Le Chiese egiziane celebrano in questi giorni – e non dal 18 al 25 gennaio come in molti Paesi – la loro Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Fadiah e Philippe, del Movimento dei Focolari in Egitto, raccontano della loro partecipazione alle varie iniziative delle Chiese locali e di come al centro delle loro preghiere ci sia l’invocazione della protezione e dell’aiuto del Signore su tutta la nazione egiziana, in questa delicata fase. «Ecumenismo recettivo»: rovesciare il pensiero che spesso si nasconde nel modo in cui i membri di Chiese diverse si accostano gli uni agli altri. A spiegarlo è il reverendo dott. Callan Slipper, del Centro studi internazionale del Movimento dei Focolari nel corso di un incontro ecumenico a Welwyn Garden City (Londra) lo scorso 4 febbraio. Slipper, che è anche Delegato regionale per le Chiese nella contea di Hertfordshire, nel suo discorso [Chiara Lubich e l’ecumenismo recettivo: come la spiritualità facilita l’unità fra i cristiani] ha spiegato come «invece di pensare che tutto andrebbe meglio se gli altri fossero un po’ più simili a noi (e quindi abbiamo da insegnare), possiamo andare verso gli altri per imparare». Accostando gli altri con questo atteggiamento, continua, «scopriamo che non abbiamo necessità di nascondere niente, ma possiamo riconoscere le nostre debolezze e il bisogno di essere guariti. Questo apre una relazione nuova, e ci porta ad una conversione nuova e più profonda a Cristo, in cui scopriamo più pienamente la nostra vera identità ecclesiale». Ad ascoltarlo un pubblico qualificato: 14 vescovi cattolici, anglicani, luterani e della chiesa Copto ortodossa, provenienti da diverse parti dell’Inghilterra insieme al Segretario Generale di Churches Together in England, l’organo ecumenico nazionale delle chiese in Inghilterra. E’ stato un “assaggio” di una nuova metodologia ecumenica e un modo per condividere le esperienze nelle rispettive Chiese. Negli stessi giorni, dalla Germania, nel Centro ecumenico di Ottmaring, si ricorda l’importanza dell’autentica vita cristiana per contrastare i fenomeni violenti e liberticidi cui si è assistito di recente, a partire dagli attentati di Parigi. Gérard Testard, francese, membro del comitato direttivo della rete di “Insieme per l’Europa” e fondatore dell’iniziativa interreligiosa “Efesia”, è l’ospite d’onore: «L’incontro di Gesù con la donna samaritana al pozzo di Giacobbe – afferma ricordando la frase scelta per la Settimana di Preghiera “Dammi da bere” (Gv 4,7) – ci indica la via per questa situazione: Gesù abbatte le barriere, fatte dagli uomini e si manifesta salvatore del mondo. Gli avvenimenti di questi giorni ci obbligano come cristiani a lavorare per l’unità, mentre la missione per l’unità oltrepassa il mondo cristiano, per far fronte ai pericoli del terrorismo, alla violenza e al fanatismo inaccettabili». E Testard presenta l’esperienza positiva di dialogo che gode della promozione del Consiglio dei Musulmani della Francia e della Conferenza Episcopale Francese, “Efesia”, nata nel 2007 in Libano. Cristiani e Musulmani si incontrano regolarmente il 25 marzo, festa dell’Annunciazione, poiché Maria è venerata anche molto dai musulmani. Dopo quattro anni le autorità libanesi hanno dichiarato il 25 marzo festa nazionale islamo-cristiana dell’Annunciazione. È la prima festa comune nella storia del Paese». (altro…)
Di fronte al pluralismo delle culture nell’età della globalizzazione, il tema della dignità dell’uomo è un argomento chiave del dibattito politico e un principio irrinunciabile per il dialogo e la comunicazione interculturale. La stessa integrazione del Continente europeo fin dall’inizio, nel tentativo di darsi un quadro di valori condivisi, ha assunto il tema della dignità umana come suo principio e compito, attingendo ad una lunga riflessione e maturazione che affonda le sue radici nella propria storia e cultura. Il volume a due voci prende in esame la relazione tra l’Europa e l’idea di dignità dal punto di vista filosofico, giuridico e politico. Vincenzo Buonomo, ordinario di Diritto e Organizzazione internazionale presso la Pontificia Università Lateranense di Roma dove è Direttore del Dipartimento di Studi sulla Comunità internazionale. Partecipa ai lavori di organi delle Nazioni Unite, del Consiglio d’Europa e dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Angelo Capecci, ordinario di Storia della filosofia presso l’Università di Perugia. Dal 1990 al 1997 è stato presidente dell’IRRSAE (Istituto per la ricerca, Sperimentazione, Aggiornamento Educativo). Presidente del corso di Laurea in Filosofia e del corso di laurea magistrale in Filosofia ed etica delle relazioni presso l’Università degli studi di Perugia. È attualmente Direttore del Dipartimento di Filosofia, Scienze Sociali, Umane e della Formazione.
