Feb 24, 2005 | Cultura
Editoriale
UNA SFIDA PER L’UOMO – La nostra è un’epoca particolarmente difficile, segnata da innegabili conquiste e da altrettanto innegabili smarrimenti. Da qui, grandi possibilità di maturazione per l’uomo, e insieme grandi possibilità di involuzione. In questo panorama complesso la dimensione etica della vita umana è in crisi. Etica che prima d’essere un insieme anche sacro di norme, è la rivelazione delle radici dell’uomo e il pulsare vitale in esse per sempre più ampie attuazioni. E tutto ciò a causa dello smarrimento dell’autentica dimensione spirituale: smarrimento per il quale il passaggio dal già vissuto al non-ancora vissuto, è oggi tentato da una soluzione radicale: il non-ancora vissuto come negazione del già vissuto. Siamo, perciò, davanti a un’etica della trasformazione continua, di fronte a un’etica dell’immobilità, della pura conservazione. Solo nell’etica dell’amore le due prospettive possono trovare il loro punto di equilibrio.
Nella luce dell’ideale dell’unità
CONFERIMENTO DELLA LAUREA HONORIS CAUSA IN TEOLOGIA DELLA VITA CONSACRATA – di Chiara Lubich – Riportiamo il testo dell’intervento preparato per il 25 ottobre 2004 in occasione del conferimento della Laurea Honoris Causa in teologia della vita consacrata al Claretianum di Roma. L’”APOSTOLATO” NELLA VITA DELLA CHIESA – di Pasquale Foresi – La parola «apostolato» ha ormai acquisito nel linguaggio usuale il senso piuttosto generico di «diffusione del regno di Dio» con la parola, con le opere o con la preghiera. Pertanto l’Autore partendo dalle fonti della Rivelazione cerca di cogliere il significato che il Nuovo Testamento ha dato a tale vocabolo che vi si trova esplicitamente solo pochissime volte e sempre in relazione alla parola «apostolo» – essendo l’apostolato il contenuto della sua azione. Dopo aver sottolineato come dai testi del Nuovo Testamento emergano due concezioni del termine greco apóstolos, una più giuridica in Luca e una più carismatica in Paolo, si analizzano alcuni brani significativi che presentano i primi seguaci di Gesù, la chiamata degli apostoli, la scelta dei Dodici e la loro prima missione. Infine viene trattata la questione di poteri loro conferiti nei confronti della comunità per concludere con l’unico brano esplicito del NT circa l’apostolato dei fedeli. LA TERZA NAVIGAZIONE. PREGHIERA DI UN FILOSOFO – di Giuseppe M. Zanghì – «La sapienza è una delle cose più belle, ed Eros è l’amore per il bello. Perciò è necessario che egli sia filosofo e, in quanto filosofo, che sia intermedio fra il sapiente e l’ignorante». Così Platone nel Simposio. E questo filosofare è forza di braccia, è “fatica”, quella «fatica del concetto» di cui parlerà Hegel molti secoli dopo. E’ la «seconda navigazione» che si fa non più affidandosi allo scorrere delle acque ma alla forza dei remi. Affascinato, fin dalla giovinezza, da questa seconda navigazione, l’Autore racconta – con un linguaggio intimo, vivido e che si fa spesso preghiera –, tutto il percorso che da lì si è snodato fino ad approdare alla scoperta e all’esperienza di «un amore altro da Eros, che seppi chiamarsi Agápe». Un amore che apre a quella che egli chiama «terza navigazione», affidata, questa, non più alla forza del remo e alla fatica del concetto ma al soffiare dello Spirito.
Saggi e ricerche
SULLA LOGICA TRINITARIA DELLA VERITÀ CRISTIANA – di Piero Coda – Ciò che interpella oggi la verità cristiana è la sua capacità di farsi percepire come umanamente rilevante e persino decisiva: come quella via che dà ragione del destino dell’uomo e del mondo alla luce di Gesù Cristo. Ciò invita a una riproposizione creativa della “logica” intrinseca alla verità cristiana, tenendo conto dei guadagni dell’epoca classica e anche di quelli dell’epoca moderna, ma riproponendoli e, per così dire, sviscerandoli e riordinandoli più profondamente secondo il disegno originale della «logica trinitaria» esibita dalla rivelazione. EUROPA. I SUOI FONDAMENTI SPIRITUALI IERI, OGGI E DOMANI – di Joseph Card. Ratzinger – Riportiamo per gentile concessione dell’Autore e del Presidente del Senato della Repubblica Italiana, Sen. Marcello Pera, l’intervento tenuto presso la Biblioteca del Senato, il 13 maggio 2004. In esso l’Autore partendo dalla domanda su cosa sia propriamente l’Europa, sottolinea come essa solo in maniera del tutto secondaria sia un concetto geografico: l’Europa non è un continente nettamente afferrabile in termini geografici, ma è una realtà culturale e storica. LA SOCIOLOGIA RELAZIONALE: UNA PROSPETTIVA SULLA DISTINZIONE UMANO / NON UMANO NELLE SCIENZE SOCIALI – di Pierpaolo Donati – L’Autore espone, in grande sintesi, il senso dell’approccio relazionale nelle scienze sociali, nella versione del realismo critico da lui proposto. Tale approccio parte dalla constatazione che la società contemporanea è caratterizzata da un progressivo distanziamento fra l’umano e il sociale e che, di conseguenza, il sociale non è più percepito come il luogo dove abiti l’umano. L’umano si trova altrove rispetto a ciò che costituisce il tessuto sociale degli incontri che stanno fra i soggetti agenti: sta negli stati interiori degli individui oppure in rappresentazioni o fantasie collettive. Di fronte a tale esito storico, l’Autore sostiene che occorre elaborare un nuovo paradigma teorico che connetta fra loro l’umano e il sociale, da un lato assumendo la loro crescente differenziazione, e dall’altro cercando una teoria sociale e applicazioni pratiche che portino ad un livello più elevato la loro reciproca integrazione. Nella parte critica il saggio sottolinea le profonde ambiguità che hanno caratterizzato il pensiero del Novecento e la necessità di superare, i riduzionismi, le contraddizioni e i dilemmi che abbiamo ereditato dalle scienze sociali moderne.. Nella parte ricostruttiva viene delineato un quadro concettuale volto a definire ciò che vi è di umano nel sociale in chiave relazionale, nell’orizzonte della società in via di globalizzazione.
Spazio letterario
HELENO OLIVEIRA, POETA MIGRANTE, UOMO DI DIALOGO – di Giovanni Avogadri e Giovanni Casoli – Dieci anni fa, la nostra rivista pubblicò alcune poesie di Heleno Oliveira, focolarino brasiliano, poeta e professore universitario. Dopo la sua morte, alcune delle voci più alte del mondo culturale luso–brasiliano, Sophia de Mello Breyner Andresen, Luciana Stegagno Picchio, Armindo Trevisan, hanno presentato in Portogallo, Italia e Brasile raccolte e sillogi di colui che fino ad allora era stato uno sconosciuto. Nel maggio del 2004 la raccolta antologica di Repubblica sulla poesia luso–brasiliana ha consacrato la voce di Heleno nel “canone” di quella letteratura. Presentiamo adesso, con un contributo a due voci, una scelta di poemi dalle raccolte finora pubblicate, più alcuni inediti. RIVISITAZIONI. L’ORRORE PER LA GUERRA – di Oreste Paliotti – Quale messaggio ci tramanda un capolavoro dell’arte musiva come la celebre Battaglia di Alessandro? E’ quanto si chiede l’Autore in questo breve testo.
Per il dialogo
Nel 40° ANNIVERSARIO DELL’ISTITUZIONE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO – di Teresa Osorio Gonçalves – A quaranta anni dalla sua istituzione il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso ha organizzato, dal 14 al 19 maggio 2004, un’assemblea plenaria che si è conclusa, con una sessione pubblica all’Università Urbaniana. In tale assemblea si è ribadito che il fondamento teologico di tale dialogo, come è espresso nella dichiarazione conciliare Nostra Aetate,è Dio stesso, in cui tutti i popoli trovano origine e meta. La Chiesa nulla rigetta di quanto è vero e santo nelle varie religioni.
Libri
UNA NUOVA PROPOSTA DI TEOLOGIA DELLE RELIGIONI NE ‘IL LOGOS E IL NULLA’ DI PIERO CODA – di Juvénal Ilunga Muya e Adriano Fabris – Nel corso degli ultimi decenni, numerose sono state le pubblicazioni dedicate alla teologia delle religioni e al dialogo interreligioso, ma rari gli studi che abbiano tentato di fondare teologicamente, sulla base di una solida spiritualità e riflessione speculativa, l’identità cristiana come relazione all’altro e quindi l’impegno non opzionale ma originario dei cristiani al dialogo. Il recente libro di Piero Coda, Il Logos e il nulla. Trinità religioni mistica (Città Nuova Editrice, 2003, che già nel 2004 ha visto una nuova edizione), tra le tante cose che offre, viene a colmare questa mancanza. Di esso si rilevano, nelle presenti recensioni, alcuni aspetti di fondo: il carattere relazionale del cristianesimo, la centralità della rivelazione trinitaria nell’evento pasquale di Cristo, la missione stessa della Chiesa come relazione agapica, nell’intento di sottolineare l’originalità e la provocazione a pensare che suscita la proposta innovatrice di una teologia cristologica delle religioni fondata sul Cristo crocifisso, abbandonato e risorto. E, in ultimo, la possibilità, all’interno di tale impostazione, di un dialogo fecondo con altre prospettive disciplinari. NUOVA UMANITÀ XXVII – Gennaio – febbraio – 2005/1, n.157 SOMMARIO (altro…)
Feb 22, 2005 | Chiesa
Di mons. Giussani ho un ricordo che non si cancellerà mai. Avevo avuto con lui un colloquio personale a Milano, nel novembre 1998, poco dopo quello storico incontro dei Movimenti con il Papa in piazza s. Pietro, la vigilia di Pentecoste di quell’anno. E’ una delle poche volte che ho avuto l’impressione di incontrare un santo, una santità conquistata con non poche sofferenze. Forte poi un’altra impressione che ho ripetuto ai suoi collaboratori: “Ho incontrato un carisma autentico!”.
Il Papa, in quella vigilia di Pentecoste, ci aveva chiesto “comunione ed impegno”. Era per questo motivo che mi ero recata a Milano. Quell’incontro con il Papa era stato
per tutti noi, come mons. Giussani ha poi scritto anche in una lettera alla sua Fraternità, “la giornata più grande della nostra storia”. E aggiungeva: “L’ho detto anche a Chiara e a Kiko, che avevo di fianco in piazza san Pietro: come si fa, in queste occasioni, a non gridare la nostra unità?”. “La nostra responsabilità è per l’unità, fino a una valorizzazione anche della minima cosa buona che c’è nell’altro”.
Da allora non sono mancate le occasioni per crescere nella conoscenza reciproca e nella comunione, sia personale che come movimenti, in Italia e in altri Paesi. Nel cuore mi resta un’ immensa gratitudine per la sua vita spesa senza risparmio a servizio di un carisma che ha immesso nella Chiesa una nuova corrente di intensa vita spirituale, spalancando a migliaia e migliaia di uomini e donne del mondo l’incontro personale con Gesù e suscitando tante opere concrete in risposta alle attese del nostro tempo. Ora la mia, nostra preghiera è non solo per lui, ma per la sua Opera, nella certezza che porterà nuovi abbondantissimi frutti dello Spirito. Chiara Lubich (altro…)
Feb 20, 2005 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
«Dopo questi eventi non si riesce ad essere più come prima. Mi succede di svegliarmi di notte e di pensare a questi miei fratelli e sorelle del sud. Conosco queste zone: sono delle vere perle di bellezza. E’ tutto distrutto: cose e vite umane… Risuonano dentro le domande che da millenni ci seguono e ci aspettano: “Cos’è l’uomo? Cos’è la vita che stiamo vivendo?” Risuona in tutto il Paese questo grido: “Perché… perché tutto questo?” Questo dolore solca l’aria, come la puzza terribile dei corpi in decomposizione. Non puoi andare avanti nemmeno un metro senza vederne uno.
