonostante, innumerevoli sono state le occasioni per prestare aiuto, in prima persona e anche attraverso il Centro per sordomuti del quale con mia moglie abbiamo iniziato a prenderci cura. In seguito abbiamo anche avviato una sinergia con altre organizzazioni umanitarie per arrivare, con l’aiuto della Provvidenza che prodigiosamente ci ha sempre assistito, a procurare l’indispensabile per oltre 1500 famiglie. In questi cinque anni di guerra, a causa dei bombardamenti lanciati ‘a caso’ nei nostri quartieri, abbiamo visto tante famiglie perdere i propri cari e tante persone rimanere disabili permanentemente. Un giorno l’autista del Centro per i sordomuti dove operiamo, mentre camminava per strada con la famiglia, ha perso la moglie e la figlia, colpite da un mortaio. Anche lui è stato ferito gravemente e portato sotto shock all’ospedale. Ho potuto parlare di questa grave situazione ad un sacerdote e il vescovo, saputa la cosa, si è fatto carico dei funerali della moglie e della figlia. Da parte mia ho cominciato a cercare la somma per l’intervento chirurgico del papà. L’ospedale, vedendo l’interessamento di tanti, ha diminuito i costi e alcuni medici hanno rinunciato al loro compenso. Così non solo siamo riusciti a coprire tutte le spese, ma abbiamo avuto un avanzo per le successive operazioni cui l’autista ha dovuto sottoporsi per proseguire nella cura. Un’altra volta mi ha chiamato un musulmano che lavora nella chiesa che frequentiamo, per chiedermi di aiutarlo a trovare un’altra casa dove abitare. Aveva visto i ribelli armati entrare nel suo quartiere ed era preoccupato per la sicurezza delle tre figlie. Dopo tanti contatti sono finalmente riuscito a trovare un’abitazione per loro. Traslocato nella casa nuova, si è accorto di avere urgente bisogno di una bombola di gas, ma non riusciva a trovarla. Allora ha telefonato a me. “Chiedo questi aiuti a te – ha detto – perché sei mio fratello, vero?”. Ed io gli ho risposto: “Certo, siamo fratelli”. Dopo il recente ‘cessate il fuoco’ stiamo attraversando un periodo di apparente calma, anche se di tanto in tanto si sentono dei rimbombi che ci lasciano inquieti e non ci fanno dormire la notte. Riguardo alla mia attività, fino a che le armi non taceranno del tutto, è impossibile pensare di ricominciarla. A sostenerci in questa situazione precaria e senza futuro è la comunità del Focolare e una fede incondizionata nell’ amore di Dio che non ci abbandona mai. Di fronte ad ogni problema, sentiamo che non siamo soli. Continuiamo a sperimentare che nella donazione agli altri troviamo la pace. Una Pace che rimane sempre una sfida, perché è un dono che va conquistato ogni giorno». (altro…)
«Dopo i due Sinodi sulla famiglia, con Amoris Laetitia ecco finalmente il pronunciamento del Papa. Di questo Papa. Il Papa della misericordia, che annovera consensi anche tra chi dice di aver ‘chiuso’ con la Chiesa, o di non credere affatto. La recente esortazione, con le sue oltre 100 pagine, incontra le attese sia di chi sperava nel cambiamento – molto evidente sul piano pastorale – sia dei più legati alla tradizione, giacchè il piano dottrinale è rimasto inalterato. Una mano tesa verso tutti, anche a chi si trova in situazione cosiddetta ‘irregolare’. Per Papa Francesco “nessuna famiglia è una realtà perfetta e confezionata una volta per sempre, ma richiede un graduale sviluppo della propria capacità di amare” (AL 325). Quasi a far cadere la tendenza a distinguere fra ‘regolari’ e ‘irregolari’ e a voler