Giovani, Medio Oriente e un grido per la pace
Nasce dai giovani della Giordania l’idea di ‘A Shout for Peace’: una settimana per la pace, a partire dal 7 settembre e, come conclusione, una serata alla quale invitare tutti i propri amici. Idea presto condivisa con i Giovani per un Mondo Unito del Medio Oriente, alcuni dei quali si trovavano proprio in Giordania per partecipare ad un incontro con la presidente e il copresidente dei Focolari, Maria Voce e Giancarlo Faletti. Si è deciso così di fare tutti qualcosa per la pace, nello stesso giorno, ognuno nel proprio Paese; e poi di ritrovarsi, grazie ad una conferenza telefonica, e pregare insieme per la PACE. Ed ecco il panorama di quanto accaduto in contemporanea nei vari Paesi: Giordania – 35 giovani musulmani e cristiani, danno il via ad un collegamento telefonico con i giovani di Fortaleza, in Brasile: “Ci hanno assicurato – spiegano – che pregano per la pace assieme a noi, insieme a tanti giovani di altri movimenti cattolici”. In linea c’è poi l’Iraq: “Un’occasione speciale per assicurarci vicendevolmente che siamo sempre uniti e che lavoriamo per lo stesso scopo”. Poi meditazioni dai rispettivi testi sacri, Bibbia e Corano, e pensieri spirituali di Chiara Lubich, Igino Giordani, Madre Teresa ed altri. La serata si conclude con una preghiera per la Siria e per tutto il Medio Oriente, tramite una conferenza telefonica con il Libano, la Terra Santa e l’Algeria. “Che momento speciale! La dimostrazione viva che l’unità cresce, nonostante la guerra nei nostri Paesi”. Terra Santa – “Mostrare ai nostri amici che non siamo soli a voler vivere per la pace”, questo il senso della serata in Terra Santa, col collegamento telefonico in diretta. La mattina successiva: un approfondimento sul “mettere Dio al primo posto” e una passeggiata distensiva.
Egitto – Il coprifuoco impedisce che i giovani si incontrino di sera per il collegamento. Ma il sentimento di essere uniti con gli altri non viene meno. Così lo esprime Sally, appena rientrata dalla Giordania: “Sono tornata in Egitto portando con me quell’unità. Sento che tra noi, nonostante le distanze che ci separano, c’è questa forte unità che mi ha aiuta ad avere la pace negli avvenimenti di ogni giorno; e anche a diffonderla ovunque”. Iraq – Grande emozione per il collegamento telefonico con la Giordania. Anmar, siriana, riferisce: “Ero davvero commossa dalla forza e dall’efficacia della preghiera. In queste ultime settimane riceviamo tante brutte notizie riguardo al mio Paese ed l’attacco sembrava imminente. Ma poi, grazie anche alla forza delle nostre preghiere, ho notato che i politici hanno cominciato i negoziati… è davvero un miracolo. Continuiamo a pregare!”. Algeria – Per la prima volta collegati con i giovani degli altri Paesi arabi, i Giovani per un Mondo Unito algerini sono felici. “Abbiamo sentito veramente l’atmosfera della presenza di Dio tra di noi”. Libano – Sono 40 i GMU, del Libano e dalla Siria (alcuni giovani siriani vivono in Libano) a ritrovarsi in una chiesa a Beirut: “La pace è il nostro scopo, ma a volte sentiamo che è così difficile da realizzare. Vedere questi giovani da tutto il MO, riuniti per pregare per la pace, ci dà la certezza e la forza per continuare a costruirla attorno a noi”. Comune a tutti l’impegno del Time Out, alle ore 12: un momento di silenzio o di preghiera per la pace.
