Lug 5, 2017 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Si viaggia per vari motivi: curiosità, sete di conoscenza, spirito d’avventura, per trovare delle risposte o per conoscersi. Non così Gianni Ricci, autore insieme a Delfina Ducci di un volume edito da Città Nuova, Il lungo cammino del “farsi uno”, che di chilometri ne ha percorsi tanti. La sua è una “vita in viaggio”, si potrebbe dire, ma per accostare le infinite modulazioni dell’umanità sofferente. Nato a Ripalta Cremasca, nel Nord Italia, in una famiglia semplice ma dignitosa, cresce nell’autenticità dei valori cristiani. A vent’anni conosce l’ideale dell’unità di Chiara Lubich, che rivoluziona il suo modello di vita cristiana, tanto da fargli capire che quella del focolare è la strada da percorrere per tutta la vita. Nel 1964 parte per Loppiano (Firenze, Italia), cittadella nascente del Movimento, cui si dedica per oltre vent’anni con grande dedizione. Dopo Loppiano, la sua adesione ai piani di Dio lo porta a spostarsi, prima in Turchia, per seguire gli sviluppi della nascente comunità, quindi Libano, Terra Santa, Algeria, Giordania, Iraq, Egitto, Siria, Tunisia, Marocco … «Quante mutazioni impreviste in me! Sono in Turchia. Che cosa mi manca qui, di occasione e di grazia, per farmi santo? Qui c’è tanto lavoro da fare». Gianni Ricci, globe trotter dell’anima, annota tutto ciò che incontra, forse glissando sulle difficoltà incontrate, specie nel relazionarsi con popoli così diversi. Pur mostrando la tragedia delle guerre, che causano ferite profonde nella popolazione e ne smorzano le speranze in un possibile futuro di stabilità e pace, non cerca soluzioni o possibili spiegazioni nella storia. Semplicemente vive accanto a chi incontra, con cuore libero e aperto verso un’umanità “allargata”, che parla la stessa lingua del cuore e della sofferenza. «A fine gennaio 1986, con Aletta (focolarina dei primi tempi) intraprende il primo viaggio da Istanbul ad Ankara e da qui a Beirut, in Libano. L’aeroporto è quasi distrutto dalle bombe! Il Libano è travolto dalla guerra civile (…). I controlli sono implacabili, le autorità sospettano di tutto e di tutti. Ogni posto di blocco è presidiato da fazioni diverse. Dopo otto giorni, Gianni riparte per Istanbul. Lungo i 120 km che separano Beirut dal confine con la Siria, li aspettano ben 13 posti di blocco. Al primo rischiano la pelle. Gianni si ferma davanti a una garitta, dove un soldato armato fino ai denti gli chiede i documenti. Glieli consegna e riparte. Fatti pochi metri un ragazzo gli intima di tornare indietro facendo notare che la guardia ha il fucile puntato e non ha dato il permesso di procedere. Non ha premuto il grilletto, grazie ad Allah, gli dice». Non è un racconto politico, ma squisitamente e “solamente” umano. L’umanità di cui parla non ha colore o lingue, non ha passaporti, confini, leggi o usanze. In ogni luogo dove è destinato, Gianni ha una particolare cura per i rapporti con le Chiese locali, con l’Islam, con il mondo ebraico, con l’esigenza di sostenere tutte le persone che incontra a sconfiggere la paura, l’incertezza per il domani, la tensione provocata dalla guerra. Un susseguirsi di ricordi nella prospettiva dell’unità. Questa è la “logica” che ancora muove Gianni, stupito osservatore delle cose di Dio. Le citazioni sono tratte da “Il Lungo cammino del “farsi uno”. Esperienze in Medio Oriente, Città Nuova, 2016. (altro…)
