Siamo chiamati tutti ad operare in noi questa conversione ricominciando continuamente ad amare tutti, se ci fossimo fermati; dobbiamo sperimentare questa specie di rinascita, questa pienezza di vita. Occorre cercare perciò, il più possibile, di tradurre in amore verso il prossimo tutte le espressioni della nostra esistenza. Ecco di fronte ai miei occhi la pagina stupenda del giudizio finale: Gesù che verrà per giudicarci e ci dirà: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere”*. Leggendo quelle parole sono rimasta colpita come fosse la prima volta che le leggevo. Riscoprivo che Gesù, all’esame finale, non mi avrebbe chiesto questa o quell’altra cosa che pure devo fare, ma avrebbe puntato proprio sull’amore al prossimo. Ho cominciato, come una persona che inizia ora la sua salita a Dio, ad amare tutti, tutti quelli con cui avevo a che fare durante la giornata. E, credetelo, mi sono sentita rinata. Ho avvertito che la mia anima ha soprattutto fame di amore, fame di amare; e che qui, nell’amore verso tutti, trova veramente il suo respiro, il suo alimento, la sua vita. Il fatto è che anche prima cercavo di compiere tanti atti d’amore, ma – ora me ne rendevo conto – alcuni erano più che altro espressione d’una spiritualità troppo individuale, che si alimenta di piccole o meno piccole penitenze, che, nonostante la nostra buona volontà, possono essere occasione per noi, chiamati all’amore, di un certo ripiegamento su noi stessi. Adesso, in questa nuova tensione ad amare tutti, potevo cogliere ancora tanti atti d’amore, ma tutti finalizzati ai fratelli, nei quali vedevo e amavo Gesù. E solo qui era per me la pienezza della gioia. Carissimi, siamo chiamati tutti ad operare continuamente in noi questa conversione; dobbiamo tutti sperimentare questa specie di rinascita, questa pienezza di vita. Occorre cercare perciò, il più possibile, di tradurre in carità verso il prossimo tutte le espressioni della nostra esistenza. È nostro dovere accudire alla casa? Non facciamolo solo per motivi umani, ma perché c’è Gesù nei fratelli da amare, vestendoli, sfamandoli, servendoli. Dobbiamo svolgere qualsiasi altro lavoro? C’è Gesù nei singoli e nelle comunità ai quali portare il nostro contributo. Dobbiamo pregare? Preghiamo sempre per la nostra persona come per le altre, usando quel “noi” che Gesù ci ha insegnato nel “Padre nostro”. Siamo chiamati a soffrire? Offriamo il nostro dolore per i fratelli. È volontà di Dio trattare con qualcuno? Sempre ci sia l’intenzione di ascoltare Lui, di consigliare Lui, di istruire Lui, di consolare Lui… in una parola: di amare Lui. Dobbiamo riposare, mangiare, svagarci? Diamo a tutte queste azioni l’intenzione di volere, con questi atti, riprendere le forze per servire meglio il fratello. Facciamo ogni cosa, insomma, in vista del prossimo. Per questo, anzi perché avvenga in noi tale riconversione, teniamo in mente nei prossimi […] giorni l’impegno: “Rinascere con l’amore»”
Chiara Lubich
*Mt 25, 35.(in una conferenza telefonica, Rocca di Papa 20 marzo 1986)Tratto da: Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, Città Nuova Ed., 2019, pag. 235.(altro…)
Gesù sa bene i bisogni fondamentali delle persone: essere comprese nel proprio intimo e avere, oltre al sostegno alle proprie fatiche, indicazioni chiare sul cammino da percorrere. Non perdiamo l’occasione comportarci con chi incontriamo con l’amore che lui suggerisce nel Vangelo. Con pazienza e tenacia Mio zio, ritenuto “un uomo d’onore”, viveva da anni nel Supramonte, una regione montuosa della Sardegna. Ritornava giù in paese di tanto in tanto e, quando i carabinieri venivano ad arrestarlo, lui era già lontano. Mio padre aveva cercato di tenerci lontani dai guai con la giustizia e con la famiglia dello zio, dalla quale fra l’altro ci dividevano questioni di eredità. Come cristiana, però, io aspettavo l’occasione giusta per far pace con loro. La prima si presentò con l’arrivo in paese di una cugina. Senza badare alla gente che ci osservava, andai a salutarla. Quando lei e suo marito risposero al mio saluto, tirai un respiro di sollievo: il primo passo era fatto. In seguito, saputo del ricovero in ospedale di mio zio, volli andare a trovarlo. Mia madre mi sconsigliò, dicendo che io non avevo zii. Ma per me era un fratello. Andai e lui mi accolse commosso. Col tempo, avvicinai tutti gli altri parenti. L’ultima fu la zia, quella che più ci aveva fatto soffrire: mancavo da 18 anni da lei, e tanti ce ne erano voluti perché con amore paziente e tenace la pace ritornasse fra le nostre famiglie.
