Mar 8, 2018 | Chiesa, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Spiritualità
M
aría Cecilia Perrín è una solare ragazza argentina, nata a Punta Alta (Buenos Aires) nel 1957. Dopo due anni di fidanzamento, vissuti intensamente con il desiderio di mettere solide basi cristiane alla nascente famiglia, si sposa con Luis nel 1983. Due anni dopo, mentre è in corso una gravidanza, le viene diagnosticato un cancro. Con il sostegno del marito e della famiglia sceglie di non seguire il consiglio di un “aborto terapeutico”. Muore all’età di 28 anni, dopo la nascita della bambina. Per sua espressa richiesta, le sue spoglie riposano presso la Mariapoli Lia (O’Higgins, Buenos Aires), luogo di gioia e di speranza. La sua reputazione di santità, l’eroismo nell’accettazione della malattia, l’esempio di vita cristiana e le molte grazie ricevute per sua intercessione hanno fatto iniziare, il 30 novembre 2005, la causa della sua beatificazione.
Maria Orsola Bussone, nata nel 1954 a Vallo Torinese, nel nord Italia, è una bambina aperta, generosa, sportiva. A 11 anni partecipa con la famiglia ad un incontro del Movimento parrocchiale a Rocca di Papa. Scrive a Chiara Lubich: «Voglio amare sempre, per prima, senza aspettarmi nulla, voglio lasciarmi adoperare da Dio come vuole Lui e voglio fare tutta la mia parte, perché quella è l’unica cosa che vale nella vita». Il 10 luglio 1970, a 15 anni, mentre partecipa come animatrice a un campo estivo con la parrocchia, muore colpita da una scarica elettrica, mentre si asciuga i capelli con un phon. La sua fama di santità si diffonde, molta gente accorre alla sua tomba per invocarne l’intercessione. Tramite il diario e le lettere si conosce la sua spiritualità profonda. Le viene intitolato il Centro parrocchiale alla cui costruzione aveva contribuito. Il 17 dicembre 2000 si è conclusa la fase diocesana della causa di beatificazione. Il 18 marzo 2015 Papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui è stata dichiarata Venerabile. Margarita Bavosi
, nata nel 1941, è la terza figlia di una famiglia benestante di Buenos Aires (Argentina). La sua vita è felice fino a dieci anni, quando le muore improvvisamente la mamma. L’acuto dolore la spinge a chiedere alla Vergine Maria di prendere il suo posto. L’incontro con il carisma dell’unità è la risposta al suo desiderio di santità. Si dona a Dio nel focolare. Per tutti diventa “Luminosa”. Trascorre alcuni anni in Brasile, Argentina e Uruguay. Diventa corresponsabile del Movimento dei Focolari in Spagna. A 40 anni avverte un inspiegabile declino fisico, ma solo dopo tre anni arriva una prognosi precisa. Ben presto non riesce più a muoversi ma continua a costruire rapporti, facendo proprio il motto di S. Luigi Gonzaga “continuo a giocare”. La notte del 6 marzo 1985, tra lo stupore dei presenti, dice: «Eccomi Gesù, ho sempre cercato, in ogni momento, di fare tutto davanti a Te». Il 22 novembre 2008 si è chiusa la fase diocesana del processo di canonizzazione. A lei sono stati intitolati il centro del Movimento dei Focolari di Madrid e la cittadella internazionale nei pressi di New York. Renata Borlone
nasce il 30 maggio 1930 ad Aurelia (Civitavecchia, vicino Roma). Cresce in una famiglia non praticante ma unita, e a 10 anni assiste allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Assetata di verità, la cerca negli studi. Si iscrive alla Facoltà di Chimica, è una appassionata delle scienze. A 19 anni viene a contatto con la vita evangelica di alcune delle prime focolarine, appena trasferite a Roma, e attraverso loro le si fa evidente una certezza: Dio è amore! A 20 anni entra in focolare e per 40 anni è a servizio dell’Opera di Maria, con compiti di responsabilità in Italia e all’estero. Dal 1967 arriva alla Scuola di formazione di Loppiano dove trascorre 23 anni nella tensione costante alla santità. A 59 anni le viene annunciata una grave malattia, e i pochi mesi che le rimangono sono un’impennata in Dio. Pur nella sofferenza trasmette gioia e sacralità e ripete fino all’ultimo istante: “Voglio testimoniare che la morte è vita”. Il 27 febbraio 2011 si è chiusa la fase diocesana del processo di beatificazione. Chiara Favotti Vedi anche: Alfredo Zirondoli, “Luminosa ha continuato a giocare. Profilo di Margarita Bavosi”, Città Nuova, Roma. Giulio Marchesi, Alfredo Zirondoli, “Un silenzio che si fa vita. La giornata di Renata Borlone”, Città Nuova, Roma. (altro…)
Feb 15, 2018 | Famiglie, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Si è da poco concluso a Castel Gandolfo (Roma) il corso internazionale per fidanzati organizzato da Famiglie Nuove dei Focolari cui hanno partecipato 65 coppie. Oltre a parlare della scelta della persona e su come identificare e superare le crisi relazionali con ampi excursus su comunicazione, affettività e spiritualità e oltre ai momenti di condivisione, ciò che ha fatto gran presa sono state le storie di vita vissuta. Una fra tutte? Massimo e Francesca di Roma, sposati da 17 anni, rispettivamente manager in una società di telecomunicazioni e insegnante di italiano a stranieri. Francesca: Secondo i medici non avremmo né potuto né dovuto avere figli e se pure ci fosse stata una gravidanza, era certo che non sarebbe andata a buon fine. Una condanna senza appello. Allo sconforto dei primi momenti subentra una rassicurante convinzione: la fecondità non è solo nella capacità biologica ma nel saper generare amore intorno a sé. Così continuiamo a portare avanti con immutato entusiasmo le iniziative che avevano accompagnato le nostre scelte giovanili verso gli altri. E aperti alla vita, nonostante lo spauracchio di seriali e traumatici aborti. Non trascorrono due anni che scopriamo di aspettare un bambino.
