Mar 15, 2016 | Chiara Lubich, Focolari nel Mondo, Spiritualità
«Avevo 17 anni – racconta Nadine, focolarina libanese, ora in Algeria – quando è scoppiata la guerra in Libano: scuole chiuse, strade minate, bombe di giorno e di notte, cecchini, feriti, morti … Con altri giovani affascinati dalla spiritualità di Chiara Lubich, nei tragici eventi che iniziavano ad imperversare nel nostro Paese sentivamo riecheggiare le stesse parole dei primi tempi dei Focolari, durante la seconda guerra mondiale a Trento, in Italia: “tutto crolla, solo Dio resta”. Anche noi, come Chiara e le prime focolarine, potevamo morire da un momento all’altro e anche noi, come loro, avremmo voluto presentarci a Dio “avendo amato fino alla fine”. Avevamo imparato che amare significa dare attenzione alle necessità di chi ci sta intorno. In quei frangenti non era così facile, ma quando ci riuscivamo sentivamo il nostro cuore sgombrarsi dalla paura e quasi non facevamo più caso alla bufera di odio e di violenza che ci circondava. Così abbiamo potuto aiutare tanti ad andare avanti. Spesso scrivevamo a Chiara per raccontarle ciò che vivevamo e lei ogni volta rispondeva personalmente». «Ricordo ancora gli atti di violenza e i rapimenti di quando sono iniziate le discriminazioni per l’appartenenza religiosa. Anche mio papà è stato rapito due volte. Chiara ci parlava dei primi cristiani e del loro coraggio nel testimoniare la fede anche di fronte ai persecutori romani. Uno dei nostri amici, Fouad, era riuscito a partecipare ad un congresso Gen a Roma. Al ritorno in Libano, mentre percorre la strada dall’aeroporto alla città, viene fermato da alcuni uomini armati. La zona è musulmana e sul suo documento d’identità è scritto: cristiano maronita. “Sì, sono cristiano – ammette Fouad – e sto tornando a casa”. “Tu vieni con noi”, gli dicono. Segue un lungo interrogatorio e alla fine la sentenza: “Tu sai quello che ti aspetta?”. Il ragazzo capisce che per lui è tutto finito. Uno dei miliziani lo preleva e lo porta verso un ponte dove erano già stati uccisi parecchi cristiani. Mentre cammina cerca di calmare l’agitazione interiore e pensa che cosa Dio può volere da lui in quel momento. “Amare questo prossimo”, gli viene in mente. E cerca di far sentire a quell’uomo tutto il suo amore: “Deve essere difficile – gli dice Fouad –, deve essere brutto fare questo mestiere, fare la guerra”. Arrivati in vista del ponte, il miliziano si ferma, lo guarda ed esclama: “Torniamo indietro”. Ricordo che Chiara, particolarmente toccata dalla testimonianza di questo giovane, ha voluto divulgare l’episodio a edificazione di tutto il Movimento».
«Ad ogni “cessate il fuoco” riprendevamo a trovarci, a frequentare il focolare… I nostri genitori avevano paura per noi, ma non potevamo fermarci. Stringere l’unità fra noi era l’energia vitale che ci portava poi ad amare tutti. È stato proprio in quegli anni di guerra che tanti di noi abbiamo sentito la chiamata a donarci totalmente a Dio. Chiara ci sosteneva col suo esempio, con la sua parola. Seguiva con affetto le vicende delle famiglie provate dalle tante restrizioni e dalla stanchezza. Alcune avevano perso il lavoro, la casa. Altre vivevano da anni nei rifugi ed erano desiderose di lasciare il Paese per dare un futuro ai figli, alcuni dei quali rimasti feriti… Per tutte loro Chiara ha aperto le case del Movimento per dare l’opportunità di un soggiorno di recupero all’estero o di stabilirvisi definitivamente. Ha anche lanciato una raccolta fondi per assicurare i costi del viaggio. E poiché l’aeroporto di Beirut è rimasto chiuso per anni, ha mandato noi focolarine ad aprire un pied-à-terre a Cipro – unico accesso all’estero via mare – per facilitare chi partiva».