Lug 4, 2017 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Ogni vita ha in sé una speranza. Anche nel tunnel oscuro della dipendenza si può accendere una luce. Nel 1983, nella città di Guaratinguetá, nello Stato di San Paolo (Brasile), Nelson Giovanelli si avvicina a un gruppo tossicodipendenti, incoraggiato da Padre Hans Stepel, francescano tedesco. Il giovane Nelson si conquista la loro fiducia. Uno di loro, Antonio Eleuterio, chiede aiuto per uscire dal giro della droga. Sono i primi passi della grande famiglia della Fazenda da Esperança. Nel 1989, Iraci Leite e Lucilene Rosendo, due giovani ragazze della stessa parrocchia, seguendo l’esempio di Nelson lasciano tutto per dedicarsi totalmente a questa nuova missione. Nel 2007 papa Benedetto XVI visita la comunità di Pedrinhas, in Brasile, nei pressi del santuario di Aparecida. Da allora la proposta di vita della Fazenda da Esperança inizia a diffondersi in tutto il mondo. Gli operatori delle attuali 118 Fazende, sparse in 17 nazioni, sono persone volontarie, spesso reduci da un passato di droga e alcol, che dopo un cammino di recupero hanno avvertito la chiamata di Dio a diventare a loro volta portatori di speranza per quanti sono precipitati in quello stesso buio. Ai primi di maggio 2017, 60 volontari di varie Fazende del mondo si recano ad Assisi, la cittadella di San Francesco e Santa Chiara, e a Loppiano (Italia), per iniziare una nuova “missione di speranza” lungo le strade d’Europa. Per due settimane accanto a loro ci sarà anche il gruppo internazionale Gen Rosso. Germania, fine maggio. Raccontano alcuni componenti della band: «Ogni mattina una carovana di auto e minibus parte alla volta di una nuova destinazione, in un’area di 400 chilometri: scuole, comunità, gruppi, carceri. I ragazzi e le ragazze della Fazenda condividono la loro vita travagliata, suscitano interrogativi, rispondono a domande. Soprattutto accendono la speranza: se loro ce l’hanno fatta perché io no? Sono storie di droga, disperazione, solitudine, paura, crimini, carcere. Quando il buio è totale, una luce si è accesa nella loro vita: Dio mi ama, così come sono, così come mi sono ridotto. A cosa aggrapparsi per rinascere? Alla “Parola di vita”, all’amore scambievole, pane quotidiano per rialzarsi e ripartire». Un messaggio dirompente, che viaggia al suono delle parole, ma anche al ritmo della musica e su passi di danza, facendosi sempre più coinvolgente. Dapprima suscita semplice curiosità e momenti di sospensione. Poi la titubanza si scioglie, sulla bocca di tanti ragazzi si apre il sorriso. Fino ad arrivare a momenti di scambio profondo. «Anche oggi l’annuncio di speranza ha fatto breccia in molti cuori». Il tour “Every Life Has Hope” percorre chilometri, attraversa città e regioni diverse, testimoniando la presenza di Dio nell’oggi della società, e la possibilità per tutti, nessuno escluso, di ricominciare. Nel carcere di Bielefeld, la “carovana” incontra cento detenuti. Ad Arnsberg, città del nord-est della Germania, i componenti del Movimento Shalom. Il giorno di Pentecoste, a Colonia, il viaggio prevede una tappa in una comunità parrocchiale, e nel pomeriggio l’incontro con la Caritas. Su invito del Vescovo ausiliare, la band canta alla messa in Cattedrale, proponendo “Io ero lì”, composta appositamente per l’occasione. A Gut Hange si festeggiano i primi 5 anni di apertura di una Fazenda femminile. E ancora: visite a strutture di accoglienza per barboni, malati terminali, incontri con studenti e con ragazzi drogati ospiti di una struttura pubblica, con una congregazione di suore che si dedica all’accoglienza di ragazze in serie difficoltà. Il tour fa tappa anche in Belgio, presso la comunità di Peer, cittadina che vedrà a breve l’apertura di una nuova Fazenda. Dopo due settimane intense e gioiose, il gruppo della Fazenda prosegue per Berlino e la Polonia, mentre il Gen Rosso torna a Loppiano in vista delle prossime tappe del musical “Campus” in Puglia (sud Italia), dove vi sarà l’inaugurazione di una nuova Fazenda. Ancora insieme, per accendere nuova speranza. (altro…)
Lug 3, 2017 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Senza categoria, Spiritualità
