Movimento dei Focolari
Chiamati alla speranza

Chiamati alla speranza

“Dare un’anima all’Europa”. Questo in sintesi l’obiettivo di Insieme per l’Europa, la rete cristiana che oggi raggruppa più di 300 Movimenti, Organizzazioni e Comunità cristiane dell’Europa occidentale e orientale. Un segno di speranza soprattutto in tempi di conflitti e crisi.

Il 31 ottobre scorso Insieme per l’Europa (IpE) ha celebrato il suo 25° anniversario dalla nascita. Lo stesso giorno del 1999 ad Ausburg in Germania, ci fu l’evento capostipite con la firma congiunta cattolico-luterana della Dichiarazione sulla giustificazione che sanava una profonda spaccatura tra le due Chiese da oltre 500 anni. Negli anni a seguire si è costruito un dialogo sempre più profondo, basato sul perdono reciproco sino ad arrivare all’evento storico del patto di amore scambievole (dicembre 2001) nella chiesa luterana di Monaco gremita da oltre 600 persone. 

Tra i primi promotori della rete IpE ci sono Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, altri fondatori di movimenti e comunità cattoliche italiane ed evangelico-luterane tedesche, decisi fin da subito a camminare insieme.

Quest’anno, dal 31 ottobre al 2 novembre più di 200 rappresentanti della rete IpE si sono riuniti a Graz-Seckau in Austria, per l’evento annuale dal titolo “Chiamati alla speranza”, in rappresentanza di 52 Movimenti, Comunità e Organizzazioni provenienti da 19 Paesi europei. Presenti cristiani ortodossi, cattolici, protestanti, riformati e membri delle Chiese libere, leader spirituali e laici, autorità civili e politiche.

Tra loro il Vescovo Wilhelm Krautwaschl della Diocesi ospitante, il Vescovo Joszef Pàl della Diocesi Timisoara (Romania), il Copresidente del Movimento dei Focolari Jesús Morán, Reinhardt Schink, responsabile dell’Alleanza Evangelica in Germania, Markus Marosch della Tavola Rotonda (Austria), Márk Aurél Erszegi del Ministero degli Esteri ungherese, il già Primo ministro della Slovenia Alojz Peterle e il già Primo ministro della Slovacchia Eduard Heger. Ha partecipato al convegno anche una delegazione dell’Interparliamentary Assembly on Orthodoxie con il Segretario generale Maximos Charakopoulos (Grecia) e l’Advisor Kostantinos Mygdalis.

Gerhard Pross (CVJM Esslingen), moderatore di Ipe e testimone dell’inizio, in occasione del 25°anniversario ha evidenziato nel suo discorso di apertura i tanti momenti di grazia vissuti in questi anni. Anche il vescovo Christian Krause, che nel 1999 era presidente della Federazione luterana mondiale e fu cofirmatario della “Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione”, attraverso un messaggio ha sottolineato l’importanza di questo percorso insieme.

“Vista l’attuale situazione in Europa, sono arrivato qui scoraggiato e depresso – afferma uno dei presenti -. Ma questi giorni mi riempiono di nuovo coraggio e speranza”. Gli fa eco una signora ucraina: “Essere ambasciatori di riconciliazione, questo mi porto dall’incontro di Insieme per l’Europa. Vivo in un Paese in guerra, dove ancora non si può parlare di riconciliazione. Ma sento che si può essere ambasciatori, perché un ambasciatore è per definizione un diplomatico, non impone, porge e prepara… Questa è la missione che sento di dover portare lì dove vivo. E proverò a farlo cercando di essere, come ha detto Jesús Morán: “artigiano di una nuova cultura”.

Nel suo intervento,Jesús Morán aveva infatti affermato: “Le cose non cambiano da un giorno all’altro, sono importanti gli artigiani, gli agricoltori di una nuova cultura, che con pazienza lavorano e seminano, sperano. (…) L’insieme di cui stiamo parlando non è un insieme nel senso di un’unione. A differenza dell’unione, l’unità considera i partecipanti come persone. Il suo obiettivo è la comunità…. L’unità trasforma le persone coinvolte, perché le raggiunge nella loro essenza senza attaccare la loro individualità. L’unità è più di un impegno comune: è essere uniti, uno nell’impegno. Mentre nell’unione la diversità è fonte di conflitto, nell’unità è pegno di ricchezza. L’unità, in definitiva, si riferisce a qualcosa che sta al di là dei partecipanti, che li trascende e che quindi non è fatto, ma ricevuto come un dono”.

Durante l’incontro i partecipanti hanno solennemente rinnovato il Patto dell’amore reciproco, base dell’impegno comune, pregando in quattro lingue: “Gesù vogliamo amarci come tu ci hai amato”.

L’evento si è concluso con l’idea di poter svolgere un grande evento nel 2027 con lo scopo di inviare un potente segnale di unità e speranza all’Europa.

“Sono sicura che il lavoro, la vita, l’amore e la sofferenza porteranno il positivo in Europa – scrive una signora dall’Olanda a conclusione della manifestazione -. È molto importante essere ambasciatori di riconciliazione. (…) Gli artigiani sono importanti e gettano un seme della speranza””.

Lorenzo Russo

Valencia (Spagna): dopo la DANA, la solidarietà

Valencia (Spagna): dopo la DANA, la solidarietà

La provincia spagnola di Valencia ha subìto, alcuni giorni fa, uno dei più grandi disastri naturali della sua storia, dopo che forti piogge hanno causato massicce inondazioni – la DANA – nelle città e nei paesi della regione.

Al momento si contano 214 morti e 32 persone ancora disperse. Si stima che siano state colpite 800.000 persone, un terzo degli abitanti della provincia di Valencia. Circa 2000 piccoli locali commerciali sono stati invasi da acqua e fango e hanno perso tutto. Le automobili navigavano, come se fossero barchette di carta, per le strade ammucchiandosi l’una sull’altra. Non è ancora stato stilato l’elenco di quante famiglie abbiano perso la fonte del loro sostentamento. Un grande disastro aggravato dalla proroga indefinita delle opere pubbliche necessarie per evitare che si verifichino vere e proprie inondazioni come queste.

Un grande disastro che, però, è stato affiancato da una grande solidarietà. Nei giorni successivi, quando le acque hanno iniziato a ritirarsi ed hanno reso visibile l’accumulo di fango che ricopriva tutto, migliaia di volontari, per lo più giovani, hanno iniziato ad arrivare nella zona del disastro camminando con pale e scope per mettersi al lavoro.

