Ott 31, 2000 | Parola di Vita
Se c'è una parola della Scrittura che, come e più di ogni altra, esprime la rivelazione di Dio in Gesù Cristo, questa è la misericordia. Nella grandiosa teofania del Sinai, il Signore aveva rivelato a Mosè: “Io sono un Dio pietoso, che serba le sue misericordie per mille generazioni”. All'alba del giorno messianico, Maria annuncia ad Elisabetta che l'Onnipotente si è ricordato della sua misericordia e ciò che è nato in lei ne è la riprova. Ecco dunque congiunti in Gesù, figlio di Dio e di Maria, l'amore paterno e materno di Dio, così bene significati dai due termini ebraici che vengono usati per definire la misericordia: e cioè un profondo atteggiamento di bontà che manifesta la fedeltà di Dio verso se stesso e l'aver “viscere di madre” verso tutti. Ma cos'è che fa la misericordia così potente da aver sempre la meglio sulla giustizia? E perché Gesù dà tanto rilievo a questa virtù al punto di farne una condizione per la salvezza personale?
«Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia».
Come ben spiega Giovanni Paolo II, la misericordia è “la dimensione indispensabile dell'amore, è come il suo secondo nome”. Per lui le parole della beatitudine costituiscono una sintesi di tutta la Buona Novella che è la rivelazione dell'amore salvifico di Dio e l'invito fatto a tutti di essere “misericordiosi come il Padre” e come colui che del Padre è l'immagine più fedele, Gesù. Nella preghiera del “Padre nostro” ritorna, con altre parole, lo stesso tema della beatitudine: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. E' legge scritta in Cielo che il condono dei nostri debiti ci arriverà in proporzione di quanto avremo saputo perdonare ai fratelli e alle sorelle. Il tema della misericordia e del perdono pervade tutto il Vangelo. In fondo, lo scopo di Gesù è quello che ci ha rivelato nella sua preghiera finale, la notte prima della passione: l'unità di tutti, uomini e donne, in una grande famiglia che ha il suo modello nella Trinità. Tutto il suo insegnamento tende solo a darci, con il suo amore, lo strumento per realizzare questa altissima comunione fra noi e con Dio. E la misericordia è appunto l'ultima espressione dell'amore, della carità, quella che la compie, che la rende cioè perfetta.
«Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia».
Cerchiamo dunque di vivere in ogni nostro rapporto quest'amore agli altri in forma di misericordia! La misericordia è un amore che sa accogliere ogni prossimo, specie il più povero e bisognoso. Un amore che non misura, abbondante, universale, concreto. Un amore che tende a suscitare la reciprocità, che è il fine ultimo della misericordia, senza la quale ci sarebbe solo giustizia, che serve a creare eguaglianza ma non fraternità. Oggi si parla spesso di perdono negato a chi ha commesso gravi crimini. Si chiede vendetta più che giustizia. Ma noi, dopo aver cercato in ogni modo di risarcire il danno, dobbiamo lasciare il campo al perdono, il solo in grado di sanare il trauma personale e sociale prodotto dal male. “Perdonate e vi sarà perdonato.” E allora, se abbiamo ricevuto qualsiasi offesa, qualsiasi ingiustizia, perdoniamo e saremo perdonati. Siamo i primi a usare pietà, ad esprimere compassione! Anche se sembra difficile e ardito, chiediamoci, di fronte ad ogni prossimo: come si comporterebbe sua madre con lui? E' un pensiero che ci aiuterà a capire e a vivere secondo il cuore di Dio.
Chiara Lubich
Ott 25, 2000 | Dialogo Interreligioso
Cristiani in dialogo con le altre Religioni
Dall’evento storico del 26-27 ottobre 1986, incontro di preghiera per la pace di tutte le religioni del mondo, sono trascorsi 14 anni.
Per ricordare tale evento, e alla luce dei fatti odierni, Assisi ha ospitato due giornate di riflessione all’insegna del dialogo e della comunione nella Chiesa cattolica, fra le Chiese cristiane, e con le altre religioni nelle Basiliche Inferiore e Superiore di san Francesco.
Ott 22, 2000 | Famiglie
L’evangelizzazione dei figli è importante per tutti, per l’oggi e per il domani della Chiesa e della società. Educare un figlio significa, in definitiva, farlo incontrare con Gesù che ha promesso: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). Egli è presente dove si è uniti nella sua volontà, nell’amore reciproco che lui stesso ci ha insegnato, attraverso la sua arte di amare.
Ancora, Gesù è nella sua Parola. Come ai figli piccoli si spezza il pane quotidiano, così in famiglia occorre spezzare il Vangelo, vivendolo nelle piccole e grandi occasioni della giornata. Così si forma nei bambini una mentalità come quella di Gesù, che anche nei periodi di prova li guiderà sempre.
Davvero i bambini sanno vivere ancora meglio di noi con generosità e totalitarietà la Parola di Dio. Un esempio: Irene, Ilaria e Laura, tre sorelline di Firenze, vanno con la mamma a fare spese in macchina. Passano davanti alla casa del nonno e chiedono di poter slire a salutarlo. “Andate voi – dice la mamma – io vi aspetto in macchina”. Quando ritornano chiedono:”Perchè non sei venuta?” E lei:”Il nonno non si è comportato bene con me; così capisce…” Ilaria la interrompe:”Ma mamma, stiamo vivendo la Parola: amare tutti, quindi anche i nemici…” La mamma non sa che dire. La guarda e sorride:”Avete ragione. Aspettatemi qui”. E sale dal nonno.
Sintesi Intervento di Chiara Lubich
12.10.2000
Ott 11, 2000 | Dialogo Interreligioso, Nuove Generazioni
Ai capi di stato del mondo Ai responsabili civili e religiosi Ai dirigenti dei mass media Alle organizzazioni nazionali ed internazionali Siamo 213 ragazzi di 40 Nazioni del mondo, riuniti qui in Giappone per partecipare alla ‘Conferenza dei ragazzi per il futuro’. Un grande ideale ci accomuna: costruire un mondo di pace. Pur appartenendo a religioni diverse, vogliamo vivere la ‘Regola d’oro’ che è presente nelle nostre fedi: “Fare agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te, non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”. Vogliamo in pratica vivere il rispetto reciproco, l’amore, che è iscritto nel cuore di ogni uomo. E ciò significa: amare tutti, dimenticando se stessi e pensando agli altri, senza discriminare chi ha idee diverse dalle proprie o appartiene ad un’altra razza o etnia; amare per primi, senza aspettare che sia l’altro a fare il primo passo; amare anche i nemici, dimenticando le offese del passato, imparando a perdonare, dicendoci con amore ciò in cui possiamo cambiare e migliorare. In questi giorni abbiamo sperimentato che l’amore può cambiare ogni rapporto, se cerchiamo ciò che ci unisce piuttosto di quello che ci divide. Perché non può essere così anche tra gli stati? Si arriverebbe ad amare la patria altrui come la propria e così sarebbe garantita la pace. L’uomo non può vivere da solo, dobbiamo aiutarci a vicenda avendo un cuore pieno di gratitudine verso chi ci fa del bene e contraccambiando. Così sarà garantito un futuro pieno di speranza. Il domani ci appartiene. Ci piacerebbe che voi ascoltaste la nostra voce: diamoci un appuntamento nei vari Paesi dove noi ragazzi possiamo incontrarvi e dialogare con voi. Desideriamo essere portavoce di tutti i ragazzi che nel mondo soffrono a causa dello sfruttamento, della guerra, delle malattie come l’AIDS. Coscienti delle tante differenze ancora presenti tra Paesi ricchi dove dilaga il consumismo e Paesi poveri, abbiamo deciso di iniziare noi a vivere e diffondere una nuova cultura, quella del dare e del condividere. Se si vivesse così anche tra le nazioni, tutti i beni della terra sarebbero distribuiti in modo uguale, senza differenze. Il primo passo verso questa meta vorremmo che fosse il condono del debito estero dei Paesi poveri in modo da permettere loro migliori possibilità di vita e di sviluppo. Per mettere fine a tutte le guerre e conflitti, favoriamo il dialogo e la collaborazione, impegnandoci decisamente per il disarmo e usiamo i fondi destinati alle armi per scopi pacifici. Vorremmo che lo sport non sia strumentalizzato al guadagno, ma diventi occasione di incontro e di amicizia fra i popoli, dove si impara a lavorare insieme, a vincere, a perdere e a ricominciare. La droga distrugge il futuro dei ragazzi e in alcuni Paesi questo problema è molto grave: se avessimo migliori prospettive per il futuro molti non si drogherebbero. Vi chiediamo di combattere questo male anche con delle leggi che ci proteggano. Non sfruttiamo indiscriminatamente le risorse della natura ma, pensando alle generazioni future, facciamo come le piante che assorbono dal terreno solo ciò di cui hanno bisogno. Sappiamo che l’uomo è felice se vive in pace con se stesso e con la natura che lo circonda. Aiutateci a difenderla e preservarla, fermando la deforestazione e promuovendo il riciclaggio. Create spazi ‘verdi’ nelle città dove noi tutti possiamo ritrovarci. Diamo attenzione agli anziani, perché loro danno un prezioso contributo alla società con la loro esperienza e saggezza. Consideriamo la scienza e la tecnologia non come fine a se stesse, ma a servizio dell’uomo, senza manipolare la vita umana e favorendo anche la ricerca di fonti alternative all’energia nucleare. La pace inizia nel cuore di ogni uomo. Ci piacerebbe che nelle scuole venissero messi in luce valori come la conoscenza e il rispetto delle altre culture e religioni e che nei programmi scolastici sia inserita l’educazione alla pace. Vorremmo che la globalizzazione, verso cui il mondo si incammina, non fosse solo basata sull’aspetto finanziario ed economico ma sulla comunione tra le culture e le religioni, in modo che tutti gli uomini diventino una sola famiglia. Chiediamo che i mass-media diffondano il positivo che c’è nel mondo, che diano un’informazione obiettiva e che ci facciano conoscere le situazioni difficili dei vari Paesi per essere più solidali. Vietate le trasmissioni di immagini violente, che non rispettano la dignità dell’uomo o il valore del suo corpo fermando la produzione di giochi e di cartoni animati che incitano alla violenza e i siti Internet che possano in qualche modo danneggiare noi ragazzi. Noi abbiamo già cominciato a costruire la pace. Sappiamo, però, che per raggiungere questa meta abbiamo bisogno di voi. Per questo chiediamo il vostro aiuto, specialmente là dove noi ragazzi non possiamo arrivare. Ogni giorno preghiamo per raggiungere questo obiettivo, certi che dal Cielo riceveremo l’aiuto per realizzare un mondo nuovo e più unito dove tutti gli uomini della terra possano vivere felici e come fratelli. I partecipanti alla Conferenza dei Ragazzi per il Futuro (altro…)
Ott 11, 2000 | Nuove Generazioni
Messaggio programmatico per i politici del mondo messo a punto a Tokyo dalla prima “Conferenza dei ragazzi per il futuro” e consegnato dalla Fondazione Arigatou a tutte le ambasciate, che l’hanno fatto pervenire ai rispettivi governi. Verrà consegnato anche direttamente a dirigenti nazionali e locali, da parte dei giovanissimi partecipanti, per intavolare quel dialogo tra generazioni che si auspica diventi un contributo efficace per il futuro che appartiene loro. (altro…)
Set 30, 2000 | Parola di Vita
E' una parola essenziale per comprendere il rapporto di Gesù con la ricchezza. L'immagine è forte, paradossale com'è nello stile semitico. Tra la ricchezza e il regno di Dio c'è incompatibilità ed è inutile voler annacquare un insegnamento che più volte ritroviamo nella predicazione di Gesù, quando dirà, ad esempio, che non si può servire Dio e mammona (cioè la ricchezza). O quando sembra chiedere al giovane ricco rinunce impossibili all'uomo ma non a Dio. Ma cerchiamo di capire il vero senso di questa Parola da Gesù stesso, dal suo modo di comportarsi con i ricchi. Egli frequenta anche persone benestanti. A Zaccheo, che dà soltanto metà dei suoi beni, dice: “La salvezza è entrata in questa casa”. Gli Atti degli Apostoli testimoniano inoltre che nella Chiesa primitiva la comunione dei beni era spontanea e libera. Gesù non aveva dunque in mente di fondare soltanto una comunità di persone chiamate a seguirlo, che lasciano da parte ogni ricchezza. Eppure dice:
«E' più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli».
Che cosa condanna allora Gesù? Non certamente i beni di questa terra in sé, ma chi è attaccato ad essi. E perché? E' chiaro: perché tutto appartiene a Dio e il ricco invece si comporta come se le ricchezze fossero sue. Il fatto è che le ricchezze prendono facilmente nel cuore umano il posto di Dio e accecano e facilitano ogni vizio. Paolo, l'Apostolo, scriveva: “Coloro che vogliono arricchire, cadono nella tentazione, nel laccio e in molte bramosie insensate e funeste, che fanno affogare gli uomini in rovina e perdizione. L'attaccamento al denaro, infatti, è la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da se stessi tormentati con molti dolori”. Quale allora l'atteggiamento di chi possiede? Occorre che egli abbia il cuore libero, totalmente aperto a Dio, che si senta amministratore dei suoi beni e sappia, come dice Giovanni Paolo II, che sopra di essi grava un'ipoteca sociale. I beni di questa terra, non essendo un male per se stessi, non è il caso di disprezzarli, ma bisogna usarli bene. Non la mano, ma il cuore deve star lontano da essi. Si tratta di saperli utilizzare per il bene degli altri. Chi è ricco lo è per gli altri.
«E' più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli».
Qualcuno però potrebbe dire: io non sono ricco per davvero, quindi queste parole non mi riguardano. Bisogna fare attenzione. La domanda che i discepoli costernati hanno fatto a Cristo subito dopo questa sua affermazione è stata: “Chi si potrà dunque salvare?” . Essa dice chiaramente che queste parole erano rivolte un po' a tutti. Anche uno che ha tutto lasciato per seguire Cristo può avere il cuore attaccato a mille cose. Anche un povero che bestemmia perché gli si tocca la bisaccia può essere un ricco davanti a Dio. Eppure tanti ricchi, nella storia della Chiesa non si sono tirati indietro e hanno seguito Gesù nella via della povertà più radicale. Com'è stato di Eletto, che conoscevo bene: un giovane alto, bello, intelligente e ricco, che quando ha sentito la chiamata di Dio a seguirlo, non ci ha pensato un attimo. Non si è voltato indietro. Sembrava che le ricchezze per lui non esistessero affatto. Donò ogni suo bene e anche la vita. Mentre compiva un atto di carità verso un ragazzo trovò la morte in un lago a soli 33 anni. Là, sulla costa, una lapide-ricordo porta scritte queste sue parole: “Ho scelto Dio solo, nessunissima altra cosa”. Eletto, apparendo davanti a Gesù, non si è certamente sentito ripetere: “E' più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli”.
Chiara Lubich
Set 24, 2000 | Sociale
Vivo interesse delle Nazioni Unite per le proposte di New Humanity (ong del Movimento dei Focolari presso l’ONU) sulle riduzioni del debito estero dei paesi più poveri e cooperazione allo sviluppo. Sono state presentate nel corso di un workshop svolto il 28 agosto scorso nel Palazzo delle Nazioni Unite a New York. Vi sono intervenuti, assieme ad imprenditori impegnati nel progetto di Economia di Comunione, che coinvolge 750 aziende in tutti i continenti, l’economista olandese Leo Andringa, che ha esposto la proposta di New Humanity di una Tassazione degli Scambi Monetari Internazionali che, pur applicata a livello molto ridotto, raccoglierebbe ingenti risorse, capaci di ridurre il peso del debito internazionale che sta opprimendo i piccoli e grandi paesi in via di sviluppo.
New Humanity ha ospitato al suo workshop anche il Senatore della Repubblica Italiana Ivo Tarolli, che ha esposto la legge per la cancellazione dei crediti nei confronti dei paesi più poveri appena approvata in Italia, ed un suo Disegno di Legge che accoglie le proposte di New Humanity e disegna una nuova forma di cooperazione internazionale, in cui la società civile, le organizzazioni non governative e le organizzazioni private diventano protagoniste nell'utilizzo a fini sociali delle risorse lasciate liberate nei paesi emergenti dalla riduzione del peso del debito internazionale.
Set 21, 2000 | Cultura
In oltre 3000 per la cerimonia a Palazzo Vecchio, in collegamento con maxischermo in piazza della Signoria. Gli interventi del Sindaco, del Presidente della Commissione Europea Prodi, la testimonianza di Chiara Lubich. Presenti il card. Piovanelli, vescovi, parlamentari sindaci italiani e europei, l’imam musulmano, rappresentanti del buddismo, di altre Chiese e di movimenti ecclesiali. “In questo momento storico caratterizzato sempre di più dalla chiusura e dalle intolleranze verso tutte le diversità, con la cittadinanza onoraria viene riconosciuta l’ opera di Chiara Lubich, finalizzata al dialogo tra le diverse confessioni religiose e tra i popoli e la sua tenace volontà nel ricercare sempre punti di incontro e di condivisione anche con chi non professa alcuna fede religiosa, per la promozione dell’umanità”. Questo uno dei punti centrali della motivazione letta dal presidente del Consiglio Comunale, Alberto Brasca, nella solenne cornice del salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio. “Un messaggio che non parla solo ai credenti – ha affermato il sindaco Leonardo Domenici. “Parla anche a chi, da laico, non vuole mai smettere di credere che questo mondo, che questa società necessiti di profonde trasformazioni, per far sì, – come dice Chiara – che la sfida ‘di questo millennio sia la costruzione di un nuovo mondo di pace”. E definisce questo giorno, “un giorno di impegno e di riflessione, non solo occasione per festeggiare una nuova cittadina”. Apertura e dialogo quanto mai urgenti in un’Europa che si sta avviando verso un passaggio che il Presidente Prodi definisce “drammatico”: “di fronte alla scelta se rimanere chiusa o se portare a termine l’unità dell’Europa con l’allargamento ad est passando da 370 a 500 milioni di persone, ma con un aumento di reddito solo dell’8 per cento”. Prodi richiama uno slogan esigente di Chiara Lubich: “Amare la patria altrui come la propria”. E avverte “guardate che questa apertura non è la rinuncia alla nostra identità. E’ solo l’apertura agli altri che fa della nostra identità un’identità forte. Quando si ha questo concetto dell’unità nella diversità, nel confronto, nel colloquio continuo, immediatamente si riesce ad avere anche il coraggio della propria identità”. E Chiara Lubich, dopo aver ricordato il ruolo di Firenze nel mondo e le figure che hanno contribuito a renderla un crocevia di dialogo, ha parlato – scrive il “Corriere di Firenze” “con note di particolare profondità dell’eredità spirituale e culturale che il Movimento porta in regalo alla città”. Qui la neo-cittadina ha mostrato il coraggio della propria identità offrendo a quel pubblico così variegato la testimonianza della sua esperienza di Dio, radicata nel Vangelo, anima del dialogo a tutto campo in cui è impegnato il Movimento dei Focolari. Parole ascoltate “in un silenzio quasi religioso” come è stato detto in un servizio al TG 1. “A Chiara Lubich è stata riconosciuta la capacità di dialogo” ha detto l’Assessore allo Sport, Eugenio Giani. La cerimonia stessa ne è stata un’esperienza viva. Lo ha ben espresso il giorno seguente, quando è intervenuto al Palazzetto dello Sport di Firenze, prima dello spettacolo del Gen Rosso: “Non ho mai visto in questa sala personalità di fedi e di discipline così diverse: dall’ortodosso, al buddista, tutti lì a stringersi intorno a un atto che confermava, intorno alla persona di Chiara Lubich, una spiritualità talmente intensa da superare ciò che può essere una singola confessione, per testimoniare valori spirituali di fondo che in qualche modo, laicamente, tutti abbiamo accettato e in cui ci siamo immedesimati e che ci hanno dato una gioia profonda nel vivere un momento come quello”. “Tante fasce tricolore, tanti sindaci d’Italia, orgogliosi di essere lì. In qualche modo, conferendo la cittadinanza onoraria a Chiara Lubich abbiamo sentito di interpretare un sentimento profondo dei rappresentanti delle nostre comunità, di tutto il Paese, che ci ha riportato, una volta tanto, al senso di dialogo, di apertura, di proiezione internazionale con cui Firenze si vuol caratterizzare e di cui è caratterizzata la sua storia”. (altro…)
Set 15, 2000 | Cultura
INCISA — Oltre un migliaio di persone hanno festeggiato ieri pomeriggio la cittadinanza onoraria che Incisa ha conferito a Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari che conta diversi milioni di seguaci in ogni parte del mondo. Per la comunità incisana si è trattato di un evento eccezionale, svoltosi alla presenza di autorità ad alto livello.
Un'occasione per il sindaco Manuele Auzzi per ripercorrere le tappe storiche della prima “mariapoli” fondata dalla professoressa Lubich sui terreni regalatigli dalla famiglia Folonari proprio a Loppiano, sulle colline di Incisa. Il sindaco, prima di consegnare la pergamena con le motivazioni ufficiali che hanno portato all'onoreficienza, ha tracciato anche un profilo di questo “simbolo” per la pacifica convivenza fra gente diversa per razza, cultura e religione. Un discorso pieno di significati che si è concluso con l'annuncio della concessione dei permessi per costruire una nuova, grande chiesa proprio nel cuore della cittadella dei Focolarini.