Buddisti e cristiani sono d’accordo nell’affermare che il lavoro più grande post-catastrofe sarà quello spirituale: dare una risposta a questo senso di smarrimento che attanaglia le anime di molti. Non si possono contare le persone che di colpo, dopo mesi e mesi di scarsità di donatori, si sono letteralmente riversate nelle corsie degli ospedali, in cerca di una siringa per donare il proprio sangue! Sì, ci sono troppi donatori, tanto che già due volte siamo dovuti ritornare indietro io ed un amico mio. Continuo a non dormire la notte: sento le grida della gente che soffre e delle migliaia che corrono in loro soccorso. Tornando a casa trovo una piccola scatola bianca: sono i risparmi di uno studente di scienze politiche, che con i suoi amici, in poche ore, ha raccolto un bel po’ di denaro: eppure lo giudicavo un “insensibile”… Poche ore prima un ragazzino ci aveva portato il sacco dei suoi vestiti «per i nostri al sud». Così un’altra famiglia: tutti corrono, tutti fanno qualcosa. Uno dei nostri amici mi ha chiesto la macchina in prestito: finalmente aveva una buona occasione per dare un colpo d’ala alla sua vita, distribuendo un bel po’ di vestiti superflui: impossibile usare il motorino. Il paese è cambiato, la gente è trasformata. Da vent’anni li conosco i thai, e mai li ho visti così, nella donazione e tutti insieme. Sono felice di stare qui, di piangere i loro morti che ora sono i miei e con tanti far quello che è possibile. Tutti sono mobilitati: anche l’elicottero di una principessa, che trasporterà un piccolo svedese di pochi mesi, salvato per miracolo. Lei ha perso suo figlio, travolto dall’onda. Penso a quell’attrice che ho riconosciuto in mezzo ai soccorsi, ai pacchi, alle medicine da distribuire. Si vedeva dai suoi occhi luminosi che l’amore ci illumina dal di dentro, ci trasfigura. Persino quel riccone, col suo paracadute motorizzato, è venuto al sud per sorvolare le zone disastrate ed avvertire della presenza di cadaveri. Recuperare i corpi in decomposizione è l’allarme del momento. Questo Paese, dunque, non è sensibile solo ai bollettini economici, ma anche sa piangere i propri morti come quelli di quanti sono venuti qui solo per una vacanza e ci hanno lasciato la vita. Siamo uomini, siamo fratelli: è la risposta che mi nasce dentro in queste ore post-tsunami. La solidarietà che respiri nell’aria andando in giro per le strade è più forte dell’odio stupido e cieco che le notizie di guerra ti vorrebbero portare. La gente presta attenzione alle migliaia di storie di solidarietà “fino al dono della vita”, nate durante e dopo l’onda. Una ragazza inglese piange uno sconosciuto tailandese dalla maglietta arancione che l’ha salvata facendola aggrappare ad un albero. Lui poi, è scomparso nell’acqua. Ci si guarda tutti, anche al semaforo, con occhi diversi. Si annullano distanze, differenze. Non ci stordiscono più il successo, la salute, il benessere. Sarei potuto essere io al posto loro! E’ questo in definitiva il senso della vita, e la tragedia te lo svela: l’amore nasce dal dolore, vissuto e superato a favore di un altro essere umano. Per questo ho fiducia che quel «che tutti siano una cosa sola» un giorno si realizzerà». (L. B. – Tailandia) Tratto da CN n. 2/2005 (altro…)
Feb 20, 2005 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Le adozioni a distanza e i progetti di ricostruzione e sostegno economico si muovono insieme per garantire sia un primo soccorso e far fronte così all’emergenza, sia un sostegno mirato alla ripresa e allo sviluppo economico e sociale. Grazie ai nostri amici musulmani in Indonesia, si sono aperte alcune strade per favorire gli aiuti alla popolazione.
I primi interventi
Fino al 1° febbraio sono arrivati all’AMU 280.000 € provenienti da tutto il mondo, anche dalle zone più povere. Così sono stati avviati alcuni progetti in India, Indonesia, Tailandia.
India
Da Madras, Tamil Nadu, una giovane con il fratello e gli amici ha organizzato una rete di aiuti alle persone del posto. Con la somma inviatale sta mantenendo 14 bambini sotto i due anni, qualche adulto ammalato, ha acquistato medicine per un ospedale delle suore francescane di Madras, e adesso propone l’acquisto di reti da pesca per 333 famiglie di Nargecoil e materiale scolastico per 250 bambini. Ecco quanto ci scrive: «A Nargecoil ci sono famiglie che come lavoro producono delle reti per la pesca. Ma hanno perso quasi tutto. Col nostro aiuto potrebbero riprendere questo lavoro. Ogni famiglia di pescatori ha bisogno di una rete di 5 kg. I pescatori vivono in un villaggio a Kovalam nel Tamil Nadu che è a circa due ore da Madras. In questo modo potremmo aiutare sia le famiglie che producono le reti, sia quelle che ne hanno bisogno. I pescatori sono cattolici, indù e musulmani. Il vescovo di Kovalam è già intervenuto, ma sono rimaste ancora 333 famiglie senza nessun aiuto. Un cardiologo di Madras ha donato una grande imbarcazione e se le famiglie avranno le reti potranno usarla insieme. Infatti queste famiglie non vogliono tanto il piatto di riso che il governo passa ogni giorno, dovendo percorrere lunghe distanze per avere la loro razione, ma sono felici di avere un aiuto per poter ricominciare a lavorare. Mio fratello ed un suo amico sono andati ieri a vedere la situazione e per trasportare le primi reti da Nargecoil a Kovalam (700 km). Hanno trovato un trasporto gratis: le autobotti di benzina e i camion che portano le bombole del gas. Il totale necessario per queste reti sarà di circa 7.200 Euro». «Ci sono due scuole cattoliche. I bambini sono traumatizzati e si deve aiutarli a tornare al più presto a scuola per rientrare nella normalità. Siamo già riusciti a
trovare il grembiulino e le scarpe, la piccola lavagna dove scrivono, un quaderno… mancano ancora 250 bambine. Il totale della spesa sarebbe circa 1000 Euro».
Indonesia
Fra i vari progetti abbiamo avviato un sostegno alimentare e scolastico di 400 bambini di Aceh, Nias e rifugiati a Medan, in attesa di regolari adozioni a distanza; un sostegno alle attività di E., musulmana, che porta aiuti in un campo profughi musulmano ad Aceh; è partito un primo «campo di lavoro» a Sumatra: dal 5 al 13 febbraio, in corrispondenza delle ferie per il Nuovo Anno Cinese, da Singapore due gruppi di giovani si sono messi in viaggio per aiutare con il proprio lavoro e il denaro mandato dall’AMU le persone colpite dallo Tsunami. Questi giovani presteranno il loro servizio ad Aceh, guidati da un pastore metodista, e a Nias, da un parroco cattolico. Per venire incontro a queste necessità è già stato assicurato un primo finanziamento di 36.000 Euro.
Thailandia
Abbiamo deciso di collaborare al progetto della Conferenza Episcopale thailandese per il rilancio dell’economia locale attraverso l’acquisto di barche per i pescatori colpiti dallo tsunami. Sono stati stanziati allo scopo 50.000 Euro. (altro…)
Feb 19, 2005 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Una vita da marinaio
R.: «A causa della guerra a 5 anni ho perso mio padre, la casa e l’agiatezza. Ho sofferto per le ingiustizie sociali che si riflettevano sulla mia famiglia suscitando in me sentimenti di ribellione. Sognavo di poter vivere libero in un mondo di vera fraternità. A 20 anni, finiti gli studi nautici, carico di entusiasmo, mi sono imbarcato su una nave come allievo ufficiale, ma, a bordo, la realtà era ben diversa dai miei sogni. I rapporti tra i compagni di equipaggio erano duri e suscitavano in me altrettanta durezza; anche Dio lo sentivo lontano e indifferente alla condizione degli uomini. Ero nella solitudine più cruda. Durante una licenza, conosco M., e si spalanca per me un orizzonte inaspettato di felicità. Con il matrimonio lascio il mare; la nostra vita a due è densa di reciproche aspettative che ben presto, però, naufragano nell’incomprensione e nell’incapacità di accoglierci con i nostri limiti e le nostre diversità, arrivando allo scontro. La delusione è grande e alla speranza subentra lo smarrimento: ci separiamo. E’ il crollo di tutto. Sono oppresso da un senso di fallimento, di angoscia, di disperazione. Una persona amica mi porta nella cittadella del Movimento dei Focolari, Loppiano. Scopro un altro volto di Dio: lo scopro vicino, Amore. Allora c’è speranza! – mi dico. Un’ondata di gratitudine e gioia profonda m’invade. Vorrei comunicarla a M. ma non so come raggiungerla. Intanto muovo i primi passi sulla strada della fraternità: a contatto con altre persone che condividono questo spirito, sperimento che la fraternità non è un’utopia».
Nell’amore la risposta
M: «Nel buio in cui mi trovavo, anch’io sono venuta in contatto con l’ideale dell’unità, con quell’amore di cui ero assetata ma di cui non conoscevo la fonte. Le parole del Vangelo: “Amatevi come io ho amato voi”, mi hanno raggiunta con una forza rivoluzionaria che ha capovolto la mia vita. In Gesù ho scoperto che l’amore è dono totale di sé».
