Lug 1, 2002 | Chiara Lubich
Rimini incontra per la seconda volta Chiara Lubich. La prima fu per l’attribuzione della cittadinanza onoraria, questa è per un riconoscimento che investe non soltanto la sua personalità religiosa, ma anche quella che esprime idee e ideali legati alla testimonianza civile, alle ragioni collettive, ai valori della scelta umanistica negli ambiti concreti del comune patrimonio sociale, sia esso culturale, economico, politico.
Rimini ha fama di città votata, insieme, alle quiete poetiche provinciali e alla più clamorosa delle vacanze, alle convenute e salutari esigenze del tempo prestato al riposo, al ristoro, alle gioie di giornata, così come all’effimero, alla dimenticanza, ai rinvii: ma nel suo patrimonio civile, morale e culturale tende, complessivamente, a fare della propria, grande visibilità mondana uno strumento di attrazione e di sintesi di grandi temi valoriali, a cominciare dalla pace e dalla libertà, dalla giustizia e dalla fratellanza. Non a caso ospita, ogni anno, una manifestazione culturale di respiro internazionale, le giornate del “Pio Manzù”, un grande evento d’ispirazione religiosa, il “Meeting per l’Amicizia fra i popoli”; e, a cura del Comune e della Provincia, iniziative culturali di risonanza più che nazionale. Nel contempo è la fonte di una provocazione solidale, in nome di Giovanni XXIII, che non ha l’uguale nel mondo, e conta un numero di volontari laici che, in proporzione, è il più alto d’Italia; questo – nonostante l’invito sapiente di Federico Fellini a fare “un po’ di silenzio”- nella terra del più chiassoso e corrivo dei simboli: il cosiddetto, abusato e per fortuna ormai frusto divertimentificio! Al Sindaco e al Presidente della Provincia, alle rispettive giurisdizioni, alla cittadinanza, alle rappresentanze della società civile, senza distinzione tra laici e credenti, è parso in modo netto di poter identificare una figura di riferimento alto, reale, non solo edificante e non solo simbolico, nella persona di Chiara Lubich, la donna che, come Martin Luther King e Teresa di Calcutta, ha offerto la sua fede e la sua opera per la costruzione di un mondo in cui la speranza sappia farsi anche progetto, la preghiera anche denuncia, la condivisione anche sacrificio; e dove non si dica solo e sempre redimere, ma anche liberare. Chiara Lubich sa che Rimini è una singolare città di frontiera: vivere sotto gli occhi di mezzo mondo, offrendo lusinghe di ogni genere – non ultima quella, umanissima, di essere un luogo propizio per portarvi anche da molto lontano veri e propri disegni di vita, con trasferimenti d’esistenza non di rado difficili – è altresì il luogo in cui sono possibili, accanto a benemerite redenzioni umane e sociali, anche gravi rischi di degrado morale e d’inquinamento socio-economico. In questa realtà Chiara è più che mai un bene prezioso. Ricca del suo carisma interiore, e al tempo stesso dotata di un sistema di valori calato nella dimensione anche politica della realtà quotidiana, il suo essere per la vita – quindi nella pace, nella libertà e nella giustizia – ne fanno una persona capace di trasmettere, in tempi come questo, un forte segnale di allerta. Nel mondo, infatti, cova una malattia subdola e insidiosa: non è ancora la peste, e non è ancora a bordo, assicurano i nostromi del mondo, ma sulla tolda serpeggia un’inquietudine nuova: l’intolleranza genera inimicizia, e questa istiga la violenza; l’iniquità provoca fame, e questa induce alla disperazione; l’indifferenza è fonte di rivalsa e questa suscita il rancore; l’egoismo si sposa con il pregiudizio, e questo produce separatezza e razzismo. Spendendosi con vigore anche su questi temi, Chiara lascia ogni giorno nel mondo testimonianze memorabili, fatte proprie persino da confessioni diverse, suscitando un’ammirazione che è l’eco stessa dello spirito di Assisi, secondo cui non c’è più un pulpito, un inginocchiatoio o uno stuoino, dal quale una preghiera – se rivolta al Dio dell’ut unum sint – possa salire più in alto di altre. Chiara, nel mondo, non ha mancato di dire a capi religiosi, statisti, leaders politici, intellettuali, che ci salveremo da un futuro per ora incerto, e qua e là denso di pericoli, a patto di razionalizzare, e quindi laicizzare, giudizi, scelte, decisioni. Non è più tempo – tutto, intorno a noi, ci ammonisce – di insistere su pretese d’intoccabilità, da una parte, e d’impunità dall’altra. Occorre semmai conciliare i diritti conferitici dalle aggressioni dei fondamentalismi con i doveri cui tenersi nel momento di porre in atto le risposte: perché se non venissero rispettati i doveri verrebbe meno la stessa legittimità dei diritti; ed eccedere nella rivalsa significherebbe annullare lo stesso concetto di giustizia; una vittima che ne producesse un’altra, infatti, non terrebbe in equilibrio l’equità, ma porrebbe sullo stesso piano due ingiustizie. Lo dico pensando ai ragazzi imbottiti di rancore e di plastico che vanno ad uccidersi e a uccidere dove altri ragazzi, perciò stesso, cresceranno nell’odio e nella rivalsa, lo dico pensando alle “torri gemelle”, alle due lance scagliate, si direbbe, contro il costato di Gesù in croce che tuttavia non possono chiamare in causa civiltà intere, né mettere a repentaglio la pace addirittura nel nome di Dio. Non è più tempo di crociate, è tempo di incontri e aperture, dialoghi e progetti, di cui farsi garanti con l’ottimismo della volontà, cioè credendo in ciò che si può fare e dunque va fatto. Ecco perché Chiara è oggi una presenza insostituibile tra chi opera non solo con la preghiera, ma anche con il richiamo alle responsabilità e ai compiti della politica, agli strumenti dell’economia, ai mezzi della conoscenza per una non più rimandabile rigenerazione del mondo in senso umanistico, vale a dire di un impegno, nelle sue premesse, fondamentalmente etico. Se in questo istante si stanno combattendo sul pianeta 45 tra guerre e guerriglie (per un pozzo d’acqua, per un confine etnico, per avere uno Stato), se tre persone su dieci rischiano di morire di fame, se un miliardo di uomini non conoscono ancora la luce elettrica, se tale scenario, iniquamente distribuito, vede da una parte crescere l’accumulo dell’opulenza e dall’altra l’abisso della povertà, è sembrato cosa buona e giusta dare la parola, con questa solenne adunanza, a una donna non eterea, non edificante, non irenica, non insomma auna “prigioniera della Grazia”, “un’alunna della Perfezione”, a una creatura libera ed esigente, che interpreta la libertà lasciataci dal creatore perché partecipassimo, spendendo ciascuno il proprio talento, alla liberazione di tutti.In un mondo dove non solo le previsioni dei sociologi e degli storici, ma anche e soprattutto le cosiddette “curve econometriche” ci dicono che il nostro futuro sta nel dar vita alla convivenza di una irresistibile realtà multietnica – perché non vi è nulla, ormai, che non riguardi il singolo e allo stesso tempo le comunità – politica significa più di sempre, secondo l’espressione di Don Milani, uscirne insieme; e mentre carità e condivisione sono le braccia che si stringono intorno al bisogno, giustizia è il solo abbraccio che può trarre da quel bisogno. Se non saranno garantiti lavoro, dignità, sicurezza a tre quarti del pianeta, ci si dovrà domandare chi sia venuto meno al proprio compito: se il creatore o le sue creature. Laici e credenti si contendono questa responsabilità, ma non è facile per nessuno accettare l’equazione secondo la quale se l’uomo fallisse il fallimento sarebbe anche di Dio. Chiara ci dice che se Dio e l’uomo non possono mancare l’uno all’altro, pena la loro stessa impotenza, questo non ci esime dal dover fare, sempre e comunque, la nostra parte: non solo ai piedi degli altari, per chi ha fede in Dio, ma anche, per chi crede nella ragione, ai tavoli della politica, della finanza, della scienza, della comunicazione. Non saranno le sedie vuote nel consesso della Fao a rassicurarci sulle responsabilità collettive, né sui progressi della globalizzazione. Un miliardo di uomini appartengono ai Paesi ricchi, 5 miliardi a quelli poveri. Ogni ora muoiono di fame 900 persone , una ogni 4 secondi. Il cibo a disposizione degli italiani potrebbe sfamare 110 milioni di persone; ogni giorno sono disponibili, in Italia, 3.500 calorie pro capite: 2.200 quelle utilizzate, 1.300 quelle perdute, buttate via. I mercati di Roma gettano nelle discariche, in 24 ore, 87 tonnellate di frutta e verdura; 25 tonnellate di carne e pesce: solo questo cibo potrebbe sfamare, quotidianamente un milione di persone. Nel frattempo, sono ancora attive, sul pianeta, 32 milioni di mine antiuomo; e la spesa annuale destinata ancora agli armamenti basterebbe all’approvvigionamento idrico per un terzo del pianeta. Ci spettano, a veder bene, doveri che non tollerano distinzioni né ontologiche né ideologiche; e che non ammettono deleghe, né deroghe. Rimini, un luogo cresciuto con i suoi principi cristiani e, del pari, nel suo laicismo, attraverso questa donna apparentemente fragile, e invece radicata nella sua stessa universale lezione d’umanità, oggi, qui si dichiara “città aperta” a ogni cultura, lingua, colore della “pace nella giustizia”, per usare un’espressione molto significativa di questo Papa coraggioso e leale; pronta a farsi testimone e sostegno di quanto opera in nome di ciò che unisce e contro ogni forza che tenda, sciaguratamente, a dividerci: per un umanesimo riedificato dall’eticità dei nostri sì e dei nostri no, prima e ultima scelta con cui decidere se vogliamo vivere, consapevolmente, all’altezza dell’uomo, cioè nel punto più alto della responsabilità affidataci dalla nostra storia misteriosa e palese, arcana e concreta, fatta di carne e di spirito. Quella che ha indotto alla scelta di Chiara come testimone e protagonista di un grande appello e di una nuova, ragionata speranza. Grazie. (altro…)
Lug 1, 2002 | Chiara Lubich
"Gentile Chiara, gentili ospiti, autorità,
io credo che in tutti noi vi sia oggi una lucida consapevolezza: questa giornata da trascorrere insieme alla nostra cittadina onoraria Chiara Lubich non è storica solo per Rimini ma per tutti coloro nel mondo i quali ritengono che la pace non sia un concetto astratto e utopico ma un fatto vero, reale, solido riguardante da vicino le nostre quotidiane esistenze.
La pace quale principio ispiratore di ogni nostra azione, la fraternità quale scudo infrangibile posto davanti ai piccoli e ai grandi tentativi di prevaricazione, l’unità come metodo per restare saldi davanti alle tante tragedie di un mondo che non ha ancora imparato le lezioni dolorose trasmesse dalla storia.
Da te, Chiara, quest’oggi in tanti attendono non solo parole di pace e di speranza ma anche l’indicazione di un cammino che non può e deve essere interrotto dalle guerre, e dal sangue inutilmente versato nel nome di una religione o di una ideologia. Io penso che tu, Chiara, quest’oggi ci dirai che quella strada siamo noi- con le nostre opere- a realizzarla ogni giorno.
Non è forse vero che la più dirompente delle rivoluzioni comincia nel cuore dell’uomo e nella risposta individuale?
La responsabilità personale e collettiva ci chiama dagli albori della storia dell’uomo a un impegno a costruire una società migliore; ci chiama dal primo all’ultimo giorno della nostra vita a una crescita personale che condiziona poi le scelte generali. Non possiamo dimenticare questo: è nostro dovere capire e conoscere per crescere insieme. In ogni campo dell’esistenza.
Anche e soprattutto in quella politica che troppe volte ha deviato dal nobile principio originario.
Restituirgli il suo sapore attraverso la riaffermazione di categorie etiche universali- vale a dire, realizzare la libertà, l’uguaglianza, la pace, la fratellanza con programmi concreti- è compito che riguarda uomini pubblici a qualsiasi livello. Anche noi.
Per farlo occorre non limitarsi alla gestione, o cinica o populista o consociativa, del quotidiano; serve dare segni che vadano anche oltre i ruoli se vogliono davvero indicare una via per il futuro.
Oggi, con la tua presenza, Chiara, Rimini vuole offrire al mondo uno di questi segni.
La nostra città è diversa e migliore di quelle rappresentazioni parziali che a volte fuoriescono all’esterno. La nostra città ha costruito l’industria dell’accoglienza su una profonda cultura dell’accoglienza; ha ricoperto e ricopre il ruolo di realtà aperta al dialogo, al confronto tra culture diverse, alla multietnicità, alla tolleranza.
E’ stata ed è capitale della vacanza, dando a questa espressione una valenza straordinaria e positiva: ’inventare’ un sistema unico che permettesse a tutti- senza distinzioni di classi o censo- di ritagliarsi durante l’anno giorni di serenità e svago. Ma proprio perché eccellente, Rimini oggi ha una responsabilità in più rispetto ad altre città: non può accontentarsi. In un momento di profondi cambiamenti sociali, economici, culturali, uno snodo della storia per certi versi epocale, Rimini deve tornare a essere anticipatrice, innovativa e propositiva, dando risposte non banali a problemi tanto urgenti quanto universali.
Questa città deve investire le sue risorse, in primis umane, più qualificanti in uguaglianza, integrazione, accoglienza perché in tanti all’esterno chiedono a questa città di tornare a essere ’laboratorio’ capace di interpretare con fantasia, laboriosità, voglia di intrapresa i messaggi che il mondo pone.
E’ un compito difficile, non lo nego, che necessita di un grado di coesione assoluto tra cittadini, istituzioni pubbliche civili e religiose, categorie private, immigrati sulla base di poche ma chiare certezze: il rispetto da parte di tutti delle regole di convivenza, la condivisione di valori imprescindibili quali l’ascolto delle idee altrui, la consapevolezza che il legittimo benessere economico vada perseguito battendo le strade della legalità, l’impegno a non chiudersi nell’individualismo e nel corporativismo.
Serve un altro scatto in avanti, una nuova prospettiva in cui si miscelino in egual misura orgoglio, umanità, intelligenza e capacità imprenditoriale. Questo, Chiara, è il mio sogno e il mio appello. Non è ambizioso perché sai- e la tua presenza qui ne è la testimonianza palese- quanto Rimini sia già adesso aperta e bella. Questa giornata – i colori, la gioia, l’atmosfera che si respira – mi fanno dire che un pezzetto di questo sogno si stia già avverando."
Il Sindaco di Rimini
Dott. Alberto RAVAIOLI
Lug 1, 2002 | Chiara Lubich
Ho ricevuto il vostro cortese invito per il convegno su pace, solidarietà e fraternità: una diversa cooperazione per l’unità dei popoli che si terrà il prossimo 22 giugno (2002) a Rimini.. Mi rincresce di non partecipare a questa iniziativa: avrei ascoltato con particolare piacere l’intervento di Chiara Lubich le cui parole sanno sempre aprire i cuori e le menti alle ragioni della pace e della fratellanza. Nell’augurarvi buon lavoro, saluto tutti coloro che saranno presenti e che daranno il loro contributo a questa importante iniziativa.
Pier Ferdinando Casini Presidente della Camera dei Deputati (altro…)
Lug 1, 2002 | Non categorizzato
Signor Sindaco, Autorità civili e religiose, Signore e Signori.
Fraternità, pace e unità, ecco tre parole tremendamente attuali su cui dovrei soffermarmi. Attuali perché, dopo il fatidico 11 settembre dell’altr’anno, la loro assoluta necessità è emersa, paradossalmente, nella coscienza di molti, come tre splendidi fiori sbocciati da una chiazza di sangue, come una speranza impensata da un immenso sconforto. New York trasformata Quel che è successo quel giorno a tutti è noto. Sgomento infinito negli USA e non solo. Ma, ecco, da quel groviglio di dolore, da quella notte piombata in piena luce, apparire un fenomeno inconsueto: una gara di solidarietà mai vista: muri d’indifferenza sciolti in una valanga di aiuti concreti, di conforto, di prontezza a far qualcosa che allevi i dolori degli altri. New York è trasformata. Così gli Stati Uniti, Paese multi-religioso, multi-etnico, multi-culturale, ha presentato al mondo, in una sua città, un modello di solidarietà, di unità. E’ stato come se gli occhi di un popolo si fossero spalancati e avessero visto l’assoluta necessità che si instauri la fraternità e non solo fra gli americani. Quest’esigenza poi è emersa in tutta la sua urgenza nei mesi successivi, quando si sono approfondite le varie possibili cause del terrorismo. Fra queste, fondamentale, quella dello squilibrio, sul nostro pianeta, fra Paesi poveri e Paesi ricchi, squilibrio che ha reclamato maggior condivisione di beni. Cosa che non sarà possibile finché l’umanità non sia percorsa da un ardente desiderio e da un forte impegno di fraternità universale. La fraternità nelle grandi anime La fraternità universale non è un’idea di oggi. Essa è stata presente nelle menti di spiriti forti. “La regola d’oro – diceva il Mahatma Gandhi – è di essere amici del mondo e considerare ’una’ tutta la famiglia umana.” E a proposito di sé affermava: “La mia missione non è semplicemente la fratellanza dell’umanità indiana. (…) Ma, attraverso l’attuazione della libertà dell’India, spero di attuare e sviluppare la missione della fratellanza degli uomini.” E Martin Luther King: “Ho il sogno che un giorno gli uomini (…) si renderanno conto che sono stati creati per vivere insieme come fratelli (…); (e) che la fraternità (…) diventerà l’ordine del giorno di un uomo di affari e la parola d’ordine dell’uomo di governo” . Su questa linea, il Dalai Lama, a proposito di quanto è successo negli Stati Uniti, scriveva ai suoi: “Per noi le ragioni (degli eventi di questi giorni) sono chiare. (…) Non ci siamo ricordati delle verità umane più basilari. (…) Siamo tutti uno. Questo è un messaggio che la razza umana ha grandemente ignorato. Il dimenticare questa verità è l’unica causa dell’odio e della guerra”. Gesù e la fraternità Ma chi ha indicato e portato la fraternità come dono essenziale all’umanità, è stato Gesù, che ha pregato così prima di morire: “Padre, che tutti siano uno” (cf Gv 17,21). Egli, rivelando che Dio è Padre, e che gli uomini, per questo, sono tutti fratelli, introduce l’idea dell’umanità come famiglia, l’idea della “famiglia umana”. E con ciò abbatte le mura che separano gli “uguali” dai “diversi”, gli amici dai nemici. E scioglie ciascun uomo dai vincoli che lo imprigionano, dalle mille forme di subordinazione e di schiavitù, da ogni rapporto ingiusto, compiendo in tal modo un’autentica rivoluzione esistenziale, culturale e politica. I politici e la fraternità L’idea della fraternità iniziò così a farsi strada nella storia. E tutti vi sono chiamati: anche coloro che lavorano in politica. Lo ha detto, ad esempio, la Rivoluzione francese che nel suo motto: “Libertà, uguaglianza, fraternità”, ha sintetizzato il grande progetto politico della modernità, anche se questo progetto è stato inteso da essa in modo assai riduttivo. Inoltre, se numerosi Paesi, arrivando a costruire regimi democratici, sono riusciti a dare una certa realizzazione alla libertà e all’uguaglianza, la fraternità è stata più annunciata che vissuta. Comunque “la lezione del ventesimo secolo – è stato detto – è che il futuro più umano passa attraverso l’accettazione del trinomio biblico (libertà, uguaglianza, fraternità) purificato dalle letture ideologizzate e riportato all’auscultazione dell’uomo (…) che si riscopre co-umanità. (…) L’elemento base del trinomio, sul piano della garanzia vitale, è la fraternità.” Un’unità globale Oggi il mondo tende all’unità. L’unità è un segno dei tempi: molti fattori religiosi, sociali e politici lo stanno a dimostrare. Ma occorre precisare: oggi, il mondo tende ad un’unità universale, ad un’unità globale. Ce lo fanno capire situazioni, esigenze, aspetti importanti della realtà contemporanea. I mezzi di comunicazione rendono presenti gli uni agli altri persone e popoli materialmente lontanissimi; tanto che, per esempio, nelle scelte personali di un giovane occidentale, può avere un peso decisivo ciò che accade in Asia o in Africa. Nessuno ci è più estraneo, perché lo “vediamo”, perché sappiamo di lui. Inoltre, la globalizzazione economica e finanziaria ha intrecciato tutti i nostri interessi, che non sono più separati fra di loro: ciò che accade in un Paese può avere ripercussioni materiali immediate in molti altri Paesi. Ancora: esistono problemi che interessano l’umanità nel suo insieme, che nessun popolo può affrontare separatamente dagli altri. Basti pensare ai grandi temi che coinvolgono la comunità internazionale in questo periodo: la questione ambientale e in particolare l’ecologia umana, lo sviluppo e l’alimentazione, le problematiche riguardanti il patrimonio genetico dei diversi gruppi umani. Oggi non è più l’epoca dei soli diritti individuali, né solo dei diritti sociali di una categoria: la nostra è l’epoca dei diritti e dei doveri dei popoli e dell’umanità. Viviamo dunque in un mondo che davvero è diventato un villaggio: complesso e nuovo, ma un villaggio. L’umanità vive oggi come fosse un piccolo gruppo. Ma, a differenza dei piccoli gruppi di una volta, non è ancora riuscita a sviluppare sufficientemente un pensiero capace di rispettare le distinzioni mentre comprende la fondamentale unità. I concetti tradizionali di razza, religione, cultura, Stato, si infrangono davanti alla complessità della situazione. Ebbene, è proprio la fraternità la categoria di pensiero capace di abbracciare quell’unità e quella distinzione cui anela l’umanità contemporanea. Lo stesso Giovanni Paolo II, parlando al Corpo Diplomatico il 10 gennaio 2000, ha eletto la fraternità a criterio di giudizio del secolo appena trascorso. Dopo avere sottolineato il grande progresso scientifico che ha caratterizzato il Novecento, si è chiesto: “Questo secolo è stato anche quello della fraternità?”