Quante volte si deve perdonare? «Tre anni fa il mio fratellastro più grande è venuto a casa nostra e ha offeso mia moglie mentre mi trovavo fuori al lavoro. Quando sono tornato a casa mi sono arrabbiato molto, ma insieme abbiamo deciso di non reagire. Abbiamo poi saputo che la figlia, che abitava con noi in quel periodo, era tornata a casa sua dicendo che doveva prepararsi da sola il pranzo. Inoltre, con nostra grande sorpresa, mio fratello ha iniziato a raccontare alle persone della nostra comunità che lo avevamo insultato e che ci avrebbe perdonato soltanto dopo le nostre scuse. A questo punto per noi era troppo e per un anno non ci siamo più rivolti la parola. Un giorno mi sono ricordato che Gesù ci ha insegnato che dovremmo perdonare settanta volte sette, qualunque sia la situazione che si presenti e perfino pregare per i nostri nemici. Così, l’ultimo giorno dell’anno, ho organizzato una riunione di riconciliazione fra di noi, alla presenza di tutta la famiglia allargata. Sono stato il primo a parlare. Ho detto ai membri della famiglia che non eravamo lì per fare lunghi discorsi, né per giudicare l’altro, ma semplicemente per chiedere scusa a mio fratello maggiore e che eravamo dispiaciuti per averlo offeso. Poi mi sono alzato e mi sono inginocchiato davanti a lui, un gesto che voleva significare umiltà e magnanimità, due virtù cristiane. I membri della famiglia, compreso mio fratello, sono rimasti storditi da questo gesto e nessuno di loro osava dire una parola. Dopo qualche momento lui ha detto che mi aveva perdonato. Siamo tornati a casa felici e sereni per aver ristabilito la pace fra le nostre famiglie». (Christopher e Perpetua Idu – Africa)
Perla di grande valore «Stavo vivendo un matrimonio davvero duro. Mio marito, che un tempo era un uomo gentile, intelligente e colto, era diventato alcolista per via del periodo in cui era stato sotto le armi. Poco dopo il suo ritorno in Inghilterra dal fronte ha ripreso la vita in modo normale, ma presto ha sviluppato un’ulcera duodenale che gli dava tanto dolore. Era incurabile e molto spesso non era in grado di lavorare. Fu allora che ha scoperto l’alcool come un efficace antidolorifico … Beveva in modo pazzesco. Ho vissuto con lui questo momento terribile. È stato un vero trauma sia fisico che mentale: non ce la facevo più! Mi sono consigliata con diversi medici e professionisti ma senza esito. Dopo qualche anno abbiamo incontrato il Movimento dei Focolari. Ho scritto a una persona verso cui avevo tanto rispetto e fiducia. La sua risposta mi ha stupito: «Grazie per aver condiviso con me la tua “perla di grande valore” …». Come poteva essere chiamata l’enorme difficoltà che stavamo vivendo: una “perla di grande valore”? Ci sono voluti anni per cominciare a capire come potevo trasformare la sofferenza in amore, a saper perdere tutto ciò che credevo fosse necessario per noi, essere accettati socialmente, e non fare più finta che tutto fosse a posto. In fondo si trattava di dire di “sì” piuttosto di “no”. Alla fine mi sono arresa permettendo a Dio di avvolgermi tra le Sue braccia. E Lui si è manifestato. Nell’ultimo periodo della vita, mio marito ha fatto un’esperienza profonda dell’amore personale di Dio per lui e non ha più bevuto. Anch’io sono riuscita a liberarmi della depressione. Certamente per giungere a questo traguardo ho impiegato un gran parte della mia vita. Ma era, ed è, la mia “perla di grande valore”». (Fonte: New City – Londra) (altro…)
Lug 1, 2017 | Chiara Lubich, Spiritualità