Sboccia un amore nuovo
R: «Quando mi è arrivata una lettera da M. in cui mi comunicava la sua gioia per questa scoperta, mi sembrava di sognare. Dopo circa quattro anni di separazione, sono andato a trovarla all’ospedale, dov’era ricoverata. Arrivo senza preavviso e nella semioscurità della stanza i nostri sguardi s’incontrano. “Ti darò un cuore nuovo” dice la Scrittura: nel silenzio sboccia un amore nuovo, che ha ora tutta un’altra misura, quella di esser pronti ad amarci come Gesù ci ha amato. Quella promessa che si legge sul Vangelo “Dove due o più sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”, si realizza anche per noi: Gesù, il Risorto in mezzo a noi è diventato luce, gioia, forza in tutti questi anni di matrimonio, presenza che ha sostanziato i rapporti con i nostri 6 figli, ormai tutti grandi, e con tante famiglie e persone con le quali abbiamo condiviso un grande tratto di vita». Tratto da Storie di fraternità – spazio al dialogo tra vecchi e nuovi cittadini, in www.loppiano.it (altro…)
Feb 12, 2005 | Cultura
Messaggio di Chiara Lubich Sin dall’inizio del Movimento dei Focolari, il carisma donatoci dall’Alto ci ha rivelato nuovamente che Dio è Amore. I nostri occhi si sono allora aperti e, benché la guerra divampasse attorno a noi (eravamo a Trento nel 1943), abbiamo scorto Dio presente dappertutto col suo amore: nelle nostre giornate, negli avvenimenti gioiosi e confortanti, nelle situazioni tristi e difficili… Questa fede profonda e adamantina in Dio Amore ha immediatamente suscitato tra noi, prime e primi focolarini, un nuovo e fortissimo legame. Ci sentivamo figlie e figli del Padre che è nei Cieli e, per questo, sorelle e fratelli. Inoltre il comandamento che Gesù chiama “mio” e “nuovo”: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 13,34), ci è apparso come la sintesi dei desideri di Dio ed è stato per noi logica conseguenza prometterci di esserne la realizzazione e porlo a base della nostra vita. Nasceva così un nuovo stile di vita nella Chiesa, una spiritualità personale sì, ma comunitaria insieme, adeguata alle esigenze del nostro tempo, caratterizzato dall’intensificarsi dei rapporti interpersonali e dall’interdipendenza fra i popoli. Dio, che si manifestava a noi quale Egli è: Amore, si rivelava Amore anche in se stesso: Padre, Figlio e Spirito Santo. E il dinamismo della sua vita intratrinitaria ci appariva come reciproco dono di sé, mutuo annullamento amoroso, totale ed eterna comunione. Nel Vangelo di Giovanni sta scritto: “Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie” (Gv 17,10) tra Padre e Figlio nello Spirito. Analoga realtà è stata impressa da Dio nel rapporto tra gli uomini. Come il Padre nella Trinità è tutto per il Figlio ed il Figlio è tutto per il Padre così – m’è parso di capire – che anch’io sono stata creata in dono a chi mi sta vicino e chi mi sta vicino in dono per me. E, per questo, il rapporto tra noi è amore, è Spirito Santo: lo stesso rapporto che c’è fra le Persone della Trinità. Immersi in questa luce, abbiamo visto, come qui sulla terra tutto è in relazione d’amore con tutto, ogni cosa con ogni cosa. Non sempre o raramente la nostra razionalità, o sensibilità, è capace di cogliere questa verità. Siamo spesso in grado di vedere solo una parte della realtà e vengono più in rilievo i rapporti sociali difficili, contrassegnati dalla contraddizione e dal conflitto. E diventa arduo, specie nella complessa società odierna, individuare rapporti di concordia, di comunione. Il nostro carisma ci ha indicato nella fraternità un principio spirituale che è al contempo una categoria antropologica, sociologica, politica…, capace di innescare un processo di rinnovamento globale della società. L’amore fraterno stabilisce ovunque rapporti sociali positivi, atti a rendere il consorzio umano più solidale, più giusto, più felice. La nostra esperienza di più di sessanta anni ci dice che questi rapporti fraterni vissuti sia nella quotidianità della vita personale, familiare e sociale, sia nella vita delle istituzioni politiche e delle strutture economiche, liberano risorse morali e spirituali inaspettate. Sono relazioni nuove, piene di significato, che suscitano le più varie iniziative, che creano strutture a beneficio del singolo e della comunità. In base a questa esperienza si può quindi affermare che la fraternità universale non solo non è un’utopia, un desiderio bello e auspicabile, ma irrealizzabile. Essa è piuttosto una realtà che sempre di più si va facendo strada nella storia. Si potrà osservare che il contrasto e il conflitto sono presenti nella vita relazionale delle società umane ad ogni livello. Ciò è sicuramente conseguenza e frutto di quel mistero del male che investe, oltre che la nostra vita personale, anche il nostro vivere in società. Ma il nostro carisma ci ha indicato sin dagli inizi una chiave di comprensione di questo mistero e, con essa, il modello del superamento di ogni disunità: Colui che ha ricomposto l’unità fra Dio e gli uomini e degli uomini fra di loro. E’ Gesù, che in croce grida: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46; Mc 15,34). In quel dolore straziante di un Dio che si sente abbandonato da Dio, ogni dolore, ogni sofferenza, ogni disunità è racchiusa e assunta e… tramutata in amore. Gesù infatti è venuto in terra a offrire la sua vita perché tutti siano uno (Ut omnes unum sint). Gesù, nell’abbandono ha pagato per il raggiungimento di questa meta. Da noi vuole una mano per realizzarla nell’oggi. Auguro a tutti i presenti che in questi giorni si possano costruire veri rapporti di fraternità, così che l’impegno intellettuale sia supportato da una autentica esperienza di vita comunitaria. Che Maria, la Madre del Bell’Amore, Colei che per prima ha imparato dal Figlio suo il messaggio della fratellanza universale, Colei che andò da Elisabetta per aiutarla e servirla nel bisogno, Colei che, vera “persona sociale”, ha creato con il Verbo fatto carne e con i discepoli suoi, una famiglia dove l’amore univa, cresceva, circolava e traboccava su tutti, guidi e illumini l’intero congresso. Nell’ amore fraterno Chiara Lubich (altro…)
Feb 12, 2005 | Cultura
Intervento di Vera Araújo Non è certo usuale, nella storia delle discipline che hanno per oggetto formale l’analisi della società o gli interventi sul/nel sociale, la ricerca di un accostamento con la spiritualità. Non mi riferisco ovviamente ad uno studio della religione come fattore di cambiamento sociale o come elemento integratore di formazioni sociali in diversi periodi storici. La formulazione che intendo porre è più ardita: può una spiritualità nel suo complesso, o uno o più elementi di una spiritualità, fungere da agente ispiratore per le nostre discipline sociali nelle loro riflessioni teoriche, nei loro schemi di applicazione pratica, nelle loro metodologie? Mi rendo perfettamente conto di aver messo il piede su un terreno estremamente scosceso, pieno di ostacoli, di controversie, di dibattito acceso. Non intendo, nel modo più assoluto, inoltrarmi in questo tipo di disputa. Vorrei, più semplicemente, narrare la nostra esperienza che – come ogni esperienza – è limitata, va posta all’interno di un certo contesto e indubbiamente offre il fianco a mille analisi e obiezioni. Ciononostante, ritengo valido affrontare questo rischio e offrire lo stesso alcuni primissimi frutti della nostra fatica, augurandomi che queste incomplete riflessioni siano percepite e accolte per quello che sono, ovvero, uno sforzo e un tentativo di comunicare qualcosa in cui crediamo e di cui viviamo e siamo perché costatiamo sempre di più la sua validità. Il contesto da dove partiamo è la spiritualità che il Movimento dei Focolari offre, spiritualità dell’unità, dunque, spiritualità comunitaria – e quindi costitutivamente con influsso nel sociale – che costituisce la nostra ispirazione, la nostra fonte di studio e di ricerca. Una spiritualità è una visione complessiva dell’esistenza, un modo offerto a tutti, di guardare, comprendere e vivere la realtà partendo da un riferimento religioso; una spiritualità cristiana guarda, comprende e vive la realtà dall’angolazione di uno o più elementi del messaggio evangelico, del messaggio del Nazareno. La prospettiva della spiritualità dei Focolari è l’unità, quell’unità che è frutto e compimento dell’amore-agape, cioè dell’amore con quelle caratteristiche proprie dell’insegnamento di Gesù di Nazaret, con tutta la sua ricchezza non solo teologica ma anche antropologica e sociale. «L’unità – scrive Chiara Lubich – è la parola sintesi della nostra spiritualità. L’unità, che per noi racchiude in sé ogni altra realtà soprannaturale, ogni altra pratica e comandamento, ogni altro atteggiamento religioso». L’unità intesa, dunque, come valore spirituale e non solo, vista come forza capace di comporre effettivamente la famiglia umana superando tutte le divisioni, non solo territoriali, ma anche quelle frutto di scelte politiche, di condizioni etniche, linguistiche, sociali, religiose (cf 1 Cor 12). Allora si può cogliere e comprendere il Testamento di Gesù – «Che tutti siano uno» (Gv 17,21) – come un’enorme risorsa per le relazioni di ogni tipo perché contiene in sé il germe di ogni forma di integrazione e unità, nel rifiuto e superamento di ogni discriminazione, guerra, controversia, nazionalismo, ecc. L’unità compone ogni relazione fra persone, gruppi, comunità, stati, apportandovi, nell’integrazione dei diversi attori sociali, una serie di contenuti valoriali indirizzati ad un compimento di senso e significato. L’unità, poi, nel suo versante sociale si chiama fraternità, categoria di portata non più solo cristiana, ma universale: «Voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8). «Gesù, modello nostro – è convinzione fin dai primi tempi del Movimento – ci insegnò due sole cose che sono una: ad essere figli d’un solo Padre e ad essere fratelli gli uni gli altri». «Egli – afferma ancora la Lubich – rivelando che Dio è Padre, e che gli uomini, per questo, sono tutti fratelli, introduce l’idea dell’umanità come famiglia, l’idea della “famiglia umana” possibile per la fraternità universale in atto. E con ciò abbatte le mura che separano gli “uguali” dai “diversi”, gli amici dai nemici. E scioglie ciascun uomo da ogni rapporto ingiusto, compiendo in tal modo un’autentica rivoluzione esistenziale, culturale, politica». Lungo i secoli, c’è una storia della fraternità, nel suo intento di informare e penetrare vita e fatti religiosi, sociali, politici, nonché le istituzioni. Questa storia conosce momenti di successo teorico e pratico (come non pensare alla fraternità monastica che determina la rinascita dell’Europa tra il quinto e il sesto secolo; o alle Reduciones dei gesuiti nel cono Sud dell’America latina, vero esempio di incontro culturale nell’opera di evangelizzazione, di riscatto e crescita economica e sociale), ma anche fallimenti e tradimenti cocenti (basti ricordare le guerre di religione in Europa con il loro seguito di sofferenze e morte, le crociate in Medio Oriente, il saccheggio dell’Africa nell’epoca coloniale). Eppure è possibile e doveroso individuare un percorso – anche se accidentato e tortuoso – di crescita e maturazione della fraternità. La fraternità, poi, emerge nella modernità come categoria sociale e politica nel trittico della rivoluzione francese: liberté, égalité, fraternité. Si legge nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789): «Tutti gli uomini nascono liberi e uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza». In verità questo trinomio esprime e dà volto al dinamismo di una umanità una e molteplice. Una: nel riconoscimento della dignità di ognuno e nell’affermazione dell’uguaglianza sul piano relazionale; molteplice: nella diversità delle sue espressioni culturali, sociali, politiche, ecc. La lettura ideologica di questi valori diede vita a mediazioni storiche variegate e in contrasto – a volte anche aspro e conflittuale – tra loro. Lo spirito borghese lesse la libertà prevalentemente come allargamento del potere economico e delle libertà individuali, favorendo di fatto i detentori del capitale e dei mezzi di produzione a scapito del proletariato nascente. L’uguaglianza trovò posto come affermazione solenne nei codici giuridici divenendo, poco a poco, più formale che reale. La fraternità si risolse in ristretti accordi di interessi della classe privilegiata e in realtà rimase disattesa, distante da ogni riflessione e prassi sociale e politica. La reazione fu il collettivismo socialista o scientifico con una sua lettura della libertà intesa quasi esclusivamente sul piano economico a detrimento della libertà più interiore e profonda; la uguaglianza divenne egualitarismo e la fraternità si chiuse negli angusti spazi della classe. Forse oggi è possibile una lettura più completa e ricca del trinomio, per ritrovarvi un nuovo equilibrio tra i tre elementi. Lo stesso insegnamento della storia ci sembra indichi nella fraternità il fondamento dell’intero edificio, l’amalgama che lega gli altri due dando loro senso e significato. Perché? Perché la fraternità è la pienezza della reciprocità che, a sua volta, ci offre una chiave di lettura per un’ulteriore comprensione dell’autentica uguaglianza e della libertà. «L’elemento base del trinomio, sul piano della garanzia vitale, è la fraternità. L’elemento condizionante è la libertà, come capacità di promuovere quella dell’altro. L’elemento verificante è l’applicazione universale». La comprensione dei rapporti o delle relazioni sociali lungo la storia della sociologia si avvale dei diversi paradigmi che l’hanno illuminata, finora piuttosto in opposizione tra loro. La conoscenza delle dinamiche relazionali passa attraverso l’analisi dell’integrazione (Durkheim), della competizione (Weber), dell’alienazione (Marx), del conflitto (Dahrendorf) e così via. A loro volta, i paradigmi si basano su un postulato che ha a che vedere con una visione antropologica. Senza questo sarebbe abbastanza arduo, se non impossibile, una spiegazione, non dico chiara, ma almeno intelliggibile della realtà sociale stessa. Non solo, trova consenso quasi unanime il fatto che questi paradigmi vengono