22 Ott 2016 | Chiesa, Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Senza categoria, Spiritualità
La prima iniziativa del Centro Evangelii Gaudium, sorto a Loppiano (Firenze) per essere “Chiesa in uscita”, è un corso di qualificazione in collaborazione con l’Istituto Universitario Sophia dal titolo “Svegliate il mondo”. Uno slogan avvincente. Perché sono proprio le persone consacrate, con la loro radicale scelta di vita, a concorrere a realizzare nel mondo la vera fraternità e la comunione. È la storia di P. Antonio Guiotto in Sierra Leone: un missionario saveriano che fin da studente ha fatto propria la spiritualità dei Focolari, e che ora festeggia il 50° di sacerdozio. Cinquant’anni quasi tutti trascorsi nel Paese africano, fra cui una decina (dal ‘91 al 2001) nella prima linea di una durissima guerra civile che ha terrorizzato e devastato la Sierra Leone. E mentre, come altri stranieri, avrebbe potuto tornare in patria, P. Antonio decide di rimanere a Kabala per condividere con la sua gente tutto ciò che accade, aiutandola a continuare a credere nell’immenso amore di Dio, nonostante tutto. Ben presto attorno a lui e a P. Carlo, un confratello anch’egli animato dallo spirito del focolare, si costituisce un piccolo gruppo che desidera vivere il Vangelo e condividerne le esperienze di vita: un barlume di speranza che si accende in mezzo a tanto odio e violenza. Ma anche Kabala viene invasa dai ribelli e i due religiosi – facile preda di rapimenti a scopo di estorsione in quanto stranieri – cercano rifugio nei boschi. Nonostante i pericoli, la sua gente li soccorre portando loro cibo e acqua, sostenuta a sua volta dalla luce e dalla speranza che i due religiosi infondono. Cessato il pericolo immediato, una famiglia apre loro le porte della propria casa in quanto quella dei missionari è completamente distrutta. Dopo un mese, durante il quale la famiglia che li ospita condivide quel poco che ha e i due religiosi si rendono utili in casa e con i bambini, i due sposi chiedono di diventare cristiani e di battezzare i figli. Nel frattempo però la situazione torna a peggiorare. Squadre di ribelli sono in movimento in tutta la Sierra Leone e i due Padri devono trasferirsi a Freetown. Uno spostamento forzato che diventa occasione per una semina del Vangelo anche nella capitale.
Nel 2000 un tentato colpo di stato mette ulteriormente a rischio la loro vita, tanto che l’ambasciatore italiano decide di trasferirli d’urgenza con un piccolo aereo in Guinea. Nonostante queste avversità, la spiritualità dei Focolari trasmessa con la loro vita cammina a grandi passi. Non appena possibile si organizza una Mariapoli di tre giorni con 170 persone, nella quale si fa presente anche il vescovo di Makeni. «Posso con verità affermare – scrive P. Antonio – che la promessa di Gesù “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto” si è pienamente avverata. In missione ho trovato padre, madre, fratelli e il centuplo in questa vita come caparra di quella che verrà. Sono nati nuovi cristiani, tante coppie si sono sposate in chiesa, sono sorte nuove comunità dei Focolari a Freetown, Makeni, Kamabai, Kabala e anche in villaggi sperduti. Sono state costruite nuove chiese e nuove scuole cattoliche. Ora, dopo un periodo in Italia, il Signore mi ha fatto la grazia di tornare nella mia amata Sierra Leone per continuare a spendermi per la mia gente». Da ottobre 2016 a marzo 2017 il corso del Centro Evangelii Gaudium, rivolto a formatori, animatori e studenti di teologia pastorale missionaria, prevede moduli mensili di due giornate durante i quali, alle lezioni si alternano esercitazioni pratiche, allo scopo di diventare – come scritto nel dépliant – “esperti di comunione” che come P. Antonio, “svegliano il mondo”. Il modulo di ottobre si è concluso con una ventina di iscritti, il secondo si svolgerà dal 13 al 15 novembre. Responsabili del corso sono due persone di grande esperienza accademica a Roma: Sr. Tiziana Longhitano sfp*, preside alla Pontificia Università Urbaniana e P. Theo Jansen ofmcap*, docente alla Pontificia Università Antonianum. *Per info ed eventuali iscrizioni al corso di Loppiano “Svegliate il mondo”: Sr. Tiziana cell. +39.329.1663136, P. Theo cell. +39.338.6845737. (altro…)