«Contemplando l’immensità dell’universo, la straordinaria bellezza della natura, la sua potenza, sono risalita spontaneamente al Creatore del tutto e ho avuto come una nuova comprensione dell’immensità di Dio. L’impressione è stata così forte e così nuova che mi sarei gettata subito in ginocchio ad adorare, a lodare, a glorificare Dio. Ho sentito un bisogno di far ciò, come se questa fosse la mia attuale vocazione. E, quasi mi si aprissero ora gli occhi, ho compreso come non mai prima, chi è colui che abbiamo scelto come ideale, o meglio colui che ha scelto noi. L’ho visto così grande, così grande, così grande che mi sembrava impossibile avesse pensato a noi. E questa impressione della sua immensità mi è rimasta in cuore per alcuni giorni. Ora il pregare così: “Sia santificato il tuo nome” o “Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo” è un’altra cosa per me: è una necessità del cuore». (Rocca di Papa, 22.1.87) «[…] contemplare magari una distesa di mare senza fine, una catena di monti altissimi, un ghiacciaio imponente o una volta del cielo punteggiata di stelle… Che maestosità! Che immensità! E, attraverso lo splendore abbagliante della natura, risalire a colui che ne è l’autore: Dio, il Re dell’universo, il Signore delle galassie, l’Infinito. […] Egli è presente dovunque: è sotto lo scintillio d’un ruscello, nello schiudersi d’un fiore, in un’alba chiara, in un rosso tramonto, su una vetta nevosa… Nelle nostre metropoli di cemento, costruite dalla mano dell’uomo tra il frastuono del mondo, raramente la natura si è salvata. Eppure, se vogliamo, basta uno squarcio di cielo azzurro scorto fra le cime dei grattacieli, per ricordarci Dio; basta un raggio di sole, che non manca di penetrare nemmeno fra le sbarre d’una prigione; basta un fiore, un prato, il volto di un bambino… […] Ciò ci aiuterà a tornare in mezzo agli uomini, dove è il nostro posto, ritemprati come senz’altro lo era Gesù quando, dopo aver pregato il Padre tutta la notte sui monti, sotto il cielo stellato, tornava fra gli uomini a fare del bene». (Mollens, 22.9.88) Da Chiara Lubich – “Cercando le cose di lassù” – Città Nuova Editrice, Roma 1992, pagg. 5 – 111,112. (altro…)
Giu 30, 2017 | Centro internazionale, Ecumenismo, Spiritualità
Guerre, minacce nucleari, terrorismo. Tante sono le sfide. Lei ha detto che l’ecumenismo è importante per la pace. Ci può spiegare perché e come? «L’ecumenismo è importante per la pace perché l’ecumenismo è unità. L’unità è la pace. L’unità è essere un cuor solo e un’anima sola. È amarsi. È condividere i propri beni, i dolori, le gioie. Ed è questo che porta la pace. Che cosa è la pace? La pace non è assenza di bombardamenti. Non è un compromesso che si firma. La pace non è tutto questo. La pace è l’unità dei cuori. L’ecumenismo serve a costruire e allargare l’unità dei cuori e, quindi, serve alla pace, serve tantissimo alla pace. Se poi i cristiani si presentano uniti, sicuramente incideranno di più. E insieme realizzeranno progetti di pace anche e soprattutto laddove la pace è continuamente minacciata. Aiuteranno a mettere in pratica la condivisione dei beni nel mondo, l’aiuto a chi scappa dai Paesi in guerra alla ricerca di una vita migliore, l’accoglienza. Ma aiuteranno, se saranno uniti. E se saranno uniti aiuteranno a compiere quei passi necessari perché la pace possa realizzarsi». Che contributo sta dando Papa Francesco al movimento ecumenico e che tipo di stile sta comunicando alla Chiese? «Il suo contributo l’ho avvertito dal primo momento che si è affacciato alla finestra quando si è presentato al mondo come vescovo di Roma. Ed è stato quello il primissimo contributo del Papa al cammino ecumenico delle Chiese. È un contributo che sta continuando, anche in questa sua continua ansia di riforma delle Chiese e della Chiesa nella direzione verso una maggiore collegialità e partecipazione, sia dei pastori, sia dei fedeli, sia di maggiore umiltà reciproca e riconoscimento degli errori commessi. Tutto un processo che va nel senso del cammino ecumenico».