“Questa è stata, e continua ad essere, una tragedia immensa. Molto al di là di quanto avremmo potuto immaginare. Non riuscivamo a credere che stesse succedendo”, afferma José Luis Guinot, oncologo medico e presidente dell’Associazione Viktor E. Frankl di Valencia per il supporto emotivo nella malattia, nella sofferenza, nella morte e in qualsiasi perdita vitale. È stato convocato dal Consiglio comunale per collaborare a un centro di assistenza sanitaria e di supporto creato per l’occasione, per “ascoltare e accogliere coloro che hanno bisogno di raccontare cosa è successo loro e cosa stanno vivendo”.

Il dott. Guinot racconta che qualche giorno dopo, partecipando alla Messa domenicale, gli fa male sentire che si prega solo per i morti, per le persone colpite dall’alluvione, senza proporre nient’altro. Poi riflette e pensa “Attenzione, non basta solo pregare, anche se dobbiamo pregare molto. È necessario stare vicino alle persone per dare speranza. E’ lì noi come cristiani, come Movimento dei Focolari, dobbiamo dare quella speranza al di là delle cose molto dure che viviamo. Ma insieme e uniti è il modo in cui possiamo aiutare a uscire da questa situazione”.

In una delle località colpite, una famiglia dei Focolari con bambini piccoli ha avuto la casa allagata. Non ci sono state conseguenze gravi, ma nulla di ciò che avevano è più utilizzabile: lavatrice, frigorifero, tutti gli elettrodomestici, i mobili… L’aiuto delle altre famiglie non si è fatto attendere: chi ha lavato tutti i loro vestiti, chi ha regalato loro una lavatrice nuova…

Eugenio è un membro dei Focolari che ha una disabilità dovuta alla poliomielite. Per anni è stato impegnato nella Federazione degli Sport Adattati di Valencia, di cui è stato il Presidente. Ha molti problemi di mobilità e nei giorni successivi all’alluvione non è stato in grado di muoversi. Ma, con il telefono a portata di mano, da casa ha mobilitato le associazioni locali dei disabili che si sono organizzate per chiedere aiuto. “Dobbiamo dare idee, aiutare a creare solidarietà, generare donazioni”, chiarisce José Luis Guinot e così queste associazioni hanno reperito sedie a rotelle per coloro ai quali l’alluvione le ha rese inutilizzabili.  

“Penso che sia un allarme per l’intera società. È noto che in Spagna stiamo vivendo un periodo di conflitto politico molto polarizzato”, riflette José Luis. “Ma c’è un’altra società di persone, ci sono tanti giovani che pensiamo siano sempre attaccati ai social network e che invece, ora sono lì, nel fango, e ci chiedono una società della solidarietà, un mondo unito, una società dove la fraternità sia sentita. Questo messaggio, fino ad ora, non era stato accettato bene dai politici. Ma ora nessuno lo può mettere in discussione”.

Con la comunità dei Focolari si incontreranno il prossimo fine settimana, per pensare e pianificare insieme, passati questi giorni di emergenza, il servizio che possono fornire. Perché “tra due o tre mesi ci sarà bisogno di sostegno emotivo, di sentirsi parte di qualcosa, di una comunità o di una parrocchia… Lì avremo un compito molto grande: usare molto il telefono, essere in grado di andare a trovare le persone, lasciare che ci raccontino, incoraggiarle sapendo che è molto difficile quello che vivono, ma che siamo al loro fianco”. Un compito in cui tutti possono e devono essere coinvolti, come dice José Luis: “Anche se non puoi muoverti da casa, se sei vecchio, se hai bambini piccoli… hai la possibilità di parlare con i tuoi vicini, di fare telefonate e dare un incoraggiamento. Trasmettere senso di comunità…A coloro che stanno soffrendo per la perdita di persone care, di beni essenziali, non spiegherò nulla, darò loro un abbraccio e dirò: ‘Vi aiuteremo a trovare la forza di andare avanti’”.

La comunità dei Focolari ha lanciato una campagna di raccolta fondi insieme alla Fundación Igino Giordani, fondi che saranno gestiti sul posto per aiutare le vittime. I danni materiali e le perdite sono innumerevoli. Chi è sopravvissuto si è trovato senza più letti, tavoli, frigoriferi, lavatrici, automobili, materiali di lavoro…

I contributi di solidarietà possono essere erogati attraverso:
Fundación Igino Giordani
CaixaBank: ES65 2100 5615 7902 0005 6937
Proprietario: Fundación Igino Giordani
Concetto: Emergencia DANA España
Se desideri detrarre la tua donazione, invia i tuoi dati fiscali a info@fundaciongiordani.org

Carlos Mana
Foto: © UME/via fotos Publicas

Valencia (Spagna): dopo la DANA, la solidarietà

Valência (Espanha): depois da DANA, a solidariedade

A província espanhola de Valência sofreu há alguns dias um dos maiores desastres naturais de sua história, depois que fortes chuvas causaram inundações massivas – a DANA – nas cidades da região.

Até o momento, somam-se 214 mortos e 32 pessoas ainda desaparecidas. Estima-se que 800.000 pessoas tenham sido atingidas, um terço dos habitantes da província de Valência. Cerca de 2000 pequenos comércios locais foram invadidos pelas águas e lama e perderam tudo. Os carros boiavam, como se fossem barquinhos de papel, pelas ruas amontoando-se uns sobre os outros. Ainda não foi feita uma lista de quantas famílias perderam sua fonte de sustento. Um grande desastre agravado pela prorrogação indefinida de obras públicas necessárias para evitar que ocorram inundações como essas.

Um grande desastre que, porém, foi cercado de uma grande rede de solidariedade. Nos dias seguintes, quando a água começou a baixar e pôde-se ver o acúmulo de lama que cobria tudo, milhares de voluntários, principalmente jovens, começaram a chegar à região do desastre caminhando com pás e vassouras para começar a trabalhar.

“Esta foi e continua sendo uma tragédia imensa. Muito além do que poderíamos imaginar. Não conseguíamos acreditar que estivesse acontecendo”, afirma José Luis Guinot, médico oncologista e presidente da Associação Viktor E. Frankl, de Valência, para o apoio emocional durante a doença, o sofrimento, a morte e qualquer perda vital. Foi convocado pelo Conselho municipal para colaborar com um centro de assistência sanitária e de apoio criado para a ocasião, para “escutar e acolher aqueles que precisam contar o que aconteceu com eles e o que estão vivendo”.