17 Mag 2016 | Chiesa, Cultura, Dialogo Interreligioso, Famiglie, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità

Foto: © Verônica Farias – CSC Audiovisivi
4 giorni dedicati alla esemplificazione e studio delle tradizioni, sia scritte che orali, secondo l’argomento scelto, così come è compreso e vissuto nei vari gruppi etnici del continente. Un confronto con la Sacra Scrittura, col Magistero della Chiesa e con le esperienze e le riflessioni frutto della spiritualità dell’unità. Questa, in sintesi, la metodologia della Scuola per l’Inculturazione, che ha alla base una dinamica relazionale imprescindibile: «Non si può entrare nell’animo di un fratello per comprenderlo, per capirlo… se il nostro è ricco di un’apprensione, di un giudizio...», scriveva Chiara Lubich . «”Farsi uno” significa mettersi di fronte a tutti in posizione di imparare, perché si ha da imparare realmente». Ma da dove ha origine questa esperienza? «Senz’altro è stata un’idea geniale di Chiara Lubich», spiega Maria Magnolfi, 20 anni in Africa, tra Kenya e Sud Africa, dottorato in Sacra Scrittura al Pontificio Istituto Biblico, e che ha accompagnato fin dagli inizi il percorso della Scuola. «Risale a quando Chiara andò a Nairobi, nel maggio 1992, e incontrò il Nunzio e ascoltò le preoccupazioni della Chiesa che si preparava al primo sinodo africano, e quindi ad affrontare anche questo interrogativo sull’inculturazione che tanto fremeva. Fu allora che fondò la Scuola per l’Inculturazione, ispirata alla spiritualità dell’unità, in cui dar spazio allo studio di qualità e pregi delle culture africane, e al frutto dell’incontro tra questi e la vita pura del Vangelo. Non sempre nei contesti ecclesiali è stato facile trovare vie di successo per l’inculturazione. La lettera ricevuta di recente dal card. Arinze ci è sembrata molto significativa. In essa il cardinale esprime la sua gioia per il lavoro fatto in questi anni e dà pieno incoraggiamento a proseguire questo percorso».
Proprietà e lavoro e senso del sacro, la sofferenza e la morte, fino ai processi sociali di riconciliazione, ai percorsi dell’educazione e della comunicazione: sono tra gli argomenti toccati in questi anni, ciascuno con i relativi Atti pubblicati in più lingue. Nel 2013, nell’edizione precedente a quella odierna, si è poi voluto dare spazio a scoprire chi è la persona in Africa. Adesso si intende passare dalla dimensione della persona all’intreccio delle relazioni familiari, consci che in Africa non si può mai prescindere dalla famiglia. Quali le caratteristiche dell’11ª edizione? «Su questo vasto argomento della famiglia – investigando su che cos’è il matrimonio nella cultura Tswana, Zulu, Kikuyo, e ancora in quelle del Burkina Faso, Costa d’Avorio, Congo, Angola, Nigeria, Uganda, Burundi, Camerun, Madagascar… – si sono individuate due direttrici prioritarie di approfondimento» – spiega ancora Maria Magnolfi – «il ruolo uomo-donna e l’istituzione del matrimonio come alleanza e poi la trasmissione dei valori nella famiglia, una tematica che a conclusione della scuola sulla persona era già venuta in grande rilievo. Quali valori? La condivisione, l’accoglienza, la partecipazione, il rispetto per gli anziani quali “depositari di sapienza”, la prontezza a condividere subito secondo le necessità, anche rischiando». Quale il significato della scuola per l’inculturazione? La sua importanza per l’incontro tra le culture africane, e tra queste e le culture extra-africane? Raphael Takougang, focolarino camerunense, avvocato, così lo spiega: «Chiara Lubich nel fondare la Scuola per l’Inculturazione durante il suo viaggio in Kenya nel maggio 1992 ha toccato l’anima del popolo africano. Ha dimostrato di capire l’Africa più di quello che si può pensare. Il suo non è stato solo un atto formale, ma frutto di un amore profondo per un popolo e le sue culture che la storia non sempre ha valorizzato. Da più di vent’anni ormai, “periti” africani, esperti di Sacra Scrittura e del Carisma dell’Unità lavorano per mettere in luce quei Semi del Verbo contenuti nelle varie culture del continente, prima per metterli in luce agli stessi africani, che imparano così a conoscersi ed apprezzarsi di più. In effetti, la diversità e la ricchezza di quelle culture vengono più in rilievo. Poi è un contributo per rendere meglio noto il popolo africano finora poco conosciuto oltre le guerre e le carestie. Il patrimonio culturale che si è via via costituito narra della presenza di Dio nel vissuto quotidiano di quei popoli e può essere un contributo notevole nel dialogo tra i popoli in questo mondo che sempre più sta diventando un “villaggio planetario”». (altro…)