Come previsto è una gravidanza difficile, fattasi largo nonostante i verdetti dei medici i quali non mancano di ricordarci i gravi rischi e le molte attenzioni che dobbiamo prendere. Nei tanti momenti difficili ci appelliamo a Dio, l’autore della vita, che ci fa ancora più consapevoli della preziosità di quel fagottino che vuole crescere dentro di me nonostante il severo parere dei medici. La tenerezza dell’uno verso l’altra si intensifica, scacciando le paure e dando senso al nostro dolore. Alessandro nasce a termine, sanissimo ed anch’io sto bene, lasciando i medici nello stupore. Massimo: Rimaniamo ancora aperti alla vita e dopo un paio d’anni si affaccia una nuova gravidanza, seguita da una nuova ondata di incredulità, scetticismo e raccomandazioni dei medici. A gravidanza avanzata c’è il sospetto della sindrome di Down, da accertare con l’amniocentesi. Ancora una volta, nonostante il trauma di questa notizia, sentiamo che è più forte la certezza dell’amore di Dio per noi e per nostro figlio, cui vogliamo dare un’accoglienza incondizionata. Così rinunciamo al test e ai rischi che esso comporta e ci portiamo il dubbio fino alla nascita. Sono mesi di paure e di sconforto che superiamo puntando di nuovo a non voler restare invischiati nel dolore ma di viverli come occasioni di amore fra noi e con tutti. Matteo, ci dicono alla nascita, non ha la sindrome di Down, ma una malformazione cardiaca che richiede il ricovero fino all’intervento che avverrà a soli 4 mesi di vita.
Francesca: Quattro mesi durante i quali la stanchezza e soprattutto l’impotenza di fronte al dolore innocente ci portano a momenti di incomprensione. Quella tensione a volersi bene a volte sembra svanire, anche perché io devo rimanere in ospedale con Matteo e Massimo a casa con Alessandro o al lavoro; ci si vede solo nel reparto e spesso basta una frase sbagliata per accendere i toni. Massimo: Una sera, dopo essere stato da loro in ospedale, nel salutarci in corridoio avvertiamo tutti e due l’esigenza di un dialogo sincero, benefico, cuore a cuore. Capiamo che tra le tante preoccupazioni l’unica che deve trovare spazio è quella di volerci bene. E anche adesso, quando le inevitabili tensioni del quotidiano sembrano avere il sopravvento, torniamo al ricordo di quei momenti di luce nei quali anche come famiglia il dolore ci ha rigenerati all’amore più vero. (altro…)
Feb 14, 2018 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale

Robert Chelhod, al centro, con i focolarini ad Aleppo
Robert Chelhod, classe 1963, è nato in Siria, ad Aleppo. Si trova in Italia, presso la sede dell’Amu (Azione Mondo Unito), nei pressi di Roma, per fare un punto sui progetti sociali e l’organizzazione degli aiuti. Nel 1990 è tornato nel suo Paese di origine per aprire il primo centro dei Focolari, ed è rimasto ad Aleppo per 18 anni, prima di andare in Libano, nel 2008. Qual è il tuo ricordo della Siria? «Il regime non ha impedito il progresso. Ho assistito ad una fioritura sotto tutti i livelli: la Siria era piena di turisti, l’economia era al massimo. Prima della guerra lo stipendio minimo era di 500 $, adesso per dare un’idea è di 50$. L’apice è stato nel 2010. Con la primavera araba nel 2011 sono cominciati i problemi interni da cui poi è cominciata la guerra». Come hai vissuto gli anni della guerra in Siria, stando in Libano? «Avrei voluto essere vicino alla mia gente, ma non era possibile lasciare il Libano in quel momento. Il dolore più grande era vedere i rifugiati siriani arrivare in Libano. Quelle persone le conoscevo! Gente onesta, che lavorava bene, che sarebbe stata una risorsa per il Paese». Nel gennaio 2017 sei tornato in Siria, un mese dopo la liberazione di Aleppo. «Sono rimasto tre mesi “a casa”, in una cerchia ristretta. Solo dopo tre mesi ho trovato il coraggio di uscire e vedere la parte più bella della città rasa al suolo. Rivedere i posti di cui mi sono sempre “vantato”, o meglio, vedere che non esistono più, è stato uno choc. Quando sono andato per la prima volta al vecchio Suk, dove trovi solo macerie, qualcuno mi spiegava: “qui sono entrati i ribelli, qui è venuto l’esercito…”. Pensavo a quante persone erano morte in quel luogo. E sentivo di non dover giudicare neanche quelle che hanno distrutto la mia città».
