22 Nov 2018 | Chiesa, Ecumenismo, Focolari nel Mondo

Beatriz Lauenroth
Beatriz Lauenroth, giornalista, è una delle animatrici di “Insieme per l’Europa”, libero convergere di comunità e movimenti cristiani – oltre 300 – di diverse Chiese che, in rete, agiscono con obiettivi condivisi per il Vecchio Continente, promuovendo una cultura della reciprocità attraverso la quale i singoli e i popoli possono accogliersi, conoscersi, riconciliarsi e sostenersi vicendevolmente. Beatriz è vera cittadina d’Europa: tedesca di nascita, ha trascorso gli ultimi dieci anni in Olanda e i precedenti venti in Russia: «Lì, ho perso il mio cuore. Mi sono innamorata di quel paese e dei rapporti che ho potuto costruire con le persone». A lei chiediamo di spiegarci com’è nato il percorso di “Insieme per l’Europa”. «Penso che tutto abbia avuto inizio il 30 maggio del 1998 ˗ racconta ˗ quando Giovanni Paolo II invitò in Piazza San Pietro tutti i movimenti e le nuove comunità ecclesiali. Lì, Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, sentì di impegnarsi con il Pontefice per promuovere l’unità tra i movimenti cattolici. Poi, un ulteriore passo in avanti, nel 1999, per la precisione il 31 ottobre, avvenna ad Augsburg, in Germania, con la firma della Dichiarazione congiunta sulla Dottrina della Giustificazione, da parte della Federazione Luterana Mondiale e dalla Chiesa cattolica romana». Un evento storico per il cammino ecumenico: «In molti, quella stessa sera, si ritrovarono nella vicina Ottmaring, sede della cittadella ecumenica dei Focolari. C’era Chiara Lubich ed altri rappresentanti dei movimenti come Andrea Riccardi, di Sant’Egidio, e anche protestanti, come Helmut Nicklas, responsabile dell’YMCA di Monaco (Associazione ecumenica di giovani cristiani). Si dissero: troviamoci, conosciamoci e iniziamo a lavorare insieme!».
Quel primo tratto di cammino portò in seguito alle grandi manifestazioni di “Insieme per l’Europa” del 2004 e del 2007, che si svolsero a Stoccarda; più tardi, nel 2012, in 152 città contemporaneamente, con fulcro a Bruxelles e, nel 2016, in una piazza centrale di Monaco di Baviera. Da allora, il cammino non si è mai interrotto e, nel 2016, “Insieme per l’Europa” si è svolto a Monaco, in Germania, con 36 tavole rotonde e forum per condividere esperienze, buone pratiche e prospettive riguardanti l’Europa. Nel novembre 2017, l’incontro degli amici di Insieme per l’Europa è giunto a Vienna, città ponte tra Est e Ovest.
In questi giorni, questo libero consesso di movimenti e comunità cristiane si è ritrovato a Praga, in occasione dell’anniversario dell’inizio della cosiddetta “Rivoluzione di velluto”, la rivoluzione non violenta che, nel 1989, rovesciò il regime comunista cecoslovacco: «È una coincidenza che interpella fortemente gli amici di Insieme per l’Europa, per rinnovare il nostro comune impegno, quello di portare nella cultura post-secolare lo spirito dell’umanesimo cristiano, offrendo così il nostro contributo nel dare vita e forma ad un’Europa più unita». Al di là delle paure e dei pregiudizi, si vuole testimoniare che il cammino verso un’Europa “casa delle nazioni e famiglia di popoli” non è un’utopia.