8 Mag 2015 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
Bobo Dioulasso è la seconda città del Burkina Faso, la più vicina a Bamako, capitale del Mali, dove erano stati segnalati alcuni casi di Ebola. Fra le due città c’è un grande scambio sociale ed economico con un continuo via vai di persone e di merci. «Occorreva agire urgentemente per ridurre al massimo il rischio che il virus raggiungesse anche il Burkina – scrive l’équipe del Movimento dei Focolari a Bobo Dioulasso per la sensibilizzazione contro la malattia del virus ebola -. In pratica, occorreva illustrare a più gente possibile le misure di prevenzione, ma la situazione politica del Paese è tale che non sempre un intervento governativo è possibile». «Abbiamo allora deciso di fare qualcosa noi. Félicité è una volontaria, medico epidemiologo presso l’OOAS (Organizzazione della Sanità per l’Africa dell’Ovest). Il suo ruolo è proprio quello di formare il personale sanitario nella lotta contro le epidemie; in particolare ha lavorato nei Paesi più colpiti dal virus, quali Guinea Conakry, Liberia, Sierra Leone. Félicité ha dato subito la sua disponibilità».
«La prima cosa da fare era avvertire il vescovo, che in quel momento però era fuori sede. Siamo allora andati a parlare col vicario generale, l’Abbé Sylvestre, che ci ha assicurato il pieno appoggio della diocesi per esortare clero e fedeli ad informarsi sulle necessarie misure da prendere. Carlo, un focolarino medico del dispensario della Mariapoli Victoria (Man), dalla Costa d’Avorio ci ha inviato gli audiovisivi, che qui poi abbiamo duplicati per i diversi gruppi di giovani e adulti che avrebbero portato avanti la sensibilizzazione. Questo materiale l’abbiamo anche inviato ad un sacerdote e ad un insegnante di altre due città (Dedougou e Toussiana), interessati alla nostra azione. Félicité si è incaricata della formazione dei gruppi, aiutata da 15 suoi studenti di Paesi dell’Africa dell’Ovest inviati dall’OOAS, alcuni dei quali musulmani». «La campagna è cominciata nel novembre 2014, dapprima negli incontri del Movimento dei Focolari, per allargarsi poi ai vari quartieri, alle parrocchie e anche ad un grande raduno per giovani organizzato dalla diocesi di Bobo Dioulasso. Alla domenica siamo andati a parlare nelle chiese. Siamo intervenuti in una radio privata, in quella diocesana e anche nella emittente nazionale, utilizzando le tre lingue qui più parlate: francese, dioula e moré».
«Questa azione è stata l’occasione per conoscere molte persone. Quando Jean-Bernard ha spiegato ai suoi vicini cosa intendesse fare nel quartiere, ognuno ha voluto offrire qualcosa: chi ha procurato l’amplificazione, chi ha invitato un cantante per l’animazione, un altro si è occupato del trasporto del materiale e un altro ancora ha fornito l’acqua da bere. All’incontro erano presenti circa 200 persone. La voce si è sparsa anche nei quartieri vicini e Jean-Bernard ha ripetuto la presentazione più volte. In una, un infermiere professionale si è offerto di rispondere alle domande; in un’altra è venuto un esperto delle lingue locali, ottimo traduttore. Molto riconoscentiI si sono dimostrati i funzionari del Municipio, ai quali era stato chiesto il permesso di manifestare». «Nel frattempo dal Mali si è saputo che la malattia era stata debellata. Il rischio in Burkina Faso era quindi drasticamente diminuito. L’importante ora è continuare a rispettare le misure di prevenzione. È stata, per noi, una grande opportunità per imparare a lavorare insieme per la nostra gente. Ora bisogna andare avanti». (altro…)
16 Apr 2015 | Chiesa, Focolari nel Mondo

Antonette, la giovane collaboratrice di una ONG, nel villaggio di Rosanda.
