Set 7, 2016 | Chiesa, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Senza categoria, Spiritualità
«Sono originaria della provincia di Napoli e vengo da una famiglia semplice. A mio padre, ministro straordinario dell’Eucaristia, erano stati affidati per lo più i malati e i poveri del paese che in qualche modo erano diventati di casa. Avevo 14 anni quando papà ci ha lasciati per un tumore, aveva quarant’anni. Il dolore è stato forte: allora non era vero che Dio si prendeva cura di noi, come mi aveva sempre detto. Mi sono buttata con tenacia nello studio, il mio obiettivo era fare tanti soldi e costruirmi una casa tutta mia. A 20 anni Dio si è riaffacciato nella mia vita: un gruppo di amici mi ha invitato ad un incontro di cui, onestamente, non ricordo nulla; l’unica cosa che mi ha spinto a cercarli di nuovo è stata la gioia che vedevo fra loro e che io non avevo. Studiavo, ero brava, avevo tanti amici, ma non ero felice come loro. Volevo capire meglio chi fosse questo Dio di cui parlavano e, dopo un paio d’anni, anche cosa volevo fare della mia vita. Ho conosciuto la mia congregazione quasi per caso. Confesso che non avevo una grande considerazione delle suore: per i napoletani le religiose sono “e cap’ e pezz’” (letteralmente: “teste fasciate da stracci”), cioè donne non realizzate, incapaci di fare qualcosa di buono. Il convento viene tutt’ora visto come un rifugio dal mondo: non poteva quindi essere la mia strada! Io sono solare, allegra, mi piace stare con la gente, ho studiato, ho avuto anche dei ragazzi. Ma in questa famiglia religiosa ho trovato l’amore della mia vita, Dio, a cui non ho potuto sottrarmi. Quella era la casa che tanto avevo desiderato da adolescente, ma con un di più: non ero sola, avevo altre sorelle che, come me, amavano Gesù. La mia famiglia religiosa – le Suore Francescane dei Poveri – si è imbattuta nel Movimento dei Focolari alla fine degli anni Sessanta. Viveva un momento di forte dolore per alcune difficoltà interne alla Congregazione, e non solo. Il nostro carisma – vedere Gesù povero e curare le sue piaghe – a contatto con la spiritualità dell’unità ha assunto nuova luce e il Vangelo con il suo messaggio di amore reciproco era la risposta a tutto quel dolore. Le suore hanno dato vita al Centro giovanile, perché le ragazze potessero capire cosa fare della loro vita. Poi, tornando alle fonti del nostro carisma, abbiamo anche capito che i poveri non sono solo gli ammalati, ma in ogni sofferenza che attraversa il cuore dell’uomo.
Oggi in Italia ci occupiamo di persone senza fissa dimora, di donne che decidono di uscire da situazioni di tratta, di migranti; lavoriamo con la Caritas. Offriamo il nostro aiuto e consulenza anche in ambito famigliare: nuove unioni, separazioni e divorzi; prestiamo servizio nelle carceri e con i minori, ecc. In questi ultimi sei anni ho lavorato come educatrice a Messina – sono laureata in Scienze della Formazione – in una comunità terapeutica per ragazzi sotto la giurisdizione del Tribunale dei minori. Andavo lì per loro, perché scoprissero quanto fossero importanti per la società. Spesso mi dicevano: “Quando sei con noi c’è qualcosa di bello, di buono, forse questo è Gesù?”. Recentemente poi, con il contratto a tempo indeterminato è arrivata anche una richiesta da parte dei miei superiori: un trasferimento nelle Filippine per lavorare nelle carceri e con i ragazzi di strada. L’esperienza che ho maturato in questi anni può essere utile lì. Ho già detto sì a Dio e non voglio tirarmi indietro proprio ora. A settembre partirò per sei mesi, per vedere se posso dare il mio contributo in quella terra». (altro…)
Set 5, 2016 | Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Spiritualità
Con la sua famiglia al completo – un fratello gemello e uno più grande, mamma, papà, le nonne – Elisa era stata poche settimane prima in Mariapoli – l’appuntamento estivo dei Focolari – a Carpegna (nelle Marche) con un centinaio di persone. L’occasione di conoscersi, raccontarsi esperienze di vita, percorrere un tratto di strada insieme. Elisa, poi, se la ricordano tutti: con il suo fare allegro e contagioso, e con l’aiuto del fratello gemello, aveva voluto filmare le impressioni del suo gruppo prima di partire, perché:«Le Mariapoli sono esperienze che segnano nel cuore e sono cose che rimangono. Spero di riuscire ad andarci sempre», come aveva scritto alla mamma in un messaggino al rientro.