. Egli ha sottolineato “l’azione perseverante di diplomatici saggi” nel tentativo di far emergere una vera “comunità di Nazioni”; indice, questo, di “una certa volontà di edificare un mondo fondato sulla fraternità, per stabilire, proteggere ed estendere la pace intorno a noi” . Strumenti d’unità e fraternità La fraternità, dunque, è l’ideale di oggi. Ma come farla fiorire? Come suscitare fraternità? Per dare al mondo la fraternità che generi un’unità spirituale, garanzia dell’unità politica, economica, ecc., non mancano gli strumenti. Basta saperli individuare. Uno, la cui efficacia non è ancora del tutto scoperta, ma che si farà evidente nel prossimo futuro, è quello dell’apparire nel mondo cristiano, dopo i primi decenni del ’900, di decine e decine di Movimenti e Comunità ecclesiali. E questo non solo in Paesi europei, ma ormai in tutto il mondo, come tante reti che collegano i popoli, le culture e le diversità. Quasi un segno che, cominciando dal nostro Continente, il mondo potrebbe diventare una casa delle Nazioni perché esso lo è già attraverso queste realtà , pur se ancora a livello di laboratorio. Sono Movimenti moderni, sorti non solo nella Chiesa cattolica, avvolti in genere ancora nel silenzio, come tutte le cose nascenti vere e importanti, ma che esploderanno presto. Sono realtà meritevoli di grande ed alta stima perché effetto non di programmazioni o progettualità umane, ma di doni, di carismi dello Spirito di Dio, che conosce meglio di qualsiasi uomo e donna della terra i problemi del nostro pianeta ed è desideroso di concorrere a risolverli. Ora questi Movimenti, poiché fondati o prevalentemente composti da laici, veicolano un sentito e profondo interesse per il vivere umano con ricadute nel campo civile, cui offrono concrete realizzazioni politiche, economiche, ecc. Sono venuti in piena luce appena tre anni fa, quando la Chiesa si è riscoperta e ripresentata al mondo costituita, oltre che dall’aspetto istituzionale, anche da quello carismatico, coessenziale al primo. Aspetto che ha arricchito anche i secoli passati di Movimenti spirituali (come, per un solo esempio, quello francescano) e delle più varie correnti di pensiero e di spiritualità, atte a riportare il popolo cristiano, spesso illanguidito e secolarizzato dal contatto col mondo, all’autenticità ed alla radicalità del Vangelo, capace sempre di dare un volto nuovo alla città terrena. Questi Movimenti, seguendo ciascuno il proprio carisma, concretizzano l’amore in tante forme. Parecchi fra questi, in particolare, manifestano la forza dello Spirito nella capacità che hanno d’aprire tutti gli uomini e donne del nostro pianeta a un dialogo profondo. Il Movimento dei Focolari Una di tali realtà è il Movimento dei Focolari che conta milioni di membri presenti in 182 nazioni. Esso – assieme a molte altre valide organizzazioni, iniziative, opere – porta in questa nostra epoca l’unità e la fraternità, dovunque. Dirò qualcosa di questo Movimento, che meglio conosco, ma come esempio fra tanti. I dialoghi Quattro sono i dialoghi che, da quasi mezzo secolo, esso ha messo in atto. Il dialogo all’interno della Chiesa, che l’aiuti ad essere sempre più “comunione”, quella comunione nella quale la fraternità e la pace sono assicurate. Il dialogo ecumenico nella sua forma di “dialogo del popolo”. Questo dialogo coinvolge, vivissimo, cristiani di 350 Chiese, trasformati tutti in una sola “famiglia cristiana”, quasi un pezzo d’anima di quell’unica Chiesa che verrà. Il dialogo con persone di altre religioni: musulmani, ebrei, buddisti, indù, sikhs, ecc., oggi presenti un po’ dovunque per le ondate migratorie. Dialogo possibile, questo, per la cosiddetta “regola d’oro”, comune a tutte le principali religioni della terra. Essa dice: “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te” (cf Lc 6,31). Regola d’oro che in fondo domanda di amare ogni prossimo, cosicché se noi, perché cristiani, amiamo, ed essi, pure, come indù, musulmani, ebrei, amano, ecco l’amore reciproco, da cui fiorisce la fraternità. Questo dialogo ha già fruttato, per il Movimento dei Focolari, una fraternità piena e sentita con un Movimento buddista moderno di Tokio, che conta sei milioni di membri. E con un altro Movimento musulmano afroamericano di due milioni di membri, il quale, per lo scambio dei doni che si effettua nel dialogo, ha aperto a noi 40 moschee negli USA, dove possiamo annunciare le nostre esperienze di fede, sempre da loro tanto desiderate, mentre noi apriamo alla loro amicizia le nostre Cittadelle. Dialogo, infine, con i nostri fratelli che non professano una fede religiosa, ma hanno iscritta pure essi, nel DNA della loro anima, la spinta ad amare. E sono, forse, i più. La spiritualità dell’unità Ma da dove tale successo, che offre tanta speranza, in un solo nuovo Movimento? Il segreto della sua riuscita sta in una nuova linea di condotta, assunta da milioni di persone che, ispirandosi fondamentalmente a princìpi cristiani – senza trascurare, anzi evidenziando, valori paralleli presenti in altre fedi e culture – cerca di portare in questo mondo fraternità, pace e unità. Si tratta della “spiritualità dell’unità”, personale e comunitaria insieme, attuale e moderna, presentata oggi dal Santo Padre Giovanni Paolo II, sotto il nome di “spiritualità di comunione”, a tutta la Chiesa, perché tutti la vivano. Due sono i cardini principali di questa spiritualità. Il primo è stato donato al primo gruppo di ragazze, quando, in una cantina per ripararsi dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, aprendo il Vangelo a caso, si sono trovate proprio di fronte alla solenne preghiera di Gesù rivolta al Padre prima di morire: “Padre santo (…) che tutti siano una cosa sola” (cf Gv 17,11-21). Preghiera che chiede l’unità dei cristiani con Dio e fra loro, da estendersi poi a tutti e tutte, in una fraternità universale. Il secondo cardine, Gesù crocifisso e abbandonato, è stato chiaro, per quelle ragazze, quando hanno approfondito il grido di Cristo in croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46 e Mc 15,34). Avevano capito infatti che Gesù, il Verbo di Dio fatto uomo, proprio per questo suo essere uomo s’era addossato anche tutte le nostre colpe, le nostre divisioni, le nostre sofferenze; e per questo il Padre aveva permesso che sentisse quel dolorosissimo abbandono. Egli, però, con uno sforzo sovrumano, aveva superato questa tremenda prova e si era riabbandonato al Padre dicendo: “Nelle tue mani… raccomando il mio spirito” (Lc 23,46). Per cui Gesù abbandonato, ma risorto all’Amore, è sempre stato per i membri del Movimento – ed ora non solo per essi – il modello, la chiave per ricomporre ogni genere di disunità, per sanare ogni trauma. Così, amando Lui, si è concorso ad unire singoli e brani di società, in ogni popolo, lavorando con ciò all’unità della famiglia umana. Il “Movimento dell’Unità” Il Movimento dei Focolari, pur essendo primariamente religioso, ha avuto, sin dal 1948, e poi su su durante gli anni, un’attenzione particolare per il mondo politico, sino a veder nascere dal suo seno, a Napoli nel 1996, il cosiddetto “Movimento dell’Unità” al servizio del mondo. E ora sta diffondendosi e organizzandosi su tutto il pianeta. Vi fanno parte politici, amministratori, funzionari, studiosi e cittadini, appartenenti a diversi orientamenti politici. Non è un nuovo partito, ma il portatore di una cultura e di una prassi politiche nuove. Cambia il metodo della politica. Pur rimanendo fedele alle proprie autentiche idealità, il politico dell’unità ama non solo i politici del suo partito, ma tutti gli altri politici, cercando di vivere in comunione con tutti. Fa questo nei consigli comunali, nei partiti, nei diversi gruppi di iniziativa civica e politica, nei parlamenti nazionali e regionali. L’unità, così vissuta, è portata come fermento anche tra i partiti stessi, nelle istituzioni, in ogni ambito della vita pubblica, nei rapporti fra gli Stati. Lo scopo specifico del “Movimento dell’Unità” è dunque: aiutare ed aiutarsi a vivere sempre nella fraternità; per essa credere nei valori profondi, eterni dell’uomo e solo dopo, muoversi nell’azione politica. Aspetti dell’amore fraterno in politica Ora, in quali modi la fraternità aiuta il politico ad assolvere pienamente ai propri compiti? Posso rispondere soffermandomi su alcuni aspetti dell’amore fraterno vissuto in politica. Anzitutto, per il politico dell’unità, la scelta dell’impegno politico è un atto d’amore, con il quale egli risponde ad un’autentica vocazione, ad una chiamata personale. Egli vuol dare risposta ad un bisogno sociale, ad un problema della sua città, alle sofferenze del suo popolo, alle esigenze del suo tempo. Chi è credente, avverte che è Dio stesso a chiamarlo, attraverso le circostanze; il non credente, risponde ad una domanda umana che trova eco nella sua coscienza: ma è sempre l’amore che entrambi immettono nella loro azione. E gli uni e gli altri, questi politici, hanno la loro casa nel Movimento dell’Unità. In secondo luogo, il politico dell’unità prende coscienza che la politica è, nella sua radice, amore; e ciò porta a comprendere che anche l’altro, l’avversario politico, può avere compiuto la propria scelta per amore. E questo esige che lo si rispetti, che si comprenda l’essenza del suo impegno, andando al di là dei modi in cui si esprime. Il politico dell’unità ha a cuore che anche il suo avversario realizzi il disegno buono di cui è portatore. Questo disegno, infatti, se risponde ad una chiamata, ad un bisogno vero, è parte integrante di quel bene comune che solo insieme si può costruire. Il politico dell’unità ama, dunque, non solo coloro che gli danno il voto, ma anche gli avversari; non solo il proprio partito, ma anche quello altrui. Un altro aspetto della fraternità in politica è la capacità di spostare se stessi per fare spazio all’altro, di saper tacere per ascoltare tutti, anche gli avversari. E un “perdere se stessi” che rinnova ogni giorno l’originaria scelta politica, con la quale si decise di occuparsi degli altri. E in tal modo ci si “fa uno” con tutti, ci si apre alla loro realtà. E il farsi uno aiuta a superare i particolarismi, rivela aspetti delle persone, della vita, della realtà, che ampliano anche l’orizzonte politico: il politico che impara a farsi uno con tutti diventa più capace di capire e di proporre. Il farsi uno è il vero realismo politico. Ancora, il politico dell’unità non può rimanere passivo davanti ai conflitti, spesso aspri, che scavano abissi tra i politici e tra i cittadini. Al contrario, egli compie il primo passo per avvicinarsi all’altro, riprendere la comunicazione interrotta; dapprima, anche solo con un piccolo gesto, un saluto, ad esempio. Creare la relazione personale dove essa non c’è, o dove ha subito una interruzione, può significare, a volte, riuscire a sbloccare lo stesso processo politico: amare per primi, per il politico dell’unità, è un atto dovuto alla dignità della persona, ma che si trasforma anche in una vera e propria iniziativa politica, aiutando a superare i pregiudizi e il gioco delle parti, che tanto spesso paralizzano i politici in contrapposizioni inutili. La fraternità, ancora, trova piena espressione nell’amore reciproco, di cui la democrazia, se rettamente intesa, ha una vera necessità: amore dei politici fra loro, e fra i politici e i cittadini. Il politico dell’unità non si accontenta di amare da solo, ma cerca di portare l’altro, alleato o avversario, all’amore, perché la politica è relazione, è progetto comune. Un’ultima delle nostre idee-forza è che la patria altrui va amata come la propria; la più alta dignità per l’umanità sarebbe infatti quella di non sentirsi un insieme di popoli spesso in lotta fra loro, ma, per l’amore vicendevole, un solo popolo, arricchito dalla diversità di ognuno e per questo custode nell’unità delle differenti identità. E’ quanto il Movimento ha cercato di vivere in momenti anche drammatici, per esempio durante la guerra per le isole Falkland-Malvine, attraverso gesti di amicizia e di pace attuati tra i nostri argentini e i nostri inglesi: gesti che avevano un profondo significato politico. Realizzare la fraternità richiede sacrificio Ma tutti questi aspetti dell’amore politico, che realizzano la fraternità, richiedono sacrificio. Quante volte l’attività politica fa conoscere la solitudine, il senso di abbandono, l’incomprensione da parte, anche, dei più vicini! Chi, tra coloro che fanno politica, non si è mai sentito amareggiato o emarginato o tradito, al punto di essere tentato di lasciare? Ebbene, è qui che viene in aiuto anche al politico il Cristo crocifisso che grida: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46) ma che, riabbandonandosi al Padre, come è stato detto, ha superato il baratro e ha ricomposto ogni disunità. Gesù abbandonato-risorto, infatti, se è l’immagine ideale di ogni uomo, lo è particolarmente del politico, proprio perché il politico è colui che abbraccia le divisioni, le spaccature, le ferite della propria gente, per trovare le soluzioni, per ricomporle in unità. E’ questo il prezzo della fraternità che è richiesto al politico: prezzo altissimo, come è alta la vocazione politica. Ma altissimo è anche il premio. La fedeltà alla prova farà, infatti, del politico un modello, un punto di riferimento per i suoi concittadini, orgoglio della sua gente. Questi sono i politici che il Movimento dell’Unità desidera, con l’aiuto di Dio, generare, nutrire, sostenere. E non è utopia. Lo dicono alcuni dei nostri che ci hanno preceduti in Cielo: Jozef Lux, già vice-primo ministro della Repubblica Ceca, che seppe conquistare l’ammirazione di colleghi e avversari; o Domenico Mangano, che visse la politica nell’amministrazione comunale di Viterbo, in costante servizio ai suoi concittadini; o Igino Giordani, il cui processo di canonizzazione recentemente iniziato sta mettendo in luce come egli abbia vissuto non solo le virtù religiose ma anche quelle civili: segno, questo, che ci si può fare santi non “nonostante la politica”, ma “attraverso la politica”. Esempi concreti Il Movimento dell’Unità è impegnato anch’esso sul piano del dialogo. Lo ha attuato, ad esempio, tra le opposte fazioni dei cattolici e dei protestanti nell’Irlanda del Nord, contribuendo a risultati politici di rilievo. Ma dialogo, anche, tra parlamentari di diversi schieramenti, come sempre avviene quando alcuni dei nostri sono eletti in partiti diversi ma compongono, insieme, un’unica “cellula parlamentare”. La “cellula d’ambiente” è una delle nostre tipiche forme organizzative, che si costituisce quando dei membri del Movimento si trovano ad operare nel medesimo luogo. Dialogo, poi, tra governo e opposizione. Di questo abbiamo esperienza soprattutto nelle amministrazioni locali. I nostri che sono al governo riconoscono gli apporti positivi dell’opposizione e ne favoriscono il ruolo di controllo. L’opposizione è condotta allora attraverso una critica costruttiva, che non tende ad intralciare l’operato del governo, ma a correggerlo per migliorarlo. In numerosissimi casi, l’unità tra i nostri presenti da una parte e dall’altra ha favorito la ricerca della soluzione migliore per la comunità, la quale viene pienamente garantita solo se governo e opposizione esercitano entrambi, al meglio, il proprio ruolo. L’umanità come un unico corpo Il Movimento dell’Unità vede l’umanità come un unico corpo nel quale tutti gli uomini sono affratellati. L’umanità è prima di tutto una cosa sola. Giovanni Paolo II, parlando ai nostri giovani, diceva: “(Voi) volete scrutare il cammino che bisogna percorrere per raggiungere un ’mondo unito’, nella consapevolezza che tale ’ideale’ va facendosi ’storia’. “Davvero, questa sembra la prospettiva che emerge dai molteplici segni del nostro tempo: la prospettiva di un mondo unito. E’ la grande attesa degli uomini d’oggi. (…) A tutti è domandato di educare la propria coscienza a sentimenti di rispettosa convivenza, di concordia, di fratellanza, giacché senza questi non è possibile attuare un vero cammino di unità e di pace” . Il Papa ha detto questo prima dell’11 settembre. Ora il suo pensiero è senz’altro rafforzato dal gravissimo pericolo del terrorismo, che esige unità non solo fra gli uomini e le donne del nostro pianeta, ma fra i popoli come tali ed i grandi che li governano. Unità nella diversità Un’unità, sempre nella diversità, nella libertà, costruita da persone e da popoli che siano veramente se stessi, portatori di una propria identità e di una propria cultura aperte e dialoganti con le altre. Sognare la pace E quando sarà così, si potrà conoscere finalmente la pace. Infatti, a mano a mano che a ciò ci si avvierà, vedremo realizzarsi altri particolari sogni di grandi della nostra storia. Come quello, ancora, di Martin Luther King: “Oggi ho (…) sognato che (…) gli uomini muteranno le loro spade in aratri, e che le nazioni non insorgeranno più contro le nazioni, e la guerra non sarà neppure più oggetto di studio. (…) Con questa fede noi saremo capaci di affrettare il giorno in cui vi sarà pace sulla terra e buona volontà verso tutti gli uomini. Sarà un giorno glorioso, e le stelle canteranno tutte insieme, ed i figli di Dio grideranno di gioia” . Che il Signore ed il nostro agire facciano in modo che quel giorno sia vicino. Grazie, Signori tutti, dell’ascolto. Chiara Lubich
Lug 1, 2002 | Focolari nel Mondo, Spiritualità
Il progetto dell’ Economia di Comunione nasce durante un viaggio che Chiara ha fatto nel 1991 in Brasile.
Attraversando la città di San Paolo, avverte la tragicità del problema sociale in quella terra, constata che la stessa comunione dei beni, che sin dall’inizio si attuava nel Movimento, non è più sufficiente ad aiutare i poveri. Propone allora la nascita di aziende, rette da persone che mettano in comune liberamente gli utili aziendali per tre finalità: aiutare quelli che sono nel bisogno, formare alla cultura del “dare” e sostenere l’azienda. Questo progetto assume il nome di “Economia di Comunione”. A riguardo delle aziende diceva: “A differenza dell’economia consumista, basata su una cultura dell’avere, l’Economia di Comunione è l’economia del dare. Ciò può sembrare difficile, arduo, eroico. Ma non lo è perché l’uomo fatto ad immagine di Dio che è Amore, trova la propria realizzazione proprio nell’amare, nel dare. …dare non significa soltanto dare gli utili o dare qualcosa. Non è quello. E’ quel dare che noi abbiamo imparato dal Vangelo che significa amare tutti. Quindi la cultura dell’amare: Amare anche i dipendenti, amare anche i concorrenti, amare anche i clienti, amare anche i fornitori, amare tutti. Lo stile di vita aziendale deve essere tutto cambiato, tutto deve essere evangelico, altrimenti non abbiamo economia di comunione”. Il ‘sogno’ di allora sta diventando realtà: molte aziende sono nate e non solo in Brasile, ma in molti Paesi del mondo, imprese già esistenti hanno fatto proprio il progetto, modificando lo stile di gestione aziendale e la destinazione degli utili. A tutt’oggi sono 761 le aziende che vi aderiscono nel mondo, 250 in Italia. Quando è stato lanciato questo progetto anche noi vi abbiamo aderito subito con radicalità. E’ stato come una vera bomba che ha cambiato la nostra vita, una luce che ha illuminato e dato più senso al nostro lavoro, alla nostra economia. Ci siamo scoperti imprenditori, non per noi ma per un disegno molto più grande e abbiamo capito che potevamo allargare il nostro orizzonte all’umanità intera. Ha assunto un nuovo significato l’assumere in azienda persone in difficoltà, come una famiglia di profughi composta dai genitori e sei bambini. Abbiamo capito il perché della nostra cura nel produrre rispettando la natura e l’ambiente ed anche il nuovo rapporto con i dipendenti interessandoci di più delle loro problematiche e necessità. Un’altra conseguenza della nostra adesione è stato l’esaminarci e confrontarci su come vivere il dare. Il dare non è stato facile. Eravamo soliti pensare di reinvestire quasi tutto l’utile nell’azienda. Ma, pur tenendo conto di questa necessità, abbiamo superato questi pensieri pensando ai tanti poveri che potevamo aiutare . Ed anche quando, per difficoltà subentrate, gli utili non ci sono più stati, il dispiacere di non poterlo più fare è servito per scoprire tutti i valori, anche più profondi del vivere questa economia nuova: i rapporti con le persone, la correttezza professionale e verso le istituzioni, l’armonia nell’azienda. Poli Industriali Nella cittadella del Movimento in Brasile, quest’invito a concretizzare il progetto dell’EDC, è stato accolto subito con slancio e generosità ed è nato a pochi chilometri di distanza dall’abitato, un polo imprenditoriale: il polo Spartaco. Alla società per azioni che si è costituita per amministrarlo aderiscono oggi più di 3600 persone che , con radicalità, hanno messo a disposizione i loro risparmi, spesso di modesta entità, dando vita così ad un azionariato diffuso. Lanciando il Polo Spartaco in Brasile, Chiara Lubich aveva esclamato: “siamo poveri, ma tanti”, suggerendo di ripartire il capitale in azioni dal valore nominale modesto, a cui molti potessero accedere. Il Polo in Brasile oggi è una realtà, con già sei aziende funzionanti, esempio e modello di una nuova economia. Sono nati, in questi ultimi anni, Poli imprenditoriali anche in Argentina e si stanno costituendo negli USA, in Francia ed in Belgio. Nell’aprile 2001 a Castelgandolfo, a dieci anni dal lancio del progetto, si è tenuto un seminario per operatori dell’economia di comunione e Chiara ha lanciato una nuova sfida: far nascere anche in Italia, nei pressi della cittadella di Loppiano un polo industriale, a cui potranno collegarsi le aziende italiane che aderiscono al progetto. La proposta è stata accolta con grandissimo entusiasmo e un piccolo gruppo di esperti ha iniziato subito a studiarne la realizzazione. E’ stata suggerita la costituzione di una società per azioni che miri a coinvolgere quante più persone possibili per realizzare anche qui in Italia un’azionariato diffuso e per questo il valore nominale di ciascuna azione è stato fissato a 50 €. Il complesso nascente è stato chiamato: “Polo Lionello”, per ricordare il focolarino Lionello Bonfanti, uno degli artefici della costruzione della cittadella di Loppiano ed in ottobre si è costituita l’EdiC S.p.A., un nome che sentiamo come una responsabilità perché carico di una grande idealità: rendere visibile l’EdC. Nel suo statuto se ne precisano i fini: l’acquisto, il progetto e la costruzione di immobili, che saranno dati in locazione alle aziende che vorranno insediarsi; lo studio , la realizzazione e l’organizzazione di impianti industriali, commerciali e di servizi e corsi di formazione. L’art. 32 evidenzia la novità del progetto EdC: infatti per essere pienamente coerenti ai principi ispiratori si è voluto stabilire che il 30% degli utili venga destinato ad un fondo per indigenti. Immediati e sorprendenti sono stati gli echi di risposta all’iniziativa: La regione toscana ha approvato una mozione di sostegno al polo imprenditoriale di Loppiano. Nel testo si chiede alla giunta regionale di aderire al progetto perché “laboratorio di una nuova economia” e di inserirlo nei programmi di sviluppo della regione quale modello da proporre per l’attuazione di una nuova politica di cooperazione allo sviluppo. Anche l’amministrazione comunale ha dimostrato grande interesse dando tutto l’appoggio affinché il cuore del progetto abbia sede nel comune di Incisa in Valdarno. La risposta degli imprenditori italiani è stata subito pronta e generosa, mostrando come il Polo sia già, ancora prima di essere realizzato, centro di attrazione e riferimento, un faro di luce, per tutte le aziende di EdC ed anche per il mondo economico. Ad un convegno, tenutosi a Loppiano nel febbraio scorso, hanno partecipato più di 550 fra imprenditori, operatori economici e studenti, una ventina di aziende hanno manifestato il desiderio di potersi insediare nel Polo e più di un centinaio di esperti, professionisti e dirigenti d’azienda hanno offerto la disponibilità a collaborare alla realizzazione di questo progetto. Le aziende individuate e disposte a trasferirsi nel Polo, o ad aprirvi una propria filiale, condividono l’Economia di Comunione; sono imprenditori pieni di ardore e con uno slancio da veri pionieri. Anche tantissime persone che sono venute a conoscenza di questa iniziativa, vi hanno aderito prontamente, dichiarando, che appena sarà possibile iniziare la raccolta, vi contribuiranno per sentirsi pienamente artefici ed attori pur non essendo imprenditori; sono persone di ogni tipo: giovani e ragazzi, lavoratori, pensionati, casalinghe ed anche imprenditori che, pur condividendo il progetto e volendolo sostenere, non possono trasferire la propria attività. Sappiamo che tutto questo è un grande impegno, un grande sforzo ma ci aiuta il pensare che non è tanto un “buon investimento” quello a cui stiamo lavorando, ma è la realizzazione di un’ Opera di Dio. Per sovvenire alle necessità di molti, l’intento è quello di produrre utili, ma vorremmo sottolineare la peculiarità di altri beni che la società intende generare : un complesso di beni meno visibili, difficilmente quantificabili, espressi dalla qualità e stile di vita, dai rapporti di amore all’interno delle aziende, fra le aziende e fuori di esse, beni che presuppongono un grande ideale. Per questo, l’inserimento nella cittadella di Loppiano, è un aiuto , un sostegno, è la fonte che genera quel “supplemento d’anima” necessario. Siamo ancora agli inizi, ma siamo sicuri che questo progetto, per l’adesione di tanti, si realizzerà. (altro…)
Giu 30, 2002 | Parola di Vita
Queste parole di Gesù sono talmente importanti che il Vangelo di Matteo le riporta due volte (Mt 13,12; 25,29). Esse mostrano chiaramente che l’economia di Dio non è come la nostra. I suoi calcoli sono sempre diversi dai nostri, come quando, ad esempio, dà lo stesso compenso all’operaio dell’ultima ora come a quello della prima (Cf Mt 20, 1-16).
Gesù disse queste parole rispondendo ai discepoli che gli chiedevano perché a loro parlava apertamente mentre invece agli altri si rivolgeva in parabole, in maniera velata. Gesù dava ai suoi discepoli la pienezza della verità, la luce, proprio perché lo seguivano, perché per loro lui era tutto. A loro che gli avevano aperto il cuore, che erano pienamente disposti ad accoglierlo, che già avevano Gesù, a loro Gesù si dà in pienezza.
Per comprendere questo suo modo di agire può essere utile ricordare un’altra Parola simile, che riporta il Vangelo di Luca: “Date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo” (Lc 6,38). Nelle due frasi, secondo la logica di Gesù, avere (a chi ha sarà dato) equivale a dare (a chi dà sarà dato).
Sono sicura che questa verità evangelica l’hai sperimentata anche tu. Quando hai aiutato una persona ammalata, quando hai consolato qualcuno che è triste, quando sei stato vicino a chi si sente solo, non hai provato a volte una gioia ed una pace che non sai da dove vengono? È la logica dell’amore. Quanto più uno si dona tanto più è arricchito.
Potremmo allora leggere così la Parola di questo mese: a chi ha amore, a chi vive nell’amore, Dio dà la capacità di amare ancora di più, dà la pienezza dell’amore fino a farlo diventare come lui che è Amore.
«A chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza, e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha»
Sì, è l’amore che ci fa essere. Noi esistiamo perché amiamo. Se non amassimo, e tutte quelle volte che non amiamo, non siamo, non esistiamo (“sarà tolto anche quello che ha”).
Allora non ci resta che amare, senza risparmio. Solo così Dio si donerà a noi e con lui verrà la pienezza dei suoi doni.