Ancora giorni di quarantena in Sierra Leone: dal 27 al 29 marzo alcune zone della capitale Freetown e altri punti nel nord del Paese, sono state di nuovo isolate, dopo i casi di ebola registrati nei giorni precedenti. Gruppi di persone preparate sono andate di casa in casa nelle zone più a rischio, sensibilizzando e individuando gli ammalati e i possibili contagiati dal virus. «C’era la speranza di arrivare a “zero casi” per la fine di febbraio – scrive padre Carlo dalla Sierra Leone -. Le scuole erano pronte per l’apertura, che è stata però proposta alla metà di Aprile. C’è quindi incertezza, la gente vuole davvero cominciare una vita normale, ma il virus rimane in agguato». «All’inizio dell’epidemia ero a Makeni per motivi di studio – racconta Antonette, giovane che presta il suo servizio per una ONG -. La crisi è apparsa da subito così seria che ho pensato di far rientro nella mia città, risparmiata dal virus. Ma poi, ho deciso di rimanere come volontaria per aiutare le persone contagiate. Sono stata assegnata ad un villaggio chiamato Rosanda», dove si sono registrati 54 casi e 42 decessi. «È stato molto triste nel primo periodo, ogni giorno morivano circa 15 persone. Dovevo informare le famiglie e, anche se cercavo di metterci tutto l’amore possibile, non era un’esperienza facile. Due bambini continuavano a chiedermi quando sarebbero tornati i loro genitori. Non ero capace di dir loro la verità. Cercavo di consolarli con la mia presenza e alcuni piccoli doni». «Ogni giorno, per un mese, sono andata fino a quel villaggio – continua Antonette – imparando ad allargare il mio cuore a chi era nel bisogno, anche se non era parte della mia famiglia né della mia cerchia di amici. Adesso Rosanda ha terminato i 21 giorni di quarantena. Non ci sono stati nuovi casi e sono grata a Dio di poter essere stata per tutti loro uno strumento del Suo amore, che ricevevo la mattina nell’Eucarestia». Come Antonette, anche altri si sono spesi per far fronte insieme a questo grande dolore. Famiglie che hanno adottato i bambini rimasti orfani, religiosi e sacerdoti che non si sono risparmiati. Tra loro, padre Peter, che ha lavorato in alcuni villaggi. Grazie al suo tempestivo intervento, è stato possibile bloccare il contagio e ridurre il numero delle vittime. 
