Movimento dei Focolari

La forza del Vangelo nei campi profughi

In ottobre, a conclusione della Settimana Mondo Unito 2005, una conferenza telefonica ha collegato giovani ad ogni latitudine. Due amici hanno raccontato la loro esperienza dalla Tanzania. Dopo essere fuggiti dal Burundi allo scoppio della guerra, rifugiati in un campo profughi della regione di Kigoma, hanno testimoniato la forza dell’unità e della coerenza cristiana, che rende forti i miti, portando insieme ad altri, anche nel campo, un raggio di speranza. Ora hanno iniziato a studiare entrambi alla facoltà di giornalismo. Sono potuti uscire dal campo profughi grazie alle borse di studio ricevute con il Progetto Africa. «Quando in Burundi, nel 1993, è iniziata la guerra civile – racconta R. – mi trovavo a casa con i miei, ero un ragazzino e cercavo di vivere il Vangelo. Era lì che, in quel clima di odio e violenza, trovavo la forza per continuare ad amare tutti, anche i nemici, e la certezza che il bene vince sempre il male. Un giorno con la mia famiglia abbiamo aiutato alcuni bambini dell’altra etnia. Avremmo dovuto considerarli nemici…invece siamo riusciti a salvarli, mettendo a repentaglio la nostra vita.

Nel 1996 la situazione è ulteriormente peggiorata, nella mia scuola c’era tanta violenza e sono stato torturato. Ma anche in quella dolorosa situazione ho pregato Dio di darmi la forza di perdonare e di aiutare questi miei fratelli a cambiare vita. Ero comunque in pericolo, e sono stato costretto a scappare, trovando rifugio nei campi profughi in Tanzania nella regione di Kigoma. Lì ho vissuto per 9 anni». «La nostra vita nei campi – continua K. – non è stata facile: abbiamo dovuto affrontare grandi difficoltà: mancanza di un tetto, del cibo, di vestiti… ma in tutto questo ci ha aiutato la scelta di vivere coerentemente il cristianesimo, scelta che ci ha portato a fare di ogni difficoltà una pedana di lancio e a trasformarla in amore. Nel nostro campo eravamo 42 Giovani per un Mondo Unito molto impegnati: quest’anno noi stessi siamo riusciti a costruire due capanne con fango ed erba per due anziani rifugiati che non avevano un posto dove stare… Siamo anche andati in due scuole superiori del campo per condividere con gli altri giovani le nostre esperienze di Vangelo vissuto. Con l’aiuto concreto di tanti giovani del mondo, attraverso il Progetto Africa, abbiamo potuto portare avanti piccoli commerci come la vendita di manioca, di farina di granoturco e olio di palma. Alcune settimane fa, ci è giunto un dono inaspettato sempre grazie a questi aiuti: ci è stato possibile uscire dal campo profughi e trasferirci in Tanzania. Con due borse di studio possiamo ora iniziare a frequentare la facoltà di giornalismo». (R. e K. – Tanzania)   (altro…)

Novembre 2005

Nella promessa della terra si intravede un’altra patria, quella che Gesù, nella prima e nell’ultima delle beatitudini, chiama “il Regno dei cieli”: la vita di comunione con Dio, la pienezza della vita che non avrà mai fine. Chi vive la mansuetudine è beato, fin da ora, perché già da ora sperimenta la possibilità di cambiare il mondo attorno a sé, soprattutto cambiando i rapporti. In una società dove spesso impera la violenza, l’arroganza, la sopraffazione, egli diventa “segno di contraddizione” e irradia giustizia, comprensione, tolleranza, dolcezza, stima dell’altro. I miti mentre lavorano per edificare una società più giusta e più vera – evangelica -, si preparano a ricevere in eredità il Regno dei cieli e a vivere “nei cieli nuovi e nella terra nuova”.

«Beati i miti perché erediteranno la terra»

Per sapere come vivere questa Parola di vita basterebbe guardare come è vissuto Gesù, Lui che ha detto: “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore” . Alla sua scuola la mitezza appare come una qualità dell’amore. L’amore vero, quello che lo Spirito Santo infonde nei nostri cuori, è infatti “gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” . Sì, chi ama non si agita, non ha fretta, non offende, non ingiuria. Chi ama si domina, è dolce, è mite, è paziente. L’”arte di amare” traspare da tutto il Vangelo. L’hanno imparata anche tanti bambini. So che giocano con un dado speciale, che chiamano il “dado dell’amore”. Ogni sua faccia riporta una frase su come amare, seguendo l’insegnamento di Gesù: amare tutti, amarsi a vicenda, amare per primi, farsi uno con l’altro, amare Gesù nell’altro, amare il nemico. All’inizio della giornata lo tirano e cercano di mettere in pratica la parola che viene fuori. Raccontano le loro esperienze. Un giorno il papà di Francesco (un bambino di 3 anni che vive a Caracas) torna a casa alterato perché ha avuto un contrasto con un collega di lavoro; lo racconta alla moglie e anche lei se la prende con quell’uomo. Francesco va a prendere il suo dado e dice: “Tirate il dado dell’amore!” Lo fanno insieme. Sulla faccia del dado c’è scritto: “Ama il nemico”. I genitori capiscono… Se ci pensiamo bene, ci accorgeremo che ci sono persone che vivono nel quotidiano una meravigliosa mitezza. In grandi personaggi che hanno lasciato questa terra – quali Giovanni Paolo II, Teresa di Calcutta, Roger Schutz – abbiamo visto irradiare la mitezza in modo tale da incidere sulla società e sulla storia, spronandoci nel nostro cammino. Chiara Lubich

Il tuffo in Dio: i 40 giorni di Carlo e Alberto

Il tuffo in Dio: i 40 giorni di Carlo e Alberto

Il libro di Michele Zanzucchi si snoda nel racconto della storia di Carlo e Alberto, che hanno coltivato una splendida amicizia, aperta e alimentata da un obiettivo comune: portare a tutti il dono dell’ideale evangelico che li aveva affascinati. (…)

Le vite di questi due giovani sono state stroncate prematuramente. Alberto, studente in ingegneria, intelligente, sportivo, innamorato della montagna, durante un’ascensione rimane vittima di una caduta in un canalone ghiacciato; a Carlo, studente in agraria, mentre stava facendo il servizio militare, viene diagnosticato un tumore tra i più maligni. Il racconto di Michele Zanzucchi ci aiuta a leggere i fatti diversamente, nulla togliendo alla loro umana crudezza. La vita dei due giovani aveva raggiunto la pienezza pensata da Dio creandoli, fino ad irradiare una bellezza esemplare.

Il loro desiderio era mettere Dio al centro della propria vita. L’intesa e l’amicizia loro aveva quindi radici profonde. Il poter affrontare insieme problemi e difficoltà di ogni giorno, li aiutava a vivere i momenti difficili e a superare la tentazione di fermarsi e lasciar perdere. Tante volte hanno ricominciato, tante volte hanno sperimentato la rinascita sempre nuova della vita in loro e attorno a loro. (…)

Ancora oggi, a distanza di anni, il loro esempio trascina. “Alberto e Carlo – dicono quelli che li hanno conosciuti – sono come due conto correnti sempre aperti in cui continuano a maturare gli interessi!”. (dalla prefazione, del card. Tarcisio Bertone, Arcivescovo di Genova) A 25 anni dalla loro ‘partenza’ per il Cielo, nell’Abbazia di S. Siro di Struppa, a Genova, il 2 ottobre scorso, alla fine di una Celebrazione eucaristica, è stato annunciato che presto sarà avviata la causa di Beatificazione di Carlo Grisolia e Alberto Michelotti. Per informazioni, ci si può rivolgere al Comitato a loro intitolato: e-mail: comitato@albertoecarlo.it (altro…)

Nuova Umanità – Settembre-Ottobre 2005

Editoriale

UNA CHIAVE DI LETTURA DELL’ATEISMO DELL’OCCIDENTE – di Giuseppe Maria Zanghì – L’Autore riprendendo alcune affermazioni di A. Glucksmann nel suo ultimo libro,  La troisième mort de Dieu (Paris 2004), si propone di cercare una risposta alla domanda sul perché l’Occidente, in particolare l’Europa, ha dato vita ad una cultura che in realtà ha fatto di Dio un problema irrisolvibile, fino a gettare l’uomo in una solitudine paurosa senza un orizzonte unitario, che renda possibile un nostro parlare che non sia una serie di monologhi lucidi, intelligenti, colti, ma sempre e solo monologhi. Da qui un’altra domanda: può il credente cercare di comprendere questo fenomeno inquietante e drammatico del mondo contemporaneo – e che lo connota per buona parte – che va sotto il nome di ateismo di una cultura intera?

Nella luce dell’ideale dell’unità

QUALE FUTURO PER UNA SOCIETÀ MULTICULTURALE, MULTIETNICA E MULTIRELIGIOSA?– di Chiara Lubich – Riportiamo il testo dell’intervento tenuto il 19 giugno  2004 presso la Westminster Central Hall di Londra in occasione della “Giornata aperta” promossa dal Movimento dei Focolari. IL PROBLEMA DELLA CONOSCENZA – di Pasquale Foresi – Il problema della conoscenza che l’Autore affronta sinteticamente presenta due aspetti intimamente collegati fra loro. Il primo concerne il meccanismo del processo conoscitivo  e cioè la dinamica con la quale noi veniamo a conoscere il mondo esterno così come ci si presenta e, di conseguenza, il modo con cui giungiamo a formulare giudizi corrispondenti alla realtà. Il secondo riguarda il valore della conoscenza e cioè se noi siamo in grado di conoscere o meno oggettivamente la realtà così come ci si presenta. Vengono, pertanto, richiamate per grandi linee tre scuole filosofiche emblematiche per evidenziare le diverse soluzioni che, nel corso della storia del pensiero, sono state proposte al problema gnoseologico.

Saggi e ricerche

EDUCAZIONE E SVILUPPO DEL SENSO D’AUTOEFFICACIA NELLA RELAZIONE CON SÉ E CON L’ALTRO – di Michele De Beni – Il mondo della scuola italiana in questi ultimi anni si sta preparando ad affrontare significative trasformazioni che riguardano strutture, tempi e contenuti d’insegnamento. L’Autore, partendo dalla costatazione che sempre più frequentemente nella prassi scolastica l’attenzione si sta spostando su problematiche riguardanti l’organizzazione, la struttura e l’efficienza del sistema, mette in evidenza il rischio che si perdano di vista i nodi di più ampie questioni, riguardanti finalità, obiettivi, contenuti e metodi, che a loro volta richiedono inquadramenti e riflessioni di natura squisitamente pedagogica. Sottolinea, poi, come sia urgente cercare una rifondazione del dibattito entro un quadro antropologico, filosofico e culturale più elevato di quello in cui a volte si tende a rinchiudere i termini delle Riforme scolastiche. METZ YEGHERN, IL GRANDE MALE – II – di Giovanni Guaita – Nella seconda parte di questo studio l’autore traccia un bilancio del genocidio degli armeni e individua le responsabilità politiche e penali delle autorità turche, dei loro alleati e delle potenze, mettendo in evidenza anche alcuni casi di “disobbedienza civile” di funzionari e privati cittadini turchi e curdi. Il genocidio degli armeni è inserito nel quadro più vasto dell’olocausto anche di altri cristiani sudditi ottomani durante la guerra mondiale; si analizza poi la situazione della chiesa armena durante e dopo il genocidio, l’aiuto delle altre chiese e di filantropi laici quale fu Fridtjof Nansen. L’autore riflette poi sul riconoscimento del genocidio in sede internazionale, sul negazionismo turco e le sue pesanti conseguenze e sul recente interesse di parte della società civile turca contemporanea nei confronti di questa pagina oscura della storia nazionale. Il Metz Yeghern è infine messo in relazione alla Shoah e considerato nelle sue conseguenze per la storia e la cultura del popolo armeno.   LA RESPONSABILITÀ SOCIALE DELL’ARTE – di Michel Pochet – Riportiamo la «Lezione Inaugurale»  dell’anno accademico della facoltà di Arte a Heredia e in due altre sedi dell’UNA (Università Nazionale del Costa Rica), Nicoya e San Isidro. L’autore invitato da Mario Alfagüel, compositore costaricano e professore all’UNA, in occasione della prima dell’opera musicale composta su sette poesie del suo libro di poesie Albero di fuoco, presenta in un ambiente accademico e laico la metafora della «luce e dei colori» di Chiara Lubich sottolineando come in questa «visione estetica del mondo» l’Arte e la dimensione sociale siano viste nella stessa luce. TESTIMONE DI NOVITÀ: VIRGINIA GALILEI E LE SUE LETTERE AL PADRE  – di Maria Chiara Milighetti – Il «caso Galilei» ha suscitato da sempre una molteplicità di suggestioni e di interpretazioni. Si tenta qui di guardare all’affaire con gli occhi della figlia del noto scienziato, Suor Maria Celeste, riscoprendo nuovi scenari interpretativi alla luce del carteggio con il padre e dei rapporti intessuti con i discepoli. E’ infatti necessario integrare ed arricchire la storia a partire dalle fonti dirette, dalle testimonianze di chi quelle vicende le vide, ne fu artefice o le subì e, al tempo stesso, sottolineare che, sebbene la questione galileiana sia stata a tratti definita come un’occasione mancata, come un errore, un fallimento, una sconfitta, da quella profonda frustrazione delle coscienze, dalla prostrazione delle menti e degli animi, scaturì un’umanità trasfigurata, più consapevole e disincantata. E la vecchia immagine di «filosofo della natura» cedette il posto ad un uomo riplasmato dal «dolore della ragione».  LA MUSICA E IL SACRO – di Pierangelo Sequeri – Che esista un legame arcaico e millenario della musica con il sacro sembra un’evidenza piuttosto scontata. Magari i contorni di questo nesso risultano un po’ sfocati e difficili da precisare: anche perché l’origine appare, in entrambi i casi, assai oscura. Comunque sia, nella storia universale del mito e del rito il vincolo è documentato e palese. La regolata ed efficace ripetizione dell’energia originaria è in ogni culto associata alla scansione del ritmo, alla modulazione del suono, all’armonia della parola, del gesto, della rappresentazione. E i racconti simbolici dell’inizio contengono in molti modi l’evocazione del magico legame tra la forma sonora e il principio divino.

Spazio letterario

POESIE – di Egidio Santanché – Volentieri pubblichiamo alcune delle poesie che continuano ad esserci inviate.

Per il dialogo

UNA RELAZIONE RISPETTOSA. INTERVISTA A  MONS. HENRI TEISSIER – di Michele Zanzucchi – Riportiamo l’intervista a mons. Henri Teissier, arcivescovo di Algeri. Sacerdote dal 1955, mons. Henri Teissier ha studiato a Rabat, Parigi, il Cairo, Aix-en-Provence. Vescovo di Orano dal 1972 al 1981, è stato coadiutore ad Algeri fino al 1988, allorché è stato nominato arcivescovo della capitale algerina. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni, tra cui Eglise en Islam (1984), Lettres d’Algérie (1998) e Chrétiens d’Algérie, un partage d’espérance (2002).

Libri

I FUOCHI DEI KELT DI GIOVANNI D’ALESSANDRO – di Giovanni Casoli – Nel gran mare dei romanzi pseudo–storici trovare un romanzo storico degno di questo nome – che è nome difficile e rarissimo basta dire I promessi sposi e Guerra e pace –, è come trovare il classico ago nel pagliaio. Ci si riesce con Giovanni D’Alessandro perché ha scritto un vero romanzo storico, come può fare solo chi, oltre all’indispensabile talento letterario, ha una grande vera competenza storico-documentale, con conoscenze di primissima mano, e una precisa e duttile sensibilità artistica nel raccordare questa a quello, cioè l’autentica conoscenza culturale all’autentico talento narrativo della particolare specie che occorre per i fatti storici. I fuochi dei Kelt racconta i fatti della guerra gallica nel 52 a.C.., sulla base di puntuali riferimenti di passi del De bello gallico che diventano sorgenti e impulsi per l’invenzione letteraria dei grandi e piccoli eventi raccontati. NUOVA UMANITÀ XXVII –  Settembre – Ottobre – 2005/5, n.161 SOMMARIO (altro…)

Tra i feriti negli ospedali, una grande lezione della fede dei musulmani

Tra i feriti negli ospedali, una grande lezione della fede dei musulmani

Il quadro drammatico di quanto ha provocato il terremoto che ha colpito il Kashmir è noto: oltre 50.000 morti, 65.000 feriti e più di 4 milioni senzatetto. Ci sono ancora villaggi sulle montagne in cui non è stato possibile arrivare neppure in elicottero. I feriti trasportati negli ospedali di Rawalpindi e Islamabad con gli elicotteri sono più di 5.000, ma le strutture non sono assolutamente adeguate. L’emergenza sanitaria cresce di ora in ora anche per il pericolo di epidemie e infezioni. Già ci sono tanti casi di tetano.

La terra continua a tremare. Non sono solo piccole scosse di assestamento, ma forti scosse di terremoto. Di notte si stenta a dormire e di giorno intensa è l’opera di soccorso. Ma si sta assistendo a una straordinaria generosità da parte di governi di molti Paesi e di organizzazioni internazionali – anche se insufficiente per far fronte alle dimensioni del sisma. C’è chi ha detto che gli aiuti così tempestivi arrivati da Europa e Stati Uniti, stanno sanando quella ferita aperta tra occidente e mondo islamico. Colpisce la generosità del popolo. Una generosità che non conosce confini di classe, di religione, di nazionalità. A contatto con i feriti e i senzatetto che hanno perso tutto, restiamo edificati dalla grande lezione di fede. Quella fede che fa credere che al di là di tutto c’è Dio che ti ama e che fa riscoprire ciò che veramente vale nella vita. Queste notizie che ci giungono dal Pakistan, da alcuni amici cristiani e musulmani. Ci hanno scritto una toccante lettera che ci aiuta a penetrare il volto più umano di questa catastrofe: “Vorremmo soprattutto condividere con voi la storia di alcune delle tantissime vittime del terremoto, perché anche voi possiate conoscerle almeno attraverso queste poche righe. Vorremmo caricarci sulle nostre spalle un po’ dei loro dolori, delle loro sofferenze, perché non siano soli e possano sentirsi capiti e aiutati nella loro situazione”. Ed ecco la loro testimonianza:  

Tra i terremotati feriti negli ospedali di Rawalpindi: “I feriti, via via che erano estratti dalle macerie, venivano trasportati ad Islamabad e Rawalpindi, e smistati nei vari ospedali. Cerchiamo di portare sostegno ai feriti, perché manca chi li ascolta, li lava e li assiste. Tutti gli operatori ospedalieri ci hanno suggerito questo compito, di cui vedevano l’assoluta necessità. La gente ha bisogno di ripetere a qualcuno quanto ha vissuto. Sentiamo quanto sia importante essere lì per prendere su di noi questa sofferenza ed essere segni concreti dell’amore di Dio.

Alessandro è andato al Rawalpindi General Hospital. Racconta: “La scena che ci si è presentata all’ingresso dell’ospedale era agghiacciante, l’atrio, i corridoi, ogni spazio era occupato da barelle e lettini, con donne, uomini, bambini, medicati alla meglio, alcuni in condizioni visibilmente gravi, e quasi tutti in silenzio, con lo sguardo smarrito, forse sotto shock”. “Ma la più grande lezione ci viene proprio dalle vittime del terremoto, che incontriamo negli ospedali e che ci raccontano storie dolorosissime e terrificanti. Una studente di 17 anni: “Ero in classe quando sono iniziate le prime scosse, ero vicino alla porta e mi è venuto spontaneo correre fuori. Girandomi ho visto davanti ai miei occhi la terra aprirsi e inghiottire tutta la mia classe. Sono l’unica sopravvissuta”. Molti hanno perso tutto, e in molti casi, l’intera famiglia. Ma la fede, che questa gente attinge dall’Islam, fa credere che aldilà di tutto c’è un Dio che ti ama, e fa riscoprire cosa veramente vale nella vita. Oggi Rani, visitando un reparto dell’ospedale, si ferma con una bambina, ancora in stato di shock, con una gamba ingessata e l’altra ferita. Le offre una mela e la piccola abbozza un sorriso, ma non parla. “Coraggio, di’ come ti chiami” interviene dolcemente il padre, con un gran sorriso. Rani è commossa da questa scena e chiede all’uomo dove sia la moglie. ‘Non c’è più’ è la risposta, data con lo stesso sorriso e commovente serenità. In un’atmosfera di reciproca gratitudine, sembra che tutto sparisca, e resti solo quell’amore concreto e reale, che ci fa sentire parte di una stessa famiglia. (altro…)

Che cosa possiamo fare?

Stiamo lavorando su diversi fronti:

1. Collaborazione con la Caritas che ha istituito un campo base ad Abbottabad (v. sito: www.caritas.it) e con l’ISCOS (un progetto dei sindacati italiani, distributori ufficiali degli aiuti del Governo italiano), che hanno intanto individuato un villaggio vicino a Balakot per distribuire 3000 tende. 2. Raccolta di cibo, vestiario per l’inverno, coperte, medicinali. 3. Visite ai terremotati feriti negli ospedali di Rawalpindi. 4. Sensibilizzazione e raccolta di fondi a livello locale per le prime necessità delle persone. 5. Raccolta di fondi a livello internazionale per i futuri bisogni. 6. Sono allo studio vari progetti, una volta superata l’emergenza. Occorrerà sostenere le persone nei campi di accoglienza con tutto, assistenza, cibo, libri, giocattoli. In un terzo tempo si dovrà pensare alla ricostruzione di case e scuole antisismiche.

Che cosa potete fare voi:

Una cosa concreta che possiamo fare tutti è pregare per queste persone, e – ve ne siamo davvero grati – perché possiamo avere la forza e la luce per capire come meglio aiutare la nostra gente.

Segnaliamo i seguenti conti correnti per chi desidera inviare aiuti attraverso l’AMU:

 

per versamenti dall’Italia, si può usare il conto corrente postale n. 81065005 oppure il conto corrente bancario N. 100000640053 presso la banca SAN PAOLO IMI S.p.A. – Agenzia di Grottaferrata, codice ABI 01025, codice CAB 39140, CIN M

per versamenti dall’estero si può usare il conto corrente della Banca San Paolo IMI – Agenzia di Grottaferrata, con queste coordinate bancarie internazionali : IBAN IT16 M010 2539 1401 0000 0640 053 BIC IBSPITTM

Questi conti sono intestati all’ Associazione “Azione per un Mondo Unito – ONLUS” Per i cittadini italiani, ricordiamo che i contributi versati all’AMU godono dei benefici fiscali previsti dalla nuova legge.