Diamo concretamente a chi ci sta attorno, sicuri che dando a lui diamo a Dio; diamo sempre; diamo un sorriso, una comprensione, un perdono, un ascolto; diamo la nostra intelligenza, la nostra disponibilità; diamo il nostro tempo, i nostri talenti, le nostre idee, la nostra attività; diamo le esperienze, le capacità, i beni per farne parte ad altri, in modo che nulla si accumuli e tutto circoli. Il nostro dare apre le mani di Dio che, nella sua provvidenza, ci riempie sovrabbondantemente per poter dare ancora, e tanto, e ricevere ancora, e poter così venire incontro alle smisurate necessità di molti.
«A chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza, e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha»
Il dono più grande che Gesù vuol farci è lui stesso, che vuole essere sempre presente in mezzo a noi: questa è la pienezza di vita, l’abbondanza di cui vuole ricolmarci. Gesù si dà ai suoi discepoli quando lo seguono uniti. Questa Parola di vita ci ricorda, quindi, anche la dimensione comunitaria della nostra spiritualità. Possiamo leggerla così: a quanti hanno l’amore reciproco, a quanti vivono l’unità sarà data la presenza stessa di Gesù in mezzo a loro.
E ci sarà dato ancora di più. A chi ha, a chi ha vissuto nell’amore e così avrà guadagnato il centuplo in questa vita, sarà dato anche, in sovrappiù, il premio: il Paradiso. E sarà nell’abbondanza.
Chi non ha, chi non avrà il centuplo, perché non ha vissuto nell’amore, non godrà in futuro nemmeno del bene e dei beni (parenti, cose) che ha avuto sulla terra, perché in inferno non ci sarà che pena.
Amiamo, dunque. Amiamo tutti. Amiamo fino al punto che anche l’altro ami a sua volta e l’amore sia reciproco: avremo la pienezza della vita.
Chiara Lubich
(altro…)
Giu 19, 2002 | Dialogo Interreligioso
“Questo incontro è stato un’esperienza spirituale, non solo un esercizio accademico. Abbiamo tutti sperimentato la vicinanza di Dio. Siamo stati introdotti alla tradizione cristiana che un po’ già conoscevamo, ma in modo speciale l’esperienza perso- nale e spirituale di Chiara, la sua esperienza di Dio, ci ha arricchito, perché è molto simile a quello che hanno sperimentato i nostri santi”.
E’ quanto ha dichiarato in un’intervista alla Radio Vaticana, la prof. Kala Acharya, direttrice dell’Istituto di cultura Sanskriti Peetham dell’Università Somaiya di Vidyavihar (Bombay), tra i promotori di questo simposio Indù-cristiano, che in apertura ha visto la presenza del card. Ivan Dias, di Bombay, e di mons. Felix Machado, incaricato dei rapporti con l’Induismo al Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. “I vari studiosi hanno espresso in profondità le loro tradizioni e convinzioni, in un clima di grande apertura e fraternità – ha detto il prof. Giuseppe Zanghì co-responsabile del Centro del Dialogo interreligioso del Movimento dei Focolari, che ha organizzato il simposio insieme alla prof. Kala Acharya. “Tutto si è svolto a livello fortemente accademico, ma penetrato e nutrito da una fortissima spiritualità. E’ stato un vero arricchimento reciproco. Da parte nostra è stato entrare in una cultura millenaria che ha certo delle ricchezze umane, ma anche divine – non ho paura ad affermarlo – che sono notevoli e che dobbiamo far nostre, perché il dialogo sia un dialogo sincero”. Prospettive per il futuro? Il Prof. Shantilal K. Somaiya, Presidente dell’omonina Università, figlio del fondatore dell’Ateneo, risponde: “Chiara verrà in visita in India dall’8 gennaio. Nel rapporto tra noi c’è un progresso continuo, una profonda unità e amore reciproco. Il dialogo è all’ordine del giorno nel terzo millennio. Sono certo che le Religioni impareranno a vivere insieme, a comprendersi e lavorare insieme a beneficio dell’umanità. Questo è lo scopo”. La Prof. Kala Acharya: “Ciò che abbiamo iniziato avrà certo un seguito e sono sicura che fiorirà”. Per il prof. Zanghì si porterà avanti questo incontro: “Si è aperta una finestra, una realtà che avrà degli sviluppi importanti”. Un frutto notevole: era presente, come osservatore, un giapponese del Movimento buddista Rissho Kosei-kai. E insieme si è progettato per il 2003 un incontro analogo con i buddisti. In udienza dal Papa Mercoledì 19, i partecipanti al Simposio erano presenti all’udienza generale nell’Aula Paolo VI, dove il Papa li ha salutati ed si è fermato per una foto ricordo. Chi è il Papa per gli indù? Prof. Somaiya: E’ un grande capo spirituale Prof. Kala Acharya: Per gli indù, i Santi sono Santi, è qualcosa che va al di là della religione. Noi siamo molto aperti … E il Papa è il grande Santo che io rispetto. (da un’intervista della Radio Vaticana) (altro…)
Giu 19, 2002 | Dialogo Interreligioso

Chiara Lubich con Kala Acharya e Shantial Somaiya
I partecipanti – La delegazione indiana era costituita oltre che dalla prof.ssa Kala Acharya, dal prof. Somaiya con altri rappresentanti dello suo Istituto, dalla dott.ssa Joshi, direttrice della facoltà di Filosofia dell’università di Bombay, dal prof. Upadhyaya con la sua signora (a rappresentare il Bharatya Vidhya Bhavan, altra prestigiosa istituzione culturale di Bombay, con 200 sedi in India e 6 all’estero).
Presenti anche i gandhiani del sud dell’India con la sig.ra Minoti Aram e la figlia Vinu, dello Shanti Ashram, il dott. Markandan e il dott. Raja della Gandhigram University. Prezioso l’apporto anche di diversi membri indiani del Focolare, di varie vocazioni. Come osservatore ha preso parte al convegno il sig. Kazumasa Yoshinaga, dell’Ufficio di Ginevra del Movimento buddista Rissho Kosei-kai. Per il Movimento dei Focolari, oltre a Giuseppe Zanghì e Natalia Dallapiccola e gli altri componenti del Centro del dialogo interreligioso, hanno animato il Simposio i membri della Scuola Abba. Il tema: “La via dell’amore – L’unione con Dio e la fraternità universale nell’induismo e nel cristianesimo”, è stato affrontato con la presentazione di studi ed esperienze a diverso livello, commentate poi in momenti di dialogo. Ben oltre le aspettative – La preparazione era cominciata in India e al Centro del Movimento dei Focolari, con largo anticipo e con grande impegno, tanta era l’attesa. Ma il Simposio è andato ben oltre le aspettative giacché sin dalle prime battute si è compreso qualcosa di nuovo e di grande. Chiara Lubich ha confermato questa impressione che ciascuno aveva in cuore. Nel suo saluto all’inizio dei lavori, ha infatti commentato: “Penso che ci si spalanca davanti un orizzonte che noi non conosciamo.” Il programma – La mattina seguente Chiara stessa ha presentato la sua esperienza di “devozione” a Dio, mettendo in rilievo la novità dell’amore al prossimo, come strada privilegiata per l’unione con Dio. La prof.ssa Kala Acharya ha poi sottolineato punto per punto l’esposizione di Chiara con riferimenti alla tradizione indù, che propone tre strade verso Dio: quella dell’azione, quella della conoscenza e quella della “devozione”. La professoressa ha sottolineato che Chiara con la sua spiritualità apre ora una quarta strada: quella dell’amore al prossimo e dell’amore reciproco. I vari interventi mettevano in rilievo un argomento particolare: la “devozione” nella scrittura indù e in quella cristiana, la devozione in Maria e in alcune sante indù, il dolore come dimensione indispensabile per arrivare ad una vera unione con Dio. Fruttuosi i due momenti di dialogo quotidiano in cui c’era la possibilità di confrontarsi e di sottolineare quanto precedentemente esposto con esperienze di vita.
Particolarmente arricchente la domanda con cui il prof. Sureshchandra Upadhyaya ha chiesto di chiarire come Gesù, essendo Dio, possa essersi sentito abbandonato da Lui. All’apparente contraddizione, Chiara ha risposto presentando il mistero dell’incarnazione e la sua personale scoperta di Gesù abbandonato. Nel pomeriggio, si è parlato dell’ incidenza che la spiritualità porta nelle realtà umane. Sono stati presentati l’Economia di Comunione e il Movimento dell’unità in politica, da parte dei Focolari; e, da parte indù, le prospettive economiche e della vita pubblica in Gandhi; e ancora le cittadelle dei Focolari e l’Ashram indiano. Come dicevano indù e cristiani, si è sperimentata la presenza di Dio in questi giorni indimenticabili che, come sottolineava Chiara, sono l’inizio di una strada forse lunga, ma che non si fermerà agli ostacoli se Dio rimarrà con noi.
In Vaticano – Il Simposio ha anche conosciuto due momenti di intensa comunione in Vaticano: lunedì 17 i partecipanti hanno trascorso un’ora e mezza con il card. Francis Arinze ed i suoi collaboratori al Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Mercoledì 19, infine, l’udienza nell’Aula Paolo VI, dove Giovanni Paolo II ha salutato i partecipanti al Simposio. Alla fine dell’udienza si è fermato col gruppo indù-cristiano per una foto ricordo. Venerdì 14, l’apertura del Simposio aveva visto la presenza del cardinale di Bombay, Ivan Dias, e di mons. Felix Machado, del pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, intervenuto su: “Il dialogo indù-cristiano”. Ad Assisi e alla cittadella di Loppiano – Una visita ad Assisi ed una giornata alla cittadella di Loppiano hanno coronato un’esperienza indimenticabile. Come diceva uno dei partecipanti prima della partenza: “Non posso promettervi che vi ricorderò perché si ricordano solo le cose e le persone che prima si erano dimenticati… questi giorni e tutti voi non potranno essere dimenticati, sono parte di noi.”
Giu 17, 2002 | Non categorizzato
Giu 1, 2002 | Chiara Lubich
Non a caso Chiara Lubich definisce Torino, scrivendo la mattina del 2 giugno nel libro d’oro della città: “la capitale della fraternità”. E’ questa la fisionomia che si delineerà a chiare lettere nel pomeriggio, nella cornice del Teatro Regio, uno dei maggiori teatri lirici d’Europa. Torino, nelle parole del sindaco, trova nuovo coraggio per incarnarla nell’attuale momento di profonda trasformazione. Per il conferimento della cittadinanza onoraria a Chiara Lubich sono convenuti in oltre 1600 persone. Vi è rappresentata tutta la città: il sindaco, il cardinale, industriali, uomini di cultura, cristiani di diverse Chiese, ebrei, musulmani e buddisti, altri movimenti ecclesiali e associazioni come Comunione e Liberazione, Comunità di Sant’ Egidio, Azione Cattolica e Acli. Presente anche Ernesto Olivero, fondatore del Sermig. Il sindaco aveva invitato molti suoi colleghi che rappresentavano 55 comuni della provincia. Quanti non hanno trovato posto all’interno seguono attraverso un maxischermo istallato nella piazzetta adiacente al teatro, mentre un numero difficilmente quantificabile è collegato nel mondo grazie alla diretta televisiva via satellite e via internet. E’ il sindaco Sergio Chiamperino, promotore dell’iniziativa, che apre la cerimonia. “E’ un’emozione – dice – avere l’onore di conferire la cittadinanza a una donna che, con il suo impegno e con la sua forza umana e spirituale, ha saputo dialogare e far dialogare popoli e religioni, dandoci un insegnamento che – oggi più che mai – è il più prezioso per la nostra società. Ed è lui che presenta a Chiara la sua città: “Torino ha visto i grandi santi sociali, dal Cottolengo a Giovanni Bosco a Cafasso, a Murialdo… e ad altri. Ha visto queste personalità saper lanciare insieme un messaggio spirituale e un aiuto materiale alla società che ne aveva bisogno; penso che anche oggi, già adesso, mentre noi parliamo, ci sono tante persone che nell’umiltà dell’anonimato, nelle istituzioni, che nel volontariato lavorano a servizio degli altri. E ci sono anche tante persone che concepiscono il servizio alla città, la responsabilità, che sia in politica, che sia alla guida di grandi imprese, come servizio alle persone. Ecco, tutto ciò mi fa sperare che Torino continui a rinverdire questa sua vocazione alla persona e al senso di comunità. Il sindaco afferma che questo incontro infonde nuovo coraggio per rinverdire e far emergere questa vocazione sociale.
Le testimonianze che seguono, tra cui quelle del card. Poletto, arcivescovo di Torino, del giornalista Sergio Zavoli, del sindaco di Trento Pacher, sono di grande rilievo: pur da angolazioni diverse, sottolineano la novità e l’attualità del carisma dell’unità e la profonda consonanza con la santità e socialità, la vocazione profonda della città. “La testimonianza di Chiara Lubich – aveva poi aggiunto il sindaco nel suo intervento – ha valore in modo particolare per chi è impegnato nella società attraverso la politica”. Ed è su sua richiesta che Chiara Lubich interviene parlando della “fraternità in politica” e dell’esperienza in atto del Movimento dell’unità a cui appartengono politici dei più diversi partiti, animati dalla spiritualità dell’unità. Nelle parole di ringraziamento, in apertura, Chiara aveva espresso il desiderio di ricambiare il dono ricevuto con il dono non suo ma “piovuto dal cielo” per il bene di molti, frutto di un carisma… “Un nuovo stile di vita, una nuova spiritualità dell’unità” che “suscita dovunque brani di fraternità”, dando pieno senso alla nostra vita di uomini che spesso non sanno accontentarsi di mediocrità, ma aspirano al meglio e, sempre, nonostante tutto, sperano in un mondo migliore, più unito”. L’applauso esploso inaspettatamente in sala proprio quando Chiara ha parlato della difficile via di fraternità nel complesso mondo politico come via di santità, testimoniata da vari politici, ha svelato quanto questa aspirazione sia profonda nel cuore di Torino. Le interviste raccolte a fine programma evidenziano il profondo impatto del suo messaggio.
(altro…)
Giu 1, 2002 | Chiara Lubich
Chiara Lubich ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Torino e di Bra La cittadinanza onoraria è un modo per rendere pubblico, mettere in comune l’universo di valori che una persona ha testimoniato e promosso lungo la propria vita. I Consigli comunali di Torino e di Bra, conferendo la cittadinanza a Chiara Lubich hanno mostrato di voler considerare “valore” le parole e le opere che la fondatrice del Movimento dei Focolari ha seminato, in quasi 60 anni, in tutto il mondo. “Valore” non solo per chi sull’esperienza di Chiara fonda la propria vita o per i soli cattolici; ma valore per la città intera, per quella comunità che comprende tutte le persone di un territorio. La “risposta” di Chiara Lubich alla città, nell’intervento con cui ha concluso al Teatro Regio la cerimonia di conferimento, è una risposta “politica”: illustrando l’esperienza del Movimento per l’Unità, Chiara ha ricordato che la “cittadinanza” si fonda sulla politica; e che il fine stesso della politica è di realizzare condizioni di “cittadinanza” sempre più piene per tutte le persone. Proprio perché la realtà comune che fonda la politica e la cittadinanza è la fraternità, il riconoscere l’eguaglianza di sostanza e di diritti in ogni uomo e donna del pianeta. Non a caso la fondatrice dei Focolari ha ricordato all’inizio della sua “lezione” i principi della Rivoluzione francese, osservando come proprio la fraternità sia forse “quello più misconosciuto e meno applicato. Stupisce che, mentre la libertà e l’uguaglianza hanno conosciuto un notevole sviluppo dottrinale e hanno trovato parziale applicazione nelle Costituzioni e nelle leggi di molti Stati democratici, alla fraternità non sia spesso riconosciuta la dignità che le è propria: quella di categoria politica fondamentale, senza la quale neppure le altre possono trovare espressione”. Da personaggio “non politico” qual è, Chiara Lubich non aveva bisogno di testimoniare il disagio di quei cittadini (tanti) che di fronte alla politica attuale oggi non si riconoscono nello stile di una politica spettacolare, strumentale ad altri interessi ed altre priorità, o nella politica intesa come bruto confronto di forza; o, ancora, negli imbrogli affaristici delle lobbies, che sembrano diventare il referente indispensabile dell’agire politico, di qua e al di là dell’Atlantico. Ma, descrivendo lo stile della “fraternità politica”, Chiara ha indicato in positivo quel che la politica può essere, a cominciare dai principi fondamentali di “stile” (rispetto delle persone e delle opinioni)fino ai contenuti specifici dell’agire politico, secondo il criterio del bene comune. Una lezione che potrebbe apparire ovvia, se proprio quei valori non fossero sistematicamente disattesi, oggi, dagli stessi politici che li predicano. Se proprio oggi non ci venisse presentato il grande “passo indietro” che la politica sta subendo in tutto il mondo, sostituita dalla vigliaccheria del terrorismo o della forza altrettanto vigliacca dello sfruttamento tecnologico ed economico dei ricchi sui poveri. In realtà, senza quei principi semplici (ma che vanno testimoniati con la vita) non c’è politica, come non c’è costruzione della storia. Dall’affarismo e dalle prove di forza non è mai venuto un progetto che durasse più degli interessi che ne erano all’origine; ma non è lungo questa strada che si sono fatti gli Stati e poi si è iniziato a “sognare” l’Europa. Nella “lezione” di Chiara Lubich c’è però anche altro: c’è l’invito, diretto certo non ai soli focolarini, a considerare senza paura né pregiudizio la via della politica come una strada “alta” per vivere la carità. C’è l’invito a uscire, a “farsi vedere”, come più volte Chiara ha ripetuto in queste giornate torinesi, per essere punto di riferimento, segnale di speranza.
(altro…)
Giu 1, 2002 | Chiara Lubich
L’arcivescovo di Torino, cardinale Severino Poletto: “Questo gesto dell’amministrazione comunale di Torino, di conferire la cittadinanza onoraria a Chiara Lubich manifesta una capacità di collegarsi con la storia religiosa di questa città, una storia di fraternità. I nostri santi sociali, così tanto citati oggi, sono veramente quelli che hanno creato l’innervatura dell’identità stesso della città di Torino. E allora il carisma di Chiara, questo suo annunciare a tutti la spiritualità dell’unità e della comunione è un carisma che va molto incoraggiato e sostenuto, perché corrisponde all’essenza del cristianesimo. Se davvero fossimo capaci di realizzare la fraternità universale, non ci sarebbero più poveri né guerre. Sarebbe un’anticipazione del Paradiso”. Il magistrato Giancarlo Caselli: “M’è parso molto interessante questo invito ai politici a cercare l’unità non nonostante la politica, ma attraverso la politica; una politica quindi che sia davvero servizio senza steccati o egoismi o peggio ancora contrapposizioni e ostilità. E’ quello che tutti vorremmo e che potrebbe sembrare un sogno se Chiara Lubich non avesse dimostrato in questi anni che i sogni, o addirittura le utopie possono trasformarsi in realtà con la forza della volontà, della fede e con l’unità di intenti”. Gianni Zandano, già Presidente del Banco San Paolo: “Siamo sconvolti per la potenza di questa parola, fraternità, di questo enorme carisma di Chiara. Può essere estremamente utile in un momento in cui Torino è attraversata da fremiti di difficoltà, per i molti problemi non ultimo quello della occupazione per la crisi della Fiat Auto, per l’immigrazione, per una serie di problemi che stanno all’orizzonte, prima dei quali la riscoperta di una vocazione per la città”. Mercedes Bresso, Presidente della Provincia: “La fraternità un’utopia? No. Mi sembra importante questo richiamo di Chiara ispirato dalla sua esperienza, un’esperienza mondiale. In fondo lei è il volto umano della globalizzazione che non è solo dell’economia, ma anche della fraternità. Oggi in qualche modo ci ha dato una sorta di lezione magistrale che ripercorre, teorizzandola, organizzandola, la sua esperienza che prima di tutto è una esperienza di vita. Ernesto Olivero, fondatore del Sermig: “Io rileggevo il Vangelo e quando si entra nel Vangelo si dicono in modi diversi le stesse cose. Quindi il mio cuore ha gioito e gioisce”.
(altro…)
Giu 1, 2002 | Chiara Lubich, Spiritualità
«Signor Sindaco, Signor Cardinale, onorevoli senatori e deputati, Autorità civili e religiose giunte da tutto il Piemonte e dalla Valle d’Aosta, Signore e signori, giovani presenti.