Siria, il racconto di una stilista di Damasco
http://vimeo.com/75647683 «Dopo gli studi di stilista, ho lavorato per vari anni nel settore dell’abbigliamento. La Provvidenza ha poi voluto che lavorassi in un’organizzazione umanitaria con una religiosa del Movimento dei Focolari. Insieme abbiamo portato avanti dei progetti di insegnamento di cucito, ricamo e come stilista per le donne sfollate, aiutandole così a trovare un lavoro per sostenere le loro famiglie. Nel settembre 2012 si sono iscritte al corso 45 donne appartenenti a tutte le diverse confessioni presenti nel Paese (sunnite, sciite, cristiane, alaouite, druse) e di vari orientamenti politici. Una cosa sola le accomunava: erano sfollate e avevano perso tutto. Le tensioni tra loro erano molto forti ed evidenti, rifiutavano persino di trovarsi nello stesso posto. Un giorno nella Parola di Vita ho trovato la risposta, che è risultata come un monito: se volevo fare la volontà di Dio “che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi” e ci ama senza far differenze, anche la mia carità non doveva fare differenze. La mia priorità era di trattare ognuna come una persona degna di rispetto; abbiamo visto che pian piano le donne hanno cominciato a salutarsi, a parlare l’una con l’altra, ad avere un certo contatto. Col passare delle settimane, queste donne hanno cominciato ad accettare le loro differenze e a sconfiggere le diversità che invece fuori, nel Paese, si accentuavano. Condividevano preoccupazioni e dolori ed è nato tra loro un rapporto di vero amore. Il giorno della festa di Ramadan, con mia sorpresa, le ragazze cristiane hanno preparato una piccola festa a sorpresa per le musulmane. Le musulmane hanno fatto lo stesso per Natale. Quando è stato lanciato il time-out per la pace in Siria, ho pensato di proporre questo momento di silenzio e di preghiera a tutte. Sono stata molto sorpresa il giorno seguente sentendo che i loro cellulari suonavano a mezzogiorno per ricordare proprio il time-out! Nel giugno 2013, nel giorno della consegna dei diplomi, alla presenza di membri dell’Associazione internazionale e dei rappresentanti della Mezzaluna Rossa, è stato chiesto loro quali fossero stati i momenti più difficili durante l’anno. Una, a nome di tutto il gruppo, ha risposto che era quello il giorno più difficile, perché era l’ultimo giorno nel Centro. “L’unico posto – diceva – dove riusciamo a respirare e che ci ha sempre aiutato ad andare avanti, mettendo la pace nelle nostre famiglie e nei nostri cuori”. (altro…)
Ultima serata ad Amman
Numerosi gli incontri di Maria Voce e Giancarlo Faletti ad Amman in queste due settimane, dal 28 agosto al 10 settembre: l’incontro con le comunità del Movimento dei Focolari dei vari paesi del Medio Oriente, con personalità delle varie chiese cristiane, un incontro interreligioso musulmano-cristiano, l’udienza da Re Abdullah II, il quale ha dichiarato “amica della Giordania” la presidente dei Focolari. Infine, e a conclusione del viaggio, una serata in famiglia con giordani e iracheni. È un momento intenso di condivisione fra i membri dei Focolari di Amman e la nutrita delegazione arrivata per l’occasione dall’Iraq. L’intera serata è stata arricchita da interventi spontanei che rivelano una vita profonda, spesso conquistata a causa delle molte sofferenze, soprattutto in Iraq. Padre Eimad, iracheno di Bassora, racconta che, nonostante l’esigua presenza cristiana in un ambiente musulmano, è stato possibile costruire rapporti di amicizia con leader della comunità islamica. Un rapporto che si fonda sul rispetto e l’apprezzamento reciproco.