Poi è toccato a Chiara Lubich salire sul palco dove era stata ricostruita la scenografia del Municipio e su cui avevano preso posto i consiglieri comunali e il sindaco.
Dopo un interminabile applauso, la professoressa ha voluto ricordare i vari personaggi che hanno fatto grande Loppiano, partendo dal 1962, quando appunto si è concretizzato il primo atto del Centro Internazionale incisano.
Alla fine, la Lubich ha accolto l'invito del sindaco a istituire proprio a Loppiano un Centro Permanente per la Pace: “Assieme ai miei collaboratori vedremo come poter fare — ha detto — ma di sicuro cercheremo di realizzarlo”.
Set 14, 2000 | Focolari nel Mondo
Carico l’auto e parto di corsa: quando arrivo a casa di mia sorella, cerco la borsetta ma non la trovo. Mi rendo conto di averla smarrita chissà dove durante il tragitto. La borsetta contiene molti effetti personali: agenda, documenti, foto di famiglia, ma anche soldi non miei, provenienti dalla comunione dei beni tra alcune persone e destinati ad una di noi in difficoltà. Questo smarrimento è l’ultimo di una serie di fatti che mi sono successi per distrazione in questi ultimi tempi, che sto vivendo con la mente altrove, in preoccupazioni famigliari. Mio papà si è ammalato seriamente e gli occorre, oltre alle cure mediche, un supplemento di attenzioni ed affetto da parte di noi figli. Non riesco a fare questo, nutro risentimenti nei suoi confronti, perché lo ritengo responsabile di certe situazioni, e questo, oltre a farmi star male, mi spinge a limitare al massimo le mie visite. Ora sono lì davanti alla porta della sua stanza, e quasi gli attribuisco anche la responsabilità di questo ultimo fatto, e sento forte, nell’anima una voce che mi dice: “… Durante questo ultimo periodo hai perso il tuo tempo, ti sei fermata a pensare a quello che è giusto o meno, da quale parte stia la ragione, sei ricca delle tue ragioni; occorre amare Gesù in lui, senza porre alcuna condizione”. E’ un richiamo così forte da parte di Dio, che varco d’impeto la porta della stanza, e semplicemente, senza dirgli tante cose, rimango accanto a papà. So che fà fatica a camminare, e gli insegno degli esercizi specifici, per amarlo come lui vuole essere amato. Questo mio piccolo passo produce subito in lui un cambiamento: improvvisamente da ammalato rassegnato, dimostra di voler guarire, decide di alzarsi, è pieno di buona volontà. Esco dalla stanza e mi ricordo dei soldi che ho smarrito; mi rivolgo a Gesù dicendo: “Ho capito che hai permesso che accadesse questo per farmi comprendere che devo amare sempre senza porre condizioni. Quei soldi tuttavia sono per un fine buono … aiutami a ritrovarli!”. Arrivo a casa, e dopo qualche minuto suona il campanello. E’ un taxista che ha ritrovato la mia borsetta in mezzo alla strada, in pieno traffico. L’apro, e non trovando i soldi, esclamo: “Sono andati persi!”. E lui, di rimando: “Guardi, signorina, che li ho riposti nel portafogli!”. N.N. – Cile (altro…)
Ago 31, 2000 | Parola di Vita
Queste parole di Gesù sono dirette alla folla dei suoi ascoltatori che ben conoscevano quelle norme che l'Antico Testamento e l'insegnamento rabbinico avevano dettato per potersi appressare all'area sacra del tempio. Era un rituale complesso di abluzioni e di lavature di oggetti che poco prima il Vangelo di Marco aveva descritto . Ma quella purificazione esteriore non doveva essere che l'espressione di una purezza interiore, spirituale, mentre in realtà, si finiva col dimenticare il vero significato di quelle pratiche rituali, concentrandosi in una osservanza scrupolosa e formale, di innumerevoli regole.
«Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo».
Anche se questa affermazione era perfettamente compatibile con la legislazione giudaica , tuttavia la presa di posizione di Gesù era in quell'epoca molto coraggiosa, perché andava controcorrente. Egli si riallacciava alla grande tradizione dei profeti che avevano sempre richiamato il popolo ad un culto autentico e cioè praticato nell'intimo delle coscienze e non solo esteriormente con l'unica preoccupazione di evitare un contatto fisico con cibi e oggetti dichiarati impuri. Qui dunque Gesù, come in tutta la sua predicazione e il suo comportamento, non vuole abolire la Legge, ma portarla a compimento, cioè riportarla al suo profondo significato e scopo che è quello di avvicinare l'uomo a Dio.
«Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo».
“… sono le cose che escono dall'uomo a contaminarlo”. Questa seconda parte della frase di Gesù tratta invece della vera contaminazione: l'uomo è contaminato non da ciò che entra in lui, ma da ciò che esce da lui. E dall'interno, dal suo cuore, salgono i pensieri e le “cattive intenzioni” che sono all'origine di: “fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza”. Gesù, pur valutando positivamente la creazione, pur sapendo che l'uomo è stato creato ad immagine di Dio, conosce l'essere umano e la sua inclinazione al male. Per questo esige la conversione. Dalle parole che stiamo considerando, balza evidente e netta la sua severità morale. Egli vuole creare in noi un cuore puro e sincero dal quale sgorghino, come da limpida sorgente, buoni pensieri ed azioni irreprensibili.
«Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo».
Come viviamo allora questa Parola? Se non sono le cose, gli oggetti, gli alimenti, e tutto ciò che viene dal di fuori a renderci impuri, ad allontanarci dall'amicizia con Dio, ma l'io stesso dell'uomo, il suo cuore, le sue decisioni, è evidente che, in concreto, Gesù vuole che riflettiamo sulla motivazione profonda dei nostri atti e del nostro comportamento. Per Gesù – lo sappiamo -, vi è una sola motivazione che rende puro tutto quanto facciamo: l'amore. Chi ama non pecca, non uccide, non denigra, non deruba, non tradisce… E allora? Lasciamoci guidare, ventiquattr'ore su ventiquattro, dall'amore; dall'amore per Dio e per i nostri fratelli e sorelle. Saremo cristiani al cento per cento.
Chiara Lubich
Ago 22, 2000 | Focolari nel Mondo
Sergej, russo ortodosso Da bambino gli avevano insegnato che Dio non esiste e che la fede è una favola per vecchiette. Ciao, mi chiamo Sergej. Da bambino in Russia mi hanno insegnato che Dio non esiste e che tutti i discorsi sulla fede non sono che favole per vecchiette. Quando sono cresciuto mi sono accorto che il mondo è crudele e che dovevo lottare per ottenere qualcosa. Non m’interessavano gli altri e nemmeno le persone più deboli, come gli anziani, anzi li disprezzavo e li prendevo in giro. In realtà, dietro questo mio atteggiamento, si nascondeva la paura della sofferenza: non avevo una risposta al dolore e perciò cercavo di chiudere gli occhi. Quando ho incontrato i Giovani per un mondo unito, ho conosciuto un altro mondo, il mondo della solidarietà e del rispetto reciproco. Un mondo molto più bello. Timidamente ho provato a vivere così, ad amare tutti facendo il primo passo verso gli altri. Poi i miei nuovi amici mi hanno fatto la proposta di vivere il Vangelo, frase per frase, giorno dopo giorno. Ma che parole! Solo un Dio poteva avere il coraggio di chiedere così tanto all’uomo! Vivendo le sue parole ho conosciuto Gesù. Dopo alcuni mesi ho sentito il bisogno di avvicinarmi alla chiesa ortodossa e mi sono fatto battezzare. Ora Gesù fa parte della mia storia e della mia vita. Così mi sono ricordato dei miei nonni che sono molto anziani e ricevono la loro piccola pensione solo ogni tanto. Non avevo nessun rapporto con loro. Ho incominciato ad andare a trovarli e finiti gli studi mi sono trasferito da loro per poterli aiutare. Non era facile come potete immaginare, anche perché i nonni sono atei convinti e osservano con tanto sospetto la mia appartenenza alla chiesa. Ma oggi viviamo come una vera famiglia e io ho capito che l’amore annulla anche le distanze tra le generazioni. INDIA Mi chiamo Avinash e vengo da Bombay. Quando ho conosciuto i giovani per un mondo unito sono stato toccato subito dal fatto che c’erano uomini e donne, giovani ed anziani, di esperienze e religioni diverse. Sembravano non avere nulla in comune e nello stesso tempo ciascuno di loro aveva un sorriso splendido. Sono stato calorosamente accolto ed introdotto tanto che lo ricordo come uno dei momenti più felici della mia vita. Da quel momento in poi ho sperimentato di fare parte di una bellissima, grande famiglia. Anche se gli altri erano cristiani ed io indù, non mi sono mai sentito escluso quando stavo con loro. Ci scambiavamo le nostre idee, i nostri pensieri e la nostra vita. Sono rimasto sorpreso di scoprire che avevamo problemi simili nella vita quotidiana. Venivamo da diversi mondi, ma ognuno rispettava l’esperienza, il modo di pensare dell’altro. Dbbiamo anche scoperto che avevamo tanti punti in comune nelle nostre rispettive religioni, e al di la di tutto scoprimmo che c’era una Regola d’oro in tutte. In India Mahatma Gandhi dice : “Non posso urtarti senza urtare me stesso”, che è simile a quanto dice Gesù: “Fai agli altri quanto vorresti che sia fatto a te.” L’unità con gli altri giovani m’ha dato la forza di cambiare molti rapporti non facili. Ho capito che dovevo accettare le persone come erano, senza pretendere che cambino. Ero io a cambiare. Ci siamo guardati intorno offrendoci come volontari in molte azioni a beneficio di quanti erano disagiati: abbiamo organizzato la raccolta dei fondi per quanti erano stati toccati dalle calamità naturali, aiutando ed assistendo le persone anziani e gli orfani. Ho sperimentato tanta gioia con questo impegno che dava senso alla mia vita avvicinandomi a Dio. Come indù prego ogni notte e vado nel tempio almeno una volta in settimana. Ma ho sperimentato che Dio non è solamente con me quando prego, ma è sempre lì con me, in me e fuori di me. Mi meraviglio spesso come in un paese come il mio di 1 miliardo di persone ho avuto questa opportunità di incontrare questo meraviglioso ideale dell’unità. Tutta la mia vita ho sempre pregato Dio per chiederGli molte cose. Ma dopo questa esperienza Lo prego di indicarmi la strada per realizzare il suo piano su di me. FILIPPINE – MINDANAO Il dialogo tra cristiani e musulmani è diventato la mia passione. Non perdo occasione per raccontare l’esperienza continua che l’Amore vince tutto. Sono nata in una famiglia musulmana e vengo da Mindanao, la Terra Promessa delle Filippine. Sono cresciuta con la mentalità che i ‘non-musulmani’ sono i nemici dell’Islam. L’educazione, però, mi ha fatto capire l’importanza di costruire il dialogo. Dai membri del Movimento dei Focolari ho imparato l’arte di fare il dialogo: un modo semplice e concreto per farmi uno con l’altra persona, perdendo la mia idea o semplicemente essere la prima a fare un favore. Ho imparato che l’unità è possibile facendo un atto di generosità, di rispetto o di accettazione. Nel 1994 ho partecipato all’ Incontro Internazionale Musulmano-Cristiano. Sono rimasto molto colpito dal numero di musulmani, soprattutto Imam, che condividevano l’idea che l’unità è veramente possibile. Prima ho ricordato la mia bellissima, tranquilla ed armoniosa terra di Mindanao. Oggi presenta un quadro contraddittorio, che la nostra gente, composta da musulmani e da cristiani, mai avrebbe desiderato. Il contrasto che ora stiamo sperimentando a Mindanao è una questione politica, che si discute ad alto livello, ma non è portata alla comprensione della grande maggioranza. La religione non ha niente a che fare con questo. I ribelli musulmani lottano per quello che credono sia il loro più antico diritto, l’ “autonomia”. Tutti richiedono che si concluda questa guerra e che si risolva pacificamente. Però, il governo è deciso nella sua posizione di usare la guerra per raggiungere la pace. Io posso solo fare cose piccole, ma concrete. Sono ritornata ai miei libri e ho ristudiato la nostra storia. Soltanto dopo potrò formulare la mia opinione su come si può risolvere questo conflitto. Però credo fermamente che l’unica cosa che può portare la pace in realtà è l’amore. Ho sentito il mio ruolo di messaggera di pace. Ho cominciato varie attività cercando di promuovere comprensione. Insegnavo in un’ Università Cattolica e questo mi ha permesso di stabilire un rapporto con i giovani, Musulmani e Cristiani. Conoscendo la situazione in Mindanao, i miei amici del Focolare sono stati immediati nell’amore concreto. Ora aiutiamo un gruppo di 500 famiglie musulmane che si sono trasferite vicino alla mia città, e un altro gruppo di 300 famiglie, anche musulmane, di un’altra città. I miei amici musulmani si sono sorpresi di ricevere un tale aiuto da gente cristiana. Costruire la pace non è solo una scelta personale. Per me, mi sembra, c’è una forza divina che mi spinge dal di dentro ad essere uno strumento di pace. (altro…)
Ago 22, 2000 | Nuove Generazioni
“Potremo mai un giorno condividere la nostra cultura con l’Occidente?” L’interrogativo è posto da un africano, Martin Nkafu, docente di cultura africana alle Università Pontificie di Roma, che dà voce alla sofferenza di un continente in cui sono ancora vive le ferite provocate dall’Occidente, con lo sfruttamento del colonialismo e la tratta degli schiavi. Ferite tuttora alla radice dei molti conflitti e dell’estrema povertà. Si rivolge alla platea cosmopolita di oltre 24.000 giovani dai 5 continenti che gremivano lo stadio Flaminio, per uno dei molti “Incontra-giovani” dellla GMG: il Genfest, la manifestazione mondiale promossa dai Giovani per un Mondo unito, dei Focolari. Ed è una risposta entusiasta quella data dai giovani al lancio del Progetto Africa 2000: al primo posto gemellaggi tra paesi dell’Occidente e i paesi africani per conoscere e valorizzare la diversità delle culture, raccolta di fondi per realizzare a Fontem, nel cuore della foresta camerunense, un nuovo reparto nell’ospedale per i malati di Aids, una vera piaga per il continente, dispensari e scuole di formazione professionale in altre aree del Camerun. I rapporti umani sono importanti. Di qui l’invito a giovani medici e insegnanti di dedicare un periodo della loro vita a Fontem, cogliendo anche la possibilità del servizio civile. Senza dimenticare le occasioni quotidiane di stabilire ponti con gli africani che lavorano e studiano nelle nostre città. Ancora: sostenere le campagne per l’estinzione del debito estero a favore dei Paesi più poveri. L’idea è stata lanciata da Chiara Lubich che ha aperto una grande prospettiva: contribuire a far nascere “popoli nuovi”. Nasce da un suo recente viaggio in Africa, a Fontem, dove è ritornata dopo 30 anni. Ha narrato ai giovani quella che definisce una favola: un popolo, i Bangwa, dal rischio di estinzione a causa dell’alta mortalità infantile, ha raggiunto un grande sviluppo. Non solo: diventa centro di irradiazione del Vangelo in molti Paesi africani per la testimonianza di amore scambievole tra bianchi e neri, fecondo di opere: ospedali, scuole, attività lavorative. E’ l’esperienza dei Focolari in quelle terre. E Martin Nkafu, figlio di un capo tribù dei Bangwa, dirà: “Ho trovato la risposta: possiamo dire oggi che Fontem è un esempio, tra tanti, che la reciprocità tra cultura africana e occidentale è possibile”. Il Genfest, che i Giovani per un Mondo unito promuovono ogni 5 anni, come sempre si è espresso con il linguaggio e la creatività tipica dei giovani: musica, coreografie, danze dei vari popoli. Toccante quella di un gruppo di giovani libanesi: drusi, musulmani, cristiani maroniti e copti. Molte le testimonianze di pace: come quella di Jean Bosco del Congo, un Paese da anni dilaniato da conflitti etnici. Insieme ai suoi amici sono pronti a rischiare la vita: “Ci siamo messi come scudi umani davanti alle persone che volevano picchiare a morte. Siamo riusciti a salvarne tante”. O storie di solidarietà in Kosovo tra i profughi, di dialogo tra religioni diverse: hanno parlato una giovane musulmana di un’altra terra di conflitto, Mindanao nelle Filippine, un musulmano afro-americano, una giovane indù, giovani buddisti giapponesi. “Non abbiate paura di essere i santi del terzo millennio”: l’invito del Papa ai giovani. E un’onda di commozione ha attraversato lo stadio quando è stata narrata la storia di Chiara Luce che ha bruciato le tappe. A 18 anni, un tumore la strappa da questa terra. “Spesso mi sento sopraffatta dal dolore. Ma è Gesù che viene a trovarmi”. E ha voluto essere sepolta con l’abito da sposa, pronta all’incontro con lo Sposo. E’ in corso la causa di beatificazione. “Il Verbo venne ad abitare in mezzo a noi”. Le parole scelte dal Papa per questa Giornata mondiale dei giovani sono al cuore dell’esperienza di Chiara Lubich, che ha narrato a grandi linee ai giovani, con freschezza e stupore, la divina avventura degli inizi: la scoperta di Dio amore nel clima di odio e violenza della guerra, il comandamento dell’amore vicendevole, cuore del Vangelo, che porta all’esperienza dell’unità in un tempo di grandi lacerazioni. “Si provava una gioia prima mai conosciuta, una pace nuova, un nuovo ardore; e una luce, la Sua luce, ci guidava. Era Gesù che compiva quella sua promessa: ‘Dove due o più sono uniti nel mio nome – cioè nel mio amore – lì sono io in mezzo a loro’ “. Ed è questa gioia, che si riversava sullo stadio Flaminio, alla radice delle molte testimonianze di pace, di dialogo profondo tra religioni diverse. Questa la consegna di Chiara ai giovani: “Amiamo, e il mondo cambierà. Un mondo unito non sarà utopia”. Consegna sottolineata dal Sindaco di Roma, Francesco Rutelli, intervenuto in chiusura del Genfest. Ha definito i giovani che stanno invadendo Roma: “un fiume di amore”. “Forse siete venuti a Roma per imparare qualcosa, ma siamo noi che abbiamo tanto da imparare” ha detto. (altro…)
Ago 22, 2000 | Nuove Generazioni
Carissimi giovani, bentrovati a questo Genfest che si celebra nel contesto della Giornata Mondiale della Gioventù, nel cuore del grande Giubileo del 2000, trionfo della fede cristiana – come si può costatare – nel mondo, ma soprattutto qui a Roma. E’ mio compito in questo momento narrarvi una storia, una meravigliosa storia, iniziata da giovani di ieri, della quale sono stata testimone, e continuata poi con la collaborazione di giovani d’oggi. Gli inizi di una avventura straordinaria E’ una storia nota a parecchi di voi, ma non a tutti. Non ha tanto per protagonisti quanti sono stati coinvolti con me in un’avventura straordinaria, che a volte sembra togliere il fiato per la sua vastità e complessità; è opera piuttosto di Colui – Dio – che, come segue la grande storia umana, segue anche la nostra piccola storia, personale e collettiva. A Trento, nel nord Italia, infuriava la seconda guerra mondiale. Le bombe, che cadevano notte e giorno, distruggevano ogni cosa. Le mie compagne ed io avevamo i nostri sogni, i nostri ideali, come ad esempio per una farsi una famiglia; per un’altra arredarsi per bene la propria casa o, per un’altra, ancora cercare nello studio la propria realizzazione… Ma quel fidanzato non è più tornato dal fronte. Quella casa è stata sinistrata. Il mio studio di filosofia in una città universitaria è stato sospeso per gli sbarramenti della guerra. Tutto ciò a cui si pensava, veniva meno. Ogni nostro sogno s’infrangeva contro una cruda realtà. Che fare? Nella generale desolazione, nella constatazione evidente che tutto passa, si è affacciato alla mia mente un interrogativo: ci sarà un ideale che nessuna bomba può far crollare, per il quale merita spendere la nostra vita? E subito una luce, quasi una folgorazione: sì, c’è! E’ Dio. Dio che è Amore. Dio, dunque, che ama ciascuno di noi, anche se non lo sappiamo. In un attimo, ho, abbiamo deciso di fare di Lui il perché, l’Ideale della nostra esistenza. Ma, se Egli ci ama – abbiamo deciso – lo ameremo anche noi. La guerra intanto con i suoi bombardamenti, spietata, non lascia tregua. Dobbiamo correre più volte al giorno in un rifugio. Non possiamo prendere nulla con noi se non un piccolo libro: un Vangelo. E’ in esso che avremmo imparato come fare ad amare Dio. Lo apriamo: una luce illumina ad una ad una quelle parole ed un impulso interiore ci spinge a metterle in pratica. “Ama il prossimo come te stesso” (Mt 19,19), troviamo. Ed ecco che ci sforziamo di amare le sorelle e i fratelli che incontriamo, come fossero noi stesse. “Qualunque cosa hai fatto al minimo dei miei fratelli, l’hai fatta a me” (cf Mt 25,40), leggiamo. “L’hai fatta a me”, dice Gesù. Uscite dal rifugio, cerchiamo questi minimi: sono i nuovi orfani della guerra, i mutilati, i feriti, i poveri, gli affamati, i senza tetto… ed amiamo in essi Gesù. Il Vangelo dice: “Date e vi sarà dato” (Lc 6,38). Diamo il poco che abbiamo e arriva tanta roba, così tanta che i sacchi e i pacchi riempiono ogni giorno il corridoio della casa. Il Vangelo ammonisce: “Cercate il Regno di Dio e il resto verrà in soprappiù” (cf Mt 6,33). Cerchiamo che l’amore regni in noi e arriva quanto ci è necessario. Così. Così sempre. Sembra di vivere nel miracolo. Due impressioni si imprimono nel nostro animo. La prima: ogni promessa del Vangelo si attua. Dunque il Vangelo è vero. Gesù mantiene anche oggi la sua parola. La seconda: nel Vangelo Gesù chiede soprattutto amore, e per amare dare. E’ una cultura nuova quella che emerge da quel libro. La chiameremo in seguito “la cultura del dare”. Intanto nuove ragazze e poi ragazzi ed altre persone ancora si uniscono a noi per vivere la stessa esperienza. I pericoli della guerra però aumentano. Anche se giovani, possiamo morire da un momento all’altro. Nasce un desiderio in cuore: vorremmo conoscere la Parola di Gesù che gli è più cara per viverla a fondo, almeno in quelli