15 Dic 2017 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
«Per quanto sia ricca l’Africa, altri sembrano beneficiare più di lei di queste ricchezze. Nel concedere contratti di estrazione dei minerali alle multinazionali ad esempio, c’è un gioco di interessi, in cui ‘compensi’ e ‘compromessi’, ‘arrangiamenti’ e ‘ringraziamenti’ hanno come conseguenza lo sfruttamento del paese produttore, senza un vero aumento del livello di vita delle popolazioni». Raphael Takougang, avvocato camerunese di Comunione e Diritto, dipinge con forti pennellate il quadro della realtà che si vive oggi in Africa: «La corruzione in Africa non è solo opera di singoli cittadini, ma è soprattutto un modo consolidato con il quale le potenze economiche “creano” e sostengono despoti purché siano pronti a proteggere i loro interessi, con la complicità silenziosa della comunità internazionale». A pagare sono sempre i più poveri. Takougang non si limita alle sole denuncie, anzi, nonostante tutto si dimostra ottimista «perché sta nascendo una nuova generazione di leader politici in Africa che ha capito che … dovrà principalmente essere il cittadino a controllare l’azione di chi lo governa … per assicurare la difesa dei diritti fondamentali dei popoli africani alla vita, all’educazione, alla salute, al bene spirituale e materiale». Patience Lobé, ingegnere – responsabile mondiale delle volontarie che, insieme ai volontari, animano Umanità Nuova – durante tutto il suo mandato come dirigente presso il Ministero dei Lavori Pubblici in Camerun ha subito pesanti minacce: «Per la concezione africana della solidarietà chiunque ha bisogno deve essere soddisfatto: per questo motivo passavano continuamente persone nel mio ufficio, chi per chiedere un lavoro, chi per chiedere un sostentamento. Durante la mia permanenza come responsabile di quell’ufficio non c’è stato giorno in cui non sia stata tentata o minacciata. La corruzione è un virus diffuso, contagioso, difficile da estinguere. Come tutti i virus, serve un vaccino per poterlo debellare. Il vaccino potrebbe essere rappresentato da un vero cambiamento di mentalità: l’educazione a una cultura diversa da quella consumistica, che trova nel possesso dei beni e nell’avere l’unica via alla felicità».
Allo stesso modo, non è facile avviare percorsi e buone pratiche nel campo della lotta all’illegalità nella gestione della denaro pubblico. Françoise, funzionaria francese presso il Ministero delle Finanze, racconta: «Per la varietà delle situazioni, dei servizi pubblici e delle questioni che devo trattare non è sempre facile mantenere il discernimento, difendere la legalità, sostenere le buone pratiche di gestione o semplicemente essere coerente con i principi di onestà (anche intellettuale), rettitudine, cooperazione e solidarietà con i colleghi. Ma l’esperienza di lavoro nel corso degli anni mi ha confermato che, ogni volta che sono stata fedele a questi valori, ho scoperto sempre nuovi orizzonti, nuovi modi di fare, le situazioni si sono risolte e l’unità tra istituzioni e persone è stata possibile». Paolo, dirigente presso il Comune di una grande città italiana, aggiunge: «Non dobbiamo dimenticare che come pubblici dipendenti il nostro compito primario è quello di dedicarci al bene della collettività in tutti i suoi aspetti, assumendo il peso delle responsabilità che ne derivano. Ogni azione deve essere conforme a dei principi e dei valori senza i quali non si può vivere insieme, favorendo il benessere e il progresso umano di tutti i cittadini». Lotta alla corruzione, quindi, ma non solo. Diffusione di buone pratiche, rispetto dei diritti del cittadino e dei suoi bisogni, ma anche accoglienza, capacità di mettersi in rete con altre istituzioni: sono queste le grandi sfide per chi lavora nella Pubblica Amministrazione. Ne sono convinti i partecipanti al convegno, che le hanno fatte proprie per continuare a portarle avanti ogni giorno. Semi di una cultura della legalità che frutterà, senza far rumore, nel loro Paese. (altro…)
14 Dic 2017 | Chiara Lubich, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Spiritualità