È con particolare gioia che accetto l’invito a parlare della fraternità alla luce dell’esperienza e della dottrina del “Movimento dell’unità”. Sì, con gioia e con passione, vorrei dire – e non può che essere così – se penso che la fraternità è addirittura, per chi è credente, come sono io, il piano di Dio sull’intera umanità chiamata ad essere una sola famiglia. Il messaggio evangelico, infatti, sottolinea, in modo del tutto particolare, la fraternità, elevandola nella sfera del divino, per la partecipazione di noi, uomini, alla stessa vita della Santissima Trinità dove Dio Trino, ma Uno, è il modello perfetto e supremo di fraternità. Ma, poiché la pratica dell’amore verso il prossimo è presente nei sacri libri di molte fra le grandi religioni del mondo ed è inscritto anche nel cuore di ogni uomo, pur senza un riferimento religioso, ecco che è possibile a tutti gli uomini – pur nella varietà delle loro culture e fedi – di amare ed essere amati e dar vita così alla fraternità. La fraternità è vocazione di tutti e non può, quindi, non esserlo per i politici. Anch’essi, come tutti, sono chiamati a metterla in pratica, a sentirsi fratelli fra loro. E’ il loro primo dovere prima ancora di dedicarsi con passione al proprio partito, prima delle scelte che distinguono le diverse opzioni. Prima. Ed è un bene ciò perché l’amore, se dona luce sempre, lo fa anche sulle decisioni da prendere sì da rendere più atti a raggiungere il fine della politica stessa: il bene comune. La fraternità! Così importante ma quanto praticata? Dei tre grandi principi che, con la Rivoluzione francese, hanno aperto l’epoca politica contemporanea, quello più misconosciuto e meno applicato è proprio la fraternità. Mentre la libertà e l’uguaglianza hanno conosciuto un notevole sviluppo dottrinale e hanno trovato parziale applicazione nelle Costituzioni e nelle leggi di molti Stati democratici, alla fraternità non è stata spesso riconosciuta la dignità che le è propria: quella di categoria politica fondamentale, senza la quale neppure le altre possono trovare piena espressione. Ripercorrendo l’evoluzione del pensiero delle diverse epoche, si potrebbe rintracciarne, forse, una sua qualche presenza alla base di fondamentali concezioni politiche, presenza a volte palese, altre volte più nascosta. Una fraternità vissuta spesso, ogniqualvolta, ad esempio, un popolo si è unito per conquistare la propria libertà, o quando gruppi sociali hanno lottato per difendere un soggetto debole, o in ogni occasione in cui persone di convinzioni diverse hanno superato ogni diffidenza per affermare un diritto umano. Ma lo si è fatto in maniera limitata a quel popolo, a quel gruppo. Nel “Movimento dell’unità”, invece, la fraternità è alla base della sua dottrina politica. Ed è questo il tema del mio presente intervento. Il “Movimento dell’unità” è nato a Napoli nel 1996, ed ora sta diffondendosi e organizzandosi in tutto il mondo. Vi fanno parte politici, amministratori, funzionari, studiosi e cittadini, appartenenti ai più diversi orientamenti politici. Non è un nuovo partito, ma il portatore di una cultura e di una prassi politiche nuove. Per comprenderlo esattamente, bisogna ritornare al ceppo dal quale è fiorito e di cui è una delle espressioni: il Movimento dei Focolari. Ma cos’è il Movimento dei Focolari? E’ una realtà ecclesiale, a finalità ecumenica, interreligiosa, interculturale, frutto non tanto di forze umane, ma, principalmente, di un carisma e cioè di un dono dello Spirito Santo che segue la storia e le offre, di epoca in epoca, aiuti particolari secondo i bisogni. Carisma che vuol concorrere con la Chiesa alla piena realizzazione, fra tutti i cristiani, del “sogno d’un Dio” come dicono i nostri giovani: l’unità; “Padre, che tutti siano uno” (cf Gv 17,21) ha pregato Gesù. Unità però aperta alla fratellanza universale, poiché proprio Lui, Gesù, è morto per tutti. Il Movimento dei Focolari realizza il suo fine attraverso la pratica dell’amore evangelico e di quello reciproco, cuore e sintesi del Vangelo, definito da Gesù: “nuovo” e “suo”. Amore che ha come misura il dare la vita (Gv 15,12-13). Amore che i primi cristiani vivevano così bene da far dire a chi li osservava: “Guarda come si amano e l’uno per l’altro è pronto a morire” . Non si tratta del semplice affetto umano, limitato spesso ai soli parenti od amici. E’ un amore che chiede d’essere rivolto a tutti senza distinzione, uomo e donna, giovane e anziano, bianco e nero, della tua e dell’altrui patria, amico e nemico, come insegna il Padre del Cielo che manda sole e pioggia sui buoni e sui cattivi. Amore che domanda di essere disposti a compiere il primo passo, cioè di avere noi l’iniziativa senza aspettare d’esser amati dagli altri. Amore che chiede di spostare le proprie preoccupazioni per far posto a quelle degli altri, onde comprenderli fino in fondo ed aiutarli opportunamente e concretamente. Amore sempre finalizzato alla reciprocità, all’amarsi a vicenda. E’ quest’amore con tali qualità, è questa fraternità, generata dall’amore degli uni verso gli altri, che il Movimento dei Focolari vuole vivere e irradiare dovunque. Il Movimento dei Focolari, pur essendo fondamentalmente religioso, ha avuto, sin dal 1948, e poi via via durante gli anni, un’attenzione particolare al mondo politico, da quando l’on. Igino Giordani, personalità di vasta esperienza culturale, sociale e politica, combattente nelle stagioni difficili del primo dopoguerra, ne è divenuto confondatore. Egli ha portato nel nostro cuore l’umanità con i suoi problemi e le sue ansie: la ricostruzione del Paese e dell’Europa dopo la seconda guerra mondiale, la democrazia rinascente, la divisione Est-Ovest. Ben presto attorno a Giordani si è raccolto un discreto gruppo di deputati, che hanno cercato di portare il nostro spirito – per quanto allora si era precisato ed approfondito – in parlamento; gruppo che dal 1950 ad oggi ha visto cambiare i propri membri i quali, da un certo momento in poi, appartenevano anche a partiti diversi. Altra presenza politica notevole, sempre fra noi, è stata quella di Alcide De Gasperi, nel quale la nostra spiritualità ha rafforzato quella vocazione all’unità che, assieme ad Adenauer e a Schuman, lo ha fatto fondatore dell’Europa Unita. I nostri politici costituirono, nel 1959, il “Centro santa Caterina” che fu, per quasi dieci anni, il punto di convergenza delle loro ansie e preoccupazioni ed il punto di partenza delle loro attività, rinnovate nello spirito dell’unità. Intanto, sviluppandosi il Movimento dei Focolari dapprima in Italia, poi in Europa e, più tardi ancora, in tutto il mondo, si è andato formando un vero e proprio popolo, il popolo dell’unità, che conta oggi più di 7 milioni di persone: gente di ogni cultura, professione, Paese. E, se fin dai primi tempi si è sempre avuta la consapevolezza che il carisma dell’unità è portatore di una cultura propria, è stato il crescere di questo popolo che ha evidenziato la specificità di questa cultura, rendendone necessario l’approfondimento dottrinale: teologico, ma anche filosofico, politico, economico, psicologico, artistico, ecc. Come novità, poi, di questi ultimi tempi, ecco che l’incontro tra il popolo dell’unità e la sua dottrina sempre più esplicitata, ha provocato quelle che noi chiamiamo “inondazioni”, termine suggeritoci da san Giovanni Crisostomo: lo svilupparsi, cioè, di veri e propri nuovi movimenti, che vanno al di là dello stesso Movimento dei Focolari, aperti a tutti coloro che ne condividono gli ideali; essi agiscono, ad esempio, nel campo economico, con il progetto dell’Economia di Comunione, e in quello politico, con il “Movimento dell’unità”. Il “Movimento dell’unità” è portatore, dunque, di una nuova cultura politica. Cambia il metodo della politica. Pur rimanendo fedele alle proprie autentiche idealità, il politico dell’unità ama fraternamente non solo i propri, ma anche gli altri politici, vive in comunione con tutti. Fa questo nei parlamenti nazionali, nei consigli regionali e comunali, nei partiti, nei diversi gruppi di iniziativa civica e politica. E l’unità, così vissuta, è portata come fermento anche tra i partiti stessi, nelle istituzioni, in ogni ambito della vita pubblica, nei rapporti tra gli Stati. Lo scopo specifico, quindi, del “Movimento dell’Unità” è: aiutare ed aiutarsi a vivere sempre nella fraternità; in quella, credere nei valori profondi, eterni dell’uomo e, solo dopo, muoversi nell’azione politica. L’ideale della fraternità non si aggiunge dall’esterno alla riflessione e alla pratica politica, ma si può considerare come il frutto maturo del percorso plurimillenario della politica, l’anima con la quale affrontare i problemi di oggi. Ma come vivere la fraternità? E in quali modi essa aiuta la politica ad assolvere pienamente ai propri compiti? Per spiegarlo devo soffermarmi su alcuni aspetti dell’amore fraterno, appena accennato, e vedere come è vissuto in politica. Anzitutto, per il politico dell’unità, la scelta dell’impegno politico è un atto d’amore, con il quale egli risponde ad una autentica vocazione, cioè ad una chiamata personale. Egli risponde ad un bisogno sociale, ad un problema della sua città, o alle sofferenze del suo popolo, alle esigenze del suo tempo. Chi è credente avverte che è Dio a chiamarlo, attraverso le circostanze; il non credente risponde ad una domanda umana che trova eco nella sua coscienza: ma entrambi mettono nella loro azione l’amore, ed entrambi hanno la loro casa nel “Movimento dell’unità”. In secondo luogo, il politico dell’unità prende coscienza che, se la politica è, fin nella sua radice, amore, anche l’altro, l’avversario politico, può avere compiuto la propria scelta per amore: e questo esige di rispettarlo, di comprendere l’essenza del suo impegno, andando al di là dei modi, non sempre privi di animosità, con i quali lo vive, e che si possono correggere. Il politico dell’unità ha a cuore che anche il suo avversario realizzi il disegno buono di cui è portatore, perché, se risponde ad una chiamata, ad un bisogno vero, esso è parte integrante di quel bene comune che solo insieme si può costruire. Il politico dell’unità ama, dunque, non solo coloro che gli danno il voto, ma anche gli avversari; non solo il proprio partito, ma anche quello altrui; non solo la propria Patria, ma l’umanità intera. E amare tutti fa comprendere e vivere la dimensione universale della politica. Ancora, il politico dell’unità non può rimanere passivo davanti ai conflitti, spesso aspri, che scavano abissi tra i politici e tra i cittadini. Al contrario, deve essere lui a compiere il primo passo, anche solo con il saluto, per avvicinarsi all’altro, riprendere la comunicazione interrotta. Creare la relazione personale dove essa non c’è, o dove ha subito una interruzione, può significare, a volte, riuscire a sbloccare lo stesso processo politico. Amare per primo, per il politico dell’unità, è un atto dovuto alla dignità della persona, ma si trasforma anche in una vera e propria iniziativa politica; aiuta a superare i pregiudizi e il gioco delle parti, che tanto spesso paralizzano i politici in contrapposizioni inutili. Un altro aspetto della fraternità in politica è la capacità di spostare se stessi per fare spazio all’altro, di tacere per ascoltare anche gli avversari. E’ un “perdere se stessi” che rinnova ogni giorno l’originaria scelta politica, con la quale si decise di occuparsi non di sé, ma degli altri. E in tal modo ci si “fa uno” con loro, ci si apre alla loro realtà. Farsi uno aiuta a superare i particolarismi, fa conoscere aspetti delle persone, della vita, della realtà, che ampliano anche l’orizzonte politico: il politico che impara a farsi uno con tutti diventa più capace di capire e di proporre. Il “farsi uno” è il vero realismo politico. Infine, la fraternità trova piena espressione nell’amore reciproco, di cui la democrazia, se rettamente intesa, ha una vera necessità: amore dei politici fra loro, e fra politici e cittadini. Il politico dell’unità non si accontenta di amare da solo, ma cerca di portare l’altro, alleato o avversario, all’amore, perché la politica è relazione, è progetto comune, non solo decisione individuale. Un amore reciproco che la politica richiede non solo nei rapporti personali, ma come esigenza istituzionale. Nel loro significato più profondo, le distinzioni dei compiti, che la democrazia assegna, hanno lo scopo di permettere l’amore reciproco: se l’azione d’amore del governo si esprime nella proposta e nella decisione, la risposta d’amore dell’opposizione si attua attraverso la controproposta e il controllo. Ma tutti questi aspetti dell’amore politico, che realizzano la fraternità, richiedono sacrificio. Quante volte l’attività politica fa conoscere la solitudine, il senso di abbandono, l’incomprensione da parte, anche, dei più vicini! Chi, tra coloro che fanno politica, non si è mai sentito amareggiato, o emarginato, o tradito, al punto di essere tentato di lasciare? Ebbene, tutto ciò è stato vissuto anche da Gesù che, arrivato al culmine della sua passione, ha gridato l’abissale lontananza che provava da Colui che, per tutta la sua vita, gli era stato il più vicino: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Con questo grido Gesù si è abbassato fino al fondo della condizione umana, ha raggiunto noi uomini fin nella nostra condizione di fallimento e di distacco da Dio. Noi tutti eravamo staccati dal Padre e divisi fra noi: era necessario che il Figlio si facesse come noi, per raccoglierci e per riportarci al Padre, per trasformarci in fratelli. Era necessario che non si sentisse più Figlio perché noi lo diventassimo. Ma, rivolgendosi ancora a Dio: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46), Gesù ha superato il baratro, e ricomposto l’unità con Dio e fra noi. Gesù abbandonato-risorto è il modello di ogni uomo. E lo è particolarmente del politico, proprio perché il politico è colui che abbraccia le divisioni, le spaccature, le ferite della propria gente, per trovare le soluzioni, per ricomporle in unità. E’ questo il prezzo della fraternità che è richiesto al politico: prezzo altissimo, come è altissima la sua vocazione. Ma altissimo è anche il premio. Gesù infatti è l’uomo, l’uomo completo e perfetto; e tale può diventare il politico che vive fino in fondo l’ideale della fraternità. La sua fedeltà alla prova farà allora di lui un modello, punto di riferimento per i suoi concittadini, orgoglio della sua gente. Questi sono i politici che il “Movimento dell’unità” vuole generare, nutrire, sostenere. Non è utopia. Ce lo dicono alcuni che ci hanno preceduti in cielo: come Joseph Lux, già vice-primo ministro della Repubblica Ceca, che seppe conquistare l’ammirazione di colleghi e avversari; o Domenico Mangano, che visse la politica nell’amministrazione comunale di Viterbo, in costante servizio ai suoi concittadini; o Igino Giordani, il cui processo di canonizzazione, recentemente iniziato, sta mettendo in luce come egli abbia vissuto non solo le virtù religiose, ma anche quelle civili: segno, questo, che ci si può fare santi non “nonostante la politica”, ma “attraverso la politica”. Oggi poi nel nostro pianeta la fraternità è più che necessaria. Dopo l’11 settembre scorso, il terrorismo si è manifestato in tutta la sua virulenza. Ma sappiamo come più d’una ne siano le cause: basti pensare allo squilibrio che esiste, nel mondo, fra Paesi poveri e Paesi ricchi, squilibrio che genera odio e scatena orribili vendette. Occorre perciò – i tempi lo reclamano – una più equa distribuzione dei beni. Ma i beni non si muovono da sé se non si muovono i cuori. Di qui l’urgenza che l’ideale della fraternità pianti radici in tutti i popoli ed in modo speciale fra i politici anche di nazioni diverse. Un sogno? Per chi crede unicamente nelle proprie forze, sì. Ma, per chi crede in Colui che guida la storia, nessun sogno è impossibile. Ed è ciò che spera il “Movimento dell’unità”, forse piccolo Davide di fronte a Golia, assieme a quanti altri sono impegnati a fare la propria parte. Grazie, Signori, del loro ascolto». (altro…)
Mag 31, 2002 | Parola di Vita
Il comportamento di Gesù era talmente nuovo rispetto alla mentalità corrente che spesso, per così dire, scandalizzava le persone perbene. Come quella volta che disse a Matteo di seguirlo ed andò a pranzo con lui. Matteo era un esattore delle tasse. A causa del suo mestiere non era amato dalla gente, anzi, era considerato un peccatore pubblico, un nemico al servizio dell’Impero Romano.
Perché, si domandano i farisei, Gesù mangia con un peccatore? Non è meglio stare lontano da certa gente? Quella domanda diventa per Gesù l’occasione per spiegare che lui vuole incontrare proprio i peccatori, così come un medico i malati, e conclude dicendo ai farisei che vadano a studiare cosa significa la parola di Dio riportata nell’Antico Testamento dal profeta Osea: “Misericordia io voglio e non sacrificio” (Cf Os 6,5).
Perché Dio vuole da noi la misericordia? Perché ci vuole come lui. Dobbiamo somigliare a lui come i figli somigliano al padre e alla madre. Lungo tutto il Vangelo Gesù ci parla dell’amore del Padre per i buoni e per i cattivi, per i giusti e per i peccatori: per ognuno, non fa distinzioni e non esclude nessuno. Se ha delle preferenze sono per quelli che meno sembrano meritare di essere amati, come nella parabola del figliol prodigo.
“Siate misericordiosi – spiega Gesù – come è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6,36): questa è la perfezione (Cf Mt 5,48).
«Andate dunque e imparate che cosa significhi: misericordia io voglio e non sacrificio»
Anche oggi Gesù rivolge ad ognuno di noi l’invito: “Andate ad imparare…”. Ma dove andare? Chi potrà insegnarci cosa vuol dire essere misericordiosi? Proprio uno solo: lui, Gesù, che è andato in cerca della pecora smarrita, ha perdonato chi l’aveva tradito e crocifisso, ha dato la sua vita per la nostra salvezza. Per imparare ad essere misericordiosi come il Padre, perfetti come lui, occorre guardare Gesù, rivelazione piena dell’amore del Padre. Egli ha detto: “Chi ha visto me ha visto il Padre.”
«Andate dunque e imparate che cosa significhi: misericordia io voglio e non sacrificio»
Perché la misericordia e non il sacrificio? Perché l’amore è il valore assoluto che dà senso a tutto il resto, anche al culto, anche al sacrificio. Infatti il sacrificio più gradito a Dio è l’amore concreto verso il prossimo, che trova la sua espressione più alta nella misericordia.
Misericordia che aiuta a vedere sempre nuove le persone con le quali viviamo ogni giorno in famiglia, a scuola, al lavoro, senza ricordarci più dei loro difetti, degli sbagli; che ci fa non giudicare, ma perdonare i torti subiti. Anzi dimenticarli.
Il nostro sacrificio non sarà tanto fare lunghe veglie e digiuni, dormire per terra, ma accogliere sempre nel nostro cuore chiunque ci passa accanto, buono o cattivo.
Così ha fatto un signore che lavorava nel reparto accettazione e contabilità di un ospedale. Il suo villaggio era stato interamente bruciato dai “nemici” suoi; quando una mattina vide arrivare un uomo con un parente ammalato. Dal suo accento subito capì che si trattava di uno dei “nemici”, spaventato, che non voleva rivelare la sua identità per non essere mandato via. Il contabile non gli chiese i documenti e lo aiutò, anche se doveva superare l’odio che da tempo gli covava dentro. Nei giorni seguenti ebbe modo di assisterlo in varie occasioni. L’ultimo giorno di ospedale il “nemico” andò a pagare alla cassa e disse al contabile: “Devo confessarti qualcosa che non sai”. E lui: “Dal primo giorno so chi sei.” “E perché mi hai aiutato se sono un tuo ’nemico’?”
Come per lui anche per noi la misericordia nasce dall’amore che sa sacrificarsi per qualsiasi altro sull’esempio di Gesù, che è arrivato fino a dare la vita per tutti.
Chiara Lubich
(altro…)
Mag 31, 2002 | Nuove Generazioni
“No al di più, sì alla cultura del dare come antidoto al consumismo e alle enormi differenze tra i Paesi”. “L’altro: un pianeta da scoprire, puntando a ciò che unisce”. “Rispondiamo all’odio con il perdono, iniettando dappertutto speranza”.
Sono gli impegni concreti lanciati da ragazzi dal Palco del Palaghiaccio di Marino ai ragazzi che in diretta satellitare con 13 TV nazionali d’Europa dell’Est e Ovest, Americhe e Africa e 3 reti internazionali e oltre 20 TV italiane regionali e via internet che ha raggiunto in tre ore 6800 visitatori da 42 Paesi.
Così si è concluso quello che i ragazzi per l’Unità dei Focolari hanno voluto chiamare “Musical” in un Palaghiaccio gremito da un pubblico multietnico e multireligioso: 9000 ragazzi da tutto il mondo, 92 Paesi, anche dai punti più caldi del mondo: con Terra Santa, Burundi, India e Pakistan. Non sono solo cattolici, ma anche cristiani di 13 Chiese, ragazzi ebrei, musulmani, buddisti, indù.
Coinvolgendo platea e spalti, sono gli stessi ragazzi che hanno comunicato con la forza delle musica canzoni, coreografie, una storia vera, la storia di Chiara Lubich quando nel clima di odio e violenza del secondo conflitto mondiale fa la scoperta dell’Amore che è Dio, da cui scaturisce, con la riscoperto del Vangelo, una corrente di amore e di unità che si intreccia con la loro storia.
Ed è poi Chiara stessa che in dialogo con i ragazzi risponde alle loro domande sul dolore e la morte, sulle pressioni della società consumistica e sull’Al di là.
Di grande profondità questo "tu a tu" con lei: Com’è il Paradiso? "E’ una casa dove ciascuno ha un posto. Ci sarà tutto quanto abbiamo fatto per amore". Ed è lei che chiede loro se sanno cos’è l’Inferno: "Non poter più amare. Aver coscienza che nella vita si doveva amare e non si è amato". Come realizzare il progetto di unità che Dio ha sul mondo?: "Incominciate dai vostri coetanei: testimoniate con la vita e con la parola".
Sono testimonianze forti le storie di Rafel del Brasile: dalla tentazione di suicidio alla scoperta di Dio Amore; perdonare il nemico, che può essere il proprio padre che ha abbandonato la famiglia, come ha raccontato Heloisa. Storie di Vangelo vissuto nei contesti più difficili, come di fronte alla crisi argentina. O in campo politico come l’esperienza di Federico, sindaco Junior in un comune della Sicilia.
E’ questo un appuntamento quinquennale dei ragazzi per l’unità. Novità di quest’anno: portare il loro messaggio di pace e di unità per le strade di Roma. Domenica 26 appuntamento al Colosseo e poi in marcia sino a San Pietro.
Mag 31, 2002 | Nuove Generazioni
La nostra scoperta di Dio Amore
Dalla tentazione di suicidio alla scoperta di Dio Amore
Rafael del Brasile
Nella mia scuola tanti ragazzi pensano solo a se stessi e non si accorgono degli altri.
È difficile dirsi persino un “Ciao!”. Soffrivo molto per questo e non sapevo cosa fare.
Poi, provando a fare il primo passo, ho cominciato ad avere degli amici.
In particolare ho conosciuto un ragazzo che mi sembrava molto triste. Sempre chiuso in se stesso, non voleva parlare con nessuno.
Ho cercato di interessarmi a lui, facendogli sentire che ci tenevo alla sua amicizia. Dopo una lunga chiacchierata, mi ha confidato di essere disperato: aveva tutto, ma era insoddisfatto della vita. Essendo molto intelligente, cercava la verità nei libri. E si domandava come credere in Dio, quando c’è così tanta sofferenza. Non riuscendo a trovare una risposta aveva pensato persino al suicidio.
Gli ho assicurato che poteva contare su di me. Poi ho telefonato ad altri compagni invitando anche loro a stargli vicino. Ci siamo messi d’accordo di chiedergli aiuto per alcune materie, in modo che si sentisse utile. Grazie a questi rapporti ha iniziato a stare meglio.
Spesso mi faceva domande sulla fede. Così l’ho invitato ad un incontro con i ragazzi per l’unità. Alla fine mi ha detto: “Vi vedo per la prima volta, ma in una parola mi avete dato la risposta che cercavo: Dio è amore e quando amiamo Lui è dentro di noi”.
Poi si è confessato ed è tornato a Messa dopo molto tempo. Mi ha confidato: “Tu ed i tuoi amici mi avete salvato la vita”.
Perdonare il nemico
Dal senso di abbandono al perdono del padre che ha lasciato la famiglia
Heloisa del Brasile
Avevo 12 anni quando i miei genitori si sono separati e questo mi ha fatto molto soffrire. Il dolore più grande per me era, però, non riuscire a perdonare il papà per averci lasciato, formandosi un’altra famiglia.
All’inizio, quando chiamava al telefono, non volevo rispondergli. Ma l’invito che Gesù fa nel Vangelo di “perdonare il nemico”, non mi lasciava in pace.
Chiedevo a Gesù di riuscire a fare questo passo.
Anche Lui sulla croce si era sentito abbandonato dal Padre, ma aveva continuato ad amare. Anche io dovevo fare lo stesso. E altre ragazze che credono in questo mi hanno molto aiutato.
Avvicinandosi la festa del papà, vedevo a scuola i miei compagni che preparavano i regali. Era l’occasione per dimostrare anche al mio papà che lo avevo perdonato.
Quando ha ricevuto il mio regalo, si è commosso e mi ha detto che la cosa più importante per lui erano i figli. Da quel momento i nostri rapporti sono cambiati: era come se avessi riaperto la porta del mio cuore a lui.
In una telefonata mi ha confidato di sentirsi molto solo. Ho colto l’occasione per andare più in profondità con lui parlandogli della mia scoperta di Dio, che ama ognuno immensamente. Mi ha salutato sereno assicurandomi che sarebbe venuto a trovarmi per parlare di questo.
Vivere questa situazione non è facile. Ma cercando di amare, ho capito che tutti possono sbagliare, ma abbiamo la possibilità di ricominciare sempre.
L’unità che rinnova politica, arte, mass media, sport
Al muretto
Federico, sindaco "junior" della Sicilia
Trecastagni, dove abito, è il primo Comune della Sicilia ad avere un Consiglio Comunale Junior. Accanto a quello degli adulti, infatti, ce n’è uno formato da ragazzi dai 13 ai 15 anni, eletto dagli studenti.
Il sindaco della mia città ha voluto realizzare questa iniziativa ritenendo utile e costruttivo il contributo di noi ragazzi. Il Consiglio Junior, infatti, fa parte a tutti gli effetti dell’amministrazione comunale ed ha il compito di fare proposte e dare consigli agli adulti sulle decisioni politiche che più ci riguardano, nell’ambito della scuola, dello sport e dell’ambiente.
Con alcuni ragazzi per l’unità ci siamo candidati e, senza fare campagna elettorale, in tre siamo stati eletti: io come sindaco, Davide è il mio vice ed Eric è consigliere.
Nel Consiglio Junior non ci sono divisioni partitiche e questa è la cosa più bella.
Ci riuniamo una volta al mese e portiamo le nostre proposte nel Consiglio degli adulti.
Durante il nostro mandato, che era di un anno, abbiamo fatto approvare vari progetti, che poi sono stati realizzati: la formazione di una consulta giovanile che riunisce le associazioni del paese, la ristrutturazione di alcune aree verdi e la costruzione di un centro polifunzionale per ragazzi.
Questa esperienza mi ha arricchito molto: oltre ad aprirmi al confronto con tanti altri ragazzi, mi ha fatto capire il vero senso della politica, che è servizio: amore concreto rivolto a tutta la città.
Questo penso sia il segreto di chiunque voglia essere un buon sindaco.
Mag 31, 2002 | Nuove Generazioni
CONOSCERSI: un sito internet in cui ragazzi di Paesi diversi potranno incontrarsi e formare una rete mondiale di scuole per condividere culture, lingue e tradizioni.
AIUTARSI: attraverso un fondo di solidarietà sosterranno borse di studio per i ragazzi dei Paesi più svantaggiati che non possono frequentare la scuola.
IN AFRICA – Uganda
Su una popolazione di 21 milioni di abitanti, più di 800.000 hanno contratto l’AIDS dei quali 53.000 hanno meno di 15 anni. A Kampala è nata la ’Scuola Arcobaleno’. La frequentano bambini e ragazzi orfani che a causa dell’AIDS hanno perso i genitori. Fra loro il 10% è già ammalato. Nella scuola vengono garantiti due pasti al giorno a tanti che non avrebbero da mangiare. Douglas rubava per la fame: ora frequenta la scuola e guadagna qualcosa lavorando nel giardino. Sam viveva per la strada, introverso e trascurato è diventato il primo della classe. Winnie di 10 anni, emarginata perché affetta dalla malattia, ha cercato rifugio da sola nella scuola: “Sono felicissima – scrive – ora ho trovato la mia famiglia!”.
IN OCEANIA – Noumea
La Nuova Caledonia è un bellissimo arcipelago dell’Oceano Pacifico. Dalle piccole isole, per poter finire gli studi, molte ragazze devono trasferirsi a Noumea, la capitale. Qui, accolte da parenti e amici, vivono in baracche poverissime. Spesso sono vittime di varie forme di sfruttamento e costrette ad abbandonare gli studi. Nel Centro ‘Maison Virgo’, coordinato da un’assistente sociale, si offre ospitalità a molte di loro. Attraverso borse di studio raggiungono un alto rendimento scolastico.