Padre Mychayl è un sacerdote greco-cattolico che vive la spiritualità dei Focolari. Dalle pagine di Città Nuova ci ha aiutato a seguire le vicende del suo amato e devastato Paese. Ad un anno dallo scoppio del conflitto gli abbiamo chiesto di rileggere quanto accaduto. «Dalla rivolta di Piazza Maidan al conflitto nel sud-est è passato quasi un anno e finora sono stati 5mila i morti e oltre un milione i profughi. Già da mesi dura la guerra nel Donbass. La gente sta morendo, l’infrastruttura è al collasso, centinaia di migliaia di persone sono in fuga. Nel patchwork di territori controllati da ucraini e da separatisti, nel caos di bande, comandanti in guerra tra loro, eserciti male armati e peggio addestrati, potrebbe esserci l’effetto collaterale di una guerra di tutti contro tutti». Per questo, secondo padre Mychayl, oggi più che mai l’Ucraina ha bisogno di educazione alla pace, in cui tutti si è protagonisti: adulti e giovani, educatori e bambini, genitori e figli: «Una pedagogia della pace semplice, ma coinvolgente, basata sulla coerenza tra teoria e pratica, valori ed esperienze. L’educazione per affermare la cultura della Pace, l’unica che possa rispettare e rispondere alle domande più vere di tutti, nell’impervio cammino verso la fraternità universale in Ucraina». Alla domanda sui passi necessari per l’Ucraina, afferma: «Mi permetto di rispondere con quanto disse Chiara Lubich a Londra nel 2004: “(…) si dovrebbe proporre a tutti quanti agiscono in politica di formulare quasi un patto di fraternità per il loro Paese, che metta il suo bene al di sopra di ogni interesse parziale, sia esso individuale, di gruppo, di classe o di partito. Perché la fraternità offre possibilità sorprendenti: essa consente di tenere insieme e valorizzare esigenze che rischiano, altrimenti, di svilupparsi in conflitti insanabili. Armonizza, ad esempio, le esperienze delle autonomie locali con il senso della storia comune; consolida la coscienza dell’importanza degli organismi internazionali e di tutti quei processi che tendono a superare le barriere e realizzano importanti tappe verso l’unità della famiglia umana». Ma la crisi ucraina ha innescato, dopo le guerre nei Balcani, la più grande ondata di rifugiati: oltre 900.000 solo gli sfollati interni. «Nella città assediata di Donetsk non è più possibile una vita normale. Gli anziani – testimoni per la seconda volta degli orrori della guerra – muoiono privi di cure mediche o devono lasciare la loro casa. Molti non ricevono la pensione dall’estate. In aree controllate dai separatisti c’è tutto nei negozi e farmacie, ma non ci sono i soldi. Banche e uffici postali hanno chiuso». Come ricostruire case, strade e quei ponti che non sono solo collegamenti strutturali ma risanamento delle ferite invisibili? «Non è cosa facile. Dare aiuto psicologico alle popolazioni colpite è meno semplice che ricostruire strade o inviare aiuti umanitari. Già da qualche anno i docenti dell’Istituto Universitario Sophia, in cooperazione con Iustitia et Pax Ukraine, fanno dei corsi per formare i giovani a dare il proprio contributo comecittadini, per la costruzione del bene comune dell’Ucraina». «Dopo l’ondata di proteste e la guerra, il paese ha bisogno di queste “Scuole di partecipazione” che formano all’impegno civile e politico, radicati nel tessuto cittadino; luoghi in cui sperimentare un agire politico fondato sui valori condivisi e nutrito dall’ideale della “fraternità universale”. L’Ucraina, grazie alle manifestazioni di piazza Maidan, è diventata una vera nazione, un popolo che vuole costruire la sua vita sui valori cristiani. Ora si tratta di trasformare i valori vissuti durante le proteste in piazza nelle cose concrete dell’agire quotidiano; di farsi carico delle aspettative e dei bisogni più profondi del Paese, per non cadere definitivamente nell’apatia». Le scuole di Partecipazione forniscono, infatti, modelli interpretativi e proposte operative volte a diffondere la cultura di pace: «Una delle sfide principali per l’Ucraina è la situazione degli immigrati interni, la loro integrazione in altre regioni d’Ucraina, e le conseguenze delle ostilità. La formazione di conoscenze e competenze flessibili, quindi, per promuovere il dialogo interculturale e interreligioso, i diritti umani, la mediazione, la prevenzione e risoluzione dei conflitti, l’educazione alla non violenza, la tolleranza, l’accettazione, il rispetto reciproco e la riconciliazione, sono gli obiettivi che vogliamo porre al centro dell’educazione del futuro». (altro…)