(Gavina – Italia)
I bisogni degli altri Mentre sto uscendo in auto, mi accorgo che il vicino di casa sta cercando di pulire dal ghiaccio il parabrezza e gli altri vetri. Vado ad aiutarlo, mettendo da parte la mia fretta. Con un sorriso, lui chiede: “Ma chi te lo fa fare?”. Non ho risposte scontate, ma dentro di me ringrazio Dio di avermi fatto notare le necessità dell’altro prima delle mie faccende. Qualche ora dopo lo stesso vicino mi telefona: “Ero così contento per il tuo gesto che mi son detto: anch’io devo vivere accorgendomi dei bisogni altrui. E non c’è voluto molto: al lavoro, infatti, ho trovato una situazione difficile, risolta poi abbastanza facilmente col mettermi nei panni dell’altro. Grazie!”.
(F.A. – Slovenia)
Adottare un fratellino Siamo studenti di un Istituto tecnico. Da quando la nostra professoressa ci ha portato Città Nuova da leggere in classe, all’inizio certe cose ci parevano un po’ da illusi… Ma l’idea di contribuire a costruire insieme un mondo più unito, in fondo, ci pareva bella. Anche perché, man mano che andavamo avanti nella lettura, ci siamo accorti che non erano parole. Il giornale riportava notizie che non trovavamo in altri, un modo diverso di vedere gli avvenimenti. Tutto sommato, che ci perdevamo a provarci anche noi? Ci abbiamo provato. Ogni mattina, assieme alla professoressa, ci davamo una piccola “massima” da vivere. Per esempio: “Amare tutti” …chi ci aveva mai pensato? Poi ci è capitato di leggere un articolo sulle adozioni a distanza. E allora ci è venuta l’idea di farne una, tutti insieme. Quel piccolo gesto di contribuire ciascuno con una piccola somma mensile ci fa crescere anche come persone. Ormai Nader, anche se vive lontano (è un piccolo libanese), è diventato molto importante: parliamo di lui, delle sue necessità, proprio come di un nostro fratellino.
(I ragazzi della IIIB – Italia)
A cura di Lorenzo Russo
(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VII, n.3, maggio-giugno 2021)(altro…)
Gesù invita a riconoscere la vicinanza amorevole di Dio e indica come agire di conseguenza: scoprire nella volontà del Padre la via per raggiungere la piena comunione con Lui.Uragano Le immagini della tv mostravano le località colpite dall’uragano e rimaste isolate, e poiché lì abitavano le nostre famiglie si può immaginare l’ansia di noi seminaristi. Capitava a proposito la Parola di vita del mese: esortava ad aver fede. Uniti, pregammo per i nostri cari e ottenemmo dai nostri formatori il permesso di raggiungerli l’indomani. Ma proprio quella notte anche la capitale fu colpita duramente: strade allagate, ponti crollati, senza elettricità… Il nostro seminario tuttavia era ancora in piedi. Partimmo ugualmente: durante quel viaggio a piedi o con mezzi di fortuna, in zattera o legati a funi per vincere la resistenza dei torrenti, infinite volte fummo costretti a deviare. E finalmente il nostro paese… irriconoscibile! Dove prima era campagna, ora c’era un lago. Dopo aver riabbracciato i nostri cari (avevano perso tutto, ma erano salvi!), ci mettemmo a disposizione del parroco per i primi soccorsi. La nuova Parola proposta per quel mese sembrava indirizzata proprio a noi, per darci coraggio e infonderlo agli altri: “Beati gli afflitti…”
(Melvin – Honduras)
L’ombrello Sapendo che dietro i poveri e gli emarginati è Cristo che chiede di essere amato, cerco di non perdere le occasioni per farlo. Per esempio, nel bar vicino casa avevo notato un povero, soprannominato Penna, bagnato fradicio, perché quel giorno pioveva. Sapendo che aveva avuto la tubercolosi, e superando una certa resistenza a farmi vedere in sua compagnia, l’ho invitato a casa, per cercagli qualcosa di asciutto. I miei sono rimasti stupiti e increduli. “Babbo, servirebbero dei vestiti…”. All’inizio papà non era molto entusiasta, poi però ha procurato un paio di pantaloni, mentre io rimediavo una giacca. Ma la pioggia non accennava a finire… Ed io, tornando alla carica: “Babbo, e se gli dessimo anche un ombrello?”. Anche quello è arrivato. Felice il povero, ma più felice io, perché ci eravamo mossi insieme per aiutarlo. Ma la cosa non è finita lì. Giorni dopo, Penna è tornato per restituirci l’ombrello. Veramente non era quello che gli avevamo dato, era più bello. Era successo che il nostro glielo avevano rubato, e qualcuno gliene aveva regalato un altro. Aveva voluto così ricambiare.
(Francesco – Italia)
L’amore non si piega con parole Poco dopo la nascita, a Mariana era stata diagnosticata una lesione cerebrale. Non avrebbe parlato né camminato. Ma Dio ci chiedeva di amarla così e ci siamo buttati nelle sue braccia di Padre. La bambina ha vissuto con noi solo quattro anni; non abbiamo mai sentito le parole papà e mamma dalla sua bocca, ma nel suo silenzio parlavano gli occhi, di una luce risplendente. Non abbiamo potuto insegnarle a fare i primi passi, ma lei ci ha insegnato a fare i primi passi nell’amore, nella rinuncia a noi stessi per amare. Mariana è stata per tutta la famiglia un dono di Dio che potremmo riassumere in un’unica frase: l’amore non si spiega con le parole.