che possono essere gli ultimi istanti della nostra vita. La scopriamo. Dice così: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). Ed Egli ci ha amato fino a dare la vita per noi. In cerchio, le une accanto alle altre, ci guardiamo in faccia e ognuna dichiara all’altra: “Io sono pronta a morire per te”, “Io per te…”. Tutte per ciascuna. E l’amore reciproco diventa il nuovo stile della nostra vita. Si fa certamente tutto quanto è nostro dovere (lavoro, studio, preghiera, riposo), ma sulla base del vicendevole amore. Non è facile amarci sempre, non è semplice mantenere quest’unità. Per qualche nostra mancanza, si sperimenta a volte un profondo disagio. Come fare allora a ricomporre l’unità così spezzata? Troviamo ben presto nel Vangelo la risposta. Pure Gesù, a causa nostra, ha provato il dolore della disunità quando in croce ha gridato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Egli però non è rimasto in quello spacco. “Padre, nelle tue mani raccomando il mio spirito” (Lc 23,46) ha continuato, ricomponendo così la sua unità col Padre. Abbiamo deciso di fare così anche noi con i nostri fratelli, con le nostre sorelle. Per quest’unità vissuta e sempre ricomposta, ecco la meraviglia! Gesù, che aveva detto: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome (cioè nel suo amore), io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20), veniva a stare in mezzo a noi spiritualmente ma realmente. E, perché Egli c’era, si provava una gioia mai prima conosciuta, una pace nuova, un nuovo ardore; e una sua luce ci guidava. E perché Gesù era fra noi, la gente attorno acquistava o riacquistava la nostra stessa fede; cosicché, dopo circa due mesi, eravamo già in cinquecento, di ogni età, di ogni categoria sociale, di tutte le vocazioni. Iniziava perciò a realizzarsi il sogno di Gesù, implorato dal Padre prima di morire: “Padre, che tutti siano uno”. Si conosceva certamente anche l’incomprensione del mondo, e varie prove non sono certo mancate: ma l’albero, che porta frutto, va potato, dice il Vangelo. E i frutti sono stati senza numero. A Trento quel primo gruppo, allargandosi, era diventato ormai Movimento che – finita la guerra – si è diffuso come un’esplosione, dapprima in Italia, poi in Europa e negli altri quattro continenti. Ora è presente in 182 nazioni del mondo, in tutte praticamente. Cosicché l’amore, l’amore vero divampa in ogni angolo della terra: è un’autentica rivoluzione d’amore. Alla vita del Movimento partecipano, oltre i cattolici, cristiani di 350 Chiese, fedeli di altre religioni e persone di culture diverse ma di buona volontà, tutti legati dal dovere di amare iscritto nel DNA di ogni creatura umana e presente, fra il resto, nei principali libri sacri delle varie Religioni. Sin dall’inizio della nostra avventura si era capito che con questo spirito d’amore, d’unità, di fratellanza, avremmo visto nascere su tutta la terra “uomini nuovi”, rinnovati dal Vangelo. E oggi è così. E’ un fenomeno ormai consolante che riguarda milioni di persone. Si era capito che in seguito avremmo visto “città nuove” tutte informate dall’amore vero, dalla pace, dalla giustizia, dalla libertà. Ed ora nei 5 continenti sono sorte, più o meno complete, 20 cittadelle che portano nel loro seno persone di ogni età, delle nazioni più diverse, di varie razze, di molte lingue, tutte unite, un cuor solo, a testimonianza d’un futuro possibile mondo unito. Si prevedeva ancora il rinnovamento di popoli interi, il sorgere di “popoli nuovi”. Giovani: nasce il Movimento Gen, Generazione Nuova Intanto, lungo gli anni, ecco altri giovani ai quali abbiamo passato, per così dire, la nostra bandiera. Su una faccia è scritto: unità, il nostro fine; sull’altra la chiave per realizzarla: Gesù abbandonato. Ed è nato il Movimento Gen, generazione nuova. I giovani e quelli che sono loro succeduti via via, proprio per le qualità naturali e spirituali loro proprie, hanno rappresentato sempre per tutti noi l’autenticità, la purezza, l’arditezza, la vastità e la concretezza del nostro Ideale. E in questi ultimi decenni il loro contributo alla causa comune è stato consistente e determinante. Africa: un popolo del Camerun rischia l’estinzione Posso raccontarvi qui solo una delle loro azioni. Per capirla bene, occorre che vi narri una storia, quasi una favola riguardante un popolo africano del Cameroun anglofono. Nel 1966 veniamo a conoscenza della situazione dei Bangwa, gente che viveva in piena foresta, poverissima, affetta da molte malattie, con una mortalità infantile del 90%, che faceva prevedere la completa estinzione della popolazione. Disperati si erano decisi di innalzare, per un anno intero, assidue preghiere all’Essere supremo della loro religione tradizionale, ma senza risultato. “Forse abbiamo pregato troppo poco – hanno detto -; preghiamo un altro anno”. Ma alla fine del nuovo anno ancora nulla. “Forse siamo troppo cattivi. Affidiamoci alle preghiere della missione cattolica più vicina e diamo un’offerta”, hanno concluso. Quel Vescovo, venuto a Roma, chiede a noi dei focolarini medici. Accorrono e aprono ben presto, in una squallida capanna, visitata anche da qualche serpente, un dispensario. Sentono, come primo dovere, di amarsi fra loro reciprocamente per dare testimonianza del Vangelo che vivono. Amano pure tutta quella gente, indistintamente, ad uno ad uno, sull’esempio del Padre nel Cielo, che manda sole e pioggia su buoni e cattivi. Amano sempre, per primi … In una delle mie prime visite di quegli anni, mentre gruppi di Bangwa, di fronte a noi e al loro re, il Fon Defang di Fontem, saggio e prudente, si alternavano in varie danze, in un’ampia radura nella foresta, ho avuto come una previsione: mi è sembrato che Dio come un sole avvolgesse tutti loro con noi; e in quel sole, quasi segno divino, m’è sembrato di presagire lì, in piena foresta tropicale, la nascita di una città, costruita insieme; città a cui molti sarebbero accorsi per vedere cos’è l’amore, che cos’è la fraternità umana. E l’ho detto. 1968 –I giovani lanciano l’Operazione Africa Ben presto arrivano aiuti d’ogni genere. Ci pensano soprattutto i nostri giovani, gen di tutto il mondo, interessando molti al progetto e lanciando la cosiddetta “Operazione Africa”. Si può così edificare un modesto ospedale, aprire scuole. Salendo su un monte, imprigionare una sorgente per un minimo di elettricità per l’ospedale. Si costruiscono case dapprima con mattoni di pota-pota, cioè di terra bagnata, poi più solide. Alcuni gen, di tempo in tempo, raggiungono gli altri sul posto, si rimboccano le maniche e offrono il loro lavoro almeno per uno o due anni. Focolarini e gen insieme continuano ad amare tutti quei fratelli nell’estremo bisogno ed a rafforzare il loro amore reciproco con tenacia. Sono essi stessi, il loro modo di comportarsi, le uniche parole vive che possono offrire intanto a quel popolo. Tra i Bangwa c’è chi osserva a lungo per mesi: ancora prevenuti contro il colonialismo, vogliono accertarsi se quegli uomini e quelle donne bianchi abbiano, nel loro agire, degli interessi personali. Convinti della sincerità e trasparenza dei nuovi ospiti, decidono di collaborare, e focolarini, gen e Bangwa si trovano così tutti affratellati nel costruire il bene comune di quella popolazione. Gli sviluppi Passano gli anni e tutto cresce: l’ospedale si è ingrandito; la mortalità infantile si è ridotta al 2%; la piaga della malattia del sonno è debellata; si costruisce un College con le classi inferiori e superiori; vengono aperte 12 strade per il collegamento con i vari villaggi. I nostri, con l’aiuto dei Bangwa, costruiscono una sessantina di altre case; loro, con il nostro, molte altre. E’ stata edificata anche una bella chiesa, richiesta dai molti cristiani presenti. Intanto Fontem, diventa dapprima sottoprefettura e ora prefettura. Il governo vi ha aperto alcune scuole, installato un acquedotto e portato la luce elettrica. Il ritorno a Fontem dopo 30 anni In questi ultimi mesi, dopo più di trent’anni, sono ritornata a Fontem e la nuova città bella e grande è sotto gli occhi di tutti, visitata spesso da gente di altre nazioni africane e non solo. La fama della sua peculiarità s’irradia. L’abbiamo attraversata in lungo e in largo ed abbiamo visto gente felice, bimbi bellissimi, sani e paffutelli, giovani robusti e forti, signore ben vestite… E tutti salutavano e sorridevano. In quei giorni ci hanno riempito di regali. Abbiamo saputo che l’ospedale è così apprezzato che preferiscono curarsi da noi anche malati della capitale. Le scuole sono così stimate che vengono frequentate da ragazzi mandati dai genitori Bangwa che, una volta laureati, occupano ora posti di responsabilità come direttori di banca, avvocati, professori universitari e anche deputati, consoli, ambasciatori… in alcune nazioni d’Europa e in America. Abbiamo visto cosa può fare l’amore, cosa può costruire la fraternità vissuta tra persone di due continenti, divenute una cosa sola. Ed ora? Molti Bangwa continuano a professare la religione tradizionale e la struttura di base è sorretta ancora da un sistema ancestrale che si regge su mille norme tradizionali, ma si può dire che la fraternità laggiù trionfa e fa “miracoli”. Il nuovo re, il dott. Lucas Njifua Fontem, figlio del precedente, ha visto e ha capito. Tutti quelli che seguono questa via – ebbe a dirci – sono giusti e retti e concorrono al bene del popolo. Egli dichiara apertamente che lì a Fontem, gli abitanti che seguono il Movimento non gli presentano mai alcun problema; non bisticciano per i confini delle loro terre, ma li definiscono in armonia; vivono assolutamente in pace. Tra loro nessuno ruba; non feriscono e tanto meno uccidono; sembra non abbia senso per loro la polizia; l’analfabetismo si sta attenuando; trovano soluzioni per tutti i problemi riguardanti la famiglia; salvano la vita, già molto apprezzata dalla cultura africana, in ogni sua età; curano la salute con meticolosità; rispettano l’autorità e hanno profonda stima degli anziani; sono d’una generosità incredibile: la “cultura del dare”, effetto della fraternità, brilla. Per questo il re, pubblicamente, durante quest’ultimo nostro soggiorno, si è messo alla testa del suo popolo, invitando tutti, con decisione ed ardore, a far proprio lo spirito del nostro Movimento. L’amore evangelico sta, dunque, trasformando una tribù in un popolo e questo popolo ha fatto dell’umanità, lì presente, una fraternità socialmente solida che ha raggiunto pure il proprio fine politico: il bene comune. E l’amore reciproco sta trasformando questo popolo in Regno di Dio, quasi in un piccolo Paradiso. E’ proprio questa, quindi, l’ora dei popoli nuovi. Come avete sentito, protagonisti del “miracolo”, appena descritto, sono stati con i focolarini, che vi hanno speso forze, lavoro, tempo e qualcuno la vita, i nostri giovani che hanno lavorato sodo e a lungo nel mondo intero. Progetto Africa 2000 In questo momento a Fontem mancano ancora molte cose. E, accanto al popolo Bangwa, a Fonjumetaw vive un altro popolo, con un altro re che ha lo stesso sogno di quello di Fontem. Lo abbiamo conosciuto e incominciato ad aiutare. Ma tutt’intorno a Fonjumetaw ancora foresta impenetrabile, malattie e fame… Durante il nostro soggiorno laggiù personalità ecclesiastiche, che sanno della presenza del Movimento in molte nazioni del continente africano, ci hanno incoraggiato dicendo: “Ciò che avete fatto a Fontem dovete farlo in tutta l’Africa e nel Madagascar”. Carissime e carissimi, è una sfida questa. Dobbiamo accoglierla? I focolarini, per quanto possono e per quanto Dio li aiuterà, hanno già detto il loro sì. Che diranno i giovani? Sono certa della loro generosità. La consegna Amiamo, carissimi giovani, continuiamo ad amare, e il mondo intero cambierà. Amiamo e concorreremo a costruire la “civiltà dell’amore” che il nostro pianeta, pur nelle sue tensioni, ma anche nelle sue attuali aperture e possibilità, attende. Gesù desidera che il mondo sia invaso dall’amore: “Fuoco – ha detto – sono venuto a portare sulla terra e che altro voglio se non che s’accenda?” (Lc 12,49). Diamogli la possibilità di vederlo divampare anche per il nostro impegno. L’idea allora di un mondo più unito, di un mondo unito, per cui molti giovani oggi si battono, non sarà solo utopia, ma diverrà, nel tempo, una grande consolantissima realtà. E il tempo futuro è soprattutto nelle vostre mani. Con Dio in cuore tutto si potrà. E Dio lo vuole certamente. Saremo, sarete all’altezza? (altro…)
Ago 22, 2000 | Nuove Generazioni
“Contribuite ad un mondo nuovo…” La diversità di cultura e religione come ricchezza reciproca… voci di un giovane ortodosso di Mosca, di indù, musulmani, buddisti”… un mondo fondato sulla potenza dell’amore e del perdono”. “Non abbiate paura di essere i santi del Terzo millennio”. (Giovanni Paolo II) Una consegna “Amiamo, continuiamo ad amare, e il mondo intero cambierà. Contribuiremo a costruire la civiltà dell’amore che il nostro pianeta, pur nelle sue tensioni, ma anche nelle sue attuali aperture e possibilità, attende. Gesù desidera che il mondo sia invaso dall’amore: “Fuoco sono venuto a portare sulla terra!”. L’idea allora di un mondo più unito, di un mondo unito, per cui molti giovani oggi si battono, non sarà solo utopia, ma diverrà, nel tempo, una grande, consolantissima, realtà. E il tempo futuro è soprattutto nelle vostre mani. Con Dio in cuore tutto si potrà! Dio lo vuole! Saremo, sarete all’altezza?” Chiara Lubich (altro…)
Lug 31, 2000 | Parola di Vita
Nel suo vangelo, Giovanni narra che Gesù, dopo aver moltiplicato i pani, nel grande discorso tenuto a Cafarnao, dice fra il resto: “Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà”. E' evidente, per i suoi uditori, il riferimento alla manna, come anche all'aspettativa della “seconda” manna che scenderà dal cielo nel tempo messianico. Poco dopo, nello stesso discorso, alla folla che ancora non comprende, Gesù si presenta egli stesso come il vero pane disceso dal cielo, che deve essere accettato mediante la fede:
«Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete».
Gesù si vede già pane. E' dunque quello il motivo ultimo della sua vita qui sulla terra. Essere pane per essere mangiato. Ed essere pane per comunicarci la sua vita, per trasformarci in lui. Fin qui il significato spirituale di questa parola, con i suoi richiami all'Antico Testamento, è chiaro. Ma il discorso si fa misterioso e ostico quando più avanti Gesù dice di se stesso: “Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” e “se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita”. E' l'annuncio dell'Eucaristia che scandalizza e allontana tanti discepoli. Ma è il dono più grande che Gesù vuol fare all'umanità: la sua presenza nel sacramento dell'Eucaristia, che dà la sazietà dell'anima e del corpo, la pienezza della gioia, per l'intima unione con Gesù. Nutriti di questo pane ogni altra fame non ha più ragione di esistere. Ogni nostro desiderio di amore e di verità è saziato da chi è lo stesso Amore, la stessa Verità.
«Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete».
Dunque questo pane nutre di Lui fin da quaggiù, ma ci è dato perché possiamo a nostra volta saziare la fame spirituale e materiale dell'umanità che ci circonda. Il mondo non riceve tanto l'annuncio di Cristo dall'Eucaristia, quanto dalla vita dei cristiani nutriti di essa e della Parola, i quali predicando il Vangelo con la vita e con la voce, rendono presente Cristo in mezzo agli uomini. La vita della comunità cristiana, grazie all'Eucaristia, diventa la vita di Gesù, una vita quindi capace di dare l'amore, la vita di Dio agli altri.
«Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete».
Con la metafora del pane, Gesù ci insegna anche il modo più vero, più “cristiano” di amare il nostro prossimo. Infatti, che cosa significa amare? Amare significa “farsi uno” con tutti, farsi uno in tutto quello che gli altri desiderano, nelle cose più piccole e insignificanti e in quelle che forse a noi importano poco ma che agli altri interessano. E Gesù ha esemplificato in maniera stupenda questo modo di amare facendosi pane per noi. Egli si fa pane per entrare in tutti, per farsi mangiabile, per farsi uno con tutti, per servire, per amare tutti. Farsi uno anche noi dunque fino a lasciarsi mangiare. Questo è l'amore, farsi uno in modo che gli altri si sentano nutriti dal nostro amore, confortati, sollevati, compresi.
Chiara Lubich
Lug 30, 2000 | Dialogo Interreligioso
Arrivati al Centro Mariapoli di Castelgandolfo, il 12 giugno, dopo una breve presentazione, hanno visto un video sull’Assemblea della WCRP ad Amman, preparato in giapponese. Hanno raccontato le loro esperienze di come cercano di vivere per gli altri, perché, come dice il Sutra del Loto, “Se il nostro cuore è uno con la volontà di Dio Budda, vedremo nascere attorno a noi migliaia di altri cuori”. E’ seguita l’esperienza di una famiglia del Movimento. Alla fine dell’incontro, il capo-delegazione ha detto che si portavano in cuore come tesoro prezioso “l’arte di amare”. Ha ricordato il primo incontro, 21 anni fa, di Chiara Lubich con Nikkyo Niwano, loro fondatore, che ha portato una profonda comunione spirituale tra i due movimenti e ha aggiunto la sua convinzione che questo incontro era nei piani di Dio Budda per costruire un mondo di pace. Alla conclusione, un patto di vivere uniti sempre in un cuore solo. Con i monaci buddisti nello Sri Lanka Il Rev. Sirisuma Saddhatissa Dhammarakita, di 85 anni, che governa 58 monasteri buddisti dello Sri Lanka, dopo aver ascoltato da uno dei responsabili del Movimento dei Focolari come cerchiamo di mettere in pratica l’arte di amare, aveva commentato: “Questo spirito dell’amore è quanto Buddha ha sempre predicato. Tu sei cristiano. Possiamo vedere un buddista, possibilmente monaco, che vive così?”. E ha invitato il monaco tailandese Thongrattana Thavorn, che da molti anni conosce il Movimento. Arrivato da Bangkok, il monaco, accompagnato da due focolarini, ha avuto importanti incontri con monaci, personalità civili e laici buddisti. Nella terribile situazione di guerra civile, il rev. Thongrattana Thavorn ha parlato della pace e dell’armonia fra religioni e razze, raccontando in modo magistrale la sua esperienza a contatto col Movimento. Ha incontrato anche alcuni indù tamil. Nel colloquio col prof. Aryaratne, personalità buddista di grande rilievo nel mondo sociale, politico e religioso di Sri Lanka, hanno vibrato le corde più profonde di queste due anime impegnate nel dialogo con le religioni. Possiamo dire che la spiritualità del Movimento ha aiutato monaci di due Paesi del buddismo Theravada, ma attualmente assai distanti, a riscoprire le loro radici comuni. La Nichiren-shu A fine giugno, sempre al Centro Mariapoli di Castelgandolfo, c’è stata la visita di una delegazione composta di sessanta buddisti – monaci e laici – della Nichiren-shu, una delle scuole buddiste più tradizionali del Giappone. Il gruppo, proveniente dal Forum Internazionale di Hannover, Germania, in occasione dell’ Expo 2000, era accompagnato dall’Arcivescovo di Osaka, Mons. Leo Ikenaga, e dal Rev. Ryusho Kobayashi della Tendai-shu, un altro gruppo buddista giapponese. Hanno sentito la storia del Movimento dei Focolari ed alcuni aggiornamenti sugli sviluppi più recenti, in particolare sul Convegno del Movimento dell’Unità in politica, conclusosi l’11 giugno. Il responsabile del gruppo, salutando a nome di tutti, diceva che qui è sembrato di trovare il centro del dialogo interreligioso del mondo. Vogliono mettersi anche loro in questo dialogo, come la Tendai-shu che ha già fatto molta strada in questo campo. “Ci sono tanti sentieri per salire sulla cima. Lì tutte le religioni si trovano in pace”. Il Rev. Kobayashi della Tendai-shu, felice di essere ritornato fra noi, diceva: “Il Movimento dei Focolari è diffuso anche nel mondo buddista. Il loro vivere per gli altri è come per i buddisti mettere in pratica lo spirito del bodhisattva e qui abbiamo tanto da imparare per tramandarlo poi ai nostri giovani”. Mons. Ikenaga di Osaka ha detto che questo viaggio è stato per lui un’esperienza straordinaria in mezzo ai buddisti, perché per far camminare il mondo verso la direzione giusta per la pace occorre la collaborazione interreligiosa. Alla fine il Rev. Takeuchi, della Nichiren-shu, concludeva: “Qui davanti ai dirigenti del Focolare vorrei dire una cosa: il nostro fondatore Nichiren (750 anni fa) ha cercato di unire le scuole del buddismo attraverso il dialogo ed è stato perseguitato per questo. (…) Incontrando il Focolare ho capito che nel 21° secolo occorre vivere il dialogo. Per i cristiani e per i buddisti il primo nemico è il razionalismo moderno. Per controbatterlo dobbiamo trovare una nuova teoria e ciò non è possibile senza collaborare”. (altro…)
Giu 30, 2000 | Parola di Vita
San Paolo scrive di aver avuto grandi rivelazioni . Ma Dio ha permesso anche che fosse colpito da grandi prove e, fra le altre, da una tutta particolare che lo accompagnava e lo tormentava continuamente. Si trattava forse di una malattia, di un disturbo fisico permanente che, oltre ad essere particolarmente fastidioso, gli era di impedimento nell'attività e gli dava la netta sensazione del suo limite umano. Ripetutamente Paolo supplicava il Signore di liberarlo da questa sofferenza, finché gli fu rivelato il perché di una tale prova e cioè che la potenza di Dio si manifesta pienamente nella nostra debolezza, che ha il solo scopo di dar spazio alla forza di Cristo. E' per questo che Paolo può dire:
Quando sono debole, è allora che sono forte».
