Movimento dei Focolari
Istituto Universitario Sophia: inaugurato l’anno accademico 2024-2025

Istituto Universitario Sophia: inaugurato l’anno accademico 2024-2025

Martedì 4 marzo, è stato inaugurato il 17.mo anno accademico dellIstituto Universitario Sophia a Loppiano (Figline e Incisa Valdarno – FI). La cerimonia si è svolta nell’Aula Magna dell’Istituto, alla presenza dell’intera comunità accademica e di una rappresentanza della ricca rete di relazioni e collaborazioni che l’Istituto Universitario Sophia, in questi primi 17 anni di vita, ha saputo tessere con le Istituzioni, gli altri atenei e le realtà del terzo settore.

Sono intervenuti: il Magnifico Rettore Declan O’Byrne; il Gran Cancelliere dell’Istituto, S. E. Mons. Gherardo Gambelli, Arcivescovo di Firenze; la Vice Gran Cancelliere, la Dott.ssa Margaret Karram, Presidente  del Movimento dei Focolari; il vescovo di Fiesole, S. E. Mons. Stefano Manetti; il sindaco di Figline e Incisa Valdarno, Valerio Pianigiani; Paolo Cancelli, direttore dell’Ufficio sviluppo della Pontificia Università Antonianum; Marco  Salvatori, Presidente  del Centro Internazionale Studenti Giorgio La Pira.

Al centro della cerimonia, la prolusione intitolata “Dialogo, religioni, geopolitica” tenuta da Fabio Petito, Professore di Relazioni internazionali e Direttore della Freedom of Religion or Belief & Foreign Policy Initiative presso l’Università del Sussex, nonché coordinatore scientifico del Programma Religioni e Relazioni Internazionali del Ministero degli Affari Esteri e ISPI (Istituto per gli studi di Politica Internazionale). Petito ha sottolineato come oggi, «la religione sembra essere parte e, a volte, al centro dell’attuale scenario di instabilità e crisi internazionale». Tuttavia, sebbene si tratti di un fenomeno meno visibile globalmente, «non si può negare che nell’ultimo quarto di secolo ci sia stata una significativa crescita dello sforzo dei rappresentanti delle  comunità religiose nel rispondere  alla violenza e alle tensioni politiche, attraverso iniziative di dialogo e collaborazione interreligiosa». Petito ha così sottolineato l’importanza che luoghi come l’Istituto Universitario Sophia possono avere nell’approfondire e diffondere con creatività la cultura dell’incontro e «far fiorire piccoli semi di speranza e frutti di unità e fratellanza umana».

In pieno stile Sophia, comunità accademica internazionale e laboratorio di vita, formazione, studio e ricerca, alla prolusione è seguito un momento di dialogo, moderato dal giornalista e vaticanista Andrea Gagliarducci (Eternal Word Television Network e ACI Stampa), che ha visto protagonisti il Gran Cancelliere Mons. Gherardo Gambelli, alla sua prima visita presso l’Istituto, la Vice Gran Cancelliere Dott.ssa Margaret Karram e sei studenti dell’università.

Il dialogo, partendo dalle storie personali dei giovani provenienti da Terra Santa, Filippine, Argentina, Kosovo, Sierra Leone e Perù, ha toccato temi di importanza globale e di scottante attualità: il valore della diplomazia dal basso per la risoluzione dei conflitti e la ricerca della pace; l’impegno per un’economia più giusta ed equa, con l’esperienza di Economy of Francesco; il ruolo dei  giovani  del  Mediterraneo  nella  costruzione  di  una  cultura  dell’incontro;  il  valore  della

riconciliazione e del dialogo interreligioso, in particolare tra cristiani e musulmani con l’esperienza sophiana di Wings of Unity; le speranze dei giovani africani impegnati nel progetto  Together for a New Africa, per il cambiamento e il bene comune del loro continente; le inquietudini e le fragilità dei giovani in cerca di una vocazione e realizzazione nel mondo globalizzato.