  (altro…)

“L’arte di amare” di Chiara Lubich

Attingendo al vasto patrimonio di scritti e discorsi di Chiara Lubich, questo nuovo libro, “L’arte di amare”, pubblica testi scelti e ordinati secondo un paradigma da lei adottato negli ultimi anni. «Amare tutti». «Amare per primi». «Amare come sé», e così via. Un’originale serie di punti di genuina derivazione evangelica che l’Autrice definisce «Arte di amare», perché armoniosa sintesi delle esigenze dell’amore e anche richiamo all’impegno continuo per renderlo realtà viva e operante. L’essenzialità di linguaggio e la totale adesione all’insegnamento di Cristo ne fa scoprire le molte applicazioni nei rapporti interpersonali. Di rilievo il riconoscimento dell’amore quale valore universale, presente nelle più grandi religioni del mondo, con la cosiddetta “regola d’oro”: «Fa’ agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te». E non solo. Perché esso lo si ritrova pure in persone senza alcun riferimento religioso, spesso attente e operose nella linea della “fraternità universale”. Un libro quasi piccolo vademecum per il quotidiano, per rispondere alla più alta vocazione dell’uomo: l’amore. Chiara Lubich, L’arte d’amare, Collana ‘Verso l’unità’, Città Nuova Editrice, Roma, ottobre 2005

(altro…)

Dalla prefazione di Sergio Zavoli

Il libro – esile di pagine ma denso e compatto come andrebbe invidiato a chi scrive o stampa – viene opportunamente alla luce in tempi assai difficili. Credo non vi sia stato, in questo recente scorcio d’anni, un momento che abbia prodotto, nel mondo, un così profondo e sconcertante sentimento di precarietà. (…) Sarebbe in atto – così si pretende – uno scontro aperto, di natura non solo religiosa, ma anche civile ed etica, che coinvolge l’identità complessiva di due civiltà. (…) La domanda che da più parti viene posta è se il cristianesimo rappresenti ancora una pretesa “civiltà superiore” in grado di moderare le contraddizioni del mondo. Mentre si dà per certo che l’Islam, tutto quanto, è un insieme di obbedienze e di intolleranze imbevute di ritualità e fanatismo, ignorando i tesori di armonia e di saggezza che la sua religione continua a riservare anche alle dimensioni civili e culturali via via insorgenti. (…) Riflettevo su queste cose scorrendo L’arte di amare, di Chiara Lubich. Penso al bene che ne verrebbe – non in senso virtuoso, edificante, ma proprio per suoi significati concreti – se la lettura di queste pagine, disadorne e amorevoli, avesse la forza di contrastare le grandi, plateali, sulfuree esternazioni concesse, su pagine ben più influenti, a chi si esalta nel proclamare purezze, distanze, primati e, appunto, inconciliabilità. (…) Chiara Lubich, come altri mistici della Chiesa, è insieme annuncio e ascolto, parola e traduzione, segno e senso. Ecco perché è una possibile congiunzione tra profezia e cammino, volta a mettere insieme ciò che inclina a separarsi; e lo fa in nome di ogni uomo, di ogni cultura, di ogni religione. Dove è stata voluta e ascoltata, cioè in ogni parte del mondo, ha provocato un’idea di Dio riconducibile alla sua essenza unica e univoca, non mutuabile, né separabile, né ripetibile; facendo rivivere, in sostanza, lo “Spirito di Assisi”, secondo cui non c’è un inginocchiatoio dal quale una preghiera possa pretendere di salire più in alto di tutte le altre. E proprio qui la testimonianza di Chiara spegne i fuochi delle solitudini ardenti – invaghite dei propri privilegi, a cominciare dal Dio personale – in cui si prega e si spera ciascuno per sé, non tenuti a condividere il bene e il male che attraversano tutti e ogni cosa. Radicata in un secolo colpevole di tanti orrori, ma al quale va riconosciuta la più morale e sociale delle scoperte antropologiche, quella del primato del noi sull’io – il primato non solo etico, ma anche reale, dell’esser nati per la condivisione – Chiara ci mostra che gli uomini non solo vivono, ma esistono, insieme. (…) Chiara Lubich non a caso ci interpella sul da farsi per rimettere insieme l’etica dell’unità, cioè riunire i frammenti dell’indivisibile, l’uomo, ricomponendo le strutture del condivisibile, la comunità. (…) Ma con quali mezzi? E’ una contraddizione, secondo Chiara, che si scioglie sulla Croce, dove c’è un uomo che non misura più le distanze, non cerca più il colpevole, non si fa più giustizia, ma assume su di sé la tua vita, con tutte le sue ferite; dove, con le sue braccia larghe, e inchiodate, in realtà stringe al petto le divisioni del mondo. Non dunque un’altera, incontestabile, dogmatica professione religiosa: al contrario, è partendo da qui che si compie il salto rischioso della fede, come lo chiama Kierkegaard, dove si lanciano i dadi di Pascal, dove si svolge la partita a scacchi del “Settimo sigillo” di Bergman. Ciò che lacera gli uomini e la loro relazione è l’idea che la nostra vita dimori in un arcipelago di innumerabili isole in ciascuna delle quali c’è uno di noi che vede l’umanità nella propria ombra, fidandosi di quella soltanto. Pronto a cogliere in quella del vicino qualcosa di sospetto, di ostile, da dover controllare e magari colpire. Le guerre di religione, e di civiltà, nascono dal vedere e amare quelle ombre. Chiara Lubich, ‘L’arte di amare’, Editrice Città Nuova, Roma 2005

(altro…)

La “cosa pubblica” è un affare che mi riguarda

Qualche tempo fa, una ragazza degli Stati Uniti, P. C., di 18 anni, è stata condannata a morte. Non ho mai condiviso la pena capitale e leggendo la sua storia sento ancor più quanto sia inadeguata. Cosa fare? Non riesco nemmeno a farmi togliere una multa dai vigili urbani! Cosa posso fare verso un tribunale, e per giunta straniero? Tante persone non trovano giusta la pena di morte ma, passato lo scoop giornalistico, non ne parla più nessuno. Non volevo attendere passivamente. Inizio allora una raccolta di firme nella mia classe, poi in tutta la scuola e vado al giornale locale che decide di fare un breve articolo. In seguito a questo, aderiscono anche alcuni politici locali e il vescovo. E’ una cosa che il giornale non si aspetta e così ottengo lo spazio per un altro articolo breve e arrivano altre firme. Passano un paio di mesi e al giornale la cosa non interessa più, ma il lavoro è tanto: fotocopio ogni foglio di firme ricevuto e lo spedisco a 5 posti diversi, tra ambasciate, l’ONU, giudici, ecc. e questo mi costa anche un po’ economicamente. Subentra un po’ di scoraggiamento, ma voglio fare fino in fondo la mia parte e ecco che, inaspettato, arriva un invito di una rete televisiva nazionale in uno dei programmi di maggiore ascolto. Dopo la prima apparizione in TV nasce un gruppetto di giovani che mi aiutano e mi arriva anche un aiuto economico da una sconosciuta di Genova. Arrivano anche firme di personaggi famosi a livello nazionale e vengo invitato nuovamente in quella trasmissione TV. Il gruppo viene invitato perfino ad una conferenza organizzata nella mia città dal giornale che ci aveva snobbato. Alla fine superiamo le 45.000 adesioni. Non sarà solo per quanto abbiamo fatto noi, ma la ragazza viene graziata e riceviamo da lei una bellissima lettera di ringraziamento ed affetto. (T.P. – Italia)

(altro…)

Quell’amore “speciale” che rivoluziona

La carità è virtù importantissima, è tutto. Dice un pensatore: “Amare è bene; saper amare è tutto”. Sì, saper amare, perché l’amore cristiano è un’arte e occorre conoscere quest’arte. Ha detto un grande psicologo del nostro tempo: “La nostra civiltà molto raramente cerca d’imparare l’arte di amare e, nonostante la disperata ricerca di amore, tutto il resto è considerato più importante: successo, prestigio, denaro, potere. Quasi ogni nostra energia è usata per raggiungere questi scopi e quasi nessuna per conoscere l’arte di amare”. La vera arte di amare emerge tutta dal Vangelo. E metterla in pratica è il primo imprescindibile passo da compiere per poter scatenare quella rivoluzione pacifica, ma così incisiva e radicale che cambia ogni cosa. Tocca non solo l’ambito spirituale, ma anche quello umano, rinnovandone ogni espressione: culturale, filosofica, politica, economica, educativa, scientifica, ecc. È il segreto di quella rivoluzione che ha permesso ai primi cristiani di invadere il mondo allora conosciuto. Arte impegnativa, con forti esigenze… È un’arte che vuole si superi il ristretto orizzonte dell’amore semplicemente naturale diretto spesso quasi unicamente alla famiglia, agli amici. Qui l’amore va indirizzato a tutti: al simpatico e all’antipatico, al bello e al brutto, a quello della mia patria e allo straniero, della mia o di un’altra religione, della mia o di un’altra cultura, amico o avversario o nemico che sia. Occorre amare tutti come fa il Padre del Cielo che manda sole e pioggia sui buoni e sui cattivi. È un amore che spinge ad amare per primi, sempre, senza attendere d’essere amati. Come ha fatto Gesù Cristo, il quale, quando eravamo ancora “cattivi” e quindi non amanti, ha dato la vita per noi. È un amore che considera l’altro come se stesso, che vede nell’altro se stesso. Diceva Gandhi: “Tu ed io siamo una cosa sola. Non posso farti del male senza ferirmi”. Quest’amore non è fatto solo di parole o di sentimento, è concreto. Esige che ci si faccia “uno” con gli altri, che “si viva” in certo modo l’altro nelle sue sofferenze, nelle sue gioie, nelle sue necessità, per capirlo e poterlo aiutare efficacemente. Quest’arte vuole che si ami Gesù nella persona amata. Infatti, anche se questo amore è diretto a quell’uomo, a quella donna particolare, Cristo ritiene fatto a sé quanto di bene e di male si fa loro. Lo ha detto e lo ha ripetuto, parlando della grandiosa scena del giudizio finale: “L’hai fatto a me. L’hai fatto a me” (cf. Mt 25, 40). Quest’arte di amare vissuta da più persone porta poi all’amore reciproco: in famiglia, sul lavoro, nei gruppi, nel sociale; amore vicendevole, perla del Vangelo, comandamento nuovo di Cristo, che costruisce l’unità. Queste sono le caratteristiche dell’amore vero. Le esigenze che lo rendono speciale, e che cogliamo dal Vangelo. Pubblicato in “L’arte di amare”, Chiara Lubich – Città Nuova, 2005

(altro…)

Il mondo unito è possibile!

Il mondo unito è possibile!

Anche quest’anno la SMU si svolge in contemporanea nelle principali città dei cinque continenti, dalle terre colpite dallo Tsunami agli USA, passando per l’Africa, il Medio Oriente e altri punti “caldi” del nostro pianeta, da Mosca alla Terra del Fuoco.

 

Il motto: “Give a hand to our city” (Diamo una mano alla nostra città), sottolinea l’impegno dei “Giovani per un mondo unito”, che ne sono i promotori, per la propria città, paese o villaggio, guardando prima di tutto a coloro che hanno più bisogno, interpellando per questo le istituzioni e le realtà locali, con lo scopo di portare sempre più persone a credere che ‘Il mondo unito è possibile’! I giovani raccolgono il testimone dai ragazzi che hanno appena terminato in 300 città del mondo la loro iniziativa di Run4unity.

La Settimana Mondo Unito si concluderà, il 15 e il 16 ottobre, con due “telefonate planetarie” nelle quali i giovani, collegati in circa 100 località in tutto il mondo, ascolteranno un messaggio di Chiara Lubich e si scambieranno impressioni ed esperienze. Come nasce l’idea, 10 anni fa: è a conclusione del Genfest 1995 a Roma che viene lanciata “Una proposta, a tutti noi, ai giovani del mondo intero, alle istituzioni nazionali e internazionali, pubbliche e private, a tutti. Anzi un appuntamento: alla Settimana Mondo Unito. Lo scopo? Evidenziare e valorizzare le iniziative che promuovono l’unità… ad ogni livello”. A dieci anni da quello storico momento, il bilancio è estremamente positivo. Tutte le edizioni della manifestazione hanno visto una larga partecipazione su tutti i punti della terra. (altro…)

Notizie della Settimana Mondo Unito nel mondo

Notizie della Settimana Mondo Unito nel mondo

Indonesia: a Medan, Meeting point all’università durante tutta la settimana, per incontrarsi, conoscersi e lavorare a favore delle vittime dello Tsunami e del terremoto di Nias. Maratona e azione ecologica per pulire la città (3 milioni di abitanti).

Singapore: Iniziative per il dialogo e la comprensione con giovani di altre religioni, sulla base della “regola d’oro”, invitando tutti a impegnarsi “per una società più unita a Singapore”; raccolta di firme da presentare al governo.

India: a Mumbai, iniziative per una casa di orfani; a New Delhi: Cineforum, e visite ai poveri delle case di Madre Teresa; a Goa, veglia di preghiera per la pace.

USA: a New York, a Fordham, l’Università Gesuita di Manhattan, come parte della SMU, presentazione del programma, “Dialogo Interreligioso: Una Strada Verso la Pace.” Argentina: a Rosario, Rappresentazione Teatrale per il Progetto Africa, insieme ad una università della città.

Bolivia: “Vogliamo privilegiare una città tra le più disagiate, El Alto. Due anni fa è scoppiata una rivolta sociale che ha portato alla rinuncia del presidente della nazione. Questa città (a più di 4000 m. di altitudine e abitata per la maggior parte da discendenti aymara) per noi è stata simbolo del nostro impegno nel costruire l’unità tra i boliviani. Con altri amici adulti del Movimento per più di un anno abbiamo fatto mensilmente serate di riflessione su temi di attualità nazionale, cercando di illuminare col Vangelo il nostro impegno nel sociale. A queste iniziative abbiamo dato il nome di ‘De El Alto al Alto’ ”. Lo scrivono i GMU da Cochabamba, che stanno programmando, insieme agli amici aymara, per tutta la settimana iniziative tutte ad … alta quota!

Brasile: a São Paulo, sono state stampate 123 mila agendinhas, cioè calendari della SMU che ricorderanno a tanti il suo messaggio e come metterlo in pratica.

Tanzania: a Iringa, attività ecologica e incontro all’orfanotrofio, tutto preceduto da un incontro con le autorità municipali per metterle al corrente delle iniziative dei GMU. Libano: da mesi i GMU stanno lavorando distribuiti in varie équipes, impegnati a coinvolgere anche la vita pubblica e a dare il loro contributo per rispondere a problemi e tensioni che affliggono oggi il Paese. Una delle strategie è il dialogo interreligioso. In programma: attività sociale con famiglie musulmane di Nabaa; attività artistica e culturale: pittura e musica; momento di dialogo per una politica nuova alla facoltà di medicina di Beiruth; giornata ecologica. Italia: a Loppiano (Firenze), Forum sul tema “Emergenza terrorismo: la fraternità è una risposta?”e una partita di calcio con gli amici della comunità araba di Figline Valdarno. Nel Lazio: una gara di cucina, una serata cineforum sul tema dell’immigrazione, il servizio alla mensa per i poveri, l’incontro/animazione coi bambini dell’Ospedale di Genzano e una giornata conclusiva a Nettuno con un ventaglio di “workshop per l’unità”.   (altro…)

Meditazioni per la vita pubblica

Antonio Maria Baggio, docente di Etica sociale presso la Pontificia Università Gregoriana, in questa nuova pubblicazione, ha raccolto le riflessioni offerte dal “Movimento politico per l’unità” ai parlamentari italiani nel corso degli incontri tenuti a Roma dal 2001 al 2003. Questo Movimento, nato per iniziativa di Chiara Lubich nel 1996, riunisce politici appartenenti a diversi schieramenti che trovano nel carisma dell’unità, di cui è espressione la spiritualità del Movimento dei Focolari, un nucleo di idee comuni e una fonte di ispirazione per operare insieme. L’intento di tali incontri è quello di gettare ponti di fraternità, offrendo a chi opera a livello politico l’occasione per conoscersi più e meglio, per scambiarsi idee, per confrontarsi sui principi e valori, cristiani e umani, che ispirano un’azione politica al servizio dell’uomo. Ogni incontro si apre con un breve approfondimento di un aspetto della spiritualità dell’unità, a cui segue una riflessione “applicativa” nel campo della politica, arricchita da alcune esperienze concrete. Città Nuova Editrice, Roma, ottobre 2005

(altro…)

I luoghi simbolo della pace

I luoghi simbolo della pace

I Ragazzi per l’unità correranno nei luoghi simbolo del pianeta

In luoghi che hanno conosciuto il dolore:a Medan (Indonesia) colpita dallo Tsunami, staffetta, anticipata alle 6 a.m. (ora locale) per il caldo, nel campus dell’Università Sumatra Utara; a Johannesburg (Sud Africa) attività sportive a Regina Mundi, luogo significativo per la fine dell’apartheid.  

Per chiedere la fine di ogni conflitto: a New York (Usa) si passerà davanti al Palazzo di Vetro dell’ONU; a Gerusalemme (Israele) si porterà un messaggio di pace nei luoghi sacri per le tre religioni monoteiste; a Nagasaki (Giappone) partenza vicino al luogo dove è caduta la bomba atomica 60 anni fa e pranzo nel ricovero per le vittime delle radiazioni; in Nuova Caledonia appuntamento a St.Luis, scenario di scontri tra wallisiani e melanesiani, popoli nativi di quelle isole.

 

In luoghi simbolo di unità: in Panama si correrà lungo il Ponte delle Americhe che unisce il nord ed il sud del continente; i ragazzi ungheresi e slovacchi attraverseranno il ponte Mária Valéria, sul Danubio, eretto per la fine delle rivalità tra i loro due popoli; a Seoul (Corea) si correrà in un luogo simbolo di unità tra le due Coree.

In luoghi rappresentativi: a Maratona (Grecia), che ha dato il nome alla moderna disciplina, staffetta lungo il percorso che unisce la città ad Atene; ad Oslo (Norvegia) giro in canoa tra i fiordi; a Città del Messico (Messico) tappa al Museo Antropologico, monumento alla cultura pre-ispanica e indigena; a Melbourne (Australia) partenza da Federation Square, simbolo della società multietnica australiana; ad Amman (Giordania) giro sul Monte Nebo e collegamento telefonico con Baghdad (Iraq).  

Presenza interreligiosa: sarà una caratteristica della maggior parte delle staffette. In particolare, a Coimbatore (India) correranno assieme ragazzi cristiani ed indù; le Piramidi faranno da sfondo alla marcia de Il Cairo (Egitto) con cristiani e musulmani; a Buenos Aires (Argentina) numerosi anche i ragazzi di religione ebraica; a Bangkok e Chang Mai (Thailandia) ragazzi cristiani e buddisti.

In Italia: le 30 staffette toccheranno, tra le varie città, Oniferi e Orani (Nuoro) in Barbagia, la Basilica di S. Francesco ad Assisi (Perugia), i ‘Sassi’ di Matera, Piazza dei Miracoli a Pisa, il Palazzo dei Normanni a Palermo.   (altro…)

Programma radiocronaca: “R4U RADIO”

Collegandosi via internet attraverso il sito www.run4unity.net cliccando sul link “R4U RADIO” si potrà seguire la radiocronaca che andrà in onda in sette momenti della giornata dagli studi del Centro S. Chiara audio, sostenuta da una redazione di Ragazzi per l’Unità.

Nel corso della radiocronaca ci saranno collegamenti telefonici con alcuni posti significativi del mondo. Le trasmissioni resteranno disponibili durante la giornata per il riascolto. Il sito sarà sempre interattivo: nel corso delle 24 ore arriveranno foto e notizie delle varie staffette avvenute nel mondo, a seconda dei fusi orari, che rimarranno a disposizione per dare informazioni su cosa sta accadendo in tempo reale. Sabato 8 ottobre ore 22.45- 23.00: Saluti e presentazione Ragazzi per l’unità. Che cos’è Run4unity. Mappa delle staffette del mondo, con messaggi dei ragazzi. Countdown. Domenica 9 ottobre ore 7.45 – 8.00: Saluti. Breve presentazione Ragazzi per l’unità e che cos’è Run4unity Collegamenti e notizie: Oceania e Asia Est. Collegamenti con: Noumea (Nuova Caledonia); Medan (Indonesia – Tsunami); Chiang Mai (Tailandia) con ragazzi buddisti e capi religiosi. ore 10.30 – 10.50: Saluto per chi si mette in ascolto. Rilancio staffetta e notizie Asia, Medio Oriente e Europa. Collegamenti con: Coimbatore (India) con ragazzi indù di Shanti Ashram e intervista a Vinu Aram. Gerusalemme: ragazzi ebrei, cristiani e musulmani nei luoghi sacri delle tre religioni. Norvegia in canoa sui fiordi. Ungheria-Slovacchia. ore 12.00 – 12.30: Rilancio staffetta e notizie: Italia, Europa e Africa. Collegamento con Fontem e intervista al Fon. Messaggio di Chiara ai ragazzi del mondo. Collegamento con Piazza S. Pietro: saluto del Papa all’Angelus. Lettura del “Messaggio dei ragazzi”. ore 17.15 – 17.30: Rilancio staffetta e notizie America del Sud. Collegamenti con: Repubblica Ceca, dal Parlamento commenti personalità. Sao Paulo (Brasile). Buenos Aires (Argentina) con ragazzi ebrei e cristiani. ore 21.00 – 21.30: Sintesi della staffetta nel mondo e notizie: Nord e Centro America Collegamenti con: Messico e New York, dove si attende la consegna del messaggio all’ONU. Ore 23.00 – 23.10 Conclusione della staffetta ed ultime notizie dal mondo. Invito ad andare avanti con le prossime iniziative dei Ragazzi per l’unità. (altro…)

“Facciamo rivivere le nostre città”

“Facciamo rivivere le nostre città”

“Facciamo rivivere le nostre città” sarà il motto della staffetta mondiale Run4unity: ragazzi di lingue, culture e religioni diverse si sono dati appuntamento dalle 11 alle 12 a.m., domenica 9 ottobre, nei luoghi più significativi dei loro Paesi per chiedere che si realizzi al più presto la fraternità universale.

Una giornata sportiva, per testimoniare insieme l’impegno a costruire un mondo unito partendo dalle varie città e vivendo la Regola d’oro “Fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te”, presente nel Vangelo e nei libri sacri delle principali religioni del mondo. A piedi, di corsa, coi pattini, in bicicletta raggiungeranno, in tutto il mondo, posti nei quali le tensioni sono in atto, e luoghi simbolo di pace. Passeranno accanto a sedi istituzionali locali e mondiali. A Roma la staffetta si concluderà in Piazza S. Pietro, con l’atteso saluto del Papa all’Angelus. Una comunione dei beni coinvolgerà Paesi del nord e del sud del mondo: partecipando alle attività sportive i ragazzi potranno donare oggetti che saranno distribuiti, nelle città toccate dalla staffetta, ai loro coetanei più poveri o sostenere borse di studio per i ragazzi dei Paesi in guerra o in difficoltà economiche.  

In tempo reale: dalle 11 p.m. (ora italiana) di sabato 8 ottobre, alle 11 p.m. (ora italiana) di domenica 9 ottobre, aggiornamenti radiofonici in streaming e collegamenti telefonici con: Noumea (Nuova Caledonia); Coimbatore (India); Gerusalemme (Israele); Fontem (Camerun), Buenos Aires (Argentina); San Paolo (Brasile); New York (Usa).

Dal 10 al 16 ottobre, i ragazzi passeranno la staffetta ai giovani del Movimento dei Focolari, per la Settimana Mondo Unito (www.mondounito.net), appuntamento mondiale, con dibattiti, manifestazioni, serate culturali ed azioni per parlare di pace e di unità ad ogni livello, sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni all’ideale del mondo unito, realizzare brani di fraternità. Ufficio stampa e-mail: info@run4unity.net   (altro…)

Parola di vita: mese di ottobre 2005

È la risposta ad una richiesta che viene rivolta a Gesù da un gruppo di farisei e da alcuni uomini di Erode: le tasse alle forze d’occupazione romana si devono pagare oppure no? È un tranello per trarlo in inganno. Se Gesù risponde di sì i farisei lo accuseranno di collaborazionismo con il nemico ed egli perderà la fiducia del popolo. Se risponde di no gli erodiani, legati all’autorità romana, diranno che è un sovversivo e lo accuseranno come un sobillatore. Gesù chiede allora di mostrargli la moneta d’argento con la quale si pagava il tributo e di dirgli di chi è l’immagine e l’iscrizione che vi è impressa. Gli rispondono che è quella dell’imperatore. Se è dell’imperatore, riprende Gesù, rendete all’imperatore quello che è suo. Riconosce così il valore dello Stato e delle sue istituzioni. Ma la sua risposta va ben oltre, indicando ciò che è veramente importante: rendere a Dio quello che è già suo. Come sulla moneta romana c’è l’immagine dell’imperatore, così nel cuore di ogni essere umano è stata impressa l’immagine di Dio: ci ha creati a sua immagine e somiglianza!  Noi quindi gli apparteniamo e a lui dobbiamo tornare. A lui soltanto va dato il tributo totale ed esclusivo della nostra persona. La cosa più importante non sta nel versare l’imposta all’imperatore romano, ma nel dare a Dio la propria vita e il proprio cuore.

«Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio»

Come vivere dunque questa Parola di vita? Rinnovando la stima, il senso di responsabilità e l’impegno per la “cosa pubblica”, nel rispetto delle leggi, nella tutela della vita, nella conservazione dei beni della collettività: edifici pubblici, strade, mezzi di trasporto… Offrendo il contributo attivo, critico e deciso di idee, proposte, suggerimenti per il sempre migliore andamento del quartiere, della città, della nazione, senza attendere passivamente; prestando la nostra opera di volontariato nelle strutture sanitarie, civili; perfezionando il nostro lavoro. Svolgendo il nostro compito con competenza e amore, possiamo realmente servire Gesù nei fratelli, nelle sorelle e contribuire a che lo Stato e la società rispondano al disegno di Dio sull’umanità e siano pienamente a servizio dell’uomo.

«Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio»

Andrea Ferrari, un ragioniere milanese, ha saputo fare dell’ufficio della Banca dove lavorava il luogo in cui attuare questa Parola di vita. “Ogni mattina – scrisse – quando mancano pochi minuti alle otto e trenta, marco il cartellino, entro nel palazzo degli uffici e incomincia la mia fatica quotidiana. Ma che strano lavoro il mio: andare, venire, salire scale, attendere davanti ad usci chiusi, ricevere e portare schede, e così da tanti anni… Se serberò la carità, nonostante i contrattempi, le lettere da rifare tre volte, avrò fatto tutta la mia parte, perché sento che è proprio Gesù che mi ha messo qui”. “Sono un ragioniere – diceva rivolgendosi a Gesù con semplicità – e Ti servo da ragioniere. Ecco la mia vita, Signore, voglio farla diventare tutta Amore!” Un giorno un’anziana signora, che allo sportello si era sempre vista trattare da lui non come un’anonima cliente ma come una “persona”, non sapendo come esprimergli la propria riconoscenza gli portò un sacchetto di uova! Andrea è morto a 31 anni a Torino, in seguito a un incidente stradale, in ospedale. “Dovrò proprio morire così da solo, senza vedere nessuno?” La suora rispose che bisognava accettare la volontà di Dio. A questa parola Andrea si ravvivò, sorrise: “Abbiamo imparato a riconoscerla sempre, come nostro ideale, anche nelle piccole cose, anche – e qui ammiccò con quell’arguzia che gli era solita – anche nel rosso di un semaforo”. Egli ha ubbidito a Dio e in quella obbedienza d’amore è andato verso di Lui.   Chiara Lubich   (altro…)

Il tuffo in Dio: i 40 giorni di Carlo e Alberto

I segni dello Spirito nel Novecento

“Il XX secolo è stato, per così dire, il «teatro» in cui sono entrati in scena determinati processi storici e ideologici, che si sono mossi nella direzione della grande «eruzione» del male, ma è anche stato lo scenario del loro superamento” (Papa Giovanni Paolo II in “Memoria e Identità”, pag. 13). Osservando con maggiore attenzione la storia del Novecento, “secolo tra i più secolarizzati”, non possiamo non cogliere come esso sia stato disseminato di tante luci di speranza che, spesso nei momenti più tragici, hanno illuminato il cammino di popoli e di culture. Si tratta di tante vite cristiane, forti fino al martirio, uomini e donne di fede che hanno testimoniato, con una vita non avara di sguardi e gesti di carità, l’opera dello Spirito nella storia umana. In questo senso constatiamo come il secolo trascorso, pur col suo fardello di tragedie, sia stato davvero caratterizzato dall’azione dello Spirito Santo. E’ possibile, allora, rileggere la storia del Novecento in chiave spirituale e in esso cogliere i segni della presenza luminosa dello Spirito, attraverso le testimonianze di alcuni protagonisti che questo secolo hanno attraversato? Se molte letture storiche sono state date, ci sembra sia mancata una visione d’insieme spirituale, capace di evidenziare come nel Novecento il bene non sia stato soffocato dal male e attesti come i semi di verità e di giustizia siano stati diffusi dallo Spirito Santo anche fuori dai confini visibili del cristianesimo. Volendo raccogliere questa sfida, è in programma nei giorni 30 settembre – 2 ottobre 2005, a Lucca, un Convegno Internazionale dal titolo “I segni dello Spirito nel Novecento. Una rilettura storica: il racconto dei testimoni”. L’iniziativa è patrocinata, con vivo interesse, dal Pontificio Consiglio per i Laici e dal Senato della Repubblica Italiana. Al Convegno interverranno leader di Movimenti e Associazioni cattoliche, esponenti del mondo ecclesiale, sociale, culturale, scientifico, economico e politico, uomini e donne provenienti da diversi Paesi del mondo, che hanno dato vita ad opere di forte “impronta carismatica”, determinando un risveglio della carità e del bene nei campi più svariati. (altro…)

Vescovi di varie Chiese in Romania accolti dal Patriarca ortodosso Teoctist I

Vescovi di varie Chiese in Romania accolti dal Patriarca ortodosso Teoctist I

Accogliendo l’invito del Patriarca ortodosso di Romania, Teoctist I, e del suo Sinodo, l’annuale Convegno internazionale di vescovi di varie Chiese, amici del Movimento dei Focolari, questa volta è stato ospitato a Bucarest, in un Paese considerato, per più ragioni, ponte tra Oriente e Occidente. Lo stesso Patriarca ha aperto il Convegno la mattina del 21 settembre.

I vescovi presenti a Bucarest provengono da 19 Paesi. La Chiesa Ortodossa è rappresentata da vescovi del Patriarcato ecumenico di Constantinopoli, dei Patriarcati di Antiochia e Romania, della Chiesa ortodossa della Serbia, Cechia e Slovacchia. Esponenti della Chiesa siro-ortodossa provengono dalla Siria, dall’India e dall’Olanda. Sono rappresentate inoltre la Comunione anglicana (Inghilterra e Italia), le Chiese evangelico-luterane di Germania, Svezia, Norvegia, Gran Bretagna, Romania e Stati Uniti, la Chiesa metodista (Brasile). Più di 10 i vescovi cattolici di vari Paesi. “La presenza del Risorto in mezzo al suo popolo: centro della vita ecclesiale e fulcro della nostra comune testimonianza”, è al centro delle riflessioni del Convegno, come recita il titolo. E’ questo mistero di Gesù, che si fa presente, come ha promesso, tra “due o tre riuniti nel suo nome”, che i vescovi desiderano approfondire come via per la comunicazione della fede nel tempo presente e per una sempre più piena comunione della Chiesa di Cristo. Si sono alternati approfondimenti teologici e spirituali, e non sono mancati dialogo e scambio delle esperienze che mostrano l’agire del Risorto nella vita quotidiana e nei diversi ambienti. Su questa Presenza ha dato un apporto importante Chiara Lubich con una conversazione videoregistrata, proprio perché questa presenza di Gesù nella comunità è lo specifico del suo carisma di unità. L’incontro con la vita monastica, la liturgia, l’iconografia orientali, così vivamente presenti in Romania, sono stati di stimolo ed arricchimento ed hanno favorito una più profonda comunione con la Chiesa rumeno-ortodossa e con le altre Chiese presenti in quella terra. Nello stesso tempo, vescovi provenienti dai diversi continenti, hanno potuto offrire la loro testimonianza di comunione fraterna a questo popolo che al grido “unitate, unitate” ha saputo dare un impulso indimenticabile alla causa dell’unità dei Cristiani, quando Giovanni Paolo II nel 1999 visitò quel Paese.   (altro…)

Risolvere i problemi insieme e nell’amore

Risolvere i problemi insieme e nell’amore

Il Patriarca ortodosso di Romania, Teoctist, che aveva invitato e ospitato nel Palazzo patriarcale di Bucarest i 40 vescovi di varie chiese amici del Movimento dei focolari, giunti da 16 Paesi per il loro annuale Convegno internazionale, ha partecipato all’incontro in diversi momenti.

Al centro dell’incontro le riflessioni dei vescovi su: “La presenza del Risorto in mezzo al suo popolo: centro della vita ecclesiale e fulcro della nostra comune testimonianza”, come recitava il titolo, e le due conversazioni videoregistrate di Chiara Lubich, quale contributo alla piena comunione tra le Chiese. Il rapporto fraterno tra i partecipanti è risultato la nota caratteristica del Convegno. Il Patriarca ha rivolto all’inizio un discorso di benvenuto ai partecipanti ed ha presenziato alla giornata conclusiva, con rappresentanti delle varie Chiese e del mondo civile, in cui persone dei Focolari di diverse età e vocazioni hanno proposto testimonianze sul loro impegno tra i giovani, in famiglia, nella parrocchia, nell’economia e nella politica. Tra i 300 presenti, anche i vescovi della Conferenza episcopale cattolica rumena. Intervenendo in chiusura, il Patriarca tra l’altro ha detto: «Vediamo che il mondo si allontana sempre di più da Cristo e manca l’amore (…). E costato, purtroppo, che siamo ancora lontani dal momento in cui potremo testimoniare insieme che serviamo totalmente la Parola del Salvatore nostro Gesù Cristo. Amiamoci gli uni gli altri per poter testimoniare lo stesso pensiero: è una parola che ci riscalda in ogni momento. Ho avuto occasione di ascoltare cose speciali in questi giorni (…). Sentendo i racconti dei giovani, pensavo a come sarebbe proficuo se anche noi, vescovi, e le nostre Chiese provassimo a rivedere nello stesso modo uno per uno tutti i problemi che ci amareggiano (…). E lo dico con moltissima sincerità, perché davanti a me ho i vescovi greco-cattolici, nel rapporto con i quali noi, Chiesa ortodossa rumena, riconosciamo che siamo lontani dalla giustizia e dalla verità, soprattutto dall’amore di Cristo. Proviamo, secondo l’esempio e le opinioni di questi giovani e di questi fratelli, a trovare anche noi delle vie per risolvere i problemi che ancora abbiamo. Se lo vogliamo, possiamo farlo». Sullo sfondo delle questioni non ancora risolte in Romania tra la Chiesa greco-cattolica e la Chiesa ortodossa rumena, problemi legati ai beni ecclesiastici confiscati durante il regime comunista, le parole del Patriarca Teoctist hanno profondamente colpito i presenti e hanno fatto ricordare il grido popolare «Unitate, unitate!» che accompagnò nel 1999 l’abbraccio tra il Patriarca e Giovanni Paolo II in visita nel paese. Momento di grande intensità la Divina Liturgia domenicale celebrata dal Patriarca Teoctist, che, dopo l’omelia, ha dato la parola al Card. Miloslav Vlk, arcivescovo di Praga, promotore principale del Convegno dei vescovi. Si è anche svolto un incontro con l’intera Conferenza episcopale cattolica rumena, che riunisce i vescovi latini e greco-cattolici.  Segno forte di comunione la solenne concelebrazione cattolica nella cattedrale di San Giuseppe, durante la quale si sono alternati i canti del coro cattolico e quelli degli studenti ortodossi della facoltà teologica di Cluj. Hanno fatto ingresso in processione nella cattedrale gremita, assieme ai vescovi cattolici, anche i vescovi di varie Chiese. “Voi che avete vissuto fra noi questa settimana – ha detto nell’omelia l’arcivescovo di Bucarest, Joan Robu –, siete per noi una sorgente di vita, di idee nuove. Questa è per me una vera speranza per l’unità”. Nel corso dell’incontro, i partecipanti hanno avuto la possibilità di conoscere dal vivo la vita monastica (Curtea de Arges, Bistrita e Horezu), la ricchissima liturgia e l’iconografia della Chiesa rumeno-ortodossa. Non sono mancate le visite alle diverse comunità cristiane (luterana, riformata e anglicana) nella capitale rumena, e la presenza alle rispettive celebrazioni.  Hanno partecipato al convegno vescovi ortodossi del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, dei Patriarcati di Romania e della Serbia, della Chiesa ortodossa di Cechia e Slovacchia; vescovi siro-ortodossi da India, Siria e Olanda. Inoltre vescovi anglicani della Chiesa d’Inghilterra e vescovi evangelico-luterani di Germania, Romania, Svezia, Norvegia, Gran Bretagna e Stati Uniti, e un vescovo della Chiesa metodista del Brasile. Presente un vescovo della Mar Thoma Syrian Church dall’India. 14 i vescovi cattolici. (altro…)

Dal dono di sé a sorgente della gioia anche nello sport

Carissime e carissimi partecipanti al terzo Congresso internazionale di Sportmeet,

vi so riuniti a Trento, la città natale del Focolare, per il congresso dal titolo “Sport & Joy – Con lo sport autentico corre la gioia”. Un saluto tutto particolare ai presenti e a quanti si uniranno a loro nella città, con il vivo augurio che questo avvenimento possa contribuire a far divampare la realtà di “Trento ardente” da noi sempre tanto amata. Lo sport fin dall’antichità è nato come un momento di gioia per chi gareggia e per chi vi assiste. Non per niente si parla ancor oggi di “giochi olimpici”. Col cristianesimo poi non si dovrebbe solo valorizzare l’uomo o la donna che vincono, ma si dovrebbe far risalire a Dio la gloria per aver creato persone particolarmente dotate nel fisico (singoli o gruppi) senza sottovalutare l’apporto dei maestri, degli allenatori, dei sostenitori. In particolare, col cristianesimo chi perde conosce il valore della sofferenza e della sconfitta, perché il Figlio di Dio le ha valorizzate. Per lui può esserci una gioia più profonda che nasce dall’aver dato, dato se stesso negli allenamenti, o nei rapporti reciproci per costruire una squadra, dato tutto di sé nell’ esibizione al pubblico. Solo dalla donazione, dall’amore, nasce la gioia interiore, più limpida, più pura, per chi vince (se ha lottato e vinto per amore) e per chi perde (se ugualmente ha lottato e perso per amore). Allora lo sport diventa autentico e sarà elevato alla sua dignità sociale. Potrà contribuire a ricreare gli uomini in questa civiltà troppo stressante, ad essere un elemento di affinità, di fratellanza e di pace tra popoli e nazioni. Nell’antica Grecia, durante le Olimpiadi, tutte le guerre venivano sospese. Che non siamo oggi meno d’allora! Con questo augurio vi saluto ancora tutti e auguro, specie ai giovani, la gioia di uno sport autentico. Chiara Lubich (altro…)

Sport and Joy: con lo sport autentico corre la gioia

Sport and Joy: con lo sport autentico corre la gioia

‘La sportivizzazione della società e le sue conseguenze’, ‘sport e miraggi di successo e ricchezza’, ‘valore educativo dei modelli di sport oggi proposti’, ‘felicità nella pratica sportiva o nel successo?’: queste alcune delle problematiche che investono il mondo dello sport, al centro di un Congresso internazionale – in questo Anno Internazionale dello Sport e dell’Educazione Fisica, promosso dall’ONU – dal titolo: ‘Sport & Joy – Con lo sport autentico corre la gioia’.

Sportmeet for a United World, che ha promosso l’evento, vuole aprire il dialogo nel mondo dello sport sul rapporto fra “attività motoria, sport e felicità”, un provocatorio accostamento in un’epoca nella quale vivere in modo non effimero l’esperienza della felicità, personale e collettiva, sembra essere una chimera.  

Esperti, studiosi e testimoni del mondo dello sport hanno aiutato a declinare il tema nei suoi riflessi sociologici, economici, pedagogici e psicologici.

Che cos’è Sportmeet E’ una rete mondiale di sportivi e di operatori dello sport animati dal desiderio di contribuire, anche attraverso lo sport, alla costruzione di un mondo più unito. E’ un’espressione del Movimento dei Focolari. Prossimi appuntamenti Il 9 ottobre, Sportmeet collaborerà a Run4Unity, la “staffetta” sportiva planetaria promossa dai Ragazzi per l’Unità, del Movimento dei Focolari: 24 ore di sport per la pace organizzate in decine di città in tutto il mondo (www.run4unity.org).   (altro…)

Insieme per la pace e l’unità del Centroamerica

Insieme per la pace e l’unità del Centroamerica

“Come voi, la maggioranza dei salvadoregni sono convinti che lavorare per costruire un Centro America sempre più unito non è un’ utopia, ma un’aspirazione iscritta nella cultura, nella storia e persino nella configurazione geografica della nostra regione”. E’ questo il messaggio di benvenuto del Presidente del San Salvador, Elías Antonio Saca, letto in apertura del grande incontro che ha visto riunite oltre 2000 persone nell’Anfitetratro della Fiera Internazionale di El Salvador. Il presidente ha ricordato l’unità culturale precolombiana, i tentativi di unità politica post-indipendenza con la Repubblica Centroamericana (1821-1842), i nuovi tentativi di unificazione nella seconda metà del XX secolo con il MERCOMUN.

 

I partecipanti – molti i giovani – provenivano da Paesi del Centro America dove, come in molte altre regioni del mondo, è in atto un processo di unificazione per la presa di coscienza che solo insieme si possono trovare soluzione ai conflitti sociali e rafforzare la pace.

“Si parla molto di integrazione economica, sociale e politica, ma ci deve essere anche una integrazione religiosa”. Lo ha evidenziato il Dr. Rodrigo Samayoa, del partito Alianca Repubblicana Nacional. Questo incontro, il primo del suo genere nella storia della regione, è stato infatti promosso da Movimenti ecclesiali, nuove comunità e gruppi appartenenti a Chiese diverse, che hanno intrapreso un cammino di comunione, proprio per contribuire all’unità spirituale della regione e di tutto il continente. Ha sorpreso, tra le molte personalità, la presenza di rappresentanze politiche come quelle dei Partiti “Fronte Farabundo Marti per la Liberazione Nazionale” (FMLN) e “Fronte democratico rivoluzionario”, che solo da alcuni anni sono passati dalla scelta della violenza a quella politica per riportare la giustizia sociale nel loro Paese: “Questo tipo di eventi ci porta spiritualità e speranza, dove si dà e riceve”. Sono parole di Violeta Mejivar, del FMNL. Questo cammino è stato incoraggiato anche da Papa Benedetto XVI che, nel messaggio letto dal Nunzio Apostolico, mons. Luigi Pezzutto, ha esortato tutti ad “aprirsi ai doni dello Spirito per andare avanti nel cammino intrapreso, impegnandosi nella costruzione di un mondo fedele a Dio, più solidale, giusto e fraterno”. La pace, un nuovo stile di vita che favorisca il dialogo e l’integrazione di popoli e culture diverse; i valori della famiglia, la solidarietà con i più poveri in Centroamerica e nel mondo sono stati al centro delle numerose testimonianze come quelle della Comunità Salvador del Mundo, Rinnovamento Carismatico, Cursillos di cristianità, Heraldos del Evangelio, Movimento dei Focolari, Comunità Cristo Giovane, Comunità di Sant’Egidio, Encuentros Conyugales, Preghiera e Vita, Comunità Corpo di Cristo. Nel suo messaggio, Chiara Lubich ha tracciato in poche linee ricchezze e sofferenze di questa regione “piena di storia, di cultura e di arte – come quelle della grande civiltà Maya – ma anche colma delle sofferenze della colonizzazione, delle guerre civili, con la sua ricchezza attuale di creatività e di nuove dimensioni della partecipazione”. Ne ha evidenziato “la chiamata all’unità” e “la sfida della fraternità” come via per costruirla. E il professor Riccardi, della Comunità di Sant’Egidio, ha sottolineato in un messaggio come oggi in Salvador e in altri punti dell’America “c’è bisogno di gente che sogni un mondo nuovo di pace. Con l’incontro del Salvador sento che siamo vicini a questa meta”.  

Momento culmine della giornata è stata la dichiarazione di impegno per la pace e la fraternità dei rappresentanti di Movimenti e nuove comunità e i leader religiosi delle diverse chiese cristiane: Gregorio Rosa Chávez, vescovo cattolico ausiliare di El Salvador, il vescovo della chiesa Presbiteriana Anglicana Barahona, Héctor Fernández per la Chiesa Luterana, Miguel Tomás Castro della Chiesa Battista, e Santiago Flores della Chiesa Riformata Calvinista.

Settembre, data scelta per l’incontro salvadoregno, è un mese simbolico per due date: l’11, anniversario dell’attentato di New York, e il 15, anniversario dell’Indipendenza dei Paesi del Centroamerica. “Insieme per il Centroamerica” è nato sulla scia del grande incontro del maggio 2004 in Europa, a Stoccarda, con le 10.000 persone convenute nella città tedesca alla Giornata “Insieme per l’Europa”, realizzata per dare un’anima al processo di unificazione del vecchio continente.   (altro…)

Arte e cultura al cuore dell’interdipendenza

Professor Benjamin Barber, Signore e Signori, carissimi amici,

ho ancora nel cuore l’eco della seconda Giornata dell’interdipendenza a Roma, e con gioia avrei desiderato essere con voi a Parigi. Lo sono con un messaggio. Questa nostra terza tappa non poteva che chiamare in causa l’arte e la cultura al cuore dell’interdipendenza, perché essa per noi crea rapporti profondi fra le persone e i popoli. L’incontro ormai irreversibile tra le civiltà ci ha costretti da tempo ad uscire dalle vedute culturali nelle quali eravamo vissuti. Ci siamo accorti che spesso esse erano inadeguate e parziali, perché prive delle relazioni tra i popoli. Tutto ciò è stato un bene. Ma c’è un’altra faccia della medaglia. Questi cambiamenti ci hanno trovati spesso impreparati e si è diffusa così una forte insicurezza, una insofferenza fino all’intolleranza per la paura di perdere, insieme al nostro modo di pensare, anche i valori più profondi. Non è così. Tra le macerie materiali e spirituali della seconda guerra mondiale, io e le mie prime compagne abbiamo scoperto che è l’Amore l’unico Ideale che non crolla. Questo Amore è Dio che dà senso e sostiene tutte le cose. Trascinate da questa straordinaria esperienza abbiamo incominciato ad amare chi ci stava vicino ed abbiamo trovato sempre, ad ogni latitudine, un’eco immediata in ogni altro uomo e donna di qualsiasi cultura, fede, tradizione. Sì, perché nel fondo del cuore di ogni persona c’è, magari nascosto, ma presente, il DNA dell’Amore. Questo sguardo ci rivela che siamo fratelli e sorelle di ogni uomo e donna che avviciniamo, perché figli di un unico Dio che è Amore. Ci dà la capacità di intravedere nella storia i tanti frammenti di fraternità già messa in atto – come è qui, in questa Giornata. L’amore è dunque la leva su cui far forza per affrontare l’attuale sfida epocale della multiculturalità. Un amore che ama tutti, che muove i cuori fino alla comunione dei beni, che ama la patria altrui come la propria, che costruisce strutture nuove, fino a far retrocedere guerre, terrorismi, lotte, fame, e i mille mali del mondo. Un amore che sostiene dialoghi vivi e attivi fra le persone delle più varie religioni, basati sulla “regola d’oro” – “fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te” – presente in tutti i libri sacri, ricostruendo la storia spirituale dell’umanità. Un amore che fa degli uomini e donne di questa terra “persone-mondo”, capaci di fare dei propri valori un dono e di valorizzare ed apprezzare i valori delle altre culture, per comporre quella saggezza globale oggi così necessaria. E l’umanità vivrà una interdipendenza fraterna, come una sola famiglia che saprà anche darsi strutture adeguate ad esprimere la dinamica tra unità e diversità. Chiedo a Dio, fonte dell’Amore, di condurci a realizzare questo sogno. Chiara Lubich (altro…)

Intervento di Liliana Cosi

E’ un vero onore e piacere per me essere oggi qui tra voi in rappresentanza di Chiara Lubich, fondatrice e presidente del Movimento internazionale dei Focolari. E’ qualcosa di più di una profonda amicizia che lega Chiara Lubich al prof. Barber: è una reciproca condivisione d’intenti.