O doutor Guinot conta que alguns dias depois, ao participar da missa dominical, sentiu-se mal ao ouvir as orações somente pelos falecidos, pelas pessoas atingidas pelas inundações, sem propor algo. Assim, refletiu: “Atenção, não basta apenas orar, mesmo que devamos rezar muito. É necessário ficar perto das pessoas para dar esperança. E ali nós, como cristãos, como Movimento dos Focolares, devemos dar aquela esperança apesar das coisas difíceis que vivemos. Mas juntos e unidos é o modo como podemos ajudar a sair desta situação”.

Em um dos locais atingidos, uma família do Movimento dos Focolares com crianças pequenas teve a casa alagada. Não houve consequências graves, mas nada do que tinham presta mais: máquina de lavar, geladeira, todos os eletrodomésticos, os móveis… A ajuda das outras famílias não tardou: lavaram suas roupas, deram uma máquina de lavar nova…

Eugenio é um membro do Movimento dos Focolares que tem uma deficiência devido à poliomielite. Durante anos se dedicou à Federação dos Esportes Adaptados de Valência, da qual foi presidente. Tem muitos problemas de mobilidade e, nos dias seguintes à enchente, não pôde se mover. Mas, com o telefone ao alcance das mãos, mobilizou de sua casa associações locais de pessoas com deficiência que se organizaram para pedir ajuda. “Devemos dar ideias, ajudar a criar solidariedade, gerar doações”, esclarece José Luis Guinot, e, assim, essas associações encontraram cadeiras de rodas para aqueles que perderam as suas nas enchentes.

“Acho que é um alarme para toda a sociedade. É notável que na Espanha estamos vivendo um período de conflito político muito polarizado”, reflete José Luis. “Mas há outra sociedade de pessoas, há muitos jovens que pensamos que estão sempre grudados nas redes sociais e que, em vez disso, agora estão ali, na lama, e nos pedem uma sociedade solidária, um mundo unido, uma sociedade em que a fraternidade seja sentida. Esta mensagem, até agora, não havia sido aceita bem pelos políticos. Mas agora nenhum deles pode discutir”.

A comunidade do Movimento dos Focolares se encontrará no próximo fim de semana para pensar e fazer planos juntos, passados esses dias emergenciais, sobre o serviço que podem oferecer. Porque “daqui a dois ou três meses será necessário um suporte emocional, sentir-se parte de algo, de uma comunidade ou de uma paróquia… E ali teremos uma grande missão: usar muito o telefone, estar prontos a ir ao encontro das pessoas, deixar que nos contem, encorajá-las sabendo que o que estão vivendo é muito difícil, mas que estamos ao lado delas”. Uma tarefa na qual todos podem e devem se envolver como diz José Luis: “Mesmo se não puder sair de casa, se for idoso, se tiver crianças pequenas… tem a possibilidade de falar com seus vizinhos, de telefonar e encorajar. Transmitir um senso de comunidade… Para aqueles que estão sofrendo pela perda de pessoas queridas, de bens essenciais, não explicarei nada, darei a eles um abraço e direi: ‘Ajudaremos vocês a encontrar as forças para continuar’”. .

A comunidade do Movimento dos Focolares lançou uma campanha de arrecadação de fundos com a Fundación Igino Giordani, fundos esses que serão administrados no local para ajudar as vítimas. Os danos materiais e as perdas são incontáveis. Quem sobreviveu se encontrou sem cama, mesa, geladeira, lavadoras, carros, materiais de trabalho…

As contribuições de solidariedade podem ser feitas pela:
Fundación Igino Giordani
CaixaBank: ES65 2100 5615 7902 0005 6937
Titular: Fundación Igino Giordani
Titular: Emergencia DANA España
Se desejar deduzir a sua doação, envie seus dados fiscais para info@fundaciongiordani.org

Carlos Mana
Foto: © UME/via fotos Publicas

A che serve la guerra?

A che serve la guerra?

La pace è il risultato di un progetto: un progetto di fraternità fra i popoli, di solidarietà con i più deboli, di rispetto reciproco. Così si costruisce un mondo più giusto, così si accantona la guerra come pratica barbara appartenente alla fase oscura della storia del genere umano. Tanti anni sono passati dalla prima pubblicazione di questo scritto, che risulta ancora oggi molto attuale, in un momento in cui il mondo è dilaniato da conflitti efferati. La storia, ci dice Giordani, potrebbe insegnarci molto…

La guerra è un omicidio in grande, rivestito di una specie di culto sacro, come lo era il sacrificio dei primogeniti al dio Baal: e ciò a motivo del terrore che incute, della retorica onde si veste e degli interessi che implica. Quando l’umanità sarà progredita spiritualmente, la guerra verrà catalogata accanto ai riti cruenti, alle superstizioni della stregoneria e ai fenomeni di barbarie.

Essa sta all’umanità, come la malattia alla salute, come il peccato all’anima: è distruzione e scempio e investe anima e corpo, i singoli e la collettività.

Secondo Einstein, l’uomo avrebbe bisogno di odiare e distruggere: e la guerra lo soddisferebbe. Ma non è così: i più degli uomini, interi popoli, non mostrano questo bisogno. Comunque lo reprimono. Ragione e religione poi lo condannano.

“Tutte le cose appetiscono la pace”, secondo san Tommaso. Difatti tutte appetiscono la vita. Solo i matti e gl’incurabili possono desiderar la morte. E morte è la guerra. Essa non è voluta dal popolo; è voluta da minoranze alle quali la violenza fisica serve per assicurarsi vantaggi economici o, anche, per soddisfare passioni deteriori. Soprattutto oggi, con il costo, i morti e le rovine, la guerra si manifesta una “inutile strage”. Strage, e per di più inutile. Una vittoria sulla vita, e che sta divenendo un suicidio dell’umanità.

[…] L’ingegno umano, destinato a ben altri scopi, ha escogitato e introdotto oggi strumenti di guerra di tale potenza da destare orrore nell’animo di qualunque persona onesta, soprattutto perché non colpiscono soltanto gli eserciti, ma spesso travolgono ancora i privati cittadini, i fanciulli, le donne, i vecchi, i malati, e insieme, gli edifici sacri e i più insigni monumenti di arte! Chi non inorridisce al pensiero che nuovi cimiteri si aggiungeranno a quelli tanto numerosi del recente conflitto e nuove fumanti rovine di borghi e città accumuleranno altri tristissimi ruderi? Chi finalmente non trema pensando come la distruzione di nuove ricchezze, conseguenza inevitabile della guerra, possa aggravare ulteriormente quella crisi economica, da cui sono travagliati quasi tutti i popoli, e specialmente le classi più umili?” [1]. […]

L’inutilità fu ribadita da Pio XII nel 1951: “Tutti hanno manifestato con la medesima energica chiarezza il loro orrore della guerra, e la loro convinzione che questa non è, e ora meno che mai, un mezzo proprio a dirimere i conflitti e a ristabilire la giustizia. A questo possono riuscire solo delle intese liberamente e lealmente consentite. Che se potesse esser questione di guerre popolari – nel senso che esse rispondono ai voti e alla volontà delle popolazioni –, ciò non sarebbe mai se non nel caso d’una ingiustizia così flagrante e così distruttiva dei beni essenziali di un popolo da rivoltare la coscienza di tutta una nazione” [2].