(Alba – Brasile)
A cura di Lorenzo Russo
(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VII, n.3, maggio-giugno 2021)(altro…)
Il Bala Shanti Program è un progetto nato per aiutare donne sole, per sostenerle nel garantire ai loro figli le cure necessarie, la formazione scolastica e una condizione di benessere, salute e dignità. Siamo a Coimbatore, regione a sud dell’India. Nel 1991 nasce il Bala Shanti Program un progetto che aiuta e accoglie bambini più vulnerabili e bisognosi, tra i 3 a i 5 anni, e le loro madri, spesso sole. Il programma fa parte di Shanti Ashram che è un centro internazionale per lo sviluppo culturale, sociale e sanitario al servizio dei bisogni della comunità sul territorio, ispirandosi agli ideali e agli insegnamenti di Mahatma Gandhi. “Mia nonna ha dovuto vivere sempre da sola: per questo motivo mia madre ha smesso di studiare quando frequentava le scuole medie e si è dovuta sposare quando aveva 16 anni. Questo è accaduto nel ‘78 ma oggi, dopo più di 40 anni, sento ancora storie simili o uguali a questa”. Queste le parole di Deepa, responsabile del Bala Shanti Program. Spiega infatti che, ancora oggi, i figli delle madri sole sperimentano 3 tipi di difficoltà molto grandi: la povertà, l’abbandono scolastico e l’obbligo ad un matrimonio precoce. Il Bala Shanti Program si propone dunque di aiutare queste donne a crescere i loro figli in una condizione di benessere, salute e dignità. Secondo i report delle Nazioni Unite del 2019-2020, circa il 4.5% delle famiglie in India sono portate avanti da madri sole e si stima che di queste il 38% viva in uno stato di povertà. “Una donna in India in condizioni di vulnerabilità difficilmente spera di vivere da sola: non si tratta di una scelta personale – spiega Deepa – molte di loro si trovano in condizioni di abbandono, insicurezza, sfruttamento”. L’obiettivo finale del Bala Shanti Program dunque è quello di combattere la povertà, la malnutrizione e le malattie che si sviluppano in contesti di grande disagio, costruendo una società di pace. Per fare questo, oltre agli aiuti economici, i bambini e le loro mamme vengono istruiti su temi come l’educazione, la pace, l’alimentazione sana, le norme di igiene e la leadership. Oggi esistono 9 Bala Shanti Kendra – centri di sviluppo per la prima infanzia – che accolgono più di 200 bambini l’anno. Dal ‘91 ad oggi più di 10 mila bambini hanno completato il percorso di studi e durante l’anno della pandemia da Covid-19 si sono forniti aiuti a 15 mila persone, tra bambini e famiglie. Dal ‘98 il progetto ha avviato una collaborazione con AFN Onlus, l’organizzazione no profit legata al Movimento dei Focolari che, attraverso il sostegno a distanza, aiuta a fornire ai bambini borse di studio del Bala Shanti Porgram. Sono tanti coloro che potrebbero testimoniare l’importanza del Bala Shanti Program nella propria vita, come Fathima, 45 anni: fino a pochi anni fa era un madre sola in difficoltà economiche e non sapeva come fare per crescere ed istruire suo figlio, il piccolo Aarish. Da quando il Bala Shanti Program ha iniziato a darle aiuto, la sua vita è cambiata. Aarish ha seguito dei percorsi di formazione, ricevendo una borsa di studio a distanza. “Sono stata aiutata anche attraverso provviste di cibo – spiega – mi hanno messo in contatto con medici competenti e invitato a spettacoli e danze attraverso le quali ho potuto distrarmi e pensare a qualcosa di bello. Per me è stato molto importante.” Adesso Aarish è cresciuto, ha 15 anni, è un volontario presso Shanti Ashram da 3 anni. Anche grazie al suo aiuto il Bala Shanti Program offrirà sempre più sostegno alle donne sole e ai loro figli. Così, rimane accesa la speranza che questa catena di aiuti diventi sempre più robusta e contagiosa.
Ogni giorno di fronte ad ogni azione possiamo scoprire quale volto di Gesù Abbandonato amare attraverso di essa. È questo il suggerimento di Chiara Lubich per compiere bene, perfettamente tutto quanto dobbiamo fare. Amare Gesù Abbandonato. È proprio a questo nome, che tocca così tanti aspetti della nostra vita di singoli e di comunità, che vorrei anche oggi accennare. Più precisamente, vorrei dirvi qualcosa su un modo particolare di amare Gesù Abbandonato, porta, via alla nostra santità. […] Dovunque abbiamo la possibilità meravigliosa di amarlo, di sollevarlo, di consolarlo, di porre rimedio a mali concreti, espressioni di Lui. E ciò è una grande grazia. Per questo lavoro siamo sempre in contatto con Lui, con Gesù Abbandonato, e amandolo possiamo costruire la nostra santificazione. Però c’è modo e modo di amarlo. Si può amarlo tanto, si può amarlo poco. E ciò significa: si può con questo amore contribuire ad una nostra grande santità o ad una piccola. […] I santi hanno cercato e cercano, per la gloria di Dio, quell’amore che dà il massimo rendimento. Scriviamo la nostra storia per donare la nostra esperienza? Facciamolo bene, benissimo, ascoltando con grande attenzione la sua voce dentro di noi che getta luce sul nostro passato e presente, quella luce che piace a chi ascolta e che attira. Prestiamo attenzione a quanto quella voce ci suggerisce e a quello che corregge. Facciamo ogni cosa con impegno, con il massimo impegno. Smettiamo di ritoccare il nostro lavoro solo quando quella voce non ha più nulla da dirci. Non strapazziamo mai l’Opera di Dio. Non facciamo mai opere imperfette. Facciamo dunque tutto bene, tutto benissimo. […] Di fronte a qualsiasi opera che intraprendiamo, cerchiamo di scoprire quale volto di Gesù Abbandonato possiamo amare con essa, e lanciamoci a farla perfetta. Opere, dunque, perfette per amore di Gesù Abbandonato e costruire così la nostra santità, la nostra grande santità.