IN ASIA – Pakistan
Ragazzi cristiani e musulmani gomito a gomito sui banchi di scuola studiano e giocano insieme. Così si presenta la vita a Dalwal, un piccolo villaggio in una zona desertica 200 km a nord di Islamabad. I missionari belgi vi avevano costruito una scuola, caduta poi in totale abbandono. Con aiuti arrivati si sono ristrutturate le aule per i bambini e i ragazzi che prima facevano lezione sotto gli alberi. In un Paese in prevalenza musulmano, la scuola apre le sue porte anche alle bambine e ragazze.
IN AMERICA DEL SUD – Colombia
I quartieri alla periferia di Bogotà sono formati da baracche. Sono zone ad alta delinquenza, dove il 30% dei ragazzi abita solo con la mamma. Solo il 4% frequenta scuole professionali, la maggioranza finisce in bande giovanili, subiscono violenze, sono sfruttati o fanno uso di droghe.
E poi in Bolivia, Uruguay, Colombia, Ecuador, Brasile, Congo, Burundi, Madagascar, Tailandia, India, Iraq, Romania
Con un Euro al mese per diventare compagni di banco da una parte all’altra del globo
www.school-mates.org
Mag 30, 2002 | Nuove Generazioni
“Non sono giovane, ma siete riusciti a commuovere questo cuore indurito da anni di indifferenza!”.
“Vedere gente come voi mi ha dato la spinta per credere ancora nelle persone, nella vita. Siete forti!”.
“Con la vostra gioia freschissima, mi avete veramente commosso e confermato che occorre vivere per Qualcosa di grande, per lasciare la propria impronta in questa vita!”.
Migliaia gli echi giunti via internet da telespettatori di tutte le età e da tutto il mondo che, domenica 26 maggio, in diretta televisiva, avevano seguito la grande manifestazione interreligiosa dei “Ragazzi per l’Unità” dei Focolari.
Momento culmine, un patto: vivere la ‘Regola d’oro’ comune a tutte le fedi: “Fa’ agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”, per costruire insieme un mondo di pace, per sradicare odi e vendette, per un mondo unito dalla fraternità.
Mag 30, 2002 | Nuove Generazioni
I ragazzi hanno poi voluto portare questa testimonianza di pace e unità per le strade di Roma, coinvolgendo passanti e automobilisti incuriositi. A tutti il dono di un segnalibro arcobaleno con la proposta della “Regola d’oro” che si traduce nel concreto “No al di più. Sì alla cultura del dare.
L’altro è un pianeta da scoprire. Rispondiamo all’odio con il perdono. Iniettiamo dappertutto speranza.”
Si è conclusa così la seconda giornata del “Supercongresso 2002”, l’appuntamento quinquennale dei “Ragazzi per l’unità” iniziato il giorno precedente al Palaghiaccio di Marino (Roma).
Erano in dodicimila da tutto il mondo, raccolti nella cornice del Colosseo a Roma. Una manifestazione culminata con un patto: costruire insieme un mondo di pace, sradicare gli odii e le vendette, per un mondo unito dalla fraternità tra cristiani, ebrei, musulmani, buddisti, indù, sikhs; il patto di vivere la ‘Regola d’oro’ comune a tutte le fedi: “Fa’ agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”.
Loro stessi protagonisti, da 92 paesi diversi, di religioni diverse, a ritmo di musica e di danze variopinte, ma anche con testimonianze, hanno lanciato dal palco del Colosseo questo patto anche ai ragazzi e non solo, collegati con molte TV del mondo e via Internet, grazie alle riprese di Rai Tre.
Un patto che ha coinvolto anche i vari leaders civili – come il sindaco di Roma, Walter Veltroni – e religiosi: ebrei rappresentati da Lisa Palmieri del WCRP (Conferenza mondiale delle religioni per la pace), indù come la Dr. Vinu Aram del movimento gandhiano Shanti Ashram, buddisti come il rev. Keishi Miyamoto del Movimento Myochi-kai e il sig. Hoshina del Movimento Rissho Kosei-kai, la guida spirituale della comunità sikhs di Roma, Ajalb Singh, il card. Francis Arinze, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, il delegato del card. Camillo Ruini, mons. Mauro Parmeggiani, e i rappresentanti di Azione Cattolica, Sant’Egidio e Rinnovamento nello Spirito, presenti al Colosseo.
Lo slogan: “Lascia la tua impronta”. Con un gesto simbolico ognuno apponeva l’impronta di una mano dorata sull’ombrello colorato del vicino, mentre cantavano a ritmo di rock: ”C’è una regola d’oro che apre le porte del mondo intero verso l’unità, voglia di fare a te quello che farei per me”
E le adesioni sono arrivate anche via internet: oltre 4000 da 74 Paesi e continuano ad arrivare: “Voglio comunicarvi la mia gioia di essere protagonista con voi! ”, “Meraviglioso! Una trasmissione che ci ha fatto capire che siamo uniti, di qualsiasi colore sia la pelle! Vogliamo anche noi costruire la pace” (Brasile). Dal Panamà: “Mi è sembrato qualcosa caduto dal cielo in questo momento dove il mondo si trova avvolto da tante cose cattive. Questa è la via d’uscita”. “Penso di essere nato per seguire ‘l’arte dell’amore’. Ho solo 16 anni, ma voglio vivere a lungo per vedere un mondo senza odio e guerre. Anch’io mi impegnerò. Per questo lascio qui la mia impronta!”. Un operatore della TV nazionale slovacca scrive via e-mail: “Sto seguendo la trasmissione. Dietro a queste parole non sono stati conquistati solo i cuori dei ragazzi!”. Una mamma: “Sono tanto tanto commossa. Bisogna lanciarsi ad amare tutti e subito. Come abbiamo sentito questa mattina, dove c’è amore non scende mai la notte!”.
E’ questa la risposta dei ‘Ragazzi per l’unità’ alla consegna del Papa di essere “sentinelle docili e coraggiose della pace vera”, quella pace costruita sull’amore al nemico, con “coraggio, mitezza e tenacia”. Un messaggio accolto con grande gioia, letto dal card. Francis Arinze.
Ragazzi tra i dodici e i diciassette, capaci di sognare un mondo nuovo, tra coreografie che mostravano la bellezza delle diverse culture: indiana, indigena, filippina, canti a ritmo di rap e di rock, un sogno che nel quotidiano è già realtà.
Dal palco, Joyce racconta ciò che ha visto a New York dopo l’11 settembre: la solidarietà, ma anche la paura per il futuro, il risentimento e la discriminazione verso mediorientali e musulmani. “Ci siamo detti di cominciare noi per primi ad andare oltre il dolore per amare tutti”. Di qui le raccolte in denaro per le vittime, gli incontri con gli amici musulmani. “Molto più reale della guerra scoppiata in Afghanistan, era il nostro incontro fra fratelli”.
Wajiha, musulmana del Punjab (Pakistan), regione conosciuta per gli scontri interreligiosi, parla della scuola di Dalwal, nella cittadella dei Focolari, dove studiano cristiani e musulmani: “Non è facile perdonare i torti, non aspettare niente in cambio, amare per primi, ma è proprio questo che, insieme alla matematica, si impara a Dalwal”.
Dopo le esperienze di ragazzi delle più varie parti del mondo, Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari – impegnato da decenni nel dialogo a tutto campo – che mostra lo spessore di quest’arte di amare. Non ignora i conflitti e le attuali nuove minacce di terrorismo.
Va alla radice: “E’ in atto la forza oscura del Male con la M maiuscola. Occorre impegnare le forze del Bene con la B maiuscola: Dio e tutto ciò che ha radice in lui”. Così sarà possibile rimuovere l’ingiustizia, il divario tra ricchi e poveri, realizzare la comunione dei beni, ma aggiunge: “E’ ovvio che i beni non si muovono se non si muovono i cuori”. “Occorre invadere il mondo con l’amore”. Lo chiede ‘la regola d’oro’ comune alle religioni. E dà ai ragazzi una consegna: trascinate a questi grandi ideali i ragazzi che incontrerete giorno dopo giorno.
E per “muovere i beni”, un’iniziativa concreta: “Schoolmates”: un euro al mese per diventare compagni di banco da una parte all’altra del globo e favorire lo scambio tra culture, lanciata anche via internet.
Mag 30, 2002 | Nuove Generazioni
Carissimi Ragazzi e Ragazze "GEN 3"!
1. Vi saluto con gioia ed affetto, in occasione del vostro ".Supercongresso", che ogni cinque anni raduna migliaia di ragazzi di tanti Paesi del mondo intorno ad un grande ideale: l’ideale dell’unità. Voi, infatti, vi chiamate "Ragazzi per l’unità".
Il mio saluto va ad ognuno personalmente, e vorrei che questo mio messaggio giungesse alla mente ed al cuore di ciascuno di voi. Ringrazio il Cardinale Francis Arinze, che di esso si fa portatore, aggiungendovi la sua preziosa testimonianza di Pastore della Chiesa, che da anni collabora con me per il dialogo con le religioni non cristiane. Un cordiale saluto rivolgo alla carissima Chiara Lubich, Fondatrice e Presidente del Movimento dei Focolari, come pure ai Sacerdoti ed agli animatori che vi hanno accompagnato.
Cari giovani amici, voi avete tanto desiderato coinvolgere il Papa in questo evento che vi sta molto a cuore. Come sapete, però proprio durante il vostro Congresso, sarò lontano da Roma: mi troverò in Visita Pastorale in Azerbaijan e in Bulgaria. Questo mi impedisce di incontrarvi, ma non di esservi spiritualmente vicino! E sono certo che anche voi, con la preghiera e con l’affetto, mi accompagnerete e sosterrete nel mio Viaggio Apostolico.
2. Voi, "Ragazzi per l’unità", comprendete bene perché ogni tanto lascio la mia Sede per visitare Chiese e Nazioni lontane. Questo rientra nel mio servizio di Successore dell’Apostolo Pietro, incaricato da Cristo di custodire e promuovere l’unità dell’intero Popolo di Dio. Tutti i Vescovi sono al servizio dell’unità, ma il Vescovo di Roma lo è con una propria e più forte responsabilità. Così, tutti i ragazzi cristiani sono "per l’unità", ma voi, che aderite al Movimento dei Focolari, lo siete in modo speciale!
Lo stesso Spirito ci muove, carissimi, lo stesso Spirito ci unisce. E’ lo Spirito Santo di Dio, che, in modo misterioso, spinge la Chiesa verso una sempre più profonda comunione con Dio. Lo fa non come un Assoluto, che tutto assoggetta e domina, ma come Amore, che tutto dona, vivifica e santifica.
3. Da chi ci viene questa meravigliosa "teo-logia", cioè questa dottrina su Dio? Ci viene da Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo e nato dalla Vergine Maria. Gesù è il rivelatore del Padre, l’immagine del mistero invisibile, il "volto" di Dio in un uomo come noi, il "testimone" fedele del suo amore. Per questo è venuto sulla terra, si è dedicato alla predicazione del Regno dei Cieli e lo ha inaugurato con segni e prodigi, guarendo coloro che erano prigionieri del male (cfr At 10,38). Per questo si è consegnato volontariamente alla morte lasciandoci, nella Cena pasquale, il testamento del suo Sacrificio. Per questo il Padre lo ha risuscitato dai morti e lo ha innalzato alla sua destra, costituendolo Signore del mondo e della storia. Nel nome di Gesù la salvezza è offerta e annunciata agli uomini, di ogni lingua, popolo e nazione.
Sì, Gesù è il Salvatore del mondo intero. E’ il Principe della pace. Anzi, come dice l’apostolo Paolo, "egli è la nostra pace" (Ef 2,14), perché ha abbattuto il muro dell’inimicizia, che separa gli uomini e i popoli tra loro. Gesù è la nostra speranza, la speranza per tutta l’umanità che, in ogni generazione, è chiamata a costruire la pace nella giustizia, nella verità e nella libertà.
4. Cari Ragazzi e Ragazze, Cristo vi chiama ad essere gli annunciatori e testimoni di questa splendida verità. Vi chiama ad essere gli apostoli della sua pace. Costruite la pace in tutte le situazioni in cui vi trovate quotidianamente a vivere: in famiglia, nella scuola, tra gli amici, nello sport e nel tempo libero… Siate sempre pronti all’ascolto, al dialogo, alla comprensione. Sappiate unire il coraggio e la mitezza, l’umiltà e la tenacia nel bene. Imparate dal divin Maestro che la verità non si sostiene con la violenza, ma con la forza della verità stessa. Alla scuola del Vangelo, tenete sempre uniti la giustizia e il perdono, perché la pace vera è frutto di entrambi. Animati dallo Spirito di Gesù, amate chi non vi ama e vogliate bene a chi non ve ne vuole, perché cresca nel mondo il Regno di Dio, che "è giustizia, pace e gioia nello Spinto Santo" (Rm 14,17). In questo modo, carissimi, sarete veramente costruttori di unità e di pace.
5. Cari Ragazzi e care Ragazze, siate apostoli di pace! Vorrei ripetere a voi le parole che ho pronunciato ad Assisi il 24 gennaio scorso, in occasione della Giornata di Preghiera per la Pace: "Giovani del terzo millennio, giovani cristiani, giovani di tutte le religioni, chiedo a voi di essere, come Francesco d’Assisi, “sentinelle” docili e coraggiose della pace vera, fondata nella giustizia e nel perdono, nella verità e nella misericordia! Avanzate verso il futuro tenendo alta la fiaccola della pace. Della sua luce ha bisogno il mondo!" (Discorso ad Assisi, n. 7: L’Osservatore Romano, 25.1.2002, p. 7). Così il Papa vi desidera, perché così vi vuole Gesù. Non abbiate paura di donarvi totalmente al Signore.
Vi aiuti Maria Santissima , che ama come proprio figlio ogni singolo discepolo di Gesù. Amatela, cari Ragazzi, come vostra Madre, e lasciatevi sempre guidare da Lei nel cammino della vita. Io vi accompagno volentieri con grande affetto e vi mando di cuore una speciale Benedizione.
Dal Vaticano, 8 Maggio 2002
JOANNES PAULUS II
Mag 30, 2002 | Nuove Generazioni
Carissimi ragazzi per l’unità e voi tutti ragazzi e ragazze presenti,
eccovi qui, nella città di Roma, piena di sole, colma di storia, centro della Chiesa cattolica, convenuti da novantadue nazioni del mondo, rappresentanti di tante culture e di molte fedi: ebrei, musulmani, buddisti, indù, sikhs, zoroastriani, di religioni tradizionali africane e cristiani di 14 Chiese.
Eccovi all’ombra del Colosseo, dove tanti cristiani dei primi secoli hanno pagato col martirio la loro fede in Gesù.
Eccovi qui a celebrare e a manifestare a favore di un grandissimo ideale: la pace.
La pace.
Ma è di così grande attualità la pace?
Certamente sì, e forse più che mai. E non solo per le decine di guerre in corso qua e là sul nostro pianeta, ma anche perché oggi la pace è minacciata in modo diverso, più subdolo.
Vedete: anche se sono passati più mesi ormai, è certamente ancor vivo nei vostri giovani cuori quel terribile 11 settembre col crollo delle due torri gemelle a New York. Ed è vivo in modo particolare in questi giorni in cui sembrano profilarsi nuove analoghe minacce di terrorismo. Ebbene, di fronte a tale situazione, si fa sempre più strada il pensiero di spiriti eletti e illuminati che tutto ciò non sia frutto solamente dell’odio fra singoli o popoli, ma sia anche effetto dell’oscura forza del Male con la M maiuscola.
La situazione, dunque, è seria. Perché, se le cose sono così, non è sufficiente opporsi a tanto pericolo con sole forze umane. Occorre impegnare le forze del bene con la B maiuscola.
E voi tutti conoscete cos’è questo Bene: è anzitutto Dio e tutto ciò che ha radice in lui: il mondo dello spirito, dei grandi valori, dell’amore vero, della preghiera.
E qui è il perché di Assisi, il 24 gennaio scorso, quando Giovanni Paolo II ha invitato per la seconda volta i rappresentanti delle più grandi religioni del mondo nella città di san Francesco per invocare dal Cielo la pace.
La pace però è oggi un bene così prezioso che tutti noi, adulti e giovani, persone responsabili e semplici cittadini, dobbiamo impegnarci a salvaguardarla. E anche voi ragazzi e ragazze.
Naturalmente, per sapere come comportarci, occorre conoscere bene le cause più profonde dell’attuale drammatica situazione.
Anche a voi è noto come nel mondo non regni la giustizia, come vi siano Paesi ricchi e Paesi poveri, mentre il piano di Dio sull’umanità sarebbe quello d’essere tutti fratelli, in una sola grande famiglia con un solo Padre.
E’ questo squilibrio uno dei fattori, forse più determinante, che genera risentimento, ostilità, vendetta, terrorismo.
E allora come creare maggiore uguaglianza, come suscitare una certa comunione di beni?
E’ ovvio che i beni non si muovono se non si muovono i cuori. Occorre, quindi, diffondere l’amore, quell’amore reciproco che genera la fratellanza. Occorre invadere il mondo con l’amore! Cominciando da noi stessi.
Così voi, ragazzi.
Ma, qualcuno dei presenti mi potrebbe chiedere: "E’ compatibile l’amore, l’amarsi con lo stile di vita che le nostre culture ci hanno tramandato?"
Sì, è possibile: andate a cercare nei vostri Libri sacri e troverete – è quasi dovunque – la cosiddetta "Regola d’oro". Il cristianesimo la conosce così: "Fa’ agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te" (cf Lc 6,31). E così dice Israele: "Non fare a nessuno ciò che non piace a te" (Tb, 4,15).
L’Islam: "Nessuno di voi è vero credente se non desidera per il fratello ciò che desidera per se stesso" (Hadith 13, Al Bukhari). E l’induismo: "Non fare agli altri ciò che sarebbe causa di dolore se fosse fatto a te" (Mahabharata 5:1517). Tutte frasi che significano: rispetta e ama il tuo prossimo.
E se tu, ragazzo musulmano, ami, e tu, cristiano, ami, e tu, indù, ami, arriverete certamente ad amarvi a vicenda. E così fra tutti. Ed ecco realizzato un brano di fraternità universale.
Poi occorre amare gli altri prossimi, e voi in particolare, i ragazzi che incontrerete nella vita: perché se ogni simile ama il proprio simile, i ragazzi si lasciano meglio convincere e trascinare a grandi ideali dai ragazzi.
Amare dunque: è uno dei grandi segreti del momento.
Amare con un amore speciale. Non certo con quello rivolto unicamente ai propri familiari o agli amici, ma l’amore verso tutti, simpatici o antipatici, poveri o ricchi, piccoli o grandi, della tua patria o di un’altra, amici o nemici… Verso tutti.
E amare per primi, prendendo l’iniziativa, senza aspettare d’esser amati.
E amare non solo a parole, ma concretamente, a fatti.
E amarsi a vicenda.
Carissimi ragazzi e ragazze, se così farete, se così faremo tutti, la fratellanza universale s’allargherà, la solidarietà fiorirà, i beni saranno meglio distribuiti, e potrà risplendere sul mondo l’arcobaleno della pace: su quel mondo che, fra pochi anni, sarà nelle vostre mani.
Mag 30, 2002 | Nuove Generazioni
Tutti abbiamo assistito alla tragedia dell’11 settembre. E forse, guardando increduli le immagini della TV, abbiamo avuto l’impressione che, insieme a quelle Torri, crollassero anche tante certezze. Abbiamo provato sentimenti di paura, di incertezza per il futuro. Qui con noi c’è Joyce, che è arrivata dagli Stati Uniti. Vorremmo chiederti: come avete reagito a New York?
Da quel giorno il nostro Paese è cambiato. Appena la città si è ripresa dal terribile shock, abbiamo visto dilagare un incredibile senso di solidarietà che solo la sofferenza poteva generare e che ha unito la nazione. I muri di indifferenza si sono sciolti in una valanga di aiuti concreti. Tutti volevano fare qualcosa per gli altri. Era commovente vedere la gente riempire le chiese, rivolgere a Dio preghiere spontanee, dal Parlamento alle piazze.
Però c’era anche collera, risentimento.
A scuola alcuni miei compagni hanno iniziato a trattare con disprezzo gli studenti mediorientali. Ci faceva male constatare una discriminazione già in atto. Ci siamo detti di cominciare noi per primi ad andare oltre il dolore, per amare tutti. Solo così è possibile trovare una strada di pace. Insieme ad altri abbiamo organizzato raccolte di denaro per le vittime e per il popolo afgano. Abbiamo sentito l’esigenza di incontrarci con alcuni amici musulmani che si impegnano con noi a costruire il mondo unito. Mentre eravamo insieme nella loro moschea, la radio annunciava l’inizio dell’attacco in Afganistan.
Ma la guerra ci sembrava lontana: molto più reale era il nostro incontro tra fratelli.
Tutti, cristiani e musulmani, ci siamo sentiti parte di un unico disegno: realizzare la fraternità universale.
Samuel è arrivato dalla Nigeria, dove ci sono scontri fra le etnie. Tu ti sei trovato davanti ad una scelta difficile, vero?
Nel mio Paese, per più di 100 anni, le duecento minoranze etniche hanno vissuto in pace e in armonia.
Nello stesso periodo in cui a New York crollavano le Torri, anche in Nigeria è scoppiata la guerra civile a causa dei contrasti tra le etnie, tra cristiani e musulmani, con saccheggi e stragi da entrambe le parti.
Il governo ha cercato di riportare l’ordine ma, non riuscendovi, sia i cristiani che i musulmani hanno formato truppe di sorveglianza. Anch’io ero in uno di questi gruppi e combattevo dalla parte dei cristiani.
Una sera, durante un giro di controllo, ci siamo imbattuti in un gruppo musulmano. Avevamo accerchiato i nostri nemici. La maggioranza dei cristiani ha suggerito di ucciderli. Ma io non potevo farlo: il Vangelo dice che dobbiamo amare tutti, siano essi cristiani, musulmani o buddisti. E amare anche i nemici.
Ho chiamato il nostro capo-gruppo ed ho proposto a lui e agli altri di risparmiare le loro vite, non perché non ci avessero fatto del male, ma perché quelli dell’altra etnia sono, come noi, figli di Dio. Queste parole hanno colpito tutti e le vite di quei ragazzi musulmani sono state risparmiate.
Ero felice perché, anche se eravamo nemici, la volontà di Dio per i suoi figli è che ci amiamo come fratelli.
Hind arriva dalla Terra Santa e ci porta i saluti anche di tanti Ragazzi per l’unità che, data la difficile situazione, non sono riusciti a venire.
Che cosa vuol dire per voi vivere per la pace? Pensi che sia possibile realizzarla?
Un anno fa, in un incontro con ragazzi di diversi Paesi, la scoperta che Dio è amore e ci ama immensamente mi ha cambiato. Ho capito che non c’è differenza fra cristiani, musulmani ed ebrei. Dovevo amare tutti, senza distinzione. Con altri ragazzi della Terra Santa abbiamo fatto il patto di fare una rivoluzione d’amore nel nostro Paese. Ho saputo che anche alcuni ragazzi palestinesi vogliono vivere come noi per la pace e si sono accordati per trasformare la lotta in Intifada d’amore.
Per arrivare a scuola ogni giorno devo fare una lunga coda ad un posto di blocco israeliano. Questo fa nascere in me un sentimento di rabbia, ma cerco di amare tutti. Un giorno, arrivato il mio turno, alcuni soldati mi hanno rimandato alla fine della fila, ma consegnando il documento ho accolto il soldato con un sorriso. Lui, sorpreso, me ne ha chiesto il motivo. Ho detto che credo in un Dio che è Signore della pace: Lui mi dà la gioia. Alla sua richiesta a proposito dell’attentato negli USA ho spiegato che non è Dio a fare cose cattive, ma l’uomo. Gli ho assicurato che in tanti preghiamo per la pace. E lui: “In questa situazione, non avevo mai incontrato nessuno cosi felice!”.
Abbiamo poi lanciato il Time-out: un momento di silenzio per la pace che i Ragazzi per l’unità fanno ogni giorno in tutto il mondo. A Gerusalemme in varie scuole più di 600 ragazzi si fermano adesso insieme per chiedere insieme la pace.
Tra loro anche alcune amiche musulmane con le quali, superata la diffidenza, adesso ci vogliamo bene davvero. Una di loro, che frequenta una scuola dove tutti sono musulmani, ha risposto alle critiche sui cristiani spiegando che, più che le differenze, importa amarci reciprocamente: è questo che ci fa entrare in paradiso.
Questo cammino non è facile, ma sempre chiedo a Dio di aiutarci perché se ognuno sarà una pietra viva nella costruzione del mondo unito, riusciremo a fare della nostra terra una casa per tutti, dove tutti vivranno in pace.
Mag 30, 2002 | Nuove Generazioni
Un mondo di pace nasce e cresce ogni giorno da ognuno di noi.
Il segreto è: ‘fare agli altri quello che vorresti fosse fatto a te’. Questa ‘Regola d’oro’, presente in quasi tutte le fedi del mondo, è iscritta nel cuore di ogni uomo. Ci invita a vivere il rispetto, l’amore. Ma amare è un’‘arte’ che ha delle qualità.