Case in quarantena nel villaggio di Rosanda
La sua storia riguarda Small Bumbuna, villaggio nella diocesi di Makeni, a 200 miglia da Kailahum, da dove è partita l’epidemia. «La malattia si è propagata in Sierra Leone come un incendio nella stagione secca. Quando ci sono state le prime vittime, si è pensato al colera, agli spiriti maligni o altre superstizioni. La risposta del team medico è stata lenta: ci sono volute due settimane per confermare che si trattava di ebola. Dalla parrocchia, situata in un altro villaggio, avremmo voluto far visita alle persone, ma la paura del contagio era troppo forte. Il team medico del distretto non riusciva a monitorare la situazione e a far arrivare gli approvvigionamenti. Le strade erano difficilmente accessibili». Di fronte a tante difficoltà, padre Peter, seguito dai suoi parrocchiani, prende: «Una decisione radicale che ci ha portato faccia a faccia con l’ebola – racconta -. Al nostro arrivo abbiamo trovato una città deserta. Il capo del villaggio ci ha descritto la situazione terribile. Nelle facce si leggeva la mancanza di speranza e l’impossibilità di fare qualcosa». Da lì comincia un’azione senza sosta che coinvolge la massima autorità locale. Padre Peter viene inviato come “guida” per trattare con la popolazione e spiegare come fare per arginare il contagio e lasciarsi curare. Nel giro di due settimane il pericolo è rientrato e le persone sono potute tornare a svolgere le attività agricole. «Ho preso su questi rischi – conclude padre Peter – perché è la mia comunità. Come potevo disertare durante questi momenti di sofferenza? Questa domanda mi ha aiutato a identificarmi con loro, a presentare la situazione alle autorità, ad offrirmi come guida. Ho imparato che nulla è troppo piccolo per essere offerto, e neanche troppo pesante da prendere su. Continuiamo a pregare perché l’epidemia sia debellata totalmente e si possa tornare alla vita normale». (altro…)
15 Gen 2015 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Spiritualità
«A Taiwan la questione dell’epidemia di ebola non ha fatto notizia, tranne quando sembrava che il pericolo potesse estendersi oltre i confini africani. Per la maggior parte della gente è un problema lontano che non ha niente a che fare con loro. Ma noi, Giovani per un Mondo Unito (GMU) – sia quelli di Taiwan che alcuni studenti di altri Paesi che studiano qui il cinese – sentivamo diversamente, perché ciascuno di noi a questo mondo è parte della stessa famiglia umana. Grazie ad un amico che ha vissuto in Sierra Leone ci siamo potuti mettere in contatto con John, un Giovane per un Mondo Unito proprio della Sierra Leone. Ci ha raccontato della terribile situazione che vivono, la carenza di cibo, i prezzi crescenti, le tante persone che hanno perso la vita e un governo che non ha risorse sufficienti per aiutare, ma anche degli sforzi che sia lui che altri fanno per assistere le persone in necessità. Così, abbiamo deciso di entrare in azione, e abbiamo organizzato una vendita di dolci. Anche se era una piccola cosa, ci sentivamo felici perché alla fine non eravamo più passivi di fronte ad una sofferenza così grande. Il tempo speso insieme a cucinare ci ha anche aiutato a rafforzare la nostra amicizia e ci ha dato un rinnovato impulso nel promuovere la pace e l’unità nella nostra vita quotidiana. Ci sono stati anche momenti di dubbio, se fossimo riusciti o meno a vendere tutti i dolci che avevamo fatto, ma abbiamo deciso di andare avanti, fiduciosi che se avessimo fatto tutto per amore degli altri, allora tutto avrebbe funzionato. Il giorno della vendita è stato fantastico perché abbiamo venduto tutto e alcune persone hanno donato dei soldi extra, così abbiamo guadagnato molto più del previsto. E, ancora più importante, molte persone si sono coscientizzate alla terribile sofferenza che l’ebola sta causando, e hanno visto come i Giovani per un Mondo Unito cercano di vivere per l’intera famiglia umana.
Tre ragazzi africani, che passavano per caso, ci hanno ringraziato per quanto facevamo per la “loro”Africa. Uno di noi ha risposto: “non la vostra Africa, ma la nostra Africa”, che riassumeva lo spirito di tutta l’iniziativa. Due impressioni dai nostri amici: “Quando ho sentito dell’epidemia di ebola – dice Chung Hao – non sapevo come aiutarli, e questo evento di solidarietà, anche se è un piccolo contributo, mi ha fatto sentire che quando i giovani sono uniti, sono davvero una potenza, non solo nell’aiuto concreto”. E Xin Ci: “La vendita di dolci è stata un’occasione importante per dare un contributo a quanti stanno soffrendo a causa dell’ebola. Quando arrivando ho visto i tavoli ricoperti di bei dolci invitanti, ero commosso al pensiero di quanto sforzo le persone avevano messo nel realizzarli. Ho sempre desiderato fare qualcosa per questo mondo, e questi piccoli gesti, fatti con l’infinito amore di ciascuno, possono essere comunicati in ogni angolo del mondo”. L’esperienza è poi continuata – scrive Brian da Taiwan – con una successiva vendita che ha coinvolto gli studenti della Fu Jen University. Oltre alla causa molto importante, queste azioni ci hanno ridato energia e portato un forte senso di cosa significa costruire un mondo unito». (altro…)