Chiara Lubich
(in una conferenza telefonica, Loppiano 20 febbraio 1986) Tratto da: Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, Città Nuova Ed., 2019, pag. 232. (altro…)
La testimonianza dei volontari della “Casa de los Niños”, di Cochabamba (Bolivia), opera che si ispira alla spiritualità dell’unità, impegnati ad accudire senza sosta i contagiati dal COVID-19 e a portare consolazione ai moribondi. Siamo tornati a percorrere le strade della nostra città con un po’ di incoscienza e molta ingenuità. Questo virus mette paura a tutti. Sprona ad isolarsi gli uni dagli altri. Ma siamo coscienti dell’importanza e della necessità di ciò che ci viene richiesto con somma urgenza. Per questo non ci tiriamo mai indietro. Anche se manteniamo le dovute precauzioni. I test che realizziamo puntualmente ogni settimana continuano a darci risultati negativi. Forse qualcuno stende una mano misericordiosa sulla nostra ingenuità. Qui, è iniziata la stagione fredda e i contagi Covid-19 sono aumentati esponenzialmente. Siamo arrivati a cifre mai raggiunte. Gli ospedali pubblici sono al collasso. Si muore nelle auto, in attesa che si liberi un letto… Anche nelle cliniche private, altamente costose, i ricoveri sono stati sospesi. Non si trova più ossigeno e ci sono lunghe file per le ricariche nei soli due luoghi adibiti a questo servizio a pagamento. Una bombola di 6 m3 dura meno di 5 ore! Le medicine specialistiche sono reperibili solo sul mercato nero: ogni fiala ha un costo che si aggira intorno a 1300 euro! Quest’anno le persone colpite dal virus sono molto più giovani. Andiamo a portare ossigeno e medicine là dove siamo chiamati. Abbiamo i permessi per poter circolare tutti i giorni e a tutte le ore. Il nostro pulmino, molto spazioso, si è trasformato in ambulanza e, spesso e purtroppo, in un carro funebre a costo zero. Il tempo scorre rapidamente per chi si trova in necessità e fatica a respirare, per cui anche noi corriamo e non ci rimane il tempo per pensare a noi stessi. Portiamo ossigeno e medicine, ma, a dire il vero, ci impegniamo soprattutto a portare semi di speranza. Ci capita di conoscere per la prima volta coloro che visitiamo, ma subito si stabilisce una sorta di complicità reciproca che apre varchi alla speranza. E, piano piano, la paura si scioglie e vediamo le persone sorridere serene. Portiamo con noi anche la corona del Rosario. Non è un amuleto magico. No. È la corona di noi che vogliamo affidare le grandi afflizioni e i dolori di questo tempo, di tanti fratelli e sorelle, al cuore della nostra Mamma del cielo. Fa parte della terapia dell’ossigeno: dà aria al cuore di chi soffre! Ci troviamo, ogni sera, per la preghiera comunitaria della nostra cittadella, sul prato all’aperto, davanti alla bella cappella, che accoglie le storie di tanti dei nostri bimbi che sono già volati in cielo. Preghiamo davanti alla statua della “Virgen de Urcupiña”, patrona di Cochabamba, che porta in braccio Suo Figlio. La nostra è una preghiera che sale dritta al cielo e che vuol fissare i nomi di tanti che abbiamo visitato durante il giorno. Chiediamo per ognuno una luce dal cielo, necessaria per illuminare la notte del loro dolore.