sottolineare che nessuno è condannato ed escluso senza rimedio. L’apertura più significativa di Amoris Laetitia è certamente quella verso i divorziati in nuova unione, per i quali si prevede un percorso di crescita nella capacità di discernimento, accompagnati da pastori o, come anche menzionato, da “laici che vivono dediti al Signore” (AL 312) consapevoli di essere chiamati a “formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle” (AL 37). Un percorso che in certi casi, come detto nella nota 351 dell’esortazione, potrebbe sfociare anche nell’accesso ai sacramenti. Poiché, ribadisce il Papa, l’Eucaristia “non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli”. Ma se a colpire l’attenzione dei media sono proprio le ‘aperture’ ai risposati, è nei capitoli 4 e 5 (sulla bellezza della famiglia che attinge al disegno trinitario e che si alimenta di quella carità di cui parla S. Paolo in Cor 1,13) che il suo merito va oltre. La centralità della vita di coppia è qui presentata forse come non mai: “È l’incontro con un volto, un ‘tu’ che riflette l’amore divino ed è il primo dei beni. O anche come esclamerà la sposa del Cantico dei Cantici in una stupenda professione d’amore e di donazione nella reciprocità: ‘Il mio amato è mio e io sono sua. Sono del mio amato e il mio amato è mio” (AL 12). “…spesso abbiamo presentato il matrimonio in modo tale che il suo fine unitivo, l’invito a crescere nell’amore e l’ideale di aiuto reciproco, sono rimasti in ombra per un accento quasi esclusivo posto sul dovere della procreazione” (AL 36). Un moto quasi autocritico, a significare l’intento di valorizzare l’eros iscritto nelle creature, mostrando il matrimonio nella sua realtà concreta di “combinazione di gioie e di fatiche, di tensioni e di riposo, di sofferenze e di liberazioni, di soddisfazioni e di ricerche, di fastidi e di piaceri” (AL 126). Viene messo in rilievo ogni momento della vita quotidiana, superando la contrapposizione tra sacro e profano, tra evento solenne e insignificante, poiché niente è secondario agli occhi dell’amore e della fede. Il Papa tiene conto anche delle aumentate aspettative di vita e i coniugi devono “scegliersi a più riprese” (AL 163), in una continua rigenerazione e cambiamento dei registri dell’amore: “Non possiamo prometterci di avere gli stessi sentimenti per tutta la vita. Ma possiamo certamente avere un progetto comune stabile, impegnarci ad amarci e a vivere uniti finché la morte non ci separi, e vivere sempre una ricca intimità” (AL 163). Grazie papa Francesco! Si sentiva il bisogno di uno sguardo della Chiesa che continua a presentare agli sposi l’ideale alto e mai raggiunto dell’armonia trinitaria. Come pure di una mano fraterna, la Chiesa, che si fa prossima a tutti, senza scartare nessuno». (altro…)
«Gli studiosi calcolano che dal 3000 a.C., circa, siano arrivate nel continente americano delle popolazioni provenienti dal sudest-asiatico. Si tratta del popolo Guaranì (e non solo), composto da tante etnie e che, nei secoli, si è diffuso dai Caraibi fino all’estremo sud del continente», spiega Diana Durán, paraguaiana, sociologa e studiosa dei popoli originari dell’America.
L’incontro con una piccola comunità delle etnie Avà Guaranì e Mbya avviene quando, due anni fa, una grande inondazione del fiume Paraguay costringe il gruppo indigeno composto da 33 famiglie (115 membri) ad abbandonare il precario insediamento in riva al fiume, dove vivevano raccogliendo i rifiuti della vicina discarica.