«Questo amore concreto di Chiara era sempre accompagnato dai suoi forti incoraggiamenti spirituali. Dopo anni di vita allo stremo, spesso ci sentivamo deboli, impotenti. Chiara allora, citando la nuvoletta con la quale Dio si era fatto presente al popolo ebreo, ci suggeriva di lanciarci in modo tutto nuovo a vivere la Parola. La vita del Vangelo – ci diceva – è la “nuvoletta” con la quale Dio si fa presente nel deserto di quell’assurda guerra che stavamo subendo. E da quella “nuvoletta” – ci diceva ancora – non solo attirerete tanti altri a vivere il Vangelo, ma attingerete la forza per continuare ad amare… fino alla fine». (altro…)
Mar 2, 2016 | Chiesa, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
L
a pace come prerequisito a qualsiasi altra azione in favore della Siria: è questo il pensiero di mons. Samir Nassar, arcivescovo maronita di Damasco, presente al convegno dei Vescovi amici dei Focolari dal 23 al 26 febbraio a Castelgandolfo, alla vigilia del cessate il fuoco nel Paese. Per mons. Nassar è la seconda volta sui colli romani per questo appuntamento: e «la prima mi ha dato così tanto che ho deciso di tornare – ha raccontato -. Vengo da Damasco, luogo tormentato dalla violenza e dalla guerra: e questo è un soggiorno che mi permette, con i miei fratelli vescovi e l’attenzione dei Focolari, di vedere più lontano, avere una visione più globale sull’avvenire del mondo, della Chiesa, dei cristiani in Medio Oriente. Quindi è un sostegno fraterno che questo soggiorno mi dà per la vita della mia diocesi». Di fronte alla situazione di guerra che il suo Paese vive, mons. Nassar ribadisce con forza che «la Chiesa di Siria si rifiuta di morire e si aggrappa alla speranza, fatta di segni concreti. Nel 2015 ad esempio abbiamo iniziato a costruire tre cappelle proprio nel momento in cui la gente se ne andava, per dare fiducia ai fedeli nei quartieri periferici in cui la gente non viene più fino alla cattedrale per questioni di sicurezza. Manteniamo la speranza anche attraverso le vocazioni: ci sono giovani preti e seminaristi che arrivano, ed anche questo è un segno di vitalità e speranza per l’avvenire».
L’arcivescovo ha avuto parole di ringraziamento anche per l’opera del Movimento dei Focolari, che continua ad essere presente in Siria nonostante il conflitto: «Davvero il Movimento, in particolare per quel che io vedo a Damasco, fa un lavoro eccellente con giovani, famiglie e bambini – ha affermato – . Incoraggia la gente a vedere il futuro con fede e speranza: e questo è un sostegno per tutte le comunità, un segno dello Spirito che ci aiuta a proseguire su questa strada». A questo proposito, l’arrivo annunciato di una nuova focolarina a Damasco «è un altro segno che in Siria c’è una Chiesa che guarda al futuro e non ha paura di morire. La vostra presenza è un segno di speranza e di rinnovamento e ve ne ringrazio molto». Un segno tanto più importante in un paese in cui «la gente è stanca, vive la guerra, la sofferenza, l’indigenza, e le notizie non sono incoraggianti. La nostra missione come Chiesa e come Focolari è dare coraggio». Riguardo alla comunità internazionale, infine, mons. Nassar constata con rammarico come «il mondo dice di interessarsi molto alla Siria, ma ciascuno lo fa a suo modo: tanto che alla fine nessuno fa veramente gli interessi del Paese». E lancia un appello: «Fermate la guerra. Se la guerra non si ferma, tutto ciò che facciamo è inutile. Riportiamo la pace e poi ricostruiamo tutto il Paese, cristiani e non: tutti i cittadini hanno perso e sofferto molto, e meritano la carità e l’amore della Chiesa. Come papa Francesco stesso dice: i poveri non hanno religione, importa solo l’uomo. Attendiamo prima di tutto dei passi verso la pace, il resto è secondario». (altro…)
Feb 24, 2016 | Chiesa, Dialogo Interreligioso, Ecumenismo, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità

Maria Grazia (al centro)
Ad ormai 5 anni di guerra, l’annuncio di un possibile accordo di “cessate il fuoco” in Siria, non alimenta chissà quali speranze nella popolazione che continua, di giorno in giorno, a veder precipitare la situazione. Le autobombe continuano a seminare morti fra i civili, i raid aerei sempre più spesso prendono di mira anche le strutture umanitarie; mentre nei campi di battaglia si continua a morire. Per non parlare delle perdite del lavoro, della casa e delle continue e ormai insopportabili interruzioni di energia e acqua, mentre la vita, per forza di cose, deve comunque andare avanti. In una cultura dove la famiglia è al centro, motivo di sofferenza è anche veder partire i propri congiunti per improbabili destinazioni all’estero, senza speranza di potersi un giorno rivedere. E per chi rimane, c’è l’angoscioso dilemma se fa bene a restare in una terra a immediato rischio di morte e senza prospettive di futuro. Eppure è proprio lì che Maria Grazia Brusadelli, focolarina italiana, si prepara ad andare. Che cosa ti spinge – chiediamo – a lasciare la sponda sicura dell’Italia per prendere il largo verso un simile ignoto? «È un’urgenza che sento dentro da mesi, avvertita direi come una seconda chiamata di Dio, a spendermi per chi più soffre, per chi più è in pericolo. E che vuole essere la mia personale risposta alla domanda che nel Movimento ci siamo fatti su come dar seguito all’appello di papa Francesco ad “uscire” verso le periferie del mondo. Così ho detto a Gesù: “manda me”. Mi è sembrato che Egli accogliesse questa mia disponibilità. Ne abbiamo parlato fra di noi e mi è stato proposto di andare a rafforzare il focolare di Damasco».