influenzati e, quindi, pagano un tributo reale al contesto socio-culturale da cui sono nati e in cui si sono sviluppati e realizzati. Questo rapporto tra teorie sociologiche e contesto storico-sociale è già stato messo in evidenza con chiarezza dal prof. Iorio nel suo intervento. Attualmente ci troviamo nel bel mezzo di un cambiamento strutturale-culturale di notevole portata e di esito ignoto. La celerità dei mutamenti in corso, il loro influsso sugli stili di vita, sulle conoscenze e sulla cultura, nonché sull’organizzazione socio-politica è tale da prevedere un nuovo tipo di società i cui contenuti, aspirazioni valoriali (o antivaloriali), linee di pensiero portanti, sistemi di comunicazione e assetto politico-sociale sono al momento inimmaginabili. Il noto filosofo della scienza Thomas Kuhn, affermava che ogni rivoluzione scientifica – e non c’è dubbio che l’attuale cambiamento abbia questa connotazione – non solo trasforma l’immaginazione scientifica tout court, ma trasforma in modo profondo il mondo stesso entro il quale viene realizzato il lavoro scientifico. Possiamo allora pensare che questa nuova situazione in pieno movimento, possa generare, o richiedere, o attendere nuovi paradigmi capaci a loro volta di suscitare o produrre teorie sociali nuove? Detto al contrario, il sorgere di un nuovo paradigma sta ad indicare che la società che si sta affacciando ha bisogno di un nuovo punto di riferimento, di una nuova prospettiva per illuminare, spiegare i propri lineamenti, chiarire le proprie aspirazioni e spingere verso nuovi traguardi? Mentre nell’attuale panorama delle scienze sociali si affacciano nuovi modelli interpretativi quali la rete (Barnes-Bott), il dono (Caillé, Godbout) e la stessa relazione sociale (Touraine, Donati, Bajoit), alla ricerca di una nuova chiave di lettura e interpretazione della tarda-modernità, noi crediamo che il binomio unità-fraternità possa costituire un paradigma o un modello innovativo e capace di condurre le scienze sociali, nel nostro caso in special modo la sociologia e il campo delle politiche sociali e dell’esistenza sociale, verso sentieri inediti e ancora inesplorati. Questa convinzione non parte solo da un dato teorico, ma dalla constatazione dell’incisività dell’unità-fraternità sui comportamenti e sulle scelte di milioni di attori sociali individuali e collettivi che agiscono nei più svariati settori della vita sociale, a dimensione planetaria. Il Movimento dei Focolari con i suoi otto milioni di membri e aderenti – nelle sue branche, diramazioni, movimenti di massa, opere sociali, cittadelle di testimonianza, dialogo a tutto campo – rappresenta un formidabile laboratorio dove si sta sperimentando cosa significhi considerare e vivere l’ “unità-fraternità” come principio ispiratore della convivenza sociale. Tale realtà non è più un fatto di nicchia, ma oggi è riconosciuto, anche a livello di scienziati, come un fenomeno sociale di sicuro influsso sulla società. In occasione del conferimento del Dottorato honoris causa in scienze sociali a Chiara Lubich da parte dell’Università di Lublino (Polonia), il prof. Adam Biela – allora decano di quella facoltà – ha affermato nella sua Laudatio: «L’azione del Movimento dei Focolari costituisce un vivo e reale esempio di applicazione nei rapporti sociali del paradigma dell’unità, così tanto necessario alle scienze sociali perché esse acquistino una nuova forza di applicazione – capace di curare e di prevenire la patologia sociale, i conflitti, le malattie psicogene, le aggressioni manifeste, le guerre e i crimini (…) «L’attività sociale di Chiara Lubich, intrisa del carisma dell’annuncio dell’unità evangelica, costituisce un’ispirazione viva ed un esempio per le scienze sociali incitante a creare un paradigma interdisciplinare di unità, come fondamento metodologico per la costruzione di modelli teorici, di strategie di ricerca empirica e di schemi di applicazioni. Chiara Lubich, dapprima insieme alle sue collaboratrici, e poi ai suoi collaboratori, ha creato un nuovo fenomeno sociale che, indicando la possibilità di applicazione per il nuovo paradigma di unità, può avere un importante ruolo ispiratore che, a mia convinzione, ha chance di trovarsi alla base delle scienze sociali e di significare tanto quanto la rivoluzione copernicana per le scienze naturali». Parole molto impegnative ma non per questo meno vere se le riteniamo non tanto lo specchio di una realtà già compiuta, quanto le potenzialità di un carisma che chiede e ambisce, e ha già cominciato da lungo tempo, a diventare un fatto concreto. Ancora, parole che invitano al lavoro di studio e di ricerca, cariche di fascino. Detto questo, mi accingo, non senza timore e senso dei limiti del mio balbettio, ad offrire alcune primissime indicazioni dei contenuti insiti nel modello “unità-fraternità”. Non si tratta ovviamente di un abbozzo di teoria e, tanto meno, di un pensiero articolato. Sono solo spunti di riflessione, indicazioni, punto di partenza per un ulteriore lavoro di approfondimento e scavo che ci auguriamo di portare avanti, adesso e per quanto possibile anche in futuro, assieme a tutti voi. L’unità-fraternità come relazione Si potrebbe pensare che caratterizzare il nostro discorso sul valore della persona ci dovrebbe, in certo qual senso, far prendere le distanze da approcci olistici, preferendo quelli dell’individualismo metodologico che pone l’attore sociale e le sue scelte al centro della costruzione teorica. Ma le cose non stanno propriamente così. Anzitutto perché la categoria di individuo può risultare assai povera, astratta e chiusa, mentre l’idea di persona appare ricca di identità, di carica valoriale e soprattutto di relazioni societarie e comunitarie, in una parola, ricca di storia. Secondo Horkheimer e Adorno «Affermando che la vita umana è essenzialmente e non solo casualmente convivenza si rimette in questione il concetto dell’individuo come atomo sociale ultimo. Se nel fondamento stesso del suo esistere l’uomo è attraverso altri, che sono i suoi simili, e solo per essi è ciò che è, allora la sua definizione ultima non è quella di una originaria indivisibilità e singolarità, ma piuttosto quella di una necessaria partecipazione e comunicazione agli altri. Prima di essere – anche – individuo, l’uomo è uno dei simili, si rapporta ad altri prima di riferirsi esplicitamente a se stesso, è un momento delle relazioni in cui vive prima di poter giungere eventualmente ad autodeterminarsi. Tutto ciò viene espresso nel concetto della persona…» Persona vuol dire relazione, possibilità e capacità di porsi davanti all’altro e venire da esso riconosciuto. «La persona emerge presso di noi tutti e presso ciascuno soltanto quando il ri-conoscimento contiene in sé sia la designazione–indicazione empirico-cognitiva sia la reazione alla designazione-indicazione stessa. Mediante la designazione-indicazione io riconosco che alter è un idraulico, un collega di Facoltà, un venditore di frutta. La persona emerge allorché la designazione fa scattare una reazione morale, e quindi alter viene incluso nell’universo morale di ego collocandolo all’interno di una responsabilità priva di sanzione e di contraccambio». Le persone compongono la relazione che li avvolge, li comprende, li contiene, li trasforma condizionandoli dall’esterno e stimolandoli dall’interno. La relazione allora diventa una realtà fra i due o più, nata e alimentata dal loro essere e dal loro agire e, a sua volta, alimenta il loro essere e il loro agire, li aiuta a crescere e maturare in un dato modo e con una crescente profondità di vita. Una qualità primaria dell’unità-fraternità ispirata ad una prospettiva cristiana è l’universalità. Ciò significa distendere i rapporti fraterni oltre i vincoli del rapporto parentale e dei legami familiari per raggiungere ed abbracciare ogni essere umano, uomo o donna, cittadino o straniero, della mia o dell’altrui razza, patria, etnia, religione, considerato e accolto come un fratello, una sorella. Si può anche asserire che tutti sono fratelli e sorelle proprio perché l’intera umanità è radunata dal Cristo come un’unica famiglia. La fraternità costituisce un valore così costitutivo dell’umanità e così universale, che la si trova in qualche misura affermata in tutte le grandi religioni. Per rimanere in ambito cristiano e portarlo alle sue ultime conseguenze, bisogna aggiungere che la preghiera del Cristo prima del suo avviarsi all’evento passione e morte: «Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io sono in te, siano anch’essi una cosa sola in noi» (Gv 17,21), indica la relazione trinitaria delle tre Persone divine come il fondamento e il modello del relazionarsi degli esseri umani. Il donarsi reciproco dei Tre in una relazione agapica costituisce il loro essere Persona. Analogamente avviene fra gli esseri umani. «Più tu dai, più ti realizzi, più tu sei, perché si ha ciò che si dà, ciò che si dà ci fa essere». L’unità-fraternità richiede unità e distinzione La relazione di unità-fraternità esige e richiede per compiersi, il darsi contemporaneo dell’unità e della distinzione. Ravvisare la presenza simultanea dei due elementi non è solo importante ma necessario perché l’unità ben concepita rafforza e realizza una sana simbiosi fra le parti della relazione pur mantenendole distinte. La distinzione, a sua volta, sottolinea, preserva e tutela l’identità di ciascuno, impedendo ogni assorbimento, dipendenza o sottomissione, e allo stesso tempo mantenendola nell’unità. Ancora solo grazie alla distinzione, ognuno diventa attore e prende iniziative per alimentare e arricchire l’unità. Allora, la distinzione opera una differenziazione che, in certo modo, significa “opposizione”, non certo nel senso di contrapposizione, contrasto o conflitto, ma nel senso che ognuno “essendo l’altro” diventa più pienamente se stesso. Come è possibile che ciò si realizzi, che la relazionalità non sfoci nell’esclusione reciproca? La vera intersoggettività come unità nella distinzione o nella differenza, è possibile quando si ha l’esperienza cognitiva ed affettiva profonda del proprio io e di quello dell’altro fino al punto di cogliersi e di cogliere gli altri come centri di essere autonomo, autocosciente, libero; uguali, nella propria dignità e, nello stesso tempo, diversi. Differenza vuol dire anche coscienza che si ha qualcosa di unico da offrire all’altro o all’insieme. Da qui tutta la dinamica e la necessità di saper prendere iniziative per dar impulsi nuovi all’unità e la prontezza nel perdere i propri eventuali ‘doni’ se non fosse il momento di offrirli. Allora, non solo ognuno non è l’altro ma anche ognuno è se stesso solo attraverso l’altro. D’altra parte l’unità opera un congiungimento e una fusione molto intensa ed una intima comunanza di sentire senza però mai annullare la distinzione. Si può anche configurare e ipotizzare un relazionarsi fraterno che comporta l’unità-distinzione a livello non solo micro ma anche a livello macro: fra comunità, popoli, etnie, nazioni, stati, religioni, istituzioni. Il processo di mondializzazione lo richiederebbe come dimensione necessaria della nuova realtà sociale che si va prospettando. La fraternità potrebbe essere in grado di attivare nelle relazioni internazionali un plus nuovo e innovativo, certamente difficile e complesso da articolare e realizzare, ma fattibile e decisivo per il futuro dell’umanità. Infatti, in questo senso, la storia offre esempi non trascurabili. L’unità-fraternità come reciprocità Uno dei dinamismi dell’azione sociale è quello di essere reciproca. Già Weber indica la reciprocità come un dinamismo dell’azione sociale. Lo stesso fa Simmel per il quale tutto avviene nella relazione sociale da lui definita come azione reciproca. La relazione sociale è la categoria teorica fondamentale, che deve essere intesa come interazione, ossia azione reciproca. «Per Simmel il fenomeno sociale non è una emanazione di un soggetto e neppure di un sistema astratto più o meno posto a-priori. Il sociale è il relazionale in quanto tale, ossia l’azione reciproca in quanto inter-azione che produce, si incorpora e si manifesta in qualcosa che, pur non visibile, ha una sua “solidità”». Simmel stesso spiega come si costituisce questo processo fra individui che dà vita ad una realtà nuova e che ha vita propria al di là degli elementi da cui deriva. «La vita della società consiste nelle relazioni reciproche dei suoi elementi–relazione reciproche che in parte si sviluppano in azioni e reazioni momentanee ed in parte si consolidano in strutture definite: in uffici e leggi, ordinamenti e proprietà, lingua e mezzi di comunicazione. Tutti questi effetti sociali reciproci nascono sulla base di determinati interessi, scopi ed impulsi. Questi formano al tempo stesso la materia che si realizza socialmente nello stare insieme degli individui l’uno accanto all’altro, l’uno per l’altro o l’uno con l’altro». Sia Weber che Simmel cercano di spiegare questa reciprocità: dettata da un senso dato dal soggetto (Weber), o in vista di determinati scopi (Simmel). Si può dire che l’unità-fraternità genera la reciprocità nell’amore, che è agape, specchio e riflesso dell’Agape trinitaria («Dio è Amore» 1 Gv 4,8). «Il Dio della religione è il Dio della relazione: l’unità concepita come interazione». Ci troviamo davanti a un tipo particolare di amore che non si aggiunge agli amori umani (paterno, materno, filiale, amicale, sponsale) ma li informa tutti, sottostà a tutte le possibilità di amore nelle loro diverse sfumature. Cosicché ogni tipo di amore umano è più pienamente tale nella misura in cui si modella sulla fraternità. Reciprocità, secondo il modello trinitario, nella concretizzazione del comandamento di Gesù: «Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34), significa ancora mutua inabitazione, ovverosia, il mutuo contenersi, il reciproco essere l’uno nell’altro e l’altro nell’uno, fino a compenetrarsi in modo che i soggetti si uniscono distinguendosi e si distinguono, unendosi. La relazione fraterna è essenzialmente reciproca, come movimento che va e che torna, carico di valori quali la fiducia, l’accoglienza, l’ascolto, il dono, la condivisione, ed è orientata a