Gabriele, il cuginetto di 8 anni, a metà giugno aveva invece partecipato – per il secondo anno consecutivo – al “congressino Gen4”. Tre giorni vissuti nell’incanto dei bambini che più di altri capiscono “le cose di Dio”. Una foto lo ritrae mentre impersona un angioletto che suona la tromba al passaggio della Porta della Misericordia, insieme agli altri compagni. La mattina del 24 agosto la notizia del terremoto, e la sospensione: Elisa, Gabriele e le nonne, sono sotto le macerie e si teme per la loro vita, come per i tanti altri dispersi di cui non si hanno notizie. Una catena di preghiere parte subito come un tam tam, ma alla sera arriva la conferma: non ce l’hanno fatta. Le famiglie danno da subito una forte testimonianza: «La loro fede nell’amore di Dio, così salda anche in tale sofferenza, ci illumina a vivere con rinnovato vigore per ciò che non passa», scriverà Maria Voce, presidente dei Focolari, all’indomani del terremoto alle comunità e alle famiglie colpite dal sisma. Mentre le comunità dei Focolari in Italia e nel mondo si attivano per sostenere la macchina dei soccorsi.

Elisa con i suoi fratelli
Il dolore è incomprensibile anche per i tanti coetanei, compagni di scuola, i Ragazzi per l’Unità che hanno conosciuto Elisa nei campi estivi, durante esperienze indimenticabili. Ma la testimonianza che cercano di dare, insieme, è quella di un amore che sia più forte anche della morte stessa. Una di loro scrive: «Ciao Elisa, questa notte ti ho sognata, eravamo a Stop’nGo, il campo estivo dove abbiamo legato. Volevo salutarti per l’ultima volta. Al polso avevi ancora il braccialetto che avevo fatto per te. Ti ho detto che eri bellissima, sembrava che sottovalutassi la tua bellezza, quindi dovevo ricordartelo. Dopo questo sogno mi sono svegliata più serena, ti penso in Paradiso». «Rimpiango tutti i dispetti che ti ho fatto – scrive il fratello gemello – ti ricordi quando stavamo a casa di nonno e ti prendevi tu la colpa al posto mio? Adesso le macerie di questo terremoto mi hanno allontanato da te. Ti prego mio angelo, proteggimi da lassù». «Ma come si può pensare che non c’è più? Elisa ha estratto il mio nome nel gioco dell’Angelo Custode durante la Mariapoli estiva del 2014». A scrivere è don Marco Schrott, che conosce le famiglie di Elisa e Gabriele da anni, e che con loro ha sempre avuto un rapporto speciale. «Essendo il mio Angelo Custode, la vedevo sempre intorno a me che mi batteva in fantasia con mille accortezze. A casa, su whatsapp, in chiesa, al campo Stop ‘n’ Go e in ogni circostanza c’era sempre una battuta che ricordava la custodia scambievole. Come si può immaginare che sia finito? Certo ci vorrà qualcun altro a giocare con i bambini più piccoli e a consolarli al posto suo. Elisa potrà solo moltiplicarsi, non sparire». 