Una “periferia” che, al momento, più estrema non c’è. Ora Maria Grazia sta preparando i documenti per l’espatrio. Nel frattempo è andata a comunicare la sua scelta ai parenti e sta dando le consegne a chi la sostituirà nel suo attuale incarico. Sarebbe ancora in tempo a cambiare idea, dato il perpetrarsi delle ostilità. È di qualche giorno la notizia di una bomba fatta esplodere nella struttura ospedaliera di Medici Senza Frontiere di Marat al Numan, 8 vittime, lasciando una popolazione di 40.000 persone senza servizi sanitari in una zona in pieno conflitto. E l’uccisione ad Aleppo di un giovane volontario Caritas. Maria Grazia, che effetto ti fanno queste notizie? Hai qualche ripensamento? «Assolutamente no. È vero, ogni notizia tragica che arriva è una frecciata al cuore. Ma non ho paura. Anche se sono consapevole dei rischi, non temo per la mia persona. Penso a quanti sono lì e vorrei essere già con loro a condividere questi strazi, a portare, con la sola mia presenza – purtroppo non conosco l’arabo – un po’ di speranza. Vorrei essere già lì per far sentire la solidarietà e la vicinanza dei membri dei Focolari che in tutto il mondo ogni giorno pregano perché in Siria torni la pace. I siriani con i quali siamo in contatto sono molto grati per questa condivisione mondiale e per tutto quello che sul posto si fa per alleviare i loro disagi. Vorrei essere già lì anche per portare l’affetto e la speranza della Chiesa. Prima della partenza avrò la grazia di un incontro col Santo Padre così, andando lì, potrò trasmettere il suo messaggio. Ad attendermi a Damasco ci sono altre tre focolarine e ad Aleppo anche i focolarini. Da ambedue le città essi vivono in stretta comunione con le persone che in Siria hanno fatta propria la spiritualità dell’unità, come è vivo anche il dialogo ecumenico e interreligioso con la gente del posto. Perché Focolare, in ogni parte del mondo, è spirito di famiglia, fra di noi e con tutti». (altro…)
Feb 15, 2016 | Famiglie, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
«Uscendo da casa il 3 maggio di 21 anni fa per raggiungere la banca dove lavoravo, non pensavo certo che la sera non vi sarei tornato. Un forte mal di testa aveva costretto i miei colleghi a portarmi d’urgenza in ospedale. Avevo 49 anni, una vita professionale ben avviata, una promozione imminente, una bella famiglia con tre figlie dai 18 ai 14 anni. Improvvisamente mi sono ritrovato su una carrozzina che neppure riuscivo a governare perché, oltre all’uso della gamba, avevo perso anche quello del braccio. Ero diventato un nulla: dovevo essere aiutato a mangiare, lavarmi, vestirmi… dipendevo in tutto dagli altri. Sentivo dentro disperazione e angoscia, sentimenti che cercavo di scacciare perché sapevo che non erano la soluzione. Da quando avevo abbracciato la spiritualità dei Focolari, avevo imparato a rendermi disponibile alla volontà di Dio, e anche se non capivo il perché di questo sfacelo, con mia moglie Pina abbiamo voluto credere che pure questo era amore di Dio per me, per noi. Anche le nostre figlie si sono lasciate coinvolgere in questa scelta e fin dai primi giorni mi sono ritrovato una forza e una pazienza che non avrei mai pensato di avere. In pochi mesi ho recuperato l’uso della gamba e seppur con grande fatica e col supporto di un collega che mi accompagnava, sono riuscito a tornare al lavoro per altri 7 anni. Poi non ce l’ho più fatta.