L’inaugurazione dell’anno accademico 2024-25 ha evidenziato, una volta di più, la capacità di questa ancora piccola realtà accademica di formare giovani preparati ad affrontare la complessità del mondo odierno, in una prospettiva trans-disciplinare e di lavorare in sinergia con specialisti di vari campi e Istituzioni per promuovere nella concretezza della vita sociale il dialogo tra le culture, dando impulso alla crescita interiore, intellettuale e sociale delle persone in una dinamica di reciprocità.

Il Gran Cancelliere dell’Istituto, S. E. Mons. Gherardo Gambelli, Arcivescovo di Firenze: «Tra gli obiettivi dell’Istituto c’è quello di “promuovere nella concretezza della vita sociale il dialogo tra le culture, dando impulso alla crescita interiore, intellettuale e sociale delle persone in una dinamica di reciprocità”. Diverse parole-chiave emergono in questo progetto: promozione, vita sociale, dialogo, crescita interiore, intellettuale e sociale, reciprocità. Termini tutti indirizzati verso la crescita personale, rendendo così capace il singolo, non solo di saper abitare in modo dignitoso il “noi” della comunità in cui è inserito, ma anche di sentirsi sempre più abitato da quel “noi” a cui appartiene. Un “noi” che non vuole contrapporsi a un ipotetico “voi”, ma che si rende quotidianamente capace di abbracciare tutto ciò che appare con il volto dell’altro, del diverso, dello scartato».

La Vice Gran Cancelliere, Dott.ssa Margaret Karram, Presidente del Movimento dei Focolari: «È importante che in un’istituzione come la nostra si metta in risalto il dialogo e il ruolo delle religioni nell’attuale condizione mondiale, dove – lo stiamo vedendo in questi ultimi giorni – persone e popoli rischiano di annegare nel disorientamento e nello sconforto. […] Anche l’Istituto Universitario Sophia, in quanto “casa” di una cultura che è fondata sul Vangelo, è impegnato con e nella Chiesa ad offrire risposte e orientamenti alla luce del Carisma dell’unità. A noi, ora, il compito di andare avanti con coraggio e impegnarci a far sì che venga maggiormente riconosciuto l’apporto di questo Istituto Universitario per la promozione della cultura dell’unità che contribuisce a costruire la pace e la fraternità tra persone e popoli».

Declan O’Byrne, Magnifico Rettore dell’Istituto Universitario Sophia: «Insieme, come comunità accademica unita da un ideale comune, continuiamo a costruire Sophia come un faro di sapienza e unità nel panorama dell’educazione superiore. Che il nostro impegno collettivo possa continuare a illuminare le menti, ispirare i cuori e trasformare la società, un passo alla volta, verso quella civiltà dell’amore a cui tutti aspiriamo».

Valerio Pianigiani, sindaco di Figline e Incisa Valdarno: «Di fronte a divisioni e violenze che non possono lanciarci indifferenti, il sapere, la conoscenza, la tolleranza e la comprensione del mondo che ci circonda possono essere l’antidoto alla brutalità e alle divisioni. Un ponte che aiuta alla comprensione dell’altro, nell’ottica di lavorare tutti insieme e di impegnarsi per un bene comune. Grazie a chi lavora in questo Istituto con passione e impegno ogni giorno, per crescere menti sempre più consapevoli anche qui, a Figline e Incisa Valdarno, una comunità che cresce fermamente nel valore della pace, della solidarietà e del dialogo».

Stefano Manetti, vescovo di Fiesole: «L’impegno di dialogare e comunicare con tutti accorcia le distanze, elimina le emarginazioni, diventa un segno di speranza evangelico di cui abbiamo estremamente bisogno. Auguro pertanto ai docenti, agli studenti di continuare a riscattare gli ultimi, attraverso il dono delle relazioni, la condivisione dei temi culturali, e continuare ad essere “angeli della speranza” per tutti coloro che incontrate sul vostro cammino».