I volontari della “Casa de los Niños” – Cochabamba (Bolivia)
Intervista alla Presidente dei Focolari pubblicata da Città Nuova Italia, a proposito del Decreto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita sul ricambio ai vertici delle aggregazioni laicali. Favorire l’alternanza. Approvato da papa Francesco, lo scorso 3 giugno è stato promulgato dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita un Decreto che regola la durata dei mandati delle cariche di governo delle associazioni internazionali. Durata massima di cinque anni del singolo mandato per un periodo massimo di dieci anni consecutivi, la norma che viene indicata (con i relativi approfondimenti specifici, tra cui possibili dispense per i fondatori), mentre una articolata nota esplicativa aiuta a comprendere lo spirito del provvedimento: favorire una maggiore comunione ecclesiale, una più ampia sinodalità, un autentico spirito di servizio, evitare personalismi, abusi di potere, incrementare lo slancio missionario e un vero e proprio stile evangelico. Ne abbiamo parlato con la Presidente dei Focolari, Margaret Karram. Presidente, vi ha sorpreso il Decreto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita relativo al ricambio ai vertici delle aggregazioni laicali? Non aspettavamo un decreto di questa natura in questo momento dell’anno, ma il contenuto non ci ha sorpreso. Da anni, nel Movimento dei Focolari si è innescato un processo che tiene conto dell’alternanza negli organi di governo, al centro internazionale e nei Paesi dove siamo presenti, stabilendo dei limiti nei mandati. Il Decreto ci ha mostrato ancora una volta la Chiesa come madre. Prendendosi cura delle associazioni come la nostra, accompagna e aiuta ogni realtà a trovare forme organizzative che le permettano di restare fedele al proprio carisma e missione, in coerenza al cammino della Chiesa nel mondo di oggi. Per questo, accogliamo pienamente lo spirito e le determinazioni del Decreto, che inoltre, va incontro alla riflessione aperta nel Movimento sulla rappresentatività negli organi di governo, condivisa già con il Dicastero. L’incipit del Decreto recita che «le associazioni internazionali di fedeli e l’esercizio del governo al loro interno sono oggetto di peculiare riflessione e conseguente discernimento da parte del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita». Avvertite una certa preoccupazione verso i movimenti in generale? E nei confronti del Movimento dei Focolari? Direi che il Dicastero ha senz’altro una particolare attenzione verso i Movimenti, e ne siamo testimoni, tenendo conto che è una sua particolare competenza. Poi, essendo una realtà così variegata, sicuramente il Dicastero ha anche qualche preoccupazione. Il Decreto stesso sottolinea la «fioritura» di queste associazioni e riconosce il fatto che esse hanno portato «alla Chiesa e al mondo contemporaneo abbondanza di grazia e di frutti apostolici». Non è intenzione della Chiesa frenare lo slancio carismatico dei movimenti, la loro forza innovatrice e il loro impatto missionario. Vuole aiutarli a realizzare le loro stesse finalità che sono sempre orientate al bene della persona, della Chiesa e della società. Il Decreto offre elementi strutturali che possono aiutare a diminuire alcuni di questi rischi, limitando il tempo in cui una persona può ricoprire incarichi di governo. Non vedo però in questi interventi una particolare concentrazione sul Movimento dei Focolari, anche perché è già prassi raccolta nei nostri Statuti l’alternanza negli incarichi di governo. Papa Francesco nel discorso ai partecipanti al III congresso mondiale dei movimenti ecclesiali e nuove comunità nel novembre 2014 indicava un metodo per raggiungere la maturità ecclesiale auspicata anche dai suoi due predecessori: «Non dimenticate che, per raggiungere questo traguardo, la conversione deve essere missionaria: la forza di superare tentazioni e insufficienze viene dalla gioia profonda dell’annuncio del Vangelo, che è alla base di tutti i vostri carismi». Cosa ne pensa? Concordo pienamente! L’augurio del Papa ci richiede un doppio impegno: occorre tornare sempre al Vangelo, alla Parola di Dio ed essere coscienti che il carisma del proprio fondatore non è altro che una lettura nuova e attuale delle parole di Gesù, illuminate da un dono dello Spirito Santo che le fa vivere da un’angolatura particolare. Dobbiamo quindi tener conto che la spiritualità, che nasce da un carisma è un modo per annunciare il Vangelo e quindi di operare per il bene della Chiesa e dell’umanità. Basta un sano ricambio generazionale, un’alternanza delle persone negli incarichi direttivi per assicurare un governo sinodale, svolto con spirito di servizio e capace di non ripetere gli errori del passato, dai personalismi fino agli abusi di potere?Direi che questo non può bastare se si vuol attuare un vero cambiamento culturale, duraturo e fruttuoso. Credo dovremmo chiederci innanzitutto qual è lo scopo del governo di una associazione come la nostra. Non è, anche se importante, il cambio generazionale, e neppure evitare gli errori passati. Lo scopo principale del nostro governo – come penso di ogni movimento ecclesiale – è quello di garantire che il Movimento vada avanti e si sviluppi nello spirito genuino al proprio