Proprio al gruppo proveniente dall’Iraq, Maria Voce rivolge parole di affetto e ringraziamento: “Incontrarvi per primi all’aeroporto è stata per me una grande gioia. Vorrei ringraziarvi, sapendo quanto avete vissuto, per la guerra e anche la decisione difficile che avete dovuto prendere: andare altrove o restare nel vostro Paese. Vorrei ringraziarvi per la vostra scelta e per quanto avete fatto per sostenere la Chiesa ed i cristiani”. Omar, musulmano, sottolinea l’importanza prioritaria del rapporto con Dio. Se si desidera dialogare è necessario farlo su una base solida e, quindi, afferma: “Dobbiamo cominciare da noi stessi. Da quando ho conosciuto il Focolare ho cominciato a pregare di più e meglio. Questo mi ha aiutato ad andare avanti nel rapporto con tutti.” Nel corso della serata particolarmente toccante è la testimonianza di Mons. Salomone Warduni, vescovo ausiliare caldeo di Baghdad: “È una grande gioia essere qui con voi. Abbiamo visto come è cresciuto ed è oggi il Movimento in Giordania ed in Iraq. Senza di esso non avrei potuto fare quello che ho fatto nel seminario e come vescovo”. Il racconto dell’incontro con il Re, la Principessa Alia e il Principe El Hassan bin Talal, riempie tutti di grande gioia ed orgoglio.
Maria Voce, ricordando il sogno che Chiara Lubich aveva definito ‘folle’, quello di portare a Dio il mondo fra le sue braccia”, conclude: “Allora portare a Dio l’Iraq e la Giordania. Qui è nato l’uomo, sono nate le civiltà, potremmo dire che qui è nata l’umanità ed il sogno di Chiara ha le dimensioni del mondo e dell’umanità. E quello che voi riuscirete a fare attraverso il vostro amore reciproco avrà conseguenze sull’umanità. Vicino ad Amman c’è il Monte Nebo, da dove Mosè ha visto la Terra Promessa, Gerusalemme. Siamo qui per costruirla insieme questa Gerusalemme!”. “Questi giorni sono stati così belli che vi auguro di custodire questa vita, ma guardando fuori. Finché ci sarà qualcuno che non conosce l’amore di Dio, non possiamo dormire sonni tranquilli. Abbiamo ricevuto, diamo”. Così Giancarlo Faletti sintetizza il suo augurio per il futuro del Movimento dei Focolari in Giordania. Dall’inviato Roberto Catalano (altro…)
Perdono, dialogo, riconciliazione. Le parole della pace
«Finisca il rumore delle armi! La guerra segna sempre una sconfitta per l’umanità». Parole gravi e severe di papa Francesco durante la veglia in piazza San Pietro per la pace in Siria, in Medio Oriente e in tutto il mondo. Nei giorni precedenti erano arrivate, incalzanti, adesioni da ogni dove. Da Amman, in Giordania, dove si trovava, anche l’adesione di Maria Voce a nome dei Focolari. Centomila persone pregano con Francesco durante quattro ore, in un silenzio imponente. Ovunque raccoglimento e compostezza. Questa volta non ci sono distintivi, né bandiere o cartelloni per dire le diverse appartenenze. S’impone, fin dall’inizio, solo la preghiera. Il Papa accoglie e venera l’icona della Salus Populi Romani. Poi un lungo intenso rosario che sembra recitato da una sola voce. Ma di più. Si percepisce pian piano l’istaurarsi di un colloquio con Maria, una sorta di a tu per tu che abbraccia l’intera piazza e riflette fiducia in Lei, madre di tutti, regina della pace. Tra la folla almeno un migliaio di musulmani raccolti qua e là a piccoli gruppi. In una decina, al di fuori delle transenne, recitano ad alta voce versetti del Corano e si uniscono così alle Ave Maria. Si respira un’atmosfera di rara universalità in quella Piazza. Ad ascoltare tutti è l’unico Dio.