I partecipanti alla Settimana ecumenica 2017 hanno preso parte all’udienza generale dove papa Francesco ha parlato di Maria come madre rimasta accanto al figlio fino alla passione. Maria è modello di cammino ecumenico? «Direi di sì. Perché Maria è madre, è madre di Dio e madre di Gesù e, quindi, madre di tutti gli uomini. E sicuramente una madre vuole vedere i suoi figli insieme. Cerca di fare di tutto perché i figli si ritrovino, riconoscano che Dio è sceso sulla terra e si è fatto uomo per loro. Vuole che si amino, non litighino, non discutano con astio, l’uno contro l’altro, ma cerchino modi sempre nuovi per comprendersi. Maria ci aiuta in questo. E poi io credo che Maria ci aiuta proprio nel suo stare sotto la croce. Con la sua desolazione. Mi sembra che lì, lei stessa perde il suo tesoro più grande e insegna a noi a saper perdere qualcosa, anche quella ricchezza che ogni Chiesa ha ma che è chiamata a ricomporsi con le ricchezze degli altri. Se Maria è riuscita a perdere il figlio, noi possiamo perdere un’idea, un ricordo, una ferita che ci portiamo dentro, un pregiudizio, per costruire e diventare costruttori di unità». Maria Voce Da M. Chiara Biagioni Fonte: SIR Leggi la prima parte (altro…)
Giu 29, 2017 | Centro internazionale, Chiesa, Dialogo Interreligioso, Ecumenismo, Focolari nel Mondo, Spiritualità

Foto © CSC Audiovisivi – CMendes
“La rivoluzione del Vangelo. Ritornare al Vangelo e alla vita del Vangelo nel mondo”. È racchiuso qui, in questo mettere in pratica la Parola di Dio oggi come ai tempi dei primi cristiani, il progetto ecumenico iniziato 50 anni fa da Chiara Lubich e portato avanti dal Movimento dei Focolari in tutto il mondo. Un progetto in cui cristiani di tutte le Chiese possono riconoscersi pienamente, partecipare ed essere insieme ovunque semi di pace in un mondo ferito da guerre e divisioni. Parla Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari. La incontriamo con un gruppo di giornalisti di diverse testate, a margine della la 59ª Settimana ecumenica che si è svolta al Centro Mariapoli di Castel Gandolfo dall’11 al 13 maggio. La sala è piena. Sono presenti circa 700 cristiani di 69 Chiese e Comunità ecclesiali, di 40 Paesi del mondo. Le cabine delle traduzioni sono tutte accese: 17 le lingue presenti. I partecipanti, di tutte le età, hanno colori e vestiti che fanno intuire provenienze e appartenenze diverse. Tra i momenti forti di questa Settimana, la preghiera per l’unità nelle catacombe di san Sebastiano a Roma, nello stesso luogo dove pregarono i primi cristiani e martiri. Qui, hanno stretto un “Patto di amore reciproco” scambiandosi un segno di pace e di perdono per le ferite inferte nel passato e perché, “rinnovati dall’amore, portiamo questa testimonianza vissuta tra noi nelle nostre comunità, nei nostri paesi, nelle nostre società”. “Abbiamo costruito tanto insieme”, commenta Maria Voce. “Ora si tratta di accelerare il passo, perché la comunione sia piena e visibile. Bisogna andare avanti”. 
Foto © CSC Audiovisivi – CMendes
Mai come oggi il mondo anela alla fratellanza universale. Lei crede che sia possibile? È possibile in questo secolo? «Non so se sarà possibile in questo secolo, ma so che è possibile. Anzi è sicuro che arriveremo perché è desiderio di Dio. Dio vuole che tutta la famiglia umana sia una famiglia di fratelli. Se Dio lo vuole, questo disegno di unità del genere umano non può non realizzarsi. Non so se si riuscirà in questo secolo. Ma l’importante non è realizzarlo in questo secolo. L’importante è che si realizzi e che noi facciamo il passo che Dio ci chiede oggi e oggi Dio ci chiede di lavorare in questa direzione e, quindi, almeno di riconoscerci come fratelli tra cristiani». Nel mondo ecumenico si avverte da più parti sofferenza per l’impossibilità dei cristiani di diverse Chiese di partecipare alla stessa mensa eucaristica. Lei come risponde? «È sicuramente un dolore per tutti. Però sentiamo anche che la presenza di Gesù nel mondo non è limitata alla presenza eucaristica. Gesù è presente nel mondo