Paolo Cancelli, direttore dell’Ufficio sviluppo della Pontificia Università Antonianum: «Siamo convinti che dobbiamo lavorare insieme nella cultura del dialogo come via, nella collaborazione comune come condotta, nella conoscenza reciproca come  metodo e  criterio. […]  Dobbiamo mettere al centro l’umiltà, la vocazione di servire un processo nel quale abbiamo una certezza: nessuno si salva da solo. E proprio in questa logica, che è quella della sinfonia delle diversità, è arrivato il momento di mettere in campo i nostri talenti, le nostre emozioni, le nostre volontà, per costruire quella che è l’opportunità di un futuro diverso. Un futuro nel quale la fratellanza e l’armonia possono in qualche modo accompagnarci in quella sinfonia delle diversità che rendono autentica la missione universitaria. Credo che a livello accademico e a livello scientifico, questa si realizzi nell’inter e trans-disciplinarietà. Di fronte abbiamo un poliedro di complessità e noi non possiamo risolvere situazioni da soli da un’unica materia. Serve l’idea di stare insieme».

Marco Salvadori, Presidente del Centro Internazionale Studenti Giorgio La Pira: «È con grande gioia che porto i saluti del Centro Internazionale Studenti, Giorgio La Pira. L’inaugurazione di un nuovo anno accademico è sempre un momento di grande entusiasmo e riflessione. È l’opportunità di guardare avanti, di raccogliere le sfide e di contribuire alla costruzione di un mondo più giusto e sostenibile attraverso lo studio, l’impegno e la dedizione. Quello che oggi celebriamo non è solo l’inizio di un nuovo anno accademico ma la possibilità di imparare, di crescere insieme e di costruire legami duraturi tra culture e generazioni. Auguro a tutti, allora, in particolare ai giovani studenti, un anno ricco di scoperte di crescita personale e professionale».

Guatemala: un focolare nel cuore indigeno del Paese

Guatemala: un focolare nel cuore indigeno del Paese

Marta, Lina, Efi e Moria sono quattro donne, quattro focolarine, che nella loro vita hanno percorso strade diverse e che ora hanno trovato un punto di incontro tra sogni, realtà e l’aver dato la propria disponibilità a trasferirsi a Chimaltenango dai loro focolari precedenti, per iniziare l’esperienza di vivere insieme in una città dove povertà, interculturalità e fratture tra etnie sono pane quotidiano.

Chimaltenango è una città del Guatemala, a 50 km dalla capitale, a 1800 metri sul livello del mare. Quasi 120.000 abitanti di 23 diversi popoli indigeni si sono riuniti lì per poter sopravvivere economicamente.

“Sono stata in Argentina per molti anni – esordisce Efi, originaria di Panama. – Poi ho passato qualche anno in Messico e, poco prima della pandemia, sono arrivata in Guatemala dove sono rimasta solo 3 mesi, poi sono dovuta partire per Panama per stare vicino alla mia mamma che si è ammalata e poi è morta. È stato un anno che mi è servito anche per ripensare a tante cose, per fare il punto su quello che avevo vissuto fino a quel momento e per rinnovare la scelta di donazione a Dio fatta anni fa”. È tornata in Guatemala per questo progetto a Chimaltenango.

“Sono cresciuta in un ambiente rurale, con gente molto semplice e il mio sogno è sempre stato quello di fare qualcosa per i più umili – racconta Efi. – Qui la povertà è molto grande. E ci sono anche le comunità indigene, ci sono persone che hanno conosciuto la spiritualità del Movimento e che, a causa della pandemia e della realtà sociale in cui vivono, sono state lasciate ai margini (della società)”.