Fin dalla prima Giornata dell’Interdipendenza a Filadelfia, si è evidenziato quanto lo scopo generale del Movimento dei Focolari: “contribuire all’unità della famiglia umana”, potesse fortemente sostenere gli ideali dell’Interdipendenza. Chiara Lubich vede la fraternità universale come radice e garanzia di una vera interdipendenza fra i popoli. I recenti tragici eventi del mondo sottolineano quanto essa sia l’insostituibile pegno di un futuro di pace. L’interdipendenza fraterna necessita però l’apporto di tutte le forze, non solo politiche, ma certamente anche culturali e spirituali. Il titolo scelto per questa terza Giornata dell’Interdipendenza, “L’arte e la cultura al cuore dell’ Interdipendenza”, ha avuto una forte risonanza in me, quale segno profetico. Si era negli anni sessanta quando, ballerina della Scala di Milano, in partenza per un periodo di studi al Teatro Bolshoi di Mosca, incontrai il Movimento dei Focolari. Il suo stile di vita ha spalancato davanti a me orizzonti nuovissimi, che possono essere espressi in queste parole di Camus: “ …colui che ha scelto il destino d’artista perché si sentiva diverso, ben presto imparerà che non può nutrire la sua arte e la sua stessa diversità che riconoscendo la sua similitudine con gli altri. L’artista si forgia in questo perenne andirivieni fra se stesso e gli altri; a mezza strada tra la bellezza da cui non può astrarsi e la comunità dalla quale non può sottrarsi”. Attraverso la mia lunga carriera internazionale, ho potuto sperimentare quanto il rapporto, la fraternità, siano stati fonte d’ispirazione, ad esempio nella creazione di una scuola internazionale di balletto classico a livello professionale, in collaborazione con un ballerino rumeno, con la scoperta sempre sorprendente dell’arricchimento reciproco che risulta del distaccarsi dalla propria ispirazione e cultura per accogliere quella dell’altro. Ma questo paradigma della fraternità ha anche fatto nascere, in seno al Movimento dei Focolari, iniziative e incontri tra artisti di diverse età, tendenze e culture, che vivono uno scambio di talenti, ispirazioni e realizzazioni; queste iniziative sono particolarmente sentite dai giovani, che aspirano a nuove espressioni artistiche, aperte al trascendente. Chiara Lubich ebbe un’espressione singolare a questo proposito “ (…) l’artista è forse il più vicino a Dio… egli è capace di trasmettere quanto è più bello sulla terra: l’anima umana”. Il Movimento dei Focolari vorrebbe contribuire allo svelarsi dell’alta vocazione dell’artista, che gli chiede di attingere nella sua anima – dilatata dall’amore, dalla comunione con gli altri – un’arte testimone della sofferenza e dell’angoscia dell’umanità, ma anche rivelatrice delle sue aspirazioni più profonde e dell’infinito che ogni uomo porta in sé; un’ arte segno di speranza per il mondo. (altro…)

La forza dell’amore per rispondere alla sfida della multiculturalità

La forza dell’amore per rispondere alla sfida della multiculturalità

“L’amore è la leva su cui far forza per affrontare l’attuale sfida epocale della multiculturalità”. Un amore che ha radice in Dio e “fa di uomini e donne di questa terra ‘persone-mondo’, capaci di fare dei propri valori un dono, e di valorizzare e apprezzare i valori delle altre culture, per comporre quella saggezza globale oggi così necessaria. E l’umanità vivrà un’interdipendenza fraterna, come una sola famiglia che saprà anche darsi strutture adeguate ad esprimere la dinamica tra unità e diversità”.

Questo è il cuore del messaggio di Chiara Lubich letto a conclusione della Giornata dell’Interdipendenza, svoltasi a Parigi dal 10 al 12 settembre.  

Tre giorni di eventi culturali e politici per affermare l’interdipendenza globale come strategia civica per la giustizia e la pace. Erano presenti, tra gli altri, Harry Belafonte, Ambasciatore Culturale delle Nazioni Unite, Bernard Kouchner, tra i promotori di Medici senza Frontiere, Adam Michnik, iniziatore di Solidarnosc, e numerose personalità politiche.

Le Giornate dell’Interdipendenza nascono in seguito agli attentati dell’11 Settembre, su iniziativa dell’intellettuale e politologo statunitense democratico, Benjamin Barber, docente all’Università del Maryland, con la convinzione che “non basta dire no alla guerra; bisogna costruire un’alternativa”: Obiettivo dell’Interdipendence Day è preparare singoli e gruppi, anche promuovendo azioni di formazione nelle scuole, ad impegnarsi nella cooperazione internazionale, e a diventare cittadini non solo delle proprie comunità e nazioni, ma del mondo interdipendente, credendo che ciascuno può essere protagonista del cambiamento. Questa iniziativa è condivisa dai molti che, in America e fuori, professano il loro credo nel multilateralismo, nel dialogo tra le culture, nella necessità di una cittadinanza globale. La prima giornata dell’Interdipendenza, sponsorizzata da CivWorld, si era svolta nel 2003 a Filadelfia – città dell’Indipendenza Americana – in contemporanea a Budapest e in videocollegamento con l’Italia, per sottolineare il suo carattere internazionale. L’edizione 2004 si era conclusa con la firma della Carta Europea d’Interdipendenza. Svoltasi a Roma, ospitata dal sindaco di Roma Walter Veltroni, ha visto tra gli altri, la partecipazione di Chiara Lubich e Andrea Riccardi. Quest’anno per il Movimento dei Focolari, alla tavola rotonda di sabato 10, presso l’Università Americana di Parigi, è intervenuta Liliana Cosi, ballerina, direttrice della Compagnia di Balletto Classico Cosi-Stefanescu e membro del Centro Studi del Movimento dei Focolari per le discipline artistiche. (altro…)

Dal narcotraffico ad una vita per il mondo unito

Vengo da una provincia del sud, una regione di contadini, con una forte cultura individualista, dove ognuno fa il possibile per uscire dalla povertà. La famiglia ha poco valore, si sta bene solo con quei pochi che chiamiamo amici. Dio è lontano. Anche per me l’unica preoccupazione era il benessere. Immerso in quest’ambiente sono entrato nel commercio della droga: prima nella coltivazione e poi nella distribuzione su piccola scala. Per quelli che vogliono guadagnare tanti soldi facilmente, questo è il lavoro giusto. La mia coscienza però lentamente si è ribellata: di notte leggevo una Bibbia chiesta in prestito e mi accorgevo che quanto facevo era in pieno contrasto con quelle parole. E’ in questa fase della mia vita che dei cugini mi hanno invitato ad un incontro di giovani. Ho trovato in loro qualcosa di speciale: volevano vivere il Vangelo. Tornato al lavoro ho deciso di provarci anch’io: ho iniziato a cambiare alcuni atteggiamenti. Cercavo insomma di auto-educarmi, ma il punto era che io in quell’ambiente non ci potevo stare, se volevo essere coerente: guadagnavo bene, ma la droga uccide. Quelli che la compravano da me dicevano che era per fare medicine e che Dio non c’entra perché ci ha fatti liberi e noi dobbiamo guadagnarci il pane. Ho maturato allora la convinzione che l’unica alternativa per uscire dal giro era andarmene. Una scelta incomprensibile ai più, non solo perché lasciavo “l’affare migliore”, ma anche perché questa era una scelta piena di pericoli, sfidavo la legge del più forte. Ma l’ho fatto. Ho cominciato ad occuparmi degli altri, lavorando in organizzazioni comunali. Ho pensato di contattare quei giovani che volevano vivere il Vangelo, per fare qualcosa di buono per il nostro Paese. Ho raccontato loro del mio desiderio di cambiar vita, e mi hanno parlato del progetto dell’Economia di comunione. Prima pensavo che per dare bisognasse esser ricchi, ma ho capito che si può dare anche il poco che si ha. Ho formato così un gruppo per aiutare tanti altri come me, e abbiamo iniziato varie attività: una palestra, una squadra di calcio, giornate di lavoro a servizio di chi ha più bisogno, cercando di cogliere ogni occasione per superare il profondo individualismo in cui viviamo. Per esempio, ad un vicino si è incendiata la casa. Abbiamo chiesto come poter essere utili e ci ha detto che gli serviva del cemento per costruire il serbatoio per l’acqua. Abbiamo lavorato per trovare i soldi, siamo andati in paese per pagare il cemento e gli abbiamo dato la fattura perché andasse a ritirarlo. Un signore con sette figli ha deciso di costruire la sua casa, ma per via del lavoro non aveva mai tempo per finirla. Ci ha chiesto di andare a prendere il legname in un posto distante 4 km. su un difficile sentiero di montagna. Abbiamo impiegato otto ore, quasi senza riposarci, ma lui era infinitamente grato. Andiamo anche in una casa di anziani, portando loro alcuni prodotti del campo. Si è messa in moto così nel paese una catena di condivisione che ci fa sentire molto più uniti e che ci ha permesso di superare antichi odi e divisioni, facendoci sperimentare il senso del vivere da fratelli. (J. S. – Colombia)

(altro…)

La fraternità, ragione politica per la pace

La fraternità, ragione politica per la pace

La Colombia: un Paese travagliato da guerriglia e narcotraffico, piaghe che non hanno però stroncato la vitalità e la voglia di reagire della popolazione. Come in altri Paesi del “Nuovo continente” non mancano segnali di risveglio proprio a partire dalle nuove generazioni. E’ per loro iniziativa che a Tocancipà, importante polo di sviluppo industriale nei pressi della capitale, verrà ospitato un incontro di giovani di vari paesi dell’America latina, con lo scopo di unire le forze per la pace in Colombia e in tutto il continente. Titolo del Convegno, che si svolgerà dall’8 al 10 settembre: “Fraternità, una ragione politica per la pace”. Lo promuovono i giovani del Movimento dei Focolari impegnati in politica, la “Generazione Terzo Millennio”, e la Fondazione “Paese Terra Promessa”.

Una sfida non da poco, se si considera che la Colombia da 20 anni soffre di un grave conflitto interno tra guerriglia e governo che provoca ogni anno migliaia di morti tra la popolazione civile, sindacalisti, politici, attivisti dei diritti umani e giornalisti. Almeno 2 milioni sono le persone costrette a fuggire dalle campagne verso le città – è il triste fenomeno dei desplaçados – abbandonando case e beni. L’incontro colombiano si svolgerà ad una settimana dalla conclusione del Primo Parlamento universitario latinoamericano, riunitosi a Buenos Aires, e a pochi mesi dal recente incontro di Rosario, “Città per l’Unità”, primo convegno di sindaci dell’America Latina, promosso dal Movimento internazionale Politico per l’Unità (MPPU) di Argentina, Brasile, Uruguay, in cui anche i giovani sono stati protagonisti. Inoltre, un anno fa, nascevano le Scuole di Formazione politica per i giovani, dell’MPPU, in Argentina. Altrettanti segnali di un nuovo fermento in atto nel nuovo continente.  

“Senza di te, alla pace manca qualcosa” è l’invito che i giovani hanno rivolto ai loro coetanei. Costo di partecipazione: l’impegno a fare della fraternità la guida di ogni azione.

Fra gli obiettivi di questa iniziativa: ascoltare i giovani sulle problematiche dei Paesi dell’emisfero latinoamericano, proporre insieme soluzioni concrete che possano incidere in maniera diretta in favore del bene comune delle comunità di appartenenza, promuovere l’interazione tra i giovani e le istituzioni pubbliche e private, e mettersi in rete con quanti lavorano alla costruzione di una società pacifica, giusta, degna, solidale, autonoma e fraterna. In programma la presentazione dell’esperienza delle Scuole di formazione sociale e politica dell’Argentina, e della “pratica della fraternità” in una città. Fra i temi affrontati nelle tavole rotonde: ‘Conflitto e pace’, fraternità come metodo di azione per la pace nel contesto della problematica latinoamericana, in particolare in Colombia; ‘Economia’, la necessità di fondare un nuovo paradigma, l’Economia di Comunione. Seguiranno lavori di gruppo. (altro…)

La fraternità nella città

Al centinaio di partecipanti al 1° Incontro “Giovani per la pace”, tutti fortemente interessati alla nuova visione politica ed impegnati in varie iniziative locali, si sono aggiunti, all’evento conclusivo, altri 150 giovani, per vivere insieme la “pratica della fraternità nella città”, in un quartiere a rischio di Zipaquirà (a 15 minuti da Tocancipà), abitato da ex-guerriglieri dell’M-19 – Movimento del 19 aprile – che ha cessato le ostilità nel 1988. Alcuni membri dell’M-19 si sono attualmente integrati in politica. Le condizioni del quartiere sono di estrema povertà e la delinquenza è diffusa. Lì i giovani si sono dati da fare, coinvolgendo gli abitanti, con una vendita di abbigliamento, frutto di una raccolta realizzata precedentemente dagli stessi giovani, servizio di parrucchiere e di misura-zione della vista, un’azione ecologica per le strade, una festa con tantissimi bambini, un pran-zo allestito per 2000 persone, tutto in un clima di amore e coinvolgimento attivo di quasi tutti gli abitanti del posto, del sindaco e di un consigliere comunale. Alla partenza il sentire comune, dalle esperienze e impressioni comunicate, era la certezza che la fraternità è l’unica strada per la pace e l’unità, e che nell’oscuro tunnel del dolore sociale nel quale si vive, un seme di vita nuova in questa regione è stato gettato.

(altro…)

Commento di Chiara Lubich alla Parola di vita del mese di settembre 2005

Era verso l’anno 50 del primo secolo quando Paolo, insieme al compagno Sila, giunse nella cittadina di Filippi. Era la prima città europea nella quale l’apostolo soggiornò per annunciarvi il Vangelo. La conversione di alcune persone suscitò scontento e disordini tra la popolazione pagana, al punto che i magistrati decisero di espellere di nascosto Paolo e Sila. Questi dovettero addurre il loro statuto di cittadini romani per farsi riabilitare.
Nonostante le difficoltà avute con le autorità civili e la cittadinanza, pochi anni dopo, scrivendo alla piccola comunità cristiana nata a Filippi, Paolo invita i credenti a vivere con lealtà e coerenza evangelica il loro impegno civile.
Poco più avanti, nella stessa lettera, Paolo ricorda che la cittadinanza dei cristiani è nei cieli . Questo tuttavia non li esime dall’assumersi le loro responsabilità anche nel campo sociale e politico. Anzi, proprio perché cittadini del regno di Cristo, i cristiani sono fortemente motivati per mettersi a servizio di tutti e per contribuire alla costruzione della città terrena nella giustizia e nell’amore:

Comportatevi da cittadini degni del Vangelo

Con questa Parola, Paolo chiede dunque ai filippesi di comportarsi da veri cristiani. Si pensa a volte che il Vangelo non risolva i problemi umani e che porti il regno di Dio inteso in senso unicamente religioso. Ma non è così.
E' Gesù nel cristiano, nell'uomo, in quel dato uomo – quando la sua grazia è in lui -, che costruisce un ponte, apre una strada… E, come altro Cristo, ogni uomo e ogni donna può portare un contributo suo tipico in tutti i campi dell’attività umana: nella scienza, nell’arte, nella politica…

Comportatevi da cittadini degni del Vangelo

Ma come essere noi altro Cristo, così da operare e incidere efficacemente nella società? Vivendo il suo stile di vita espresso nelle parole dei Vangeli. Se accogliamo infatti la sua Parola noi ci sintonizziamo sempre più sui suoi pensieri, sui suoi sentimenti, sui suoi insegnamenti. Essa illumina ogni nostra attività, raddrizza e corregge ogni espressione della nostra vita.
Sì, vivendo il Vangelo diventeremo altri Cristo, e come Lui spenderemo la vita per gli altri e, vivendo nell’amore, contribuiremo a costruire la fraternità. Tutte le parole del Vangelo si possono infatti sintetizzare nell'amore verso Dio e verso il prossimo e, se vissute, portano ad amare.
Noi parliamo spesso d’amore e potrebbe sembrare superfluo sottolinearlo anche questa volta. Ma non è così. Il nostro uomo vecchio  è infatti sempre pronto a ritirarsi nel privato, a coltivare i piccoli interessi personali, a dimenticarsi delle persone che ci passano accanto, a rimanere indifferente davanti al bene pubblico, alle esigenze dell’umanità che ci circonda.
Riaccendiamo dunque nel nostro cuore la fiamma dell’amore e avremo occhi nuovi per guardarci attorno ed accorgerci degli interventi necessari per migliorare la nostra società. L’amore ci suggerirà anche le vie per agire con creatività e ci infonderà il coraggio e la forza per percorrerle.

Comportatevi da cittadini degni del Vangelo

Così ha fatto Ulisse Caglioni, un nostro amico che ha speso la sua vita in Algeria assieme a cristiani e musulmani, testimoniando con semplicità e concretezza l'amore evangelico verso tutti.
Non ha vissuto per sé. In lui avevano il primo posto i fratelli e le sorelle. Aveva un amore particolare per ognuno, verso cui non misurava il suo tempo, condividendo le gioie, le conquiste e le speranze, ma anche le fatiche, le sospensioni e le sofferenze dei primi decenni dopo l'indipendenza.
Quando infatti negli anni '90 iniziò in quel Paese un periodo di disordini e di terrore che non risparmiò nessuno in tutta la popolazione algerina, quasi interamente musulmana, e toccò anche la piccola comunità cristiana d'origine straniera, Ulisse decise, assieme ad altri cristiani, di non rientrare in Italia, il suo Paese natale.
In una intervista ad un giornale dichiarò: Sono rimasto in Algeria per tanti anni quando tutto andava bene. Ora la situazione è delicata e rischiosa, ma non me la sento di venir via; non sarebbe in linea con il Vangelo andarsene.
Quando il 1° settembre di due anni fa, a causa di una malattia, è partito per il Cielo, i musulmani che avevano vissuto accanto a lui hanno testimoniato: C’era un tale amore fra noi, che ogni evento era vissuto e condiviso. Lui è stato il ponte, il legame fra il cristianesimo e l’islam. In un Paese dove l’intolleranza era esaltata, abbiamo imparato ad ascoltare, senza pregiudizi, senza giudizio alcuno. Ulisse ci ha insegnato a fare tutto per amore, ad essere l’amore.

 

Chiara Lubich

 

Nuova Umanità – Maggio-Agosto 2005

Editoriale

L’EREDITÀ DI GIOVANNI PAOLO II – È difficile, oggi, fare un bilancio e offrire una lettura prospettica del lungo pontificato di Papa Wojtyła, non solo perché siamo ancora troppo a ridosso degli avvenimenti, ma soprattutto perché la sua opera e la sua figura sono gigantesche. Ci limitiamo qui a mettere in rilievo alcune chiavi di lettura della sua ricchissima eredità: la ripresa del magistero conciliare a partire dal riconoscimento dell’uomo come «via della Chiesa»; i gesti profetici che hanno accompagnato la Chiesa e rischiarato il paesaggio del mondo all’alba del terzo millennio; il «duc in altum!» della santità e della spiritualità di comunione come programma di vita del popolo di Dio; il magistero della testimonianza e della croce che ha toccato il cuore di tutti.

Nella luce dell’ideale dell’unità

GESÙ IN MEZZO A NOI. RENDERE VISIBILE LA PRESENZA DEL RISORTO NELLA CHIESA – di Chiara Lubich – Riportiamo questa meditazione, dal taglio insieme ecclesiologico e vitale che tratta della presenza di Cristo tra coloro che sono uniti nel suo nome, proposta a un gruppo di vescovi di varie Chiese cristiane durante il loro ultimo convegno ecumenico ad Istanbul (23 novembre – 1 dicembre 2004). L’argomento, che è tema di approfondimento dell’intero Movimento dei Focolari durante quest’anno, mette a fuoco nella prima parte la rilevanza ecclesiologica di tale presenza mentre, nella seconda, rievoca la forza travolgente e il fascino delle scoperte e delle implicazioni di tale promessa di Gesù agli esordi del Movimento. GESÙ IN MEZZO A NOI – di Pasquale Foresi – Pubblichiamo il testo di una conversazione tenuta durante l’annuale incontro internazionale dei focolarini il 5 dicembre 2004 presso il Centro Mariapoli di Castel Gandolfo. LA SOCIALITA’ DI GESÙ IN MEZZO – di Igino Giordani – In ideale continuità con l’argomento dei due contributi precedenti riproponiamo la trascrizione di una conversazione tenuta da Igino Giordani nell’ottobre 1975 ad un gruppo di membri del Movimento dei Focolari di cui è stato confondatore. In essa Giordani spazia a ruota libera con lo stile tipico del suo inconfondibile parlare, facendo riferimento a situazioni e avvenimenti relativi al particolare momento storico e all’esperienza e alla vita del Movimento.

Saggi e ricerche

IL “DE DEO” DI SAN TOMMASO D’AQUINO – I  – di Piero Coda –  La teologia trinitaria di San Tommaso d’Aquino ha ancora oggi qualcosa d’importante, e forse anche di essenziale, da insegnarci? e, d’altra parte, è utile una lettura in presa diretta della sua teologia, cercando di farne sprigionare a nuovo la logica profonda e il significato complessivo? L’impresa – come ha sottolineato J.-P. Torrell – appare oggi necessaria e promettente. Dopo aver richiamato qualche dato essenziale a proposito del contesto sociale e culturale, spirituale ed ecclesiale, entro il quale sboccia e prende forma la vocazione teologica del Doctor communis, questo primo articolo accosta due suoi scritti: la lezione inaugurale Rigans montes, da lui pronunciata a Parigi nella primavera del 1256, nel momento della sua promozione a magister, e il sermone Exiit qui seminat tenuto parecchi anni dopo, probabilmente nel febbraio del 1270, tre anni prima della sua morte. I due testi sono assai interessanti non solo perché mettono in risalto la concezione che Tommaso ha del suo ministero teologico in rapporto al carisma domenicano di cui sarà il geniale interprete, ma anche perché espongono il significato specifico e originale della vocazione a contemplari et contemplata aliis tradere. METZ YEGHERN, IL GRANDE MALE – I – di Giovanni Guaita – Pubblichiamo (in due puntate) un ampio studio sul genocidio degli armeni. In questa prima parte l’autore traccia il quadro storico del genocidio iniziato già con le stragi del sultano Abdul-Hamid II, realizzato soprattutto dal governo dei Giovani Turchi e infine portato a compimento dai kemalisti di Mustafa Atatürk. I tremendi avvenimenti del genocidio sono situati nel complesso intreccio storico del tramonto dell’impero ottomano, della prima guerra mondale e dell’avvento della nuova Turchia e sono considerati nel contesto politico del mutamento degli equilibri strategici internazionali e dell’imporsi di ideologie nazionalistiche di tipo diverso (islamismo degli ultimi sultani, panturanismo dei Giovani Turchi, nazionalismo kemalista). Sullo sfondo cupo delle stragi risaltano le figure di “giusti” di vari popoli che in modi diversi si impegnarono in difesa degli armeni. FIGLIO DELLA TERRA, FIGLIO DEL CIELO. FEDE E SCIENZA NELLA PROSPETTIVA ESCATOLOGICA DEL PENSIERO DI TEILHARD DE CHARDIN – di Sergio Rondinara – Il 10 aprile 1955, giorno della Pasqua di Risurrezione, moriva Pierre Teilhard de Chardin. Gesuita e paleontologo, fu una delle figure religiose più ammirate e discusse del Novecento, i cui scritti hanno influenzato considerevolmente il pensiero cattolico nei venticinque anni seguiti alla sua morte. Il suo itinerario intellettuale e spirituale può essere riassunto nel tentativo di riconciliare la Chiesa con il mondo moderno, ed in particolare in una riconciliazione – attraverso una sintesi personale – tra la visione scientifica e quella religiosa del mondo. Sintesi che ha inaugurato un percorso per tutti coloro che dopo di lui avrebbero intrapreso la stessa ricerca. Nel cinquantesimo della scomparsa l’A. vuole ricordarlo ripercorrendo sinteticamente l’itinerario del suo pensiero per dire a Padre Teilhard la propria gratitudine per averci sospinto a contemplare il Creato in Dio e Dio nel Creato e per averci indirizzato a «veder Dio in tutto, e tutto in Dio». FELICITÀ, ECONOMIA E BENI RELAZIONALI – di Luigino Bruni – Il nesso tra economia e benessere soggettivo o felicità è un campo di indagine che occupa sempre più l’interesse delle scienze sociali. Il presente saggio si occupa del cosiddetto «paradosso della felicità», una espressione con la quale si vuole la non correlazione, che si riscontra in molti paesi industrializzati, tra aumenti di redditi e benessere soggettivo. L’autore, dopo aver presentato il dibattito teorico, offre una propria spiegazione del paradosso, basata sul concetto di «bene relazionale». LA SFIDA DEL RAPPORTO. L’INTERPRETE E LE SUE RELAZIONI  – di Enrico Pompili  e Paolo Vergari – Anche se i musicisti sono abituati ad esprimersi attraverso note musicali più che con parole, un gruppo di essi ha voluto provare a dire e scambiare parole sulla musica in occasione di un convegno che si è svolto a Castel Gandolfo il 28-29 febbraio 2004. Riportiamo qui uno degli interventi in cui due pianisti danno uno sguardo a quelle relazioni che costituiscono e determinano il «fatto musicale»: Compositore-Interprete, Interprete-Pubblico, Interprete-Strumento. DUE BREVI RIFLESSIONI – di Giovanni Casoli – Nella prospettiva di contribuire a fare chiarezza nella confusione dei linguaggi quotidiani, l’autore propone due brevi ma pregnanti riflessioni, su questioni importanti e vitali come la “fede” e il “matrimonio”.