superare e risolvere il contrasto, il conflitto, la contrapposizione, la rottura. La conseguenza è la piena e autentica realizzazione dell’intersoggettività degli attori coinvolti nella relazione, allorché vivono l’impegno reciproco l’uno verso l’altro. In questo modo si danno le condizioni per una più piena realizzazione della persona. L’unità-fraternità come dono Al di là dei paradigmi dell’individualismo metodologico e dell’olismo collettivista, oggi il dono viene presentato addirittura come un “terzo paradigma” che risponde ai paradigmi precedenti con una logica di libertà e gratuità nei suoi tre momenti costitutivi: dare, ricevere, restituire. Il dono appare così, anche da un punto di vista sociologico, come un concetto forte di riferimento per la descrizione, la comprensione e l’interpretazione della dinamica delle relazioni sociali. «Il dono contiene un ineliminabile risvolto di socialità e di relazionalità; e in esso è presente una concretezza di espressioni e di conseguenze, anche indipendentemente dagli orientamenti interni o interiori – ad esempio caritatevoli, filantropici o “interessati” – di chi lo pone in essere» . I sociologi del MAUSS – Movimento antiutilitaristico nelle scienze sociali – definiscono il dono come «ogni prestazione di beni o servizi effettuata, senza garanzia di restituzione, al fine di creare, alimentare o ricreare il legame sociale tra le persone». Il problema della restituzione come elemento costitutivo e indispensabile del dono era già stato posto da Marcel Mauss nel suo “Essai sur le don” nel 1924, senza peraltro risolvere la questione. Infatti, secondo molti autori il problema è rimasto aperto. Un tentativo di soluzione si è avuto con l’indicazione e la ricerca di una logica di reciprocità come spiegazione della necessità della restituzione. Essa, la reciprocità, sarebbe la ragione della contropartita in tutte le situazioni. L’interrogativo che persiste è: rimane ancora la responsabilità negli attori nell’atto di donare, ricevere e contraccambiare? Recentemente in una conferenza tenuta in Germania, il filosofo Paul Ricouer, sotto l’influsso di M. Henaff (“Le prix de la vérité”) indica una nuova soluzione: «(Se gli attori) devono essere veramente gli attori della reciprocità la sola via aperta è di dire che il dono è il pegno e il sostituto di un riconoscimento reciproco che non si riconosce affatto; dunque il riconoscimento non può attestarsi che nel pegno del regalo. (…) «Il regalo è senza prezzo: non che non abbia avuto un costo; ma nell’atto dello scambio non appare per il suo prezzo – è il senza prezzo. Ed è nelle esperienze non commerciali che abbiamo la possibilità del regalo come pegno e come sostituto di un riconoscimento reciproco». Ecco come Simmel spiega l’azione reciproca del donare e dell’accettazione del dono: «In ogni donare, al di là del valore intrinseco del dono, è inserito un valore spirituale in base al quale non possiamo assolutamente sciogliere o annullare con un altro dono esteriormente equivalente il legame interiore venutosi a creare con l’accettazione del dono. L’accettazione del dono non è solo un arricchimento passivo, ma anche una concessione del donatore. Come nel donare anche nel farsi donare si evidenzia una predilezione che va ben al di là del quanto di valore del suo oggetto». Nell’unità-fraternità il dono viene vissuto in una dimensione ancora più ampia e profonda, più avvolgente lo stesso nostro essere. «Ho sentito – scrive Chiara Lubich – che sono stata creata in dono a chi mi sta vicino e chi mi sta vicino è stato creato da Dio in dono per me. Come il Padre nella Trinità è tutto per il Figlio ed il Figlio è tutto per il Padre» . La fraternità inoltre rivela e spiega in che cosa consista l’essenza del dono. «L’uomo origina le società grazie ad una generosità radicale che si trova inscritta nel suo essere, nella sua vita, nella sua intelligenza e nell’amore, che gli consentono il dialogo con gli altri e di sovrabbondare nel dono di sé». L’essere umano dunque è un essere per il dono e questa sua qualità viene trasferita in tutti i legami e in tutte le relazioni in cui esso è coinvolto. Dono, dunque, è sinonimo di amore. Il dono non è altro che amore in atto, che non solo non si chiude, ma è di per sé diffusivo. L’amore richiede il dono, chiede ad ogni agente sociale, individuale o collettivo, di trasformarsi e di agire come un donatore. «E amare significa donarsi: pensare al fratello vivendolo…» (Lubich, Scritti inediti). La relazione fraterna simbolo compiuto dell’amore-agape si carica così di contenuti. E’ un puro dono ma non disdegna lo scambio e la reciprocità, anzi, la richiede, ma in un profilo alto. Non include ciò che si può comprare, vendere, possedere e consumare, ma si innalza verso la libertà e l’amore. Il dono di sé all’altro si manifesta pure nel dare beni spirituali e materiali, come condivisione e comunione di beni. «Così l’amore circola e porta naturalmente (per la legge di comunione che vi è insita), come un fiume infuocato, ogni altra cosa che i due possiedono per rendere comuni i beni dello spirito e quelli materiali». La condivisione e la comunione dei beni rafforzano i legami fraterni creando una vera arte del dare ricca di ulteriori atteggiamenti ben precisi: gratuità, oblatività, larghezza, letizia, reciprocità. L’unità-fratenità come comunione La categoria “comunione” non è molto usata in sociologia, anzi, direi che è distante dal linguaggio sociologico e, comunque, in certo modo quasi sconosciuta. Eppure oggi va guadagnando terreno ed emergendo come un concetto molto ricco e con molte valenze. Essa è ovviamente anzitutto categoria che trova largo uso e cittadinanza nell’ambito della spiritualità e della teologia cristiane. Infatti in questo senso si può asserire che la comunione trova la sua fonte generatrice nella comunione di vita di Dio stesso nel suo essere Trinità, comunione d’amore tra Persone. La comunione trinitaria è dunque il fondamento ontologico di ogni forma di comunione, come sostanza e come vita. Ed è così che diventa pure categoria antropologica. Giovanni Paolo II nella lettera enciclica Sollicitudo Rei Socialis afferma: «Al di là dei vincoli umani e naturali, già così forti e stretti, si prospetta alla luce della fede un nuovo modello di unità del genere umano (…). Questo supremo modello di unità, riflesso della vita intima di Dio, Uno in Tre Persone, è ciò che noi cristiani designiamo con la parola comunione» (n. 40). L’insigne teologo Klaus Hemmerle, già vescovo di Aquisgrana, sottolinea e spiega questo rapporto, questa relazione tra la divinità e l’umanità: «Il nostro essere personale è assunto nella comunione di vita e di amore, tra Padre, Figlio e Spirito; ma con ciò io e soltanto io non posso più rappresentare il punto di partenza ed il punto finale del mio essere, ma posso vivere l’esistenza trinitaria soltanto nella reciprocità, nel “noi”, che tuttavia non dissolve l’io e il tu, ma li costituisce». E’ evidente che, anche non considerando questo fondamento spirituale, la convivenza sociale relazionale, intesa come interazione, si compie nella comunione. E’ così che la comunione assurge anche a categoria economica con l’“Economia di Comunione”. Essa è un progetto economico lanciato da Chiara Lubich in Brasile nel 1991 e che poggia su due colonne portanti: la condivisione degli utili dell’impresa con i bisognosi e l’inserimento della comunione nelle relazioni economiche. Se il primo elemento esige il superamento della cultura dell’avere per assumere la cultura del dare, il secondo implica lo scavalcamento della razionalità formale o strumentale e l’assunzione di una razionalità “espressiva” o “non strumentale”. Le aziende che aderiscono al Progetto EdC stanno enucleando delle linee di condotta dell’impresa che ruotano attorno al concetto di comunione come essenza delle relazioni aziendali all’interno (con i lavoratori, clienti, fornitori, ecc.) e all’esterno (con il fisco, il territorio, la concorrenza, ecc.). Questo implica privilegiare, nei rapporti interpersonali, le motivazioni, i valori e dare enfasi a tematiche come la fiducia, la reciprocità, ecc. La comunione in economia offre alla scienza economica nuovi stimoli e nuove possibilità di risolvere le proprie contraddizioni con i suoi effetti perversi, innescando un circolo virtuoso in cui trovano luogo nuovi elementi più positivi e più propositivi. La comunione, ancora, trova spazio come categoria giuridica all’interno del cosiddetto Diritto Sociale che deriva direttamente dal funzionamento dei gruppi sociali. Georges Gurvitch è stato colui che meglio ha compiuto l’opera di sistematizzazione della tradizione che sfocia nel Diritto Sociale, da lui denominata pure Diritto di Comunione. Secondo Gurvitch il «”Diritto Sociale”, è un diritto autonomo di comunione che integra in forma obiettiva ogni totalità attiva reale, che incarna un valore positivo extratemporale. Questo diritto si deriva direttamente dal “tutto” in questione per regolare la sua vita interiore indipendentemente dal fatto che questo “tutto” sia organizzato o in-organizzato. Il “Diritto di comunione” fa partecipare al “tutto” di forma immediata nella relazione giuridica che da lui emana, senza trasformare questo “tutto” in un soggetto separato dai suoi membri». Si può dunque dire che il “Diritto di comunione” e la comunione trovano, l’uno nell’altro, rispettivamente, la propria giustificazione. Questo “tutto” sociale – per i teorici del Diritto sociale – ha il significato di una “comunione immanente” dunque di una realtà allo stesso tempo giuridico-etica e giuridico-formale. Nel significato giuridico-formale questa “comunione immanente” indica e la comunità umana che si costituisce e il fatto che ci troviamo dinanzi a qualcosa che Gierk ha denominato “persona giuridica complessa”, caratterizzata dal fatto che il “tutto” non è trascendente rispetto ai membri che lo compongono ma neanche può confondersi con i membri in questione e nemmeno con la loro somma. Si può quindi definire la comunione in termini veramente etici e giuridici in coerenza con lo spirito della fraternità. Infine, ancor di più, la comunione è categoria sociologica. In una delle sue opere fondamentali Gurvitch compie una profonda analisi sulla manifestazione della socialità derivata dalla parziale fusione dei soggetti. Secondo il grado, l’intensità e la profondità di questa fusione egli distingue tre forme di socialità, da lui chiamate: un “Noi”. Queste tre forme sono: la Massa, la Comunità e la Comunione. Egli, poi, descrive abbondantemente le relazioni che si compiono tra gli Io, i Lui e gli Altri all’interno del “Noi”. «Un “noi” (come “noi francesi”, “noi militanti sindacalisti”, “noi studenti”, “noi genitori”) costituisce un tutto irriducibile alla pluralità dei suoi membri, una nuova unità indecomponibile, in cui tuttavia l’insieme tende ad essere immanente alle parti, e le parti immanenti all’insieme. Questa immanenza reciproca, che potrebbe anche definirsi come una partecipazione vicendevole dell’unità alla pluralità e della pluralità all’unità può assumere forme assai diverse nei differenti Noi». La comunione rappresenta il grado massimo d’intensità di partecipazione, di forza di attrazione e della profondità di fusione dei “Noi”. Si tratta a ben vedere del “Noi” più profondo, dove la fusione è massima e «riunisce le profondità più personali e più intime degli Io e degli Altri, nessun aspetto delle quali resta al di fuori della partecipazione e dell’integrazione nel Noi». Le riflessioni di Gurvitch si sviluppano nel campo della microsociologia e sono di indubbio interesse per una maggior comprensione delle relazioni faccia a faccia. Nel caso delle relazioni fraterne si esprimono una serie di dinamiche correlate che arricchiscono, danno unicità e ulteriore senso al rapporto stesso. Esso infatti include l’essere gli uni con gli altri, dove viene in evidenza la libertà e l’assoluta scelta di entrare e partecipare alla relazione; l’essere gli uni per gli altri che fa risaltare il “come” della relazione, ossia le sue modalità; l’essere gli uni negli altri che ancora sottolinea la capacità di essere e di fare dono di sé agli altri; l’essere gli uni grazie agli altri dove viene in luce che l’identità di ciascuno può esprimersi al meglio nella comunione reciproca tra loro. Si può ancora asserire che nella relazione fraterna la profondità dei rapporti, l’intensità dell’interazione e dei sentimenti di amore, di stima, affetto, fiducia – resi universali – compongono relazioni di comunione in grado di ispirare nella realtà sociale a tutti i livelli e ampiezza, un soffio positivo e suggeritore di armonia, equilibrio, ordine e, proprio per questo, di progresso, sviluppo e perfezionamento di notevole portata, tutti elementi particolarmente richiesti da una società caratterizzata da anomia e contrasti. (altro…)
Feb 12, 2005 | Cultura
In questo tempo di cambiamento epocale, al convegno è emersa da più voci l’urgenza di focalizzare l’attenzione non solo sui rapporti sociali contradditori e conflittuali, ma anche sui “rapporti di concordia e di comunione” in atto nella complessa società odierna. Lo ha evidenziato Chiara Lubich che, nel suo messaggio, ha indicato nella ’fraternità’ “un principio spirituale che è al contempo una categoria antropologica, sociologica, politica, capace di innescare un processo di rinnovamento globale della società”. La proposta nasce dall’esperienza pluridecennale sia a livello personale che a quello delle istituzioni politiche e strutture economiche. Il convegno è stato caratterizzato proprio dal dialogo, tipico della disciplina sociologica, tra teoria e esperienze realizzate nei più vari contesti culturali e sociali come quella del Centro culturale La Pira di Firenze, aperto a studenti stranieri di varie culture e religioni; di una comunità terapeutica italiana per ex-tossicodipendenti; del Centro internazionale per la famiglia della cittadella di Loppiano (Incisa Valdarno-Firenze), oltre all’esperienza di integrazione, a Fontem, nel cuore della foresta camerunese, tra europei al primo impatto con la cultura africana, e i Bangwa, un popolo profondamente ancorato alle proprie tradizioni.