La nostra ragione si ribella ad una simile affermazione, perché vi vede una lampante contraddizione o semplicemente un ardito paradosso. Invece essa esprime una delle più alte verità della fede cristiana. Gesù ce la spiega con la sua vita e soprattutto con la sua morte. Quando ha compiuto l'Opera che il Padre gli ha affidato? Quando ha redento l'umanità? Quando ha vinto sul peccato? Quando è morto in croce, annientato, dopo aver gridato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”. Gesù è stato più forte proprio quando è stato più debole. Gesù avrebbe potuto dare origine al nuovo popolo di Dio con la sua sola predicazione o con qualche miracolo in più o qualche gesto straordinario. Invece no. No, perché la Chiesa è opera di Dio ed è nel dolore e solo nel dolore che fioriscono le opere di Dio. Dunque nella nostra debolezza, nell'esperienza della nostra fragilità si cela un'occasione unica: quella di sperimentare la forza del Cristo morto e risorto e poter affermare con Paolo:
«Quando sono debole, è allora che sono forte».
Momenti di debolezza, di frustrazione, di scoraggiamento li passiamo tutti. Abbiamo spesso da sopportare dolori di ogni genere: avversità, situazioni dolorose, malattie, morti, prove interiori, incomprensioni, tentazioni, fallimenti… Cosa fare? Per essere coerenti col cristianesimo e se vogliamo viverlo con radicalità, dobbiamo credere che quelli sono momenti preziosissimi. Perché? Ma perché proprio chi si sente incapace di superare certe prove che si abbattono sul fisico e sull'anima, e perciò non può far calcolo sulle sue forze, è messo in condizione di fidarsi di Dio. E Lui interviene, attirato da questa confidenza. Dove Lui agisce, opera cose grandi, che appaiono più grandi, proprio perché scaturiscono dalla nostra piccolezza. Benediciamo dunque questa nostra piccolezza, questa nostra debolezza, perché per esse possiamo far posto a Dio e avere da Lui la forza per continuare a “credere contro ogni speranza” (Cf Rm 4,18) e ad amare concretamente fino alla fine. Come in Svizzera è accaduto ai genitori di un tossicodipendente che non si sono arresi e hanno tentato di curarlo con ogni mezzo. Ma invano. Un giorno egli non torna più a casa. Sentimenti di colpa, paura, impotenza, vergogna, nei genitori. Ma è l'incontro con una tipica piaga della nostra società in cui vedere il volto di Cristo Crocifisso, e trovare nuova forza per continuare a sperare e ad amare. Superando la sfinitezza e l'impotenza, i familiari sentono in cuore una energia mai provata e si aprono alla solidarietà. Organizzano un gruppo di famiglie che affrontano la situazione, aiutano e portano panini e the ai ragazzi della Platzspitz, allora l'inferno della droga a Zurigo. Lì un giorno ritrovano il loro figlio, lacero e sfinito. Con l'aiuto anche di altre famiglie è possibile iniziare e portare a termine il suo lungo cammino di liberazione.
Chiara Lubich
Giu 28, 2000 | Focolari nel Mondo
Dal Centro America la storia di una coppia e del loro reciproco riavvicinamento, fino ad affrontare insieme la prova suprema: la malattia e la morte di un figlio «Sposati da 20 anni, abbiamo 5 figli: otto anni fa la nostra famiglia si trovò in grave difficoltà. La povertà ci costringeva a vivere in modo sempre precario e la guerra impediva ogni iniziativa; ma la cosa più grave era il nostro rapporto di coppia che sembrava finito. Non ci eravamo sposati in chiesa e, anche se non rifiutavamo la religione, non potevamo dirci veramente cristiani. Si è sommato presto anche il vizio dell’alcool ad impedirci ogni dialogo. Eravamo in questa situazione – racconta E. – quando mi hanno invitato in Mariapoli, un incontro di più giorni promosso dal Movimento dei Focolari. Com’era diversa la vita lì! Mi sono sentita subito accolta e amata per quella che ero e nacque in me il desiderio di imitare quelle persone. Al ritorno a casa cominciai ad amare i miei, specie mio marito, che, accortosi della gioia che c’era in me, volle accompagnarmi all’incontro successivo… Nasce così a poco a poco in entrambi il desiderio di regolarizzare la nostra unione col sacramento del matrimonio, ed è festa grande il giorno in cui possiamo realizzare questo sogno, insieme ad altre due coppie nelle stesse condizioni. Ricevuto Gesù Eucarestia, avvertiamo una grazia particolare per noi e per la nostra famiglia. Seguono anni molto belli: ora affrontiamo insieme le difficoltà della vita, anziché subirle come ci accadeva in precedenza. E anche nel dolore che bussa alla nostra porta sperimentiamo l’amore di Dio. All’improvviso il nostro primogenito accusa un malessere e, dopo una serie di accertamenti sempre più approfonditi, viene diagnosticato l’AIDS. E’ un dolore immenso; sembra che il mondo ci caschi addosso. Ma non siamo soli. L’amore delle persone che condividono con noi la nuova vita ci fa scoprire in questa tragedia il volto di Gesù che in croce grida l’abbandono del Padre. Con il loro aiuto troviamo la forza di dire il nostro ‘sì’ a Dio. Nostro figlio, come un miracolo, aiutato dall’amore di tutti, accetta questa grande prova: vive i due anni della malattia come una continua, faticosa ma straordinaria salita verso il Cielo. Mio marito sente il peso della vita passata e pensa che nostro figlio ne stia pagando il prezzo. Spesso non riesce a varcare la porta di quella stanza. Ma ancora una volta l’amore vince. Quando un giorno si trova solo con lui, lo sente dire con un filo di voce: ‘Papà, prometti, non a me ma a Dio, che avrai una grande cura della mamma e dei fratelli’. E’ il testamento di nostro figlio: lui paga perché questa nuova vita sia sempre tra noi. Prossimo alla fine, continua a ripetere a ciascuno: ‘L’amore, l’amore è l’unica cosa che vale!’. Ora che fisicamente lui non è più tra noi, lo sentiamo più che mai presente: questo dolore vissuto insieme ci ha purificato, ci ha unito di più a Dio e tra di noi, e ci ha spalancato la porta sulla vita che non muore». (E. L. – Centro America) (altro…)
Giu 21, 2000 | Non categorizzato
“Il grande progetto politico della modernità prevedeva, come sintetizza il motto della rivoluzione francese, ‘libertà, uguaglianza, fraternità’. Se i primi due principi hanno conosciuto forme parziali di attuazione, la fraternità, invece, sul piano politico, è stata pressoché dimenticata. Proprio questa la caratteristica specifica del nostro Movimento: la fraternità; e per essa acquistano significati nuovi e potranno venire più pienamente raggiunte anche la libertà e l’uguaglianza”. (Chiara Lubich) E’ un nuovo volto del mondo della politica quello che si è intravisto al 1° Convegno mondiale del Movimento dell’unità. Lo si desume anche dai partecipanti: più di 800. Oltre alle personalità, un universo composito: vengono dai cinque continenti, appartengono a diverse formazioni politiche – dal segretario di un partito comunista europeo a rappresentanti di partiti di destra –, fanno politica ai livelli più diversi o invece la studiano. Non mancano segretari comunali e membri di organismi europei. In comune, una passione: quell’arte del gestire la cosa pubblica che sembra aver perso il contatto con la gente. Una passione condivisa da Chiara Lubich: “Al mondo politico – dice nel suo intervento – abbiamo sempre riservato particolare attenzione, perché esso ci offriva la possibilità di amare il prossimo in un crescendo di carità: dall’amore interpersonale ad un amore più grande verso la polis”. Commenterà Livia Turco, del partito Democratico della Sinistra, ministro italiano per la solidarietà sociale: “Mai avevo udito una persona che, a partire dal Vangelo, attribuiva una così grande autorevolezza e importanza alla politica. Mi ha scosso, perché di solito ci si aspetta molto poco dalla politica e anzi se ne parla male”. E Gianfranco Fini, Segretario del partito italiano di destra Alleanza nazionale: “Una proposta da meditare a fondo”. Non solo idee, ma molti fatti. Dai partecipanti emerge questa convinzione: nella fraternità può trovarsi la base su cui lavorare per ogni altro valore, perché l’uguaglianza vissuta senza fraternità diventa massificazione e la libertà lasciata in balia di se stessa diventa individualismo. La fraternità assume diverse sfumature. C’è quella sottolineata da Roberto Mazzarella di Palermo, che, lavorando per gli immigrati siciliani all’estero, ha introdotto questo concetto al centro della propria azione. Johnson, di Recife, racconta come sia passato dall’estrema povertà ad assumere un compito politico, quale rappresentante di s. Teresina, un’isola prima talmente degradata da essere denominata Isola dell’Inferno. Dall’Irlanda del Nord, giungono note di fraternità anche dai campi minati della convivenza tra cattolici e protestanti: “Possiamo far avanzare nei rapporti interpersonali quella fraternità che è contagiosa e che prima o poi porta frutto”. Fraternità anche nel rapporto tra eletti ed elettori. Un esempio viene da Piracicaba, in Brasile, dove un gruppo di una cinquantina di elettori è riuscito a convincere i candidati a promuovere valori positivi nel loro programma, verificandone poi l’attuazione con puntualità e efficacia. Dalle Filippine, invece, una testimonianza dello sforzo di preparare con una vasta azione informativa, i cittadini più poveri e analfabeti a prendere coscienza dei loro diritti, a fare scelte libere. Mezzi: media, incontri nelle scuole, nei quartieri, lettere. Il pensiero politico e la storia in cui ha radice il Movimento dell’unità sono stati approfonditi dagli interventi di Chiara Lubich e Tommaso Sorgi che, con Igino Giordani, fu tra i primi deputati che trovarono nella spiritualità dell’unità nuova ispirazione politica. Non è mancata la dimensione internazionale, essendo la mondialità uno degli orizzonti primari del Movimento, approfondita dal prof. Vincenzo Buonomo. Si è parlato d’Europa: è emersa una visione non solo economica, ma culturale, secondo un modello di unità nella molteplicità che consente ad ogni popolo di vivere la propria diversità come dono. Alla tavola rotonda hanno partecipato politici dell’Est e dell’Ovest europeo e rappresentanti del continente sud-americano. (altro…)
Giu 14, 2000 | Focolari nel Mondo
Produciamo programmi televisivi per le reti nazionali di Belgio e Olanda e per emittenti commerciali. Sin dall’inizio abbiamo scelto di fare programmi di generi molto vari, cioè dal divertimento ai reportage, programmi per giovani, programmi di giochi, e ultimamente anche programmi religiosi. Ci interessa il pubblico più vasto possibile, perché la gente guarda tanta televisione e ne resta influenzata. Per questo motivo è importante fare programmi anche di intrattenimento, ma non per questo scadendo in qualità. Alcune nostre produzioni raggiungono durante l’anno l’audience più alta. In questo momento lavoriamo in 25 persone fisse, più una trentina di free lance (registi, cameramen, tecnici, ecc.). Da sempre nella Sylvester Productions abbiamo cercato di lavorare insieme, ascoltandoci reciprocamente, valorizzando le idee di ciascuno, e con molto rispetto per il pubblico, per i produttori e per l’intero sistema dei media. Nella produzione dei program mi miriamo ad un’alta qualità, come contenuto e come forma. Ad esempio, “Stop! Contatto” è un programma per ragazzi che abbiamo realizzato per una emittente nazionale belga. In ognuna delle 26 trasmissioni sono stati intervistati un ragazzo e una ragazza quindicenni, riguardo alla loro vita. Questi giovani non si conoscevano tra di loro. In un secondo tempo, insieme al presentatore, si confrontavano in una sfida reciproca. Per noi era molto importante l’intervista iniziale per poterli conoscere meglio. Una delle nostre collaboratrici si era accorta con sorpresa che i giovani mostravano anche interesse per argomenti più profondi, come la morte, la fede in Dio, ecc.. Avrebbero discusso di queste cose, ma spesso non trovavano con chi parlarne. L’emittente riteneva che trattare questi temi fosse troppo serio per un programma rivolto ai giovani; pensava che ci sarebbe stato un crollo dell’audience. A noi sembrava impor tante invece dare questa opportunità ai ragazzi. Abbiamo insistito con la direzione e, attraverso un dialogo approfondito, abbiamo ottenuto di poter trattare questi argomenti. E l’audience è stata superiore al previsto. Sono stato particolarmente felice che quest’idea non fosse stata lanciata da me, ma da una collaboratrice giovane, cresciuta nel clima della nostra azienda. (altro…)
Giu 9, 2000 | Focolari nel Mondo
Con il ritorno della democrazia in Argentina, nel 1983, si sono aperte nuove possibilità di partecipazione ed espressione in tutti i campi. La nostra esperienza inizia nella zona della periferia di Buenos Aires nota col nome di “quartieri spazzatura”, dove M. era maestra. Con un gruppo di amici abbiamo cominciato a collaborare alle affività di alcune delle ìstituzionì già esistenti: scuole, chiese, comitati di quartiere, ecc. A un certo punto ci fu chiaro che non volevamo essere persone che aiutano dal di fuori, ma volevamo lavorare come parte stessa della comunità, come suoi abitanti. E così nel 1984 ci siamo trasferiti lì con il nostro primo figlio di quattro mesi e lì sono cresciute anche le altre nostre due figlie. Abbiamo subito avvertito che in quel quartiere, dove anche infrastrutture sanitarie, educative, stradali, idriche erano inesistenti, quel che mancava di più era la comunicazione a tutti livelli, dentro le istituzioni, fra di esse e la gente, fra i diversi gruppi e organizzazioni, e perfino tra le famiglie vicine. La ricerca di una nuova comunicazione è stato un compito entusiasmante per tanti di noi. Diapositive, cortometraggi, storie sonore, giornale murale, musica, teatro popolare, un giornale del quartiere arrivato a duemila copie, un megafono, una macchina fotografica, finché è maturato il progetto di una radio comunitaria. La radio sorge come espressione di varie organizzazioni: negozi popolari, gruppi giovanili, centri di comunicazione popolare, gruppi di donne, diverse cooperative. Dagli inizi porta un’impronta: è una radio che non solo dice, ma fa. I suoi speaker non sono professionisti, ma animatori della comuni- tà. I suoi obiettivi di base sono diffondere le attività delle organizzazioni comunitarie; recuperare l’identità culturale nazio nale e locale; incentivare gli artisti locali; collegare in rete i diversi quartieri dove arriva l’emittente. Abbiamo detto che Radio Reconquista non solo parla ma fa, e che i suoi speaker sono abitanti impegnati in diversi compiti: docenti, studenti, operatori sanitari, sacerdoti, quindi in qualsiasi emergenza tutta la radio si mobilita prestando servizio. Viviamo l’opzione per i poveri non solo per solidarietà con chi soffre, ma come un’azione di inculturazione e di ricerca. È in gioco una cultura popolare da conservare come un tesoro, nonostante gli influssi di tanta comunicazione distruttiva, favorendo la costruzione di un progetto di vita sociale più giusto. Quello che è stato finora conservato nell’intimità, nascosto, difeso in un guscio di fronte alla società di consumo aggressiva (cioè i valori e i costumi della vita rurale e di provincia), riprende vita nella musica e nel recupero della parola. È come un’Argentina dimenticata, a volte disprezzata dai grandi mezzi di comunicazione, che trova la sua espressione nel “rito” della radio. Ai giovani che crescono in questa nuova sintesi culturale tra il mondo urbano e quello rurale, la radio del quartiere per mette dì esprimersi senza imitare la scala di valori o disvalo ri imposta dai grandi media. (M. e R. B. – Argentina) (altro…)
Giu 8, 2000 | Focolari nel Mondo
È profondamente radicata in me la convinzione che il mondo tende all’unità. Il mondo unito, ha detto il Papa Giovanni Paolo II, è una di quelle idee che fanno la storia. Qualche anno fa questa convinzione in me è entrata in crisi con lo scoppio della guerra in Serbia. Ho cercato in qualche modo di reagire. Nella nostra emittente in quei giorni abbiamo innanzitutto raccontato quello che si faceva per i profughi kosovari, sottolineando le storie e a volte l’eroismo dei volontari. Poi sono andato a cercare quello che veniva considerato il “nemico”, il popolo serbo. Al di là delle ragioni delle parti in conflitto, sentivo che era giusto far vedere ai telespettatori come vittime innocenti subiscono il dramma della guerra. Il mio TG ogni sera ha mandato in onda, con la traduzione italiana, i servizi sulla guerra realizzati dal TG serbo. Un’iniziativa che è stata subito ripresa dalla principale agenzia di stampa nazionale italiana. La ragazza interprete aveva la sua famiglia a Nis, per cui ogni sera tutta la redazione viveva con lei l’angoscia di sapere dove fossero cadute le bombe. Ad aprile, durante il conflitto, mi trovavo in una sala per un congresso, e ho ascoltato la storia degli inizi del Movimento dei Focolari, durante l’ultima guerra mondiale, e di come, in ogni situazione, anche se la guerra ci angoscia, dobbiamo vivere quell’amore evangelico che porta all’unità. Ci voglio credere, mi sono detto. All’improvviso una telefonata da Milano mi fa partire immediatamente con un aereo privato per un reportage in Albania e Macedonia. Così nel giro di poche ore mi sono trovato da Castelgandolfo ai campi profughi di Tirana e al confine di Blace, tra Macedonia e Kosovo, catapultato tra quelle tende polverose, pronto a scorgere con la telecamera la paura, il dolore, la sconfitta dei profughi, prime vittime del conflitto. Ma appena ho messo piede nel primo campo ho avuto quasi uno choc: ho visto soprattutto persone che si volevano bene. Bambini che giocano, sorrisi accoglienti di chi ti invita nella propria tenda, la dignità e la bellezza del popolo kosovaro. Ho sentito una profonda serenità, che mi ha commosso. Dietro la telecamera mi sono detto: pensavo di trovare l’inferno e ho trovato un pezzo di umanità che, pur soffrendo, sa ancora amare. Ed è l’immagine di questa umanità che ho mostrato al TG. (D.M. – Italia) (altro…)
Giu 7, 2000 | Focolari nel Mondo
Nel cuore del Sudamerica si trova la Bolivia, paese ricco di tradizioni ed espressioni culturali diverse. Il suo territorio presenta diverse regioni, varie per clima e paesaggio. Dalle foreste amazzoniche all’altipiano, a più di 3.000 metri sul livello del mare. In ogni zona si sono sviluppate e permangono diverse culture ed etnie che contribuiscono alla ricchezza di questa nazione. In questa diversità si colloca il popolo Aymara, una cultura millenaria che conserva i suoi costumi, riti, tradizioni e lingua. La sua visione del cosmo è molto diversa da quella del mondo occidentale. Hanno un rapporto molto speciale con la natura, e la loro organizzazione sociale e lavorativa ha un forte senso comunitario. Le popolazioni aymara sono molto distanti l’una dall’altra, sparse nell’altipiano boliviano. In una di queste comunità è nata, 45 anni fa, Radio San Gabriel, come mezzo di espressione di questo popolo. Nel 1977 padre José Canut si trasferì dalla Spagna alla Bolivia per assumersi la responsabilità della radio. A contatto con il popolo Aymara ha dovuto perdere la propria cultura per poter entrare in quella cultura millenaria. Nel vederli lavorare ai loro rustici telai ha scoperto l’intelligenza di questo popolo e ha pensato: se possono maneggiare più di 100 fili per volta con tanta agilità, non sarebbe difficile per loro “giocare” con un po’ di bottoni. Questo ragionamento gli ha dato la certezza che gli aymara stessi avrebbero potuto farsi carico della radio. Radio San Gabriel è ora una radio degli indigeni e per gli indigeni e compie una funzione sociale importante di servizio ed educazione. La programmazione, produzione, operazione e speakeraggio sono realizzate da loro nella propria lingua. Sono fieri perché il 90% del personale è aymara. (P.A.) (altro…)
Mag 31, 2000 | Parola di Vita
Questa Parola è nel cuore dell'inno che Paolo canta alla bellezza della vita cristiana, alla sua novità e libertà, frutto del battesimo e della fede in Gesù che ci innestano pienamente in lui, e per lui nel dinamismo della vita trinitaria. Diventando una persona sola con Cristo, ne condividiamo lo Spirito e tutti i suoi frutti, primo fra ogni altro la figliolanza di Dio. Anche se Paolo parla di “adozione” , lo fa soltanto per distinguerla dalla posizione di figlio naturale che compete solo all'unico Figlio di Dio. La nostra non è una relazione col Padre puramente giuridica come sarebbe quella di figli adottivi, ma qualcosa di sostanziale, che muta la nostra stessa natura, come per una nuova nascita. Perché tutta la nostra vita viene animata da un principio nuovo, da uno spirito nuovo che è lo stesso Spirito di Dio. E non si finirebbe più di cantare, con Paolo, il miracolo di morte e resurrezione che opera in noi la grazia del battesimo.
«Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio».
Questa Parola ci dice qualcosa che ha a che fare con la nostra vita di cristiani, nella quale lo Spirito di Gesù introduce un dinamismo, una tensione che Paolo condensa nella contrapposizione fra carne e spirito, intendendo per carne l'uomo intero (corpo e anima) con tutta la sua costituzionale fragilità e il suo egoismo continuamente in lotta con la legge dell'amore, anzi con l'Amore stesso che è stato riversato nei nostri cuori. Coloro infatti che sono guidati dallo Spirito, devono affrontare ogni giorno il “buon combattimento della fede” per poter rintuzzare tutte le inclinazioni al male e vivere secondo la fede professata nel battesimo. Ma come?
Si sa che, perché lo Spirito Santo agisca, occorre la nostra corrispondenza, e san Paolo, scrivendo questa Parola, pensava soprattutto a quel dovere dei seguaci di Cristo, che è proprio il rinnegamento di sé, la lotta contro l'egoismo nelle sue forme più svariate. Ma è questa morte a noi stessi che produce vita, così che ogni taglio, ogni potatura, ogni no al nostro io egoistico è sorgente di luce nuova, di pace, di gioia, di amore, di libertà interiore; è porta aperta allo Spirito. Rendendo più libero lo Spirito Santo che è nei nostri cuori, egli potrà elargirci con più abbondanza i suoi doni, e potrà guidarci nel cammino della vita.
«Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio».
Come vivere allora questa Parola? Dobbiamo anzitutto renderci sempre più coscienti della presenza dello Spirito Santo in noi: portiamo nel nostro intimo un tesoro immenso; ma non ce ne rendiamo abbastanza conto. Possediamo una ricchezza straordinaria; ma resta per lo più inutilizzata. Poi, affinché la sua voce sia da noi sentita e seguita, dobbiamo dire di no a tutto ciò che è contro la volontà di Dio e dire di sì a tutto il suo volere: no alle tentazioni, tagliando corto con le relative suggestioni; sì ai compiti che Dio ci ha affidato; sì all'amore verso tutti i prossimi; sì alle prove e alle difficoltà che incontriamo… Se così faremo lo Spirito Santo ci guiderà dando alla nostra vita cristiana quel sapore, quel vigore, quel mordente, quella luminosità, che non può non avere se è autentica. Allora anche chi è vicino a noi s'accorgerà che non siamo solo figli della nostra famiglia umana, ma figli di Dio.
Chiara Lubich
Mag 14, 2000 | Focolari nel Mondo
Quando Patrick ha cominciato a frequentare l’asilo a Freetown, un giorno in cui si facevano gare sportive, è stato scelto come rappresentante della sua classe per la corsa. Durante la competizione Patrick era in testa, quando improvvisamente il bambino che era dietro di lui ha traballato ed è caduto. Patrick se ne è accorto, si è fermato, è tornato indietro per aiutarlo. L’insegnante gli ha gridato di non fermarsi, di continuare a correre per arrivare primo, ma Patrick ha continuato ad aiutare l’altro bambino ad alzarsi. Tutti i bambini che correvano li hanno superati e quando quello caduto si è rialzato, ha continuato a correre lasciando Patrick indietro. Alla fine della corsa, invece di arrivare primo Patrick è stato l’ultimo. Ma, sul campo della gara, la persona più felice ero io, il suo papà, perché ho visto cosa possono fare i bambini quando cercano di mettere in pratica il Vangelo. Patrick si era reso conto che quel bambino aveva bisogno di aiuto e questo è stato per lui molto più importante che vincere la corsa. In seguito il maestro di Patrick, sorpreso per il comportamento del bambino, è venuto a trovarmi per chiedere come mai il piccolo avesse agito così. Questa pur piccola esperienza ci pare molto significativa. Vi si può cogliere un seme di speranza per una “nuova” Sierra Leone. (altro…)
Mag 3, 2000 | Chiara Lubich, Dialogo Interreligioso, Focolari nel Mondo, Spiritualità
E’ stato con una grande festa che i popoli Bangwa e Nweh-Mundani hanno accolto Chiara Lubich a Fontem (Camerun) nel cuore della foresta, a oltre 30 anni dalla sua ultima visita nel 1969. La grande spianata e la collinetta soprastante erano gremite. Una festa di canti e danze che esaltavano il valore della vita: la danza della fecondità della terra, poi delle madri dei gemelli e infine quella del Fon con tutti i capi tribù. In segno di riconoscenza per i valori spirituali portati dal Movimento, la Mafua (regina) di Fontem, Cristina, ha fatto indossare a Chiara un vestito africano simile al suo e il Fon, dott. Lucas Njifua, le ha posto sul capo un caratteristico copricapo ornato con penne di uccello. Le parole del Fon, sottolineate da un lungo applauso, esprimevano gratitudine per il contributo spirituale dato alla popolazione, più ancora che per le molte opere realizzate dal Movimento a Fontem. “Quando abbiamo il timore di Dio allora siamo in pace. Ci aiuta ad avere una buona morale. Anche per la lotta alla piaga dell’Aids è importante questa coscienza morale“. Le parole di Chiara e la sua proposta finale sono state accolte da tutti con immediatezza: la grande festa è stata suggellata da un patto di amore scambievole tra tutta la popolazione, forte e vincolante, espresso con una stretta di mano: “E’ come un giuramento in cui ci impegniamo ad essere sempre nella piena pace fra noi e a ricomporla sempre, ogni volta si fosse incrinata. Solo se l’amore continuerà a brillare in questa città, la benedizione continuerà a scendere dal Cielo per voi, per i vostri figli, per i vostri nipoti.”
E’ infatti proprio l’esperienza di “una benedizione dal Cielo” che segna la storia della cittadina di Fontem: ha preso forma, in poco più di 30 anni, a partire da un piccolo villaggio sperduto nel cuore della foresta, dove la tribù dei Bangwa rischiava l’estinzione per l’altissima mortalità infantile che aveva superato il 90 per cento. Chiara ne ripercorre le tappe: “Siamo nel 1964. Mons. Peeters, il vescovo di una cittadina vicina, riceve una delegazione mandata dal Fon di Fontem, che porta un’offerta. Chiede al vescovo di far pregare i cristiani perché Dio mandi loro aiuto. Il vescovo si rivolge ai focolarini. I primi medici e infermieri arrivano a Fontem agli inizi del ’66. Inizia il primo dispensario in una capanna”. Pochi mesi dopo Chiara visita Fontem. “Ricordo, e lo racconto spesso, come la prima volta io avessi sentito, al momento del raduno nella grande spianata, la presenza di Dio, quasi un sole che tutti ci avvolgeva. E come quella presenza ci avesse dato la forza, l’entusiasmo, la luce per incominciare insieme quest’avventura divina“. Ora si vede apparire un’armoniosa cittadina, con case, chiesa, ospedale, college, scuole elementari e materne, attività lavorative. E’ stato costruito l’acquedotto, arriva l’energia elettrica, strade collegano Fontem con villaggi vicini. Chiara esprime una grande gioia, “soprattutto perché posso costatare che quanto ci aveva fatto prevedere il Signore, durante la seconda visita, nel lontano ’69, si è realizzato“. Suscita commozione in tutti il ricordo di quelle sue parole: “Vedo sorgere in questo posto una grande città che diverrà famosa in tutto il mondo, non tanto perché avrà ricchezze materiali, ma perché in essa brillerà una luce che illuminerà; è la luce che scaturisce dall’amore fraterno tenuto acceso fra noi, in nome di Dio. E qui accorrerà tanta gente per imparare come si fa ad amare“. Da allora questa città è stata meta di molti, da tutta l’Africa, così segnata da conflitti etnici. “Fontem è divenuta centro di irradiazione dell’amore evangelico nel resto dell’Africa e nel mondo”. In questi anni il popolo Bangwa e i popoli vicini Nweh-Mundani, di religione animista, hanno conosciuto il cristianesimo. Chiara, nel suo saluto, richiama il grande messaggio del Giubileo, anno della riconciliazione e del perdono. Ma non tutti sono cristiani. Rivolgendosi a chi è di altre chiese o di altre religioni, ricorda la cosiddetta “regola d’oro“, presente in tutte le religioni del mondo: “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te“. “Perciò tutti – aggiunge – possiamo e dobbiamo continuare ad amarci“. Questa la vocazione di Fontem. Quel patto dell’amore scambievole ha avuto la nota di una grande solennità. Viva la consapevolezza che è la garanzia perché “anche in futuro, la vocazione di Fontem possa continuare ad essere – come dice Gesù – ‘città sul monte’ perché tutti la possano vedere ed imitare“. L’eco di Fontem in questi anni ha raggiunto il mondo, proprio perché lo sviluppo della città è dovuto agli aiuti giunti dal movimento, da tutti i continenti. Chiara infatti nel ’68 lanciava l’Operazione Africa, rivolgendosi soprattutto ai giovani. Ed ha avuto il via una mobilitazione mondiale di comunione di beni durata vari anni, animata dalla presa di coscienza di “dover far giustizia” e contribuire “a colmare il debito che il mondo occidentale ha verso quel continente“. E, insieme a questa grande mobilitazione di solidarietà, di pari passo si sono scoperte le ricchezze dei valori e tradizioni africane. (altro…)
Apr 30, 2000 | Parola di Vita
Il discorso d'addio, dopo l'ultima Cena, è ricchissimo di insegnamenti e di raccomandazioni che, con cuore di fratello e di padre, Gesù dona ai suoi di tutti i secoli. Se tutte le sue parole sono divine, queste hanno accenti particolari, essendo quelle in cui il Maestro e Signore condensa la sua dottrina di vita in un testamento che sarà poi la magna charta delle comunità cristiane. Accostiamoci dunque alla Parola di vita di questo mese, che fa parte appunto del testamento di Gesù, con il desiderio di scoprirne il senso profondo e nascosto, per poterne informare tutta la nostra vita. Leggendo questo capitolo di Giovanni, la prima cosa che balza agli occhi, è l'immagine della vite e dei tralci, così familiare a un popolo che da secoli pianta vigne e coltiva viti da uva. E sa bene che solo il tralcio bene innestato nel tronco può diventare verde di foglie e ricco di grappoli. Mentre quello tagliato, avvizzisce e muore. Non c'era un'immagine più forte per dire quale è la natura del nostro legame con Cristo. Ma c'è anche una parola che risuona con insistenza in questa pagina di Vangelo: “rimanere”, nel senso di essere saldamente legati e intimamente inseriti in lui, quale condizione per ricevere la linfa vitale che ci fa vivere della sua stessa vita. “Rimanete in me e io in voi”, “Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto”. “Chi non rimane in me viene gettato via”. Quindi questo verbo “rimanere” deve avere un significato e un valore essenziali per la vita cristiana.
«Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato».
“Se”. Questo “se” indica una condizione che sarebbe impossibile ad ogni persona di osservare, se per primo Dio non le si fosse fatto incontro. Anzi, di più: se non si fosse a tal punto calato nell'umanità da farsi una sola cosa con essa. E' lui che per primo si innesta, per così dire, nella nostra carne con il Battesimo e la vivifica con la sua grazia. Sta poi a noi realizzare nella nostra vita ciò che il Battesimo ha operato e scoprire le inesauribili ricchezze che vi ha deposto. Come? Vivendo la Parola, facendola fruttare, dandole stabile dimora nella nostra esistenza. Rimanere in lui significa far sì che le sue parole rimangano in noi, non come pietre in fondo a un pozzo, ma come semi nella terra, perché a suo tempo germoglino e diano frutto. Ma rimanere in lui significa soprattutto – come Gesù stesso spiega in questo passo del Vangelo – rimanere nel suo Amore. E' questa la linfa vitale che sale dalle radici, al tronco e fin nei tralci più distanti. E' l'amore che ci lega a Gesù, che ci fa un tutt'uno con lui, come membra – diremmo oggi – “trapiantate” nel suo corpo; e l'amore consiste nel vivere i suoi comandamenti che si riassumono tutti in quel grande e nuovo comandamento dell'amore reciproco. E quasi per darci una conferma, perché possiamo avere la riprova che siamo innestati in lui, ci promette che ogni nostra preghiera sarà esaudita.
«Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato».
Se è lui stesso a chiedere non può non ottenere. E se noi siamo un tutt'uno con lui, sarà lui stesso a chiedere in noi. Se dunque ci mettiamo a pregare, e a domandare qualcosa a Dio, chiediamoci prima “se” abbiamo vissuto la Parola, se siamo rimasti sempre nell'amore. Chiediamoci se siamo sue parole vive, e un segno concreto del suo amore per tutti e per ciascuno di quelli che incontriamo. Può essere pure che si chiedano grazie, ma senza avere nessuna intenzione di adeguare la nostra vita a quanto Dio domanda. Sarebbe giusto allora che lui ci esaudisca? E questa preghiera non sarebbe forse diversa, se sbocciasse dalla nostra unione con Gesù, e se fosse lui stesso in noi a suggerire le richieste al Padre suo? Quindi chiediamo pure qualsiasi cosa, ma preoccupiamoci prima di tutto di vivere la sua volontà, le sue parole, affinché non siamo più noi a vivere, ma lui a vivere in noi.
Chiara Lubich
Apr 14, 2000 | Focolari nel Mondo
A casa c’era un’aria di festa. Per una coincidenza un po’ eccezionale ci ritroviamo: noi due, i bambini, i miei genitori, mia sorella e anche i miei fratelli che, da molti anni ormai sono lontani da casa e non solo fisicamente. Improvvisamente papà si sente male. Non parla più. In pochi minuti quella che doveva essere la festa di famiglia, si avvia ad essere una tragedia. Comincia la corsa agli ospedali: non si trova posto per un malato così grave, anziano. Finalmente lo accettano a un reparto di rianimazione. I miei fratelli, essendo medici si prodigano dapprima con l’impegno di veri professionisti come sono, poi, dopo anni di contestazione di rifiuto, ritrovano per lui quell’amore puro dell’infanzia. Papà esce fuori dal coma. Con parole rotte dalla commozione gli chiedono perdono, gli dicono tutto il bene che gli vogliono. Ma il pericolo di morte non è scongiurato. Sembra arrivata l’ultima ora. Sono proprio loro, agnostici e di fede materialistica, che per ben due volte gli fanno avere l’unzione degli infermi. Uno dei miei fratelli gli sussurra: “Vai, vai sicuro papà. Sono certo che ci rivediamo nell’altra vita”. E’ un’arrivederci. La morte il lunedì verso sera. Tutto è compiuto. E’ un dolore lacerante, ma , davanti a quel corpo che mi ha dato la vita, sento che mio padre non è lì. Sento che è in tutto l’amore umile, concreto che ha sempre dato a ciascuno di noi. Ora tocco con mano, con stupore la verità di quelle Parole di Gesù: “Quando sarò innalzato in croce trarrò tutti a me”. Ora, entrato nella vita senza fine papà continua a operare fra noi, finalmente riuniti. Ai funerali un’aria di serenità e di pace. Accanto a noi i miei fratelli. Da anni non avevano più voluto partecipare a manifestazioni religiose, ora li sento rispondere alla messa, cantare, con una fermezza che è qualche cosa di più di una testimonianza, è una certezza che hanno ritrovato. (altro…)
Mar 31, 2000 | Parola di Vita
Questa parola di Gesù è stupenda. In essa è la chiave del cristianesimo. Era vicina la Pasqua dei giudei e, nella folla dei pellegrini giunti a Gerusalemme, ci sono alcuni greci che chiedono di “vedere Gesù”. I discepoli glielo riferiscono. E Gesù risponde parlando della sua morte imminente. Aggiunge poi che essa, anziché provocare la dispersione dei discepoli – come sarebbe potuto accadere – attirerà “tutti” a lui: non solo i suoi dunque, ma chiunque, giudeo o greco, crederà in lui: tutti, senza discriminazione di razza, di condizione sociale, di sesso. L'opera di salvezza di Gesù è infatti universale e la presenza dei greci è un segno di questa universalità.
«Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me».
Che cosa vuol dire “sarò elevato da terra?” Questa espressione, per l'evangelista Giovanni, significa nello stesso tempo “essere innalzato in croce” ed “essere glorificato”. Giovanni vede infatti nella passione e morte del Cristo la grande dimostrazione dell'amore di Dio per l'umanità. Ma quest'amore è così potente che merita la risurrezione e frutta l'attrazione di tutti a lui. Attorno al Cristo innalzato si costruirà l'unità del nuovo popolo di Dio. E non si può più separare la croce dalla gloria, non si può separare il Crocifisso dal Risorto. Sono due aspetti dello stesso mistero di Dio che è Amore. E' questo Amore che attrae. Il Crocifisso-Risorto esercita nel cuore dell'uomo un'attrazione profonda e personale che avviene in due sensi: per essa Gesù chiama i suoi a condividere la sua gloria; per essa li porta ad amare tutti come lui, fino a dare la vita.
«Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me».
Come vivere noi questa Parola? Come rispondere a tanto amore? Se Gesù è morto per tutti, tutti sono candidati a seguirlo, anzi, di più, tutti sono candidati ad essere altri lui. Guardiamo perciò ogni creatura umana con questi occhi e cioè con uno sguardo d'amore che va al di là di tutte le apparenze. Siano essi cristiani, musulmani, buddisti o di altre convinzioni, tutti devono essere oggetto del nostro amore. Un amore che è pronto a dare la vita. E anche se non ci viene richiesto di dare la vita fisica, ci viene chiesto molto spesso di far morire il nostro amor proprio. Quando innalziamo sulla croce il nostro “io”, quando moriamo a noi stessi per lasciar vivere Cristo, allora potremo vedere anche noi dilatarsi attorno il Regno di Dio. E' stato detto che il mondo è di chi lo ama e meglio sa dargliene la prova. E chi meglio di Gesù l'ha amato? Così potranno amarlo coloro che cercando di imitare lui si donano totalmente al prossimo con un amore disinteressato e universale.
«Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me».
In questo mese cercheremo di accogliere in cuore e tradurre in pratica il prezioso insegnamento del Crocifisso-Risorto. Esso getterà luce sul ruolo del dolore che può sopravvenire nella nostra vita e sulla sua straordinaria fecondità. Giorno dopo giorno, quando siamo colpiti da piccole o grandi sofferenze: un dubbio, un fallimento, un'incomprensione, un rapporto teso, una difficoltà sul lavoro, una malattia, anche una disgrazia o preoccupazioni serie, sforziamoci di accettarle e di offrirle a Gesù come espressione del nostro amore. Uniamo la nostra goccia al mare della sua passione perché frutti il bene di tanti. Una volta fatta l'offerta, cerchiamo di non pensarci più, ma di compiere quanto Dio vuole da noi, lì dove siamo: in famiglia, in fabbrica, in ufficio, a scuola… soprattutto cerchiamo di amare gli altri, i prossimi che ci stanno attorno. E poiché Gesù è morto per tutti e tutti sono chiamati a seguirlo, facciamo in modo che più persone possibile possano incontrare nel nostro amore l'amore di Cristo. E sarà allora lui ad attirare tutti a sé, facendo sì che ci amiamo fra noi e sbocci fra tutti la fratellanza universale.