carisma, seguendo il disegno che ne scaturisce e realizzando le finalità per le quali lo Spirito Santo l’ha fatto nascere. Lo stesso Decreto sottolinea che il governo «sia esercitato coerentemente con la missione ecclesiale delle medesime (associazioni), quale servizio ordinato alla realizzazione delle finalità loro proprie e alla tutela dei membri». È un lavoro di continua attualizzazione, miglioramento e rinnovamento che richiede soprattutto una conversione dei cuori al Vangelo e alle proprie radici carismatiche. Il cambio generazionale negli organi direttivi, attraverso un frequente avvicendamento negli incarichi di governo, può favorire l’attualizzazione di un’associazione, può aiutare ad evitare – come dice una nota esplicativa del Dicastero – «forme di appropriazione del carisma, personalismi, accentramento delle funzioni nonché espressioni di autoreferenzialità, che facilmente cagionano gravi violazioni della dignità e della libertà personali e, finanche, veri e propri abusi». Ma l’alternanza negli incarichi da sola non garantisce una giusta gestione del potere. Ci vogliono altri elementi che da diversi anni stiamo mettendo in atto e continuamente migliorando, come ad esempio un percorso di formazione spirituale ed umano ad una leadership coerente a uno stile evangelico e al proprio carisma, quindi uno stile di governo che mette in luce il discernimento comunitario, con nuove forme di accompagnamento e modalità sinodali per la scelta dei candidati agli incarichi di governo. Concretamente, fra tre anni, diverse delle persone elette durante l’Assemblea generale dello scorso febbraio dovranno essere sostituite. Avete già un’idea di come procedere anche per modificare gli attuali Statuti che prevedono sei anni per la durata delle cariche e la possibilità di un secondo mandato? In alcuni punti siamo già in linea con il nuovo Decreto, soprattutto per quanto riguarda il limite massimo di due mandati consecutivi per gli incarichi di governo, quel che occorre cambiare ora è la durata: da 6 a 5 anni. Avevamo già avviato la costituzione di una commissione per la necessaria revisione dei nostri Statuti in diversi punti, a cui si aggiunge ora il lavoro prioritario per l’adeguamento al Decreto. È un lavoro che vogliamo fare con calma e con cura, perché non vorremmo solo accogliere questa nuova normativa “alla lettera”, ma anche e soprattutto il suo spirito e studiare bene come realizzarlo non solo per gli organi centrali ed internazionali, ma su vasta scala, anche nel governo locale dei centri territoriali. Comunque, vorremmo fare tutto in dialogo col Dicastero, approfondendo alcuni aspetti puntuali e alcuni dubbi. Loro hanno detto espressamente che sono pronti ad ascoltarci su eventuali questioni. Papa Francesco, incontrando i partecipanti all’Assemblea generale, aveva messo in evidenza alcuni temi ai quali porre particolare attenzione: l’autoreferenzialità, l’importanza delle crisi e di saperle ben gestire, la coerenza e il realismo nel vivere la spiritualità, la sinodalità. Cosa è stato fatto o si intende fare per dar seguito a queste indicazioni?Riteniamo il discorso di Papa Francesco ai partecipanti dell’Assemblea generale come documento programmatico, così come il documento finale dell’Assemblea stessa. Con grande gioia vediamo quanto l’approfondimento e la ricerca di strade applicative di questi due documenti stiano portando frutto nelle diverse aree geografiche in cui il nostro Movimento è presente. Stanno emergendo due punti centrali: l’ascolto attento al grido di sofferenza dell’umanità che ci circonda nel quale riscopriamo il volto di Gesù crocifisso ed abbandonato e un nuovo spirito di famiglia nel nostro Movimento al di là di ogni suddivisione. In questo si esprime il nucleo della nostra spiritualità: offrire al mondo un modello di vita sullo stile di quello di una famiglia; cioè fratelli e sorelle a livello universale, legati tra di loro dall’amore fraterno per ogni uomo e donna e preferenziale per chi più soffre, per i più bisognosi. Con che stile e con quali modalità si è avviato il nuovo governo del Movimento dei Focolari? Margaret Karram ha in cuore novità a riguardo? Mi sta particolarmente a cuore vivere nel governo del Movimento un’esperienza di “sinodalità” che significa portare avanti tutto in spirito di ascolto e riportare alle relazioni interpersonali quell’amore fraterno, di verità e carità, evangelico, che illumina anche il posto che spetta a ciascuno, cioè quello centrale. Come Consiglio generale, ad esempio, abbiamo appena fatto la bellissima esperienza di metterci in ascolto dei nostri responsabili territoriali di tutto il mondo. Sono loro che hanno le “mani in pasta”, che conoscono le potenzialità, i bisogni e le caratteristiche culturali e antropologiche delle nostre comunità. Ascoltando loro, è emersa tutta la vivacità e la creatività del “popolo di Chiara” che vuole prendersi cura delle diverse forme di disunità e curare le ferite dell’umanità che la circonda. Forse non è neanche necessario che sia sempre il Centro internazionale a dare delle direttive o ad indirizzare il percorso del Movimento. La cosa importante è che il Centro garantisca sempre l’unità dell’intera Opera e che possa mettere in luce ciò che lo Spirito Santo man mano ci indica per tutti.