Chiede di amare tutti, amare per primi, amare concretamente, amare immedesimandosi nell’altro, amare anche il nemico. Mettere in pratica questa ‘arte di amare’ in tutti gli ambiti della nostra vita, è già realizzare la fraternità universale per fare dell’umanità una famiglia di popoli uniti.
No al di più
Mag 29, 2002 | Chiara Lubich
Città di Torino – Ufficio Stampa
Chiara Lubich, fondatrice e presidente del Movimento dei Focolari, ha ricevuto domenica 2 giugno la cittadinanza onoraria torinese, nel corso di una cerimonia iniziata alle 17.00 presso il Teatro Regio.
Il conferimento della cittadinanza onoraria alla signora Lubich era stato deliberato dal Consiglio comunale il 6 maggio scorso, in riconoscimento del suo impegno sociale, accompagnato dalla passione civile, teso a realizzare un progetto di solidarietà umana mirante all’equità sociale, al dialogo ed alla pace. Partendo da questi presupposti il Movimento dei Focolari, dal nucleo originario trentino, si è diffuso a partire dal secondo dopoguerra in 180 paesi, raccogliendo non soltanto cristiani ma ebrei, musulmani, induisti, esponenti d’altre religioni ed anche non credenti.
La cerimonia di domenica, alla quale hanno partecipato le autorità cittadine, sindaci, amministratori, personalità civili e religiose di diverse Chiese cristiane ed esponenti di altre religioni, oltre ad una folta rappresentanza di giovani, è stata aperta dagli interventi del presidente del Consiglio comunale Mauro Marino e del sindaco Sergio Chiamparino.
Hanno parlato inoltre il vice sindaco Marco Calgaro, il rappresentante del presidente della Regione Piemonte Giampiero Leo, la presidente della Provincia di Torino Mercedes Bresso, il cardinale Severino Poletto. Ci sono state le testimonianze di Sergio Zavoli, Alberto Pacher, sindaco di Trento (la città natale di Chiara Lubich) e di Doris Battistini (Movimento dei Focolari).
Ha preso poi la parola Chiara Lubich, con un intervento incentrato sul tema: “Della fraternità in politica”.
A concludere la manifestazione c'è stato un concerto del Coro dell’Università torinese, diretto da Sergio Pasteris.
Mag 28, 2002 | Nuove Generazioni
Ufficio Stampa – Comune di Firenze
DA PALAZZO VECCHIO GIOVANI PAKISTANI E INDIANI LANCIANO UN APPELLO PER LA PACE FRA I LORO DUE PAESI
«India e Pakistan riprendano il dialogo e risolvano pacificamente i loro contrasti».
A lanciare l’appello un gruppo di giovani pakistani ed alcuni coetanei indiani che in questi giorno sono stati ospitati a Loppiano, in provincia di Firenze, per partecipare al "Forum interreligioso dei ragazzi per la pace". I pakistani sono provenienti dalla regione del Punjab mentre i giovani indiani fanno parte della comunità ghandiana "Shanti Ashram" ed oggi pomeriggio, insieme ad altre centinaia di ragazzi provenienti da ogni parte del mondo, hanno partecipato, nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, alla cerimonia conclusiva del forum. «Siamo sconvolti dalle notizie che arrivano dalla nostra terra – hanno confessato i ragazzi – c’è addirittura il rischio di un conflitto nucleare. In questi giorni passati insieme abbiamo capito che è possibile costruire insieme un mondo di pace, sradicare l’odio e le vendette, per vivere in fraternità tra cristiani, ebrei, musulmani, buddisti, indù, sikhs».
A Loppiano indù, buddisti, cristiani, musulmani si erano dividisi in vari gruppi di lavoro, guidati da esperti, per approfondire in quali modi costruire concretamente la pace: nei rapporti tra le culture e le generazioni, nello sport, nella dimensione scolastica e formativa, nel campo della solidarietà promuovendo una "cultura del dare" contrapposta a quella dell’avere, nel campo dei mass media, della musica e della cultura giovanile. Uno dei progetti lanciati dal forum è "Schoolmates", i gemellaggi fra le scuole di tutto il mondo, al costo di un euro al mese, per diventare compagni di banco da una parte all’altra del globo e favorire lo scambio tra culture, lanciata anche via internet.
In questi giorni sono già arrivate, al sito www.lascialatuaimpronta.net oltre 4000 adesioni da 74 paesi.
«E’ importante – ha detto il Sindaco Leonardo Domenici intervenendo nel Salone dei Cinquecento – che tanti giovani di diverse religioni si incontrino per discutere e preparare la pace. Firenze li ospiterà sempre, la nostra città è messaggera di pace: questo è un tratto distintivo della sua storia, un riconoscimento conferito dalle Nazioni Unite, un impegno che la città porta avanti quotidianamente anche con iniziative concrete per promuovere il dialogo e l’incontro. Proprio dalle città, dalle realtà urbane possono crescere nuove forme dirette di assistenza, di aiuto materiale allo sviluppo e alla copereazione».
Durante la cerimonia conclusiva, alla quale hanno partecipato anche il Presidente della Regione Claudio Martini e della Provincia Michele Gesualdi, è stato consegnato il "Premio Ragazzi per la Pace" al reverendo Miyamoto, Presidente del Movimento buddista Myochikai, promotore della prima "Conference of children for Coming Generation".
Mag 27, 2002 | Nuove Generazioni
FORUM INTERRELIGIOSO DEI RAGAZZI
27 MAGGIO 2002
LOPPIANO (Incisa Valdarno, Firenze)
Circa 300 ragazzi, delegati di varie nazioni e religioni si incontreranno a Loppiano, cittadella internazionale, interculturale ed interreligiosa del Movimento dei Focolari. I ragazzi dialogheranno tra loro sul tema della pace.
Alcuni rappresentanti di varie religioni (indù, buddisti, cristiani, musulmani) sottolineeranno i punti di contatto che ci accomunano. I ragazzi si divideranno quindi in vari gruppi di lavoro guidati da esperti per approfondire in quali modi costruire concretamente la pace (nei rapporti tra le culture e le generazioni, nello sport, nella dimensione scolastica e formativa, nel campo della solidarietà promuovendo una "cultura del dare" contrapposta a quella dell’avere, nel campo dei mass media, della musica e della cultura giovanile).
La sera, nell’anfiteatro all’aperto, si alterneranno coreografie, musica, danze e contributi artistici dei ragazzi delle diverse religioni.
CERIMONIA CONCLUSIVA DEL FORUM INTERRELIGIOSO
28 MAGGIO 2002
Firenze Palazzo Vecchio, Salone dei Cinquecento – ore 16
presieduta dal Sindaco di Firenze Leonardo Domenici, con la partecipazione dei Presidenti della Regione Claudio Martini e della Provincia Michele Gesualdi.
La cerimonia conclusiva, presieduta dal Sindaco di Firenze Leonardo Domenici, prevede la partecipazione del Presidente della Regione Claudio Martini, del Presidente della Provincia, Michele Gesualdi, e di altre personalità cittadine, esponenti del campo politico, civile e sociale. Firenze, da sempre città aperta al dialogo tra culture e religioni, vuole essere un punto di arrivo e di partenza non solo del percorso di pace proposto dai ragazzi, ma una tappa importante del dialogo costruttivo tra le giovani generazioni e le istituzioni. Vorremmo che la Firenze di la Pira, di Don Milani, di Balducci e di quanti hanno lavorato per un futuro di pace e dialogo, possa trovare oggi un momento di slancio creativo e profetico di respiro planetario.
Mag 16, 2002 | Nuove Generazioni
Da tutto il mondo a Roma, ragazzi dai 12 ai 17 anni, non solo cristiani, ma di popoli, culture, religioni diverse.
Da 87 Paesi, tra cui Medio Oriente, Stati Uniti, Pakistan, Burundi, Congo, Angola, Bosnia, Serbia e Croazia, India, Hong Kong, Argentina, Colombia, per dire insieme che, nonostante tutto, UN FUTURO DI PACE È POSSIBILE
Di fronte al terrorismo, alla guerra e alla paura del futuro, i Ragazzi per l’Unità del Movimento dei Focolari, vogliono dare risposte di speranza con proposte concrete e fatti di vita, diffondendo tra i loro coetanei la cultura della comunione tra i popoli, della pace e della fraternità. Parteciperanno anche delegazioni di ragazzi ebrei di Roma, Argentina e Brasile; musulmani del Medio Oriente, Africa e Europa; buddisti di Giappone e Tailandia; indù, sikhs e zoroastriani dell’India; appartenenti alle religioni tradizionali africane.
25 Maggio 2002
’MUSICAL’ dei ragazzi per l’Unità
al Palaghiaccio di Marino (Roma) – ore 15.00-18.00
Sarà trasmesso Via Satellite e Via Internet
26 Maggio 2002
"THE GOLDEN RULE"
Al Colosseo "L’ Assisi dei Ragazzi" di varie religioni
Marcia per la Pace dal Colosseo a San Pietro
DIRETTA RAI 3 e Mondovisione via Satellite e Internet dalle 8,30 alle 10 con video-sintesi del Musical dei Ragazzi del 25 maggio al Palaghiaccio di Marino e il dialogo a tu per tu con Chiara Lubich.
La trasmissione in diretta via satellite per Europa, Medio Oriente, Americhe, Asia, potrà essere realizzata grazie al supporto tecnico di TELESPAZIO, ESA (Agenzia Spaziale Europea), TELECOM ITALIA e CRC del Canada
Patrocini: Presidente della Commissione Europea, Presidente Repubblica Italiana, Consiglio d’Europa, Ministeri Affari Esteri, Istruzione, e Università e ricerca, Regione Lazio, Comune di Roma
Si ringraziano vivamente la Regione Lazio per la sua partecipazione e l'Associazione buddista Myochikai.
Mag 16, 2002 | Nuove Generazioni
9.000 ragazzi tutti attori: musiche, coreografie, giochi scenografici e canzoni, testimonianze. Un programma condotto interamente dai ragazzi che daranno voce alle loro speranze.
Storie di adolescenti che hanno sperimentato la forza dell’amore nell’impegno a costruire un mondo unito a scuola, in famiglia, con gli amici ed anche in situazioni di guerra, solitudine e povertà.
Sarà presente la delegazione dei Ragazzi per l’unità intervenuta dal 5 al 10 maggio a New York, alla Sessione Speciale dell’ONU per l’Infanzia, a cui hanno proposto un messaggio per la pace in 10 punti, sottoscritto da 320.000 firme, oltre 500 di personalità del mondo politico e culturale di vari paesi.
Ospiti speciali: ragazzi indù dello Shanti Ashram (India), Street Children cristiani della Tanzania, studenti buddisti della Duang Prateep Foundation per l’educazione dei ragazzi degli slum di Bangkok (Tailandia), musulmani della Spagna e del Medio Oriente, ragazzi buddisti della Rissho Kosei-Kai (Giappone) e della Myochikai (Giappone); adolescenti ortodossi di Chernobyl (Ucraina), una generazione che porta il segno del disastro nucleare.
Lancio – attraverso un numero verde – di un progetto di solidarietà: "Schoolmates"
I ragazzi dei Paesi più ricchi si impegnano ad assicurare borse di studio per i loro coetanei delle nazioni più povere, mettendo così in contatto ragazzi di culture diverse con l’obiettivo di conoscersi e imparare ad amare il Paese e la cultura altrui come la propria.
Momento clou: il dialogo con Chiara Lubich, Premio Unesco ’96 per l’Educazione alla Pace.
Mag 16, 2002 | Nuove Generazioni
Diretta RAI 3 e Mondovisione via satellite e Internet – 8,30 – 10 con video-sintesi del Musical dei Ragazzi del 25 maggio al Palaghiaccio di Marino e del dialogo a tu per tu con Chiara Lubich.
Invitati: il rabbino capo della comunità ebraica di Roma, Di Segni, il rev. Miyamoto del movimento buddista Myochikai (Giappone), la dott. Vinu Aram, indù, una delle presidenti della Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace (WCRP) leader del movimento Ghandiano indiano Shanti Ashram; l’Imam spagnolo Allal Bachar; il Card. Arinze, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso.
Testimonianze sulla pace di ragazzi: Medio Oriente; New York, Pakistan e Nigeria. Contributo musicale della scuola ebraica di Roma.
La manifestazione terminerà con un impegno comune per la pace: i ragazzi lo esprimeranno sul palco, imprimendo un’orma dorata su un enorme pannello. Un gesto che si ripeterà coinvolgendo l’intera piazza.
Coreografia dei ragazzi sulla pace, con 10.000 ombrelli colorati.
Canzone: “The Golden Rule”, cantata dai ragazzi rappresentanti delle principali religioni.
Messaggio di Giovanni Paolo II ai ragazzi.
Dal Colosseo, simbolo della difesa dei diritti umani, avrà inizio la Marcia dei Ragazzi per la Pace diretta verso S. Pietro. Vi aderiranno anche molti studenti delle scuole medie e superiori di varie regioni italiane.
Mag 16, 2002 | Nuove Generazioni
Vi parteciperanno circa 300 delegati di varie nazioni e religioni.
Si concluderà con il lancio di un messaggio programmatico ai ragazzi del mondo.
A Firenze, in Palazzo Vecchio, la cerimonia conclusiva e la consegna, da parte delle autorità, del premio ‘Ragazzi per la pace’, col Patrocinio del Comune di Firenze, della Provincia di Firenze e della Regione Toscana.
Mag 12, 2002 | Nuove Generazioni
Il messaggio, stilato lo scorso anno in Giappone, alla prima “Conference of children for the coming generation”, promossa dalla Fondazione buddista giapponese Arigatou, dall’Unicef e dai Ragazzi per l’unità, è stato consegnato il 10 maggio all’ONU.
Si fa “portavoce di tutti i ragazzi che nel mondo soffrono sfruttamento, guerre, malattie, Aids”.
Lancia proposte concrete sui rapporti tra i singoli e i popoli, mass media, ecolo- gia, nuove tecnologie, droga, Aids, globalizza- zione.
Propone di diffondere una nuova cultura, “la cultura del dare, del condividere”. Primo passo: condono del debito estero dei paesi poveri.
Ancora, chiede “una globalizzazione basata non solo sull’aspetto finanziario ed economico, ma sulla comunione tra le culture e le religioni, perché gli uomini diventino una sola famiglia”; che “entri nelle scuole l’educazione alla pace”.
“Noi abbiamo già cominciato a costruire la pace. Ma – concludono – abbiamo bisogno di voi”.
Rivolto a Capi di Stato, responsabili civili e religiosi, dirigenti dei mass media, organizzazioni nazionali ed internazionali, il messaggio aveva fatto il giro del mondo raccogliendo più di 320 mila firme per la pace, di cui 500 di personalità del mondo politico, culturale e religioso.
Apr 30, 2002 | Parola di Vita
L’evangelista Matteo inizia il Vangelo ricordando che quel Gesù, di cui sta per narrare la storia, è il Dio-con-noi, l’Emmanuele , e lo conclude riportando le parole citate, con le quali Gesù promette che rimarrà sempre con noi, anche dopo essere tornato al Cielo. Fino alla fine del mondo sarà il Dio-con-noi.
Gesù rivolge queste parole ai discepoli dopo aver affidato loro il compito di andare nel mondo intero a portare il suo messaggio. Era ben consapevole che li mandava come pecore in mezzo ai lupi e che avrebbero subìto contrarietà e persecuzioni. Per questo non voleva lasciarli soli nella loro missione. Così, proprio nel momento in cui se ne va, promette di rimanere! Non lo vedranno più con i loro occhi, non sentiranno più la sua voce, non potranno più toccarlo, ma lui sarà presente in mezzo a loro, come prima, anzi più di prima. Se, infatti, fino ad allora la sua presenza era localizzata in un luogo ben preciso, a Cafarnao, o sul lago, o sul monte, o a Gerusalemme, d’ora in poi egli sarà là dovunque sono i suoi discepoli.
«Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo»
Gesù aveva presenti anche tutti noi che avremmo dovuto vivere in mezzo alla vita complessa di ogni giorno. Perché Amore incarnato, avrà pensato: io vorrei essere sempre con gli uomini, vorrei dividere con loro ogni preoccupazione, vorrei consigliarli, vorrei camminare con loro per le strade, entrare nelle case, ravvivare con la mia presenza la loro gioia.
Per questo ha voluto rimanere con noi e farci sentire la sua vicinanza, la sua forza, il suo amore.
Il Vangelo di Luca racconta che dopo averlo visto ascendere al Cielo, i discepoli “tornarono a Gerusalemme con grande gioia”. Come poteva essere? Avevano sperimentato la realtà di quelle sue parole.
Anche noi saremo pieni di gioia se crediamo veramente alla promessa di Gesù:
«Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo»
Queste parole, le ultime che Gesù rivolge ai discepoli, segnano la fine della sua vita terrena e, nello stesso tempo, l’inizio della vita della Chiesa, nella quale è presente in tanti modi: nell’Eucaristia, nella sua Parola, nei suoi ministri (i vescovi, i sacerdoti), nei poveri, nei piccoli, negli emarginati…, in tutti i prossimi.
A noi piace sottolineare una presenza particolare di Gesù, quella che lui stesso, sempre nel Vangelo di Matteo, ci ha indicato: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. Mediante questa presenza egli vuole potersi stabilire in ogni luogo.
Se viviamo quanto lui comanda, specialmente il suo comandamento nuovo, possiamo sperimentare questa sua presenza anche fuori delle chiese, in mezzo alla gente, nei posti in cui essa vive, ovunque.
Quello che ci è chiesto è quell’amore vicendevole, di servizio, di comprensione, di partecipazione ai dolori, alle ansie e alle gioie dei nostri fratelli; quell’amore che tutto copre, che tutto perdona, tipico del cristianesimo.
Viviamo così, perché tutti abbiano la possibilità di incontrarsi con Lui già su questa terra.
Chiara Lubich
(altro…)
Apr 29, 2002 | Sociale
(da Agenzia Zenit)
Più di 6.000 giovani da 72 paesi sono venuti a Loppiano, cittadella vicina a Firenze, per impegnarsi personalmente a costruire ovunque la pace.
Hanno ascoltato numerose testimonianze di pace da giovani di tutto il mondo, e osservato un minuto di silenzio e di preghiera a mezzogiorno durante un collegamento telefonico con un gruppo di giovani della Terra Santa: ebrei, arabi cristiani, e arabi musulmani.
“Noi chiediamo la pace per quei 20 punti della terra dove è ancora minacciata, specie per la vostra terra, per tutti gli uomini e tutti i popoli” hanno detto i giovani in Italia in una dichiarazione. “Chiediamo perdono per tutte le guerre che devastano il nostro pianeta e ci impegniamo a far accelerare la costruzione di un mondo unito”.
I giovani della Terra Santa porteranno il testo di una preghiera per la pace al Muro del Pianto, al Santo Sepolcro e alla Moschea d'oro di Gerusalemme, luoghi che simbolizzano le tre grandi religioni.
In un messaggio mandato ai giovani riuniti a Loppiano, cittadella vicino Firenze, Chiara Lubich ha augurato: “Che la giornata odierna segni una tappa nel favoloso programma di vedere un giorno quella fraternità universale che è la soluzione di tutti i gravi problemi del nostro pianeta specie dopo l'11 settembre”, e ha dato una consegna: “Riportate nel mondo l'amore, che ha il potere di cambiarlo”.
Riportate nel mondo l'amore
Romano Prodi, presidente della Commissione europea, che stava partendo per gli USA per incontrare il Presidente Bush, si è collegato con i giovani in una video-conferenza, per esprimere la sua approvazione alla petizione che gli avevano inviato a sostegno dell' impegno europeo alla soluzione della crisi in Medio Oriente.
“Il vostro appello è un aiuto per me – ha detto Prodi – perché nel vostro messaggio mettete insieme profezia e realismo”.
A conclusione del meeting sono state raccolte firme in appoggio all'appello alla pace poi inviato a Prodi, al Presidente dell'Unione Europea José María Aznar, al ministro degli Esteri spagnolo Josep Pique, e a Javier Solana, responsabile dell'Unione Europea per gli Affari Esteri.
Ventimila quelle raccolte negli ultimi giorni in vari paesi d'Europa. Tra i firmatari, parlamentari europei, sindaci e consiglieri.
Centinaia di giovani hanno espresso il loro appoggio all'iniziativa attraverso Internet.
Apr 29, 2002 | Nuove Generazioni
Loppiano, 1 maggio 2002
Al Presidente della Commissione Europea Sig. Romano Prodi
Al Presidente del Consiglio Europeo Sig. José María Aznar
Al Presidente del Consiglio dell’Unione Europea Sig. Josep Piqué i Camps
All’Alto Rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune
dell’Unione Europea, Sig. Javier Solana
Siamo giovani europei, di differenti età e culture, oggi riuniti a Loppiano, Firenze, in 5000 e collegati con altri giovani in Italia e in Europa che, come noi, vivono per costruire un mondo unito.
In questo difficile momento storico, segnato da confitti drammatici e tensioni internazionali, vogliamo impegnarci, con tutte le nostre forze, per la realizzazione di un grande ideale: comporre sulla terra una famiglia di popoli, nel rispetto dell’identità di ciascuno.
Per questo crediamo che la categoria della fraternità, che è a cardine delle nostre azioni e delle nostre riflessioni, possa guidare anche l’azione politica, tanto più di fronte alle urgenti sfide di oggi.
Il nostro metodo e il nostro impegno, che sta dando vita nel mondo a cantieri di solidarietà e di condivisione, si fonda in particolare:
Apr 17, 2002 | Chiesa
Oggi più che mai appare come un’urgenza ineludibile aprire un dialogo a 360 gradi, che tenda a suscitare rapporti d’amicizia e miri alla fraternità universale.
In questo dialogo sono impegnate parrocchie e diocesi che sempre più risentono della mobilità e molteplicità di mondi delle persone presenti nel loro territorio.
Presenti S.E. il card. J. Francis Stafford, Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, ha presieduto la celebrazione della S. Messa, sabato 20 aprile, e Chiara Lubich che ha parlato su “Gesù Abbandonato via maestra per una comunità in dialogo”, il Congresso si è concluso domenica 21 in Piazza S. Pietro, dove gli oltre duemila animatori dei Movimenti Parrocchiale e Diocesano si sono recati per partecipare alla preghiera dell’Angelus e ricevere la benedizione del Santo Padre.
I partecipanti hanno inteso approfondire, alla luce del carisma dell’unità, quanto il Santo Padre afferma nella Novo millennio ineunte: “L’amore al crocifisso contemplato nel momento culminante della sofferenza e dell’abbandono costituisce la via maestra non soltanto per rendere più effettiva la comunione a tutti i livelli della compagine ecclesiale ma anche per aprire un fecondo dialogo con le altre culture e religioni”.
Si sono preparati così a contribuire alla crescita della comunione nelle comunità in cui operano e a farle diventare sempre più aperte al dialogo con tutti, nella piena fedeltà al messaggio evangelico.
Una sintesi del cammino di dialogo, delineato nei documenti pontifici e attuato nella vita della Chiesa dal Concilio Vaticano II alla recente Giornata di Assisi, è stata presentata da Mons. Piero Coda, professore dell’Università Lateranense.
Sono stati inoltre comunicati i frutti della ricca esperienza del Movimento dei Focolari nei vari dialoghi: all’interno della propria Chiesa, in campo ecumenico, con fedeli di altre religioni e con persone di altre convinzioni.
Diverse esperienze di comunità parrocchiali e diocesane, animate dalla spiritualità dell’unità, ne hanno illustrato l’attuazione e la fecondità nel contesto multiculturale in cui esse si trovano.
Apr 17, 2002 | Chiesa
Rivolgo un cordiale saluto al folto gruppo di animatori parrocchiali e diocesani appartenenti al Movimento dei Focolari, convenuti da diversi Paesi per il Congresso sul tema "Per una comunità in dialogo".
Sono lieto, carissimi, che abbiate approfondito le indicazioni della Lettera apostolica Novo millennio ineunte a proposito della spiritualità di comunione e delle sue esigenze concrete. Portate la mia benedizione nelle vostre comunità!
Apr 17, 2002 | Chiesa
Benarrivati all’attuale Convegno riservato al Movimento Parrocchiale ed a quello Diocesano!
Come tutti sappiamo, queste due realtà ecclesiali sono diramazioni del più vasto Movimento dei Focolari.
Il loro scopo?
Dare un volto nuovo, atteso ai nostri tempi, alla parrocchia e, distintamente, alla Chiesa diocesana.
Ciò può essere possibile attraverso un particolare dono dall’Alto: il "carisma dell’unità", offerto dallo Spirito alla Chiesa di oggi.
Volto nuovo, dunque, atteso ai nostri tempi, alla parrocchia ed alla diocesi: quindi desiderato dai fedeli e voluto dal Cielo: il volto dell’amore che fa la "Chiesa-comunione" ed è pienamente attuabile attraverso la nostra "spiritualità dell’unità" se vissuta con fedeltà nei suoi vari cardini.