La meditazione di Papa Francesco è densa, spirituale. Il suo volto è serio, concentrato. Prende spunto dalla Genesi, parla dell’armonia del creato voluta da Dio e del caos scatenato dall’uomo per la violenza e la contesa e «chiede alla coscienza dell’uomo: “Dov’è Abele tuo fratello?”». «Anche a noi è rivolta questa domanda e anche a noi farà bene chiederci: Sono forse io il custode di mio fratello? Sì, tu sei custode di tuo fratello! Essere persona umana significa essere custodi gli uni degli altri!». Invece quando si rompe l’armonia, «il fratello da custodire e da amare diventa l’avversario da combattere e da sopprimere». «Questa è la verità: in ogni violenza e in ogni guerra noi facciamo rinascere Caino. Noi tutti!», afferma con forza papa Francesco, «e anche oggi alziamo la mano contro chi è nostro fratello». «Abbiamo perfezionato le nostre armi, la nostra coscienza si è addormentata, abbiamo reso più sottili le nostre ragioni per giustificarci… La violenza, la guerra portano solo morte, parlano di morte! La violenza e la guerra hanno il linguaggio della morte!». «Possiamo uscire da questa spirale di dolore e di morte? Possiamo imparare di nuovo a camminare e percorrere le vie della pace?», si domanda il Papa. «Sì, è possibile per tutti!». Un applauso scrosciante, seppure breve, gli dà ragione. Ed egli continua: «Questa sera vorrei che da ogni parte della terra noi gridassimo: Sì, è possibile per tutti! Anzi vorrei che ognuno di noi, dal più piccolo al più grande, fino a coloro che sono chiamati a governare le nazioni, rispondesse: Sì, lo vogliamo!».
E poi, quasi a mo’ di confidenza, prosegue: «Come vorrei che per un momento tutti gli uomini e le donne di buona volontà guardassero alla croce! Lì si può leggere la risposta di Dio: lì, alla violenza non si è risposto con violenza, alla morte non si è risposto con il linguaggio della morte. Nel silenzio della croce tace il fragore delle armi e parla il linguaggio della riconciliazione, del perdono, del dialogo, della pace. Vorrei chiedere al Signore, questa sera, che noi cristiani, i fratelli delle altre religioni, ogni uomo e donna di buona volontà gridasse con forza: la violenza e la guerra non è mai la via della pace!». Papa Francesco invita ognuno dei presenti a guardare nel profondo della propria coscienza, «vinci le tue ragioni di morte e apriti al dialogo, alla riconciliazione, guarda al dolore di tuo fratello e non aggiungere altro dolore». Conclude: «Perdono, dialogo, riconciliazione sono le parole della pace: nell’amata Nazione siriana, nel Medio Oriente, in tutto il mondo. Diventiamo tutti, in ogni ambiente, uomini e donne di riconciliazione e di pace». La preghiera poi continua. Prolungati silenzi, litanie, preghiere, canti. Una lunga adorazione eucaristica, per molti dei presenti forse la prima esperienza. Tutti orientati verso quell’ostia nell’ostensorio, verso quel Dio che lì, sacramentalmente presente, appare come forse poche volte, il cuore del mondo. E a Lui si prega. Alle coscienze si è nuovamente appellato papa Francesco all’indomani, 8 settembre, durante l’Angelus della domenica. E’ tornato a parlare di pace «in questo momento in cui stiamo fortemente pregando» per essa, e a denunciare il male. Ha esortato a «dire “no” all’odio fratricida e alle menzogne di cui si serve, alla violenza in tutte le sue forme, alla proliferazione delle armi e al loro commercio illegale». E, a braccio, ha incalzato: «Questa guerra di là, questa di là – perché dappertutto ci sono guerre – è davvero una guerra per problemi o è una guerra commerciale per vendere queste armi nel commercio illegale?». E’ tempo di dire “no” ai conflitti, all’odio, alle violenze verso i fratelli. Ma per pronunciare questo “no” «è necessario che ognuno di noi prenda la decisione forte e coraggiosa di rinunciare al male e alle sue seduzioni e di scegliere il bene, pronti a pagare di persona». Infine ringrazia tutti i presenti, come aveva fatto alla conclusione della veglia notturna. «Andiamo avanti con preghiere e opere di pace» perché «cessi subito la violenza e la devastazione in Siria e si lavori con rinnovato impegno per una giusta soluzione al conflitto fratricida. La ricerca della pace è lunga. Richiede pazienza e perseveranza». di Victoria Gómez (altro…)