Già allora la mia inabilità non mi consentiva di camminare se non per brevi tratti, non potevo più guidare l’auto, farmi la doccia da solo, abbottonare i vestiti, tagliare il cibo nel piatto, avvitare una caffettiera, abbracciare mia moglie e le figlie. Non potevo fare, insomma, tutti quei gesti per i quali occorre l’uso delle due mani. A volte, più amara ancora era la paura. Paura di non farcela ad andare avanti come coppia, paura della solitudine, della mia fragilità di fronte alle diverse situazioni, del dubbio di saper ancora svolgere il ruolo di padre, e così via. Poi sono subentrate altre sospensioni di salute: ricoveri in ospedale, un tumore fermato in tempo, cadute con fratture, ecc. Oggi con tenacia continuo a fare le fisioterapie, anche se so che prospettive di guarigione non ce ne sono. Ma almeno aiutano a rallentare il processo invalidante. Più forte di tutto questo però, avverto dentro di me la grazia della vicinanza di Dio in ogni attimo. In questi 21 anni la raffinata fedeltà di Dio mi ha sempre accompagnato, con la delicatezza e la tenerezza che solo Lui sa dare. Con Pina abbiamo imparato a lasciarci portare da Lui, a farci sorprendere dal suo amore. E quando tutto sembrava crollare, o diventava precario o confuso, in fondo al cuore percepivamo che questo partecipare – in qualche misura – al mistero di Gesù sulla croce, era per noi un privilegio. Come Lui anch’io, anche noi cerchiamo di superare il dolore amando tutti quelli che sono intorno a noi, sperimentando, in quella che possiamo chiamare ‘alchimia divina’, che il dolore è come un talento da far diventare amore.
Dio mi/ci ha presi per mano e, svelandoci poco a poco il suo progetto su di noi, ci ha fatto il dono di entrare in profonda intimità con Lui e fra noi, facendoci comprendere – nella luce – anche il misterioso significato del dolore. E quello che poteva sembrare un limite si è trasformato in ricchezza, quello che poteva fermarci si è tramutato in corsa, anche per la forte condivisione con tanti altri. Dio ci ha resi più sensibili e misericordiosi con tutti quelli che con tanta fantasia ci mette accanto. Facendoci sperimentare che anche una malattia invalidante non toglie la possibilità di essere strumenti nelle mani di Dio per il prossimo». Giulio Ciarrocchi (altro…)
Feb 5, 2016 | Chiesa, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Il 51° Congresso Eucaristico Internazionale si è svolto a Cebu, nelle Filippine, dal 24 al 31 gennaio scorsi. La squadra dei social media è andata a scoprire le storie più significative per raccontarle attraverso la pagina Facebook (IEC2016SocialMedia). Tra queste, l’esperienza di Marinova, focolarina a Cebu. «Avevo solo undici anni quando nella nostra casa è entrato un grande dolore. Mio padre è stato ucciso da un gruppo di persone molto influenti e non si è fatta giustizia perché eravamo poveri. I nostri nonni ci hanno ricordato che la vera giustizia si trova solo in Dio! Grazie al loro aiuto sono riuscita a terminare l’università e subito ho trovato un lavoro. Mantenevo la famiglia lavorando sodo per aiutare mia madre. Ho fatto molti debiti con usurai per portare avanti la famiglia. Per tutte queste difficoltà è nato nel mio cuore un profondo odio verso le persone che hanno ucciso mio padre. Erano la causa di tutte le sofferenze nella nostra vita. Poi ho studiato giurisprudenza desiderosa di ottenere giustizia per la morte di mio padre. Dio però aveva un altro piano per me. Una delle mie colleghe, una giovane dei Focolari, mi ha invitato ad un incontro organizzato da questo movimento ecclesiale che ha lo scopo di portare a compimento la preghiera che Gesù ha rivolto al Padre: “Che tutti siano uno” e di contribuire all’unità della famiglia umana traducendo in vita il Vangelo. Una nuova avventura stava per cominciare nella mia vita. Anch’io ho iniziato a mettere in pratica le parole di Gesù. Lui ha detto: “A chi mi ama, mi manifesterò”; “Qualunque cosa hai fatto al più piccolo, l’hai fatto a me”. Sono diventata dipendente da questa nuova droga: l’AMORE… Ho trovato l’essenza e il vero significato della mia vita e per la prima volta ho sentito che Gesù nell’Eucaristia era la fonte di tutto questo. Un giorno ho chiesto a Gesù di insegnarmi a vivere concretamente la Sua parola: “Amate i vostri nemici” perché sentivo che l’odio per le persone che avevano ucciso mio padre mi avvolgeva ancora. Ed ecco che il giorno dopo, al lavoro, ho incontrato, per puro caso, il capo del gruppo. Spontaneamente l’ho salutato con un sorriso e gli ho chiesto come stavano tutti nella sua famiglia. Ho visto che questo saluto l’ha lasciato sconcertato. Ed io lo ero ancora di più per quello che avevo fatto. Poco a poco ho sentito che l’odio dentro di me si stava sciogliendo trasformandosi in amore. Quello però era soltanto il primo passo: l’amore è creativo! Sentivo che ogni membro del gruppo doveva sentire il nostro perdono. Con uno dei miei fratelli siamo andati a trovarli cercando di ristabilire il nostro rapporto e di far loro capire che Dio li ama! Fino al punto che uno di loro ha chiesto perdono per quello che ha fatto e chiedeva preghiere per la sua famiglia e la sua salute. Sapevo con certezza che questa esperienza di perdono e di guarigione si fondava nel potere trasformante di Gesù nell’Eucaristia». (altro…)