«Fratelli e sorelle, quando io sento le parole ‘vittoria’ o ‘sconfitta’ – ha detto papa Francesco nell’udienza generale del 4 febbraio scorso – sento un grande dolore, una grande tristezza nel cuore. Non sono parole giuste; l’unica parola giusta è ‘pace’. Questa è l’unica parola giusta. Io penso a voi, fratelli e sorelle ucraini … Pensate, questa è una guerra fra cristiani! Voi tutti avete lo stesso battesimo! State lottando fra cristiani. Pensate a questo scandalo. E preghiamo tutti, perché la preghiera è la nostra protesta davanti a Dio in tempo di guerra». Mentre la diplomazia mondiale si mobilita, i fatti sembrerebbero smentire ogni prospettiva di pace. Eppure c’è gente e istituzioni che s’adoperano con coraggio per salvaguardarla, anche a rischio della propria vita. Chiediamo a Vera Fediva, del Movimento dei Focolari e residente in Ucraina: come vive la gente comune questa situazione? «È un periodo molto difficile per il nostro Paese: pieno di dolore e frustrazione. Quasi 5.000 civili morti, moltissimi i feriti e i disabili, migliaia i profughi e purtroppo non si riesce a intravvedere la fine di questa tragedia. Ci viene spesso alla mente come è nato il nostro movimento, durante la Seconda Guerra Mondiale, quando tutto crollava… ma non avremmo mai immaginato che potesse accadere ancora nel XXI secolo, quasi nel cuore dell’Europa e in un paese tranquillo come l’Ucraina. La nostra comunità risiede a Mukacevo, nella parte occidentale del Paese, dove non ci sono gli scontri armati. Ma psicologicamente è difficile reggere, anche perché molti di noi hanno amici, parenti, vicini di casa, perfino bambini che combattono. Tanti hanno perso i loro cari. Viviamo una situazione in cui nulla è stabile. È difficile pianificare qualcosa. Nessuno sa cosa può succedere domani. Magari l’unico figlio o il marito parte per la guerra. Possiamo contare solo su Dio, che è Amore. Come quando è iniziato il Movimento… In questa situazione sentiamo che è molto importante non lasciare che l’odio entri nel nostro cuore, per essere in grado di perdonare e anche di pregare per i nostri nemici». Come dice il Papa, la preghiera è la nostra protesta. Ad un anno dall’inizio del conflitto, come vi siete mossi come comunità dei Focolari e anche insieme agli altri cristiani per far sentire questa “protesta”? «È da alcuni anni che ci adoperiamo per la difesa della vita in tutte le sue forme; questo ci ha permesso di costruire molti rapporti con persone di varie chiese cristiane della nostra città. Abbiamo realizzato insieme alcuni eventi come “Marce per la vita” e “Feste della famiglia”. Lo stimolo ci è arrivato dall’esempio del gruppo “Ecumena” di Kosice (Slovacchia), che si basa sulla spiritualità dell’unità. L’anno scorso abbiamo organizzato, in centro città, un grande evento di “Preghiera per la pace in Ucraina”, insieme ad una decina di chiese diverse, con una grandissima partecipazione di popolo. In seguito abbiamo continuato a ritrovarci e abbiamo vissuto insieme tre grandi momenti di “Preghiera per la pace” da quando è iniziata la guerra. Ci sembra che questa unità tra di noi sia particolarmente importante, ora che i cristiani si combattono e si uccidono a vicenda in questa guerra senza senso. È la nostra piccola e silenziosa risposta alla preghiera del Papa, per superare lo scandalo della divisione e dare un contributo alla pace e alla riconciliazione del nostro Paese». (altro…)