Lina è guatemalteca, di origine Maya, Kaqchikel. Spiega che una delle fratture più evidenti è tra indigeni e meticci (chiamati anche “ladinos” in Guatemala, che comprendono tutti coloro che non sono indigeni). Non ci sono relazioni fraterne, non c’è dialogo. “Per me – dice – è sempre stato un obiettivo riuscire a superare quella frattura. Dal momento in cui ho avuto il mio primo contatto con i Focolari, ho pensato che questa fosse la soluzione per la mia cultura, per il mio popolo, per la mia gente”. Ricorda il momento del dicembre 2007 quando, al termine del periodo di formazione come focolarina, salutò Chiara Lubich, dicendole: “Sono indigena e mi impegno a portare questa luce al mio popolo Kaqchikel”. “Ho sentito che era un impegno espresso davanti a lei, ma fatto a Gesù”. Al suo ritorno in Guatemala si è dedicata con cura all’accompagnamento delle nuove generazioni, sempre con l’obiettivo di generare legami di unità sia nelle comunità indigene che nella città.

Anche Marta è guatemalteca. Meticcia. Nei suoi primi anni in focolare ha anche potuto dedicarsi alla diffusione del carisma dell’unità nelle comunità indigene. In seguito, si è occupata della gestione del Centro Mariapoli, la casa per incontri a Città del Guatemala. Un lavoro intenso durato 23 anni che ha visto svilupparsi il processo di riconciliazione nazionale e di rivendicazione dei popoli indigeni, perché le diverse comunità indigene hanno scelto il Centro Mariapoli come luogo di incontro. Poi è stata in Messico per un periodo. In quel periodo si parlava di identità. E la domanda in lei è sorta spontanea: “Io che identità ho? Quali sono le mie radici?” La risposta l’ha trovata nella Vergine di Guadalupe che, quando apparve in Messico nel 1531, fu raffigurata nel poncho di Juan Diego con caratteristiche somatiche tipiche dei popoli nativi americani. “Per me è stato capire che ero meticcia come lei, che ha entrambe le radici e che può dialogare sia con gli uni che con gli altri”.

Moria, che è di Chimaltenango, per motivi di salute vive con la sua famiglia e fa parte del focolare così come Lidia, una focolarina sposata che vive a Città del Guatemala.  

Storie che si intrecciano fino ad arrivare a stabilirsi in questa città che riunisce tante provenienze, molte culture in un’unica cultura. “Il nostro desiderio è quello di stare con la gente, di avvicinarci. Nelle cose semplici, di tutti i giorni – dice Efi – quel saluto, quel sorriso, quel fermarsi, stare con quella signora che non sa nemmeno parlare spagnolo perché parla la sua lingua e noi non ci capiamo”. E racconta: “Un giorno avevo bisogno di comprare del pane. Vado al mercato e le donne che vendono sono sedute su una stuoia di vimini. Se voglio entrare in dialogo con una di loro, mi metto sullo stesso piano, mi chino e, siccome è un luogo di commercio, cerco di essere onesta con lei”.

“Da quando siamo arrivate ci siamo proposte di riprendere contatto con le persone che in vari momenti hanno conosciuto la spiritualità dell’unità – interviene Lina – per andare a trovarle nelle loro case, portando sempre qualcosa, un frutto, per esempio, come è usanza tra questi popoli”. In questo modo si crea un circolo di reciprocità e si avvicinano al focolare. La loro casa si riempie così delle voci delle mamme con i loro figli o anche dei giovani e, a volte, di qualche papà che prende coraggio e le accompagna. E così, senza cercarlo, si crea la comunità attorno a questo nuovo focolare nel cuore della cultura indigena del Guatemala.

Carlos Mana
Foto: © Focolar Chimaltenango

Caro papa Francesco

Caro papa Francesco

Caro papa Francesco, forse non ricorda, ma ci siamo conosciuti il 26 settembre 2014, quando Lei ha ricevuto in udienza privata una delegazione del Movimento dei Focolari. Ne facevo parte anch’io, Luciana Scalacci di Abbadia san Salvatore, in rappresentanza delle culture non religiose che pure hanno casa tra i Focolari. Sono una di quelle persone che, come mi ha detto una volta Jesus Moran, «hanno aiutato Chiara Lubich ad aprire nuove piste per il carisma dell’unità». Sono una persona non credente che ha ricevuto tanto dal Movimento.