Testimonianze dalla Siria
Sono le voci di testimoni quelle che Roberto Catalano, nostro inviato ad Amman, ha raccolto tra i tanti siriani presenti nella capitale giordana per un incontro con Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari. Come sono percepiti e vissuti dai cristiani siriani gli avvenimenti tragici che stanno dilaniando il Paese, ha senso parlare di dialogo fra le religioni in questo contesto? «In Siria il dialogo c’è sempre stato, a livello ufficiale, promosso dal muftì, da altre personalità musulmane e dalle Chiese, che sono sempre state rispettate nel loro lavoro. In questo senso nulla è cambiato. La Siria in questi tre anni ha pagato però anche il prezzo dell’integralismo che si è manifestato con l’uccisione di esponenti dell’Islam sunnita moderato. Si tratta di persone di grande valore, come il chekr El Boudi, presidente del Consiglio internazionale dei professori di legge islamica. Amiche quarantenni mi hanno raccontato che fin dalla loro infanzia ascoltavano molto volentieri le sue prediche del venerdì, perché intrise di sentimenti e idee di amore, compassione, rispetto reciproco. Tutto questo è durato fino al momento della sua barbara uccisione avvenuta a Damasco alcuni mesi fa». E i cristiani? «A livello di popolo, con l’inizio delle violenze, è cominciata a serpeggiare tra i cristiani la paura, frutto, da una parte, di quella che potremmo chiamare la “memoria storica” di questa componente religiosa del Paese (per esempio la guerra libanese). Dall’altra, non dobbiamo dimenticare l’ingresso nelle varie città siriane di gruppi armati terroristici dichiaratamente ostili ai cristiani, che possono essere uccisi solo perché portano questo nome. Non che prima tutto fosse roseo, ma certo è che, seppur le leve del potere erano in mano ai musulmani (alaouti o sunniti), i cristiani erano rispettati e potevano accedere anche a posti di qualche responsabilità nell’amministrazione pubblica e nel mondo accademico. In ogni caso, sebbene quello che avviene in Siria non sia un attacco diretto ai cristiani, di fatto li pone di fronte al dramma dell’emigrazione, come unica via per sfuggire alle violenze e per assicurare un futuro ai propri figli. Il dialogo interreligioso non è solo questione siriana».
Come si vive la quotidianità sotto attentati e bombe? «Ad Aleppo i prezzi sono aumentati ancora. Nella parte sotto il controllo dell’esercito siriano il pane è introvabile perché le strade di accesso ai silos di farina sono sotto controllo dei ribelli. La strada che collega Aleppo-Homs-Damasco è pericolosissima. Soprattutto nel primo tratto si rischia realmente la vita. Ma viaggiare in tutto il Paese, a parte sulla costa, è diventato un terno al lotto. Percorsi che prima richiedevano tre ore ora ne necessitano anche 36. Dieci giorni fa terroristi di Jabat el Nouszra sono scesi dal Krak des Chevaliers verso la zona cristiana di Wadi Nazara, hanno eliminato i soldati in due posti di blocco, sono entrati nel primo villaggio cristiano dove si svolgeva una festa e hanno falciato i passanti, soprattutto giovani, che si trovavano nella strada principale. I morti sono stati almeno 18. Poi si sono ritirati. Questo ha gettato nel terrore le famiglie, molte delle quali già sfollate da altri posti della Siria». Esiste a qualche livello la speranza di una soluzione pacifica o politica al conflitto? «Non mi sembra che in queste settimane ci siano stati segnali positivi. Al contrario i combattimenti si sono intensificati in varie parti del Paese e, di conseguenza, la paura dei civili è cresciuta. L’impressione che ho avuto a Damasco la settimana scorsa è di sentire riecheggiare le parole di Isaia (53:7 ): “Era come agnello condotto al macello”. Mai come in quel momento ho capito la realtà dell’Agnello innocente che non può far nulla di fronte alla morte incombente e ingiusta. È questa la realtà della gente soprattutto dopo la minaccia dell’attacco da parte degli Usa: sgomento e desolazione. Ci si guardava negli occhi increduli come a dire: “Attaccheranno davvero?”. I mortai e i razzi dalla periferia sulla città erano molto più numerosi e l’attacco dell’esercito altrettanto pesante». Fonte: Città Nuova online (altro…)