Stefano Zamagni, economista, Presidente del Pontificio Ateneo per le Scienze Sociali è recentemente intervenuto a Loppiano (Italia) all’evento per i “30 anni dell’Economia di Comunione”. Riportiamo uno stralcio del suo intervento nel quale ha sottolineato il contributo dell’Economia di Comunione all’evoluzione del pensiero economico. “(…) Devo confessarvi che quando, esattamente 30 anni fa, ascoltai il discorso di Chiara Lubich in Brasile quando lanciò il progetto dell’Economia di Comunione, rimasi molto colpito, quasi scioccato. Perché l’economia come scienza ha tante parole: ricchezza, reddito, efficienza, produttività, equità, ma non ha la parola comunione. E mi chiesi: “Come è possibile che una persona come Chiara, la cui matrice culturale non includeva una formazione di tipo economico, abbia potuto lanciare una sfida intellettuale di quel tipo?”. Doveva esserci un carisma speciale, oggi sappiamo che è così. Questo mi turbò positivamente. Cominciai a riflettere e mi chiesi: “Ma com’è possibile che nella lunga storia del pensiero economico mai, nei secoli passati, un concetto come questo sia stato affrontato?”. Alcuni anni dopo mi imbattei nel lavoro di Antonio Genovesi, il fondatore dell’economia civile e capii tutta una serie di connessioni tra Economia di Comunione ed economia civile. Ovviamente all’inizio per l’Economia di Comunione le difficoltà sono state tante. Ricordo che nel 1994 ad Ostuni (Puglia-Italia), il Meic (Movimento Ecclesiale di impegno culturale) organizzava durante l’estate dei seminari di cultura. In una presentazione presieduta da un economista italiano famoso, due focolarine neo-laureate ebbero l’ardire di presentare il progetto dell’Economia di Comunione. Questo professore cominciò a dire: “Queste sono sciocchezze, perché non soddisfano il criterio di razionalità”. Io che ero presente gli chiesi: “Ma secondo te, il gesto del buon samaritano soddisfa il criterio di razionalità?”. Lui che era intelligente capì. “Vedi – continuai – tu sei schiavo di un paradigma, di un modo di pensare che hai succhiato dai tuoi studi senza porti il problema, perché la razionalità cui tu pensi è la razionalità strumentale, ma c’è anche la razionalità espressiva. Chi l’ha detto che la razionalità strumentale sia superiore a quella espressiva? Non sai che l’Economia di Comunione si inscrive nel modello di razionalità espressiva? Dove espressiva vuol dire che si esprime un carisma, perché i carismi vanno espressi e vanno tradotti nella realtà storica”. L’Economia di Comunione ha consentito di recuperare quella tradizione di pensiero dell’economia civile che nasce a Napoli nel 1753. Pensiamo oggi l’economia e la scuola di economia civile che è preceduta da Luigino Bruni. Ma pensiamo all’ultimo grosso evento che è “l’Economia di Francesco” che non è altro che una miscela tra l’economia civile – che è un paradigma, che significa uno sguardo sulla realtà che poi va incarnato in modelli, in progetti, in teorie diverse – e l’economia di comunione. Ovviamente l’evento è ancora recente, ma sono certo che conoscerà prossimamente una nuova stagione. Per chiudere voglio usare una parola che purtroppo è scomparsa dall’uso almeno da un secolo: conazione. È una parola coniata da Aristotele 2400 anni fa. Essa risulta dalla crasi tra conoscenza e azione e significa che la conoscenza deve essere messa al servizio dell’azione e l’azione non può essere esercitata e portare frutti se non su una base di conoscenza. Dico questo perché la sfida dei prossimi 30 anni e ancora di più dell’Economia di Comunione è di irrobustire la componente conoscitiva. Fino adesso giustamente è stata data la precedenza all’azione, alle realizzazioni. Però bisogna essere consapevoli che l’azione se non viene continuamente alimentata dalla conoscenza rischia di implodere. Chiara Lubich aveva una capacità di intuito, di comprensione e quindi di ante -vedere anche su argomenti di cui lei non era specialista. Effettivamente l’apporto dell’Economia di Comunione all’evoluzione del pensiero economico come scienza è stato notevole. E oggi se ne può parlare nelle nostre università: il prof. Luigino Bruni dirige un programma di dottorato di ricerca alla Lumsa (Libera Università Maria Assunta) di Roma (Italia) di economia civile e di economia di comunione; c’è qui a Loppiano l’Istituto Universitario Sophia e anche in altre sedi universitarie non è più vietato parlare di Economia di Comunione. Dal mio punto di vista questo è un grosso, un grandissimo risultato. (…)” Per rivedere la diretta da Loppiano per i 30 anni dell’Economia di Comunione clicca qui
Vivere la carità, fonte di ogni virtù, risalta in noi la figura del Cristo, perché amando si è un altro Lui. Nonostante il nostro amore ai fratelli ci portiamo dietro alcuni difetti che tolgono qualcosa alla bellezza di Cristo in noi. […] Voi sapete come nell’acquisto (delle virtù) e nella lotta ai vizi opposti, noi, chiamati da Dio a far del fratello la nostra “fortuna”, troviamo proprio nell’amore a Lui la rinuncia a noi stessi. E voi sapete come sia nella nostra prassi in genere, per migliorarci, non tanto prendere di mira difetto per difetto, quanto aggirare gli ostacoli, “cambiare stanza”, come diciamo noi, “vivendo gli altri” e ponendoci così nella carità, fonte di ogni virtù. […] Del resto Gesù Abbandonato, a cui abbiamo dato la vita, è per noi modello di tutte le virtù e sempre ripetiamo di volerlo amare non solo nel dolore, ma anche nella pratica di esse. La carità infatti staglia in noi la figura del Cristo, perché amando si è un altro Lui. Ma amando Gesù Abbandonato nella pratica delle virtù, si ha l’impressione di cesellare questa figura di Cristo in noi, di rifinirla. Il fatto è che si può osservare come nonostante il nostro amore ai fratelli ci portiamo dietro da anni dei piccoli o meno piccoli difetti, alle volte banali, ma che tolgono qualcosa alla bellezza di Cristo in noi. […] Quali sono questi difetti? Ognuno ha i suoi. A volte guastiamo quanto facciamo per la fretta, o compiamo imperfettamente la volontà di Dio; siamo distratti nella preghiera; ci soffermiamo su sciocchezze che piacciono al mondo; o non sappiamo moderare la gola. Spesso siamo vinti dalla curiosità, o cadiamo nella vanagloria; parliamo a sproposito o senza necessità. Siamo attaccati a piccoli oggetti, un po’ dipendenti dalla televisione; ci facciamo servire dai fratelli, siamo incostanti e così via. Che fare? Gesù, quando si tratta di cose non buone invita ad agire con decisione, come quando ha affermato: «Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo»*. Anche noi dunque, pur continuando nella via dell’amore, dobbiamo per amore di Gesù Abbandonato non tentennare, rimanendo quelli che siamo, ma sradicare vizio per vizio. […] Io sono convinta che nella nostra via le cose sono più possibili. L’amore, infatti, aiuta, l’amore è rinnegamento di sé e brucia anche queste cose. Tuttavia non sarà male prendere di mira qualche difetto e far l’abitudine opposta. […] Coraggio allora e all’opera!