Dalla lettura sociologica delle diverse esperienze, si sono evidenziati nuovi possibili modelli, nuovi schemi di applicazione, come il “paradigma dell’unità” di cui ha parlato il professore polacco Adam Biela, già Preside della Facoltà di sociologia dell’Università di Lublino, ora senatore. Categoria sviluppata dalla sociologa brasiliana Vera Araujo, come paradigma di unità-fraternità, capace di leggere le relazioni di unità e distinzione, di reciprocità, dono e comunione. A conclusione del Convegno – come ha detto Vera Araujo – è emersa “un’ incipiente comunità scientifica che assume ora questi paradigmi, queste nuove strategie di ricerca, per cercare insieme nuove prospettive per le scienze sociologiche”. (altro…)
Feb 9, 2005 | Cultura
IL VOLUME In The Ways and Power of Love – qui proposta in prima traduzione italiana assoluta –, Pitirim A. Sorokin, figura di spicco della sociologia del XX secolo, si dedica ad una esposizione ed analisi sistematica dell’amore, delle sue cause ed effetti, del suo significato umano ed universale. Consapevole infatti che «l’amore disinteressato ha enormi potenzialità creative e terapeutiche, molto più di quanto non pensi la maggior parte delle persone. L’amore è la forza vivificante indispensabile alla salute fisica, mentale e morale», Sorokin, con l’intento di arrivare ad una conoscenza integrale, analizza sette aspetti dell’amore: religioso, etico, ontologico, fisico, biologico, psicologico e sociale, con una particolare attenzione a questi ultimi.
Pubblicato per la prima volta nel 1954, quando Sorokin era alla guida dell’Harvard Research Center for Creative Altruism, per l’originalità e profondità di analisi, frutto certamente di un intuito straordinario, il saggio è oggi un classico della sociologia. L’AUTORE Pitirim Aleksandrovic Sorokin (1889-1968) visse da protagonista i drammatici eventi della Rivoluzione russa: fu arrestato per la sua opposizione allo zarismo nel 1911 e nel 1913, in seguito segretario del presidente Kerenskij, fu poi perseguitato sotto la dittatura leninista nel 1918 ed esiliato nel 1922. Nel 1923 si trasferì negli Stati Uniti per insegnare dapprima all’Università del Minnesota, quindi ad Harvard, dove fondò nel 1931 la Facoltà di Sociologia e successivamente l’Harvard Research Center for Creative Altruism. È da annoverare tra i massimi sociologi del secolo XX, ricevendo per la sua carriera accademica onori e riconoscimenti, tra cui, nel 1963, la presidenza dell’American Sociology Association. LA COLLANA La collana Società e socialità raccoglie studi di approfondimento sulla realtà sociale ed economica, alla ricerca dei fondamenti antropologici come orientamento nel mondo attuale caratterizzato dalla globalizzazione. Ed. Città Nuova – Roma, febbraio 2005 Pp. 784 – Prezzo: € 45,00 (altro…)
Feb 9, 2005 | Cultura
Africa – Un’esperienza quarantennale nel cuore della foresta camerunese è oggetto di un singolare rilevamento sociologico che verrà presentato il 12 febbraio 2005, al 1° Convegno internazionale promosso da Social-One, espressione in campo sociologico del Movimento dei Focolari. Sarà questo uno dei momenti più significativi del Convegno – che si svolgerà al Centro Mariapoli di Castelgandolfo dall’11 al 13 febbraio – incentrato su “Rapporti sociali e fraternità: paradosso o modello sostenibile? Una prospettiva a partire dalle Scienze sociali”.
Lo studio analizza in campo politico, antropologico e spirituale, l’evoluzione di una popolazione africana, i Bangwa, dal rischio di estinzione all’attuale sviluppo avvenuto sotto l’influsso dell’incontro con il carisma dell’unità del Movimento dei Focolari, portato da medici, insegnanti e giovani focolarini europei giunti a Fontem, sin dagli anni Sessanta, in soccorso di questo popolo. Il rilevamento sociologico analizza anche gli influssi di questo incontro sugli europei.
Di rilievo anche la presentazione della prima traduzione italiana, a cura di Città Nuova, del volume “Il potere dell’amore” (The ways and power of love) di Pitirim Sorokin, russo, emigrato negli Stati Uniti, figura di spicco della sociologia del XX secolo, che si dedica ad una esposizione ed analisi sistematica dell’amore, delle sue cause ed effetti, del suo significato umano ed universale. Pubblicato per la prima volta nel 1954, quando Sorokin era alla guida dell’Harvard Research Center for Creative Altruism, per l’originalità e profondità di analisi, frutto certamente di un intuito straordinario, il saggio è oggi un classico della sociologia.
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Feb 9, 2005 | Cultura
COMUNICATO STAMPA N. 1
Fontem – Camerun: Laboratorio di relazioni
Una lettura sociologica dell’evoluzione politica, antropologica e spirituale
del popolo Bangwa:
dal rischio di estinzione a modello di sviluppo
Presentazione della prima traduzione italiana del classico
“The ways and power of love” di Pitirim Sorokin
edito da Città Nuova
Castelgandolfo (Roma)
12 febbraio 2004
Africa – Un’esperienza quarantennale nel cuore della foresta camerunese è oggetto di un singolare rilevamento sociologico che verrà presentato il 12 febbraio 2005, al 1° Convegno internazionale promosso da Social-One, espressione in campo sociologico del Movimento dei Focolari. Sarà questo uno dei momenti più significativi del Convegno – che si svolgerà al Centro Mariapoli di Castelgandolfo dall’11 al 13 febbraio – incentrato su “Rapporti sociali e fraternità: paradosso o modello sostenibile? Una prospettiva a partire dalle Scienze sociali”.
Lo studio analizza, in campo politico, antropologico e spirituale, l’evoluzione di una popolazione africana, i Bangwa, dal rischio di estinzione all’attuale sviluppo avvenuto sotto l’influsso dell’incontro con un carisma moderno, il carisma dell’unità, portato da medici, insegnanti e giovani focolarini europei giunti a Fontem, sin dagli anni Sessanta, in soccorso di questo popolo. Il rilevamento sociologico analizza anche gli influssi di questo incontro sugli europei.
Lo studio verrà introdotto dal sociologo belga prof. Bennie Callebaut e sviluppato da studiosi originari del popolo Bangwa come il prof. Martin N. Nkafu, docente di Filosofia delle culture alle Pontificie Università Urbaniana e Lateranense di Roma e altri docenti universitari ora residenti in Stati Uniti e Gran Bretagna. Non mancherà la testimonianza dei primi focolarini giunti a Fontem, come il dott. Lucio Dal Soglio, e di quelli che vi operano attualmente. In programma per la sera una festa africana, a cui parteciperanno anche giovani africani di Kenya, Tanzania, Madagascar, Angola, Sudafrica, Uganda, Congo e, naturalmente, Camerun.
Di rilievo anche la presentazione della prima traduzione italiana a cura di Città Nuova, di un classico della sociologia: “The ways and power of love” di Pitirim Sorokin, grande sociologo russo, emigrato negli Stati Uniti, che analizza cause ed effetti, significato umano e universale delle potenzialità creative e terapeutiche dell’amore disinteressato. Interverranno sociologi di primo piano, come i prof. Raffaele Rauty, specializzato in Sociologia americana, Arturo Parisi, dell’Università di Bologna, e Michele Colasanto, Direttore della Facoltà di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano.
Il Convegno si aprirà con un messaggio di Chiara Lubich. Dopo la presentazione delle “Sfide della società complessa e globalizzata”, presentata dal prof. Vincenzo Zani, seguiranno riflessioni metodologiche su alcuni racconti di vita che verranno presentati da un assistente sociale argentino presso il Ministero delle Politiche sociali, dal Centro internazionale culturale interreligioso La Pira, di Firenze; da una comunità terapeutica per ex-tossicodipendenti italiana; dal Centro internazionale per la famiglia, della cittadella di Loppiano (Incisa Valdarno-Firenze).
Sabato mattina, la sociologa brasiliana Vera Araujo presenterà la relazione fondamentale sul tema del Congresso: “Rapporti sociali e fraternità: paradosso o modello sostenibile?”.
L’attualità della tematica “rapporti sociali” – L’interesse crescente della dimensione relazionale e le sfide della globalizzazione sollecitano la comprensione dei rapporti complessi e molteplici nel mondo contemporaneo. Aumenta tra gli scienziati del sociale l’esigenza di una maturazione teorica della loro disciplina. Diffusa è la domanda di nuovi modelli, di nuove strategie di ricerca, nuovi schemi di applicazione per rilevare non solo la realtà conflittuale, ma anche i nuovi fenomeni positivi e costruttivi.
Obiettivo del Convegno – Dal confronto e dialogo sugli studi e le acquisizioni a cui sono giunte sinora le scienze sociali, il Convegno cercherà di individuare prospettive per il futuro, proponendo la fraternità come categoria concettuale su cui fondare un nuovo paradigma scientifico.
La proposta di “Social One” – E’ proprio in questa direzione che sono impegnati gli scienziati del sociale che aderiscono a “Social One”, composto da sociologi, operatori e studiosi dei servizi sociali dei 5 continenti. Attraverso una dinamica dialogica, si è iniziato ad attingere dal patrimonio vitale e culturale che caratterizza l’esperienza di fraternità universale proposta da Chiara Lubich e dal Movimento dei Focolari, da lei fondato. Ne stanno scaturendo idee, orientamenti e spunti per la ricerca, chiavi di lettura e interpretazione della realtà e di intervento nel sociale che evidenziano nuovi prospettive nei contenuti e nel metodo del pensare, analizzare, comprendere, operare.
Per ulteriori informazioni:
Servizio Informazione Focolari – Carla Cotignoli – tel. 06.947989 – 348.856.33.47
Feb 8, 2005 | Chiara Lubich, Focolari nel Mondo

Lia Brunet aveva conosciuto Chiara Lubich sin dal 1945 a Trento. Sarà lei, insieme al primo focolarino, Marco Tecilla e a Fiore Ungaro, a intraprendere il primo viaggio fuori dai confini dell’Europa, nel 1958. Erano gli anni di gravi conflitti sociali in tutto il continente latinoamericano. Quel viaggio segnerà l’inizio della tessitura di una rete d’amore che getterà semi di rinnovamento spirituale e sociale in quei Paesi dove Lia ha speso, senza risparmiarsi, 44 anni della sua vita. Ci ha lasciati il 5 febbraio. A Natale aveva compiuto 87 anni. Quel primo viaggio in America latina, è un viaggio pieno di incognite. A Trento, con Chiara, nei quartieri più poveri, aveva sperimentato la forza di trasformazione sociale del Vangelo vissuto e la sua forza diffusiva. In 12 intensi mesi, i tre fanno tappa a Recife, San Paolo, Rio de Janiero, Belo Horizonte in Brasile; a Montevideo, in Uruguay; a Buenos Aires in Argentina; a Santiago del Cile… Così tratteggia il loro programma in “Diario di un viaggio”: “Anche la nostra è una rivoluzione, usando l’arma più potente, l’Amore che Gesù ha por
tato sulla terra. Anche noi parlavamo di ‘uomo nuovo’, quello di san Paolo, ma anche di ‘uomo vecchio’, che cerchiamo di far morire anzitutto in noi stessi. Anche il nostro è un progetto di morte e di vita: punta a ‘che tutti siano uno’.” (altro…)
Feb 7, 2005 | Nuove Generazioni
Feb 6, 2005 | Focolari nel Mondo
Il Movimento Famiglie Nuove, espressione dei Focolari per il mondo della famiglia, attraverso le adozioni a distanza raggiunge attualmente 14.200 bambini inseriti in 96 progetti di sviluppo in 45 Paesi. In risposta all’emergenza sud-est asiatico, numerose le richieste e le offerte di adozioni a distanza. Sono stati avviati i primi nuovi progetti.
India – Tamil Nadu
Il Tamil Nadu, uno dei 32 stati dell’India, con capitale Madras, è situato nel sud est della penisola indiana, ed è tra i più densamente popolati. Dalle coste, colpite in modo devastante dal maremoto, la popolazione si è riversata nei territori dell’interno, rendendo necessaria l’attivazione di centri di assistenza in tutto lo Stato. Ma la situazione di povertà dell’area, aggravata dagli effetti della catastrofe, non consente un’accoglienza adeguata, e urgono finanziamenti immediati.