Spazio letterario

POESIE – di Andrea Paganini – Volentieri pubblichiamo alcune delle poesie che continuano ad esserci inviate.

Per il dialogo

SPIRITUALITÀ EBRAICHE E SPIRITUALITÀ CRISTIANE: PERCORSI DIVERSI – METE COMUNI? – di Joseph Sievers – Nell’affrontare eventuali rapporti tra una vita basata su principi religiosi ebraici e principi religiosi cristiani si possono scegliere varie piste. Il primo requisito, però, è quello di essere consci dei linguaggi diversi. Ad esempio il termine “spiritualità” è di chiara provenienza cristiana, mentre solo secondariamente viene usato anche nell’ebraismo. Un approccio che può essere a volte fruttuoso è quello narrativo, a partire dalle esperienze vitali. L’autore descrive incontri personali e letterari con persone e scritti in ambito ebraico e cristiano che sembrano indicare delle possibilità di sostegno reciproco, di convergenze e di cooperazione per il bene dell’umanità – senza intaccare le identità distinte di ebrei e cristiani.  

Libri

DA EDIPO A CRISTO. APPUNTI PER UNA LETTURA DEL RACCONTO UNA VALIGIA DI CUOIO NERO DI ELENA BONO – di Daniele Capuano – La grande opera di Elena Bono, laziale di nascita e ligure di adozione (racconti, romanzi, poesie, drammi, traduzioni, saggi), inizia solo ora ad essere giustamente riconosciuta come l’espressione più alta, nella letteratura italiana del dopoguerra, di una meditazione totale sulla storia dell’uomo: non la mera storia della storiografia, che ne è semmai il materiale, ma, in una ripresa dell’interrotto percorso manzoniano, il doloroso itinerarium di ogni individuo alla pienezza della Persona. In quest’opera c’è un sole nero, un racconto perfetto in cui la scrittrice, testimone partecipe e amorosa della Resistenza ligure all’occupazione nazista, assume omericamente la voce di un tedesco, e rende l’orrore miracolosamente trasparente alla Misericordia. NUOVA UMANITÀ XXVII –  Maggio- Agosto – 2005/8, n.159-160 SOMMARIO (altro…)

Discorso di Sua Santità Benedetto XVI ai rappresentanti di alcune comunità musulmane

Cari amici musulmani,

è motivo di grande gioia per me accogliervi e porgervi il mio cordiale saluto. Sono qui per incontrare i giovani venuti da ogni parte d’Europa e del mondo. I giovani sono il futuro dell’umanità e la speranza delle nazioni. Il mio amato predecessore, il Papa Giovanni Paolo II, disse un giorno ai giovani musulmani riuniti nello stadio di Casablanca (Marocco): “I giovani possono costruire un futuro migliore, se pongono innanzitutto la loro fede in Dio e si impegnano poi a costruire questo mondo nuovo secondo il disegno di Dio, con saggezza e fiducia” (Insegnamenti, VIII/2, 1985, p. 500). E’ in questa prospettiva che mi rivolgo a voi, cari amici musulmani, per condividere con voi le mie speranze e mettervi a parte anche delle mie preoccupazioni in questi momenti particolarmente difficili della storia del nostro tempo. Sono certo di interpretare anche il vostro pensiero nel porre in evidenza, tra le preoccupazioni, quella che nasce dalla constatazione del dilagante fenomeno del terrorismo. Continuano a ripetersi in varie parti del mondo azioni terroristiche, che seminano morte e distruzione, gettando molti nostri fratelli e sorelle nel pianto e nella disperazione. Gli ideatori e programmatori di questi attentati mostrano di voler avvelenare i nostri rapporti, servendosi di tutti i mezzi, anche della religione, per opporsi ad ogni sforzo di convivenza pacifica, leale e serena. Il terrorismo, di qualunque matrice esso sia, è una scelta perversa e crudele, che calpesta il diritto sacrosanto alla vita e scalza le fondamenta stesse di ogni civile convivenza. Se insieme riusciremo ad estirpare dai cuori il sentimento di rancore, a contrastare ogni forma di intolleranza e ad opporci ad ogni manifestazione di violenza, freneremo l’ondata di fanatismo crudele che mette a repentaglio la vita di tante persone, ostacolando il progresso della pace nel mondo. Il compito è arduo, ma non impossibile. Il credente infatti sa di poter contare, nonostante la propria fragilità, sulla forza spirituale della preghiera. Cari amici, sono profondamente convinto che dobbiamo affermare, senza cedimenti alle pressioni negative dell’ambiente, i valori del rispetto reciproco, della solidarietà e della pace. La vita di ogni essere umano è sacra sia per i cristiani che per i musulmani. Abbiamo un grande spazio di azione in cui sentirci uniti al servizio dei fondamentali valori morali. La dignità della persona e la difesa dei diritti che da tale dignità scaturiscono devono costituire lo scopo di ogni progetto sociale e di ogni sforzo posto in essere per attuarlo. E’ questo un messaggio scandito in modo inconfondibile dalla voce sommessa ma chiara della coscienza. E’ un messaggio che occorre ascoltare e far ascoltare: se se ne spegnesse l’eco nei cuori, il mondo sarebbe esposto alle tenebre di una nuova barbarie. Solo sul riconoscimento della centralità della persona si può trovare una comune base di intesa, superando eventuali contrapposizioni culturali e neutralizzando la forza dirompente delle ideologie. Nell’incontro che ho avuto in aprile con i Delegati delle Chiese e Comunità ecclesiali e con i rappresentanti di varie Tradizioni religiose dissi: “Vi assicuro che la Chiesa vuole continuare a costruire ponti di amicizia con i seguaci di tutte le religioni, al fine di ricercare il bene autentico di ogni persona e della società nel suo insieme” (in: L’Osservatore Romano, 25 aprile 2005, p. 4). L’esperienza del passato ci insegna che il rispetto mutuo e la comprensione non hanno sempre contraddistinto i rapporti tra cristiani e musulmani. Quante pagine di storia registrano le battaglie e le guerre affrontate invocando, da una parte e dall’altra, il nome di Dio, quasi che combattere il nemico e uccidere l’avversario potesse essere cosa a Lui gradita. Il ricordo di questi tristi eventi dovrebbe riempirci di vergogna, ben sapendo quali atrocità siano state commesse nel nome della religione. Le lezioni del passato devono servirci ad evitare di ripetere gli stessi errori. Noi vogliamo ricercare le vie della riconciliazione e imparare a vivere rispettando ciascuno l’identità dell’altro. La difesa della libertà religiosa, in questo senso, è un imperativo costante e il rispetto delle minoranze un segno indiscutibile di vera civiltà. A questo proposito, è sempre opportuno richiamare quanto i Padri del Concilio Vaticano II hanno detto circa i rapporti con i musulmani. “La Chiesa guarda con stima anche i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come si è sottomesso Abramo, al quale la fede islamica volentieri si riferisce… Se nel corso dei secoli non pochi dissensi e inimicizie sono sorti tra cristiani e musulmani, il sacrosanto Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e ad esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà” (Dichiarazione Nostra Aetate, n. 3). Voi, stimati amici, rappresentate alcune Comunità musulmane esistenti in questo Paese nel quale sono nato, ho studiato e ho vissuto una buona parte della mia vita. Proprio per questo era mio desiderio incontrarvi. Voi guidate i credenti dell’Islam e li educate nella fede musulmana. L’insegnamento è il veicolo attraverso cui si comunicano idee e convincimenti. La parola è la strada maestra nell’educazione della mente. Voi avete, pertanto, una grande responsabilità nella formazione delle nuove generazioni. Insieme, cristiani e musulmani, dobbiamo far fronte alle numerose sfide che il nostro tempo ci propone. Non c’è spazio per l’apatia e il disimpegno ed ancor meno per la parzialità e il settarismo. Non possiamo cedere alla paura né al pessimismo. Dobbiamo piuttosto coltivare l’ottimismo e la speranza. Il dialogo interreligioso e interculturale fra cristiani e musulmani non può ridursi ad una scelta stagionale. Esso è infatti una necessità vitale, da cui dipende in gran parte il nostro futuro. I giovani, provenienti da tante parti del mondo, sono qui a Colonia come testimoni viventi di solidarietà, di fratellanza e di amore. Vi auguro con tutto il cuore, cari amici musulmani, che il Dio misericordioso e compassionevole vi protegga, vi benedica e vi illumini sempre. Il Dio della pace sollevi i nostri cuori, alimenti la nostra speranza e guidi i nostri passi sulle strade del mondo. Grazie!   (altro…)

Discorso di Benedetto XVI durante la veglia con i giovani

Cari giovani! Nel nostro pellegrinaggio con i misteriosi Magi dell’Oriente siamo giunti a quel momento che san Matteo nel suo Vangelo ci descrive così: “Entrati nella casa (sulla quale la stella si era fermata), videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono” (Mt 2, 11). Il cammino esteriore di quegli uomini era finito. Erano giunti alla meta. Ma a questo punto per loro comincia un nuovo cammino, un pellegrinaggio interiore che cambia tutta la loro vita. Poiché, sicuramente, avevano immaginato questo Re neonato in modo diverso. Si erano appunto fermati a Gerusalemme per raccogliere presso il Re locale notizie sul promesso Re che era nato. Sapevano che il mondo era in disordine, e per questo il loro cuore era inquieto. Erano certi che Dio esisteva e che era un Dio giusto e benigno. E forse avevano anche sentito parlare delle grandi profezie in cui i profeti d’Israele annunciavano un Re che sarebbe stato in intima armonia con Dio, e che a nome e per conto di Lui avrebbe ristabilito il mondo nel suo ordine. Per cercare questo Re si erano messi in cammino: dal profondo del loro intimo erano alla ricerca del diritto, della giustizia che doveva venire da Dio, e volevano servire quel Re, prostrarsi ai suoi piedi e così servire essi stessi al rinnovamento del mondo. Appartenevano a quel genere di persone “che hanno fame e sete della giustizia” (Mt 5, 6). Questa fame e questa sete avevano seguito nel loro pellegrinaggio – si erano fatti pellegrini in cerca della giustizia che aspettavano da Dio, per potersi mettere al servizio di essa. Anche se gli altri uomini, quelli rimasti a casa, li ritenevano forse utopisti e sognatori – essi invece erano persone con i piedi sulla terra, e sapevano che per cambiare il mondo bisogna disporre del potere. Per questo non potevano cercare il bambino della promessa se non nel palazzo del Re. Ora però s’inchinano davanti a un bimbo di povera gente, e ben presto vengono a sapere che Erode – quel Re dal quale si erano recati – con il suo potere intendeva insidiarlo, così che alla famiglia non sarebbe restata che la fuga e l’esilio. Il nuovo Re, davanti al quale si erano prostrati in adorazione, si differenziava molto dalla loro attesa. Così dovevano imparare che Dio è diverso da come noi di solito lo immaginiamo. Qui cominciò il loro cammino interiore. Cominciò nello stesso momento in cui si prostrarono davanti a questo bambino e lo riconobbero come il Re promesso. Ma questi gesti gioiosi essi dovevano ancora raggiungerli interiormente. Dovevano cambiare la loro idea sul potere, su Dio e sull’uomo e, facendo questo, dovevano anche cambiare se stessi. Ora vedevano: il potere di Dio è diverso dal potere dei potenti del mondo. Il modo di agire di Dio è diverso da come noi lo immaginiamo e da come vorremmo imporlo anche a Lui. Dio in questo mondo non entra in concorrenza con le forme terrene del potere. Non contrappone le sue divisioni ad altre divisioni. A Gesù, nell’Orto degli ulivi, Dio non manda dodici legioni di angeli per aiutarlo (cfr Mt 26, 53). Egli contrappone al potere rumoroso e prepotente di questo mondo il potere inerme dell’amore, che sulla Croce – e poi sempre di nuovo nel corso della storia – soccombe, e tuttavia costituisce la cosa nuova, divina che poi si oppone all’ingiustizia e instaura il Regno di Dio. Dio è diverso – è questo che ora riconoscono. E ciò significa che ora essi stessi devono diventare diversi, devono imparare lo stile di Dio. Erano venuti per mettersi a servizio di questo Re, per modellare la loro regalità sulla sua. Era questo il significato del loro gesto di ossequio, della loro adorazione. Di essa facevano parte anche i regali – oro, incenso e mirra – doni che si offrivano a un Re ritenuto divino. L’adorazione ha un contenuto e comporta anche un dono. Volendo con il gesto dell’adorazione riconoscere questo bambino come il loro Re al cui servizio intendevano mettere il proprio potere e le proprie possibilità, gli uomini provenienti dall’Oriente seguivano senz’altro la traccia giusta. Servendo e seguendo Lui, volevano insieme con Lui servire la causa della giustizia e del bene nel mondo. E in questo avevano ragione. Ora però imparano che ciò non può essere realizzato semplicemente per mezzo di comandi e dall’alto di un trono. Ora imparano che devono donare se stessi – un dono minore di questo non basta per questo Re. Ora imparano che la loro vita deve conformarsi a questo modo divino di esercitare il potere, a questo modo d’essere di Dio stesso. Devono diventare uomini della verità, del diritto, della bontà, del perdono, della misericordia. Non domanderanno più: Questo a che cosa mi serve? Dovranno invece domandare: Con che cosa servo io la presenza di Dio nel mondo? Devono imparare a perdere se stessi e proprio così a trovare se stessi. Andando via da Gerusalemme, devono rimanere sulle orme del vero Re, al seguito di Gesù. Cari amici, ci domandiamo che cosa tutto questo significhi per noi. Poiché quello che abbiamo appena detto sulla natura diversa di Dio, che deve orientare la nostra vita, suona bello, ma resta piuttosto sfumato e vago. Per questo Dio ci ha donato degli esempi. I Magi provenienti dall’Oriente sono soltanto i primi di una lunga processione di uomini e donne che nella loro vita hanno costantemente cercato con lo sguardo la stella di Dio, che hanno cercato quel Dio che a noi, esseri umani, è vicino e ci indica la strada. È la grande schiera dei santi – noti o sconosciuti – mediante i quali il Signore, lungo la storia, ha aperto davanti a noi il Vangelo e ne ha sfogliato le pagine; questo, Egli sta facendo tuttora. Nelle loro vite, come in un grande libro illustrato, si svela la ricchezza del Vangelo. Essi sono la scia luminosa di Dio che Egli stesso lungo la storia ha tracciato e traccia ancora. Il mio venerato predecessore Papa Giovanni Paolo II, che è con noi in questo momento, ha beatificato e canonizzato una grande schiera di persone di epoche lontane e vicine. In queste figure ha voluto dimostrarci come si fa ad essere cristiani; come si fa a svolgere la propria vita in modo giusto – a vivere secondo il modo di Dio. I beati e i santi sono stati persone che non hanno cercato ostinatamente la propria felicità, ma semplicemente hanno voluto donarsi, perché sono state raggiunte dalla luce di Cristo. Essi ci indicano così la strada per diventare felici, ci mostrano come si riesce ad essere persone veramente umane. Nelle vicende della storia sono stati essi i veri riformatori che tante volte l’hanno risollevata dalle valli oscure nelle quali è sempre nuovamente in pericolo di sprofondare; essi l’hanno sempre nuovamente illuminata quanto era necessario per dare la possibilità di accettare – magari nel dolore – la parola pronunciata da Dio al termine dell’opera della creazione: “È cosa buona”. Basta pensare a figure come San Benedetto, San Francesco d’Assisi, Santa Teresa d’Avila, Sant’Ignazio di Loyola, San Carlo Borromeo, ai fondatori degli Ordini religiosi dell’Ottocento che hanno animato e orientato il movimento sociale, o ai santi del nostro tempo – Massimiliano Kolbe, Edith Stein, Madre Teresa, Padre Pio. Contemplando queste figure impariamo che cosa significa “adorare”, e che cosa vuol dire vivere secondo la misura del bambino di Betlemme, secondo la misura di Gesù Cristo e di Dio stesso. I santi, abbiamo detto, sono i veri riformatori. Ora vorrei esprimerlo in modo ancora più radicale: Solo dai santi, solo da Dio viene la vera rivoluzione, il cambiamento decisivo del mondo. Nel secolo appena passato abbiamo vissuto le rivoluzioni, il cui programma comune era di non attendere più l’intervento di Dio, ma di prendere totalmente nelle proprie mani il destino del mondo. E abbiamo visto che, con ciò, sempre un punto di vista umano e parziale veniva preso come misura assoluta d’orientamento. L’assolutizzazione di ciò che non è assoluto ma relativo si chiama totalitarismo. Non libera l’uomo, ma gli toglie la sua dignità e lo schiavizza. Non sono le ideologie che salvano il mondo, ma soltanto il volgersi al Dio vivente, che è il nostro creatore, il garante della nostra libertà, il garante di ciò che è veramente buono e vero. La rivoluzione vera consiste unicamente nel volgersi senza riserve a Dio che è la misura di ciò che è giusto e allo stesso tempo è l’amore eterno. E che cosa mai potrebbe salvarci se non l’amore? Cari amici! Permettetemi di aggiungere soltanto due brevi pensieri. Sono molti coloro che parlano di Dio; nel nome di Dio si predica anche l’odio e si esercita la violenza. Perciò è importante scoprire il vero volto di Dio. I Magi dell’Oriente l’hanno trovato, quando si sono prostrati davanti al bambino di Betlemme. “Chi ha visto me ha visto il Padre”, diceva Gesù a Filippo (Gv 14, 9). In Gesù Cristo, che per noi ha permesso che si trafiggesse il suo cuore, in Lui è comparso il vero volto di Dio. Lo seguiremo insieme con la grande schiera di coloro che ci hanno preceduto. Allora cammineremo sulla via giusta. Questo significa che non ci costruiamo un Dio privato, non ci costruiamo un Gesù privato, ma che crediamo e ci prostriamo davanti a quel Gesù che ci viene mostrato dalle Sacre Scritture e che nella grande processione dei fedeli chiamata Chiesa si rivela vivente, sempre con noi e al tempo stesso sempre davanti a noi. Si può criticare molto la Chiesa. Noi lo sappiamo, e il Signore stesso ce l’ha detto: essa è una rete con dei pesci buoni e dei pesci cattivi, un campo con il grano e la zizzania. Papa Giovanni Paolo II, che nei tanti beati e santi ci ha mostrato il volto vero della Chiesa, ha anche chiesto perdono per ciò che nel corso della storia, a motivo dell’agire e del parlare di uomini di Chiesa, è avvenuto di male. In tal modo fa vedere anche a noi la nostra vera immagine e ci esorta ad entrare con tutti i nostri difetti e debolezze nella processione dei santi, che con i Magi dell’Oriente ha preso il suo inizio. In fondo, è consolante il fatto che esista la zizzania nella Chiesa. Così, con tutti i nostri difetti possiamo tuttavia sperare di trovarci ancora nella sequela di Gesù, che ha chiamato proprio i peccatori. La Chiesa è come una famiglia umana, ma è anche allo stesso tempo la grande famiglia di Dio, mediante la quale Egli forma uno spazio di comunione e di unità attraverso tutti i continenti, le culture e le nazioni. Perciò siamo lieti di appartenere a questa grande famiglia che vediamo qui; siamo lieti di avere fratelli e amici in tutto il mondo. Lo sperimentiamo proprio qui a Colonia quanto sia bello appartenere ad una famiglia vasta come il mondo, che comprende il cielo e la terra, il passato, il presente e il futuro e tutte le parti della terra. In questa grande comitiva di pellegrini camminiamo insieme con Cristo, camminiamo con la stella che illumina la storia. “Entrati nella casa, videro il bambino e Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono” (Mt 2, 11). Cari amici, questa non è una storia lontana, avvenuta tanto tempo fa. Questa è presenza. Qui nell’Ostia sacra Egli è davanti a noi e in mezzo a noi. Come allora, si vela misteriosamente in un santo silenzio e, come allora, proprio così svela il vero volto di Dio. Egli per noi si è fatto chicco di grano che cade in terra e muore e porta frutto fino alla fine del mondo (cfr Gv 12, 24). Egli è presente come allora in Betlemme. Ci invita a quel pellegrinaggio interiore che si chiama adorazione. Mettiamoci ora in cammino per questo pellegrinaggio e chiediamo a Lui di guidarci. Amen.