Chiara Lubich
Mar 15, 2000 | Focolari nel Mondo
In questi mesi, malgrado i disordini in città, ho continuato a vivere nella speranza che un giorno non lontano nel nostro dilaniato Paese regni la pace tra tutti. Nel mio quartiere vivono mescolati gli appartenenti ad etnie diverse. Questo significa ogni giorno morti sulle strade, minacce, violenza, persone che approfittano della situazione incontrollabile per il proprio tornaconto. Pur in tanta desolazione, capisco che, se faccio spazio dentro di me a Dio Amore e lo manifesto agli altri, l’ideale di unità sarà come un seme che alla fine germoglierà in tutti i cuori. Posso coltivare ogni giorno questo seme dovunque mi trovi, al lavoro o con i vicini di casa, senza mai far caso all’etnia di appartenenza. Così, ho stabilito legami veri con tante persone e, anche quando siamo stati costretti a disperderci in altri quartieri per metterci al riparo dalla violenza, abbiamo continuato a cercarci e a vederci di nascosto. L’amore tra noi è stato più forte delle divisioni e della paura dei rischi che correvamo incontrandoci. Purtroppo, però, non è così per tutti e molti mettono a repentaglio anche la vita pur di non avere a che fare con gente di altre etnie ed incorrere in ritorsioni. Sulla strada che percorro ogni giorno per andare al lavoro incontro sempre un uomo con una piaga infetta alla mano. Gli ho domandato perché non va a farsi curare e mi ha risposto che non ha i soldi necessari. Gli ho proposto di venire da me a medicarsi, mi pagherà quando potrà. È venuto un paio di volte, poi non l’ho più visto. L’ho incontrato di nuovo e gli ho chiesto perché non era più venuto a curarsi. Mi ha detto che ha paura: di me che non appartengo alla sua etnia, di chi incontra lungo la strada e dei suoi fratelli che potrebbero punirlo perché si è fatto curare da persone di etnie diverse. Mi sono resa conto di come ormai in molti abbiano perso ogni fiducia negli altri. Ho sentito che dovevo amarlo fino alla fine e interrompere questa catena di odio e di pregiudizi: ho deciso allora di portare con me il materiale sanitario necessario per rifargli la fasciatura ogni giorno, al ritorno dal lavoro. Un posto tranquillo in cui medicarlo mi è sembrato, in mancanza di meglio, il piccolo rifugio di legno dove sostano a volte i soldati addetti alla vigilanza nel nostro quartiere. Ho chiesto loro il permesso e me l’hanno accordato, un po’ sorpresi e curiosi nel vedere che curavo una persona di un’altra etnia. Sistemata la fasciatura, mi sono accorta di aver dimenticato a casa le forbici. Mi son guardata intorno in cerca di qualcosa che fosse adatto a tagliare la benda e, subito, il soldato che mi guardava mi ha offerto, con molta gentilezza, la sua baionetta. Il ferito era sbalordito e contento, sia per la premura dei soldati sia per la mia determinazione a curarlo. Mi ha detto che non pensava esistessero persone che non fanno dell’appartenenza etnica una barriera. È stata per me una conferma in più che l’amore è l’unica soluzione ai nostri problemi. Spes (Burundi) (altro…)
Mar 14, 2000 | Focolari nel Mondo
“Ho riscoperto il Vangelo sotto una nuova luce. Ho scoperto che non ero una cristiana autentica perché non lo vivevo sino in fondo. Ora voglio fare di questo magnifico libro il mio unico scopo. Non voglio e non posso rimanere analfabeta di un così straordinario messaggio. Come per me è facile imparare l’alfabeto, così deve essere anche vivere il Vangelo”. (Chiara Luce Badano) “Chiara Luce! Quanta luce si legge sul suo volto, quanta luce nelle sue parole, nelle sue lettere, nella sua vita tutta protesa ad amare concretamente tanti! … Scelta radicale di Gesù crocefisso e abbandonato, la sua; scelta di ciò che fa male e che, se non si ama, può trascinare lo spirito in una galleria oscura. Con Lui ha vissuto, con Lui ha trasformato la sua passione in un canto nuziale”. (Chiara Lubich) “La sua è una testimonianza significativa in particolare per i giovani. Basta considerare come ha vissuto la malattia, vedere l’eco suscitata dalla sua morte. Non si poteva lasciar cadere un esempio di questa portata. C’è bisogno di santità anche oggi. C’è bisogno di aiutare a trovare un orientamento, uno scopo alla vita, aiutare i giovani a superare le loro insicurezze, la loro solitudine, i loro enigmi di fronte agli insuccessi, al dolore, alla morte. I discorsi teorici non li conquistano, ci vuole la testimonianza”. “Nei colloqui con lei notavo una maturità di gran lunga superiore alle giovani della sua età. Aveva colto l’essenziale del cristianesimo: Dio al primo posto; Gesù, con cui aveva un rapporto spontaneo, fraterno; Maria come esempio; la centralità dell’amore; la responsabilità di annunciare il vangelo. Tutto questo, collaudato dall’esperienza della sofferenza e della morte, non temuta ma attesa, ha reso la sua vicenda veramente singolare”. (altro…)
Feb 29, 2000 | Parola di Vita
L'evangelista Marco – e con lui anche Matteo e Luca – ci riferiscono che Gesù un giorno ha preso in disparte Pietro, Giacomo e Giovanni e li ha condotti su di un alto monte. Lì, ad un certo momento, avvenne un fatto straordinario: Gesù si trasfigurò davanti a loro, le sue vesti divennero bianchissime ed apparvero Mosè ed Elia che discorrevano con lui. Una nube avvolse i tre apostoli e dalla nube si udì una voce, la voce del Padre celeste, la quale si rivolgeva loro appunto con queste parole:
«Questi è il figlio mio prediletto: ascoltatelo!»
Già all'inizio della sua missione, al battesimo nel Giordano, quella stessa misteriosa voce si era fatta udire: “Tu sei il Figlio mio, il prediletto: in te ho posto il mio amore”. Questa volta il Padre si rivolge ai discepoli di Gesù, e a tutti noi, per invitarci all'ascolto del Figlio. La parola chiave di questo mese è dunque: ascoltare. E quando il Figlio ha parlato? Dove troviamo la sua Parola? Nei Vangeli. Apriamoli, leggiamoli con amore. Il Vangelo è la Parola di Gesù. Egli però ci parla anche in altri modi. Ma come fare a riconoscere la sua voce, a distinguerla fra tante e a sintonizzarci sulla sua lunghezza d'onda? C'è un momento forte nel quale egli parla alla nostra anima: è nella preghiera, e quanto più cerchiamo di amare Dio nel nostro cuore tanto più la sua voce si fa sentire e ci guida dal più profondo del nostro essere. Ma anche ogni incontro della giornata può essere un'occasione di ascolto: mettendoci, di fronte ad ogni prossimo, in un silenzio d'amore che accoglie l'altro, chiunque esso sia, perché – Gesù ce lo ha rivelato – è lui stesso che si nasconde dietro ad ogni essere umano. Come cambierebbero i nostri rapporti se si coltivasse di più questa rara qualità dell'ascolto, che può essere l'unico modo, a volte, con cui dimostrare la nostra attenzione verso chi ci sta vicino, anche se sconosciuto! Qui sta dunque il segreto: per disporci all'ascolto della voce di Dio, mettersi all'ascolto della sorella, del fratello.
«Questi è il figlio mio prediletto: ascoltatelo!»
La voce di Gesù ha anche un timbro chiaro e inconfondibile, parla forte e si fa sentire distintamente, quando è presente fra noi, per il nostro amore scambievole. La sua presenza fra due o più uniti nel suo nome fa, in qualche modo, da altoparlante della voce di Dio nel nostro cuore. E ascoltarlo perciò sarà più facile perché più sintonizzati sui suoi pensieri, sui suoi insegnamenti. Nel Vangelo di Luca abbiamo inoltre una frase di Gesù sull'ascolto di quelli che egli manda: “Chi ascolta voi ascolta me”. Erano i 72. Oggi nella Chiesa cattolica questa frase indica coloro ai quali ha affidato in modo particolare il suo messaggio: i suoi ministri, dai quali la Parola di Dio viene annunciata. Ma vi sono anche quei “testimoni” di Gesù che, ascoltando la sua Parola e mettendola in pratica nel modo più radicale, la fanno risuonare sempre di nuovo nel mondo e aprono i cuori all'ascolto.
Così, anche se una sola è la voce, molti sono i modi con cui si rivolge a noi: nell'intimo del cuore e per bocca dei fratelli e delle sorelle, dal pulpito di una chiesa, dalle pagine del suo Vangelo o nei carismi dei “testimoni”. La Parola di questo mese ci aiuterà ad ascoltare – e a vivere – quanto Gesù vorrà dirci.
Chiara Lubich
Feb 21, 2000 | Chiesa, Spiritualità
“Nel corso del vostro incontro un posto privilegiato occupa la riflessione sulla preghiera di Gesù all’ultima cena ‘affinché tutti siano una cosa sola’. Fedeli alla spiritualità dell’unità ed attraverso un costante scambio di esperienze, proseguite nella vostra missione di costruttori di comunione all’interno delle Conferenze episcopali, insieme al presbiterio e nelle comunità diocesane. Mentre auguro ogni buon esito alla vostra riunione, accompagno i miei voti con la preghiera al Signore e a Maria, Madre dell’Unità”. Queste le parole pronunciate dal Santo Padre all’Udienza generale che ha segnato il culmine del 24° Convegno spirituale dei Vescovi amici del Movimento dei Focolari, svoltosi dal 19 al 25 febbraio al Centro Mariapoli di Castelgandolfo Esperienza di comunione “Chiesa nel terzo millennio: segno e strumento di unità” il tema che è stato sviluppato in questo Convegno promosso dal Card. Miloslav Vlk, arcivescovo di Praga attraverso una grande varietà di temi di spiritualità, contributi teologici, esperienze pastorali e personali, dialoghi plenari o in gruppi linguistici, momenti ricreativi e le concelebrazioni eucaristiche che concludevano ogni giornata. I 106 Vescovi, provenienti da oltre trenta paesi di ogni parte del mondo, hanno respirato insieme un’aria festosa e distesa di profonda comunione che in ultima analisi è stata esperienza del Cristo vivente. Per il futuro della Chiesa Il tema dell’unità è stato introdotto da un intervento di Natalia Dallapiccola, una delle prime compagne che con Chiara Lubich ha iniziato il Focolare. “Secondo la nostra esperienza – ha detto – il cammino verso l’unità passa per un amore reciproco vissuto con radicalità evangelica, fino a posporre il proprio io per l’altro, affinché Gesù stesso possa vivere in mezzo a ‘due o più che sono riuniti nel suo nome’, nel suo amore, come da Lui promesso”. Successivamente, due meditazioni teologiche proposte da Piero Coda e P. Jésus Castellano hanno delineato il volto della Chiesa del III millennio come “icona della Trinità” ed hanno evidenziato lo stile pastorale che ne deriva. Uno degli argomenti trattati è stato l’ecumenismo, considerato parte dei compiti imprescindibili di ogni Vescovo. Si sono evocati passi recenti come la Dichiarazione cattolico-luterana sulla dottrina della giustificazione ad Augsburg e la celebrazione ecumenica per l’apertura della Porta Santa a San Paolo fuori le mura. E si è parlato di spiritualità ecumenica. Toccante, per i Vescovi, la testimonianza di una laica e un sacerdote, entrambi focolarini anglicani, che hanno riferito dei riflessi della spiritualità dell’unità nella loro vita e nella loro Chiesa. Ma anche altri dialoghi, proposti dal Concilio Vaticano II, sono stati approfonditi da riflessioni ed esperienze di grande attualità. Nella scia del Giubileo Chiara Lubich, nel suo intervento, ha schiuso prospettive forti e luminose su salute e malattia, anzianità, morte, risurrezione, come esperienze fondamentali dell’esistenza cristiana, tematiche di particolare rilevanza in questo Anno giubilare che ha per centro il mistero dell’incarnazione. “Nella vita si possono fare tante cose, dire tante parole – ha affermato – ma la voce del dolore, magari sorda e sconosciuta agli altri, del dolore offerto per amore è la parola più forte, quella che ferisce il Cielo”. Nella prospettiva cristiana, infatti, la malattia non è semplice disfacimento, ma gradino verso la Vita, prova in vista della Prova finale. E “non è per fare pensieri neri, ma d’oro, che pensiamo alla morte”, perché la morte non è che l’incontro con il Signore. Un arcivescovo indiano, che partecipava per la prima volta al Convegno, riassumeva così la sua impressione: “Sono convinto che una spiritualità dell’unità, vissuta da tutto il Popolo di Dio, è il futuro della Chiesa.” (altro…)
Feb 6, 2000 | Focolari nel Mondo
Un mese di stage presso un quotidiano, nella redazione cronaca di Firenze. Un posto vinto inaspettatamente e l’occasione di farmi le ossa sul campo dopo cinque anni di studi teorici. Fin dal primo giorno lavoro a pieno ritmo, anche se a volte come uno che annaspa per non affogare. E mi rendo conto della responsabilità etica e civile che comporta fare il giornalista. Come pure che prima della notizia, dello scoop, viene la persona. Il primo giorno mi mandano ad intervistare parenti e amici di un giovane rimasto ucciso in una rissa, fuori della discoteca. Avrei preferito rispettare un momento così doloroso e sacro. Ma davanti al “dovere di cronaca” ho cercato di farmi uno con quelle persone, entrando nella loro storia in punta di piedi. M’invitano a raccogliere le opinioni di residenti e commercianti di un quartiere, rivoluzionato dal nuovo piano di traffico; cerco di ‘calarmi’ nella loro situazione. Nell’articolo dico la verità, anche se molto scomoda per l’assessore al traffico. Evito però di riportare certe dichiarazioni, che potrebbero costare loro care, anche se erano uno scoop. Molti mi ringraziano per l’ascolto attento, per la sollecitudine, per l’onestà. Ho potuto poi constatare quanto in redazione domini il pregiudizio secondo cui le notizie positive non interessano ai lettori. Quindi si cerca caparbiamente il negativo, anche quando non c’è. Eppure quando ho scritto un articolo sui giudizi molto positivi dei degenti in alcuni reparti dell’ospedale, … sorpresa: sono stati pubblicati. E non è stato l’unico caso. Ho visto poi quanto la cosiddetta “obiettività” del giornalista significhi dirittura morale e onestà intellettuale, completezza e accuratezza nell’esporre i fatti. Come quando ho ‘scoperchiato’, quasi incidentalmente, gravi disservizi in un ente pubblico, che hanno scatenato un polverone (un ministro è anche intervenuto sul giornale). Lì ho sentito il dovere di interpellare tutte le voci in causa: impiegati, direttore, responsabile politico. Così quando dovevo scrivere su un incontro, ad alto livello, fra un gruppo di managers e sindacalisti cileni e i sindacati italiani: anziché il solito rimpasto della notizia di agenzia, ho voluto documentarmi bene sulla situazione di questo Paese per amarlo come fosse il mio. Le personalità cilene sono rimaste così contente che hanno incorniciato l’articolo. Anche il console del Cile mi ha ringraziata e, in rappresentanza del quotidiano, mi ha invitata alla cena con la delegazione cilena. Ma il tempo per il mio stage scade. Sono serena per il futuro: le porte aperte o chiuse saranno i segni del percorso. Intanto il quotidiano mi ha proposto di mantenere la collaborazione. I. R. (altro…)
Gen 31, 2000 | Parola di Vita
L'apostolo Paolo ha un modo di comportarsi, nella sua straordinaria missione, che si potrebbe esprimere così: farsi tutto a tutti. Egli, infatti, cerca di comprendere tutti, di entrare nella mentalità di ciascuno, per cui si fa giudeo con i giudei. E con i non giudei – coloro cioè che non avevano una legge rivelata da Dio – diventa come uno che non ha legge. Egli aderisce alle usanze giudaiche ogni volta che ciò serve a rimuovere ostacoli, a riconciliare animi, e, operando nel mondo greco-romano, assume le forme del vivere e della cultura congeniali a tale ambiente. Qui dice:
«Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno».
Ma chi sono questi “deboli”? Sono cristiani che, perché hanno una coscienza fragile e poca conoscenza delle cose, sono facili a scandalizzarsi. Così poteva succedere per la questione delle carni immolate agli idoli. Si poteva mangiarle o no? Paolo sa che c'è un Dio solo e che gli idoli non esistono. Di conseguenza, non esistono carni sacrificate agli idoli. Ma i “deboli”, abituati ad un certo modo di ragionare e di poca istruzione, potevano pensare il contrario e rimaner disorientati. Paolo si pone nella gracile mentalità di questi cristiani e, per non turbarli, pensa che non è il caso di cibarsi di quelle carni.
«Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno».
Ma cosa spinge Paolo ad un tale atteggiamento? Pur nella libertà del cristianesimo che egli annuncia, avverte l'esigenza, anzi l'imperativo, di farsi schiavo di qualcuno; dei suoi fratelli, di ogni prossimo, perché il suo modello è il Crocefisso. Dio, incarnandosi, s'è reso vicino ad ogni uomo, ma sulla croce s'è fatto solidale con ciascuno di noi peccatori, con la nostra debolezza, con la nostra sofferenza, con le nostre angosce, con la nostra ignoranza, con i nostri abbandoni, con i nostri interrogativi, con i nostri pesi… Anche Paolo vuole vivere così, e per questo afferma:
«Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno».
E allora, come vivere anche noi questa nuova Parola di vita? Lo sappiamo: il perché della vita e dei suoi giorni è arrivare a Dio. E non da soli ma con i fratelli e le sorelle. Anche su di noi cristiani, infatti, è scesa una chiamata di Dio simile a quella rivolta a Paolo. Anche noi, come l'Apostolo, dobbiamo “guadagnare” qualcuno, “salvare ad ogni costo qualcuno”. La strada? “Farsi uno” con i prossimi, siano essi piccoli o adulti, ignoranti o dotti, ricchi o poveri, uomini o donne, connazionali o stranieri. Ci sono quelli che incontri per strada, con cui parli al telefono, per i quali lavori… Bisogna amare tutti. Ma preferire i più deboli. Farsi “debole con i deboli, per guadagnare i deboli”. Rivolgersi a chi è fiacco nella fede, agli indifferenti, a chi si professa ateo, a chi denigra la religione. Se ci faremo uno con loro, sperimenteremo l'infallibile metodo apostolico di Paolo: daremo una testimonianza di Dio che li affascinerà. Perciò oso dire a te che leggi: hai una moglie (o un marito) che non ama affatto la Chiesa e le è piacevole stare ore e ore alla televisione? Falle compagnia, come puoi, quanto puoi, interessandoti a quanto più ama seguire. Hai un ragazzo che ha fatto del calcio il suo idolo, disinteressandosi d'ogni altra cosa sì da dimenticare come si prega? Appassionati di sport più di lui. Hai un'amica che ama viaggiare, leggere, istruirsi ed ha gettato al vento ogni principio religioso? Cerca di capirla nei suoi gusti, nelle sue esigenze. Fatti uno, uno con tutti; in tutto, quanto puoi, tranne il peccato. Se peccano, dissociati. Vedrai che il farsi uno con i prossimi non è tempo perso; è tutto guadagnato. Un giorno – e non sarà troppo lontano – essi vorranno sapere ciò che interessa a te. E, grati, scopriranno, adoreranno e ameranno quel Dio che è stato la molla di questo tuo comportamento cristiano.