Un patto educativo da ricostruire armonicamente: tra famiglia, scuola, istituzioni civili, cultura. È l’idea che sta alla base del progetto delle Scholas Occurrentes, [le scuole che vengono incontro, scuole vicine] nate in Argentina su iniziativa dell’allora arcivescovo di Buenos Aires J.M. Bergoglio e rilanciate oggi a livello internazionale. «Scholas vuole in qualche modo reintegrare lo sforzo di tutti per l’educazione, vuole rifare armonicamente il patto educativo, perché solo così, se tutti noi responsabili dell’educazione dei nostri ragazzi e giovani ci armonizzeremo, l’educazione potrà cambiare. Per questo Scholas cerca la cultura, lo sport, la scienza; per questo Scholas cerca i ponti, esce dal “piccolo” e va a cercarli più lontano. Oggi sta attuando in tutti i continenti questa interazione, questa conoscenza», ribadisce papa Francesco, a conclusione del 4° congresso mondiale che si è svolto in Vaticano dal 2 al 5 febbraio scorsi. Momento culmine di questi giorni, il collegamento in video conferenza con alcuni ragazzi diversamente abili che partecipano ai programmi di inclusione scolastica delle 400.000 scuole legate dal progetto. Tra loro Isabel di 13 anni, non vedente, che ama l’atletica e chiede al Papa di dire a chi è in difficoltà «di non arrendersi, perché con un po’ di sforzo si può arrivare dove si vuole». Sì, perché «in tutti voi c’è uno scrigno», ha detto Francesco nel video messaggio ai ragazzi, «e dentro c’è un tesoro. Il vostro lavoro è aprire lo scrigno, tirare fuori il tesoro, farlo crescere, darlo agli altri e ricevere il tesoro degli altri». Erano presenti in oltre 250, tra i maggiori esperti in materia di educazione e di responsabilità sociale, di credi e culture diverse, e delegazioni di organizzazioni sportive, così come rappresentanti del mondo dell’arte, dello spettacolo e della cultura, e di società di Tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ITC) che, attraverso le tecnologie più avanzate, permettono di «costruire un’aula dove tutti abbiano posto», come ha dichiarato José María del Corral, direttore delle Scholas. Riscoprire, quindi, il gioco come cammino educativo, educare alla bellezza, ritrovare l’armonia tra il “linguaggio della testa” e il “linguaggio del cuore” sono le piste di lavoro per l’educazione delineate dal Papa nel suo intervento. Miccia per gli attori in gioco, presenti al convegno di Scholas, che nei giorni precedenti avevano portato esperienze, ricerche e progetti educativi in cui l’apprendimento e la solidarietà si fondono in una linea pedagogica inclusiva: alunni con bisogni educativi speciali, dipendenze, povertà, cura dell’ambiente. A riguardo sono stati presentati, tra gli altri, alcuni progetti nati nell’ambito dei Focolari, come il progetto Udisha in India, la mobilitazione contro il gioco d’azzardo di Slot Mob in Italia, il progetto Living Peace in Egitto. Due mattinate sono state dedicate inoltre ad approfondire la pedagogia dell’Apprendimento e Servizio Solidale: essa, sviluppatasi negli Stati Uniti a partire dagli anni ’60, negli ultimi 20 anni è stata promossa da Maria Nieves Tapia dei Focolari, insieme a tanti altri delle più diverse reti ed organizzazioni. Col CLAYSS (Centro Latinoamericano di Apprendimento e Servizio Solidale, ) si cerca anche di metterla in dialogo con le ricerche su fraternità e prosocialità. Al convegno è stata presentata nei suoi principi teorici da Carina Rossa, di Educare all’Incontro e la Solidarietà (EIS) LUMSA e di Educazione e Unità (EDU); e la rete di Scholas si è impegnata ad implementarla. «A guadagnarci in tutto questo sono i ragazzi», ha concluso papa Francesco, sottolineando così l’importanza di questo lavoro che porta a costruire ponti tra giovani di ogni nazione e credo, educando alla pace e alla fraternità. Anzi, ha affermato ancora: «Non cambieremo il mondo, se non cambiamo l’educazione». Un vero e proprio «piano di salvataggio» in atto, come lo ha definito in altre occasioni, per arginare quella cultura dello scarto che non sta lasciando posto nella società per tutta una generazione di bambini e giovani. E continuare a credere che «la vita è un bel tesoro, ma che ha senso solamente se la doniamo». Info per aderire al progetto: www.scholasoccurrentes.orgDiscorso integrale del Papa (altro…)