(altro…)

Omelia di Sua Santità Benedetto XVI durante la Messa nella spianata di Marienfeld

Parole del Santo Padre all’inizio della Celebrazione

Avrei voluto percorrere col papamobile tutto il territorio in lungo e in largo per essere possibilmente vicino a ciascuno singolarmente. Per le difficoltà dei sentieri non era possibile, ma saluto ciascuno con tutto il cuore. Il Signore vede e ama ogni singola persona. Tutti noi formiamo insieme la Chiesa vivente e ringraziamo il Signore per questa ora in cui Egli ci dona il mistero della sua presenza e la possibilità di essere in comunione con Lui. Sappiamo tutti di essere imperfetti, di non poter essere per Lui una casa appropriata. Per questo cominciamo la Santa Messa raccogliendoci e pregando il Signore di rimuovere da noi tutto ciò che ci separa da Lui e separa noi gli uni dagli altri. Ci faccia così il dono di celebrare degnamente i Santi Misteri. *** Cari giovani! Davanti all’Ostia sacra, nella quale Gesù per noi si è fatto pane che dall’interno sostiene e nutre la nostra vita (cfr Gv 6, 35), abbiamo ieri sera cominciato il cammino interiore dell’adorazione. Nell’Eucaristia l’adorazione deve diventare unione. Con la Celebrazione eucaristica ci troviamo in quell’”ora” di Gesù di cui parla il Vangelo di Giovanni. Mediante l’Eucaristia questa sua “ora” diventa la nostra ora, presenza sua in mezzo a noi. Insieme con i discepoli Egli celebrò la cena pasquale d’Israele, il memoriale dell’azione liberatrice di Dio che aveva guidato Israele dalla schiavitù alla libertà. Gesù segue i riti d’Israele. Recita sul pane la preghiera di lode e di benedizione. Poi però avviene una cosa nuova. Egli ringrazia Dio non soltanto per le grandi opere del passato; lo ringrazia per la propria esaltazione che si realizzerà mediante la Croce e la Risurrezione, parlando ai discepoli anche con parole che contengono la somma della Legge e dei Profeti: “Questo è il mio Corpo dato in sacrificio per voi. Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio Sangue”. E così distribuisce il pane e il calice, e insieme dà loro il compito di ridire e rifare sempre di nuovo in sua memoria quello che sta dicendo e facendo in quel momento. Che cosa sta succedendo? Come Gesù può distribuire il suo Corpo e il suo Sangue? Facendo del pane il suo Corpo e del vino il suo Sangue, Egli anticipa la sua morte, l’accetta nel suo intimo e la trasforma in un’azione di amore. Quello che dall’esterno è violenza brutale – la crocifissione -, dall’interno diventa un atto di un amore che si dona totalmente. È questa la trasformazione sostanziale che si realizzò nel cenacolo e che era destinata a suscitare un processo di trasformazioni il cui termine ultimo è la trasformazione del mondo fino a quella condizione in cui Dio sarà tutto in tutti (cfr 1 Cor 15, 28). Già da sempre tutti gli uomini in qualche modo aspettano nel loro cuore un cambiamento, una trasformazione del mondo. Ora questo è l’atto centrale di trasformazione che solo è in grado di rinnovare veramente il mondo: la violenza si trasforma in amore e quindi la morte in vita. Poiché questo atto tramuta la morte in amore, la morte come tale è già dal suo interno superata, è già presente in essa la risurrezione. La morte è, per così dire, intimamente ferita, così che non può più essere lei l’ultima parola. È questa, per usare un’immagine a noi oggi ben nota, la fissione nucleare portata nel più intimo dell’essere – la vittoria dell’amore sull’odio, la vittoria dell’amore sulla morte. Soltanto questa intima esplosione del bene che vince il male può suscitare poi la catena di trasformazioni che poco a poco cambieranno il mondo. Tutti gli altri cambiamenti rimangono superficiali e non salvano. Per questo parliamo di redenzione: quello che dal più intimo era necessario è avvenuto, e noi possiamo entrare in questo dinamismo. Gesù può distribuire il suo Corpo, perché realmente dona se stesso. Questa prima fondamentale trasformazione della violenza in amore, della morte in vita trascina poi con sé le altre trasformazioni. Pane e vino diventano il suo Corpo e Sangue. A questo punto però la trasformazione non deve fermarsi, anzi è qui che deve cominciare appieno. Il Corpo e il Sangue di Cristo sono dati a noi affinché noi stessi veniamo trasformati a nostra volta. Noi stessi dobbiamo diventare Corpo di Cristo, consanguinei di Lui. Tutti mangiamo l’unico pane, ma questo significa che tra di noi diventiamo una cosa sola. L’adorazione, abbiamo detto, diventa unione. Dio non è più soltanto di fronte a noi, come il Totalmente Altro. È dentro di noi, e noi siamo in Lui. La sua dinamica ci penetra e da noi vuole propagarsi agli altri e estendersi a tutto il mondo, perché il suo amore diventi realmente la misura dominante del mondo. Io trovo un’allusione molto bella a questo nuovo passo che l’Ultima Cena ci ha donato nella differente accezione che la parola “adorazione” ha in greco e in latino. La parola greca suona proskynesis. Essa significa il gesto della sottomissione, il riconoscimento di Dio come nostra vera misura, la cui norma accettiamo di seguire. Significa che libertà non vuol dire godersi la vita, ritenersi assolutamente autonomi, ma orientarsi secondo la misura della verità e del bene, per diventare in tal modo noi stessi veri e buoni. Questo gesto è necessario, anche se la nostra brama di libertà in un primo momento resiste a questa prospettiva. Il farla completamente nostra sarà possibile soltanto nel secondo passo che l’Ultima Cena ci dischiude. La parola latina per adorazione è ad-oratio – contatto bocca a bocca, bacio, abbraccio e quindi in fondo amore. La sottomissione diventa unione, perché colui al quale ci sottomettiamo è Amore. Così sottomissione acquista un senso, perché non ci impone cose estranee, ma ci libera in funzione della più intima verità del nostro essere. Torniamo ancora all’Ultima Cena. La novità che lì si verificò, stava nella nuova profondità dell’antica preghiera di benedizione d’Israele, che da allora diventa la parola della trasformazione e dona a noi la partecipazione all’”ora” di Cristo. Gesù non ci ha dato il compito di ripetere la Cena pasquale che, del resto, in quanto anniversario, non è ripetibile a piacimento. Ci ha dato il compito di entrare nella sua “ora”. Entriamo in essa mediante la parola del potere sacro della consacrazione – una trasformazione che si realizza mediante la preghiera di lode, che ci pone in continuità con Israele e con tutta la storia della salvezza, e al contempo ci dona la novità verso cui quella preghiera per sua intima natura tendeva. Questa preghiera – chiamata dalla Chiesa “preghiera eucaristica” – pone in essere l’Eucaristia. Essa è parola di potere, che trasforma i doni della terra in modo del tutto nuovo nel dono di sé di Dio e ci coinvolge in questo processo di trasformazione. Per questo chiamiamo questo avvenimento Eucaristia, che è la traduzione della parola ebraica beracha – ringraziamento, lode, benedizione, e così trasformazione a partire dal Signore: presenza della sua “ora”. L’ora di Gesù è l’ora in cui vince l’amore. In altri termini: è Dio che ha vinto, perché Egli è l’Amore. L’ora di Gesù vuole diventare la nostra ora e lo diventerà, se noi, mediante la celebrazione dell’Eucaristia, ci lasciamo tirare dentro quel processo di trasformazioni che il Signore ha di mira. L’Eucaristia deve diventare il centro della nostra vita. Non è positivismo o brama di potere, se la Chiesa ci dice che l’Eucaristia è parte della domenica. Al mattino di Pasqua, prima le donne e poi i discepoli ebbero la grazia di vedere il Signore. D’allora in poi essi seppero che ormai il primo giorno della settimana, la domenica, sarebbe stato il giorno di Lui, di Cristo. Il giorno dell’inizio della creazione diventava il giorno del rinnovamento della creazione. Creazione e redenzione vanno insieme. Per questo è così importante la domenica. È bello che oggi, in molte culture, la domenica sia un giorno libero o, insieme col sabato, costituisca addirittura il cosiddetto “fine-settimana” libero. Questo tempo libero, tuttavia, rimane vuoto se in esso non c’è Dio. Cari amici! Qualche volta, in un primo momento, può risultare piuttosto scomodo dover programmare nella domenica anche la Messa. Ma se vi ponete impegno, constaterete poi che è proprio questo che dà il giusto centro al tempo libero. Non lasciatevi dissuadere dal partecipare all’Eucaristia domenicale ed aiutate anche gli altri a scoprirla. Certo, perché da essa si sprigioni la gioia di cui abbiamo bisogno, dobbiamo imparare a comprenderla sempre di più nelle sue profondità, dobbiamo imparare ad amarla. Impegniamoci in questo senso – ne vale la pena! Scopriamo l’intima ricchezza della liturgia della Chiesa e la sua vera grandezza: non siamo noi a far festa per noi, ma è invece lo stesso Dio vivente a preparare per noi una festa. Con l’amore per l’Eucaristia riscoprirete anche il sacramento della Riconciliazione, nel quale la bontà misericordiosa di Dio consente sempre un nuovo inizio alla nostra vita. Chi ha scoperto Cristo deve portare altri verso di Lui. Una grande gioia non si può tenere per sé. Bisogna trasmetterla. In vaste parti del mondo esiste oggi una strana dimenticanza di Dio. Sembra che tutto vada ugualmente anche senza di Lui. Ma al tempo stesso esiste anche un sentimento di frustrazione, di insoddisfazione di tutto e di tutti. Vien fatto di esclamare: Non è possibile che questa sia la vita! Davvero no. E così insieme con la dimenticanza di Dio esiste come un boom del religioso. Non voglio screditare tutto ciò che c’è in questo contesto. Può esserci anche la gioia sincera della scoperta. Ma, per dire il vero, non di rado la religione diventa quasi un prodotto di consumo. Si sceglie quello che piace, e certuni sanno anche trarne un profitto. Ma la religione cercata alla maniera del “fai da te” alla fin fine non ci aiuta. È comoda, ma nell’ora della crisi ci abbandona a noi stessi. Aiutate gli uomini a scoprire la vera stella che ci indica la strada: Gesù Cristo! Cerchiamo noi stessi di conoscerlo sempre meglio per poter in modo convincente guidare anche gli altri verso di Lui. Per questo è così importante l’amore per la Sacra Scrittura e, di conseguenza, importante conoscere la fede della Chiesa che ci dischiude il senso della Scrittura. È lo Spirito Santo che guida la Chiesa nella sua fede crescente e l’ha fatta e la fa penetrare sempre di più nelle profondità della verità (cfr Gv 16, 13). Papa Giovanni Paolo II ci ha donato un’opera meravigliosa, nella quale la fede dei secoli è spiegata in modo sintetico: il Catechismo della Chiesa Cattolica. Io stesso recentemente ho potuto presentare il Compendio di tale Catechismo, che è stato anche elaborato a richiesta del defunto Papa. Sono due libri fondamentali che vorrei raccomandare a tutti voi. Ovviamente, i libri da soli non bastano. Formate delle comunità sulla base della fede! Negli ultimi decenni sono nati movimenti e comunità in cui la forza del Vangelo si fa sentire con vivacità. Cercate la comunione nella fede come compagni di cammino che insieme continuano a seguire la strada del grande pellegrinaggio che i Magi dell’Oriente ci hanno indicato per primi. La spontaneità delle nuove comunità è importante, ma è pure importante conservare la comunione col Papa e con i Vescovi. Sono essi a garantire che non si sta cercando dei sentieri privati, ma invece si sta vivendo in quella grande famiglia di Dio che il Signore ha fondato con i dodici Apostoli. Ancora una volta devo ritornare all’Eucaristia. “Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo” dice san Paolo (1 Cor 10, 17). Con ciò intende dire: Poiché riceviamo il medesimo Signore ed Egli ci accoglie e ci attira dentro di sé, siamo una cosa sola anche tra di noi. Questo deve manifestarsi nella vita. Deve mostrarsi nella capacità del perdono. Deve manifestarsi nella sensibilità per le necessità dell’altro. Deve manifestarsi nella disponibilità a condividere. Deve manifestarsi nell’impegno per il prossimo, per quello vicino come per quello esternamente lontano, che però ci riguarda sempre da vicino. Esistono oggi forme di volontariato, modelli di servizio vicendevole, di cui proprio la nostra società ha urgentemente bisogno. Non dobbiamo, ad esempio, abbandonare gli anziani alla loro solitudine. Non dobbiamo passare oltre di fronte ai sofferenti. Se pensiamo e viviamo in virtù della comunione con Cristo, allora ci si aprono gli occhi. Allora non ci adatteremo più a vivacchiare preoccupati solo di noi stessi, ma vedremo dove e come siamo necessari. Vivendo ed agendo così ci accorgeremo ben presto che è molto più bello essere utili e stare a disposizione degli altri che preoccuparsi solo delle comodità che ci vengono offerte. Io so che voi come giovani aspirate alle cose grandi, che volete impegnarvi per un mondo migliore. Dimostratelo agli uomini, dimostratelo al mondo, che aspetta proprio questa testimonianza dai discepoli di Gesù Cristo e che, soprattutto mediante il vostro amore, potrà scoprire la stella che noi seguiamo. Andiamo avanti con Cristo e viviamo la nostra vita da veri adoratori di Dio! Amen.   (altro…)

Il tuffo in Dio: i 40 giorni di Carlo e Alberto

Benedetto XVI: dalla GMG, l’auspicio di una grande primavera di speranza per l’Europa e il mondo

“Un’intuizione profetica dell’indimenticabile” predecessore, destinata a segnare una “grande primavera di speranza” per l’Europa e il mondo: così Benedetto XVI ha definito la Giornata Mondiale della Gioventù.

All’udienza generale, mercoledì 24 agosto, il Papa ha parlato della sua esperienza in Germania, ripercorrendone le tappe e i momenti più significativi, davanti a 7 mila persone di quattro continenti che gremivano l’Aula Paolo VI, tra le quali spiccavano una delegazione interreligiosa proveniente da Nagasaki e una di religiosi buddisti. Dal discorso di Benedetto XVI: “La Provvidenza divina ha voluto che il mio primo viaggio pastorale fuori d’Italia avesse come meta proprio il mio Paese di origine e avvenisse in occasione del grande incontro dei giovani del mondo, a vent’anni dall’istituzione della Giornata Mondiale della Gioventù, voluta con intuizione profetica dall’indimenticabile mio Predecessore. Non cesso di rendere grazie a Dio per il dono di questo pellegrinaggio, del quale conserverò un grato ricordo.  L’abbraccio ideale con i giovani partecipanti alla Giornata Mondiale della Gioventù è cominciato sin dal mio arrivo all’aeroporto di Colonia/Bonn ed è andato facendosi sempre più carico di emozioni percorrendo il Reno dal molo di Rodenkirchenerbrucke sino a Colonia, scortati da altre cinque imbarcazioni rappresentanti i cinque continenti. Suggestiva è stata poi la sosta di fronte alla banchina del Poller Rheinwiesen dove attendevano già migliaia e migliaia di giovani con i quali ho avuto il primo incontro ufficiale, chiamato opportunamente “festa di accoglienza” e che aveva come motto le parole dei Magi “Dov’è il re dei Giudei che è nato?” (Mt 2, 2a). Sono stati proprio i Magi le “guide” per quei giovani pellegrini verso Cristo. Quanto è significativo che tutto questo sia avvenuto mentre ci avviamo verso la conclusione dell’Anno Eucaristico voluto da Giovanni Paolo II! Il tema dell’Incontro “Siamo venuti per adorarlo”, ha invitato tutti a seguire idealmente i Magi, e a compiere insieme a loro un interiore viaggio di conversione verso l’Emanuele, il Dio con noi, per conoscerlo, incontrarlo, adorarlo, e, dopo averlo incontrato e adorato, ripartire poi recando nell’animo la sua luce e la sua gioia.  

A Colonia i giovani hanno avuto modo a più riprese di approfondire queste tematiche spirituali e si sono sentiti sospinti dallo Spirito Santo ad essere testimoni di Cristo, che nell’Eucaristia ha promesso di restare realmente presente tra noi sino alla fine del mondo. Ripenso ai vari momenti che ho avuto la gioia di condividere con loro, specialmente alla veglia di sabato sera e alla celebrazione conclusiva di domenica. A queste suggestive manifestazioni di fede si sono uniti milioni di altri giovani da ogni angolo della terra, grazie ai provvidenziali collegamenti radio televisivi.

Ma vorrei qui rievocare un incontro singolare, quello con i seminaristi, giovani chiamati ad una più radicale sequela di Cristo, Maestro e Pastore. Ho voluto che ci fosse un momento specifico dedicato a loro, anche per mettere in risalto la dimensione vocazionale tipica delle Giornate Mondiali della Gioventù. Non poche vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata sono sbocciate, in questi venti anni, proprio durante le Giornate Mondiali della Gioventù, occasioni privilegiate nelle quali lo Spirito Santo fa sentire la sua chiamata. Nel contesto ricco di speranza delle Giornate di Colonia, si colloca molto bene l’incontro ecumenico con i rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali. Il ruolo della Germania nel dialogo ecumenico è importante, sia per la triste storia delle divisioni che per la parte significativa svolta nel cammino di riconciliazione. Auspico che il dialogo, quale scambio reciproco di doni, contribuisca inoltre a far crescere e maturare quella “sinfonia” ordinata ed armonica che è l’unità cattolica. In tale prospettiva, le Giornate Mondiali della Gioventù rappresentano un valido “laboratorio” ecumenico. E come non rivivere con emozione la visita alla Sinagoga di Colonia, dove ha sede la più antica Comunità ebraica tedesca? Con i fratelli ebrei ho fatto memoria della Shoà, e del 60° anniversario della liberazione dei campi di concentramento nazisti. Quest’anno ricorre il 40? anniversario della Dichiarazione conciliare Nostra aetate, che ha inaugurato una nuova stagione di dialogo e di solidarietà spirituale tra ebrei e cristiani, nonché di stima per le altre grandi tradizioni religiose. Tra queste, un posto particolare occupa l’Islam, i cui seguaci adorano l’unico Dio e si rifanno volentieri al patriarca Abramo. Per tale ragione ho voluto incontrare i rappresentanti di alcune Comunità musulmane, ai quali ho manifestato le speranze e le preoccupazioni del difficile momento storico che stiamo vivendo, auspicando che siano estirpati il fanatismo e la violenza e che insieme si possa collaborare nel difendere sempre la dignità della persona umana e tutelare i suoi diritti fondamentali.  

Cari Fratelli e Sorelle, dal cuore della “vecchia” Europa, che nel secolo scorso ha conosciuto orrendi conflitti e regimi disumani, i giovani hanno rilanciato all’umanità del nostro tempo il messaggio della speranza che non delude, perché fondata sulla Parola di Dio fattasi carne in Gesù Cristo, morto e risorto per la nostra salvezza. A Colonia i giovani hanno incontrato e adorato l’Emanuele nel mistero dell’Eucaristia ed hanno meglio compreso che la Chiesa è la grande famiglia mediante la quale Dio forma uno spazio di comunione e di unità tra ogni continente, cultura e razza, una “grande comitiva di pellegrini” guidati da Cristo, stella radiosa che illumina la storia.

Gesù si fa nostro compagno di viaggio nell’Eucaristia, e nell’Eucaristia – dicevo nell’omelia della celebrazione conclusiva mutuando dalla fisica un’immagine ben nota – porta “la fissione nucleare” nel cuore più nascosto dell’essere. Solo quest’intima esplosione del bene che vince il male può dar vita alle altre trasformazioni necessarie per cambiare il mondo. Preghiamo ora perché i giovani da Colonia rechino con sé la luce di Cristo, che è verità e amore e la diffondano dappertutto. Confido che grazie all’aiuto dello Spirito Santo e alla preghiera della Vergine Maria, potremo così assistere ad una primavera di speranza in Germania, in Europa e nel mondo intero.   (altro…)

Spagna – Paesi Baschi – Lotta contro la repressione dei diritti dei baschi

Sono nata nei Paesi Baschi, nel nord della Spagna, vicino alla frontiera francese. Appartengo ad una etnia stabilitasi in quella terra da millenni, con cultura, tradizioni e lingua proprie, che sono state conservate intatte, tramandate dai genitori ai figli. Dopo la guerra civile spagnola sono emerse varie tendenze separatiste nei confronti dello Stato spagnolo. Alcuni gruppi politici, poi, incrementavano le tensioni e le divisioni e incitavano i baschi alla ribellione. Verso gli anni ’70 la situazione è peggiorata: la nostra cultura e la nostra identità non solo non venivano riconosciute dal governo spagnolo, ma ci era persino proibito parlare la nostra lingua. Nonostante questo, nella mia famiglia siamo sempre stati educati alla pace, anche quando intorno a noi il clima di ostilità dilagava. Tanti nostri amici si sono rifugiati nella clandestinità, alcuni sono stati arrestati, altri sono morti. Noi pure abbiamo provato il dolore di avere un familiare in carcere, la mia casa è stata schedata e siamo stati messi sotto il controllo della polizia. Sentivo che dovevo fare qualcosa per manifestare il rifiuto di queste forme di repressione. Ho cominciato a frequentare ambienti che organizzavano manifestazioni clandestine per la libertà e in favore dei giovani detenuti. Ma questo modo di lottare mi schiacciava sempre più. Proprio in quel tempo ho conosciuto la storia di Chiara Lubich e delle sue prime compagne. La loro grande scoperta, che Dio è amore, è diventata la mia: per me è stata una folgorazione! Mi sono sentita avvolta dalle braccia del Padre e quel senso di vuoto, di orfanezza vissuto sino a quel momento, è diventato una luminosa pienezza. Ho trovato la mia identità. Ho coinvolto subito la mia famiglia e le mie amiche, e mettendoci ad amare siamo usciti dal nostro mondo angoscioso. Ricordo la gioia incontenibile quando, spinta dalla frase del Vangelo: “Se tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia la tua offerta all’altare e vai a riconciliarti con lui” , ho voluto fermarmi a parlare con una persona da cui ero divisa da tempo per motivi politici. L’amore ha minato anche la grande paura che avevo dei poliziotti. Un giorno stavo in macchina con due amiche e ci siamo trovate in mezzo ad una manifestazione. Nella fretta di allontanarmi, sono andata a finire proprio tra i poliziotti che sparavano pallottole di gomma. Mi sono ricordata: “Amate i vostri nemici” , e sono scesa dall’auto con una grande pace, diretta verso di loro. Ho spiegato quello che mi era successo e sono rimasta di stucco: il capo della polizia ha fermato il traffico e mi ha fatto uscire contro mano dalla zona pericolosa. Dietro la divisa che tanto temevo ho trovato dei fratelli. È stata la conferma che quando si ama con l’amore che viene da Dio si trascinano anche gli altri ad amare nello stesso modo. Nel liceo basco in cui lavoravo come segretaria mi era stato ordinato di non ricevere nessuno che non parlasse la lingua basca. Era un modo per far pressione sul governo con lo scopo di ottenere maggior rispetto per la nostra cultura, ma a me sembrava un’imposizione inaccettabile. “Qualunque cosa avrete fatto al più piccolo…, l’avrete fatta a me”: non potevo chiudere la porta in faccia a Gesù perché non parlava basco! Ho iniziato a ricevere tutti senza distinzioni, facendo da tramite per evitare incontri diretti con la direzione della scuola. All’inizio è andato tutto liscio, ma poi sono stata scoperta. Eppure, nessuno ha avuto il coraggio di rimproverarmi, anzi ho saputo che i miei superiori approvavano il mio modo di agire. Non mi bastava però rimanere nella sfera privata: ero convinta che questa vita evangelica avrebbe avuto un impatto sociale. Nel ’96 Chiara Lubich ci invitava a reagire contro tutto quello che non è pace. Era un’autentica rivoluzione. Superando ogni timore, con i miei amici ho aderito ad un’iniziativa per manifestare pubblicamente contro la violenza terrorista dell’ETA, che vìola continuamente la volontà del popolo basco. Così, ogni lunedì, alle otto di sera, in più di cento punti del paese, esprimiamo nelle piazze e nei quartieri, con quindici minuti di silenzio, il nostro disaccordo, contro ogni tipo di violenza. Gli estremisti contestano queste manifestazioni pacifiche e fanno di tutto perché desistiamo dal nostro impegno: spesso cercano di spaventarci con insulti e atteggiamenti ostili, ci tirano oggetti e ci fotografano per schedarci nella lista nera. Conosciamo alcuni di loro, vicini di casa, colleghi di lavoro, e viviamo autentiche lacerazioni. Ma la certezza che per costruire l’unità bisogna essere pronti a dare la vita come ha fatto Gesù ci appare sempre più come l’unica via. La cerchia delle persone che vogliono costruire la pace si allarga: mamme, bambini, giovani. “Oggi ho scoperto che c’è una generazione nuova – ci ha detto un giorno un uomo in una piazza –, e mi è nata nel cuore la speranza per il futuro”. Maria U.(Paesi Baschi)   (altro…)

Programma del viaggio in Germania di sua Santità Benedetto XVI

PROGRAMMA ITALIA Giovedì, 18 agosto

Ciampino (Roma) 10.00 Aeroporto di Ciampino (Roma) – Partenza per Colonia (Germania)

GERMANIA

Colonia 12.00 Aeroporto Internazionale di Colonia/Bonn. Cerimonia di benvenuto. Discorso del Santo Padre 12.45 Trasferimento in auto dall’Aeroporto Internazionale di Colonia/Bonn all’Arcivescovado di Colonia 16.30 Trasferimento dall’Arcivescovado al Molo del Rodenkirchenbrücke 16.45 Inizio della navigazione con il Battello RheinEnergie sul Reno a Colonia 17.00 Festa di accoglienza dei giovani in navigazione sul Reno a Colonia Banchina del Poller Rheinwiesen Discorso del Santo Padre 18.00 Molo del Hohenzollernbrücke di Colonia 18.15 Visita alla Cattedrale di Colonia Saluto del Santo Padre

Venerdì, 19 agosto

Bonn 10.30 Visita di cortesia al Presidente della Repubblica Federale di Germania nella Villa Hammerschmidt di Bonn Colonia 12.00 Visita alla Sinagoga di Colonia Discorso del Santo Padre 13.00 Trasferimento in auto dalla Sinagoga all’Arcivescovado di Colonia 13.15 Pranzo con i giovani all’Arcivescovado di Colonia 16.30 Trasferimento in auto dall’Arcivescovado alla Chiesa di S. Pantaleon 17.00 Incontro con i seminaristi Discorso del Santo Padre 18.00 Trasferimento in auto dalla Chiesa di S. Pantaleon all’Arcivescovado 18.15 Incontro ecumenico nell’Arcivescovado Discorso del Santo Padre

Sabato, 20 agosto

10.00 Udienza ad alcune Autorità politiche e civili della Germania nell’Arcivescovado di Colonia 18.00 Udienza ai rappresentanti di alcune Comunità musulmane, nell’Arcivescovado di Köln Discorso del Santo Padre 19.00 Trasferimento dall’Arcivescovado alla Spianata di Marienfeld 19.30 Saluto ai Vescovi Ospiti 20.30 Veglia con i giovani nella Spianata di Marienfeld Discorso del Santo Padre 22.30 Trasferimento dalla Spianata del Marienfeld all’Arcivescovado 22.31

Domenica, 21 agosto

8.45 Trasferimento in auto dall’Arcivescovado alla Spianata di Marienfeld 10.00 Santa Messa nella Spianata di Marienfeld Omelia del Santo Padre Recita dell’Angelus Domini Parole del Santo Padre 13.00 Trasferimento dalla Spianata del Marienfeld all’Arcivescovado 17.00 Incontro con i Vescovi della Germania nella Piussaal del Seminario di Colonia Discorso del Santo Padre 18.00 Saluto al Comitato Organizzatore della GMG 2005 e Congedo dalla Residenza nel cortile interno dell’Arcivescovado 18.15 Trasferimento all’Aeroporto Internazionale di Colonia/Bonn 18.45 Cerimonia di Congedo nell’Aeroporto Saluto del Santo Padre 19.15 Partenza per Ciampino (Roma).

