L’ultimo capitolo del Vangelo di Giovanni ci porta in Galilea, sul lago di Tiberiade. Pietro, Giovanni ed altri discepoli, dopo la morte di Gesù, sono tornati al loro lavoro di pescatori, ma purtroppo la notte è stata infruttuosa.
Il Risorto si manifesta lì, per la terza volta, li esorta a gettare nuovamente le reti e questa volta raccolgono tanti pesci. Poi li invita a condividere il cibo sulla riva. Pietro e gli altri lo hanno riconosciuto, ma non osano rivolgergli la parola.
Gesù prende l’iniziativa e si rivolge a Pietro, con una domanda molto impegnativa: “Simone di Giovanni, mi ami più di costoro?”. Il momento è solenne: per tre volte Gesù rinnova la chiamata di Pietro[1] a prendersi cura delle sue pecore, di cui Egli stesso è il Pastore[2].
«Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene».
Ma Pietro sa di aver tradito e questa tragica esperienza non gli permette di rispondere positivamente alla domanda di Gesù. Risponde con umiltà: “Tu sai che ti voglio bene”.
Durante tutto il dialogo, Gesù non rinfaccia a Pietro il tradimento, non si dilunga a sottolineare l’errore. Lo raggiunge sul piano delle sue possibilità, lo porta dentro la sua dolorosa ferita, per sanarla con la sua amicizia. L’unica cosa che chiede è di ricostruire il rapporto nella fiducia reciproca.
E da Pietro sgorga una risposta che è un atto di consapevolezza della propria debolezza e, allo stesso tempo, di fiducia illimitata nell’amore accogliente del suo Maestro e Signore:
«Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene».
Anche a ciascuno di noi Gesù fa la stessa domanda: mi ami? Vuoi essere mio amico?
Egli sa tutto: conosce i doni che abbiamo ricevuto da Lui stesso, come pure le nostre debolezze e ferite, a volte sanguinanti. Eppure rinnova la sua fiducia, non nelle nostre forze, ma nell’amicizia con Lui.
In questa amicizia, Pietro troverà anche il coraggio di testimoniare l’amore per Gesù fino al dono della vita.
«Momenti di debolezza, di frustrazione, di scoraggiamento li passiamo tutti: […] avversità, situazioni dolorose, malattie, morti, prove interiori, incomprensioni, tentazioni, fallimenti […] Proprio chi si sente incapace di superare certe prove che si abbattono sul fisico e sull’anima, e perciò non può far calcolo sulle sue forze, è messo in condizione di fidarsi di Dio. E Lui interviene, attirato da questa confidenza. Dove Lui agisce, opera cose grandi, che appaiono più grandi, proprio perché scaturiscono dalla nostra piccolezza»[3].
Nella quotidianità possiamo presentarci a Dio così come siamo e chiedere la sua amicizia che risana. In questo abbandono fiducioso alla sua misericordia potremo tornare nell’intimità con il Signore e riprendere il cammino con Lui.
«Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene».
Questa Parola di vita può diventare anche preghiera personale, la nostra risposta per affidarci a Dio con le nostre poche forze e ringraziarlo per i segni del suo amore:
«[…] Ti voglio bene perché sei entrato nella mia vita più dell’aria nei miei polmoni, più del sangue nelle mie vene. Sei entrato dove nessuno poteva entrare, quando nessuno poteva aiutarmi, ogni qualvolta nessuno poteva consolarmi. […] Dammi d’esserti grata – almeno un po’ – nel tempo che mi rimane, di questo amore che hai versato su di me, e m’ha costretta a dirti: Ti voglio bene.»[4].
Anche nei nostri rapporti in famiglia, nella società e nella chiesa, possiamo imparare lo stile di Gesù: amare tutti, amare per primi, “lavare i piedi”[5] ai nostri fratelli, soprattutto i più piccoli e fragili. Impareremo ad accogliere ognuno con umiltà e pazienza, senza giudicare, aperti a chiedere e accogliere il perdono, per comprendere insieme come camminare fianco a fianco nella vita.
A cura di Letizia Magri e del team della Parola di Vita
[3]C. Lubich, Parola di Vita di luglio 2000, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi, (Opere di Chiara Lubich 5), Città Nuova, Roma, 2017, p. 629.