Sono nata a Bergamo, prima di 4 figli di una bella famiglia con solide radici cristiane. A 17 anni frequentavo le scuole superiori ed ero impegnata in parrocchia. Mi appassionava lo studio, dedicarmi agli altri, le gite in montagna. Avevo molti amici e una esperienza di fede ricca. Ero, come allora si diceva, “una brava ragazza”, eppure… mi mancava sempre qualcosa. Cercavo qualcosa di più grande, bello, vero. L’Italia attraversava anni difficili segnati dagli attentati delle Brigate Rosse, dalla crisi del lavoro. Mio padre, metalmeccanico, era stato in cassa integrazione e, in seguito, aveva perso il lavoro. Sentivo forte il dolore delle ingiustizie, delle contrapposizioni sociali, l’impegno politico per una società da rinnovare. Trascorrevo delle ore a parlare con gli amici, a confrontarci in dibattiti che, però, mi lasciavano il vuoto dentro. Un
giorno Anita, una ragazza della parrocchia, invitò me e mia sorella al Genfest che si sarebbe tenuto a Roma. Ci disse che avremmo incontrato migliaia di giovani di altri Paesi e anche il Papa. Anita aveva qualcosa di speciale, una gioia sincera che le brillava negli occhi, e come lei altre persone della parrocchia – il sacerdote, due catechiste, un seminarista – sembravano avere un segreto: erano sempre aperti a tutti, disponibili, capaci di ascolto vero. Con una buona dose di incoscienza, io e mia sorella siamo partite in pullman con un centinaio di giovani della parrocchia alla volta di Roma e del Genfest. Per un incidente siamo arrivati tardi allo stadio Flaminio e siamo capitati sugli spalti più alti, scoperti, e lontani dal palco dove campeggiava una scritta: “Per un mondo unito”. Pioveva a dirotto ed ero fradicia. Ho iniziato a chiedermi perché mai mi fossi decisa per un’avventura del genere. Ma subito dei giovani svizzeri seduti sui gradini sotto di noi, ci hanno passato dei teli di plastica per ripararci, ci hanno offerto da mangiare e dei cannocchiali per poter seguire meglio il programma. Parlavamo lingue diverse, ma ci siamo compresi subito: ho sperimentato la gratuità dell’amore e una grande accoglienza. Sul prato dello stadio, nonostante la pioggia, si alternavano coloratissime coreografie: mi sembrava di essere entrata in un’altra dimensione. 40.000 giovani pieni di entusiasmo che arrivavano da tutti i punti della Terra, che testimoniavano il Vangelo vissuto realmente.
Sul palco, poi, è salita una piccola donna dai capelli bianchi. Era Chiara Lubich. La vedevo col cannocchiale. Appena iniziò a parlare nello stadio ci fu un profondo silenzio. Ascoltavo rapita, più che da quanto diceva dal suo tono di voce, dalla convinzione che emanava dalle sue parole, da una potenza che contrastava con la sua figura fragile. Parlava di un “momento di Dio”, e pur elencando divisioni, fratture, disunità dell’umanità, annunciava un grande ideale: quello di un mondo unito, l’ideale di Gesù. Ci invitava a portare il divino nella società, nel mondo, attraverso l’amore. Il discorso durò pochi minuti, e mi ritrovai come schiacciata da una commozione mai provata, col volto rigato da lacrime liberanti. Uscii da quello stadio camminando tra un fiume di giovani, con una convinzione profonda che – in seguito – nessun avvenimento doloroso o difficile ha mai potuto scalfire: il mondo unito è possibile ed io ho la meravigliosa possibilità di costruirlo con la mia vita!
Avevo trovato! Volevo vivere come Chiara, come quei giovani tra cui ero stata quel pomeriggio, avere la loro fede, il loro slancio, la loro gioia. La mattina dopo in piazza S. Pietro, l’incontro entusiasmante con Giovanni Paolo II. Nel viaggio di ritorno, io – timidissima – tempestai di domande le Gen: volevo sapere tutto di loro! Iniziai a frequentarle nella mia città, e le Gen mi parlarono del loro segreto: un amore incondizionato a Gesù Abbandonato in ogni dolore piccolo o grande in noi o attorno a noi. Compresi che si trattava di una esperienza di Dio, radicale, senza mezze misure; che Lui mi chiamava a darGli tutto, a seguiLo. Mi venne una paura grandissima: per me si trattava di TUTTO o NIENTE. Nei mesi successivi al Genfest, non mancarono sofferenze e dolori forti. Ma la vita che avevo intrapreso con le Gen, il poter dare un senso al dolore, l’unità tra noi fatta di amore concreto, di condivisione, mi ha aiutato ad andare avanti, al di là di ogni ostacolo, in una avventura straordinaria che mi ha dilatato il cuore. Ho sperimentato che, con Dio tra noi, tutto è possibile e la realtà dell’unità della famiglia umana che avevo sognato, realizzabile.