In quella giornata straordinaria, ho avuto il privilegio di scambiare con Lei alcune parole che non dimenticherò mai, e che riporto.

Luciana: «Santità, quando Lei ha assunto la carica di vescovo di Roma, io le ho scritto una lettera, pur sapendo che Lei non avrebbe avuto opportunità di leggerla, con quante lettere riceve, ma era importante per me farle giungere il mio affetto e il mio augurio, perché io, Santità, non mi riconosco in nessuna fede religiosa, ma da più di 20 anni faccio parte del Movimento dei Focolari che mi ha ridato la speranza che è ancora possibile costruire un mondo unito».

Papa: «Preghi per me, anzi lei non è credente, non prega, mi pensi, mi pensi fortemente, mi pensi sempre, ne ho bisogno».

Luciana: «Ma guardi Santità, che a modo mio io prego per Lei».

Papa: «Ecco, una preghiera laica e mi pensi fortemente, ne ho bisogno».

Luciana: «Santità, in salute, con coraggio, con forza! La Chiesa cattolica e il mondo intero abbiamo bisogno di Lei. La Chiesa cattolica ha bisogno di Lei».

Papa: «Mi pensi fortemente e preghi laicamente per me».

Ora, caro papa Francesco, Lei è in un letto di ospedale, e anche io sono nella stessa condizione. Entrambi davanti alla fragilità della nostra umanità. Volevo assicurarle che non smetto di pensarla e pregare laicamente per Lei. Lei preghi cristianamente per me. Con affetto

Luciana Scalacci
(Fonte: Città Nuova– Foto: ©VaticanMedia)

In preghiera per Papa Francesco

In preghiera per Papa Francesco

La Presidente dei Focolari, Margaret Karram, ha fatto pervenire al Santo Padre un messaggio assicurando la sua affettuosa vicinanza e fervente preghiera.

“Chiedo alla Madonna di farle sentire il Suo materno amore e quella tenerezza che lei sempre ci raccomanda di avere per il bene di ogni prossimo e di ogni popolo” ha scritto la Presidente.

 “Infinitamente riconoscenti per la sua vita tutta donata a Dio e al bene dell’umanità – ha aggiunto –  le mando l’abbraccio di tutto il Movimento dei Focolari nel mondo, che prega e offre costantemente per lei”.

Foto: © Raffaelle OreficeCSC Audiovisivi

Prossimità e libertà

Prossimità e libertà

Margaret, perché hai scelto la prossimità come tema dell’anno per il Movimento dei Focolari?

Mi sono chiesta in quale mondo viviamo. E mi sembra che in questo momento della storia ci sia tanta solitudine e tanta indifferenza. E poi c’è una escalation di violenza, di guerre che portano tanto dolore in tutto il mondo. Inoltre, ho pensato alla tecnologia che ci ha connesso in modi mai conosciuti prima, ma allo stesso tempo ci rende sempre più individualisti. In un mondo come questo penso che la prossimità possa essere un antidoto; un aiuto per superare questi ostacoli e curare questi “mali” che ci rendono distanti gli uni dagli altri.   

Da dove possiamo cominciare?

Da mesi faccio questa domanda a me stessa. Mi sembra che dobbiamo ri-imparare ad avvicinarci alle persone, ri-imparare a guardare e trattare tutti come fratelli e sorelle. Sentivo che prima di tutto dovevo fare un esame di coscienza sull’atteggiamento mio. Le persone che avvicino ogni giorno, sono fratelli, sono sorelle per me? O sono indifferente verso di loro o addirittura li considero nemici? Mi sono fatta tante domande. Ho scoperto che alle volte voglio evitare una persona, perché forse mi darà fastidio o mi disturberà o mi vorrà dire delle cose difficili. Per tutto questo ho intitolato la mia riflessione sulla prossimità che ho presentato a metà novembre ai responsabili del Movimento dei Focolari così: “Chi sei tu per me?”