Gabriele in Mariapoli
E di Gabriele, sempre don Marco scrive: «Quegli otto anni normali della sua esistenza si scoprono totalmente pieni di gioia. Quel bambino sapeva giocare sempre e con tutti. Invitava, proponeva, organizzava e svolgeva con la massima correttezza ogni suo gioco, come fosse l’unico suo compito. Come tutti in vacanza aveva un quaderno di scuola con i compiti e per finirlo doveva completare cinque pagine al giorno. Ma per giocare non le aveva finite. Dopo che il papà al telefono, lo ha invitato a recuperare tutte le pagine rimaste indietro, si è buttato subito a farle. Così disciplinato era sempre: divertirsi è bello, ma l’impegno senza imbrogli nel gioco, è lo stesso per la preghiera e tutte le altre mansioni richieste per collaborare dentro e fuori casa. L’impegno col quale partecipava alle processioni, si capisce ora che era frutto di una fede matura. Quindi non è per caso che si sono viste code ai confessionali dopo i suoi funerali. Si sono viste le facce degli amici così trasformate, sconvolte, colpite da un elettroshock evangelico e desiderose di cambiare l’impostazione della vita, aperti alla fede». Elisa e Gabriele sono voluti rimanere con le due nonne solo per quella notte ancora, ma prima di addormentarsi hanno pensato di fare bene le valige, in modo da essere pronti per il viaggio il giorno dopo. Quel giorno per loro è eterno. Maria Chiara De Lorenzo (altro…)
Set 4, 2016 | Chiara Lubich, Chiesa, Focolari nel Mondo, Spiritualità
«Madre Teresa è (…) una maestra eccelsa dell’arte di amare. Amava veramente tutti. Non chiedeva al suo prossimo se era cattolico o indù o musulmano, ecc. (…). Madre Teresa amava senz’altro per prima. Era lei che andava a cercare coloro per i quali era stata inviata da Dio. Madre Teresa vedeva, come forse nessun altro, Gesù in ognuno: «l’hai fatto a me» era appunto il suo motto. Madre Teresa si faceva uno con tutti. S’è fatta povera con i poveri, ma soprattutto come i poveri (…). Non accettava nulla che non potessero avere anche i poveri. È nota, ad esempio, la sua rinuncia e quella delle sue suore ad una semplice lavatrice, rinuncia che molti non comprendono – dicono: in questi tempi! -, ma lei faceva così perché i poveri non ce l’hanno e quindi nemmeno lei. S’è addossata, ha fatto propria la miseria dei poveri, le loro pene, le loro malattie, le loro morti. Madre Teresa ha amato tutti come se stessa, sino ad offrire loro il proprio ideale. Invitava, ad esempio, i volontari, che prestavano per un certo tempo un servizio alla sua Opera, a cercare la propria Calcutta là dove ognuno tornava. Perché i poveri – diceva – sono un po’ dovunque. Madre Teresa ha senz’altro amato i nemici. Non s’è mai fermata a contestare le accuse assurde che le si rivolgevano, ma pregava per i nemici. Sì, in lei si può vedere «l’arte di amare» incarnata alla perfezione. Era una (…) regina della carità». Chiara Lubich Conferenza telefonica del 25 settembre 1997 pubblicata in: Chiara Lubich, Costruendo il “castello esteriore”, Città Nuova, Roma 2002, pp. 25-28 Leggi anche:
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Set 3, 2016 | Chiara Lubich, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Anno 1959. A Fiera di Primiero si svolgeva, nel paesino trentino, l’ultima delle prime Mariapoli, etimologicamente “città di Maria”, uno degli appuntamenti tipici del Movimento dei Focolari nei quali, per alcuni giorni, adulti, giovani e bambini, persone delle più varie provenienze, si ritrovano con lo scopo di vivere un’esperienza di fraternità, alla luce dei valori universali del Vangelo. Oggi questi incontri si svolgono ogni anno in numerosi Paesi del mondo proponendo, in contesti diversissimi, la “regola d’oro” che invita a fare agli altri quello che si vorrebbe fosse fatto a sé. Il 22 agosto di quell’anno, nel pieno della “guerra fredda” che contrapponeva il blocco occidentale a quello sovietico, i partecipanti della Mariapoli, provenienti da ben 27 nazioni, decisero di consacrare a Maria sé stessi ed i propri popoli d’appartenenza. La formula di consacrazione fu letta in ben nove lingue presenti e quel “popolo” comprese che la vita di unità, scoperta e sperimentata in Primiero era destinata a diffondersi in tutto il mondo. Oggi, in tempo di “scontro di inciviltà”, i rapporti fra gli stati sembrano al massimo