Il convegno di Praga si è aperto con l’intervento del teologo-filosofo ceco Tomáš Halík (Templeton-Preis 2014), amico personale di Vaclav Havel, primo presidente della neo-costituitasi Repubblica Ceca dal 1993 al 2003, e poi di Jaroslav Šebek, membro dell’Istituto Storico dell’Accademia delle Scienze della Repubblica Ceca, e di Pavel Fischer, senatore ceco. I responsabili e i rappresentanti di diversi Movimenti, Comunità e Associazioni sono intervenuti per ricordare insieme un’altra Europa, quella delle grandi speranze e promesse che sorgono dal ricco patrimonio di una molteplicità etnica, sociale, culturale, che tende alla comunione e al dialogo. L’avvenimento di Praga è diventato così una tappa importante nella storia di Insieme per l’Europa, che continua ad impegnarsi per un’Europa più unita e più fraterna. «Si parla spesso ˗ conclude Beatriz ˗ dei Padri Fondatori d’Europa, Schuman, De Gasperi e Adenauer. I giovani ci dicono: fateci lavorare con voi, così l’Europa dei padri diventerà anche l’Europa dei figli e delle figlie». Fonte: UnitedWorldProject (altro…)
21 Nov 2018 | Focolari nel Mondo, Spiritualità
Una figlia disabile Una genitore non si aspetta mai di avere un figlio con delle disabilità. Quando è accaduto a noi, mia moglie, già fragile psicologicamente, è caduta in depressione. Mi sono trovato a condurre la famiglia in modo imprevedibilmente nuovo. I primi mesi, carichi di domande, mi stavo isolando da amici e parenti. Un giorno ho incontrata sulla scala del condominio una coppia che, pur con una bambina con la sindrome di Down, appariva molto serena. Alla mia domanda, come facessero ad essere così, la loro risposta è stata spiazzante: “Nostra figlia è il dono più grande che potevamo ricevere. Lei ci ha ricondotti alla realtà e tutta la famiglia ne è beneficiata”. Mia moglie e io siamo andati spesso a trovarli. Abbiamo conosciuto la lro fede e, giorno dopo giorno, abbiamo riscoperto anche a noi, grazie a loro, dei valori che prima avevamo trascurato. (A. e G.F. – Italia) Un dono insperato Alcuni parenti che si erano allontanati da noi, per motivi di eredità, hanno accolto il nostro invito a venire da noi qualche giorno. Quando però ci hanno comunicato la data di arrivo, non era il momento migliore: eravamo in difficoltà economiche e mi mancava il tempo per preparare bene la casa, come avrei voluto. Poi ho pensato che la pace ritrovata era il dono più grande e abbiamo deciso, con tutta la famiglia, di fare del nostro meglio per rendere felice il loro soggiorno. Avremmo anche voluto far loro un regalo, ma in mancanza d’altro il figlio più piccolo ha preparato un disegno e la più grande una poesia di benvenuto. Il giorno precedente il loro arrivo, nella ditta in cui lavora mio marito, gli impiegati hanno ricevuto un regalo premio. Quando l’abbiamo aperto, c’erano due orologi, uno da donna e uno da uomo: il dono insperato per i nostri parenti. (R.H. – Germania) Un’altra opportunità Una delle mie cognate ci aveva chiesto il favore di ospitarla a casa nostra per un periodo e di firmare la garanzia per un prestito bancario di cui aveva bisogno. La casa in cui viviamo è piccola, ma l’abbiamo accolta volentieri. Per il prestito, vedevo mio marito molto preoccupato, considerando che qualche anno fa le avevamo prestato una somma che lei non ci aveva mai restituito. Gli dissi che qualunque decisione avesse preso l’avrei accettata, aggiungendo però che ogni persona merita sempre un’opportunità per riscattarsi. Dio forse non fa così con noi? Abbiamo firmato la garanzia per il prestito, che mia cognata sta pagando, anche se alcuni ritardi. Quanto a me, sento che devo continuare ad aiutarla, e a volte facciamo delle lunghe conversazioni nelle quali sei si apre come se io fossi una sorella, superando le barriere che ci dividevano. (M.D. – Paraguay) A totale disposizione Dopo la morte della nostra prima bambina, a soli 14 mesi, anche gli altri due figli che sono arrivati dopo hanno cominciato a presentare gli stessi sintomi. Mia moglie ed io eravamo col fiato sospeso, e la casa era diventata come un piccolo ospedale. Tuttavia, cercando di amarci tra di noi, i figli crescevano colmi di pace. Quante volte, guardandoli, mi sono convertito! Entrando in casa dopo il lavoro, cercavo di lasciare fuori tutte le preoccupazioni e i problemi per essere completamente a loro disposizione. Solo così poteva funzionare. Diversamente avremmo potuto essere travolti dall’angoscia e dalle preoccupazioni per il futuro. Abbiamo toccato con mano che Dio può tutto, e farci gustare un po’ di paradiso anche in un contesto impegnativo. (G.M.B. – Italia) (altro…)
16 Nov 2018 | Chiesa, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
In anticipo di qualche giorno sulla data stabilita per la festa liturgica, fissata il 29 ottobre, trecento giovani e ragazzi, lungo le strade di Acatzingo, nello Stato di Puebla, Messico, hanno sfilato fin dal mattino in onore della beata Chiara Luce Badano, la “beata dei nostri tempi”. Tra musica e danze, il 20 ottobre scorso, è cominciata così, all’insegna della gioia e dei decibel, la celebrazione organizzata dalla comunità dei Focolari con il coinvolgimento di cinque gruppi dalle scuole del posto. Dal 2012, nella cittadella “El Diamante”, cuore pulsante della comunità, una cappella è intitolata alla giovane, beatificata nel 2010. Da qui, la proposta contagiosa di una piena e gioiosa adesione alla volontà di Dio – “uno splendido disegno che, a poco a poco, mi si svela”, secondo le parole della stessa Chiara Luce – che raccoglie ogni anno numerosi giovani. Coinvolgendo “testa, cuore, mani”.