Chiara Lubich
Gen 27, 2000 | Chiesa
Ho appreso con gioia che il prossimo 22 gennaio, in occasione del Suo 80° genetliaco, l’Amministrazione Comunale di Roma intende conferirle solennemente la cittadinanza onoraria. In tale felice ricorrenza, desidero farle giungere anch’io fervidi auguri di ogni bene, mentre mi unisco al Suo rendimento di grazie a Dio per l’inestimabile dono della vita. Dopo averla chiamata con il Battesimo a diventare sua figlia amata, Egli ha voluto unirla più intimamente a Cristo povero, casto e obbediente mediante la totale consacrazione al suo amore, per essere con cuore indiviso messaggera di unità e di misericordia tra tanti fratelli e sorelle, in ogni angolo del mondo. Sulle orme di Gesù, crocifisso e abbandonato, Ella ha dato vita al Movimento dei Focolari, per aiutare uomini e donne del nostro tempo a sperimentare la tenerezza e la fedeltà di Dio, vivendo tra loro la grazia della comunione fraterna, così da essere annunciatori gioiosi e credibili del Vangelo. Mentre affido alla protezione di Maria, Madre dell’unità, la Sua persona ed il bene compiuto in questi lunghi anni, invoco su di Lei la forza e la luce dello Spirito Santo perché possa continuare ad essere testimone coraggiosa di fede e di carità non soltanto tra i Membri dei Focolari, ma anche tra tutti coloro che incontra sul Suo cammino. Nel rinnovare cordiali voti di giorni, sereni e illuminati dalla grazia divina, Le imparto di cuore, in segno di costante affetto, una speciale Benedizione Apostolica, volentieri. estendendola a quanti Le sono cari. Joannes Paulus II (altro…)
Gen 21, 2000 | Chiara Lubich, Cultura, Focolari nel Mondo
Apponendo la firma sul libro d’oro del Campidoglio, Chiara Lubich ha così siglato il suo auspicio per la città: “Gloria a Roma, per la gloria di Dio”. Ben sintetizza ciò che è avvenuto quella mattina in Campidoglio. “Io questo lo chiamerei proprio un evento. Ha un significato profondo”. Così la filosofa Ales Bello. Se la presidente del Consiglio comunale, on. Luisa Laurelli, il prof Andrea Riccardi e il sindaco Rutelli nei discorsi ufficiali avevano, con tonalità diverse, posto in primo piano la vita, la spiritualità e l’opera di Chiara Lubich sullo sfondo della missione universale di Roma, la neo-cittadina romana, nel suo intervento, ha capovolto i termini: protagonista era Roma, “la vocazione unica di universalità e di unità di questa città indefinibile, reale e misteriosa insieme”. In una intervista aveva appena dichiarato: “Ho ricevuto altre cittadinanze, ma questa è senz’altro quella che amo di più, perché Roma è Roma. Non solo è ricca di storia, arte, cultura, ma soprattutto è come un prezioso scrigno che contiene il cuore della cattolicità. ‘Roma è l’unità’, come ha detto Papa Paolo VI. Roma è chiamata a concorrere a realizzare nel mondo la fraternità universale”. E dal nuovo impegno assunto personalmente insieme a tutto il Movimento dei focolari di “dedicarci d’ora in poi a questa città più e meglio”, ha esteso a tutte le personalità presenti una singolare richiesta di aiuto: “diffondere insieme ovunque quell’arte di amare che emerge dal Vangelo, perché Roma diventi per il mondo quel braciere di fuoco e di luce che non può non essere, se deve cooperare a portarvi l’unità”. Molti erano i politici, di tutti gli schieramenti, presenti nella storica Aula Giulio Cesare: non solo i consiglieri e gli assessori comunali, ma a livello europeo e nazionale: da Romano Prodi, presidente della Commissione europea, ai segretari di Partito: Castagnetti (P. Popolare), e Fini (Alleanza Nazionale), al capogruppo al Senato di Forza Italia, Enrico La Loggia, al presidente della Regione Lazio Badaloni, 10 magistrati, tra cui Caselli, 23 sindaci. Ed ancora personalità del mondo ebraico, islamico e buddista, delle diverse Chiese cristiane presenti a Roma; 4 cardinali, 20 vescovi, e rappresentanti di Movimenti ecclesiali. C’è chi, come il vescovo Boccaccio, ha osservato “il volto assorto di quanti ascoltavano, di ogni estrazione”. Sulla stampa sono comparsi titoli non certo usuali, del tipo: “Amate per primi, pure i politici – ll messaggio di Chiara Lubich”, come si leggeva sul Messaggero. E sul Corriere della Sera: “Bisogna amare anche i politici”. Ed era proprio questo l’auspicio del Papa, nella lettera letta dal Nunzio apostolico Montezemolo in cui invocava su Chiara “la forza e la luce dello Spirito Santo, perché possa continuare ad essere testimone coraggiosa di fede e di carità non soltanto tra i membri dei Focolari, ma anche tra tutti coloro che incontra sul suo cammino”. (altro…)
Gen 17, 2000 | Ecumenismo
Poco prima delle 11:30 quelle sei mani, del metropolita Athanasios, del primate inglese Carey e del papa, che hanno spinto insieme, con forza, la Porta Santa di San Paolo, hanno dato inizio al rito ecumenico probabilmente di maggior peso dell’ intero Giubileo.
“L’amore di Cristo” aveva detto poco prima Giovanni Paolo II’ ‘ci chiama alla comunione e alla carità perfetta, al di la’ dei nostri peccati e delle nostre divisioni”. L’ apertura della quarta ed ultima Porta Santa delle basiliche romane è stata preceduta da un lungo rito, cominciato sotto il grande chiostro che precede l’atrio della chiesa, alle 11.
ll Papa con Athanasios e Carey
Preghiere in inglese, francese, greco; cardinali e metropoliti ortodossi insieme con esponenti luterani ed anglicani. Vesti violette e rosse cattoliche, strascichi degli stessi colori, bastoni d’ebano e avorio, gli anglicani in rosso, il papa con un grande mantello color oro. Un insieme, che vede riuniti esponenti di 22 chiese cristiane, quale non si era mai visto dopo il Concilio, un insieme di grande impatto, sottolineato dallo straordinario applauso che ha accolto, dall’ interno della basilica, l’apertura della Porta. ”Ascolta o Padre – ha detto ancora il papa, prima dell’apertura della Porta – la nostra preghiera e unisce i cuori dei fedeli nella lode del tuo nome e nel comune impegno di conversione, perché, superata ogni divisione fra i cristiani, la tua Chiesa si ricomponga in comunione perfetta, e nella gioia del Cristo cammini verso il tuo Regno”. Il rito, che non è una Messa, perché la celebrazione comune dell’ Eucarestia non è ancora possibile nella attuale situazione dei rapporti tra cristiani, è presieduto dal papa. Ma fin dall’inizio rappresentanti delle altre chiese e comunioni presenti intervengono nei vari momenti della celebrazione. Almeno 15 di loro partecipano attivamente alla proclamazione dei testi o nel compiere alcuni gesti rituali. Così, prima dell’ apertura della Porta, le preghiere del papa si sono inframmezzate con quelle di anglicani, ortodossi e luterani. Così la processione che ha percorso il colonnato di fronte alla Porta Santa aveva un ordine di precedenze che vedeva insieme tutti i rappresentanti delle diverse chiese. Così in tre hanno spinto la Porta (per tre volte, per riuscire ad aprirla). E se il primo ad entrare è stato Giovanni Paolo II, a porgergli il Vangelo è stato un diacono ortodosso; e se a mostrare il Vangelo all’ esterno della chiesa è stato il papa, a mostrarlo all’interno è stato Athanasios e a benedire ad ovest e ad est sono stati Carey ed un altro metropolita ortodosso. (ANSA). 18-01-2000 11:50
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Gen 16, 2000 | Spiritualità
Il brano che segue, preparato di recente da Chiara Lubich per un incontro con amici ebrei, rispondeva ad una domanda sul significato del dolore, e del dolore legato all’amore. “È un argomento difficile, il più difficile da affrontare specialmente per me, ora, davanti a persone che fanno parte di un popolo che ha sperimentato come nessuno in questo secolo la sofferenza, il dolore indescrivibile della Shoah, quell’immane tragedia che è stata forse la prova più grande che abbia mai dovuto subire il popolo ebraico o qualsiasi altro popolo. Tanto che uno dei vostri grandi pensatori, Martin Buber, ha potuto coniare la metafora dell’Eclissi di Dio, perché Auschwitz ha messo in discussione la fede stessa. “Il problema del dolore è antico quanto l’uomo che ha cercato di dargli una quantità di risposte attingendo alla sapienza umana, alla filosofia, alla psicologia. Ma il problema rimane e soprattutto rimane la realtà del dolore. Cercherò di dirvi come noi lo abbiamo affrontato, premettendo che la nostra è stata un’esperienza fatta nel solco della tradizione cristiana. “Non sono stati i duri tempi di guerra che ci hanno portato ad una riflessione sul dolore. Anzi dobbiamo dire che la fede nell’amore di Dio era così luminosa e gioiosa da farci quasi scomparire gli orrori della guerra, anche se vivevamo gomito a gomito con tutti e condividevamo le tragedie di chi ci stava accanto. Finché un giorno la nostra attenzione fu richiamata su quel grido in aramaico di Gesù sulla croce: Elì, Elì, lemà sabactàni?, Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?, che è l’inizio del Salmo 22. Ci fu detto che quello era stato il più grande dolore di Gesù, perché abbandonato da tutti si sentì abbandonato anche da Dio. “Ora questo fatto ci ha fatto pensare. Come mai, abbiamo detto, il Padre ha permesso che Gesù provasse un dolore così grande? Non amava egli il Figlio infinitamente? Ed abbiamo capito: l’ha permesso perché c’era su Gesù un disegno d’amore particolare: Egli doveva soffrire per tutti gli uomini e poi risorgere. E gli uomini, che avrebbero creduto in lui, sarebbero risorti con lui. Gesù, asceso al Cielo, avrebbe goduto per tutta l’eternità anche di ciò che lui aveva fatto in terra. La storia di Gesù ci ha così illuminato su ogni storia umana dolorosa. Anche noi siamo figli di Dio. Anche su di noi c’è uno splendido disegno. Merita soffrire per raggiungerlo. “Mi sembra che la meditazione sul dolore che ha provato Gesù nell’abbandono non sia estranea nemmeno alla vostra tradizione e alla vostra storia. Mi ha molto colpito infatti un passo del Talmud che mi permetto di riportare: “Chiunque non prova il nascondimento del volto di Dio, non fa parte del popolo ebraico” (TB, Hagigah 5b). In tutta la storia ebraica, da Abramo in poi, ci sono momenti e situazioni che sembrano segnati dal “nascondimento del volto di Dio”. Non per nulla nei Salmi spesso si esprime angoscia sull’esperienza che “Dio nasconde il suo volto”. “Ma nascondimento di Dio non vuol dire assenza di Dio. Forse su questa terra rimarrà sempre un mistero perché Dio ha permesso questo buio, ma l’eclissi non permane. La Shoah, questo trauma che ha segnato la storia dell’umanità, oltre a quella del popolo ebraico, non è stata la vittoria definitiva del male. Allora è possibile la nascita di una nuova vita? E che appaia nuovamente il volto di Dio dopo un’eclissi così spaventosa? Con questa speranza “il ricordo”, che è così importante, può servire a dare una svolta alla storia e a costruire un mondo nuovo. “Il mio augurio e la mia preghiera è che si ricordi la Shoah sempre di più come un passaggio e come la fine di un’epoca e l’inizio di una nuova, proprio per quell’alleanza da Dio mai revocata con il Suo popolo. E noi vi saremo accanto ogni giorno in questo vostro cammino che è anche nostro”. (Da Città Nuova n.2 – 2000) (altro…)
Gen 14, 2000 | Focolari nel Mondo
Sono italiana e frequento il secondo anno di Psicologia all’Università di Swansea, e sono cattolica. Vivo con altre cinque studentesse, da Spagna, Italia e Grecia. Ci conosciamo molto bene ed abbiamo condiviso molte cose, ma non parlavamo mai di religione. Una domenica, mi stavo preparando per andare a messa, quando Natasha, una delle ragazze greche, mi ha chiesto dove stavo andando. Ho esitato a rispondere, dato che molti studenti disprezzano quelli che vanno in chiesa. Ero tentata di cambiare argomento o di dire una bugia. Ma mi sono resa conto che sarebbe stato dire una bugia a Gesù in lei. Così le ho detto la verità, le ho parlato della mia fede e di come Dio è la cosa più importante. Ero pronta a che lei prendesse malamente quanto dicevo, e sono stata invece sorpresa nel sentire che anche lei era cristiana! Era greco-ortodossa e – dato che non ci sono chiese greco-ortodosse in Swansea – doveva andare a Cardiff, a circa un’ora di autobus, quando voleva andare in chiesa. Ci siamo messe d’accordo che – quando lei non fosse potuta andare a Cardiff – sarebbe venuta a Messa con me. Non dimenticherò mai la gioia che avevo in cuore quella sera, quando abbiamo pregato Dio insieme, al di là delle nostre differenti denominazioni. Essendo italiana, non avevo mai avuto prima questa esperienza. In Italia sono pressoché tutti cattolici. Prima di quel giorno non avevo mai capito realmente l’ecumenismo, e quanto sia importante. La domenica successiva, dopo la Messa, il sacerdote è venuto alla porta della chiesa a salutare le persone, e ha chiesto a Natasha da dove veniva. Quando ha sentito che era greca e ortodossa, ci ha invitato a prendere una tazza di thè. E’ stato molto sorpreso che la maggior parte degli studenti dell’università non avevano in Swansea nessuna celebrazione delle rispettive liturgie. Subito le ha detto che conosceva il prete ortodosso di Cardiff e che gli avrebbe suggerito di celebrare la liturgia ortodossa nella chiesa cattolica di Swansea. Ora più di cinquecento membri della Chiesa greco-ortodossa celebrano la loro liturgia ogni due settimane nella nostra chiesa. Per me quella domenica è stata grande esperienza. Mi sono resa conto di come è importante amare Gesù in ogni persona che incontro durante la giornata e scegliere Lui in ogni momento. Non avrei mai potuto immaginare le conseguenze di averlo fatto quel giorno. L.S. (altro…)
Gen 9, 2000 | Spiritualità
Se osservo ciò che lo Spirito Santo ha fatto con noi e con tante altre “imprese” spirituali e sociali oggi operanti nella Chiesa, non posso non sperare che Egli agirà ancora e sempre con tale generosità e magnanimità. E ciò non solo per opere che nasceranno ex-novo dal suo amore, ma per lo sviluppo di quelle già esistenti come la nostra. E intanto per la nostra Chiesa sogno un clima più aderente ad essa come Sposa di Cristo; una Chiesa che si mostri al mondo più bella, più una, più santa, più carismatica, più conforme al suo modello Maria, quindi mariana, più dinamica, più familiare, più intima, più configurata a Cristo suo Sposo. La sogno faro dell’umanità. E sogno in essa una santità di popolo, mai vista. Sogno che quel sorgere – che oggi si costata – nella coscienza di milioni di persone d’una fraternità vissuta, sempre più ampia sulla terra, diventi domani, con gli anni del 2000, una realtà generale, universale. Sogno con ciò un retrocedere delle guerre, delle lotte, della fame, dei mille mali del mondo. Sogno un dialogo d’amore sempre più intenso fra le Chiese così da vedere ormai vicina la composizione dell’unica Chiesa. Sogno l’approfondirsi d’un dialogo vivo e attivo fra le persone delle più varie religioni legate fra loro dall’amore, “regola d’oro” presente in tutti i loro libri sacri. Sogno un avvicinamento ed arricchimento reciproco fra le varie culture nel mondo, sicché diano origine ad una cultura mondiale che porti in primo piano quei valori che sono sempre stati la vera ricchezza dei singoli popoli e che questi s’impongano come saggezza globale. Sogno che lo Spirito Santo continui ad inondare le Chiese e potenzi i “semi del Verbo” al di là di esse, cosicché il mondo sia invaso dalle continue novità di luce, di vita, di opere che solo Lui sa suscitare. Affinché uomini e donne sempre più numerosi s’avviino verso strade rette, convergano al loro Creatore, dispongano anima e cuore al suo servizio. Sogno rapporti evangelici non solo fra singoli, ma fra gruppi, Movimenti, Associazioni religiose e laiche; fra i popoli, fra gli Stati, sicché si trovi logico amare la patria altrui come la propria. E logico il tendere ad una comunione di beni universale: almeno come punto d’arrivo. Sogno un mondo unito nella varietà delle genti con una sola autorità alternantesi. Sogno perciò già un anticipo di Cieli nuovi e terre nuove come è possibile qui in terra. Sogno molto, ma abbiamo un millennio per vederlo realizzato. da Città Nuova 10/1/2000 (altro…)
Dic 31, 1999 | Parola di Vita
E’ un inno di lode e di riconoscenza a Dio. Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe è il Dio, Padre di Gesù Cristo, che egli ha risuscitato dai morti. “Con lui”, Gesù, “ha risuscitati e fatti sedere nei cieli” [1] anche noi, che siamo “opera sua” e “suo corpo” [2]. La benedizione di Dio su Abramo (“in te saranno benedette tutte le nazioni della terra” [3]) si compie in Gesù. Gesù ha attirato su di sé la benedizione paterna, rivestito di quell’amore al quale il Padre non può non rispondere perché egli è la sua stessa Parola fattasi carne. E' la sua Parola vivente, il suo Verbo che ha assunto la nostra natura umana per stare fra noi e comunicarci la Vita vera. Per fare di noi un solo corpo con lui e comunicarci il suo Spirito per il quale possiamo chiamare Dio Padre, Abbà! E noi come possiamo vivere in maniera degna della benedizione del Padre? Come attirare su di noi quella benedizione che dona gioia e fecondità a tutto ciò che pensiamo? Vivendo da figli, nel Figlio, essendo come lui Parola viva. Vivendo la Parola, infatti, veniamo trasformati nella Parola, in Cristo.
«Benedetto sia Dio… che ci ha benedetti… in Cristo».
Il Vangelo non è un libro di consolazione ove ci si rifugia nei momenti dolorosi per averne una risposta, ma è un codice che contiene le leggi della vita, di ogni momento della vita; leggi che non vanno solo lette e osservate, ma messe in pratica, cioè profondamente assimilate così da vivere come Cristo, da essere un altro Cristo in ogni istante. Così non possiamo pensare la Parola come una pura, semplice, dolce espressione di saggezza umana. La Parola di Dio è qualcosa di più di un messaggio. Quando egli parla dice se stesso, dona se stesso. “Dio non dona mai meno di se stesso”, ricorda Agostino di Ippona [4]. E poiché Dio è Amore ogni sua Parola è amore. Accogliere e vivere la Parola fa essere amore come Dio è Amore. Per la Parola, dunque, dovrebbero cambiare tutti i nostri rapporti: quello con Dio e quelli con il prossimo, perché essa ha in sé una forza dinamica, creatrice. Vivendo la Parola nasce e si compone la comunità cristiana fra persone che si amano e formano un solo popolo: il popolo di Dio. E su questo popolo scende la benedizione di Dio, e cioè su tutti noi, nella misura in cui sappiamo trattarci da fratelli e sorelle nell’unico Padre superando tutti gli individualismi, i pregiudizi, le divisioni. E' quello che dobbiamo fare in questo mese nel quale cristiani di molte parti del mondo si uniscono nella celebrazione della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, formando questo unico popolo. Consci di tale dono, non meritato da parte nostra, cerchiamo di vivere insieme, all'inizio del terzo millennio, come parole di Dio vive. Oltre che dare gloria a Dio, saremo con la nostra vita una forte implorazione per un altro suo dono: quello della piena e visibile comunione fra le Chiese.
Chiara Lubich
[1] Cf Ef 2,6
[2] Cf Ef 2,10 e 1,23
[3] Cf Gen 22,18
[4] Enchiridion ad Laurentium de fide et spe et caritate, XII, 40, Opera omnia, XIII, 2
Dic 29, 1999 | Ecumenismo
Nuovo apporto al dialogo ecumenico in Terra Santa
a conclusione del Convegno dei Vescovi Incontro personalità di varie Chiese a Gerusalemme – 9 dicembre 1999 “Ogni Chiesa, nella comunione con le altre, non solo non perde, ma può donare le proprie ricchezze”: così ha affermato il Metropolita rumeno ortodosso Serafim durante l’incontro di personalità del mondo ecumenico di Gerusalemme che si è svolto nel pomeriggio del 9 dicembre nell’Istituto Ecumenico di Tantur, per invito del Movimento dei Focolari. Presente in sala un uditorio d’eccezione: Patriarchi e loro vicari, Vescovi, sacerdoti e personalità laiche di 10 Chiese, fra cui numerosi rappresentanti delle Chiese orientali. In tutto 150. Presente anche il gruppo di Vescovi di varie Chiese amici dei Focolari, riuniti in Convegno ad Amman e giunti in pellegrinaggio in Terra Santa. Profondo l’ascolto della breve presentazione dei Focolari, delle testimonianze sui riflessi della spiritualità dell’unità in campo ecumenico di Vescovi di cinque Chiese e della videoregistrazione di Chiara Lubich – impossibilitata da una banale indisposizione ad essere presente di persona – dell’intervento nella chiesa evangelica di s. Anna ad Augsburg, dove lo scorso anno aveva parlato dei cardini di una spiritualità ecumenica. Un intenso momento di preghiera, animato da rappresentanti di varie Chiese ed incentrato nella lettura del testamento di Gesù “Che siano uno… affinché il mondo creda”, ha concluso questo incontro che, per la grande rappresentatività e l’inedita apertura reciproca è stato – come affermato da personalità del posto – “una vera benedizione del Cielo”, “un apporto originale nel progressivo cammino dei rapporti ecumenici in Terra Santa”. (altro…)
Dic 19, 1999 | Ecumenismo
Da Amman alla Terra Santa
A pochi giorni dalla VII Assemblea della Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace (WCRP) che ha riunito ad Amman leaders e rappresentanti delle grandi religioni mondiali, avrà luogo un altro incontro internazionale, questa volta sul fronte ecumenico. E’ il 18° Convegno di vescovi appartenenti a varie Chiese cristiane, amici del Movimento dei Focolari, che si svolgerà dal 3 al 10 dicembre 1999. Inizierà e si concluderà nella capitale giordana. L’8 e il 9 dicembre i vescovi si recheranno in pellegrinaggio in Terra Santa, nello spirito di quell’unità che Gesù ha invocato per i suoi. Titolo e obiettivo del Convegno: “Promuovere la Presenza di Cristo fra i cristiani e tra le Chiese – via alla piena comunione” . Saranno una trentina i vescovi, rappresentanti della Chiesa ortodossa, siro-ortodossa, anglicana, evangelico-luterana e cattolico-romana provenienti dai cinque Continenti. Si incontreranno per una intensa settimana di comunione e di vita fraterna.