Progetto “Ilanthalir”
Father Susai Alangaram è un sacerdote molto vicino ai Focolari, con il quale Famiglie Nuove collabora dal 1997. L’Associazione da lui creata ha lo scopo di offrire educazione ai bambini dei villaggi dando la priorità a bambini poveri e/o orfani. Oltre ai 600 minori già inseriti nel programma di sostegno a distanza, Famiglie Nuove propone il sostegno a distanza di altri circa 200 bambini vittime dello tsunami dei quali il centro può prendersi cura con continuità.
Progetto “Bala Shanti”
Coimbatore – Tamil Nadu: dal 1986 vi opera l’associazione gandhiana ‘Shanti Ashram’ che raggiunge le popolazioni di una trentina di villaggi nell’intento di formare uomini di pace in una società pluralista come quella indiana, tipica per la diversità di culture, religioni e caste, offrendo ai bambini anche adeguato supporto alimentare e sanitario. Shanti Ashram ha accolto famiglie e bambini che dalla costa si sono rifugiati a Coimbatore. Si propone il sostegno a distanza per un centinaio di bambini Tsunami che si aggiunge alle 180 avviate da anni.
Progetto “K. Gandhi Kanya Gurukulam”
Nagapattinam -Tamil Nadu: dal 1946 opera l’associazione ‘K. Gandhi Kanya Gurukulam’ attraverso attività educative e sociali, dirette alle ragazze povere e orfane. Si portano avanti 1.700 ragazze di tutte le religioni, che ricevono
gratuitamente l’insegnamento, imparando vari mestieri per potersi poi mantenere. Dal 2003 le Famiglie Nuove collaborano inviando 49 sostegni a distanza: dopo la tragedia il referente del progetto invita ad accogliere e seguire nella continuità almeno 200 bambini colpiti dallo Tsunami, mediante il sostegno a distanza.
I progetti in Indonesia, Sri Lanka, isole Andamane e Nicobare
Indonesia
In Indonesia sta prendendo forma un intervento continuativo per 600 minori gestito da uno dei centri dei Focolari presente a Medan (Sumatra).
Sri Lanka
Nello Sri Lanka, in partnership con Apostolic Carmel, congregazione con diverse case sparse nel paese e con la quale da anni Famiglie Nuove collabora per progetti infanzia, si è presa cura di 150 bambini vittime Tsunami e delle loro famiglie.
Isole Andamane e Nicobare
Nelle isole Andamane e Nicobare stiamo mandando aiuti di emergenza tramite il vescovo di Port Blair, amico dei Focolari, che ospita un migliaio di persone nel cortile della sua parrocchia, in attesa di finalizzare un progetto di sostegno a distanza. Tutti i progetti possono essere sostenuti con l’invio di 216 €. Il versamento della quota, preferibilmente in un’unica soluzione, va effettuato su uno dei seguenti conti: c/c postale n° 48075873; c/c bancario n° 1000/2497 presso SAN PAOLO – IMI – Agenzia di Grottaferrata (Roma) – ABI 01025 – CAB 39140. intestati a: Associazione AZIONE PER FAMIGLIE NUOVE Onlus – Via Isonzo 64 – 00046 Grottaferrata (RM) Specificare la causale del versamento. (altro…)
Feb 1, 2005 | Parola di Vita
In Quaresima la Chiesa ci ricorda che la nostra vita è un cammino verso la Pasqua, quando Gesù, con la sua morte e risurrezione, ci introduce nella vita vera, all'incontro con Dio. Un cammino non privo di difficoltà e di prove, paragonato ad una traversata del deserto.
Fu proprio nel deserto, mentre stava andando verso la terra promessa, che il popolo d'Israele abbandonò, per un momento, il suo Dio e adorò il vitello d'oro.
Anche Gesù ripercorre lo stesso cammino nel deserto e anche lui è tentato da Satana di adorare il successo e il potere. Ma Egli taglia netto con ogni lusinga del male e si rivolge con decisione verso l'Unico Bene:
«Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto»
Come è stato per il popolo ebraico e per Gesù, così anche per noi, nel nostro quotidiano, non mancano le tentazioni a farci deviare verso percorsi più facili. Esse ci invitano a cercare la nostra gioia e a riporre la nostra sicurezza nell'efficienza, nella bellezza, nel divertimento, nel possesso, nel potere…, realtà di per sé positive, ma che possono essere assolutizzate e che spesso la società propone come autentici idoli.
E quando non si riconosce e non si adora Dio, subentrano inevitabilmente altri “dèi” ed ecco riapparire il culto dell'astrologia, della magia…
Gesù ci ricorda che la pienezza del nostro essere non sta nella ricerca di queste cose che passano, ma nel metterci davanti a Dio, dal quale tutto proviene, e riconoscerlo per quello che Egli veramente è: il Creatore, il Signore della storia, il nostro Tutto: Dio!
Se lassù in Cielo, dove siamo incamminati, lo loderemo incessantemente, perché non anticipare fin da adesso la nostra lode a Lui?
Che sete sentiamo, a volte, anche noi di adorare, lodandolo nel fondo del nostro cuore, vivo nel silenzio dei tabernacoli e nella festante assemblea dell'Eucaristia…
«Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto»
Ma che cosa significa “adorare” Dio?
E' un atteggiamento che va diretto solo a Lui. Adorare significa dire a Dio: “Tu sei tutto”, cioè: “Sei quello che sei”; ed io ho il privilegio immenso della vita per riconoscerlo.
Adorare significa anche aggiungere: “Io sono nulla”. E non dirlo solo a parole. Per adorare Dio occorre annientare noi stessi e far trionfare Lui in noi e nel mondo. Questo implica il costante abbattimento dei falsi idoli che siamo tentati di costruirci nella vita.
Ma la via più sicura per giungere alla proclamazione esistenziale del nulla di noi e del tutto di Dio è tutta positiva. Per annientare i nostri pensieri non abbiamo che da pensare a Dio ed avere i suoi pensieri che ci sono rivelati nel Vangelo. Per annientare la nostra volontà non abbiamo che da compiere la sua volontà che ci viene indicata nel momento presente. Per annientare i nostri affetti disordinati basta aver in cuore l'amore verso di Lui ed amare i nostri prossimi condividendone le ansie, le pene, i problemi, le gioie.
Se siamo “amore” sempre, noi, senza che ce ne accorgiamo, siamo per noi stessi nulla. E perché viviamo il nostro nulla, affermiamo con la vita la superiorità di Dio, il suo essere tutto, aprendoci alla vera adorazione di Dio.
«Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto»
Quando tanti anni fa scoprimmo che adorare Dio significava proclamare il tutto di Lui sul nulla di noi, componemmo una canzone che diceva: “Se su nel ciel si spengono le stelle / se ogni giorno muore / se l'onda in mar s'annulla e non riprende / è per la tua gloria. / Che il creato canta a Te: / Tutto sei. / Ed ogni cosa dice a sé: / nulla son!”
Il risultato del nostro annullarci per amore era che il nostro nulla veniva riempito dal Tutto, Dio, che entrava nel nostro cuore.
Chiara Lubich
Gen 24, 2005 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Dalla Thailandia «Ci siamo messi a disposizione, aiutando negli ospedali, donando il sangue, facendo da interpreti per i molti turisti coinvolti.
Da Bangkok alcuni di noi sono partiti per il sud per portare i primi aiuti raccolti sul posto e vedere cosa si potrà fare successivamente. Mons. Prathan, Vescovo del Sud della Thailandia, sottolinea l’importanza dell’aspetto spirituale, oltre che degli aiuti materiali, della potenza della preghiera per coloro che soffrono. Gli abbiamo assicurato che da tutto il mondo si partecipa anche con la preghiera alle sofferenze del nostro Paese».
Dall’India, una giovane del Movimento, di Madras (Tamil Nadu), ci scrive: «Il dolore è di una dimensione che ti sconvolge. La situazione nello Sri Lanka è molto più grave. Tante persone sono state trasportate a Madras e alloggiano negli uffici del comune, in chiese, templi. Eppure in tutto questo immenso dolore vedi l’amore, l’Amore per Dio a cui affidiamo tutto, l’Amore tra la gente: le famiglie hanno aperto le proprie case per accogliere chi è rimasto senza nulla, i giovani sono impegnati a raccogliere i corpi per fare funerali semplici ma dignitosi come l’uomo immagine di Dio merita, suore e religiosi lavorano senza sosta e sono punto di riferimento per tutti al di là della religione, le donne non smettono di cucinare riso per tutti, i medici intervengono senza sosta, i più poveri cercano di aiutare chi è in situazione più tragica della propria». E ancora: «Con mio fratello e una rete di benzinai prepariamo dei pacchi “fabbisogno”: una cucinetta al kerosene, piatti, medicine per pulire l’acqua, un tappeto di foglie secche per dormire, riso e biscotti per i bambini, lenticchie. Raccogliamo dalla gente e nei negozi acquistiamo con lo sconto; non facciamo calcoli sui nostri soldi che sono praticamente finiti, ma sulla provvidenza. Anche la nostra piccola macchina l’abbiamo data per trasportare le persone. Abbiamo avviato un programma per la distribuzione. Io non posso più spostarmi dalla città: la nostra casa accoglie adulti e bambini, malati o feriti, di cui prenderci cura rientrando dal lavoro. Un contributo piccolo ma che arriva subito e direttamente alle famiglie e permette loro di sopravvivere. E questa adesso è la cosa più importante… la grande lezione è che solo l’amore resta». (altro…)
Gen 24, 2005 | Focolari nel Mondo
Tra le molte iniziative che fioriscono sia nei Paesi colpiti che nel resto del mondo, ad opera delle varie espressioni del Movimento dei Focolari, soprattutto tra i giovani è partita una staffetta d’amore. Alcuni flash:
Milano: i giovani hanno partecipato alla fiaccolata organizzata dall’Associazione Arcobaleno, un centro di accoglienza per stranieri gestito da persone dei Focolari, con la significativa partecipazione della comunità dello Sri Lanka che vive nel capoluogo lombardo, segnata da molti lutti a causa del maremoto. La manifestazione si è conclusa in piazza Duomo dove hanno parlato rappresentanti buddisti e cristiani della comunità. Molto toccante è stata la testimonianza di un operatore italiano dell’Arcobaleno, che ha voluto ringraziare il popolo cingalese per la sua generosità: sua figlia e suo genero erano in viaggio di nozze sulle spiagge dello Tsunami e sono stati tratti in salvo, per miracolo, da gente del luogo, che ha messo a repentaglio la propria vita per salvare quella di un gruppetto di 20 turisti, tra cui loro. Germania: il movimento di Schoenstatt e alcune comunità della Chiesa evangelico-luterana si sono unite alle iniziative dei Focolari per far arrivare anche i loro aiuti attraverso i contatti diretti che i Focolari hanno nelle zone colpite. Time-Out: ogni giorno, a mezzogiorno, i membri del Movimento, in tutto il mondo, si fermano per un minuto di silenzio e di preghiera per la pace. L’iniziativa, nata negli anni novanta a seguito della prima guerra del Golfo, ha oggi come prima intenzione di preghiera proprio le vittime dell’Asia. Le veglie di preghiera sono state molte, con raccolte di soldi: l’ultima, in ordine di tempo, il 18 gennaio scorso a Grottaferrata (RM), in concomitanza con l’inizio della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, che da sempre vede il Movimento attivo con molte iniziative in campo ecumenico. Come è avvenuto in tutto il mondo, anche i giovani hanno colto l’occasione delle feste natalizie e del Capodanno per raccogliere fondi a favore delle popolazioni colpite. Dall’Italia, qualche esempio: Loppiano: il ricavato della ormai tradizionale festa di Capodanno è stato destinato alle vittime dello tsunami (€ 2.100). Ancona: “Calze della befana” è il nome dell’iniziativa dei ‘Giovani per un Mondo Unito’, una raccolti di fondi attraverso la vendita nelle parrocchie della tradizionale calza del 6 gennaio, Gite turistiche, come ad Anagni (FR), o tombolate con piccoli e grandi, come a S. Anastasia (NA). (altro…)
Gen 24, 2005 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale
El Alto, simbolo della rivolta. El Alto, l’altopiano della capitale boliviana, La Paz, simboleggia la rivolta, il conflitto, l’esasperazione del popolo boliviano. La difficile situazione sociale in Bolivia, incastonata tra la catena delle Ande e le grandi pianure del Sud America, alimenta uno stato di conflitto continuo che sfocia in manifestazioni e scioperi, non ultimo quello di questi giorni, sempre a El Alto, per chiedere agevolazioni nell’erogazione dell’acqua potabile. Sono oltre 40.000 le famiglie della zona, che non vi hanno attualmente accesso.