ITALIA

Ciampino (Roma) 21.15 Aeroporto di Ciampino (Roma) Arrivo

(altro…)

"E’ bello essere cristiani: essere sostenuti da un grande Amore dà le ali"

Ha fatto il giro del mondo la prima intervista di Benedetto XVI, rilasciata alla Radio Vaticana alla vigilia della Giornata Mondiale della gioventù di Colonia. Intanto sono centinaia di migliaia i giovani che continuano ad affluire in Germania da tutti i continenti per questo evento. L’atteso primo incontro del Papa con i giovani, lungo il Reno: giovedì 18 agosto. I momenti culmine saranno: la Veglia di sabato sera (ore 19.30) e la Messa di domenica mattina (ore 10.00). I vari appuntamenti dei giovani con il Papa saranno diramati in diretta dalla RAI e da molte televisioni d’Europa e via Internet.

D. – Padre Santo, il 25 aprile lei ha detto: sono contento di andare a Colonia. Contento, perché?

R. – Per molte ragioni. Prima di tutto, ho passato degli anni molto belli in Renania, e mi fa piacere di poter condividere di nuovo l’indole della Renania, di questa città aperta al mondo, e tutto quanto ad essa è legato. E poi perché la Provvidenza ha voluto che il mio primo viaggio all’estero fosse proprio in Germania: mai avrei osato organizzarlo io stesso!, ma se poi è proprio il Buon Dio a disporre così, certo, abbiamo il diritto di gioirne! Ed anche il fatto che questo primo viaggio all’estero sia proprio un incontro con i giovani di tutto il mondo … Incontrare i giovani è sempre bello, perché magari hanno anche tanti problemi, ma sicuramente portano con sé tanta speranza, tanto entusiasmo, tante aspettative: nei giovani c’è la dinamica del futuro! Da un incontro con i giovani si esce sempre con una carica nuova, più allegri, più aperti. Ecco, questi sono alcuni dei motivi che poi, con il passare del tempo, hanno ulteriormente rafforzato, e non certo diminuito la mia gioia.

D. – Santità, quale il messaggio specifico che Lei vuole portare ai giovani che da tutto il mondo vengono a Colonia? Qual è la cosa più importante che lei vuole trasmettere loro?

R. – Vorrei fare capire loro che è bello essere cristiani! L’idea genericamente diffusa è che i cristiani debbano osservare un’immensità di comandamenti, divieti, principi e simili e che quindi il cristianesimo sia qualcosa di faticoso e oppressivo da vivere e che si è più liberi senza tutti questi fardelli. Io invece vorrei mettere in chiaro che essere sostenuti da un grande Amore e da una rivelazione non è un fardello ma sono ali e che è bello essere cristiani. Questa esperienza ci dona l’ampiezza, ci dona però soprattutto la comunità, il fatto cioè che come cristiani non siamo mai soli: in primo luogo c’è Dio, che è sempre con noi; e poi noi, tra di noi, formiamo sempre una grande comunità, una comunità in cammino, che ha un progetto per il futuro: tutto questo fa sì che viviamo una vita che vale la pena di vivere. La gioia di essere cristiano: è bello ed è giusto, anche, credere!

D. – Santo Padre, essere Papa significa essere ‘costruttore di ponti’ – ‘pontifex’, appunto. La Chiesa poggia su una saggezza antica, e Lei si trova oggi ad incontrare una gioventù che sicuramente ha tanto entusiasmo, ma in quanto a saggezza ha ancora molta strada da fare … Come è possibile costruire un ponte tra questa antica saggezza – compresa anche quella del Papa, che ha una certa età – e la gioventù? Come si fa?

R. – Bè, staremo a vedere quanto il Signore sarà disposto ad aiutarmi, in questa opera! Comunque, la saggezza non è quella cosa che ha un po’ il sapore di stantìo – in tedesco, a questa parola si associa un po’ anche questo sapore! Piuttosto, intendo per saggezza la comprensione di quello che è importante, lo sguardo che coglie l’essenziale. E’ ovvio che i giovani devono ancora ‘imparare’ a vivere la vita, vogliono scoprirla da soli, non vogliono trovarsi la ‘pappa pronta’. Ecco, qui forse si potrebbe vedere un po’ la contraddizione. Al contempo, però, la saggezza aiuta ad interpretare il mondo, che è sempre nuovo perché, sia pur calato in nuovi contesti, riporta sempre e comunque all’essenziale e a come, poi, l’essenziale possa essere messo in pratica. In questo senso, credo che parlare, credere e vivere partendo da qualcosa che è stato donato all’umanità e le ha acceso dei lumi, non sia una ‘pappa pronta stantìa’, ma sia invece adeguato proprio alla dinamica della gioventù, che chiede cose grandi e totali. Ecco cos’è la saggezza della fede: non il fatto di riconoscere una gran quantità di dettagli, caratteristica necessaria invece in una professione, ma riconoscere, al di là di tutti i dettagli, l’essenziale della vita, come essere Persona, come costruire il futuro.

D. – Santità, Lei ha detto, e questa Sua affermazione è stata ripresa: “La Chiesa è giovane”, non è una cosa vecchia. In che senso?

R. – Intanto, in senso strettamente biologico, perché ad essa appartengono molti giovani; ma essa è anche giovane perché la sua fede sgorga dalla sorgente di Dio, quindi proprio dalla fonte dalla quale viene tutto quello che è nuovo e rinnovatore. Non si tratta quindi di una minestra rifatta, scaldata e riscaldata, che ci viene riproposta da duemila anni. Perché Dio stesso è l’origine della giovinezza e della vita. E se la fede è un dono che viene da Lui – è l’acqua fresca che sempre ci viene donata – quella che poi ci consente di vivere e che poi noi, a nostra volta, possiamo immettere come forza vivificatrice nelle strade del mondo, vuol dire allora che la Chiesa ha la forza di ringiovanire. Uno dei Padri della Chiesa, osservando la Chiesa, aveva considerato che, con il passare degli anni, sorprendentemente essa non invecchiava ma diventava sempre più giovane, perché essa va sempre più incontro al Signore, sempre più incontro a quella sorgente dalla quale sgorga la giovinezza, la novità, il ristoro, la forza fresca della vita.

D. – Lei conosce la Chiesa tedesca meglio di me. Una delle questioni fondamentali è l’ecumenismo, l’unità della Chiesa soprattutto tra la Chiesa cattolica e le Chiese evangeliche. Forse esiste anche l’utopica speranza che la GMG possa imprimere una svolta all’ecumenismo. Quale posto riveste l’ecumenismo a Colonia?

R. – Esiste in quanto il compito dell’unità permea tutta l’entità della Chiesa e non è un compito qualsiasi, a margine. Quando poi la fede è vissuta e trattata in maniera ‘centrale’, essa stessa rappresenta un impulso all’unità. Ovviamente, il dialogo ecumenico come tale non è all’ordine del giorno a Colonia, perché Colonia è sostanzialmente un incontro tra giovani cattolici di tutto il mondo e anche con quei giovani che non sono cattolici ma che vogliono sapere se da noi possono trovare una risposta alle loro domande. Quindi, immagino che questa dimensione dell’ecumenismo possa essere presente piuttosto negli incontri tra i giovani: i giovani non parlano soltanto con il Papa ma sostanzialmente si incontrano anche tra di loro. Io avrò un incontro con i nostri fratelli evangelici: purtroppo, non avremo molto tempo perché il programma del giorno è fittissimo; ma sarà sufficiente per riflettere su come vogliamo andare avanti. Ricordo molto bene e con piacere la prima visita di Giovanni Paolo II in Germania: a Magonza, erano seduti allo stesso tavolo, lui ed i rappresentanti della Comunità evangelica, a ragionare su come procedere. In seguito a quell’incontro fu istituita quella Commissione dalla quale è scaturita poi la Dichiarazione di Augusta sulla Giustificazione. Credo che sia importante che noi tutti abbiamo sempre, costantemente presente l’unità, proprio nella centralità del nostro essere cristiani e non solo nell’occasione di determinati incontri; per questo, qualunque cosa possiamo fare a partire dalla nostra fede, avrà comunque un significato ecumenico.

D. – Santità, purtroppo proprio nei nostri Paesi ricchi del Nord, si manifesta un allontanamento dalla Chiesa e dalla fede in generale, ma soprattutto da parte giovani. Come ci si può opporre a questa tendenza? O meglio, come si può dare una risposta alla ricerca del senso della vita – “Che senso ha la mia vita?” – da parte dei giovani, per far sì che i giovani dicano: “Ehi, ecco quello che fa per noi: è la Chiesa!”?

R. – Ovviamente, stiamo tutti cercando di presentare il Vangelo ai giovani in maniera che essi comprendano: “Ecco il messaggio che stavamo aspettando!”. E’ vero anche che nella nostra società occidentale moderna ci sono molte zavorre che ci allontanano dal cristianesimo; la fede appare molto lontana, anche Dio appare molto lontano … La vita invece piena di possibilità e di compiti … e tendenzialmente il desiderio dei giovani è di essere padroni della propria vita, di viverla al massimo delle sue possibilità … Penso al Figliol Prodigo che considerava noiosa la sua vita nella casa paterna: “Voglio vivere la vita fino in fondo, godermela fino in fondo!”. E poi si accorge che la sua vita è vuota e che in realtà era libero e grande proprio quando viveva nella casa di suo padre! Credo però che tra i giovani si stia anche diffondendo la sensazione che tutti questi divertimenti che vengono offerti, tutto il mercato costruito sul tempo libero, tutto quello che si fa, che si può fare, che si può comprare e vendere, poi alla fine non può essere ‘il tutto’. Da qualche parte, ci dev’essere il ‘di più’! Ecco allora la grande domanda: “Cos’è quindi l’essenziale? Non può essere tutto quello che abbiamo e che possiamo comprare!”. Ecco allora il cosiddetto ‘mercato delle religioni’ che però in qualche modo torna ad offrire la religione come una merce e quindi la degrada, certamente. Eppure indica che esiste una domanda. Ora, occorre riconoscere questa richiesta e non ignorarla, non scansare il cristianesimo come qualcosa di ormai concluso e sufficientemente sperimentato, e contribuire affinché esso possa essere riconosciuto come quella possibilità sempre fresca, proprio perché originata da Dio, che cela e rivela in sé dimensioni sempre nuove … In realtà, il Signore ci dice: “Lo Spirito Santo vi introdurrà in cose che io oggi non posso dirvi!”. Il cristianesimo è pieno di dimensioni non ancora rivelate e si mostra sempre fresco e nuovo, se la domanda è posta dal profondo. In un certo senso, si imbatte la domanda che già c’è e la risposta che viviamo e che noi stessi, proprio attraverso quella domanda, riceviamo sempre di nuovo. Questo dovrebbe essere l’evento nell’incontro tra l’annuncio del Vangelo e l’essere giovani.

D. – Ho la sensazione che l’Europa stia rinunciando a se stessa, ai suoi valori, a quei valori fondati sul cristianesimo e anche i valori umani, che questi contino sempre meno. Noi europei viviamo con una certa stanchezza, mentre ad esempio cinesi e indiani mostrano una grande vitalità. Parliamo delle radici cristiane, in riferimento anche al Trattato costituzionale dell’Unione Europea. L’Europa è in crisi. Ora, un evento come la Giornata mondiale della Gioventù, alla quale è previsto che partecipi quasi un milione di persone, può dare un impulso a ricercare le radici cristiane, soprattutto da parte dei giovani, affinché possiamo tutti continuare a vivere in maniera “umana”?

R. – Ce lo auguriamo, perché proprio un incontro del genere, tra persone che vengono da ogni continente, dovrebbe dare un impulso nuovo anche al continente “vecchio”, che lo ospita; dovrebbe aiutarci a non guardare solo a quanto vi è di malato, di stanco, di mancato nella storia europea – non dimentichiamo che ci troviamo in una fase di auto-commiserazione e auto-condanna. Ma in tutte le storie c’è stato qualcosa di ‘malato’, anche se nella nostra, che pure ha sviluppato possibilità tecniche così grandi, questo assume un significato ancora più drammatico. Dobbiamo però guardare anche alle cose grandi che sono nate in Europa! Diversamente non sarebbe possibile, oggi, che tutto il mondo ‘vivesse’ in qualche modo della civiltà che in Europa si è sviluppata, se questa civiltà non avesse radici molto profonde! Oggi noi abbiamo solo queste da offrire; succede invece che raccogliendo questa civiltà, ma cercando altre radici, alla fine si cade in contraddizione … Credo che questa civiltà, con tutti i suoi pericoli e le sue speranze, possa essere ‘dominata’ e condotta alla sua grandezza solo se essa imparerà a riconoscere le sorgenti della sua forza; se riusciremo di nuovo a vedere quella ‘grandezza’, in modo che restituisca l’orientamento e l’importanza alla possibilità di essere Uomo, così minacciata; se riusciremo di nuovo a gioire del fatto di vivere in questo continente che ha determinato le sorti del mondo – nel bene e nel male. Proprio per questo noi abbiamo il dovere costante di riscoprire la verità, la purezza, la grandezza e di determinarne il futuro, per pórci quindi in maniera nuova e magari migliore al servizio dell’umanità intera.

D. – Un’ultima domanda. Lo scopo ideale da raggiungere con la Giornata mondiale della Gioventù di Colonia: se proprio tutto andasse nel migliore dei modi …

R. – Bè, sicuramente che passi un vento di nuova fede sulla gioventù, sopratutto sulla gioventù della Germania e dell’Europa. In Germania ci sono tuttora grandi istituzioni cristiane, i cristiani compiono ancora molte opere di bene, ma c’è anche tanta stanchezza. Siamo talmente impegnati a risolvere questioni strutturali che ci mancano poi l’entusiasmo e la gioia che vengono dalla fede. Se questa ventata riuscisse a far rivivere in noi la gioia di conoscere Cristo, e riuscisse a imprimere un nuovo slancio alla Chiesa che è in Germania e in tutta Europa, penso che potremmo dire che la Giornata mondiale della Gioventù ha raggiunto il suo scopo.

Dopo l’incontro con Gesù, quale il segreto per non perderlo più?

“Perché vai alla GMG?” “Perché spero di incontrare Gesù”, ha risposto una ragazza arrivata qui a Colonia insieme a centinaia di migliaia di giovani da tutto il mondo. Penso che non è l’unica ad avere in cuore questo struggente desiderio: incontrare Gesù! Ed è anche il motto di questa GMG: cercare Cristo, trovarlo ed adorarlo. La “Giornata mondiale della gioventù” – questa ispirata invenzione del nostro amatissimo Papa Giovanni Paolo II – è un’occasione privilegiata per incontrare Gesù vivo nella sua Chiesa, nell’unità con il nuovo Papa Benedetto XVI, con i vescovi e tra i giovani venuti da ogni angolo della terra. Incontrare Gesù, adorarLo e poi portarLo agli altri, dovunque andiamo. Carissimi giovani, ma sapete che c’è un segreto per non perderLo più questo Gesù che durante gli eventi della GMG ci appare così bello, così vivo, così affascinante? Il segreto è questo: bisogna amare! Per amare Dio, per rimanere in Lui, per essere nella luce sempre, bisogna amare gli altri! Guardate, io vi parlo della mia esperienza di più di 60 anni, ma anche dell’esperienza di un popolo intero, sparso su tutto il pianeta, milioni di uomini, donne e bambini che hanno scelto l’amore come stile di vita! E’ questo il segreto di una vita felice, piena, interessante, sempre nuova, mai noiosa, sempre sorprendente! Vi dico un piccolo, ma grande esempio: ho saputo recentemente che un gruppo di giovani in un campo profughi in Africa, dove manca più o meno tutto, vuole cambiare con il proprio amore il campo in un paradiso e mi raccontano veramente delle esperienze concrete dove questo si realizza. Capite che vuole dire? Vuol dire che l’amore vince tutto! Si potrebbero dire infinite cose su quest’amore che Gesù ci insegna con la sua vita, con le sue parole, con i suoi santi. Ma per oggi vorrei sottolineare solo due punti, che sono però di fondamentale importanza: 1) Bisogna amare TUTTI, senza eccezioni, senza selezioni, senza preferenze – come fa Dio con noi! E qui si tratta di amare l’amico e il nemico, quello simpatico e quello antipatico, l’insegnante e il vicino di casa, il postino e il collega. Amare TUTTI significa anche amare la gente lontana da noi, ma presente tramite i massmedia, come le vittime dello Tsunami nel Sudest-Asiatico, o i giovani della GMG, venuti dai Paesi poveri, che voi avete aiutato con il Fondo di solidarietà. 2) Il secondo punto: bisogna amare PER PRIMI. Normalmente si ama quando si è amati, si risponde all’amore che ci arriva. E se non arriva? No, è molto meglio prendere noi l’iniziativa, incominciare per primi a dare un segnale di amicizia, di perdono, di volontà a ricominciare da capo. Provate ad amare così, sperimenterete una grande libertà perché siete voi i protagonisti! Carissimi giovani, coraggio! Vale la pena vivere così, non siete fatti per le cose a metà, date il vostro cuore a Colui che lo sa riempire. Dio ha bisogno di giovani così, infuocati, che non si fanno frenare dai propri problemi, questi eterni ostacoli all’amore, persone che hanno bruciato tutto nel fuoco dell’Amore di Dio e che trascinano gli altri. Che Gesù che avete incontrato resti sempre con voi! Nell’Amore vero, Chiara

(altro…)

Per una convivenza fraterna fra popoli e religioni

E’ possibile la convivenza pacifica nella nostra società sempre più multiculturale, multietnica, multireligiosa? Il dialogo fra le religioni sarà al centro del “Festival for a united world”. Giovedì 18 agosto, alle ore 20, al Friedenspark, il ‘Parco della Pace’ di Colonia, giovani di vari Paesi – Israele, Egitto, Siria, Libano, Colombia, Argentina, Brasile, Filippine, Madagascar, Germania, Austria e Belgio – testimonieranno la fraternità vissuta in ambienti spesso caratterizzati da tensioni sociali e politiche, da indifferenza e individualismo. Si svolgerà nell’ambito di “Colourdome”, uno dei contributi dei Giovani per un mondo unito, dei Focolari, alla Giornata Mondiale della Gioventù 2005. Qualche anticipazione: Ossama è egiziano. Lavora nell’ufficio di una agenzia di trasporti. Quasi tutti i suoi colleghi sono musulmani. … E’ una sfida. I primi giorni è assalito da un senso di insicurezza. Si impegna a vivere sulla base della “regola d’oro” che tante religioni hanno in comune: “Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te.” (Mt. 7,12). Comincia da piccolissimi gesti, come preparare il té per gli operai che tornano stanchi dopo aver caricato i camion. Pian piano crolla ogni barriera e nasce una vera amicizia. Ages, del Sudest asiatico. In Asia i cristiani sono una minoranza fra buddisti, indù e musulmani. Non è certo scontato saper dialogare: è un’arte da apprendere. Per questo Ages è andata a Tagaytay, cittadella del Movimento dei Focolari nelle Filippine. Lì si svolgono i corsi della “Scuola per le Religioni Orientali”, ai quali partecipano giovani di religioni diverse provenienti da Corea, Giappone, Hong-Kong, Singapore, Indonesia e Tailandia. Anche azioni concrete sul fronte politico possono contribuire all’avvicinamento tra le religioni Ne parla Sylwin di Cebu. Reagendo alla diffusa apatia politica, i giovani dei Focolari, delle Filippine, in occasione delle elezioni presidenziali che si sono svolte lo scorso anno, si sono impegnati a promuovere il “White Forum”, un laboratorio nazionale aperto a tutti per invitare i giovani loro coetanei a partecipare alle elezioni. Con il coinvolgimento di varie organizzazioni giovanili, l’invito a farsi protagonisti di un futuro migliore per il Paese è passato attraverso i mezzi di comunicazione, contatti nelle parrocchie, nelle scuole. Un’esperienza di fraternità e dialogo che ha avvicinato giovani di provenienze sociali e culturali diverse, e oggi continua.

(altro…)

Mai soli nella prova

Il doppio stipendio Abito in una piccola città dell’interno dello stato di Santa Catarina, nel sud del Brasile, dove le prospettive di lavoro sono scarse e gli stipendi insufficienti. Nella ditta dove lavoro faccio la parcheggiatrice, un lavoro pesante, tutto il giorno sotto il sole o sotto la pioggia. Un giorno mio padre viene a trovarmi e mi confida la sua difficoltà, per quel mese, a coprire le spese della casa. Con la mia situazione economica era impossibile poterlo aiutare. Ho provato un gran dolore. Mi sono però ricordata che ho un Padre in Cielo e mi sono rivolta a Lui con fiducia di figlia, sapendo che non ci lascia mai soli nella prova e certa che avrebbe provveduto al necessario. Proprio in quei giorni ho ricevuto un’offerta di lavoro più vantaggiosa in un’altra azienda. Andando a presentare le dimissioni sono rimasta sorpresa quando il caposettore mi ha offerto un doppio stipendio in ricompensa del mio sforzo per aver compiuto bene il lavoro e per l’impegno con il quale ho cercato di stabilire rapporti veri con i colleghi. In quel “doppio” stipendio ho colto la risposta del Padre comune che aveva provveduto alle necessità del mio papà, che ricevendolo non ha potuto trattenere le lacrime! (S.J. – Brasile) Tratto da Quando Dio interviene – Esperienze da tutto il mondo, Città Nuova Editrice 2004

(altro…)

Il tuffo in Dio: i 40 giorni di Carlo e Alberto

Islam – Storie italiane di buona convivenza, di Luigi Accattoli

Dalla presentazione: «Cresce la paura dell’Islam, e questa inchiesta la combatte raccontando storie di buona convivenza: oltre 150, ambientate nel nostro paese o vissute da italiani in giro per il mondo. Il libro è ispirato all’idea che la buona convivenza è frequente, ma il suo racconto è raro. La narrazione passa da eventi minimi, come un gesto o una parola occasionali di riconoscenza, a scelte di vita da parte di immigrati che hanno ricevuto aiuto e vogliono ricambiarlo. E’ frequente la scoperta di storie singolari: un tunisino che fa il sacrestano a Milano, un ingegnere di origine siriana sindaco di un paesino dell’Abruzzo, un imprenditore piemontese che ha sei dipendenti musulmani su trenta in azienda e li tratta come figli, giovani turchi e di altri paesi che studiano alla Gregoriana, una decina di immigrati islamici in contatto con il Movimento dei Focolari, famiglie osservanti che mandano i figli a scuola dalla suore o scelgono per loro l’insegnamento della religione cattolica. Vengono intervistati musulmani che lavorano alle ACLI, alla Caritas, al Centro Astalli e addirittura in Vaticano». L’inchiesta è stata condotta con la collaborazione di Ciro Fusco ed Emilio Vinciguerra e con il contributo del Servizio nazionale per il Progetto culturale della CEI. Islam – Storie italiane di buona convivenza, di Luigi Accattoli, Edizioni Dehoniane, Bologna 2004, pp. 222

(altro…)

«Abbiamo ricominciato a pregare»

Roxana e Susan, la prima è medico, la seconda ingegnere: ambedue sciite iraniane, hanno conosciuto il Movimento dei Focolari nel 1990 e da molti anni collaborano con esso. Una storia singolare, la loro, così narrata da Roxana: «Quando nel nostro paese è scoppiata la rivoluzione, avevamo 12 anni e ci siamo lanciate con entusiasmo a lavorare per la pace e perché non ci fossero più poveri nella nostra società. Ma ci sentivamo piccole di fronte a problemi così grandi: anche la nostra fede vacillava e pian piano ci siamo allontanate dalle pratiche religiose e da Dio. Dopo il diploma ci siamo trasferite in Italia per continuare gli studi».