Patrizia Bertoncello
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11 Dic 2017 | Centro internazionale, Cultura, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Non un viaggio turistico, quello organizzato dalla Rete internazionale “Dialoghi in Architettura” insieme all’Università di La Salle di Bogotá, ma un’esperienza di vita insieme, conoscendo direttamente i luoghi, il mondo della cultura, delle imprese e delle associazioni. La partenza è da Bogotá, dal Sud della città. Gli sguardi disorientati degli italiani dicono che bisogna “cambiare gli occhi” per trasferirsi col cuore e la mente in questa terra dai forti contrasti e con un diverso rapporto con l’ambiente e il territorio. Oltrepassiamo, a più di 3000 metri, la Cordigliera Orientale raggiungendo il centro di Villanueva, paese coloniale tra le montagne, dove sembra si sia fermato il tempo. Assistiamo ad una esercitazione di evacuazione degli abitanti in caso di terremoto, e la riunione nella piazza del paese che ci dà modo di vivere con tutti questo momento comunitario. Il viaggio riprende su una lunga strada in discesa, contorta, attraverso tunnel che fanno scoprire a tratti il verde intenso delle montagne e la vista di bellissimi panorami. Solo per un momento si vede l’intervento dell’uomo che sta costruendo un ardito ponte di collegamento. Raggiungiamo la porta del Llano, Villavicencio. La temperatura esterna è molto alta, pari al calore della gente che incontriamo. Un maestoso albero ci ripara dalla luce.
Riprendiamo la strada attraversando “el llano”, un’immensa distesa. È una natura disabitata, che contrasta con la megalopoli. Tappa successiva: Yopal, città mai visitata prima, ma subito familiare per l’accoglienza che riceviamo. Visitiamo l’Università Unitrópico, che ha iniziato un percorso interdisciplinare e di architettura sociale. Come in tutti i paesi dell’America Latina, anche in Colombia l’architettura non può essere disgiunta dal sociale e nasce dai rapporti costruiti con le comunità. Nei pressi di Yopal si trova il Campus universitario ‘Utopia’ dell’Università di La Salle. Un’esperienza per i giovani che provengono dalle regioni rurali, vittime di violenza da parte della guerriglia. Coniugando lo studio e il lavoro della terra ottengono un diploma in Scienze Agrarie e la possibilità di iniziare un lavoro. Una concreta esperienza pilota di pace, cui guardare con speranza. Eccoci a metà del viaggio. Dopo un’ottima colazione tipica, ripartiamo per le città coloniali di Monguì, e Tunja, prima capitale della Colombia. Nelle grandiose piazze coloniali, come a Villa de Leyva, si incontrano le popolazioni indigene che ci trasmettono la loro forte identità che oggi si integra bene nelle architetture coloniali. Rientriamo a Bogotá dal Nord. L’impatto è quasi più forte che dal Sud. Attraversiamo la zona più ricca con le sue abitazioni chiuse in recinti di sicurezza. L’esperienza continua con il workshop organizzato dall’Osservatorio Urbano dell’Università La Salle, nel quartiere periferico Altos de Cazucá, dove ci trasferiamo per una settimana, conoscendo da vicino le famiglie, condividendo il cibo e dormendo nelle loro case. L’impatto è molto forte. Siamo insieme a giovani universitari della Germania, di Bogotá e di Yopal. La povertà è altissima ma la solidarietà e i rapporti che esistono ci fanno scoprire l’identità del posto. L’esperienza di lavoro è nuova! Si tratta di completare gli esterni di alcune abitazioni, realizzare degli orti, dipingere alcune facciate, allestire una biblioteca, disegnare dei murales che esprimano la vita di quella comunità. Un’intera famiglia viene simbolicamente rappresentata da uccelli, tra loro anche il figlio ucciso dalla delinquenza locale, un dolore che abbiamo condiviso. Uno dei giovani del quartiere ci dice: «Abbiamo lavorato insieme e abbiamo reso bello il nostro quartiere. Ora si continuerà completando le strade». I loro sguardi si imprimono dentro di noi: grande entusiasmo e nuova speranza ci invadono. Lo scambio interculturale è un vero e proprio arricchimento nel fare architettura insieme. Mettendo a disposizione le sue capacità e conoscenze, l’architetto può contribuire a ricostruire il tessuto sociale realizzando spazi che servano a custodire e far crescere l’identità di un luogo con la sua comunità. (altro…)