Sr Tina Ventimiglia, Francescana dei Poveri, e Resi e Alessandra, volontarie dell’associazione Randi che nell’impegno a vivere la spiritualità dell’unità, trovano forme impensate per l’incontro e l’accompagnamento. E il riscatto. Il ruolo della prevenzione: creare opportunità di sviluppo nel sud del mondo. L’8 febbraio, in concomitanza con la memoria liturgica di s. Giuseppina Bakhita, suora sudanese, che da bambina fece la drammatica esperienza della schiavitù, si è celebrata la prima giornata mondiale contro la tratta. Una giornata per rompere il silenzio su questa “vergognosa piaga indegna di una società civile”. Così l’ha definita papa Francesco all’Angelus, col cuore gonfio di angoscia per la moltitudine di “uomini, donne e bambini schiavizzati, sfruttati, abusati come strumenti di lavoro e di piacere e spesso torturati e mutilati”, nell’auspicio che “quanti hanno responsabilità di governo si adoperino con decisione a rimuoverne le cause”. È emblematico che a sollevare la questione su questa ‘moderna’ e inaccettabile forma di schiavitù siano proprio le i religiosi che con la loro presenza nei vari punti del pianeta – primi e a volte unici ‘buoni samaritani’ – sanno farsi prossimi a persone cui con violenza è tolta la libertà personale impossessandosi di tutto il suo essere rendendola schiava. Significativa l’esperienza di Tina Ventimiglia, suora Francescana dei Poveri, che con la sua comunità da dodici anni si sta facendo carico, a Pistoia (Italia), di ragazze provenienti dalla strada. “L’immigrazione clandestina e forzata – racconta – mostra spesso un volto femminile, vittima dei cosiddetti protettori. Questi volti il cui sguardo timoroso, diffidente o sprezzante – di chi non sa più fidarsi di nessuno – ci interpellano fortemente. Alla luce dell’insegnamento della nostra fondatrice e del carisma di Chiara Lubich, non le vediamo realtà da sfuggire, scartare, rimuovere, o peggio da condannare, ma ‘piaghe” di Cristo da sanare. Il male non si deve ‘combattere’ ma ‘attraversare’ con l’esercizio di farsi ‘vuoto’ per accogliere la persona così com’è, degna di amore indipendentemente dalla situazione in cui si trova. L’amore non fa calcoli, ama senza misura, e continua ad amare anche quando non viene accolto o capito. Ed è ancora l’amore a farci comprendere i gesti concreti che si possono fare come il percorso sanitario, o giudiziario per restituire attraverso i documenti la propria identità. Come anche l’accompagnamento nella rielaborazione del vissuto e scoprire così le risorse interiori per riprendere a vivere, facendo sentire la persona degna di amore e capace di amare. Senza tralasciare l’offerta di una rete relazionale sana che consenta loro di integrarsi nel territorio con l’inserimento lavorativo e la successiva autonomia abitativa”. “Randi – racconta Alessandra – è la bambina che 22anni fa Rebecca è venuta a partorire nell’ospedale dove lavoravo. Immigrata clandestinamente a Livorno, non sapeva nulla di italiano ma ugualmente si captava tutta la sua angoscia poiché, non avendo documenti di soggiorno, temeva che le avrebbero tolta la bambina. Accolta senza ragionamenti e pregiudizi, siamo riuscite a trovare una soluzione. Dopo pochissimo tempo più di 70 ragazze in situazioni anche più drammatiche, sapevano di poter contare sulla nostra associazione, che abbiamo chiamato Randi”. “Di che cosa ci occupiamo? – incalza Resi – Spesso siamo di fronte a situazioni di vera e propria schiavitù a fini economici. E’ questo un business che muove un mercato di 24 miliardi di euro e coinvolge, nel mondo tra i 27 e i 50 milioni di esseri umani, soprattutto donne e bambini. Una vera e propria tratta che crea paura, isolamento, incapacità di difesa alcuna. Circa la metà del fenomeno riguarda giovani donne costrette alla prostituzione. Riuscire ad avvicinare queste persone incatenate, cui viene impedito qualunque contatto con il mondo esterno non è davvero facile. A volte la svolta avviene grazie ad un incidente, ad un ricovero ospedaliero, un incontro su un treno. Nel contatto, la