Chiara Lubich
*Cf. Mt 5, 29. (in una conferenza telefonica, Rocca di Papa 21 giugno 1984)Tratto da: Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, Città Nuova Ed., 2019, pag. 157.(altro…)
A quasi due anni dal forte terremoto, la comunità dei Focolari ringrazia tutti i donatori che hanno sostenuto il loro Paese in un momento di grande difficoltà. E la comunione dei beni non si ferma: le risorse in eccesso sono state inviate a chi ha dovuto affrontare nuove emergenze. Alle 3.54 del 26 novembre 2019 un forte scossa di terremoto colpisce la Repubblica di Albania, nell’area centro settentrionale. 52 le vittime e oltre 2 mila i feriti; numerosi i crolli e i danni. Oltre 4.000 persone devono lasciare la propria casa. Il Coordinamento Emergenze del Movimento dei Focolari si è attivato subito per andare incontro alle necessità del Paese. Durante i lavori preliminari sono state identificate 6 famiglie in stato di necessità, le cui abitazioni avevano subito danni tali da rientrare nel progetto di ricostruzione. A causa della pandemia i lavori hanno avuto forti rallentamenti, ma tutte le famiglie hanno potuto affrontare la stagione invernale in una struttura adatta. Ad oggi, per 5 case sono stati completati i lavori. L’unica famiglia che aspetta ancora di vedere la propria abitazione riparata è in attesa dei permessi necessari dal Comune. Dopo la notizia del terremoto, molti membri dei Focolari nel mondo si sono attivati per andare incontro alle necessità della comunità albanese. Si è realizzata una grande comunione dei beni organizzata insieme ad AMU (Azione per un Mondo Unito) e AFN (Azione per Famiglie Nuove), raccogliendo donazioni da numerosi Paesi tra cui Italia, Germania, Svizzera, Austria e Australia. Sottolinea Francesco Tortorella di AMU: “Gli effetti si moltiplicano quando ci si muove insieme, non come singole organizzazioni o singole espressioni del Movimento dei Focolari, ma come unica realtà.” In tutto sono stati raccolti 53 mila euro, di cui 14 mila sono stati usati – e verranno usati – per i progetti di ricostruzione in Albania, compresi i lavori dell’ultima casa, che verranno svolti appena si otterranno i permessi. La parte restante è stata devoluta alle popolazioni indigene dell’Honduras, dopo la distruzione di campi e palafitte dei contadini, dovuta a due tifoni nel corso del 2020. “L’esperienza di reciprocità ha dunque coinvolto l’intero progetto – spiega ancora Francesco Tortorella – erano tutti d’accordo ad usare i soldi in più per questa nuova emergenza”. Una parte dei fondi è stata investita per la realizzazione di un corso sulle emozioni per giovani: dopo il terremoto e la pandemia vi era la necessità, soprattutto da parte dei ragazzi, di ricevere aiuto nella gestione dello stress e dell’angoscia. Sono 25 i giovani dai 14 ai 24 anni che vi stanno partecipando attualmente. Elsa Cara, membro dei Focolari e commercialista a Tirana, la capitale albanese, racconta: “A causa del terremoto ho perso 7 cugini. È stata dura, ma ho voluto darmi da fare: grazie alle donazioni dei Focolari sono stata a Thumane, uno dei luoghi più colpiti dalle scosse. Essendo un paese prevalentemente musulmano, la comunità cattolica è molto piccola: ho deciso di andare lì tutte le settimane, per stare vicino ai bambini, tenendo un corso di catechismo. Inizialmente erano tutti sotto shock. Adesso sono un gruppo unito e felice di fare questo percorso e molti di loro si sono già battezzati. Tutto questo è stato frutto di una collaborazione tra i Focolari, la Chiesa locale e la Caritas.” Alfred Matoshi, avvocato a Tirana e collaboratore nel progetto di ricostruzione, ringrazia i donatori a nome di tutta la comunità dei Focolari in Albania: “Grazie perché sono loro che ci hanno permesso di andare incontro alle famiglie in difficoltà, ai bambini per strada senza casa, alle persone che piangevano dallo spavento. Grazie, non smettete di donare, dovunque ci siano necessità.”