«All’inizio cercavamo di aiutarli con vestiti, alimenti, medicine, aiuti sanitari, come il ricovero di un diabetico, o l’intervento nei confronti di uno di loro con ferite d’arma da fuoco; oppure affittare delle toilette mobili quando si sono trovati sloggiati in un terreno deserto; o quando, dopo una tempesta, abbiamo trovato delle tende e acqua potabile … eppure vedevamo che questi aiuti non erano ancora sufficienti. Ci voleva un terreno per loro, che desse riparo e sicurezza». Dopo una lunga ricerca si individua un luogo adatto: 5,5 ettari, a 4,5 Km dalla città di Ita, con una scuola e l’ambulatorio sanitario vicini; il tutto immerso nel verde e, soprattutto, con la possibilità per loro di produrre un orto comunitario per l’auto-sostentamento e lo spazio per costruire un locale per corsi di formazione. La sfida ora è trovare i fondi per acquistare il terreno. «Bussiamo a tante porte – racconta Diana –. Una persona esperta ci facilita la strada per ottenere lo status giuridico della Comunità Indigena, in modo da intestare a loro la proprietà. Inoltre, un amico della comunità Mennonita si offre di anticipare il pagamento del terreno, cosa che per noi sarebbe stato proprio impossibile. Ci impegniamo, insieme ai nostri amici Avà, a restituirgli il denaro poco per volta». «Dio ci ha guardato con un amore speciale», dice Bernardo Benítez, capo della comunità. Un Dio che per loro è il “Padre Primigenio”, il cui mandato principale è l’amore reciproco. È presente negli atti quotidiani e dona la terra, luogo sacro da custodire e dove costruire rapporti fraterni. «Accompagnare la comunità di Yary Mirì non è privo di sofferenza – afferma Diana –, a causa della discriminazione che subiscono per i pregiudizi ancestrali, e anche per la miseria in cui si trovano a vivere. Ma è anche una gioia conoscere e condividere i loro valori comunitari e solidali che hanno conservato nei secoli, oltre che costatare l’amore e la fiducia che cresce tra noi e loro. Oggi non siamo soli: ci aiutano tanti amici, due associazioni legate ai Focolari (Unipar e Yvy Porà che si occuperà di accompagnare lo sviluppo dell’orto comunitario), due vescovi, alcuni funzionari di istituzioni bancarie, 2 cristiani mennoniti e la Pastorale Indigena. Abbiamo ottenuto 4 borse di studio in Scienze dell’Educazione per il loro leader e per 3 giovani. Loro stessi hanno voluto scegliere quella facoltà “perché la nostra gente ha bisogno di istruzione”, dicono». «Adesso sto scrivendo un libro sulla storia della loro comunità – conclude Diana Durán –, non solo come denuncia e per dare voce a chi non ce l’ha, ma come un dovere nei loro confronti per quanto hanno sofferto e per quanto dobbiamo a loro. Lo considero come un passo verso la fraternità universale, l’ideale che ci anima». (altro…)
«Provengo da Sarajevo, Bosnia ed Erzegovina, dove per secoli hanno convissuto musulmani bosniaci, cattolici croati, ortodossi serbi, ebrei, rom ed altri. La guerra degli anni ‘90 che voleva convincerci che non possiamo vivere insieme, ha portato solo migliaia di vittime, un milione di profughi, città, edifici di culto, monumenti storici devastati. Nel nostro condominio abitavamo croati, serbi, bosniaci musulmani, ma abbiamo condiviso tutto tra di noi, fino all’ultima sigaretta, il poco olio, farina, caffè ed anche il dolore della morte. Mio marito che lavorava come tecnico radioamatoriale nelle istituzioni dello Stato, ha installato una stazione radio per poter collegare le persone che per mesi, a causa dell’interruzione dei collegamenti telefonici, non sapevano più nulla dei loro cari. Finito il conflitto mi sono impegnata in politica, nel Partito Socialdemocratico e mi sono candidata come assessore comunale. Le conseguenze della guerra erano terribili. In quel periodo è arrivato al sindaco di Sarajevo l’invito di partecipare all’incontro “Insieme per