spiritualità dell’unità ci aiuta a trasmettere loro che si possono finalmente fidare di qualcuno. E qui avviene il miracolo perché forse per la prima volta non viene chiesto loro nulla in cambio”. Sanare le ferite: la grande scommessa del Vangelo. Ma anche, fin dove è possibile, prevenirle. È in questo versante che sono impegnate le schiere di religiosi e religiose che, portatisi in terre lontane, insieme alla buona novella si adoperano a far crescere la dignità delle persone. È quanto stanno facendo anche i Focolari nel sud del mondo, dove, in 53 paesi dei 4 continenti, sono attivi oltre cento interventi di sviluppo cui sono inseriti 15.000 bambini e le loro famiglie, per creare con essi concrete opportunità di sviluppo da spendere nella propria terra, nella libertà. (altro…)
«Ventotto anni di matrimonio, quattro figli dei quali tre rimasti a Lubumbashi (Congo) per studiare all’Università. La riscoperta di Dio come amore, il metterlo al primo posto della nostra vita personale e di coppia. Sono questi i presupposti spirituali che ci hanno spinti a lasciare tutto per seguire Cristo. Da lungo tempo le comunità del Movimento in Gabon chiedevano l’apertura di un focolare a Libreville. Ed è così che, nel 2011, arriviamo noi come “focolare-famiglia”. Una scelta, la nostra, che ci ha incamminati ad offrire la nostra disponibilità, lasciare il nostro lavoro e partire per una nuova terra. Mai ci eravamo separati dai nostri figli per un così lungo periodo. Non è stato facile, ma con il consenso di tutta la famiglia, abbiamo sentito di poterlo fare. Erano molti gli interrogativi… ma la fiducia in Dio-Amore era grande. Al nostro arrivo in Gabon la prima preoccupazione è stata di rafforzare il nostro amore vicendevole di sposi. In questo modo l’amore tra di noi è ancora più cresciuto, portandoci a ricominciare sempre ad amarci l’un l’altro e ad amare tutti quelli che incontravamo.Qui abbiamo trovato una comunità davvero accogliente, recettiva e, malgrado le ristrettezze della vita, molto generosa. Abbiamo fatto numerosi viaggi attraversando tutto il Paese, per incontrare le comunità anche le più lontane. Tutti ci hanno accolti con entusiasmo. Addirittura, in certi villaggi, ci attendevano lungo i bordi delle strade, con rami di alberi piantati lungo il percorso per manifestare la loro gioia. La famiglia cristiana qui, come del resto in tutta l’Africa, subisce il contraccolpo delle mutazioni socioculturali, e questo ci interpella molto. Stiamo accompagnando nel cammino di fede molte coppie e ad oggi diverse di loro hanno ricevuto il sacramento del matrimonio, altre stanno facendo il percorso per prepararsi a regolarizzare la loro unione. Abbiamo fortemente sperimentato la provvidenza di Dio, a cominciare dalla casa che è stata donata dall’Arcivescovo di Libreville per le attività del Movimento. Per arredarla, ciascuno della comunità ha portato ciò che poteva: un letto, un materasso, una coppia di lenzuola, un fornello, una forchetta, un piatto… Contemporaneamente, tutte le comunità del Gabon si sono organizzate per aiutare concretamente la nostra vita quotidiana. Periodicamente ci fanno arrivare manioca, riso, banane… spesso qualcuno suona il campanello di casa e con sorpresa vediamo arrivare ciò di cui abbiamo bisogno. L’unità, l’amore, la fede nelle parole del Vangelo ci permettono di superare le immancabili difficoltà che qui incontriamo: la mancanza di lavoro, la malattia, l’incomprensione… Dopo tre anni, siamo tornati a Lubumbashi. Abbiamo trovato i nostri figli cresciuti in età e saggezza. Anche in questo abbiamo visto che il Vangelo è vero. Rivederli è stata una gioia grandissima e con ciascuno di loro abbiamo sentito una profonda unità di cuore e di animo. Quando siamo ripartiti, essi hanno rinnovato la loro disponibilità a ‘mandarci’ nuovamente in missione, che consiste nel far incontrare Dio alle persone attraverso il nostro amore reciproco e coprire, con il calore della famiglia e la nostra unità, il grande desiderio delle comunità del Gabon di un vero focolare”. Jeanne et Augustin Mbwambu (altro…)