«Dopo l’incontro con i Focolari» – racconta Susan – «abbiamo scoperto un nuovo rapporto con Dio mai sperimentato. Quel Dio un tempo così lontano ora era vivo e ci accompagnava ogni momento. A poco a poco è nato in noi il desiderio di approfondire la nostra religione. Abbiamo ricominciato a pregare». Roxana descrive nel dettaglio la riscoperta dell’Islam che ne è seguita: «La nostra religione e la cultura del nostro popolo è come se si fossero illuminate di una luce nuova. Ad esempio, rileggendo alcune poesie scritte lungo i secoli, vi abbiamo trovato la presenza di Dio-Amore: quelle parole, tante volte ripetute a memoria a scuola e mai capite, ora prendevano pieno significato. Rumi, un nostro poeta, scrive in una bellissima poesia: “Con l’amore le spine si trasformano in fiori…con l’amore il dolore diventa gioia”. Un giorno ho pensato di scrivere una lettera a mio zio. Gli ho parlato di come mi sentivo amata da Dio, nonostante i problemi non mancassero. Poco tempo dopo ho ricevuto la sua risposta: scriveva che era bello sentire Dio così vicino e che anche nel Corano era scritto che Dio è dentro di noi come le vene del nostro corpo. Mi sono venute in mente le parole del Profeta (che la pace sia con lui) che tra l’altro dice: “A chi cerca di avvicinarsi a me di una spanna, lo avvicinerò di un cubito; e a chi si avvicinerà di un cubito, io mi avvicinerò di due braccia, se qualcuno cammina verso di me, io correrò verso di lui”. Mi sembrava di aver solo camminato verso Dio e lui è corso verso di me, riempiendomi della sua gioia e pienezza». Tratto da: Islam – Storie italiane di buona convivenza, di Luigi Accattoli, Edizioni Devoniane, Bologna 2004, pp. 222 (altro…)

Commento di Chiara Lubich alla Parola di vita del mese di agosto 2005

È notte. I discepoli tentano di attraversare il lago di Tiberiade; la barca è tormentata dalla burrasca e dal vento contrario. Un’altra volta si erano già trovati in una situazione simile; allora il Maestro era con loro sulla barca , ora invece Egli è rimasto a terra, è sul monte a pregare.
Ma Gesù non li lascia soli nella tempesta; scende dal monte, va loro incontro, camminando sulle acque, e li rincuora: “Abbiate coraggio, sono io! non temete” . Sarà vero o è soltanto un’illusione? Pietro, dubbioso, gli chiede una prova: poter camminare anche lui sulle acque. Gesù lo chiama a sé. Pietro esce dalla barca, e il vento minaccioso lo spaventa e comincia ad affondare. Gesù allora lo afferra per mano dicendogli:

“Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”

Anche oggi Gesù continua a rivolgerci queste parole ogni volta che ci sentiamo soli e impotenti nelle tempeste che spesso si abbattono sulla nostra vita. Sono malattie o gravi situazioni familiari, violenze, ingiustizie… che insinuano nel cuore il dubbio se non addirittura la ribellione: “Perché Dio non vede? Perché non mi ascolta? Perché non viene? Perché non interviene? Dov’è quel Dio Amore in cui ho creduto? È soltanto un 'fantasma', un'illusione?”  
Come ai discepoli impauriti e increduli, Gesù continua a ripetere: “Abbiate coraggio, sono io! non temete”. E come allora scese dal monte per farsi vicino a loro in difficoltà, così ora Egli, il Risorto, continua a venire nella nostra vita e cammina accanto a noi, si fa compagno. Non ci lascia mai soli nella prova: Lui è lì per condividerla. Forse non lo crediamo abbastanza, per questo ci ripete:

“Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”

Queste parole, oltre che un rimprovero, sono un invito a ravvivare la fede. Gesù, quand’era sulla terra con noi, ha fatto molte promesse, ha detto, ad esempio: “Chiedete e otterrete…” ; “Cercate prima il regno di Dio e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta” ; a chi avrà lasciato tutto per Lui sarà dato il centuplo in questa vita e in eredità la vita eterna.
Tutto si ottiene, ma occorre credere all’amore di Dio. Per dare, Gesù domanda che almeno si riconosca che Lui ci ama.
Invece spesso ci si affanna come dovessimo affrontare la vita da soli, come fossimo orfani, senza un Padre. Al pari di Pietro, siamo più attenti alle onde agitate che sembrano sommergerci che non alla presenza di Gesù che poi ci prende per mano.
Se ci fermassimo ad analizzare ciò che ci fa male, i problemi, le difficoltà, sprofonderemmo nella paura, nell’angoscia, nello scoraggiamento. Ma non siamo soli! Crediamo che c’è Qualcuno che ha cura di noi. È a Lui che dobbiamo guardare! È vicino anche quando ci sembra di non avvertirne la presenza. Crediamolo, fidiamoci di Lui e affidiamoci a Lui.
Quando la fede viene passata al vaglio, lottiamo, preghiamo, come Pietro che gridò: “Signore, salvami!”  o come i discepoli in un’analoga situazione: “Maestro, non t'importa che moriamo?”  Egli non ci lascerà mai mancare il suo aiuto. Il suo amore è vero ed Egli si fa carico di ogni nostro peso.

“Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”

Anche Jean Luis era un giovane di “poca fede”. Benché cristiano, a differenza degli altri membri della famiglia, dubitava dell’esistenza di Dio. Viveva a Man, in Costa d’Avorio, con i fratelli più piccoli, lontano dai genitori.
Quando la città è presa dai ribelli, quattro ne entrano in casa, fanno razzia di tutto e vogliono arruolare a forza il giovane, visto il suo aspetto di atleta. I fratelli minori supplicano di lasciarlo, ma invano.
I ribelli stanno per uscire con Jean Luis, quando il capo cambia, decide di lasciarlo. Poi sussurra alla sorella più grande: “Andate via al più presto, domani torneremo…”, e indica il sentiero da prendere.
“Sarà quello giusto? Sarà una trappola?” si chiedono i ragazzi.
Partono all’alba senza un soldo in tasca, ma con un briciolo di fede. Camminano per 45 km. Trovano uno che paga loro il passaggio su un camion che li porti verso la casa dei genitori. Per strada persone sconosciute li alloggiano e danno loro da mangiare. Ai posti di blocco e di frontiera nessuno controlla i loro documenti, finché giungono a casa.
Racconta la mamma: “Non erano in buone condizioni, ma travolti dall’amore di Dio!”
Jean Luis per prima cosa chiede dov’è una chiesa e dice: “Papà, il tuo Dio è veramente forte!”

 

Chiara Lubich

 

Quale futuro per una società multiculturale, multietnica e multireligiosa dopo i fatti terroristici?

“Quale futuro per una società multiculturale, multietnica, multireligiosa?” E’ questo un interrogativo inquietante che si pone non solo l’Inghilterra, ma tutta l’Europa e non solo, dopo gli attentati terroristici che il 7 luglio scorso ha colpito il cuore di Londra, la città più cosmopolita del vecchio continente e il 23 luglio Sharm el Sheikh in Egitto.

E’ anche il titolo della Mariapoli, il tipico incontro estivo promosso dai Focolari in varie parti del mondo, iniziata domenica 24 luglio a Lake District Windermere, nel Nord dell’Inghilterra, dove partecipano oltre 600 persone tra cui un gruppo di musulmani.

All’interrogativo sul futuro del società multiculturale aveva dato una risposta, oggi di grande attualità, Chiara Lubich, a Londra proprio un anno fa, il 19 giugno 2004 alla Westminster Central Hall, davanti a oltre 2000 persone, presenti personalità musulmane, buddiste, sikh, indù. Un messaggio ora riproposto in video nelle Mariapoli.

Non uno scontro di civiltà, ma la nascita di “un mondo nuovo”. Di fronte ai timori del futuro Chiara Lubich prospetta questa visione di s. Agostino nel tempo di migrazione dei popoli. Indica il dialogo come prevenzione al terrorismo e le vie per attuarlo, quella “regola d’oro” comune a molte religioni: “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatta a te”, quell’amore che sa farsi ascolto al punto tale da “entrare nella pelle dell’altro, penetrare nel senso che ha per lui essere buddista, musulmano, indù”. E’ questa la via per inculturarsi reciprocamente a suscitare una società dove “le culture sono aperte le une alle altre e in profondo dialogo d’amore”. Propone alle religioni una strategia di fraternità le religioni per sanare il divario tra ricchi e poveri e imprimere una svolta nei rapporti internazionali Molti sono gli echi i giunti via e-mail da vari Paesi da cristiani, musulmani e seguaci di altre religioni che hanno partecipato alle Mariapoli sinora svolte in questi mesi estivi. A Los Angeles, dove erano presenti amici musulmani seguaci di W.D. Mohammed, leader degli afro-americani, scrivono: “Ascoltare insieme questo messaggio di fratellanza universale, appena saputo degli attentati a Londra è stato un vero segno di speranza. Per tutti è stato forte vedere la fratellanza universale già in atto fra noi”. Alla Mariapoli di St Vith in Belgio, erano rappresentate 18 nazionalità. “Ciò che più ha colpito i musulmani è stata l’esperienza di Dio in mezzo alla comunità, presente per l’amore scambievole vissuto”. Così ad Amman, in Giordania, dove era presente anche un gruppo proveniente dall’Iraq. E a Istanbul. Un ex militare musulmano, ora docente: “Qui ho visto che la fratellanza ha preso un’altra dimensione. Tutto quello che abbiamo sentito mi richiama i pensieri di Mevlana (grande mistico musulmano turco)”. E una signora musulmana: “Qui le diversità si sono trasformate in unità. Abbiamo sperimentato l’arcobaleno della pace, colorato dall’amore”.   (altro…)

La croce e la sinagoga. Ebrei e cristiani a confronto

Una storia tormentata, quella del rapporto fra ebrei e cristiani, fatta di secoli di violenza e di diffamazione, che solo da pochi decenni sta lasciando il passo ad un cammino nel quale “fratelli maggiori” e “fratelli minori” cominciano a guardarsi negli occhi e a parlarsi. Se tra gli ebrei aumentano i fautori del dialogo, da parte cristiana si fanno sempre più convinti i riconoscimenti delle radici ebraiche della loro fede.

Nel volume, esponenti di primo piano dell’ebraismo e del mondo cattolico accettano di raccontarsi ai lettori e di rispondere ad un cronista che li incalza sui temi più scottanti di ieri e di oggi: dal ruolo di Pio XII durante la persecuzione degli ebrei, alla figura di Giovanni Paolo II, considerato dagli ebrei il miglior papa in duemila anni di cristianesimo; all’eredità che è ora nelle mani del suo successore Benedetto XVI. In primo piano anche il conflitto israelo-palestinese, il dilagare del terrorismo e i rigurgiti di antisemitismo, ma anche le iniziative e le speranze di chi si è impegnato nel dialogo e crede nella possibilità di relazioni finalmente libere e senza pregiudizi. Interventi di: Jack Bemporad, Riccardo Di Segni, Xavier Echevarria, Rino Fisichella, Innocenzo Gargano, Ada Janes, Leone Jehuda Kalon, Giuseppe Laras, Chiara Lubich, Amos Luzzatto, David Meghnagi, Jorge Maria Mejía, David Rosen, Manuela Sadun Paggi, Joseph Sievers, Ambrogio Spreafico, Elio Toaff, Maria Vingiani. La Croce e la Sinagoga Ebrei e cristiani a confronto a cura di Giovan Battista Brunori Franco Angeli Editore Collana: La società/Saggi pp. 208, € 20,00 (altro…)

Chiara Lubich, i Focolari e gli ebrei

Il rabbino Jack Bemporad incontrò per la prima volta Chiara Lubich quando le conferì la laurea honoris causa: “avevo letto i suoi libri – dice Bemporad – vedevo che lei era una persona ispirata, e avevo notato il lavoro che faceva il focolare negli Stati Uniti, un lavoro importantissimo…. Ho capito che Chiara era una persona molto favorevole al dialogo: era molto aperta, le piacevano la franchezza e la sincerità e anche la sua spiritualità mi ha dato un’impressione molto favorevole. Poi ho visto che il Movimento dei Focolari si adopera per stringere relazioni con le altre religioni e per trovare una base per comunicare, non in senso dogmatico, non si vuole nascondere la propria religione, ma i focolarini sono convinti che bisogna trovare qualcosa che ci unisce: forse quello che ci unisce è il rispetto per la persona e la convinzione che è possibile nutrire amore da dare agli altri. D. Come e quando è nato il suo rapporto con gli ebrei e con l’ebraismo? R. Con la diffusione del Movimento che, a partire dagli anni ’50, aveva varcato i confini dell’Europa, ci siamo incontrati faccia a faccia con persone di altre fedi. Tanto che, quando nel 1977 ho dato la mia testimonianza alla Guildhall a Londra in occasione del Premio Templeton per il progresso della religione, ho già potuto parlare del dialogo “con i fedeli del nobile e martoriato popolo ebreo”. “Condividiamo con esso – avevo detto – parte della rivelazione”. Ed avevo espresso loro la nostra gratitudine per “averci dato Gesù ebreo, gli apostoli ebrei ed anche Maria ebrea”. Ed era stato proprio questo avvenimento l’evento fondante del nostro dialogo interreligioso, che diventerà parte integrante degli scopi del Movimento. Mentre parlavo davanti a rappresentanti qualificati delle grandi religioni mondiali, avevo la profonda sensazione che tutti fossimo una cosa sola, anche se di fedi diverse. D. Ha mai partecipato a celebrazioni ebraiche, ed eventualmente cosa l’ha colpita di quelle celebrazioni? R. Non è stata una vera e propria celebrazione ebraica quella a cui ho partecipato a Buenos Aires, in Argentina, ma un incontro con membri della comunità ebraica provenienti da tutta l’Argentina e dall’Uruguay. Era il 20 aprile 1998. Lo ricordo come fosse ora: è stato con grande commozione che abbiamo fatto un patto di amore scambievole, così profondo e sentito, da aver l’impressione di superare di colpo secoli di persecuzioni e di incomprensioni. Ricordo le parole del dott. Kopec, il presidente della B’nai B’rith Argentina, organismo ebraico internazionale, che mi aveva invitata: “Questo è un patto di fede nel guardare al futuro e sotterrare secoli di intolleranza”. In quella sala, ero stata accolta con un canto di “Shalom”. La cerimonia si apriva con la solenne accensione della menorah, il candelabro a 7 braccia, simbolo di luce, giustizia, pace, benevolenza, fratellanza, e concordia. Ricordo l’emozione di quel momento, quando fui invitata ad accendere, insieme al Presidente Kopec, proprio il braccio centrale, simbolo della verità, sigillo di Dio, cuore della vita. Nel preparare il discorso che avrei pronunciato quel giorno, avevo scoperto con sorpresa che le stesse linee della spiritualità dell’unità, sgorgata dal Vangelo vissuto e che segnarono la nascita del Movimento, agli inizi degli anni ’40, potevano essere quasi riscritte con i versetti dell’Antico Testamento e della tradizione ebraica. Ma il momento più denso di commozione per tutti noi presenti in quella sala era stato paradossalmente quando avevo parlato del mistero centrale del cristianesimo, cuore della nostra spiritualità e motivo per gli ebrei di 2000 anni di sofferenza: Gesù in croce che grida ’Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato’, parole che si ritrovano nell’Antico Testamento, nel Salmo 22. Avevo riportato un brano che richiamava proprio quel Salmo. Era di un ebreo contemporaneo, filosofo delle religioni, recentemente scomparso, Pinchas Lapide: “Quale migliore personificazione si può trovare per il popolo ebreo di questo povero Rabbi di Nazareth?” – si chiede. Lapide vede in quel grido di Gesù anche e soprattutto i dolori della Shoah: “Elì, elì, lamà sabactanì non è soltanto il Salmo di David e una parola di Gesù sulla croce, ma direi quasi, il leitmotiv di coloro che furono deportati ad Auschwitz e Maidanek”. Si chiede: “Non è questo rabbino, che muore dissanguato sulla croce, l’autentica incarnazione del suo popolo sofferente, troppe volte ucciso sulla croce di quell’odio antiebraico, che noi pure abbiamo dovuto sperimentare nella nostra giovinezza?”. Mi era fiorita una certezza, e l’ho comunicata agli amici ebrei che gremivano quella sala: “Quel dolore indicibile della Shoah e di tutte le più recenti sanguinose persecuzioni, non può non portare frutto”. E “noi – avevo aggiunto – vogliamo condividerlo con voi, perché non sia un abisso che ci separa, ma un ponte che ci unisce. E che diventi un seme di unità”. Quell’unità che non è solo “nei desideri di Gesù”, ma che “è sentita fortemente anche dal popolo ebraico”. Questa unità era già tangibile in quella sala. Abbiamo sperimentato un momento di Dio. Si spalancava una nuova speranza. Da allora questa forte esperienza di fraternità si rinnova e approfondisce. Ogni anno sono sempre più numerosi gli amici ebrei protagonisti della giornata della pace che viene celebrata nella nostra cittadella di O’Higgins, in Argentina. Quest’anno erano in 300 venuti da Buenos Aires, Cordoba, Rosario. Il Rabbino dr. Mario Hendler, che presiede la Convenzione rabbinica latino-americana, ha affermato: “Stiamo costruendo un momento della storia di cui solo in futuro si comprenderà la portata”. D. Che cosa pensa dell’antisemitismo crescente anche in Italia? R. Viviamo ore difficili. Mi ritorna con forza quanto già dissi subito dopo la giornata interreligiosa per la pace di Assisi del gennaio 2002, dopo il tragico attentato dell’11 settembre: qui non si tratta soltanto di un fattore umano come l’ odio, ma c’ è di mezzo “la forza delle tenebre”, ci sono le forze del Male. E come non vedere il persistere dell’azione del Male nei rigurgiti di antisemitismo che rispuntano, nell’ombra cupa del terrorismo che continua ad investire tutto il pianeta? Non basta perciò l’elemento politico, civile, umano, per contrapporsi. Anche quello è necessario, ma urge che le religioni si mobilitino. Se prima il dialogo interreligioso si poteva fare, era segno dei tempi, adesso è un’esigenza improrogabile, proprio per le circostanze. Perché contro il Male – con la M grande – ci vuole il Bene con la B maiuscola, ci vuole Dio, ci vuole l’aiuto di Dio, l’aiuto soprannaturale. E’ perciò essenzialissimo l’aspetto religioso oggi nel mondo. Se tutte le religioni sono chiamate a dare il loro apporto di pace, tanto più questo è un imperativo per noi cristiani ed ebrei, accomunati dall’Alleanza, chiamati ad essere insieme protagonisti di quel disegno maestoso di pace e unità tracciato dalla Rivelazione: la nuova Gerusalemme . D. – I cristiani possono fare qualcosa per diffondere un clima di rispetto e di riconciliazione con chi è diverso da loro? R. Certamente! Molte sono nel mondo le forze che operano in questo senso. Nella nostra esperienza, se è possibile il dialogo in tanti Paesi del mondo, anche in punti cruciali come in Israele, dove da anni arabi cristiani si incontrano periodicamente con ebrei, è perché viene costruito giorno dopo giorno con lunghi tempi di maturazione attraverso rapporti personali. Il segreto per noi è racchiuso in quella che abbiamo chiamato “arte d’amare” appresa dal Vangelo, e che sempre più si rivela universale e capace di sciogliere conflitti, violenza, pregiudizi, perché ha in sé una forza divina. E’ quest’arte che va diffusa ovunque. E’ sperimentata da 60 anni in tutte le latitudini, da persone di ogni età, condizione sociale e credo. E’ un amore che va al di là dei limiti dei legami famigliari o di amicizia, e si apre a tutti, senza discriminazione e pregiudizio alcuno. Quest’arte richiede di “amare l’altro come sé”, come recita “la regola d’oro” comune a tutte le religioni. Il segreto di quest’arte è racchiusa in due sole parole: “farsi uno”, cioè “vivere l’altro” Significa far propri i pesi, i pensieri, le sofferenze, le gioie dell’altro. Coinvolge tutti gli aspetti della vita ed è la massima espressione dell’amore, perché, vivendo così, si è morti a se stessi, al proprio io e ad ogni attaccamento; si può realizzare quel “nulla di sé” a cui aspirano le grandi spiritualità e quel vuoto d’amore che sa fare spazio e accogliere l’altro. Nel dialogo interreligioso, “farsi uno” significa – come è stato scritto – “conoscere la religione dell’altro in modo tale che supera l’essere informato sulla sua tradizione religiosa. Implica entrare nella pelle dell’altro, camminare con le sue scarpe, vedere il mondo come l’altro lo vede, porsi le domande dell’altro, penetrare nel senso che ha per l’altro essere ebreo, indù, musulmano, buddista”. Nel rapporto con gli ebrei ciò significa far nostra, per amore, quell’indicibile sofferenza che ha segnato la storia di secoli di questo popolo, con la consapevolezza che “interpretazioni erronee e ingiuste del Nuovo Testamento riguardanti il popolo ebreo e la sua presunta colpevolezza sono circolate per troppo tempo, generando sentimenti di ostilità nei loro confronti”. Come risuonò al Colosseo, alla Via Crucis del ’98, guidata dal Papa: “Non il popolo ebraico, da noi per tanto tempo crocifisso, non la folla… non loro, ma noi, tutti noi e ognuno di noi… siamo tutti assassini dell’amore”. Non solo. Dobbiamo testimoniare quell’amore che dimostra coi fatti che sono per noi i fratelli maggiori, proprio perché “la fede testimoniata nella Bibbia ebraica, l’Antico Testamento dei cristiani, per noi non è un’altra religione, ma il fondamento della nostra fede”. Un tale amore ha la forza di sciogliere nei nostri fratelli ebrei ogni timore. L’ascolto spesso diventa reciproco. Si scoprono quegli elementi comuni che possiamo vivere insieme. E’ un dialogo che ci fa riscoprire fratelli, legati da un vincolo profondo. Si possono creare così ovunque spazi di riconciliazione e di fraternità. Davvero si sperimenta quanto Papa Giovanni Paolo II disse in India: “Il frutto del dialogo è l’unione fra gli uomini e l’unione degli uomini con Dio (…). Attraverso il dialogo facciamo in modo che Dio sia presente in mezzo a noi, perché mentre ci apriamo l’un l’altro nel dialogo, ci apriamo anche a Dio”. D. E in quali campi possono collaborare ebrei e cristiani per realizzare una società migliore? R. Sono certa che, in quest’ora del mondo, Dio vuole che cristiani ed ebrei percorriamo un cammino comune, mano nella mano, per dire a tutti che Dio ci ha creati fratelli, per testimoniare al mondo, oggi materializzato, secolarizzato, edonista, la meravigliosa avventura di vite spese perché il suo nome sia annunciato, la fede in lui rafforzata, e siano ripristinati i valori di pace, solidarietà, difesa dei diritti umani, di giustizia e di libertà, da lui sottolineati. Ovunque, siamo chiamati a creare insieme, cristiani ed ebrei, questi spazi di fraternità: negli ambienti di lavoro, nei parlamenti, nelle università, nei quartieri, nelle famiglie. Se viviamo in modo tale che “la dimora divina sia in mezzo a noi”, allora in un mondo che oggi come mai ha bisogno di un supplemento d’anima, inonderemo tutti gli ambiti della società con la forza e la luce dello Spirito, rinnovandoli.

(altro…)