Ispirandosi alle parole di Papa Francesco, che anche durante il recente Sinodo ha additato molti giovani come modelli di santità, i ragazzi coinvolti hanno fatto conoscere pensieri e momenti della vita di Chiara Badano, in un clima di festa e amicizia. A pochi chilometri da “El Diamante”, nella città di Acatzingo, ferita negli ultimi mesi da un’ondata di violenza, gli spettatori sono stati invitati a partecipare ad un’iniziativa, quella del “lancio del dado dell’amore”. Come in tanti altri paesi del mondo, il gesto, dalla forte valenza simbolica, rappresenta un invito ai singoli e alla cittadinanza ad intraprendere iniziative di pace. Le celebrazioni sono poi proseguite nella cittadella, con un programma di danza, musica, teatro, testimonianze di vita e giochi curato dagli stessi giovani partecipanti alla scuola di formazione e seguito da più di 500 persone. “Chiara Luce è per noi un faro che ci spinge a vivere per un grande ideale”. Altri college e scuole di Acatzingo hanno già aderito al progetto in vista delle celebrazioni future. Mariapoli El Diamante, 20 ottobre 2018 (altro…)
13 Nov 2018 | Chiesa, Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Un lago talmente limpido, con il fondo ben visibile, da poterne bere l’acqua con le mani a conca, direttamente dalla canoa. Un mondo perfetto, all’apparenza. Eppure, qua e là, qualche bottiglia di plastica è incastrata a riva, trattenuta da rami bassi. Un pugno nell’occhio in un paesaggio di straordinaria bellezza. Il racconto di Alek, tra i quattro componenti dell’esperienza di “focolare temporaneo” realizzato a Whatì, in Canada, dal 19 luglio al 20 agosto scorso, è ricco di immagini come questa. «Stiamo parlando del grande nord, quasi al circolo polare artico. E di una cittadina di 800 abitanti. Ma sembravano di meno, perché si era da poco concluso il raduno del popolo Tlicho (Tłı̨chǫ nella lingua originale), e per questo motivo molti degli abitanti erano partiti per un periodo di vacanza. I Tlicho appartengono ai Nativi americani (le cosiddette “First Nations”, come vengono chiamate in Canada) sparsi in tutto il Nord America. Fanno parte dei Dene, “Associazione degli Indiani dei Territori del Nordovest”, e abitano un territorio chiamato Tlicho Land, costituito da quattro cittadine, con una popolazione complessiva di quasi 2 mila abitanti. Whatì, nella lingua originale Wha Ti, è una di queste, sul bellissimo lago La Martre, che nel punto di massima estensione misura ben 70 km».
Con un gruppo di ragazzi, Alek e fr. Alain hanno organizzato la pulizia di un tratto delle sue sponde: «Come azione dimostrativa. Ma dopo abbiamo saputo che un abitante del posto ha sensibilizzato il capo villaggio, perché l’azione di ripulitura diventi stabile, lungo tutto l’anno». Anche questo è stato un frutto dell’esperienza del “focolare temporaneo” a Whatì. Il gruppo, oltre che da Alek (italiano, in partenza per Birmingham, Alabama) e da fr. Alain, sacerdote di Montreal, era costituito anche da Lioba, coreana, dal focolare di Vancouver, e Ljubica, da quello di Toronto. Motivo del viaggio: la richiesta del vescovo di Yellowknife, capoluogo dei Territori del Nordovest, di poter avere sul posto (coprendo anche le spese relative) alcune persone della comunità dei Focolari per dare agli abitanti, almeno un mese l’anno, la possibilità di una vicinanza spirituale e di una formazione alla vita evangelica. Contemporaneamente, per una analoga esperienza, un altro gruppo si è diretto nel villaggio di Fort Resolution.
«I primi giorni siamo stati a Yellowknife, provenendo ognuno dalle nostre città, dopo viaggi abbastanza avventurosi a causa del maltempo. Qui abbiamo avuto la possibilità di conoscerci tra di noi e ricevere la benedizione del vescovo. Arrivati insieme a Whatì, vi siamo rimasti in tutto quattro settimane, per rinnovare i rapporti già costruiti l’anno precedente in occasione di un’altra esperienza analoga, conoscere le autorità locali e impegnarci in alcune iniziative del governo della tribù. La seconda settimana abbiamo organizzato un “Bible Camp” per i bambini, e la terza, accogliendo la richiesta dei responsabili del posto, siamo andati a trovare alcuni anziani del villaggio. Con loro è stato molto toccante pregare insieme. Avevamo l’impressione di una comunicazione che andava al di là della difficoltà di comprensione della loro lingua».