Chiesa-comunione desiderata già dal Concilio Vaticano II che vedeva la Sposa di Gesù ad immagine della Santissima Trinità, la più alta e perfetta comunione che si possa pensare.
Chiesa-comunione, di cui parla spesso il Santo Padre, come ad esempio nella Novo millennio ineunte, chiedendo più precisamente che la Chiesa sia "casa di comunione" in se stessa, naturalmente, e cioè vera famiglia soprannaturale, che necessita di un’autentica "spiritualità di comunione".
"Spiritualità di comunione" che, come abbiamo documentato più volte, è, nel pensiero del Papa, sinonimo della nostra "spiritualità dell’unità". Lo ha dichiarato lui stesso in una nota lettera ai Cardinali e Vescovi amici del Movimento dei Focolari il 14 febbraio 2001.
Chiesa-comunione – come continua ancora il Papa nella Novo millennio ineunte – che sia pure "scuola di comunione".
Per chi?
Per tutti coloro che, nei territori affidati alle parrocchie ed alle diocesi, non conoscessero e non vivessero la comunione, che è unità, che è fraternità.
E cioè – e qui siamo al tema di oggi – per tutti coloro con i quali necessita aprire un dialogo per farla loro conoscere.
Ma una comunità, per poter essere in grado di aprire un dialogo, deve essere comunione in atto. Sì, comunione in atto perché, prima di rivolgere la parola agli altri, occorre testimoniarla con la propria vita.
Sappiamo però come nelle nostre parrocchie, così come nelle diocesi, solamente una certa percentuale di persone crede in Dio, nella Chiesa. Ed una percentuale, ancora minore, frequenta la Chiesa.
Su chi puntare, allora, per avere al più presto una comunità in dialogo?
E’ ovvio: su chi crede e frequenta la Chiesa come fate voi: senza contatto con gli altri fedeli, non è possibile creare comunione, comunità. E senza l’Eucaristia, che la Chiesa dona, manca il vincolo dell’unità.
Le altre persone costituiscono il campo d’amore, d’attenzione, d’azione, di dialogo delle prime.
Per compiere il dialogo, poi, come dice il titolo, riportando parole del Santo Padre , esiste una "via maestra" e cioè: Gesù crocifisso e abbandonato, il "Volto dolente del Cristo" come lo definisce la Novo millennio ineunte.
Fra noi, molti senz’altro conoscono questo "volto"; alcuni, forse, no.
Sarà, comunque, il caso di parlarne, perché chi non lo conoscesse, o non a sufficienza, abbia di che ammirarlo. E chi crede di conoscerlo, di scoprirne di più le infinite ricchezze.
Chi è, dunque, Gesù abbandonato? Ce lo ha rivelato un po’ il nostro Ideale.
Hans Urs von Balthasar, infatti, un grande teologo contemporaneo, ora in Cielo, spiega che, quando lo Spirito Santo manda un carisma sulla terra è come se s’aprisse per la prima volta nel Cielo della Chiesa una finestrella , attraverso la quale ci viene rivelata una verità nuova, pur contenuta nel patrimonio della fede.
Ecco: attraverso la finestrella aperta dallo Spirito Santo col nostro carisma dell’unità, si è intravisto qualcosa del mistero che si nasconde nel grido di Gesù in croce: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt 27,46): una prova abissale del Figlio di Dio per l’abbandono del Padre, ma per la fiducia sconfinata, che Gesù subito dopo dimostra in Lui, per chi è chiamato a realizzare il Testamento di Gesù, la rivelazione di Colui che può dirsi porta, chiave dell’unità.
Ricordo che uno dei primi giorni della nostra storia, avendo compreso la finalità del Movimento nascente e cioè realizzare l’unità (misteriosissima parola divina), sintesi dei desideri e comandi di Gesù, oggetto d’una sua famosissima preghiera, avevamo chiesto a Lui di rivelarci il modo d’attuarla, di darcene la "chiave". Ed ecco che, poco dopo – è un altro episodio noto -, ce ne ha svelato il segreto: Gesù crocifisso e abbandonato.
Quel Gesù abbandonato che tutti ci sforziamo di amare, di seguire, nostro unico tesoro, quando lo abbiamo compreso per davvero.
Ma, poiché Gesù abbandonato costituisce, col dialogo, il titolo del nostro tema, data la sua importanza, vediamo questa volta di approfondire un po’ di più il suo infinito dolore, chiedendoci, ad esempio: cosa dice di Lui la Scrittura?
A parlarne per primi sono i Vangeli, come quello di Matteo: "Dall’ora sesta fino all’ora nona si fece buio su tutta la faccia della terra, e all’ora nona Gesù gridò a gran voce: ’Eli, Eli, lemà sabactàni?’, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt 27,46)
Durante il periodo dei primi cristiani, poi, è noto che si preferiva non parlare di questo suo particolare dolore: era un momento di Gesù difficile da spiegare.
Solo secoli dopo, qualche raro mistico e teologo accenna a Lui.
Dice san Giovanni della Croce: "(…) proprio mentre ne era oppresso, Egli compì l’opera più meravigliosa di quante ne avesse compiute in cielo e in terra durante la sua esistenza terrena ricca di miracoli e di prodigi, opera che consiste nell’aver riconciliato e unito a Dio, per grazia, il genere umano" .
E L. Chardon O.P. fa questa considerazione: Gesù nell’abbandono sembra perdere il vincolo che lo legava al Padre. Ma cos’era questo vincolo? Era lo Spirito Santo. Egli lo perde per darlo a noi. E’ lo Spirito Santo, infatti, che lega ciascun uomo a Dio e uomo a uomo. Ecco le sue parole: "Avendoci generati in quel grido, qui nasce la Chiesa, il popolo nuovo. Qui è dato lo Spirito Santo. E’ lo Spirito Santo che, come Dio, legava Gesù al Padre. E nell’abbandono in Gesù è oscurato il vincolo col Padre.
Essendo lo Spirito Santo – aggiunge pure – il vero Paraclito, cioè il perfetto Consolatore (…) opera interiormente nell’anima [di Gesù] una croce più disastrosa (…) [di quella esteriore] con la sospensione delle sue meravigliose consolazioni (…)" .
Fra i teologi contemporanei, è frequente l’impressione che Gesù dà con questo suo tremendo strazio: quella che, in quel momento, la Santissima Trinità stessa, di cui è il Figlio, il Verbo, un tutt’uno col Padre e con lo Spirito Santo, quasi si spezzasse. "Quasi" perché non può essere così. Infatti l’ortodosso S. Bulgakov afferma: "(Nell’abbandono di Gesù) la stessa inseparabilità della Trinità Santissima sembra spezzarsi, il Figlio rimane solo (…) E’ questa la morte divina, perché ’triste è l’anima mia fino alla morte’, fino alla morte spirituale, che è l’abbandono di Dio" .
E S. Bulgakov aggiunge ancora: "Il calice è bevuto fino in fondo, e il Figlio rende il suo spirito al Padre: la SS. Trinità (che è sembrato spezzarsi) si ricompone nell’unità indivisibile" .
Gesù aveva sofferto quel tremendo senso di abbandono, di separazione dal Padre, proprio per l’unità e cioè per riunire tutti noi uomini a Dio, staccati come eravamo dal peccato, e per riunirci fra noi. Era Lui, dunque, il modello, la strada per realizzarla.
Infatti, non è rimasto nel baratro del suo infinito dolore, ma con uno sforzo immane e inimmaginabile, si è riabbandonato al Padre, da cui si sentiva come uomo quasi respinto, dicendo: "In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum", "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" (Lc 23,46). Ed ha così ricomposto l’unità con Lui.
Un altro teologo che parla di Gesù abbandonato è Hans Urs von Balthasar, già citato, che sottolinea l’immensità di quel dolore. Egli afferma: (Rimettendo) "esplicitamente nelle mani del Padre divino l’eterno vincolo d’unione, che a Lui lo legava, lo Spirito Santo", Gesù sperimenta "fino all’ultimo l’abbandono completo anche da parte del Padre", muore "nelle tenebre estreme abbandonate dallo Spirito" .
Mentre Karl Barth vi vede il dono stra-grande che Egli ci ha fatto: "Dio non tiene per sé la sua divinità come un bottino, come il ladro tiene la borsa, ma Egli si dà" .
Nella Lettera Novo millennio ineunte Giovanni Paolo II dà una sua spiegazione, mirabile per la sua completezza, di questo dolore di Gesù. Egli, parlando di Gesù abbandonato, come dell’"aspetto più paradossale del suo mistero" (di croce) dice: "E’ possibile immaginare uno strazio più grande, un’oscurità più densa?" Poi lo spiega così: "In realtà, l’angoscioso ’perché’ rivolto al Padre con le parole iniziali del Salmo 22, pur conservando tutto il realismo di un indicibile dolore, si illumina con il senso dell’intera preghiera, in cui il Salmista unisce insieme (…) la sofferenza e la confidenza" .
Pasquale Foresi, copresidente emerito del nostro Movimento e teologo, precisa: "(…) Anche se la redenzione è avvenuta per tutti i dolori spirituali e fisici di Gesù, tuttavia il dolore (…) che simboleggia tutta la redenzione è nel momento in cui egli sente la separazione del Padre; è lì che opera il ricongiungimento dell’umanità col Padre" .
E qui non possiamo dimenticare i nostri Statuti approvati dalla Chiesa, maestra di dottrina. Essi danno a noi Gesù abbandonato come chiave dell’unità; Gesù abbandonato al quale dobbiamo riservare un posto particolare nel nostro cuore. Fissando una lunga esperienza di vita, essi dicono che "nel loro impegno per attuare l’unità (i membri del Movimento) amano con predilezione e cercano di vivere in se stessi Gesù crocifisso che, nel culmine della sua passione, gridando: ’Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?’ s’è fatto artefice e via dell’unità degli uomini con Dio e tra loro" .
Ora, da tutto quanto è stato detto, si può capire come Gesù abbandonato, avendo realizzato in sé l’unità, avendo riunito Cielo e terra e uomo a uomo, abbia dato compimento al più difficile, importante ed a chiunque altro impossibile dialogo.
E lo ha potuto fare perché Egli è l’Amore, il massimo Amore, sì da ridursi così, crocifisso, abbandonato dal Padre, per amore nostro.
Lo ha fatto già nascendo su questa terra, col farsi uno di noi, come l’amore domanda: un uomo. "Figlio dell’uomo" amava chiamarsi.
Assumendo poi la natura umana, ha preso su di sé tutto quanto la riguardava: i nostri dolori, i nostri limiti, le nostre colpe, facendosi persino "peccato", come dice Paolo, pur senza aver mai peccato, "scomunica", pur senza essere mai stato scomunicato.
E tutto ciò perché il Padre ha caricato Lui, consenziente, dei nostri pesi, dei nostri guai, e a Lui ha chiesto di rimediarvi.
E’ divenuto maestro d’amore, svuotandosi completamente di sé, riducendosi a nulla, perdendo persino il senso d’essere Figlio di Dio, Dio stesso, per fare noi figli di Dio.
E così ha indicato a noi cosa significa dialogare: quali esigenze esso comporti, come vedremo in seguito.
* * *
E passiamo al dialogo vero e proprio, quello che dobbiamo condurre noi.
Di dialogo ha parlato il Santo Padre, cominciando dal 1983, quando ha lanciato una "nuova evangelizzazione".
Egli, spiegando perché all’evangelizzazione ha aggiunto la parola "nuova", ha affermato, fra il resto, che la “nuova evangelizzazione” sarà nuova "nelle sue espressioni" .
"E’ ormai tramontata – ha detto -, anche nei Paesi di antica evangelizzazione (come l’Europa), la situazione di una ‘società cristiana’, che (…) si rifaceva ai valori evangelici. Oggi si deve affrontare (…) una situazione (…) nel contesto della globalizzazione e del nuovo (…) intreccio di popoli e culture che la caratterizza" .
Per questo occorrono nuove espressioni di evangelizzazione.
E non c’è dubbio che fra le forme di evangelizzazione moderne emergano i dialoghi, nei quali è impegnata la Chiesa e sono impegnati soprattutto diversi Movimenti e Nuove Comunità ecclesiali.
Il nostro Movimento – come sapete – ha aperto sin dall’inizio, il dialogo nella nostra Chiesa, fra singoli cattolici e più recentemente fra Movimenti ecclesiali e altre Associazioni, come pure con Famiglie religiose nate da antichi carismi.
E’ un dialogo che raggiunge proprio lo scopo di cui abbiamo parlato: la “Chiesa-comunione”.
Infatti, anche nel mio breve discorso il 24 gennaio u.s. ad Assisi, durante il convegno interreligioso indetto dal Santo Padre sulla pace, assieme a rappresentanti di altre confessioni cristiane e di altre religioni, ho affermato che la Chiesa, svolgendo il primo dialogo fra i suoi figli e le sue figlie, innesca quella comunione richiesta ad ogni livello, che è pace assicurata. Ora possiamo aggiungere: è unità, è fraternità assicurata e certa.
E già qui dobbiamo pensare a noi, a noi presenti in questa sala per ricevere un impulso al dialogo fra noi figli e figlie della Chiesa.
Come lo possiamo fare bene e con successo?
Al contatto con cattolici non privi di problemi, di dolori, di dubbi, di pesi, ma anche di gioie da condividere, dobbiamo comportarci come ho già detto di Gesù abbandonato: amarli anzitutto, con tutta l’arte di amare che conosciamo, farci uno con loro, operando un vuoto completo in noi per capire, comprendere appieno l’altro, farci uno, anzi "farci lui", come Gesù s’è fatto uomo, s’è fatto "peccato".
E – occorre ricordarlo bene – non pensare a ciò che dobbiamo dire, ma soffrire o godere con lui. Alla fine, quando ci avrà confidato ogni cosa, lo Spirito Santo ci darà la parola giusta per illuminarlo, sollevarlo, consolarlo o anche, se il caso è diverso, aiutarlo a godere bene delle sue gioie, dei doni di Dio, condividendo felicità, speranze, sogni.
Ho detto: lo Spirito Santo ci darà la parola… Sì, perché, come nell’abbandono di Gesù ha avuto a che fare lo Spirito Santo (ricordate?), lo Spirito Santo avrà a che fare anche con noi, se, per amore del fratello, riviviamo un po’ il suo abbandono.
Il nostro Movimento poi – e anche questo vi è noto -, nel 1961, ha iniziato il dialogo ecumenico, dove facciamo calcolo del molto che abbiamo in comune con i cristiani delle altre Chiese: il battesimo, la Scrittura, il Credo, i primi Concili, e la nostra stessa spiritualità dell’unità, che si vive insieme quasi integralmente. Essa, fra il resto, è ritenuta qua e là, spiritualità ecumenica.
In tal modo, per tutti questi elementi comuni, sentiamo di poter già formare con i cristiani di 350 Chiese, che aderiscono al nostro Movimento, un solo popolo cristiano in attesa della piena unità. E ciò allevia di molto i dolori della divisione e inculca pazienza, saper attendere l’ora.
Anche di questo dialogo ho fatto cenno ad Assisi.
Ora, anche se tutti voi vi comporterete nella maniera dettataci dal carisma, sprigionando cioè tutto l’amore a Gesù abbandonato, vivo in loro, di cui siete capaci; facendo calcolo delle cose comuni, e sentendovi con loro una sola famiglia cristiana (il battesimo, che è comune, ci fa tutti figli di Dio! cosa meravigliosa!), darete un colpo d’ala all’ecumenismo in parrocchia e, già uniti con tutti in questo modo, preparerete voi e questi vostri fratelli all’unità piena. Non solo. La nostra unità (di noi e loro insieme) sarà già una grande testimonianza di Gesù per altri fratelli: i fedeli di altre religioni e per le persone di convinzioni non religiose.
Alla fine degli anni ’70 si è aperto fra noi il dialogo con i fedeli di altre religioni, nel quale, come primo passo, cominciamo col vivere assieme la "Regola d’oro" presente in quasi tutti i Libri Sacri; regola che, nel Vangelo, recita così: "Fate agli altri ciò che vorreste fosse fatto a voi" (Mt 7,12). E’ quella regola menzionata recentemente ad Assisi dal Santo Padre e da altri.
Regola per la quale, dato l’amore al prossimo, che si chiede da ambo le parti, è già possibile mettere a base del rapporto fra noi e le persone di altre religioni l’amore reciproco. Ed ecco fiorire brani di fraternità.
Poi, in questo clima, ponendosi sullo stesso piano, si può stabilire il dialogo col proprio partner, dialogo nel quale si cerca, come Gesù abbandonato, di farsi nulla per "entrare", in certo modo, in lui.
Ci si pone quindi in quest’atteggiamento importantissimo e imprescindibile, che ha un duplice effetto: aiuta noi ad inculturarci nel mondo dell’altro, a conoscerne la cultura ed il linguaggio, e predispone l’altro ad ascoltare noi.
Si passa così al "rispettoso annuncio" – bella e indovinata espressione del Santo Padre – dove, per lealtà davanti a Dio, a se stessi, come pure per sincerità verso il prossimo, diciamo quanto la nostra fede afferma sull’argomento di cui si parla, senza con ciò imporre nulla all’altro, senza voler conquistare nessuno, quindi senza ombra di proselitismo. Ma per amore.
Il nostro dialogo interreligioso abbraccia – come sapete – fedeli delle più importanti religioni: ebrei, musulmani, buddisti, scintoisti, indù, ecc., dai quali siamo spesso stimati ed amati sì da chiamarci a portare la nostra esperienza cristiana anche in moschee musulmane (in 40 finora negli USA), in templi buddisti, in centri ebraici e altri.
Ci può essere poi chi, rimanendo nella propria religione, l’approfondisce (e sono molti!) e chi abbraccia liberamente il cristianesimo, come è stato – anche questo lo sapete – di migliaia di persone a Fontem, nel Camerun, per le quali abbiamo dovuto costruire una chiesa ed è stata istituita la parrocchia.
Quante persone di altre religioni si sono ormai stabilite anche nei nostri Paesi, nelle vostre rispettive parrocchie, nelle vostre diocesi!
Il mio consiglio è individuarle, stabilire con loro l’amore reciproco, e pian pianino, con prudenza, dialogare, se si può, con esse come fa il Movimento.
Ma anche le persone di buona volontà, pur senza un riferimento religioso, si rendono conto che l’amare gli altri non è solo dei cristiani, ma è un imperativo inscritto nel DNA d’ogni uomo, perché – così noi pensiamo – ogni uomo è creato ad immagine di Dio che è Amore.
Si può perciò amarsi a vicenda pure con loro e può nascere, anche con essi, il dialogo, col nostro "annuncio rispettoso" delle verità cristiane.
E, poiché credono almeno nell’uomo, si lavora insieme, a gloria di Gesù, uomo oltre che Dio, a salvaguardare i grandi valori umani a cui danno anch’essi tanta importanza, quali la libertà, la solidarietà, i diritti umani, la pace.
Anche nelle nostre parrocchie, e nelle nostre diocesi, c’è molto da fare. Oggi incontriamo dovunque persone in ricerca, o non credenti. Occorre amarle con l’arte di amare vissuta alla lettera, vedendo in esse Gesù abbandonato e possibilmente lavorare con loro per ideali comuni.
Quelli spiegati fin qui sono i quattro dialoghi già annunciati da Paolo VI nell’Ecclesiam suam e oggi così attuali.
Ma tutto riusciremo a fare se Gesù abbandonato sarà la stella del nostro cammino!
Sempre nel nostro cuore, sempre presente alla nostra mente. Sempre nella nostra preghiera: "Sei Tu, Signore, l’unico nostro bene".
Apr 17, 2002 | Chiesa
Esperienze di una parrocchia di Carpi (Modena) con persone di convinzioni non religiose
Mar 31, 2002 | Parola di Vita
Nel Vangelo di Giovanni “vedere” Gesù è di un’importanza capitale. È la prova evidente che Dio si è fatto veramente uomo. Già nella prima pagina del Vangelo leggiamo l’appassionata testimonianza dell’Apostolo: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria”.
Soprattutto dopo la resurrezione di Gesù sentiamo riecheggiare il grido di quanti lo hanno visto. Lo annuncia Maria di Magdala: “Ho visto il Signore”, così come gli apostoli: “Abbiamo visto il Signore”. Anche il discepolo che Gesù amava “vide e credette”.
Soltanto l’apostolo Tommaso non vide il Signore risorto, perché non era presente il giorno di Pasqua quando egli apparve agli altri discepoli. Tutti avevano creduto perché avevano veduto. Anche lui – così disse – avrebbe creduto se, come gli altri, avesse veduto. Gesù lo prese in parola e otto giorni dopo la resurrezione si mostrò a lui, perché anche lui credesse. Vedendo Gesù vivo davanti a sé Tommaso esplose in quella professione di fede che è la più profonda e la più completa che mai sia stata pronunciata in tutto il Nuovo Testamento: “Mio Signore e mio Dio”. Allora Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, hai creduto”:
«Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!»
Anche noi come Tommaso vorremmo vedere Gesù. Specialmente quando ci sentiamo soli, nella prova, sotto il peso delle difficoltà… Ci riconosciamo un po’ in quei greci che si avvicinarono a Filippo e gli chiesero: “Signore, vogliamo vedere Gesù”. Come sarebbe stato bello, ci diciamo, se fossimo vissuti al tempo di Gesù: avremmo potuto vederlo, toccarlo, ascoltarlo, parlare con lui… Come sarebbe bello se potesse apparire anche a noi, così come apparve a Maria di Magdala, ai Dodici, ai discepoli…
Erano veramente beati quelli che stavano con lui. Lo disse anche Gesù in una beatitudine che ci riporta il Vangelo di Matteo e di Luca: “Beati i vostri occhi perché [mi] vedono”. Eppure a Tommaso Gesù disse un’altra beatitudine:
«Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!»
Gesù pensava a noi che non possiamo più vederlo con questi nostri occhi, ma che pure possiamo vederlo con gli occhi della fede. La nostra condizione non è poi così diversa da quelli che vivevano al tempo di Gesù. Anche allora non bastava vederlo. Tanti, pur vedendolo, non gli credettero. Gli occhi del corpo vedevano un uomo, occorrevano altri occhi per riconoscere in lui il Figlio di Dio.
Ma già molti dei primi cristiani non avevano visto personalmente Gesù e vivevano quella beatitudine che anche noi oggi siamo chiamati a vivere. Nella prima lettera di Pietro leggiamo, ad esempio: “Voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la mèta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime”.
I primi cristiani avevano ben capito da dove nasce la fede di cui Gesù parlava a Tommaso: dall’amore. Credere è scoprire di essere amati da Dio, è aprire il cuore alla grazia e lasciarsi invadere dal suo amore, è affidarsi totalmente a questo amore rispondendo all’amore con l’amore. Se tu ami, Dio entra in te e testimonia dentro di te lui stesso. Lui dà un modo tutto nuovo di guardare la realtà che ci circonda. La fede ci fa vedere gli avvenimenti con i suoi stessi occhi, fa scoprire il disegno che egli ha su di noi, sugli altri, sulla creazione intera.
«Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!»
Un esempio luminoso di questo nuovo modo di guardare le cose con gli occhi della fede è quello di Teresa di Gesù Bambino. Una notte, a causa della tubercolosi che l’avrebbe portata alla morte, ebbe uno sbocco di sangue. Avrebbe potuto dire: “Ho uno sbocco di sangue”. Invece disse: “È arrivato lo Sposo”. Ha creduto anche senza vedere. Ha creduto che in quel dolore Gesù veniva a visitarla e la amava: il suo Signore e il suo Dio.
La fede, come per Teresa di Gesù Bambino, ci aiuta a vedere tutto con occhi nuovi. Come lei ha tradotto quell’avvenimento in “Dio mi ama”, così anche noi possiamo tradurre ogni altro avvenimento della nostra vita in “Dio mi ama”, oppure: “Sei tu che vieni a visitarmi”, oppure: “Mio Signore e mio Dio” .
In Cielo vedremo Dio così come egli è, ma la fede già da ora ci spalanca il cuore sulle realtà del Cielo e ci fa intravedere tutto con la luce del Cielo.
Chiara Lubich
(altro…)
Mar 2, 2002 | Ecumenismo
Un momento di festa, il primo incontro dei responsabili di 15 movimenti evangelici tedeschi con Chiara Lubich e Andrea Riccardi alla cittadella ecumenica di Ottmaring.
“Mi sembrava di intravvedere uno squarcio della visione della Chiesa futura: mi trovavo in un giardino meraviglioso pieno di fiori preziosi” l'impressione a caldo di una giovane evangelica.
Gioia comune, perché l'avvenimento di Pentecoste '98 con il grande incontro dei Movimenti e nuove comunità con il Papa in piazza San Pietro che aveva segnato l'inizio di un cammino e testimonianza comune, si allarga ora al mondo evangelico, aprendo nuove prospettive di unità e di evangelizzazione.