in tanti modi. È presente con il suo amore, è presente nel prossimo perché riconosciamo Gesù nel fratello; è presente nei poveri, è presente in coloro che ci guidano nel magistero della Chiesa e nelle varie Chiese e istituzioni. Noi, come movimento dei Focolari, sentiamo particolarmente importanti due cose. La prima è che il dolore è la presenza di Gesù nel mondo. Gesù ha assunto su di sé tutti i dolori dell’umanità e, quindi, anche il dolore della divisione. È un dolore che Gesù ha vissuto fortemente nel momento in cui è stato crocifisso e abbandonato. La seconda cosa importante è quando Gesù ha detto: “Dove due o più sono uniti nel mio nome…”. Non ha detto uniti nell’Eucaristia, ha detto ‘nel mio nome’.» E cosa vuol dire essere uniti nel nome di Gesù? Vuol dire essere uniti nell’amore reciproco che Lui ha portato sulla terra. Quindi dove due o più sono uniti nel suo nome c’è la sua presenza. Questa presenza di Gesù nel mondo è in un certo senso la prova che noi viviamo già una vera comunione e, per questo, anche noi possiamo dire: chi ci potrà separare dall’amore di Cristo? Potremo non ricevere l’Eucaristia insieme, ma non possiamo non ricevere l’amore di Dio, non possiamo non vivere questo amore tra noi, tutti insieme, in attesa che si possa arrivare a quella comunione ancora più completa che si aggiungerà alla comunione che già abbiamo». (continua) Da M. Chiara Biagioni – Fonte: SIR (altro…)
Giu 28, 2017 | Focolari nel Mondo
L’organo di stampa ufficiale dei Focolari degli USA, Living City, è stato premiato dall’Associazione Cattolica della Stampa del Nord America (CPA). Al primo posto per la “Miglior copertura di questioni ecumeniche/interreligiose” gli articoli “Crescere insieme”, “Iniziare a costruire ponti adesso” e “Una bussola per il nostro cammino” di Sarah Mundell, Susanne Janssen, David Shaheed e Jordan Denari. Pezzi fantastici che raccontano storie impegnative, come costruire ponti con fedeli di altre religioni, hanno commentato i giudici. Terzo posto nella categoria “Eccellenza generale — riviste nazionali di interesse generale”. Nella categoria “intervista”, “Cosa è il lavoro?” fatta da Susanne Janssen ad Andreas Widmer, direttore dei programmi di imprenditoria presso l’Università Cattolica dell’America, ha ricevuto una menzione d’onore. Nella categoria “Essay” premiati gli articoli di Amy Uelmen “Ascoltare oltre la camera d’eco” e “Anche essere ‘anti’ può aprire un dialogo” di Sarah Mundell. Le tematiche sono piene di racconti azzeccati e interessanti e offrono profondità, intuizione e varietà, ha commentato la Giuria. (altro…)
Giu 28, 2017 | Parola di Vita
Stanchi e oppressi: queste parole ci suggeriscono l’immagine di persone – uomini e donne, giovani, bambini e anziani – che in qualsiasi modo portano pesi lungo il cammino della vita e sperano che arrivi il giorno in cui potersene liberare. In questo brano del vangelo di Matteo, Gesù rivolge un invito: “Venite a me …”. Egli aveva intorno a sé la folla venuta per vederlo e ascoltarlo; molti di essi erano persone semplici, povere, con poca istruzione, incapaci di conoscere e rispettare tutte le complesse prescrizioni religiose del tempo. Gravavano su di loro, inoltre, le tasse e l’amministrazione romana come un peso spesso impossibile da sostenere. Si trovavano nell’affanno e in cerca di una offerta di una vita migliore. Gesù, con il suo insegnamento, mostrava un’attenzione particolare verso di loro e verso tutti quelli che erano esclusi dalla società perché ritenuti peccatori. Egli desiderava che tutti potessero comprendere ed accogliere la legge più importante, quella che apre la porta della casa del Padre: la legge dell’amore. Dio infatti rivela le sue meraviglie a quanti hanno il cuore aperto e semplice. Ma Gesù invita anche noi, oggi, ad avvicinarci a lui. Egli si è manifestato come il volto visibile di Dio che è amore, un Dio che ci ama immensamente, così come siamo, con le nostre capacità e i nostri limiti, le nostre aspirazioni e i nostri fallimenti! E ci invita a fidarci della sua “legge” che non è un peso che ci schiaccia, ma un giogo leggero, capace di riempire il cuore di gioia in quanti la vivono. Essa richiede l’impegno a non ripiegarci su noi stessi, anzi a fare della nostra vita un dono sempre più pieno agli altri, giorno dopo giorno. “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro” Gesù fa anche una promessa: “… vi darò ristoro”. In che modo? Prima di tutto con la Sua presenza, che si rende più decisa e profonda in noi se lo scegliamo come il punto fermo della nostra esistenza; poi con una luce particolare, che illumina i nostri passi quotidiani e ci fa scoprire il senso della vita, anche quando le circostanze esterne sono difficili. Se, inoltre, cominciamo ad amare come Gesù stesso ha fatto, troveremo nell’amore la forza per andare avanti e la pienezza della libertà, perché è la vita di Dio che si fa strada in noi. Così ha scritto Chiara Lubich: “… un cristiano, che non è sempre nella tensione di amare, non merita il nome di cristiano. E questo perché tutti i comandamenti di Gesù si riassumono in uno solo: in quello dell’amore per Dio e per il prossimo, nel quale vedere e amare Gesù. L’amore non è mero sentimentalismo ma si traduce in vita concreta, nel servizio ai fratelli, specie quelli che ci stanno accanto, cominciando dalle piccole cose, dai servizi più umili. Dice Charles de Foucauld: “Quando si ama qualcuno, si è molto realmente in lui, si è in lui con l’amore, si vive in lui con l’amore, non si vive più in sé, si è ‘distaccati’ da sé, ‘fuori’ di sé”(Scritti Spirituali, VII, Città Nuova, Roma 1975, p.110.). Ed è per questo amore che si fa strada in noi la sua luce, la luce di Gesù, secondo la sua promessa: “A chi mi ama … mi manifesterò a lui” (Gv 14, 21). L’amore è fonte di luce: amando si comprende di più Dio che è Amore” (…)”.1 Accogliamo l’invito di Gesù ad andare a Lui e riconosciamolo come sorgente della nostra speranza e della nostra pace. Accogliamo il suo “comandamento” e sforziamoci di amare, come Lui ha fatto, nelle mille occasioni che ci capitano ogni giorno in famiglia, in parrocchia, sul lavoro: rispondiamo all’offesa con il perdono, costruiamo ponti piuttosto che muri e mettiamoci al servizio di chi è sotto il peso delle difficoltà. Scopriremo in questa legge non un peso, ma un’ala che ci farà volare alto. Letizia Magri ___________________________________ 1Cf. C. Lubich, Parola di vita/maggio – La luce s’accende con l’amore, Città Nuova, XLIII, [1999/8], pg. 49. (altro…)
Giu 28, 2017 | Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Giugno del 1967: proprio cinquant’anni anni fa gli israeliani occupano i territori palestinesi. Da quel giorno è un susseguirsi di scontri di violenza e di morte. Molti, nonostante, continuano a costruire un futuro di pace. Tra questi Margaret Karram, già membro della Commissione episcopale per il dialogo interreligioso dell’Assemblea degli Ordinari Cattolici della Terra Santa e collaboratrice con la direzione del Interreligious Coordinating Council in Israele (ICCI). Dal 2014 lavora al Centro internazionale del Movimento dei Focolari (Italia). Margaret K.: «Sono nata ad Haifa, una città in Galilea e la mia terra da sempre è stata una terra di conflitti, di guerre, sotto la dominazione di vari popoli. La nostra casa si trovava sul Monte Carmelo, in un quartiere ebraico. Eravamo l’unica famiglia araba cristiana cattolica, di origine palestinese. Ricordo che da piccola, avevo sei anni, alcuni bambini iniziarono ad offendermi pesantemente dicendomi che ero araba e non potevo stare in quel quartiere. Corsi dalla mia mamma piangendo, chiedendole il perché di quella situazione. Per tutta risposta, mia mamma mi chiese di invitare questi bambini a casa. Aveva preparato del pane arabo e ne ha dato loro pregandoli di portarlo alle loro famiglie. Da questo piccolo gesto sono nati i primi contatti con i vicini ebrei che vollero conoscere questa donna che aveva fatto un gesto del genere. Questo fatto mi ha insegnato che un piccolo atto di amore verso il prossimo fa superare le