Come hai trovato le persone al tuo rientro? «Scoraggiate e deluse. Ma anche desiderose di andare avanti. C’è una stanchezza degli anni passati, delle condizioni di vita, ma allo stesso tempo la volontà di ripartire». Cosa si può fare per la Siria oggi? «Per chi ha una fede, continuare a pregare. E poi scommettere con i siriani che il Paese è vivo. In Siria abbiamo bisogno di sostegno. Non solo dal punto di vista economico, certamente importante , ma di credere con noi che questo Paese, culla di civiltà, può rinascere. Che ancora la pace è possibile. Abbiamo bisogno di sentire che il mondo sente la nostra sofferenza, quella di un Paese che sta scomparendo». Coordini sul posto i progetti sociali sostenuti attraverso l’Amu. Come vi muovete? «I progetti vanno dall’aiuto per il vitto all’aiuto alla scolarizzazione. Poi ci sono gli aiuti sanitari, perché la sanità pubblica, per mancanza di medici, medicinali e strumenti, non riesce a rispondere a standard minimi di accessibilità. Oltre gli aiuti alle famiglie, si sono strutturati alcuni progetti più stabili: due doposcuola, a Damasco e Homs, con 100 bambini ciascuno, cristiani e musulmani; due progetti sanitari specifici, per cure per il cancro e per la dialisi; e una scuola per bambini sordomuti, attiva già da prima della guerra. Questi progetti offrono una possibilità di lavoro a tanti giovani del posto. La questione lavoro è fondamentale. Stiamo sognando nel prossimo futuro la possibilità di lavorare sul microcredito per far ripartire le attività. Aleppo era una città piena di commercianti, che oggi ripartirebbero, ma manca il capitale iniziale».
Tanti invece continuano a partire… «L’esodo, soprattutto dei cristiani, è inarrestabile. Il motivo è l’insicurezza, la mancanza di lavoro. La chiesa soffre, questa è storicamente terra dei cristiani, prima dell’arrivo dell’islam. E cerca di fare il possibile per aiutare e sostenere. Ma le risorse sono molto poche. La maggioranza dei giovani è nell’esercito. Trovi qualche universitario, o ragazzi. Ma la fascia 25-40 non c’è. Nella città di Aleppo si calcola un calo dei cristiani da 130mila a 40mila, mentre sono arrivati tanti musulmani sfollati dalle loro città distrutte». Che riflesso ha questo sul dialogo interreligioso? «Ad Aleppo i cristiani si consideravano un po’ l’élite del Paese. Con la guerra, visto che le zone musulmane sono state colpite, tanti si sono rifugiati nelle zone cristiane. Quindi i cristiani si sono aperti ai musulmani, hanno dovuto accoglierli. Il vescovo emerito latino di Aleppo, mons. Armando Bortolaso, durante la guerra mi ha detto: “Adesso è il momento di essere veri cristiani”. Allo stesso tempo i musulmani hanno conosciuto più da vicino i cristiani. Sono stati toccati dall’aiuto concreto.C’è il positivo, c’è il negativo. Il positivo è che questa guerra ci ha uniti di più tra siriani». Fonte: Città Nuova (altro…)
Feb 9, 2018 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale
La mia famiglia è composta da me, mia sorella e mia madre che ci ha cresciute da sola. Abbiamo passato momenti molto critici: mia madre faticava a trovare lavoro. In più c’erano attriti con la padrona di casa, perché non avevamo soldi per l’affitto. Per mia madre era davvero un calvario amministrare i pochi soldi che guadagnava. Per questo è stato molto importante il sostegno che abbiamo avuto attraverso l’associazione Azione per Famiglie Nuove onlus (AFN) del Movimento dei Focolari. Di lì a poco, poi, si è aperto nella zona sud della nostra città, Cochabamba (a 2.600 mt d’altezza), il Centro Rincón de Luz, nel quale si offre sostegno scolastico e un pasto al giorno ai bambini e ai ragazzi che frequentano le scuole del quartiere. Il centro è stato un altro grande aiuto per me, mi ha ridonato il sorriso e permesso importanti momenti di formazione. Nel Centro eravamo come una grande famiglia nella quale i professori spesso ci facevano da “secondi genitori”. Grazie alle persone che hanno avuto fiducia in me, oggi posso raccontare con orgoglio che ho terminato il mio corso di studi con buoni risultati e sto seguendo il primo semestre all’università. Presto sarò una professionista.