[4] Gratitudine, in C. Lubich, La dottrina spirituale, Mondadori 2001, p. 176
L’edizione 2025 del tradizionale festival dei giovani nella cittadella dei Focolari mette in scena le fragilità e i conflitti vissuti dai giovani di oggi e li trasforma in un’esperienza artistica immersiva e di speranza. Tanti workshop e uno spettacolo finale dal vivo per dire a tutti: «You are born to bloom», “Sei nato per fiorire”.
«Ricordati che sei nato per fiorire, per essere felice». È questo il messaggio che, nell’anno del Giubileo della speranza, i giovani organizzatori del Primo Maggio di Loppiano (Figline e Incisa Valdarno – Firenze, Italia) vogliono dare ai loro coetanei che parteciperanno all’edizione 2025 del tradizionale festival che si svolge, dal 1973, nella cittadella internazionale del Movimento dei Focolari, in occasione della Festa dei Lavoratori.
Il tema
Al cuore di “You are born to bloom, il coraggio di fiorire”, questo il titolo della manifestazione, ci sono le fragilità, le ferite e i conflitti vissuti dai ragazzi e dai giovani di oggi, sublimati in un’esperienza artistica, immersiva e di crescita.
«Crediamo che quel conflitto che spesso ci attraversa nelle fasi più difficili della vita possa diventare un’opportunità per rinascere più forti e consapevoli di chi siamo – spiegano Emily Zeidan, siriana e Marco D’Ercole, italiano, della squadra internazionale dei giovani organizzatori del festival –. Come ci diceva Papa Francesco, “il conflitto è come un labirinto”, non dobbiamo avere paura di attraversarlo, perché i “conflitti ci fanno crescere”. Ma “dal labirinto non si può uscire da soli, si esce in compagnia di un altro che ci aiuti”. Così, al Primo Maggio di Loppiano, vogliamo ricordare a tutti la bellezza gli uni e degli altri, anche nei momenti di vulnerabilità».
Un tema di stringente attualità quello del 1° maggio a Loppiano, se si considera che in Italia, 1 minore su 5 soffre di un disturbo mentale (depressione, ritiro sociale, rifiuto scolastico, autolesionismo, ansia, disturbi del comportamento alimentare, tendenze suicide), secondo i dati della Società italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza. Gli under 35, invece, vivono la precarietà lavorativa, sono sotto retribuiti, subiscono disuguaglianza territoriale e di genere (“Giovani 2024: il bilancio di una generazione”, EURES), non si sentono compresi dagli adulti nelle loro esigenze e nel vissuto, in particolare, quando si parla di paure e fragilità, aspirazioni e sogni.
«Papa Francesco aveva una grande fiducia in noi giovani. Non perdeva occasione per ricordarci che il mondo ha bisogno di noi, dei nostri sogni, di grandi orizzonti verso cui guardare insieme, per “porre le basi della solidarietà sociale e della cultura dell’incontro”», sottolineano Emily e Marco. Per questo “You are Born to Bloom” sarà uno spettacolo costruito insieme, dove il pubblico non sarà solo spettatore ma parte integrante della narrazione: chiunque vi partecipi sarà chiamato a diventare protagonista dello spettacolo, dando il meglio di sé con gli altri.
Il programma
Al mattino, i partecipanti al festival del Primo Maggio di Loppiano avranno l’opportunità di esplorare le proprie fragilità e bellezze attraverso workshop d’arte, motivazionali ed esperienziali guidati da psicologi, formatori, counselor, artisti e performer.
Tra questi, anche il Gen Verde International Performing Arts Group preparerà le giovani e i giovani a salire sul palco e a far parte del cast delle coreografie, dei cori, della compagnia teatrale e della band nello spettacolo finale. I workshop del Gen Verde sono svolti nell’ambito del progetto “M.E.D.I.T.erraNEW: Mediation, Emotions, Dialogue, Interculturality, Talents to foster youth social inclusion in the Mare Nostrum”, Erasmus Plus – Gioventù – partenariato di cooperazione.
Il festival culminerà al pomeriggio con la costruzione collettiva del live show: tutti i partecipanti saranno parte attiva della storia, non ci sarà distanza tra palco e pubblico.
Tra gli artisti che hanno confermato la loro partecipazione Martinico e la band AsOne.
“You are born to bloom, il coraggio di fiorire” è realizzato grazie al contributo di Fondazione CR Firenze.