Come la peste serve ad appestare, la fame ad affamare, così la guerra serve ad ammazzare: per giunta, distrugge i mezzi della vita. È una industria funeraria: una fabbrica di rovine.

Solo un folle può sperare di dedurre beneficio da una strage: salute da uno svenamento, energia da una polmonite. Il male produce male, come la palma produce il dattero. E la realtà mostra, anche in questo campo, l’inconsistenza pratica del machiavellico aforisma secondo cui “il fine giustifica i mezzi”.

Il fine può essere la giustizia, la libertà, l’onore, il pane: ma i mezzi producono tale distruzione di pane, d’onore, di libertà e di giustizia, oltre che di vite umane, tra cui quelle di donne, bambini, vecchi, innocenti d’ogni sorta, che annullano tragicamente il fine stesso propostosi.

In sostanza, la guerra non serve a niente, all’infuori di distruggere vite e ricchezze.

Igino Giordani, L’inutilità della Guerra, Città Nuova, Roma, 2003, (terza edizione), p. 3
da https://iginogiordani.info/

Fotos: © Pixabay y CSC Audiovisivi

[1] Pio XII, “Mirabile illud”, 1950.
[2] Allocuzione al Corpo diplomatico, 1-1-1951.

«Lei – questa vedova – nella sua povertà ha messo nel tesoro tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere» (Mc 12,44).

«Lei – questa vedova – nella sua povertà ha messo nel tesoro tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere» (Mc 12,44).

Siamo alla conclusione del capitolo 12 del Vangelo di Marco. Gesù è nel tempio di Gerusalemme; osserva e insegna. Attraverso il suo sguardo assistiamo ad una scena piena di personaggi: persone che vanno e vengono, addetti al culto, notabili dalle lunghe vesti, ricchi che gettano le proprie laute offerte nel tesoro del tempio.

Ma ecco che si fa avanti una vedova; fa parte di una categoria di persone svantaggiate socialmente ed economicamente. Nel disinteresse generale, getta nel tesoro due spiccioli. Gesù invece la nota, chiama a sé i discepoli e li istruisce:

«Lei – questa vedova – nella sua povertà ha messo nel tesoro tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

“In verità vi dico…”. Sono le parole che introducono gli insegnamenti importanti; lo sguardo di Gesù, concentrato sulla vedova povera, ci invita a guardare nella stessa direzione: è lei il modello del discepolo.

La sua fede nell’amore di Dio è incondizionata; il suo tesoro è Dio stesso. E, nel consegnarsi totalmente a Lui, ella desidera anche donare tutto quel che può per chi è più povero. Questo fiducioso abbandono al Padre è, in certo modo, l’anticipazione dello stesso dono di sé che Gesù compirà presto con la sua passione e morte. È quella “povertà di spirito” e “purezza di cuore” che Gesù ha proclamato e vissuto.

Ciò significa «porre la nostra fiducia non nelle ricchezze, ma nell’amore di Dio e nella sua provvidenza. […] Si è “poveri in spirito” quando ci si lascia guidare dall’amore verso gli altri. Allora condividiamo e mettiamo a disposizione di quanti sono nel bisogno quello che abbiamo: un sorriso, il nostro tempo, i nostri beni, le nostre capacità. Avendo tutto donato, per amore, si è poveri, ossia si è vuoti, nulla, liberi, col cuore puro»[1].

La proposta di Gesù rovescia la nostra mentalità; al centro dei suoi pensieri è il piccolo, il povero, l’ultimo.

«Lei – questa vedova – nella sua povertà ha messo nel tesoro tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

Questa Parola di vita ci invita prima di tutto a rinnovare la nostra piena fiducia nell’amore di Dio e a confrontarci con il Suo sguardo, per vedere oltre le apparenze, senza giudicare e dipendere dal giudizio degli altri, a valorizzare il positivo di ogni persona.

Ci suggerisce la totalità del dono come logica evangelica che edifica una comunità pacificata, perché spinge a prenderci cura gli uni degli altri. Ci incoraggia a vivere il Vangelo nella quotidianità, senza apparire; a dare con larghezza e fiducia; a vivere con sobrietà, nella condivisione. Ci richiama a porre attenzione agli ultimi, per imparare da loro.

Venant è nato e cresciuto in Burundi. Racconta: «Nel villaggio, la mia famiglia poteva vantare un buon podere, con un buon raccolto. La mamma, conscia che tutto era provvidenza del cielo, raccoglieva le primizie e puntualmente le distribuiva al vicinato, partendo dalle famiglie più bisognose, destinando a noi solo una piccola parte di quello che rimaneva. Da questo esempio ho imparato il valore del dono disinteressato. Così, ho capito che Dio mi chiedeva di dare a Lui la parte migliore, anzi di dargli tutta la mia vita».

A cura di Letizia Magri e del Team della Parola di Vita


© Foto di Leonard Mukooli da Pixabay

[1] Cf. C. Lubich, Parola di Vita novembre 2003, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma, 2017) p. 704.

La rivoluzione del “dono”

La rivoluzione del “dono”

Quotidianamente siamo bombardati dalle immagini della società dell’apparenza. In tutte le nazioni la globalizzazione impone un modello in cui la ricchezza, il potere e la bellezza fisica sembrano essere gli unici valori. Eppure basta fermarsi a osservare le persone che quotidianamente incontriamo nelle nostre città (su un treno, nella metropolitana, per strada) per accorgerci che esiste una realtà diversa, fatta di piccoli gesti quotidiani di solidarietà, genitori che accompagnano a scuola i figli, infermieri che si alzano all’alba per raggiungere il posto di lavoro accanto alle persone sofferenti, lavoratori che svolgono il loro compito con serietà e impegno nelle fabbriche, nei negozi, negli uffici. Per non parlare delle tantissime azioni di volontariato.