La popolazione del posto soffre del difficile passaggio dalla tradizione alla modernità. «Nel giro di una generazione – spiega Alek – si è trovata privata delle radici che ne avevano costituito l’identità più profonda, probabilmente per migliaia di anni. La generazione dei miei coetanei è nata e vissuta nel “teepee” (la tipica tenda costituita da pali, in numero variabile a seconda della grandezza, con una copertura di pelli e un’apertura superiore per consentire la fuoriuscita del fumo) e parla il Tlicho. I loro nipoti non conoscono più la lingua tradizionale, usano il cellulare, sono attratti dal consumismo e da tutte le sue conseguenze, compreso l’uso di alcol e droghe. Tuttavia, la comunità è animata da una fede semplice e profonda, basata sulla lettura della Bibbia e sulla naturale religiosità del suo popolo, ancora sensibile al soprannaturale. Da parte mia, è stata l’occasione per incontrare, faccia a faccia, alcune di queste storie. Tra loro mi sono sentito “al mio posto”, forse come mai prima, anch’io espressione di una carezza di Dio». Chiara Favotti (altro…)
7 Nov 2018 | Focolari nel Mondo, Spiritualità
Una comunità educativa Sono la direttrice di una scuola in un paese povero e isolato, con un’altissima percentuale di disoccupazione e diserzione scolastica. Costruendo rapporti profondi con gli allievi, le loro famiglie, i colleghi e gli operatori scolastici, ho avuto la gioia di vedere nascere una “comunità educativa” caratterizzata dalla promozione della dignità della persona e dall’apertura agli altri. Per aiutare i ragazzi a non abbandonare la scuola, oltre all’“adozione” di allievi e delle loro famiglie, abbiamo avviato un centro per la produzione artigianale. Questo progetto ha ricevuto anche un riconoscimento presidenziale. Da qualche tempo devo limitare la mia attività per una malattia, ma finché avrò vita lotterò perché l’educazione aiuti a scoprire il valore di se stessi e l’amore di Dio. (I. – Argentina) Accogliere il dolore altrui Dopo il suicidio di mio fratello, il contraccolpo in famiglia è stato grande. La vita non era più la stessa. Ho cominciato ad avere dubbi di fede. Le mie giornate diventavano sempre più vuote. Un giorno mi sono resa conto che con il mio atteggiamento non aiutavo i miei genitori. Allora ho raccolto tutte le mie forze per accogliere il loro dolore e fare in modo che sentissero meno il peso della tragedia. In questo modo, lentamente, ho sentito che le mie ferite si sanavano. È stata una conquista, che mi aiuta ora che sono diventata a mia volta mamma. (O.M. – Germania) Ho fatto spazio agli altri A 24 anni ho sposato Marcello, cui mi univa una profonda intesa e il progetto di formare una bella famiglia, in un cammino di fede. 15 anni dopo, a causa di un incidente. Marcello mi ha lasciata. Per sei anni sono rimasta chiusa nel mio “perché?”, fino a quando ho accettato l’invito ad un convegno. Sentir parlare di Dio Amore mi ha sconcertata. Poco a poco, qualcosa ha cominciato a cambiare dentro di me. Quando poi ho ascoltato che, per amore nostro, Gesù sulla croce ha sofferto la prova di sentirsi abbandonato dal Padre, anche il mio grido ha cominciato a prendere senso. La mia situazione non era cambiata, rimanevo una vedova, ma dentro di me ho ricominciato ad amare. Guardandomi attorno, ho incontrato tante persone che sperimentavano anch’esse un grande vuoto. Quanto più facevo loro spazio, tanto più Dio mi riempiva di pace. (A. – Italia) Per chi entra dopo di me Sono un’insegnante. Al termine della lezione, cerco di fare in modo che l’aula sia accogliente per chi entra dopo: lascio la cattedra in ordine, la lavagna pulita, le finestre spalancate per permettere un ricambio d’aria. Abbiamo in dotazione due cestini, uno per la carte e uno per tutto il resto. Talvolta, se li trovo in disordine, provvedo a smistare i rifiuti e a spostarli nel cestino giusto. Se per fare questo perdo alcuni minuti di pausa, che mi sarebbero utili per recuperare energie, credo però che sia un tempo “perso” bene. (A. – Svizzera) Anzitutto il colloquio Durante il periodo dell’adolescenza dei nostri figli, sono cominciate le prime incomprensioni con loro. Anche tra me e mio marito c’erano tensioni, avevamo modi diversi di affrontare le situazioni. Quando ci siamo accorti che stavamo perdendo il rapporto con i figli, in particolare con uno di loro, abbiamo capito che più di tutto valeva saper andare oltre le proprie idee, e mettersi ad amare per primi, cercando un colloquio costruttivo tra di noi e con loro. Ora sono tutti adulti, ma siamo coscienti che il nostro compito educativo non è finito, anzi. (Mariolina – Italia) (altro…)