Il Primo Maggio di Loppiano è un evento della Settimana Mondo Unito 2025 (1-7 maggio 2025), laboratorio ed expo globale di sensibilizzazione alla fraternità e alla pace.
Per informazioni e prenotazioni contattare: primomaggio@loppiano.it +39 055 9051102 www.primomaggioloppiano.it
Un cammino di dialogo e accoglienza radicato nel Vangelo quello condiviso da Papa Francesco con i Focolari. A raccontarlo Maria Voce Emmaus, che è stata Presidente del Movimento durante i primi 8 anni del suo pontificato.
Attivare i sottotitoli e scegliere la lingua desiderata
Come “distributrice di incarichi”, in dieci anni ero riuscita, in collaborazione con il nostro parroco, a formare il Consiglio pastorale parrocchiale e il gruppo dei sagrestani. Con il passare del tempo, mi sono resa conto che il mio ruolo si stava ridimensionando. Molte persone, prima meno attive, si sono proposte per svolgere vari incarichi, e io ho scelto di farmi da parte per lasciare loro spazio. Inizialmente ho accettato con serenità il mio ruolo più defilato. In seguito, però, sentendomi esclusa, ho capito quanto sia facile legarsi ai propri ruoli, ma anche quanto sia importante saper lasciare andare. A volte, il Signore ci invita a fare un passo indietro per prepararci a qualcosa di nuovo. Non è facile, perché implica accettare il cambiamento e fidarsi. Oggi, pur sentendomi un po’ ai margini, rimango disponibile a dare il mio contributo se e quando mi verrà richiesto. Sono convinta che ogni servizio, anche il più piccolo, abbia un valore e che ogni fase della vita sia un’opportunità per crescere nella fede e nell’amore verso gli altri.
(Luciana – Italia)
Dio mi vede
Mi capitava a volte, quando abitavo a Bruxelles, di andare a messa nella chiesa del Collegio di St. Michel. Per arrivarci, si dovevano percorrere lunghi corridoi con ai due lati una serie infinita di classi. Sopra la porta di ciascuna, un cartello con la scritta: Dio ti vede. Era un mettere in guardia i ragazzi che rifletteva un pensiero del tempo passato, espresso al negativo: “Non fare peccati perché, anche se gli uomini non ti vedono, Dio ti vede”. Invece a me, forse perché nato in un’altra epoca o perché credo nel suo amore, risuonava in maniera positiva: “Non devo fare cose buone davanti agli uomini affinché mi vedano, per sentirmi dire bravo o essere ringraziato, ma vivere alla presenza di Dio”. Nel Vangelo di Matteo 23,1-12 Gesù, parlando a degli scribi e a dei farisei che amano mettersi in mostra, li invita a non farsi chiamare “maestri”, ad avere un’unica preoccupazione: agire sotto lo sguardo di Dio che legge nei cuori. Ecco, questo mi piace: Dio mi vede, come dicono i cartelli nel collegio; Dio legge nei cuori e questo mi deve bastare.
(G.F.- Belgio)
Fare il primo passo
Per una questione di eredità tra mia madre e sua sorella era caduto il silenzio. Non si frequentavano più da tempo, e la spaccatura venuta a crearsi non faceva che allargarsi, tanto più che noi abitavamo in città e la zia in un paesino di montagna piuttosto distante. Questo stato di cose si è protratto fino al giorno in cui ho preso il coraggio a due mani, provocata dalla Parola di Gesù: «Se tu stai per presentare la tua offerta all’altare, e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì la tua offerta davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello; poi torna e presenta la tua offerta». Cercando il momento adatto, ho affrontato l’argomento con la mamma e sono riuscita a convincerla ad accompagnarmi dalla zia. Durante il viaggio eravamo piuttosto silenziose; io poi non facevo che pregare perché tutto andasse bene. In effetti le cose si sono svolte nel modo più semplice: colta di sorpresa, la zia ci ha accolte a braccia aperte. Ma era stato necessario fare noi il primo passo.