C’è bisogno di uno sguardo di verità, capace di andare oltre le apparenze. Uno sguardo che valorizza il positivo di ogni persona rendendosi conto che sono questi piccoli gesti quotidiani che tengono in piedi la società. E ancora più rivoluzionari sono i gesti di coloro che pur vivendo in situazioni al limite della povertà si rendono conto di poter ancora “dare”, accogliere, dividere il pasto o una stanza perché c’è sempre qualcuno che ha “più bisogno”. E lo fanno per un senso di giustizia, con un cuore generoso e disinteressato.

Il dono, lo sappiamo, non è solo materiale. Chiara Lubich ci diceva: “Diamo sempre; diamo un sorriso, una comprensione, un perdono, un ascolto; diamo la nostra intelligenza, la nostra volontà, la nostra disponibilità; diamo il nostro tempo, i nostri talenti, le nostre idee (…), la nostra attività; diamo le nostre esperienze, le capacità, i nostri beni riesaminati periodicamente perché nulla si ammucchi e tutto circoli. Dare: sia questa la parola che non ci dà tregua”.[1]

Quest’idea dunque è un invito ad avere una generosità che nasce da dentro, dalla purezza di cuori che sanno riconoscere l’umanità che soffre specchiandosi nel volto spesso sfigurato dell’altro. Ed è proprio in questo dono che ci ritrova più liberi e più capaci di amare.

È stata l’esperienza di Etty Hillesum, giovane olandese che visse gli ultimi anni in un lager prima di morire a Auschwitz, capace fino all’ultimo di amare la bellezza della vita e di ringraziare per “questo dono di poter leggere negli altri. A volte le persone sono per me come case con la porta aperta. Io entro e giro per corridoi e stanze, ogni casa è arredata in modo un po’ diverso ma in fondo è uguale alle altre, di ognuno si dovrebbe fare una dimora consacrata” (…). E là, in quelle baracche popolate da uomini schiacciati e perseguitati, ho trovato la conferma di questo amore”[2]

La totalità del dono è una logica che edifica una comunità pacificata, perché spinge a prenderci cura gli uni degli altri. Ci incoraggia a vivere i valori più profondi nella quotidianità, senza apparire. È un cambio di mentalità che può diventare contagioso.

 Venant è nato e cresciuto in Burundi. Racconta: “Nel villaggio, la mia famiglia poteva vantare un buon podere, con un buon raccolto. La mamma, conscia che tutto era un dono della natura, raccoglieva le primizie e puntualmente le distribuiva al vicinato, partendo dalle famiglie più bisognose, destinando a noi solo una piccola parte di quello che rimaneva. Da questo esempio ho imparato il valore del dono disinteressato”.


[1]Collegamento 23 aprile 1992

[2]Etty Hillesum, Diario

©Foto di Mdjanafarislam – Pixabay

L’IDEA DEL MESE è attualmente prodotta dal “Centro del Dialogo con persone di convinzioni non religiose” del Movimento dei Focolari. Si tratta di un’iniziativa nata nel 2014 in Uruguay per condividere con gli amici non credenti i valori della Parola di Vita, cioè la frase della Scrittura che i membri del Movimento si impegnano a mettere in atto nella vita quotidiana. Attualmente L’IDEA DEL MESE viene tradotta in 12 lingue e distribuita in più di 25 paesi, con adattamenti del testo alle diverse sensibilità culturali. https://dialogue4unity.focolare.org/

Margaret Karram a conclusione del Sinodo

Margaret Karram a conclusione del Sinodo

“E’ stata per me una grazia immensa, un dono di Dio non solo personale, ma per tutto il Movimento dei Focolari” con queste parole della Presidente Margaret Karram apre alcune riflessioni sull’esperienza sinodale e sul documento finale della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (2-27 ottobre 2024) “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione”. 

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Vangelo vissuto: “Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore…”

Vangelo vissuto: “Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore…”

Nella sala d’attesa

Qualche mese fa mi è stato diagnosticato un tumore. Il medico ha consigliato di iniziare con un trattamento alternativo per poi concludere con la radioterapia.

Arrivato il mio primo giorno del ciclo di radioterapia trovo una grande sala d’attesa, con tanti pazienti, a testa bassa… Presento la tessera magnetica per annunciarmi, in piedi perché non c’erano più sedie, questo è stato il momento più forte, in cui ho abbracciato e accettato il dolore che questa situazione mi provocava. Il secondo giorno, ho chiesto a Dio di darmi forza e ho iniziato a parlare con uno, due e anche tre pazienti, chiedendo da dove venivano, come era andato il loro viaggio per arrivare poiché venivano da luoghi diversi. Così, giorno dopo giorno, la sala di attesa si è trasformata n luogo di gioia. Si respirava un’altra aria, l’amore, la pazienza, la temperanza; ci siamo dati dei soprannomi prendendo spunto da personaggi famosi. Il mio ultimo giorno di trattamento, ho portato dolci per tutti, ci siamo messi dei cappelli per scattare foto e infine abbiamo messo la mano destra al centro per fare un patto di fratellanza “finché morte non ci separi”.

La dottoressa direttrice del servizio mi ha chiamato per darmi il referto che dovevo portare allo specialista che mi segue e mi ha salutato con un abbraccio e un bacio, dicendomi: “Come ci mancherai, ci hai fatto ridere così tanto… ti sentivo sempre dal mio ufficio”. All’uscita, mi sono ritrovato nella sala d’attesa e tutti erano in piedi ad applaudirmi, le lacrime hanno cominciato a scendere, ho salutato e, già in strada, mi sono detto: “Quanto è bello mettere in prattica le parole del Vangelo. Con un poco di amore tutto si trasforma”.

J.J.A

L’impiegato

In fabbrica avevamo bisogno di qualcuno che si occupasse delle pulizie: gli uffici, la cucina, i bagni e gli altri spazi comuni.

Durante il mio orario di lavoro, devo parlare a lungo al cellulare e, ogni volta che posso, ne approfitto per passeggiare, così posso passare un po’ di tempo al sole. Un giorno, me ne sono andato determinato a trovare qualcuno della zona che potesse fare le pulizie. A solo mezzo isolato di distanza, c’era un signore anziano alla porta di casa che tagliava l’erba e ne ho approfittato per avvicinarmi, presentarmi e dirgli che cercavamo qualcuno che ci desse una mano con le pulizie. Forse conosceva qualcuno che cercasse lavoro.

Mi ha guardato e mi ha detto che suo figlio poteva svolgere quei compiti. Ho risposto: “Va bene, gli dica di venire domani”. Poi mi ha spiegato che che il ragazzo ha la sclerosi multipla. “Gli dica di venire domani”, gli ho ripetuto.