montagne dell’odio». La storia di Margaret continua con la narrazione di ricordi e avvenimenti che testimoniano quante difficoltà ha dovuto affrontare. Araba, cristiana-cattolica, Margaret è cittadina israeliana. Molti dei suoi familiari, come tanti cristiani, hanno dovuto fuggire in Libano durante gli anni della guerra. Si ritrova così a non poter conoscere gran parte della sua famiglia, poiché suo padre sceglie di rimanere con i nonni. In lei cresce sempre più il desiderio di costruire ponti di fraternità. «Sin da piccola sognavo la pace. Spesso mi recavo nei quartieri arabi a Gerusalemme, a Betlemme o in altri territori palestinesi. Se parlavo in arabo – che è la mia prima lingua – le persone riconoscevano dal mio accento la provenienza dalla Galilea che si trova in territorio israeliano. Viceversa, se parlavo in ebraico mi si faceva notare che il mio accento era diverso dal loro. Questo mi ha creato un senso di smarrimento della mia identità: non ero palestinese, né israeliana … All’età di 15 anni ho incontrato il Movimento dei Focolari e la spiritualità di Chiara Lubich mi ha messo le ali per volare. Ho sentito che non dovevo cambiare le persone ma cambiare io, il mio cuore. Ero tornata a credere che l’altro è un dono per me e io posso essere un dono per l’altro.
Vivendo a Gerusalemme spesso ero presa dalla tentazione di scoraggiarmi, specialmente durante l’Intifada. Abbiamo vissuto dei momenti molto duri in città: molto spesso avvenivano degli attentati nei luoghi pubblici, anche nei pullman che io usavo ogni giorno per andare al lavoro. Avevo paura. Sono andata avanti grazie al fatto di avere con me una comunità che condivideva la spiritualità del Focolare. E ho finalmente ritrovato la mia vera identità: quella di essere cristiana, cattolica, testimone di speranza. È stata una tappa importante nella mia vita, che mi ha liberato dalle paure ed incertezze. Potevo amare tutti, arabi e israeliani, rispettando la loro storia e fare di tutto per creare spazi di dialogo, per costruire ponti, fiducia, assistendo a piccoli miracoli, vedevo persone ebraiche e musulmane cambiare atteggiamento e cercare insieme di fare qualcosa per la pace». Certamente non mancano tante iniziative. Molte organizzazioni lavorano per la pace attraverso l’arte, l’educazione, le azioni sociali. Tante persone come lei cercano di accendere piccole luci, che possono illuminare il buio e far intravedere spiragli di cielo. Nel giugno del 2014 Margaret viene invitata a far parte della delegazione cristiana alla preghiera di “invocazione per la pace” fatta insieme da papa Francesco, il patriarca Bartolomeo I, Shimon Peres, allora Presidente Israeliano e Abu Mazen, Presidente palestinese. «Subito dopo questo incontro c’è stata la guerra nella Striscia di Gaza. Sembrava essere stato vano il tentativo del Papa di riunire i due Capi di Stato per lavorare per la pace tra i due popoli. Ma è stato un momento storico, una tappa importante. Ho percepito la potenza della preghiera e ho capito che il cuore degli uomini lo può cambiare solo Dio. Dobbiamo continuare a invocare la pace a Dio. Come gli alberi d’ulivo che abbiamo piantato quel giorno, che la pace metta radici e si possano vedere i frutti». Video integrale (altro…)
Giu 27, 2017 | Focolari nel Mondo
Joseph Absi, vicario Patriarcale di Damasco, è stato eletto a guidare la Chiesa greco-cattolica. Il nuovo Patriarca, che succede all’85enne Gregorio III Laham, ha studiato teologia in Francia e in Libano (Harissa), ha conseguito una licenza in filosofia presso l’Università statale libanese e un dottorato in musica presso la Pontificia Università di Kaslik. Mons. Absi, che appartiene alla Società dei missionari di San Paolo (Paolisti), è sacerdote dal 1973 e superiore generale dal 1999. Consacrato vescovo nel 2001, è stato presidente della Caritas siriana promuovendo con i suoi collaboratori più di 40 progetti a Damasco, Aleppo e Hassaké. Uno dei temi che sta più a cuore al nuovo Patriarca melchita è l’unità fra le Chiese cattoliche orientali. (altro…)