disordine ed è perciò evidente l’importanza dei propositi di quell’evento del ’59,tanto che il nuovo riunito Comune di Primiero ha ospitato, il 27 e 28 agosto, il convegno “I Popoli nella Famiglia umana”, che ha avuto come relatori il giurista Gianni Caso, presidente onorario di Corte di Cassazione, e Vincenzo Bonomo, direttore del corso di laurea in Giurisprudenza presso la Pontificia Università Lateranense. In questo tempo non si parla di popoli, ma semmai di stati. I popoli sono aggregazioni naturali con diritto all’autodeterminazione; gli stati arrivano perfino a negare l’esistenza di popoli indigeni, che pure esistono, per non doverne eventualmente riconoscere il diritto all’autodeterminazione. Si preferisce parlare di “società civile” che ha, al massimo, un’opinione: i popoli non hanno un’opinione, hanno un diritto ad autodeterminarsi e possono, spesso vorrebbero, rivendicarlo. «La pace dei popoli è l’ordine voluto da Dio», affermava Chiara Lubich ed affidava a Maria i popoli, non gli stati. Li affidava alla difesa di Maria perché i popoli hanno diritto alla difesa. «Oggi non c’è più guerra fredda – afferma Bonomo – ma c’è una pace fredda che è forse peggio perché è una pace, o presunzione di pace, non basata su valori condivisi». Cosa rimane oggi di quel “patto” del ’59? L’enunciazione di quei principi è oggi quanto mai attuale per orientarsi nel difficile panorama geopolitico. Secondo i relatori rimane il metodo di lettura dei fatti; rimane l’importante strumento della visione di un mondo unito che non abolisce le differenze ma le esalta. Oggi c’è voglia di riscoprire i valori profetici sanciti in quel lontano ’59 e le persone presenti all’incontro hanno mostrato passione e convinzione. Uno dei politici locali, sindaco degli ex comuni confluiti nell’unificato comune di Primiero, ha affermato che la Mariapoli di Primiero non deve essere per la valle un richiamo turistico ma deve finalmente, con i suoi valori” cambiare la nostra vita”. C’è voglia di far crescere il patrimonio di valori lasciato da Chiara Lubich e fare del Primiero un laboratorio di fraternità tra popoli. Un percorso che si è rivelato anche nella recente non facile unificazione dei quattro comuni, (Fiera di Primiero, Siror, Tonadico e Transacqua), quattro piccoli “popoli” che, per il bene comune, hanno scelto la comunione. Coloro che hanno vissuto quell’esperienza di oltre 50 anni addietro parlano di «semi piantati che bisogna continuare ad annaffiare». Nella discussione si pone un collegamento ideale tra lo “Spirito di Assisi”, nei rapporti tra le religioni e lo “Spirito di Primiero” nei rapporti tra i popoli. La domenica mattina del 28 agosto 2016, nella gremita Pieve di Fiera, si è ripetuto l’atto di consacrazione con la “formula” recitata nel 1959 in quella stessa chiesa. Un segno di festa per una nuova profonda, responsabile idea di pace. di Roberto Di Pietro Fonte: Città Nuova (altro…)
Set 1, 2016 | Centro internazionale, Cultura, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Come nascendo in una stalla Gesù s’era subito inserito nel più umile sottostrato sociale, tra gente senza casa, profughi, espulsi, cosi lasciandosi crocifiggere, abbandonato, si mise in mezzo alla massa dei sofferenti — gli oppressi, gli sfiduciati, gli affamati, i vinti d’ogni epoca e paese, al centro dell’umanità di tutti i tempi. Quella centralità nella miseria dà agli uomini la misura di quell’amore. Ma era questo il modo culmine d’inserirsi nella tragedia dell’umanità straziata: il modo di farsi ultimo, il più vile, il più degradato, per essere alla base di ogni miseria: una base che s’eleva al cielo. L’infinito che per amore s’annienta. Egli aveva creato l’universo, e lo sviluppava e lo reggeva: e universo significa una produzione di grandezza sconfinata, proporzionale, in qualche modo, alla grandezza della sua mente: un mondo fatto di mondi, uno più meraviglioso degli altri, di cui l’uomo — minuscola creatura d’un piccolissimo pianeta, — ha, dopo secoli di studi, qualche minuscola idea: con stelle che solo nella nostra Galassia distano tra loro circa 4 anni-luce e che dalla periferia della Galassia al centro della medesima contano una distanza di 30 anni-luce, la quale può coprirsi in un solo miliardo d’anni, nei due sensi, 1500 volte. In questo universo, infinitamente più grande