Il giorno dopo è arrivato Mauro, un uomo di 36 anni. Mi ha detto che era entrato a far parte di un programma di ricerca in cui gli veniva iniettato un farmaco speciale una volta alla settimana e che questo lo lasciava indebolito il giorno successivo, oltre al fatto che il trattamento non era sempre lo stesso giorno. Mi ha anche detto che era difficile per lui trovare un lavoro proprio a causa di questa difficoltà.

Mauro è con noi da cinque mesi. Non solo esegue le operazioni di pulizia concordate, ma si occupa anche del giardino e della manutenzione, tra le altre cose.

La reciprocità, il dare e il ricevere, la comunione, la valorizzazione della persona è il modo in cui voglio vivere e lavorare.

V.C.P.

A cura di Carlos Mana

Foto:© Truthseeker08 – Pixabay

29 ottobre: festa liturgica beata Chiara Badano

29 ottobre: festa liturgica beata Chiara Badano

Una ragazza innamorata di Dio che, all’età di 17 anni scopre di avere un tumore osseo e, anche nella malattia, non smette mai di alimentarsi dell’amore per Dio, più forte di ogni altra cosa. “Per te Gesù, se lo vuoi tu, lo voglio anch’io!”

È in quarta elementare quando conosce il Movimento dei Focolari. Entra così nel gruppo Gen (Generazione nuova), i e le giovani dei Focolari. Non parla di Gesù agli altri, lo porta con la sua vita. Dice infatti: “io non devo parlare di Gesù, glielo devo dare… prima di tutto mettendomi in atteggiamento di ascolto, ma soprattutto col mio modo di amare”.

“Chiara Luce” è il nome che ho pensato per te; ti piace? – le scrive Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari in risposta a una sua lettera – È la luce dell’Ideale che vince il mondo…”.

Chiara Luce parte per il Cielo il 7 ottobre 1990. Pronuncia queste ultime parole: “Mamma ciao, sii felice, perché io lo sono”, a coronamento di una sofferenza vissuta nella luce radiosa della fede. La sua breve vita è oggi un esempio per migliaia di ragazzi in tutto il mondo. All’attenzione della Fondazione, canale ufficiale istituito per mantenere perenne e viva la memoria della beata Chiara e per custodirne i luoghi, continuano ad arrivare molte richieste e segnalazioni che confermano come la Beata Chiara Luce sia conosciuta e amata in tutto il mondo, soprattutto fra i giovani.

Nel giorno del suo compleanno (Chiara nasce il 29 ottobre del 1971) e della ricorrenza liturgica a Sassello (Italia), città natale, si vivrà una giornata intensa di festa, aperta a tutti, e con la possibilità di seguire alcuni appuntamenti in diretta streaming sul sito ufficiale di Chiara Badano: Fondazione Chiara Badano

Nella locandina potete leggere il programma con gli orari (fuso orario utc+1).

Per informazioni e richieste: fondazione@chiarabadano.org

Lorenzo Russo

La rete dei Genfest locali

La rete dei Genfest locali

I giovani del Movimento dei Focolari, insieme al Genfest in Brasile, hanno organizzato anche 44 edizioni locali del Genfest in vari Paesi del mondo. Qui alcune immagini degli eventi nei vari Paesi e alcune brevi testimonianze da Costa d’Avorio, Etiopia, Egitto, Giordania, Slovacchia e dalla Corea.

Un viaggio che mi ha arricchito la vita

Un viaggio che mi ha arricchito la vita

Paola Iaccarino Idelson è una biologa nutrizionista, esperta in alimentazione. Vive a Napoli, nel sud Italia. Da una segnalazione di una cara amica ho saputo che ha fatto un viaggio in Brasile durante l’estate di questo 2024. Incuriosito, ho provato a cercarla sui social. Sono rimasto meravigliato dalle bellissime foto scattate durante il soggiorno brasiliano e dai racconti intensi, che rivelano un’esperienza profonda. Decido quindi di contattarla per un’intervista.

Paola, da Napoli in Brasile: perché hai scelto di fare questo viaggio?

È una storia molto lunga. Sono stata in Brasile la prima volta quattordici anni fa a Florianópolis. E ci sono stata perché ho una passione per la lingua brasiliana. Non volevo andarci da turista per cui tramite un’amica medico, sono andata ad aiutare un suo collega da volontaria. Abbiamo affiancato un sacerdote nella sua missione quotidiana. Aveva aperto una scuola per aiutare i ragazzi contro la delinquenza, e avviato un’officina di riparazione per tavole da surf, per offrire un lavoro dignitoso ai giovani del posto.  Per tre settimane ho pesato e misurato l’altezza ai bambini in quella scuola: è stata un’esperienza talmente forte, intensa e bella che quando sono poi tornata in Italia ho dovuto rimuoverla dalla mia mente per poter continuare a vivere la mia vita come prima.

E poi? Cos’è successo?

L’anno scorso mi sono lasciata con il mio fidanzato al quale non piaceva il Brasile. Così mi son detta: ecco, è arrivato il momento di riprendere questo sogno. Però anche stavolta volevo fare un’esperienza non da turista, ma aiutando in qualche modo la comunità locale. Ne ho parlato con un’amica focolarina, lei mi ha messo in contatto con la comunità dei Focolari in Amazzonia.

Avrei voluto fare volontariato come nutrizionista, il mio mestiere, ma comunque ero disponibile a tutto. Una delle focolarine in Brasile, Leda, mi ha parlato della nave-ospedale “Papa Francisco” nella quale poter lavorare. Quindi alla fine sono partita nell’agosto 2024. Leda è stata un angelo, ha organizzato tutto il mio itinerario mettendomi in contatto con la comunità dei Focolari e si è presa cura di me per tutto il periodo lì in Brasile.

La nave-ospedale Papa Francisco: cos’hai fatto lì?

Non c’era un compito ben specifico per me che sono esperta in alimentazione. C’erano una decina di medici, ognuno con il suo ambulatorio. Ho aiutato dove potevo. La sveglia suonava alle 6 del mattino perché già dalle 6,30 arrivavano persone dai villaggi vicini per essere curati. Bisognava fare accoglienza, registrare gli arrivi e gestire l’afflusso. Ho fatto consulenze nutrizionali e ho capito che c’era un problema di sovrappeso e obesità, soprattutto nelle donne. Mi sono interrogata molto sulle ragioni di quelle condizioni di obesità, era un problema abbastanza comune in quel posto. Parlando con qualcuno mi sono resa conto che c’è un problema di sedentarietà e di diffusione dell’uso di bevande zuccherate, dolci e carne. 