Europa” a Stoccarda e, non potendo lui andarci, ha delegato me. È stato in quell’occasione che ho conosciuto il Movimento dei Focolari, le persone che vivevano per portare l’unità nell’umanità. Potete immaginare che cosa ha significato questo per me che venivo da un’esperienza di guerra. Tornando a casa ho sentito una grande forza di vivere e di lottare per diffondere gli ideali appena conosciuti. Adesso, dopo 20 anni, nella nostra città ancora piangiamo sui nostri morti, ricostruiamo ciò che era distrutto, ma costruiamo anche i ponti tra le persone. E lo facciamo insieme, senza odio. E Sarajevo proprio in questi giorni celebra 20 anni dalla fine dell’assedio della città, durato 1.425 giorni, in cui furono uccisi 12.000 cittadini civili, di cui 1.500 bambini. La città ora ha cicatrizzato le sue piaghe ed è ritornata al suo spirito di un tempo. Le campane suonano, la preghiera dai minareti delle moschee riecheggia nelle piazze. Dato che non ho una fede, mi sono ritrovata nel dialogo iniziato da Chiara Lubich con le persone senza un riferimento religioso. Mi impegno a tessere questa rete di comunione, di comprensione reciproca nella mia città, con le vicine musulmane, con i cattolici, – per esempio durante la visita di papa Francesco -, con le persone di convinzioni diverse. Adesso a Sarajevo c’è un gruppo di giovani, anche loro di fedi e di culture diverse, e pure loro continuano a diffondere la cultura del dialogo.
La fila è lunga, ma affatto noiosa. Persone un po’ di tutte le età, provenienti da vari Paesi del mondo, attendono con pazienza il turno per il pranzo scambiandosi impressioni e pareri su quanto vissuto al mattino. Si è appena conclusa, infatti, la prima sessione di OnCity-reti di luci per abitare il pianeta, un convegno che, dal 1° al 3 aprile, ha fatto davvero vedere le tante luci accese nei luoghi in cui viviamo, le città: «Anziché soffermarci sull’analisi della notte – dice Lucia Fronza Crepaz, una delle moderatrici del convegno – in questi giorni abbiamo scelto di passare dalla parte dell’alba, del sorgere del sole». OnCity è organizzato dal Movimento Umanità Nuova, Giovani per un Mondo Unito e AMU (Azione per un Mondo Unito): tre agenzie impegnate nella costruzione di un mondo unito e più fraterno a livello sociale, tra i giovani e le generazioni, e attraverso azioni di sostegno e cooperazione allo sviluppo. Certamente l’attualità del momento sta interpellando tutti: attentati, terrorismo, nuove emarginazioni e povertà, “guerre a pezzi”: le nostre città stanno vivendo problemi e contraddizioni che sono sotto i nostri occhi, ma non mancano esperienze in positivo ormai consolidate, che confermano la possibilità di lavorare, credere e sperare in città più solidali e fraterne, più vivibili per tutti. Da questa consapevolezza sono partiti gli organizzatori per costruire un racconto di tre giorni, dove i quasi 900 partecipanti, hanno potuto sperimentare insieme un modo nuovo di vivere la città, di vivere i propri spazi quotidiani: un’occasione per approfondire i temi della solidarietà, della fraternità, per leggere i cambiamenti delle metropoli in cui viviamo, per imparare il dialogo come stile di vita, di approccio al mondo e alle cose: in un mondo globale, ma anche così frammentato, questo stile va coltivato e diffuso. OnCity si snoda così tra sessioni plenarie, seminari tematici, e ben 32 gruppi di lavoro, questi ultimi fondamentali per verificare le proprie capacità di essere cittadini attivi, creativi e responsabili. Facendo un rapido calcolo in questi giorni si sono concentrati 46 interventi, con l’obiettivo di valorizzare le reti che già esistono, incoraggiarne la nascita di nuove dove occorre, far nascere ovunque siamo delle “cellule di fraternità”, nodi strategici di un intreccio, anzi dei molti intrecci della vita e della storia. Fonte: Città Nuova online (altro…)