Previsto per il 2000 a Monaco un grande incontro di Movimenti e Nuove Comunità evangelici e cattolici
Significativo che questo incontro abbia avuto luogo nel pomeriggio dello stesso 31 ottobre, quando il Presidente della Federazione Luterana mondiale, il vescovo dott. Christian Krause, durante la solenne cerimonia per la storica firma, aveva detto che “la Dichiarazione congiunta sulla Giustificazione vuole spalancare la via perché tutti gli uomini possano avvalersi dei doni di Dio”. Gioia comune per l'accordo tra la Chiesa cattolica e la Chiesa luterana dopo oltre 450 anni di controversie, e per lo scoprirsi animati dallo stesso spirito di amore e di unità.
(02-03-2002)
Feb 28, 2002 | Parola di Vita
In questa perla del Vangelo che è il discorso alla Samaritana, nei pressi del pozzo di Giacobbe, Gesù parla dell’acqua come dell’elemento più semplice, ma che si evidenzia più desiderato, più vitale per chi ha consuetudine col deserto. Non gli occorrevano molte spiegazioni per far intendere cosa significasse l’acqua.
L’acqua sorgiva è per la vita nostra naturale, mentre l’acqua viva, di cui parla Gesù, è per la vita eterna.
Come il deserto fiorisce solo dopo una pioggia abbondante, così i semi sepolti in noi col battesimo possono germogliare solo se irrorati dalla Parola di Dio. E la pianta cresce, mette nuovi germogli e prende la forma di un albero o di un bellissimo fiore. E tutto questo perché riceve l’acqua viva della Parola che suscita la vita e la mantiene per l’eternità.
«Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna»
Le parole di Gesù sono rivolte a tutti noi, assetati di questo mondo: a quelli che sono coscienti della loro aridità spirituale e sentono ancora i morsi della sete e a quelli che non avvertono più neanche il bisogno di abbeverarsi alla fonte della vera vita, e dei grandi valori dell’umanità.
Ma, in fondo, è a tutti gli uomini e alle donne di oggi che Gesù rivolge un invito, svelando dove possiamo trovare la risposta ai nostri perché, e la piena soddisfazione dei nostri desideri.
A noi tutti, dunque, attingere alle sue parole, lasciarsi imbevere del suo messaggio.
Come?
Rievangelizzando la nostra vita, confrontandola con le sue parole, cercando di pensare con la mente di Gesù e di amare con il suo cuore.
Ogni attimo in cui cerchiamo di vivere il Vangelo è una goccia di quell’acqua viva che beviamo.
Ogni gesto d’amore per il nostro prossimo è un sorso di quell’acqua.
Sì, perché quell’acqua così viva e preziosa ha questo di speciale, che zampilla nel nostro cuore ogniqualvolta l’apriamo all’amore verso tutti. E’ una sorgente – quella di Dio – che dona acqua nella misura in cui la sua vena profonda serve a dissetare gli altri, con piccoli o grandi atti di amore.
«Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna»
Dunque abbiamo capito che, per non soffrire la sete, dobbiamo donare l’acqua viva che attingiamo da Lui in noi stessi.
Basterà una parola, talvolta, un sorriso, un semplice cenno di solidarietà, per darci di nuovo un sentimento di pienezza, di soddisfazione profonda, uno zampillo di gioia. E se continuiamo a dare, questa fontana di pace e di vita darà acqua sempre più abbondante, senza mai prosciugarsi.
E c’è anche un altro segreto che Gesù ci ha rivelato, una specie di pozzo senza fondo a cui attingere. Quando due o tre si uniscono nel suo nome, amandosi dello stesso suo amore, Lui è in mezzo a loro. Ed è allora che ci sentiamo liberi, uno, pieni di luce e torrenti di acqua viva sgorgano dal nostro seno. E’ la promessa di Gesù che si avvera perché è da Lui stesso, presente in mezzo a noi, che zampilla acqua che disseta per l’eternità.
Chiara Lubich
(altro…)
Feb 22, 2002 | Chiesa
Grande gioia ha espresso il Papa per questo incontro di oltre 80 vescovi, amici del Movimento dei Focolari.
Un’udienza a sorpresa, quella di giovedì 28 febbraio, che, all’ultimo momento, ha sostituito la partecipazione dei vescovi all’udienza generale.
Il Papa ha rivolto un saluto speciale a Chiara Lubich fonda- trice del movimento dei Focolari, e parole di gratitudine al cardinale Miloslav Vlk, arcivescovo di Praga, che aveva tracciato il cammino percorso dai vescovi in questi 25 anni, dal 1977, quando ebbe inizio il 1
Feb 22, 2002 | Chiesa
Venerati Fratelli! 1. Con grande gioia vi accolgo, durante il vostro convegno di approfondimento della spiritualità di comunione, promosso dal Movimento dei Focolari. A ciascuno rivolgo il mio cordiale saluto, con uno speciale pensiero di gratitudine al Cardinale Miloslav Vlk, che si è fatto interprete dei comuni sentimenti, illustrando i temi del vostro incontro. Un saluto particolare desidero riservare alla Fondatrice del Movimento, Chiara Lubich, che ha voluto essere presente qui con noi. Carissimi, voi state riflettendo sulla comunione, realtà costitutiva della natura stessa della Chiesa. La Chiesa, come ben sottolinea il Concilio Vaticano II, si trova, per così dire, tra Dio e il mondo, adunata nel nome della Santissima Trinità per essere “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen gentium, 1). La comunione all’interno del popolo cristiano, pertanto, chiede di essere sempre più assimilata, vissuta e manifestata, anche grazie ad un deciso impegno programmatico, a livello sia di Chiesa universale che di Chiese particolari. Occorre coltivare un’autentica e profonda spiritualità di comunione, come ho voluto sottolineare nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte (cfr n. 43). Si tratta di un’esigenza che riguarda tutti i membri della Comunità ecclesiale. Questo compito spetta però anzitutto ai Pastori, chiamati a vigilare affinché i diversi doni e ministeri contribuiscano alla comune edificazione dei credenti ed alla diffusione del Vangelo. 2. Il servizio dell’unità, su cui voi giustamente amate molto insistere, è intrinsecamente segnato dalla Croce. Il Signore ha sofferto la passione e la morte per distruggere l’inimicizia e riconciliare gli uomini col Padre e tra di loro. Seguendone l’esempio, la Chiesa, Corpo mistico di Cristo, ne prolunga l’opera. Con la forza dello Spirito Santo partecipa intimamente al Mistero pasquale, al di fuori del quale non vi è crescita del Regno di Dio. L’esperienza della storia evidenzia che la Chiesa vive la passione e la croce indissolubilmente unita al suo Signore risorto, illuminata e confortata dalla presenza che Egli stesso le ha garantito per tutti i giorni, fino alla fine del mondo (cfr Mt 28,20). E’ lo stesso Signore, nel cui corpo glorioso permangono i segni dei chiodi e della lancia (cfr Gv 20,20.27), ad associare i suoi amici alle sue sofferenze, per conformarli poi alla sua gloria. Questa fu, in primo luogo, l’esperienza degli Apostoli, a cui i credenti nel loro pellegrinaggio fanno costante riferimento. Il loro ministero di comunione e di evangelizzazione ha goduto della stessa fecondità di quello di Cristo: la fecondità del chicco di grano, come ricorda l’evangelista Giovanni, che produce molto frutto se e perché muore nella terra (cfr Gv 12,24). 3. Segno per eccellenza di tale fecondità pasquale sono i frutti dello Spirito, anzitutto “amore, gioia e pace” (Gal 5,22), che caratterizzano, pur nella varietà degli stili e dei carismi, la testimonianza dei santi di ogni epoca e di ogni nazione. Anche nella prova, anche nelle situazioni più drammatiche niente e nessuno può togliere a colui che vive unito a Cristo la certezza del suo amore (cfr Rm 8,37-39) e la gioia di essere e di sentirsi una cosa sola con Lui. Questo amore, questa gioia e questa pace invoco in abbondanza per ciascuno di voi, carissimi Fratelli nell’Episcopato, e per le Comunità che vi sono affidate. Maria, la Vergine dell’amore fedele, vegli su di voi e sul vostro ministero. Vi aiuti a camminare in perfetta sintonia con il cuore del suo divin Figlio, sorgente di immensurabile carità e misericordia. Io vi assicuro un costante ricordo nella preghiera e ben volentieri vi imparto una speciale Benedizione, estendendola a quanti quotidianamente incontrate nel vostro servizio pastorale.
Feb 22, 2002 | Chiesa
La notizia dell’Udienza privata con il Papa, giovedì 28 marzo, è giunta come gradita sorpresa, proprio nella giornata in cui si ricordavano a Castel Gandolfo i 25 anni da quando, nel febbraio del 1977, si era svolto il primo Convegno di Vescovi amici del Movimento dei Focolari. Sarà presente all’udienza anche Chiara Lubich.
L’incontro è stato aperto sabato 23 febbraio, dal card. Miloslav Vlk, arcivescovo di Praga e moderatore dell’annuale convegno spirituale di Vescovi amici del Movimento dei Focolari. Aveva messo in luce come nuova evangelizzazione e rinnovamento della cultura sarebbero state approfondite sulla base delle linee spirituali tracciate dalla Novo millennio ineunte ed aveva affermato: “Dobbiamo ricordarci che non si tratta solo di mettere in atto una buona collaborazione fra gli agenti pastorali, ma di vivere a tutti gli effetti quella spiritualità di comunione che rende presente Cristo e che è l’indispensabile presupposto per poter affrontare le sfide del terzo Millennio”.
E in quei giorni, infatti, gli oltre 80 Vescovi di 43 Paesi dei cinque continenti hanno vissuto un’esperienza profonda di comunione fraterna, nutrita da conversazioni di spiritualità, approfondimenti teologici e momenti di dialogo, nei quali si realizza un toccante scambio di testimonianze personali e pastorali, vissute spesso in regioni di grande sofferenza come il travagliato Medio Oriente, la Repubblica Democratica del Congo, il Burundi; zone fortemente secolarizzate come i Paesi Bassi o alcuni Paesi post-comunisti, e le lontane Isole di Wallis et Futuna nell’Oceano Pacifico.
Chiara Lubich, nel suo intervento al Convegno, domenica 24, ha enucleato dieci capisaldi della nuova evangelizzazione come emergono dall’insegnamento di Giovanni Paolo II ed ha illustrato come il Movimento dei Focolari con la sua spiritualità di comunione può offrire un particolare contributo ad attuarli. “La nuova evangelizzazione proposta dal Papa a tutta la Chiesa – ha affermato – ha dato a noi le ali”. Ed faceva notare: “L’evangelizzazione sarà ‘nuova nel suo ardore’ se, man mano procede, cresce, in chi la promuove, l’unione con Dio”. Con grande interesse i partecipanti hanno quindi seguito la presentazione di due progetti di evangelizzazione, uno in contesto metropolitano (Roma) e l’altro in terra di missione (Fontem / Cameroun).
Ogni giorno il Convegno si è aperto con una meditazione su quello che Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte ha definito il “mistero nel mistero”: Gesù crocifisso ed abbandonato, come via all’unione con Dio e come sorgente di comunione. Molto apprezzate le testimonianze di alcuni dei primi focolarini e delle prime focolarine su questo che è anche uno dei cardini della spiritualità dei Focolari.
Chiara Lubich è intervenuta nuovamente al Convegno, mercoledì 27, per un dialogo aperto con i Vescovi.
Feb 6, 2002 | Cultura
La Giunta della Regione Toscana si è impegnata ad inserire nei programmi di sviluppo della Regione il progetto del Polo Imprenditoriale di Loppiano (Incisa Valdarno, FI), riconosciuto come laboratorio di una nuova economia, "modello da proporre e moltiplicare anche al fine di rafforzare e organizzare l’attuazione di una nuova politica di cooperazione allo sviluppo".
Loppiano incontra gli Imprenditori – Questo progetto verrà presentato nella cittadella internazionale di Loppiano, il 9-10 febbraio 2002, in un incontro a livello nazionale con imprenditori, dipendenti, operatori economici, ricercatori e studenti interessati al progetto di Economia di comunione.
Verranno presentati:
– La cittadella di Loppiano e la sua vita
– Gli ultimi sviluppi del progetto dell’Economia di Comunione a 10 anni dal suo lancio
– Il nascente Polo produttivo "Lionello"
Feb 6, 2002 | Cultura
Una mozione di sostegno al polo imprenditoriale di Loppiano, presentata dal Gruppo Rinnovamento Italiano e Riformisti per l’Ulivo, è stata approvata a maggioranza, con l’astensione dello SDI e di alcuni consiglieri del centro sinistra.
Nel testo si chiede alla Giunta regionale di aderire al progetto del polo imprenditoriale di Loppiano nel Comune di Incisa Valdarno, laboratorio di una nuova economia, promosso dal Movimento dei Focolari, sottoscrivendo simbolicamente alcune quote di azionariato popolare e di inserire il progetto nei programmi di sviluppo della Regione Toscana quale modello da proporre per l’attuazione di una nuova politica di cooperazione allo sviluppo.
Premessa
La “Dichiarazione sul futuro dell’Unione”, allegata al trattato di Nizza, ha rilanciato il dibattito sul “metodo di governo” quale processo di cooperazione costruttiva tra tutti i livelli di potere e responsabilità in Europa.
I principi guida sono la sussidiarietà, il pluralismo istituzionale e la legittimità democratica.
Sono punti programmatici che devono trovare realizzazione completa anche nelle politiche dei governi nazionali e tra le pluralità delle istituzioni territoriali.
Nel frattempo, si sono affermati in Europa valori importanti quali l’uguaglianza dei popoli, politiche di coesione economica e sociale, la libertà di circolazione, la parità di trattamento ed il riconoscimento dei diritti fondamentali.
E’ il concetto di “fraternità politica”, quale effettiva composizione di strutture, territori, funzioni, identità e culture ma anche per fornire risposte originali alle molteplici sfide del nuovo millennio. La prima sfida importante è stata raccolta da Chiara Lubich e dal Mov.to dei Focolari che, realizzando nel corso degli ultimi anni, in tutto il mondo, piccole città autonome, modello di vita da proporre e moltiplicare, hanno voluto conciliare plurime esigenze capaci di coniugare valori imprescindibili.
I sottoscritti Consiglieri (Lucia Franchini e Francesco Pifferi)
atteso che dal lancio del progetto dell’Economia di Comunione, pensato da Chiara Lubich e dal Movimento dei Focolari, sono sorte nel mondo iniziative tese a far crescere e diffondere una cultura economica innovativa, dove si coniuga il “bilancio economico” con il “bilancio sociale”;
considerato che da detta iniziativa è nata l’esigenza di dar vita ad un polo imprenditoriale in cui concentrare alcune aziende italiane che già aderiscono al progetto stesso tale da rappresentare un modello all’interno della realtà economica nazionale;
considerato che il Movimento dei Focolari ha presentato il progetto di far nascere un Polo Industriale nei pressi della cittadella di Loppiano nel Val d’Arno, attraverso la sottoscrizione di azionariato popolare;
preso atto che gli scopi principale saranno la costruzione di capannoni, uffici e infrastrutture, oltre ad attività di supporto alle aziende e promozione di nuove imprese, scuole per imprenditori, manager e operatori;
considerato che Loppiano rappresenterà la prima esperienza industriale del Movimento, oggetto di attenzione anche da parte delle Istituzioni comunitarie e del Governo nazionale;
ritenuto necessario, nello spirito di costituzione di un “laboratorio di fraternità”, sostenere politicamente e materialmente i programmi di investimento solidale, anche quale attuazione di iniziative di cooperazione allo sviluppo;
visto il contesto operativo nel quale il progetto di Loppiano si colloca, teso a comprendere l’inserimento dello stesso nei programmi di sviluppo regionale anche quale modello contro l’esclusione sociale;
tutto ciò premesso
impegnano la Giunta
– ad aderire al progetto del Polo Imprenditoriale di Loppiano nel comune di Incisa Valdarno, laboratorio di una nuova economia, promosso dal Movimento dei Focolari.
– ad inserire il progetto nei programmi di sviluppo della Regione Toscana quale modello da proporre e moltiplicare anche al fine di rafforzare ed organizzare l’attuazione di una nuova politica di cooperazione allo sviluppo”.
Feb 6, 2002 | Cultura
Lucia Franchini (Rinnovamento Italiano) ha illustrato la mozione sottolineando che l’esperienza di Loppiano dimostra la possibilità concreta di coniugare sviluppo e solidarietà, tenendo conto non soltanto del bilancio economico, ma anche della valenza sociale. L’esperienza di Loppiano è un esempio da valorizzare e far conoscere sull’intero territorio regionale.
Franco Banchi (Centro Democratici Uniti) ha evidenziato gli aspetti positivi dell’esperienza di Loppiano, ma la Regione non deve avere un coinvolgimento diretto, perché il compito della politica è di dare degli input propositivi, non di entrare nella gestione diretta dell’attività. L’esperimento di Loppiano dimostra la possibilità di un nuovo rapporto tra economia e solidarietà.
Varis Rossi (Democratici di Sinistra) ha evidenziato il valore di questa esperienza, ha preso l’impegno di approfondire ulteriormente la conoscenza del progetto in Terza Commissione. E’ necessario sostenere vari modelli di sviluppo, aiutando anche coloro che hanno un passo economico più lento, ma un alto valore sociale. E’ necessaria la massima attenzione e cautela per conoscere le potenzialità di un’esperienza notevole come quella portata avanti a Loppiano.
Marco Carraresi (Centro Cristiano Democratico) ha dichiarato di condividere totalmente la mozione che rende giustizia di un Movimento di grande valore, una esperienza quotidiana di vivere il Vangelo in modo concreto. Un modello da imitare nei progetti di cooperazione promossi dalla Giunta regionale.
Anche Giovanni Barbagli (Rifondazione Comunista) e Lorenzo Zirri (Forza Italia) hanno dato il pieno sostegno alla mozione presentata, mentre Pieraldo Ciucchi (Socialisti Democratici Italiani) ha dichiarato il proprio voto di astensione per la troppa enfatizzazione che si vuole dare a questa esperienza ecclesiastica.
Angelo Passaleva, vicepresidente della Giunta regionale ha dichiarato l’adesione alla mozione e all’esperienza di Loppiano che è un nuovo modo di fare impresa con l’attenzione ai valori sociali. E’ un modello sperimentale che si può trasferire anche ad altre situazioni regionali. Nella società globale è sbagliato accettare soltanto la logica del profitto, perché la guerra e la violenza nascono anche dalla mancanza di una giusta distribuzione della ricchezza complessiva.
Feb 6, 2002 | Cultura
Il dialogo in politica e l’economia di comunione, così come l’economia solidale e la finanza etica, sono elementi essenziali per sviluppare un nuovo modello del "vivere insieme".
In questo senso la Regione Toscana non può non riconoscere che la realizzazione del polo industriale di Loppiano rappresenta una sfida importante per tutto il nostro territorio, un progetto al quale aderire e da inserire nei programmi di sviluppo della Regione medesima al fine di rafforzare ed organizzare una nuova politica di cooperazione allo sviluppo.
Si potrà quindi affermare con la pratica che non è vero che l’unico modello adottabile all’interno del mercato del lavoro è quello classico economico liberista. Si potrà affermare che la competitività delle aziende sussiste, pur destinando parte del ricavato ad azioni di formazione e solidarietà sociale.
E soprattutto che l’economia di comunione è un modello di convivenza per il quale all’interno del mondo economico ogni attore, sia impresa, lavoratore o consumatore, riscopre la libertà di scelta e di azione e la preziosa unitarietà tra valori e comportamento. Un modello in sintesi che, oltre a prestare attenzione al bilancio economico, non dimentica "il bilancio sociale", cioè la valutazione di quanto nell’azienda la risorsa umana sia da valorizzare (pur non dimenticando il profitto) e quindi i rapporti con i dipendenti, fornitori e concorrenti siano da improntare principalmente su una competizione di qualità, sulla trasparenza e sul rispetto dell’ambiente.
Quali sono i punti di riferimento a cui attingere per la sua attività politica?
La più alta sfida per tutti noi è oggi promuovere e diffondere valori importanti quali l’uguaglianza dei popoli, le politiche di coesione economica e sociale, i diritti di cittadinanza, la sussidiarietà, l’unità, rispettando il pluralismo delle diverse identità, tradizioni e religioni.
Chiara Lubich ancora una volta ci indica, con semplicità ma con grande tensione emotiva e ideale, il principio guida a cui far riferimento: "la fratellanza". Anche in politica non si può prescindere da questo concetto, perché Chiara molto lucidamente ci ricorda che "la risposta alla vocazione politica è anzitutto un atto di fraternità: non si scende in campo infatti solo per risolvere un problema, ma si agisce per qualcosa di pubblico, che riguarda gli altri, volendo il loro bene come fosse il proprio".
Un valore semplice da comprendere, ma arduo da praticare quando deve corrispondere una conseguente linearità nell’azione.
D’altra parte sono convinta che quello è il valore da realizzare. Forse inizialmente rappresenterà solo una tensione, ma se vogliamo davvero innalzare e qualificare le azioni di governo e di rappresentanza politica, costruire insieme un comune senso di identità, destino e cittadinanza, dobbiamo partire dal riconoscimento che solo il concetto di "fraternità politica" potrà tracciare un percorso di coesione e partecipazione.
Feb 5, 2002 | Dialogo Interreligioso
In occasione della giornata di preghiera per la pace di Assisi, Chiara Lubich ha potuto intrattenersi con diverse personalità di altre religioni, approfondendo il dialogo già intrapreso o avviando nuovi contatti.
Al Centro del Movimento dei Focolari a Rocca di Papa ha incontrato Nichiko Niwano, Presidente del movimento laico buddista Rissho Kosei Kai del Giappone, con cui i Focolari sono in dialogo sin dal 1979.
Per la prima volta, sempre a Rocca di Papa, Chiara Lubich ha ricevuto il rev. Joginder Singh, leader spirituale di oltre 20 milioni di Sikhs nel mondo, che risiede nel centro di Amritsar (India). Si è instaurato un rapporto vivo e cordiale centrato su Dio e sulla fratellanza fra tutti gli uomini. Chiara aveva incontrato ad Assisi anche il guru dei Sikhs inglesi, il rev. Bhai Sahib-ji Mohinder Singh con cui il Movimento dei Focolari in Inghilterra aveva già iniziato un dialogo.
Alcuni giorni dopo, anche la signora Didi Athavale, che in rappresentanza del mondo indù aveva dato la sua testimonianza di pace ad Assisi, ha desiderato incontrare Chiara. E’ la figlia del fondatore di un grande movimento indù denominato Swadhyàya.
Più che un movimento è un nuovo stile di vita che ha cambiato l’esistenza a milioni di persone: dagli emarginati e analfabeti alle élites della società, facendo crollare i muri di separazione causate da religione, ricchezza, educazione, casta, razza e sesso. Ha seminato così la pace e l’armonia sia a livello individuale che sociale.
Swadhyaya è stata iniziata dal rev. Pandhurangshastri Athavale, chiamato Dada (fratello maggiore). Un pensatore, filosofo e sociologo, che ha messo al centro della sua attività la devozione verso Dio (Bhakti) e l'attenzione all’uomo. Nei 17 stati dell’India ha 19.500 centri ed è diffuso in 110.000 villaggi.
Questi colloqui hanno aperto nuove prospettive di dialogo.
Feb 4, 2002 | Dialogo Interreligioso
Vedere gli esponenti di tutte queste religioni, delle diverse espressioni di Chiese, tutti così uniti, così desiderosi che questo avvenimento si ripeta. E’ difficile spiegare lo Spirito Santo… ma qui lo Spirito Santo invadeva tutto. Il Papa ha parlato anche a un dato punto del vento, che è simbolo della Spirito Santo.
E pensando che dietro ciascuno c’erano popoli, mondi così vari, veniva da dire: questa è una forza enorme per la pace, e anche per creare appunto questa fraternità che è la base per arrivare domani a quella meta a cui pure certi governanti mirano. Adesso, essendo stati costretti a stringere i rapporti, per esempio, la Russia con l’America, si può pensare che, in un domani, sia possibile arrivare ad un’unica comunità mondiale.
E l’anima, mi sembra, è proprio quanto abbiamo visto oggi: tutti si stimavano a vicenda… Quindi c’era proprio un amore che va e che viene. E’ una grandissima speranza!
Da intervista della Radio Vaticana – 24.1.2002
Come diffondere lo “spirito di Assisi” e tener fede ai solenni impegni presi dai leader religiosi?
Col considerare intanto questo convegno un fatto storico, perché lo è stato, ma pensandolo come un momento non isolato. Già questa volta ha avuto, in molte parti del mondo e non solo cristiano, dei significativi riflessi con incontri di preghiera locali ed altre manifestazioni per la pace. Non isolato anche perché in qualche modo dovrebbe continuare. È ciò che speriamo.
È nel nostro cuore quindi il desiderio che Assisi 2002 sia l’inizio di una serie di varie iniziative vagliate e pensate da chi ne ha la responsabilità, perché il grido: “Mai più la guerra” diventi realtà.
Da intervista Città Nuova n. 3 – 10.2.2002