Hai potuto toccare con mano anche tanta povertà…  

Ho visto persone veramente povere ma molto dignitose, che riescono a far studiare i propri figli. Mi ha molto colpito una famiglia. Sono 10 figli, si vedeva che vivono in condizioni molto povere. Il papà ha anche qualche problema di salute. Nonostante ciò i genitori sono riusciti a far studiare i figli e una delle figlie sta per diventare fotografa. Una grande dignità nonostante quelle condizioni di vita.

Hai visto l’abbondanza della diversità, dalla natura ai colori della pelle delle persone, dai cibi agli odori ai sapori…  

È stata una delle cose che mi ha colpito di più di questo viaggio e che mi porto dietro. Una diversità enorme nel modo di vivere, soprattutto nella varietà incredibile di frutta, verdura, cereali, fiori, piante, i colori dei fiumi, gli animali, le persone. Quando registravo gli arrivi per le visite, nel software c’era da scrivere il colore della pelle e avevo quattro opzioni legate alla diversità delle etnie, delle origini, del colore della pelle… Vivere questa diversità è stata un’esperienza forte e sono convinta che è solo una grande ricchezza.

Come la comunità dei Focolari ti ha accolta e aiutata in questa esperienza?

È stata fondamentale in tutta la mia esperienza in Brasile. Mi sono sentita accolta in ogni posto dove sono stata. L’arte di amare tutti l’ho toccata con mano. Ho sempre sentito un amore nei miei confronti, un’apertura molto grande e disinteressata. Mi ha fatto un gran bene, davvero un’accoglienza commovente. 

Sei andata lì per donare tempo e professionalità ma hai ricevuto molto di più. Ti ha un po’ cambiato la vita questo viaggio? 

Guarda, ho cinquant’anni, non venti. Ma questo perché lo dico? Perché a vent’anni, o anche forse a trenta, avevo ancora l’idea di andare in un posto per donare. Adesso mi è molto, molto chiaro che la possibilità di donarmi mi restituisce qualcosa. Sapevo benissimo che la parola “volontariato” includeva tanto. Donare il proprio tempo fa bene. Innanzitutto a chi lo dà. Io sicuramente ho fatto un’esperienza di condivisione con la comunità dei Focolari molto forte. Pur non essendo nelle mie conoscenze come spiritualità, apprezzo tantissimo tutte le altre sue forme di espressione dell’amore concreto. Ritengo sia stata un’esperienza veramente molto, molto, molto bella. Quest’idea di poter vivere insieme, mettendo in comune tutto quello che si ha, è l’idea appunto della comunità. Il poter fare del bene agli altri e vivere con gli altri è una cosa che mi piace veramente molto. 

Questo viaggio mi ha arricchito molto. Ha avuto e avrà un grosso impatto nella mia vita. Mi ha fatto conoscere delle persone meravigliose, realtà completamente diverse dalla mia. Ho capito che la condivisione è realmente possibile.

Sei poi rientrata a Napoli e hai avuto un’accoglienza inaspettata!

Si, effettivamente tante persone che ho incontrato al mio ritorno e che incontro ancora oggi, mi dicono di aver letto i miei diari di viaggio sui social, ringraziandomi per aver condiviso quest’esperienza. Sto ricevendo tanti ringraziamenti e varie richieste di sapere di più di questo viaggio. Mi è quindi venuta l’idea di organizzare una riproduzione di fotografie e mostrarle in una serata evento, dove posso anche raccontare qualcosa in più. Questo mi ha colpito molto: viviamo in una società dove non c’è mai tempo per i rapporti. Sentirmi chiedere di trascorrere del tempo insieme per sapere di più della mia esperienza, è una cosa bellissima.

In chiusura, avvolgiamo il nastro indietro e guardiamo sia il primo che il secondo viaggio in Brasile: come vivi oggi la tua vita?

La mia prima esperienza brasiliana di tanti anni fa, come dicevo l’ho dovuta rimuovere. Adesso sto facendo un grande sforzo per non rimuovere quest’ultimo viaggio, per non dimenticare, per mantenere questa esperienza anche nella mia vita a Napoli e in Italia. Voglio mantenere vivo questo ricordo. Perché? Perché ha un senso della vita che mi dà molta forza e mi gratifica molto.

La prima cosa che ho fatto, tornata a Napoli è stato ricontattare la mia maestra di portoghese, che è brasiliana, per imparare meglio la lingua. Ma un’altra cosa che vorrei realizzare è un gemellaggio tra un asilo napoletano e uno brasiliano che è in fase di costruzione. Sarebbe bello aiutare quei bambini mandando zaini e tutto il materiale occorrente. Ma soprattutto vorrei cercare di far condividere le esperienze tra i bambini brasiliani e bambini napoletani.

Lorenzo Russo
(foto: © Paola Iaccarino Idelson)

Genfest 2024: immagini e testimonianze

Genfest 2024: immagini e testimonianze

Il Genfest 2024, evento internazionale promosso dai giovani dei Focolari, si è svolto in Brasile nel mese di luglio e ha visto la partecipazione di oltre 4000 giovani provenienti da ogni parte del mondo. Questa edizione si è divisa in tre fasi.

Nella prima i giovani hanno vissuto come volontari in alcune attività sociali in vari Paesi dell’America Latina.

Dopo, nella seconda fase, i giovani si sono ritrovati insieme nella grande arena di Aparecida per vivere due giorni di festa e di condivisione di testimonianze di vita.

Nella fase tre si sono poi divisi in piccole comunità in base alla propria esperienza professionale per concretizzare l’ideale dell’unità e della fratellanza di Chiara Lubich.

Un laboratorio di sinodalità

Un laboratorio di sinodalità

Tra poco inizierà la terza edizione del corso di formazione alla sinodalità organizzato dal Centro Evangelii Gaudium dell’Istituto Universitario Sophia. Che bilancio si può fare?

Siamo alla terza edizione e finora questo corso ha visto centinaia di partecipanti da tutto il mondo e decine di docenti di varie discipline. È un corso interculturale, interlinguistico e interdisciplinare. Le lezioni stesse sono dei mini-laboratori perché parte integrante di esse sono gli incontri di gruppi.

Grazie alle piattaforme on line è possibile seguire il corso da ogni parte del mondo. L’orario per l’Europa è serale (18.00 alle 21.00 ora di Roma) ma c’è chi si collega alle 3 del mattino da Singapore e dalla Malesia; chi all’ora di pranzo dalle Americhe.

Abbiamo avuto una buona partecipazione. In tutto 380 iscritti. Gli studenti possono solo seguire le lezioni oppure impegnarsi con degli elaborati finali ed ottenere dei crediti accademici da parte dell’Istituto Universitario Sophia. Lavoriamo in sintonia con la Segreteria generale del Sinodo, che è tra i promotori del corso.