6 Dic 2017 | Focolari nel Mondo, Spiritualità
Non rivale, ma figlia A lungo avevo vissuto momenti molto difficili nel rapporto con mio marito Martin a causa di mia suocera. Lei non riusciva a staccarsi dal figlio e mi considerava come colei che le aveva rubato il suo affetto. Stavo lì lì per lasciare mio marito, la casa e i figli, quando mi è arrivata la Parola di Vita del mese. Quel commento mi veniva inviato puntualmente da amici, ma io non lo leggevo mai, malgrado mi ritenessi cristiana. Ma ero così a terra che Dio mi pareva lontano. Quella volta invece l’ho letta, e fin dalla prima frase l’ho sentita rivolta a me. Tra le lacrime, ho implorato l’aiuto di Dio. Giorni dopo, Martin e io abbiamo partecipato, come ultimo tentativo, a un incontro di famiglie. Nel clima di apertura che si era stabilito, abbiamo trovato la forza per pronunciare il nostro nuovo «Sì». È stata la svolta della mi vita. Sempre col sostegno delle altre coppie, sono riuscita a conquistare l’affetto di mia suocera. Col tempo ha cominciato a non considerarmi più come rivale, ma come figlia. Quando si è ammalata, l’ho assistita con amore e dedizione, preparandola all’incontro col Padre. (Lucero – Colombia) Provvidenza La mattina del 24 dicembre ero stato al mercato per acquistare il cibo per il cenone di Natale. Alle bevande non avevo però ancora provveduto. Tornato a casa, ho trovato una lettera, era di alcuni conoscenti che mi chiedevano un prestito. Corrispondeva al denaro per le bibite. Mi sono consultato con Giselle e abbiamo risposto: «Ve lo inviamo in regalo, non vi preoccupate di restituircelo!». Anche con acqua fresca, abbiamo trascorso una meravigliosa serata tra canti e musica. Giorni dopo, ci è arrivata inaspettata una somma superiore a quella di cui ci eravano privati. (G.P. – Kenia) In stazione Stavo per recarmi da mia figlia, che abita in un’altra città, ma arrivata in stazione mi sono accorta che, per essermi fermata ad accogliere una persona, la possibilità di usufruire di uno sconto per anziani era scaduta. Pensando però che valeva di più aver fatto un atto d’amore che una riduzione sul biglietto, ho ritrovato la serenità. Senonché, mentre ero allo sportello, l’impiegato mi ha detto che quel giorno, e solo per quel giorno, era previsto un prezzo ridotto unico per tutte le destinazioni. Lo sconto era più del doppio di quello a cui mi avrebbe dato diritto la tessera. (G.M. – Italia) Il rischio Talvolta uno dei nostri figli invitava a dormire a casa nostra un amico, un tipo poco affidabile. Mio marito e io, davanti a questa situzione, abbiamo deciso di interessarci a lui, e abbiamo scoperto che aveva lasciato la sua famiglia, soffriva di depressione e, oltre a bere, faceva uso di droga, e che l’aveva offerta anche a nostro figlio. Nonostante la paura difronte a questo rischio, abbiamo cercato di amarlo, come ci insegna il Vangelo. Un giorno ci ha confidato che aveva smesso di drogarsi e che adesso voleva vivere come noi. «La vostra vita ha un senso» ci ha detto. Col tempo, oltre a farlo curare, abbiamo contattato i suoi genitori che hanno cominciato a prendersi più cura di lui. (C.A. – Brasile) (altro…)
29 Nov 2017 | Chiara Lubich, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Spiritualità
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