(A.G. – Italia)
A cura di Maria Grazia Berretta
(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno X– n.1° marzo-aprile 2025)
Un Papa che ha sognato e ci ha fatto sognare…che cosa? che – lo ha detto una volta lui stesso – “la Chiesa è il Vangelo”. Non nel senso che il Vangelo è proprietà esclusiva della Chiesa. Ma nel senso che Gesù di Nazaret, colui che è stato crocifisso fuori dall’accampamento come fosse un maledetto e che Dio Abbà ha invece risuscitato dai morti come Figlio primogenito tra molti fratelli e sorelle, continua qui ed ora, attraverso coloro che si riconoscono nel suo nome, a portare la buona notizia che il Regno di Dio è venuto e sta venendo… per tutti, a cominciare dagli “ultimi” che dal Vangelo sono raggiunti per ciò che sono agli occhi di Dio: i “primi”. Davvero, e non per modo di dire. Ecco il Vangelo che la Chiesa annuncia e contribuisce a fare storia, quanto più dal Vangelo si fa trasformare. Come accadde, sin dal principio, a Pietro e Giovanni quando, salendo al tempio, incontrarono alla porta detta “Bella” l’uomo che era storpio dalla nascita. Fissarono insieme lo sguardo su di lui, che a sua volta li guardò negli occhi. E Pietro gli disse: “non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo dó: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!”.
Il Vangelo di Gesù e la missione della Chiesa. Spendersi perché ci si alzi in piedi e si cammini. Così il Padre ci pensa, ci vuole e ci accompagna. Jorge Maria Bergoglio – con tutta la forza e la fragilità della sua umanità, che ce l’ha fatto sentire fratello – è per questo che ha speso la sua vita e il suo servizio come Vescovo di Roma. Da quella prima apparizione dalla loggia di San Pietro, quando si è inchinato chiedendo che il Popolo di Dio invocasse per lui la benedizione, all’ultima, il giorno di Pasqua, quando con voce flebile ha impartito la benedizione del Cristo risorto scendendo poi nella piazza per incrociare il suo sguardo con lo sguardo della gente. Il suo sogno è stato quello di una Chiesa “povera e dei poveri”. Nello spirito del Vaticano II che ha richiamato la Chiesa al suo unico modello, Gesù: che “ha spogliato se stesso, facendosi servo”.
Il nome di Francesco che ha scelto dice l’anima di ciò che ha voluto fare, e prima essere: testimone del Vangelo “sine glossa”, e cioè senza commenti e senza accomodamenti. Perché il Vangelo non è né un orpello, né un tappabuchi, né un analgesico: è annuncio di verità e di vita, di gioia, di giustizia, di pace e fraternità. Ecco il programma di riforma della Chiesa nella Evangelii gaudium, ed ecco i manifesti di un nuovo umanesimo planetario nella Laudato sì e nella Fratelli tutti. Ecco il Giubileo della misericordia ed ecco il Giubileo della speranza. Ecco il documento sulla fratellanza universale siglato ad Abu Dhabi col grande Iman di Al Ahzar ed ecco le innumerevoli occasioni d’ incontro vissute con i membri delle diverse fedi e convinzioni. Ecco l’opera instancabile a difesa degli scartati, dei migranti, delle vittime di abusi. Ecco il rifiuto categorico della guerra.
Francesco ha avuto ben chiaro che il Vangelo non basta farlo tornare a parlare, con tutta la sua carica sovversiva, nell’areopago complesso e persino contraddittorio del nostro tempo. Occorre qualcosa di più: perché non ci troviamo solo in un’epoca di cambiamenti, ma siamo in mezzo al guado di un cambiamento d’epoca. Occorre guardare con uno sguardo nuovo. Quello con cui ci ha guardato e ci guarda, dal Padre, Gesù. Lo sguardo che, con accenti teneri e accorati, è descritto nel suo testamento spirituale e teologico, l’enciclica Dilexit nos. È lo sguardo – semplice e radicale – dell’amare il prossimo come sé e dell’amarsi gli uni gli altri in una reciprocità libera, gratuita, ospitale, aperta a tutti, tutti, tutti. Il processo sinodale in cui la Chiesa cattolica – e, per la loro parte, tutte le altre Chiese – è stata convocata indica la strada da percorrere in questo nostro terzo millennio: al di là di una figura di Chiesa clericale, gerarchica, al maschile… Una strada nuova perché antica come il Vangelo. Una strada non facile, costosa e irta di ostacoli. Ma una grande profezia, affidata alla nostra creativa e tenace responsabilità.
Grazie Francesco! Il tuo corpo ora riposerà accanto a Colei che ti ha accompagnato passo passo, come madre, nel tuo santo viaggio. Tu, con lei, accompagna ora tutti noi, dal grembo di Dio, nel cammino che ci attende.