Cercherò di far arrivare l’aiuto ricevuto alle persone che ho intorno, iniziando, ad esempio, dal Centro per trasmettere le mie conoscenze ai bambini. Vorrei anche aprire un posto per le persone che vivono in strada, offrendo loro un modo per andare avanti. Ho capito che si può cambiare la vita di un bambino e indicargli la strada per un futuro migliore. Per questo invito tutte le persone ad aiutare: tutti possiamo! Per me la cosa più importante non è stata solo l’aiuto economico, ma la fiducia che mi hanno dato: essa è un seme di speranza, è una luce che si accende non solo nel ragazzo, ma anche nei suoi genitori. Vedi il video Fonte: Teens (altro…)
Feb 7, 2018 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Cosa spinge un gruppo di giovani, dai 18 ai 34 anni, provenienti dalle tre regioni linguistiche della Svizzera, a trascorrere alcuni giorni in montagna insieme a otto focolarini e focolarine, una coppia di focolarini sposati e un sacerdote? “Il focolare dietro le quinte”, un fine settimana nella splendida cornice delle Alpi del Vallese, non solo per godere della natura, ma anche per porsi, in un ambiente ideale, una serie di domande essenziali sulla vita trascorsa e quella futura, quando la prima è molto più breve della seconda. E tra queste: Qual è la mia strada? Una domanda spesso di non facile risposta, se formulata quando vi è la straordinaria e spesso irripetibile possibilità di scegliere a 360 gradi, tra tutte le strade possibili. Per intraprenderne consapevolmente una – hanno pensato gli organizzatori – è di aiuto abbassare il volume del frastuono quotidiano e trovare uno spazio dove sia più facile ascoltare un suggerimento, spesso sussurrato all’orecchio del cuore. «Da qui l’idea di trascorrere un week end insieme, dove ci si possa esprimere con libertà e sincerità, e dove Gesù – se vuole – possa parlare nell’intimo a ognuno. Un mix di approfondimento e vita in comune, fatto di passeggiate, giochi, pulizie, cucina, preghiera, per esprimere al meglio la bellezza e anche la “normalità” di seguirlo anche oggi».
“Dietro le quinte” della vita del focolare vi è una chiamata personale di Dio a realizzare una convivenza di laici, vergini e sposati (secondo il loro stato), pienamente immersi nel mondo, ma forti della presenza spirituale di Gesù tra loro, frutto dell’amore reciproco. Una “presenza” che vogliono portare dovunque, con l’obiettivo e l’orizzonte dell’unità tra le persone e i popoli, in un mondo più fraterno e unito, nel rispetto delle diversità. Alcuni dei giovani presenti non avevano mai approfondito questa possibilità, altri avevano già deciso di formarsi una famiglia, altri ancora non si erano mai posti la domanda. Ma comune a tutti era il desiderio di approfondire un rapporto personale con Dio e conoscere lo specifico di questa particolare forma di convivenza sul modello della famiglia di Nazareth, nata dal carisma di Chiara Lubich. “Siete in mezzo a tutti, non avete un convento che vi protegga, ma come fate?” “Bello, ma non è troppo faticoso?” “Cosa significa oggi seguire Gesù?”. Tante le domande spontanee e molte le risposte, a partire dalle esperienze personali e dagli scritti, meditati insieme, sulla spiritualità evangelica dell’unità.
Kati e Istvan, sposati, hanno condiviso le proprie gioie, difficoltà e le scelte fondamentali della loro famiglia. «Sono rimasto molto colpito dalla profondità dei temi che abbiamo toccato pur non conoscendoci» ha detto un giovane. «Sono venuta con tante domande e ho ricevuto tante risposte», ha concluso una ragazza, di ritorno in città. Peter, sacerdote, ha commentato: «Un week end inaspettato. Alcuni dei ragazzi hanno espresso il desiderio di continuare a confrontarci anche dopo. Questo, secondo me, è stato il messaggio più bello dei due giorni trascorsi insieme: viviamo per voi e con voi, nell’incertezza sulla scelta della propria strada, ma nella certezza di non essere più soli a cercarla». (altro…)