Potresti dirci alcune delle idee principali che hai sviluppato sotto questo titolo?

Volentieri. Accenno a quattro pensieri. La prima prossimità che la nostra anima sperimenta è quella al contatto con Dio. È lui stesso che si trasmette ai prossimi anche attraverso di noi. Il desiderio di amare l’altro è un movimento che da Dio in me vuole puntare a Dio nell’altro.

Un secondo pensiero: La prossimità è dinamica. Chiede un’apertura completa, cioè accogliere le persone senza riserve; entrare nel loro modo di vedere le cose. Non siamo fatti in serie! Ognuno di noi è unico, con un carattere, una mentalità, una cultura, una vita e una storia diversi. Riconoscere e rispettare questo chiede di uscire dai nostri schemi mentali e personali.

Parlavi di un terzo aspetto …

Sì. Il terzo aspetto che voglio sottolineare è che prossimità non coincide necessariamente con vicinanza, con l’essere simili, con l’appartenenza ad uno stesso orizzonte culturale. La parabola del Buon Samaritano (Luca 10,25-37) lo esprime molto bene. Mi ha colpito l’atteggiamento del Samaritano: L’uomo che era caduto tra i briganti era una persona sconosciuta a lui, persino era di un altro popolo. Era una persona distante sia per cultura sia per tradizione. Però il Samaritano si è fatto prossimo. Questo è il punto chiave per me. Ognuno ha la sua dignità, al di là del popolo e della cultura da cui proviene o del suo carattere. Il Samaritano non si è avvicinato solo per vedere se questa persona era ferita per poi allontanarsi o casomai chiamare aiuto. Si è fatto prossimo e ha curato la persona. Il quarto aspetto …

… sarebbe …

…lasciarci ferire. Affinché la prossimità possa portare frutto chiede a ciascuno di noi di non aver paura e di lasciarci ferire dall’altro.

E ciò significa: lasciarci mettere in discussione, esporci a delle domande alle quali non abbiamo risposte; essere disposti a mostrarci vulnerabili; presentarci forse deboli e incapaci. L’effetto di un tale atteggiamento può essere sorprendente. Pensi che un ragazzo di nove anni mi ha scritto che per lui prossimità vuol dire “alzare il cuore dell’altro”. Non è questo un effetto meraviglioso della prossimità? Alzare il cuore dell’altro.

Cosa cambierebbe all’interno del Movimento dei Focolari se vivessimo bene la prossimità?

Se la viviamo veramente bene cambieranno tante cose. Io lo auguro, lo spero e prego che sia così. Però voglio anche sottolineare che tantissimi nel Movimento dei Focolari vivono già la prossimità. Quante iniziative ci sono, quanti progetti a favore della pace e per l’aiuto ai poveri. Abbiamo addirittura aperto focolari per dare assistenza e accoglienza agli immigrati o per la cura della natura.

E cosa dovrebbe cambiare?

La qualità delle relazioni fra le persone. Alle volte è più facile trattare bene le persone esterne al Movimento e più difficile fra di noi che facciamo parte della stessa famiglia. Rischiamo di vivere tra di noi dei rapporti “di buona educazione”: non ci facciamo del male, però, mi chiedo, è un rapporto autentico questo?

Così mi auguro che, al di là dei progetti, la prossimità diventi uno stile di vita quotidiano; che ci chiediamo più volte durante la giornata: “Sto vivendo questa prossimità? Come la vivo?” Una espressione importante della prossimità è il perdono. Essere misericordiosi verso gli altri – e verso noi stessi.

Quale messaggio contiene per la società?