E’ stato interessante per noi ed è stato un bell’incoraggiamento che durante la conferenza stampa di presentazione dell’Instrumentum Laboris per la fase dell’Assemblea del Sinodo appena incominciata il 1 ottobre 2024, il cardinale Hollerich abbia affermato: “Vorrei ricordare le numerose iniziative di formazione sulla sinodalità (…) A livello internazionale ricordiamo il MOOC del Boston College che ha visto la collaborazione di molti esperti del Sinodo o ancora il corso universitario proposto dal Centro Evangelii Gaudium dell’Università Sophia qui in Italia”. (Conferenza stampa del 09-07-20249)

Dopo due anni, quali sono le prospettive che si aprono in questa terza edizione?

Ci sembra che il corso abbia dato un piccolo contributo per aiutare a creare comunità di persone impegnate a vivere e diffondere la sinodalità lì dove sono. C’è chi la propone alla propria diocesi, organizzando azioni di formazione; chi la vive nella propria parrocchia o comunità religiosa… Molto importante l’effetto moltiplicatore del corso e le reti che si stanno creando. Reti che si intrecciano con tante altre di diversi movimenti ecclesiali, Università o della Chiesa stessa.

Particolarmente interessanti sono i laboratori che si realizzano durante il corso e che si possono seguire via zoom o in presenza.

Dopo il primo anno, una studentessa degli USA ha proposto nella sua parrocchia di frequentare il corso dell’anno seguente: si sono iscritti in 12. A fine anno hanno chiesto di fare il laboratorio in presenza a San Antonio. Hanno partecipato 40 persone di varie diocesi e della Oblate School of Theology di San Antonio.

Le azioni di formazione realizzate sono innumerevoli perché fatte dagli studenti stessi usando il contenuto ed il metodo delle lezioni: in Irlanda per un’intera parrocchia, in Italia in diverse diocesi come anche in Australia, a Sidney; mentre nella Repubblica Democratica del Congo recentemente si è fatta un’azione per più di un centinaio di sacerdoti di 8 diocesi, e in Angola per tutto il clero della diocesi di Viana.

Su quali temi si svolgerà il corso che inizierà tra poco?

Il prossimo corso avrà inizio il 4 novembre 2024, all’indomani dell’Assemblea, con interventi dello stesso Segretario generale del Sinodo, Mons. Mario Grech e dei sottosegretari, Mons. Luis Marin e Sr. Nathalie Becquart, del teologo Piero Coda e di Margaret Karram, Presidente del Movimento dei Focolari e invitata speciale all’Assemblea sinodale.

I temi del corso saranno quelli emersi dell’Assembla stessa: piste aperte dalla XVI Assemblea ordinaria del Sinodo: nuove pratiche in una Chiesa sinodale e missionaria; iniziazione cristiana e trasmissione della fede in stile sinodale. Si concluderà con un laboratorio in presenza.

Come mai questo impegno del centro Evangelii Gaudium verso la sinodalità? Nel passato vi siete dedicati ad altri temi, come la formazione sugli abusi o la formazione degli operatori pastorali.

Ci sembra che la sinodalità non sia uno slogan destinato a passare. La sinodalità fa parte dell’essere della Chiesa da sempre, come ben si comprende anche leggendo gli Atti degli Apostoli. D’altra parte, è anche l’attualizzazione di quelle riforme che il Concilio Vaticano II ha indicato per la Chiesa ma che, come si può capire, hanno fatto e fanno fatica ad attuarsi.

Lo stesso Papa Francesco ha affermato nella celebrazione del Cinquantesimo dell’istituzione del Sinodo dei vescovi, il 17 ottobre 2015: “Il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio”. E il 9 ottobre 2021 lui stesso ha dato avvio al processo sinodale che oggi cerca di farsi strada in tutta la Chiesa.

Da quel momento, ci siamo impegnati nella formazione e nella promozione della sinodalità attraverso borse di ricerca, seminari, corsi di formazione e la creazione di reti nel mondo con altre facoltà e associazioni.

La sinodalità è anche uno stile che si addice molto alla spiritualità di comunione a cui si ispirano il Centro e l’Istituto Universitario Sophia. Il Card. Petrocchi, presidente del Consiglio scientifico del Centro Evangelii Gaudium, afferma che dobbiamo arrivare a “sinodalizzare” la nostra mente, sia come individui, che come gruppo ecclesiale, ma anche come gruppo della società civile. Cerchiamo di fare la nostra parte, piccola ma, speriamo, effettiva.

Carlos Mana

Info: ceg@sophiauniversity.org

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Margaret Karram e Jesús Morán in Brasile

Margaret Karram e Jesús Morán in Brasile

La Presidente e il Copresidente del Movimento dei Focolari hanno trascorso un mese in Brasile per incontrare le comunità locali e vivere il Genfest, evento mondiale promosso dai giovani del Movimento. Cura, solidarietà orizzontale, crederci: queste le tre parole che riassumono l’intensa esperienza vissuta a luglio 2024.

Un’anima di pace per il mondo

Un’anima di pace per il mondo

“Voi aspirate, voi lavorate per un mondo unito” (un mondo di pace e fraternità).

“E che cosa fate? Attività, che possono anche apparire piccole e sproporzionate, anche se significative nell’intenzione, di fronte all’obiettivo che vi siete proposti. Forse […] qualcuno di voi potrà pure lavorare direttamente nei vari organismi orientati al mondo unito.

Ma penso che – se tutto ciò sarà utilissimo – non sarà né questo né quello che vi contribuirà in modo decisivo.

Sarà piuttosto offrire al mondo […] un’anima. E quest’anima è l’amore. […]

Oggi occorre ‘essere l’amore’ e cioè sentire con l’altro, vivere l’altro, gli altri e puntare all’unità […] in tutto il pianeta. […]

Costruire, dunque, rapporti di unità” (di solidarietà) “che hanno la loro radice nell’amore.

E dovete vivere questo amore anzitutto fra di voi.

E così arrivare a realizzarlo con molti, […] fra il popolo, fra coloro che ne regolano i destini, nelle istituzioni, nelle organizzazioni piccole e grandi del mondo… Dovunque. Allora sì che le intenzioni di chi le ha messe in piedi, raggiungeranno lo scopo. E si lavorerà veramente per un mondo unito” (un mondo più pacifico).

Chiara Lubich

Questo pensiero è stato letto da Margaret Karram, Presidente del Movimento dei Focolari, durante Collegamento del 28 settembre 2024. Si può vedere facendo click qui.