Una spiritualità ecumenica a molteplici effetti
Il convegno intende approfondire uno dei cardini della spiritualità dell’unità, spiccatamente ecumenica: la presenza del Risorto tra “due o più riuniti nel suo nome” e gli effetti di rinnovamento e di comunione che ne derivano fra le Chiese. Si susseguiranno interventi di vescovi ortodossi, anglicani e evangelico-luterani, di Chiara Lubich e di laici delle varie Chiese, esperienze di vita cristiana e di irradiazione evangelica. In programma anche i più recenti sviluppi dei dialoghi dottrinali, come la Dichiarazione congiunta cattolico-luterana sulla Dottrina della Giustificazione firmata di recente ad Augsburg. Il convegno si aprirà poi agli orizzonti del dialogo interreligioso, con l’aggiornamento sull’Assemblea della Conferenza mondiale delle religioni per la pace appena conclusa nella stessa Amman e degli ultimi sviluppi del dialogo del Movimento con le altre religioni.
Un’iniziativa per promuovere la vita d’unità tra i leaders di diverse Chiese
Questi incontri, che rivestono carattere informale, ebbero inizio nel 1982 quando il Papa Giovanni Paolo II ricevette un gruppo di vescovi cattolici amici del Movimento dei Focolari e li invitò ad estendere la loro esperienza di fraterna comunione anche a leaders di altre Chiese. Promossi dall’allora vescovo di Aachen, mons. Klaus Hemmerle, questi convegni si svolgono sin da allora annualmente, con l’approvazione dei responsabili delle rispettive Chiese. Luogo dell’incontro sono stati in passato Roma, Istanbul, Londra, Trento e la cittadella ecumenica di Ottmaring nei pressi di Augsburg in Germania. A partire dal 1994, dopo la morte del Vescovo Hemmerle, l’Arcivescovo di Praga, Card. Miloslav Vlk, ha assunto il coordinamento di queste riunioni. Frutto principale di quest’iniziativa è la profonda comunione spirituale che si instaura, all’insegna del comandamento nuovo di Gesù “Amatevi gli uni gli altri”, fra leaders delle diverse Chiese. Viene così in rilievo non tanto quello che ancora divide le Chiese ma soprattutto il molto che già le unisce. E si prende coscienza come le varie sensibilità e le ricchezze delle differenti tradizioni cristiane possano diventare un dono per tutta la cristianità. (06-12-1999) (altro…)
Dic 14, 1999 | Focolari nel Mondo
Noi indigeni siamo la maggioranza della popolazione guatemalteca, il 60%. E siamo sempre noi quelli che abbiamo, in sofferenza, il peso maggiore. Il mio popolo vive in piccole comunità con costumi e lingue propri, ma emarginate e in condizione d’inferiorità e dipendenza economica. Sono la maggiore di 12 figli. Fin da piccola avevo delle responsabilità nella famiglia e ho dovuto lavorare molto presto per sostenerla. Alla dura realtà della mia infanzia si aggiungevano le percosse di papà: sfogava su di me i problemi con il nonno, nella cui casa abitavamo. Era così amaro il nostro rapporto da arrivare a pensare che non fossi figlia sua. Crescendo, si sviluppava in me una totale ribellione verso di lui e verso tutto ciò che faceva. A ciò si aggiungeva la dolorosa presa di coscienza d’essere diversa: ero indigena. Avevo otto anni, cominciavo a frequentare la scuola. Un giorno una compagna dice alle altre: “A quella (ero io) non parlatele: è indigena”. Io, però, non mi sentivo diversa da loro: potevo sorridere, parlare, amare, sentire le cose che loro sentivano. Anche all’interno del nostro gruppo etnico c’era divisione e quelli che riuscivano ad emergere disprezzavano gli altri. Sognavo di studiare diritto per difendere il mio popolo dall’oppressione, vendicando le ingiustizie e il disprezzo ricevuti. Ancora alla scuola media, però, ho dovuto interrompere gli studi per sostenere la mia famiglia. Sono stata assunta in una fabbrica tessile dove lavoravo da 11 a 15 ore al giorno: un ambiente pieno di rivalità. Sfruttamento e stanchezza, comunque, li affrontavo volentieri pur di evitare ai miei fratelli la sofferenza e il disprezzo che avevo subito io. Poco alla volta ho ripreso a studiare di notte, ma più del sacrificio sentivo una gran forza di lottare per raggiungere io e la mia famiglia una posizione migliore. Ad una Mariapoli, l’incontro con l’Ideale, la scoperta di un mondo nuovissimo che mai avrei pensato esistesse. Mi colpiva soprattutto vedere che persone di differente condizione sociale, di razze differenti si amavano, pronte a dare la vita a vicenda. Vedevo comporsi una società nuova dove davvero ciascuno è uguale all’altro: tutti con la stessa dignità di figli di Dio. Ed è iniziata una piccola, ma vera, rivoluzione. Una cosa, però, non riuscivo a superare: il rancore verso papà. Capivo di dovergli chiedere scusa…”Nulla è impossibile a Dio” Nulla è impossibile a Dio”. A Lui potevo chiedere qualsiasi cosa… E’ stato un momento fortissimo di riconciliazione e ho sentito entrare in me un amore nuovo e più profondo. C’era ancora da far crollare la barriera verso quanti disprezzavano il mio popolo. Capivo che Dio mi chiedeva di andare oltre queste ferite. Attraverso un’esperienza concreta di perdono è entrata in me la libertà d’amare tutti, senza distinzione: e non solo perdonare, ma essere disposta a dar la vita per chi, da sempre, si era mostrato mio nemico, nemico del mio popolo. Aprendomi all’altro, lo sperimento, si arricchisce il mio essere guatemalteca e allo stesso tempo mi scopro parte di un popolo nuovo, quello di Dio. A. E. Guatemala (altro…)
Nov 30, 1999 | Parola di Vita
La domanda di Maria, all'annuncio dell'Angelo: “Com'è possibile questo?” ebbe come risposta: “Nulla è impossibile a Dio” e, a riprova di ciò, le venne portato l'esempio di Elisabetta, che nella sua vecchiaia aveva concepito un figlio. Maria credette e divenne la Madre del Signore. Dio è onnipotente: questo suo nome si incontra frequentemente nella Sacra Scrittura ed è usato quando si vuole esprimere la potenza di Dio nel benedire, nel giudicare, nel dirigere il corso degli eventi, nel realizzare i suoi disegni. C'è un solo limite all'onnipotenza di Dio: la libertà umana, che si può opporre alla di lui volontà rendendo l'uomo impotente, mentre sarebbe chiamato a condividere la stessa forza di Dio.
«Nulla è impossibile a Dio»
E' questa una Parola che viene opportunamente a concludere per la Chiesa cattolica l'anno del Padre prima del Giubileo del 2000. E' una Parola, infatti, che ci apre ad una confidenza illimitata nell'amore di Dio-Padre, perché, se Dio è e il suo essere è Amore, la fiducia completa in lui non ne è che la logica conseguenza. Tutte le grazie sono in suo potere: temporali e spirituali, possibili e impossibili. Ed egli le dà a chi le chiede e anche a chi non chiede, perché, come dice il Vangelo, egli, il Padre, “fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni” e a noi tutti chiede di agire come lui, con lo stesso amore universale, sostenuto dalla fede che:
«Nulla è impossibile a Dio»
Come vivere dunque questa Parola nella vita di ogni giorno? Noi tutti dobbiamo affrontare di quando in quando situazioni difficili, dolorose, sia nella nostra vita personale, sia nei rapporti con gli altri. E sperimentiamo a volte tutta la nostra impotenza perché avvertiamo in noi degli attaccamenti a cose e persone che ci rendono schiavi di legami da cui vorremmo liberarci. Ci troviamo spesso di fronte ai muri dell'indifferenza e dell'egoismo e ci sentiamo cadere le braccia di fronte ad avvenimenti che sembrano superarci. Ebbene, in questi momenti, la Parola di vita può venirci in aiuto. Gesù ci lascia fare l'esperienza della nostra incapacità, non già per scoraggiarci, ma per aiutarci a capire meglio che “nulla è impossibile a Dio”; per prepararci a sperimentare la straordinaria potenza della sua grazia, che si manifesta proprio quando vediamo che con la nostre povere forze non possiamo farcela.
«Nulla è impossibile a Dio»
Ripetendoci questo nei momenti più critici, ci verrà dalla Parola di Dio quell'energia che essa racchiude in sé, facendoci partecipare in qualche modo della stessa onnipotenza di Dio. Ad un patto, però, e cioè che si viva la sua volontà, cercando di irradiare attorno a noi quell'amore che è deposto nei nostri cuori. Così saremo all'unisono con l'Amore onnipotente di Dio per le sue creature, al quale tutto è possibile, ciò che concorre a realizzare i suoi piani sui singoli e sull'umanità. Ma c'è un momento speciale per poter vivere questa Parola e per sperimentarne tutta l'efficacia: è nella preghiera. Gesù ha detto che qualsiasi cosa chiederemo al Padre in nome suo egli ce la concederà. Proviamo dunque a chiedergli ciò che ci sta più a cuore con la certezza di fede che a lui nulla è impossibile: dalla soluzione di casi disperati, alla pace nel mondo; dalle guarigioni da malattie gravi, alla ricomposizione di conflitti familiari e sociali. Se poi siamo in più a chiedere la stessa cosa, in pieno accordo per l'amore reciproco, allora è Gesù stesso in mezzo a noi che prega il Padre e, secondo la sua promessa, otterremo. Con tale fede nell'onnipotenza di Dio e nel suo Amore, anche noi chiedemmo un giorno per N. che quel tumore, visto su una radiografia, “scomparisse”, quasi fosse un errore o un fantasma. E così avvenne. Questa fiducia sconfinata che ci fa sentire nelle braccia di un Padre al quale tutto è possibile, deve accompagnare sempre le vicende della nostra vita. Non è detto che otterremo sempre ciò che chiederemo. La sua è l'onnipotenza di un Padre e la usa sempre e soltanto per il bene dei suoi figli, che essi lo sappiano o no. L'importante è vivere coltivando la certezza che a Dio nulla è impossibile e questo ci farà sperimentare una pace mai provata.
Chiara Lubich
Ott 31, 1999 | Ecumenismo
Il giorno successivo alla Firma sulla Dichiarazione Congiunta, il Presidente della Federazione Luterana Mondiale, il vescovo Christian Krause, ha accolto, sempre ad Augsburg, Chiara Lubich all’incontro annuale del comitato esecutivo della Federazione. “Niente è più urgente nel mondo di una potente corrente d’amore” affermava Chiara Lubich, tratteggiando i cardini di una spiritualità ecumenica già in atto in vari punti della cristianità, incentrata su questo amore che si fa reciproco tra cristiani e tra le Chiese. “Laddove i cristiani vivono così – aveva continuato – cresce la coscienza di formare sin d’ora, al di là di qualsiasi barriera confessionale, un unico popolo cristiano. E questo dialogo del popolo sarebbe necessario per accogliere e far sì che il dialogo teologico porti frutto“. Parole accolte “come incoraggiamento, particolarmente in questo momento della storia, in questo luogo storico, Augsburg“, dal vescovo Krause, che ha espresso “la certezza che ora il terreno è pronto per far sì che possiamo scoprirci come dono gli uni per gli altri“. “Penso – ha aggiunto – che la giornata di ieri ha confermato quanto da lei sottolineato: se fosse stata solo un accordo tra teologi che non incidesse sul popolo, non succederebbe niente“. Augsburg – 1° novembre 1999 (altro…)
Ott 31, 1999 | Parola di Vita
La predicazione di Gesù si apre col discorso della montagna. Davanti al lago di Tiberiade su una collina nei pressi di Cafarnao, seduto, come usavano fare i maestri, Gesù annuncia alle folle l’uomo delle beatitudini. Più volte nell’Antico Testamento risuonava la parola “beato” e cioè l’esaltazione di colui che adempiva, nei modi più vari, la Parola del Signore. Le beatitudini di Gesù riecheggiavano in parte quelle che i discepoli già conoscevano; ma per la prima volta essi sentivano che i puri di cuore, non solo, come cantava il Salmo, erano degni di salire sul monte del Signore, ma addirittura potevano vedere Dio. Quale era dunque quella purezza così alta da meritare tanto? Gesù l’avrebbe spiegato più volte nel corso della sua predicazione. Cerchiamo perciò di seguirlo per attingere alla fonte dell’autentica purezza.
«Beati i puri di cuore perché vedranno Dio»
Anzitutto, secondo Gesù, vi è un mezzo sovrano di purificazione: “Voi siete già mondi in virtù della Parola che vi ho annunziato”. Non sono tanto degli esercizi rituali a purificare l’animo, ma la sua Parola. La Parola di Gesù non è come le parole umane. In essa è presente Cristo, come, in altro modo, è presente nell’Eucaristia. Per essa Cristo entra in noi e, finché la lasciamo agire, ci rende liberi dal peccato e quindi puri di cuore. Dunque la purezza è frutto della Parola vissuta, di tutte quelle Parole di Gesù che ci liberano dai cosiddetti attaccamenti, nei quali necessariamente si cade, se non si ha il cuore in Dio e nei suoi insegnamenti. Essi possono riguardare le cose, le creature, se stessi. Ma se il cuore è puntato su Dio solo, tutto il resto cade. Per riuscire in questa impresa, può essere utile, durante la giornata, ripetere a Gesù, a Dio, quell’invocazione del Salmo che dice: “Sei tu, Signore, l’unico mio bene!”. Proviamo a ripeterlo spesso, e soprattutto quando i vari attaccamenti vorrebbero trascinare il nostro cuore verso quelle immagini, sentimenti e passioni che possono offuscare la visione del bene e toglierci la libertà. Siamo portati a guardare certi cartelloni pubblicitari, a seguire certi programmi televisivi? No, diciamogli: “Sei tu, Signore, l’unico mio bene” e sarà questo il primo passo che ci farà uscire da noi stessi, ri-dichiarando il nostro amore a Dio. E così avremo acquistato in purezza. Avvertiamo a volte che una persona o un’attività si frappongono, come un ostacolo, fra noi e Dio e inquinano il nostro rapporto con Lui? E’ il momento di ripeterGli: “Sei tu, Signore, l’unico mio bene”. Questo ci aiuterà a purificare le nostre intenzioni e a ritrovare la libertà interiore.
«Beati i puri di cuore perché vedranno Dio»
La Parola vissuta ci rende liberi e puri perché è amore. E’ l’amore che purifica, con il suo fuoco divino, le nostre intenzioni e tutto il nostro intimo, perché il “cuore” secondo la Bibbia è la sede più profonda dell’intelligenza e della volontà. Ma c’è un amore che Gesù ci comanda e che ci permette di vivere questa beatitudine. E’ l’amore reciproco, di chi è pronto a dare la vita per gli altri, sull’esempio di Gesù. Esso crea una corrente, uno scambio, un’atmosfera la cui nota dominante è proprio la trasparenza, la purezza, per la presenza di Dio che, solo, può creare in noi un cuore puro. E’ vivendo l’amore scambievole che la Parola agisce con i suoi effetti di purificazione e di santificazione. L’individuo isolato è incapace di resistere a lungo alle sollecitazioni del mondo, mentre nell’amore vicendevole trova l’ambiente sano, capace di proteggere la sua purezza e tutta la sua autentica esistenza cristiana.
«Beati i puri di cuore perché vedranno Dio»
Ed ecco il frutto di questa purezza, sempre riconquistata: si può “vedere” Dio, cioè capire la sua azione nella nostra vita e nella storia, sentire la sua voce nel cuore, cogliere la sua presenza là dove è: nei poveri, nell’Eucaristia, nella sua Parola, nella comunione fraterna, nella Chiesa. E’ un pregustare la presenza di Dio che comincia già da questa vita “camminando nella fede e non ancora in visione” fino a quando “vedremo faccia a faccia” eternamente. Chiara Lubich (altro…)
Ott 30, 1999 | Cultura
Editoriale IL POSTO DEI CARISMI NELLA CHIESA – di Piero Coda – Quale posto hanno nella vita e nella missione della Chiesa i movimenti e le nuove comunità ecclesiali e, più in generale, quei carismi che il Concilio definisce “grazie speciali” e “doni straordinari”? Giovanni Paolo II, in occasione del Convegno celebrato a Roma in preparazione della Pentecoste ’98, ha voluto sottolineare che la dimensione istituzionale e quella carismatica “sono co-essenziali alla costituzione divina della Chiesa fondata da Gesù, perché concorrono insieme a rendere presente il mistero di Cristo e la sua opera salvifica nel mondo”. Nel presente editoriale si cerca di approfondire brevemente il significato e le implicazioni di quest’importante affermazione. Nella luce dell’ideale dell’unità LA FAMIGLIA È IL FUTURO – di Chiara Lubich – Riportiamo il discorso tenuto dall’A. a Lucerna il 16 maggio 1999, in occasione del 19° Congresso Internazionale per la famiglia: “La famiglia è il futuro”. LA CULTURA DEL DARE – di Vera Araujo – L’individualismo che contraddistingue la modernità frutta un tipo di società chiusa, indifferente e inconsapevole dei bisogni e delle attese degli altri. Tale società è segnata dalla cultura dell’avere, dell’accumulare, dell’accaparrare, dell’avere, del consumare e dello sprecare. La cultura dell’avere partorisce una concezione antropologica monca, rivestita di non-valori, di sentimenti negativi. La società che ne deriva è quella “complessa” che mercifica tutta l’esistenza, incapace di instaurare rapporti interpersonali profondi. La risposta a tale cultura non può essere che la cultura del dare, una cultura che esprime la verità sull’uomo, come “homo donator”, la cui vera identità si esprime nell’essere dono in tutte le espressioni del suo vivere. L’articolo percorre le tracce della “cultura del dare” nel mistero stesso di Dio che si dona, nel suo disegno salvifico e nel messaggio evangelico. Si delineano così lo “stile” del dare e i suoi contenuti. L’articolo prosegue attingendo al pensiero dei Padri della Chiesa e, infine, viene messo in rilievo il contributo che il carisma dell’unità porta nella comprensione e nella metodologia del dare: “Guarda dunque ad ogni fratello donandoti a lui per donarti a Gesù e Gesù si donerà a te. E’ legge d’amore “date e vi sarà dato”, chè chi ama trabocca e tutto dona, sazio solo d’amare”.La cultura del dare è poi vista come il fondamento antropologico del progetto “Economia di comunione” che chiama le imprese a vivere la cultura del dare al loro interno e, poi, coi bisognosi con cui condividono gli utili. Saggi e Ricerche MOVIMENTI ECCLESIALI E LORO COLLOCAZIONE TEOLOGICA – di Joseph Cardinal Ratzinger – Per gentile concessione dell’A. pubblichiamo il testo del discorso da lui tenuto in occasione del Convegno preparatorio all’incontro delle comunità ecclesiali con Giovanni Paolo II in piazza san Pietro, alla vigilia della Pentecoste del 1998. IL DOLORE, UN GRIDO VERSO L’OLTRE – di Aldo Giordano – “Il tema del dolore è bruciante e misterioso, ma inevitabile. Esso è sempre di impressionante attualità: c’è il dolore dei singoli e c’è il dolore dei popoli. A livello personale esso emerge nella sua radicalità con il volto della morte delle persone amate (…). A livello storico esso ritorna come tragedia estrema nel grido di popolazioni intere che sono esposte al destino del massacro, dello sradicamento sistematico e delle violenze più inaudite”. L’autore, con “timore e tremore”, attraverso gli strumenti della riflessione filosofica, percorre i vari livelli dell’esperienza umana implicati nella questione del dolore. Questo cammino conduce alla progressiva radicalizzazione della domanda, del “perché”. Il momento sorprendente di svolta del discorso avviene quando questo “perché”, che esplode nel dolore umano, s’incontra con il “perché” del Dio Crocifisso fuori le mura. Se la lacerazione causata dal dolore diviene per il Cristo lo spazio per l’accadere di un Amore che vince la signoria della morte, anche le ferite sperimentate dall’uomo non potranno divenire spazio del realizzarsi di un amore già segnato dall’eterno? CHE COS’È PENSARE? UNA RIFLESSIONE ALLA LUCE DI GESÙ ABBANDONATO – di Giuseppe Maria Zanghí – Giovanni Paolo II ha ricordato che la civiltà contemporanea riuscirà a sopravvivere e a svilupparsi nella misura in cui saprà elaborare un’autentica civiltà del pensiero. L’A. si interroga su cosa sia il pensare esplorando sinteticamente alcune possibili risposte, e suggerendo infine una proposta di soluzione. Spazio letterario DIZIONARIETTO DI PAROLE INCOSCIENTI – III – di Giovanni Casoli “Nuova Umanità” continua nelle sue pagine l’apertura di spazio dedicato alla produzione letteraria. Libri VERSO UNA IMPOSTAZIONE COMUNIONALE DELLA TEOLOGIA MORALE. L’ETICA ECCLESIALE DI STANLEY HAUERWAS – di Christian Hennecke – La teologia è in ricerca di un nuovo paradigma. Soprattutto nella teologia morale si avverte che di fronte alle esigenze del tempo di oggi è necessario un ripensamento degli stessi fondamenti del’etica. Su questo sfondo il contributo di S. Hauerwas, uno dei più importanti teologi negli USA, può dare degli spunti e delle prospettive interessanti. Nel suo lavoro egli cerca di radicare l’ethos cristiano nel vissuto della comunità. Si inserisce così nella ricerca soprattutto dei filosofi anglosassoni per oltrepassare le strette di un liberalismo sfrenato. Accogliendo le istanze del comunitarismo, la riflessione di Hauerwas porta ad un rinnovamento della stessa teologia morale fondamentale. (altro…)