La prossimità non è solo un atteggiamento religioso o spirituale, ma anche civile e sociale. In qualsiasi ambito è possibile viverla. Nell’ambito dell’educazione per esempio o della medicina, persino nella politica, dove forse è più difficile. Se la viviamo bene, possiamo avere una influenza positiva sui rapporti là dove siamo.

E per la Chiesa?

La Chiesa esiste perché con la venuta di Gesù, Dio si è fatto prossimo. La Chiesa, le Chiese allora sono chiamate a testimoniare una prossimità vissuta. Di recente la Chiesa Cattolica ha vissuto il Sinodo. Ho potuto partecipare alle due sessioni in Vaticano. Eravamo più di 300 persone, ognuno di una cultura diversa. Cosa abbiamo fatto? Un esercizio di sinodalità, un esercizio di ascolto, di conoscenza profonda, di accoglienza del pensiero dell’altro, delle sue sfide e dei suoi dolori. Sono tutte caratteristiche della prossimità.

Il titolo del Sinodo era “Camminare insieme”. Questo cammino ha coinvolto tantissime persone in tutto il mondo. Il logo del Sinodo esprimeva il desiderio di allargare la tenda della Chiesa affinché nessuno si senta escluso. Mi sembra che questo sia il vero senso della prossimità: che non si escluda nessuno; che tutti si sentano accolti, sia chi frequenta la Chiesa, sia chi non si riconosce in essa o chi si è addirittura allontanato per vari motivi.

Vorrei accennare un attimo ai limiti della prossimità. Come viverla bene?

È una domanda importante. Ci sono limiti alla prossimità? Come prima risposta direi che non dovrebbero esserci limiti.

Però?

Non possiamo essere sicuri che ciò che per noi o ciò che per me è vicinanza e solidarietà lo sia per l’altro. E in una relazione non può mai mancare il rispetto della libertà e della coscienza dell’altro. Queste due cose sono essenziali in ogni rapporto. Per questo è importante che quando ci avviciniamo a una persona, sia sempre fatto con delicatezza, e non come una cosa imposta. È l’altro che decide quanta e che tipo di prossimità vuole.

C’è da imparare, vero?

Assolutamente. Abbiamo commesso parecchi errori. Pensando di voler bene all’altro, lo abbiamo ferito. Nello slancio di comunicare la nostra spiritualità abbiamo costruito dei rapporti in cui l’altro non sempre si è sentito libero. Alle volte mi sembra che con la buona intenzione di amare una persona, l’abbiamo schiacciata. Non abbiamo avuto abbastanza delicatezza e rispetto della coscienza dell’altro, della libertà dell’altro, del tempo dell’altro. E questo ha portato a certe forme di paternalismo e anche di abusi.

Senz’altro è una situazione dolorosissima che stiamo affrontando e dove le vittime hanno una importanza unica, veramente unica. Perché da soli non riusciamo a capire sufficientemente cosa è successo. Sono le vittime ad aiutarci a comprendere gli errori che abbiamo commesso e fare i passi necessari perché queste cose non accadano più.

Un augurio conclusivo?

Mi auguro che questo tema ci possa riportare all’essenza di quello che Gesù stesso ci ha donato nel Vangelo. Lui ci ha dato tantissimi esempi di che cosa vuol dire vivere la prossimità.

C’è un pensiero di Chiara Lubich che mi è risuonato molto forte pensando a questa tematica. Dice così: “C’è chi fa le cose ‘per amore’, c’è chi fa le cose cercando di ‘essere l’Amore’. L’amore ci stanzia in Dio e Dio è l’Amore. Ma l’Amore che è Dio, è luce e con la luce si vede se il nostro modo di accostare e servire il fratello è conforme al Cuore di Dio, come il fratello lo desidererebbe, come sognerebbe se avesse accanto non noi, ma Gesù.”

Grazie di cuore, Margaret, della tua passione per una prossimità vissuta con decisione e rispetto.

Peter Forst
(Pubblicato nella rivista Neu Stadt)
Foto: © Austin Im-CSC Audiovisivi