di quanto sia possibile immaginare da mente umana, egli aveva visto anche la miseria del corpuscolo di abitanti del pianeta terrestre, e si era annientato per farsi uno di loro e li aveva assistiti sino a dar loro l’evangelo e la sua persona in pasto. La redenzione ristabilisce il disegno della creazione, il quale comporta che l’esistenza delle costellazioni e degli atomi nell’universo e quella delle creature in terra, come in ogni parte del mondo sia un’armonizzazione assidua per realizzare sempre l’unità. Perciò il Creatore immise, come alito vitale, l’amore. Benessere, pace, sanità fioriscono in proporzione di questo precetto. (Igino Giordani, L’unico amore, Città Nuova, 1974, pp. 64 e 105) (altro…)
Ago 29, 2016 | Focolari nel Mondo, Spiritualità
«Quel campanile della torre civica di Amatrice che segna le 3.36, è un’immagine forte per dire che cosa è accaduto questa notte. Quel minuto è stato l’ultimo per le tante vittime, sarà un minuto ricordato per sempre perché inciso nella carne e nel cuore dei loro famigliari, e sarà ricordato dal nostro Paese, la cui storia recente è anche una serie di orologi fermati per sempre dalla violenza degli uomini o da quella della terra. Anch’io lo ricorderò per sempre, perché questo urlo della terra ha raggiunto anche la casa dei miei genitori di Roccafluvione, a una ventina di km da Arquata del Tronto, dove mi trovavo per visitarli. Una lunga notte di paura, di dolore, di pensieri per Amatrice, Arquata, Accumuli, paesi della mia infanzia, vicino ai paesi dei miei nonni, borghi dove nelle estati accompagnavo mio padre che lì lavorava come venditore ambulante di polli. E poi ancora pensieri, pensieri che non facciamo mai, perché si possono fare solo nelle notti tremende. Pensavo che quel tempo misurato fino alle 3.36 dall’orologio del campanile, che era lì bloccato, morto, era solo una dimensione del tempo, quella che i greci chiamavano kronos, ma che era solo la superficie, il suolo del tempo. Nel mondo c’è il nostro tempo gestito, addomesticato, costruito, usato per vivere.
Ma al di sotto c’è un altro tempo: è il tempo della terra. Questo tempo non-umano, a volte dis-umano, comanda il tempo degli uomini, delle mamme, dei bambini. E pensavo che non siamo noi i padroni di questo tempo altro, più profondo, abissale, primitivo, che non segue il nostro passo, a volte è contro i passi di chi gli cammina sopra. E quando queste notti tremende avvertiamo quel tempo diverso sul quale noi camminiamo e costruiamo la nostra casa, nasce tutta nuova la certezza di essere “erba del campo”, bagnata e nutrita dal cielo, ma anche inghiottita dalla terra. La terra, quella vera e non quella romantica e ingenua delle ideologie, è assieme madre e matrigna. L’humus genera l’homo ma lo fa anche tornare polvere, a volte bene e nel momento propizio, ma altre volte male, troppo presto, con troppo dolore. L’umanesimo biblico lo sa molto bene, e per questo ha lottato molto contro i culti pagani dei popoli vicini che volevano fare della terra e della natura una divinità: la forza della terra ha sempre affascinato gli uomini che hanno cercato di comprarla con magia e sacrifici. E così, mentre cercavo, invano, di riprendere sonno, pensavo ai libri tremendi di Giobbe e di Qohelet, che si capiscono forse durante queste notti. Quei libri ci dicono che nessun Dio, nemmeno quello vero, può controllare la terra, perché anche Lui, una volta che entra nella storia umana, è vittima della misteriosa libertà della sua creazione. Neanche Dio può spiegarci perché i bambini muoiono schiacciati dalle antiche pietre dei nostri paesi, e non può spiegarcelo perché non lo sa, perché se lo sapesse sarebbe un idolo mostruoso. Dio, che oggi guarda la terra delle tre A (Arquata, Accumuli, Amatrice), può solo farsi le stesse nostre domande: può gridare, tacere, piangere insieme a noi. E magari ricordarci con le parole della Bibbia che tutto è vanità delle vanità: tutto è vapore, soffio, vento, nebbia, spreco, nulla, effimero. Vanitàin ebraico si scrive hebel, la stessa parola di Abele, il fratello ucciso da Caino. Tutto è vanità, tutto è un infinito Abele: il mondo è pieno di vittime. Questo lo possiamo sapere. Lo sappiamo, lo dimentichiamo troppo spesso. Queste notti e questi giorni tremendi ce lo fanno ricordare». Luigino Bruni Fonte: Città Nuova (altro…)