Cosa fare per rispondere a questa situazione drammatica Tra le numerose iniziative che fioriscono nel Paese, nasce l’operazione “Da El Alto all’Alto”, promossa dal Movimento dei Focolari per portare la realtà sociale conflittuale ad un piano più elevato, con l’apporto della dimensione spirituale. Si è dato vita così ad una «scuola di formazione alle responsabilità civili», preludio per azioni concrete, seppur umili, in cui la solidarietà e la fraternità possano sempre più informare le relazioni sociali. Inizia un tavolo di dialogo per approfondire, anche con l’aiuto di esperti, tematiche importanti, come il documento elaborato dalla Conferenza episcopale boliviana, con un’analisi approfondita della realtà sociale, insieme alla proposta per una nuova legge che regoli lo sfruttamento delle risorse naturali, essenziali per lo sviluppo economico del Paese. I conflitti sociali La Bolivia, infatti, pur essendo ricca di risorse come gas naturale e giacimenti di petrolio, è da secoli preda di una povertà endemica. Tra le cause, l’ingiusta ripartizione della ricchezza: da una parte c’è una piccola minoranza che detiene il potere economico e politico, dall’altra la maggioranza della popolazione si deve accontentare delle «briciole» e vede preclusa ogni speranza di miglioramento. Nell’autunno scorso sono scoppiati, prolungandosi per oltre un mese, una serie di scontri tra popolazione ed esercito, iniziati a El Alto e dilagati poi nel resto del Paese, che hanno registrato oltre 70 morti. La fraternità, risposta ai problemi sociali La spiritualità dell’unità dei Focolari inizia a diffondersi in Bolivia già negli anni ’70, attraverso alcuni sacerdoti e religiosi. Nascono i primi centri, a La Paz e poi a Cochabamba, e da lì il Movimento si diffonde anche a Santa Cruz, Oruru e Sucre. Il desiderio di tutti è quindi anche oggi di dare una testimonianza viva di come la fraternità può essere una risposta ai problemi sociali. (altro…)
Gen 24, 2005 | Non categorizzato
Giovani che vogliono spendersi per la propria comunità
Parte in Argentina la prima scuola di formazione politica per i giovani promossa dal Movimento Politico per l’Unità in nove città: grazie a internet, il progetto è diventato operativo contemporaneamente a Buenos Aires, Cordoba, Rosario, José C. Paz, Avellaneda, La Plata, Mar del Plata, Bahía Blanca, Neuquén. I 140 giovani che da maggio scorso frequentano questi corsi di formazione politica chiedono alla politica l’utopia di un mondo unito e allo stesso tempo la concretezza di ciò che può incidere nel cambiamento. Sono giovani che vogliono spendersi per la propria comunità.
Come si svolge il corso
La scuola punta a offrire gli strumenti per una azione collettiva innovativa nel campo sociale e politico, attraverso corsi tematici svolti nelle città di appartenenza, progetti differenziati di azione locale e seminari per tutti gli studenti, due volte l’anno. Nelle diverse città i giovani si riuniscono insieme ad un animatore e interagiscono virtualmente con i professori e le altre comunità”. (altro…)
Gen 23, 2005 | Ecumenismo
La manifestazione “Insieme per l’Europa” del maggio scorso a Stoccarda, ha segnato non solo un momento culmine del cammino di comunione avviato tra oltre 150 movimenti comunità e gruppi cattolici, evangelico-luterani, anglicani e ortodossi, ma anche ha reso visibile la ricchezza della fede cristiana nelle diverse Chiese.
In questi mesi non sono mancate le occasioni per ritrovarsi e lavorare insieme, mentre già si prepara a livello mondiale un nuovo appuntamento. Questa settimana è un’occasione per aprire una finestra sul mondo ortodosso, anglicano ed evangelico-luterano, partendo da tre realtà – diffuse in tutto il mondo – presenti l’8 maggio a Stoccarda: la fraternità ortodossa Syndesmos, i Corsi Alpha, nati all’interno di una parrocchia anglicana, e l’YMCA, associazione giovanile di origine europea, molto diffusa in Germania. – Syndesmos (“legame di unità”) fraternità iniziata nel 1953, raggruppa 121 scuole teologiche e movimenti giovanili ortodossi, in 43 nazioni. Suo fine specifico è sviluppare la collaborazione e la comunicazione fra i movimenti ortodossi di giovani e le facoltà teologiche sparse nel mondo, e di promuovere fra loro una più profonda comprensione e l’impegno a testimoniare il Vangelo nel XXI secolo. – Corso-Alpha, nato negli anni ’70, tenuto in 152 paesi e tradotto in 47 lingue, è rivolto a tutti gli strati sociali ed interessa soprattutto i giovani e chi non si definisce cristiano; è basato sul Vangelo e dura 10 settimane. Offre a chiunque lo desideri un primo approccio alla fede cristiana. – YMCA, Associazione cristiana dei giovani, è nata a Londra nel 1844 ed è oggi sparsa in tutto il mondo; il suo scopo è lavorare per il cambiamento sociale formando i giovani come cristiani anche attraverso lo sport e altre attività educative, insieme a servizi per i rifugiati ed emigrati. (altro…)
Gen 23, 2005 | Ecumenismo
La Chiesa ortodossa ha mille anni di storia nella provincia orientale della Finlandia, la Carelia.
Come conseguenza della Seconda guerra mondiale, la Finlandia ha perso nella regione quasi tutte le terre tradizionalmente ortodosse. La maggior parte degli 80 mila ortodossi si trovarono ad essere dei rifugiati.
Molti movimenti della gioventù ortodossa hanno avuto inizio in modo spontaneo e miracoloso durante la guerra e nell’immediato dopoguerra. Il contributo del Movimento della gioventù ortodossa della Finlandia è stato determinante per la sopravvivenza di questa chiesa, con un ruolo chiave nell’aiutare a raccogliere le persone per la divina liturgia, per i gruppi di studio e i campeggi, e nella formazione di comunità eucaristiche che – in alcuni casi – divennero le nuove parrocchie in tutto il paese. La chiesa divenne il centro focale della vita e del servizio del Movimento della gioventù. Il rinnovamento evangelico della vita della chiesa venne iniziato in vari modi dal Movimento della gioventù ortodossa. Gioia e entusiasmo per la liturgia si espressero in ciò che viene definito: “santificare il tempo”. Questo rinnovamento liturgico è stato accompagnato da un interesse per gli scritti ascetici dei Padri e delle Madri del deserto. È stato un invito ad una spiritualità di amore per il bene e per la bellezza. È stato anche una scoperta dell’universalità della fede cristiana ortodossa. La piccola minoranza ortodossa della Finlandia non era sola al mondo. Attraverso i contatti all’interno di Syndesmos, che è la Fraternità mondiale dei 126 Movimenti della gioventù ortodossa, abbiamo riscoperto la nostra fraternità in Cristo. Una identità così rafforzata ha reso possibile, a noi che eravamo una minoranza, di coinvolgerci ecumenicamente: e abbiamo capito che ciò che è una sfida per una chiesa lo è anche per le altre, e ciò che è una benedizione per una chiesa lo è anche per le altre. (Heikki Huttunen – Outi Vasko) Tratto da Insieme per l’Europa – Il grande appuntamento di Stoccarda tra movimenti e comunità di varie chiese cristiane – supplemento a Città Nuova N. 10/2004 (altro…)
Gen 23, 2005 | Ecumenismo
Non ho ricevuto un’educazione cristiana. Mio padre era un ebreo tedesco. Mia madre non andava in chiesa.
Ho conosciuto la fede in Gesù quando avevo 18 anni, e da allora ho desiderato parlare di Gesù a persone come me. Questo è tutto ciò che si propone Alpha. È indirizzato principalmente alle persone che non frequentano la Chiesa, a coloro i quali non si definiscono cristiani.
Il Corso-Alpha é fondato sul Vangelo. Si svolge in un arco di tempo di 10 settimane e comprende un pasto comune, un discorso e la costituzione di piccoli gruppi. Siamo positivamente toccati da ciò che é accaduto negli ultimi undici anni. Il Corso-Alpha si tiene in 152 paesi e in 30.000 parrocchie. E’ stato tradotto in 47 lingue ed è rivolto a tutti gli strati sociali. 124 delle 160 prigioni presenti nel Regno Unito (l’80%) ospitano circa 70.000 detenuti, dei quali – secondo le nostre statistiche – più di 30.000 hanno partecipato ad un Corso-Alpha. Esso ha suscitato in particolare grande interesse fra i giovani. Viene utilizzato da tante Chiese, riunendo i Cristiani nella loro comune missione di evangelizzazione ed è sostenuto dai leader delle maggiori Chiese cristiane. Durante il Corso, incentrato sulla figura di Cristo, insegniamo ciò che ci unisce come cristiani. Abbiamo capito che ciò che ci unisce é infinitamente più grande di ciò che ci divide. (Nicky Gumbel – Londra) Tratto da Insieme per l’Europa – Il grande appuntamento di Stoccarda tra movimenti e comunità di varie chiese cristiane – supplemento a Città Nuova N. 10/2004 (altro…)
Gen 23, 2005 | Ecumenismo
Ivan è cresciuto a Zagabria. Durante la guerra nei Balcani è riuscito a fuggire con la sua famiglia in Germania, ma i bombardamenti e tutto ciò che aveva sperimentato durante la guerra avevano inciso sul suo stato di salute e provocato aggressività, droga e alcol. Alcuni pensavano già che fosse impossibile riabilitarlo e, proprio in quel momento, fu invitato al centro giovanile del Cvjm (l’YMCA tedesca). Per la prima volta sentì parlare dell’amore di Dio per ciascuno di noi. Apprese dai collaboratori del centro che Gesù sa perdonare e riappacificare gli uomini tra loro. Ben presto Ivan affidò la sua vita a Dio, e trovò la forza di aver fiducia negli altri. Ora va avanti per la sua strada in unità con Dio. Storie di questo genere ci incoraggiano a proseguire nel compito affidatoci dall’YMCA: formare bambini e giovani forti e una società solida.Nei nostri gruppi, assai vari, si intrecciano spesso delle amicizie profonde: bambini hanno la possibilità di misurarsi con sé stessi e scoprire dei talenti finora sconosciuti, per esempio nello sport, durante il gioco, in lavori creativi o nel far della musica. E periodi di vacanza o viaggi durante le ferie sono un’occasione ideale per sperimentare la fede, la fiducia e la gioia di vivere insieme. Nei nostri incontri vogliamo dedicarci in modo particolare ai giovani che provengono da difficili situazioni sociali o che si sentono tagliati fuori, sapendoli ascoltare e accogliere. Nei nostri gruppi si promuove nei giovani una competenza nel campo sociale, la capacità di instaurare rapporti e di risolvere conflitti, di sapersi prendere la propria responsabilità. Il Movimento dell’YMCA è nato nel 1844 a Londra, come movimento ecumenico, e si è poi esteso in tutto il mondo come il più grande movimento cristiano-ecumenico per la gioventù. Solo in Germania vi fanno parte 30 mila collaboratori e collaboratrici senza retribuzione e 700 referenti per la gioventù che lavorano a tempo pieno. (Mathias Ritter – Katja Muessig) Tratto da Insieme per l’Europa – Il grande appuntamento di Stoccarda tra movimenti e comunità di varie chiese cristiane – supplemento a Città Nuova N. 10/2004 foto: Helmut Nicklas (YMCA Monaco) (altro…)
Gen 22, 2005 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Sono parroco cattolico in una città di 90.000 abitanti in Romania, dove la storia ha creato un mosaico di sette nazionalità e diverse Chiese. Quando 16 anni fa sono arrivato in quel posto, mi sono proposto di amare tutti, ma in modo speciale i ministri delle altre Chiese. Ero convinto, infatti, che tutti eravamo lì per una sola cosa: testimoniare alla gente Dio. Dapprima i contatti erano sporadici, in occasione di qualche funerale o altro. Cercavo di cogliere queste opportunità per costruire rapporti più profondi, interessandomi della vita degli altri ministri e dei problemi che incontravano nella pastorale. Sono nate così spontaneamente le prime iniziative. Un giorno, per esempio, ho chiesto al sacerdote ortodosso di parlare ai miei giovani. In seguito anche lui mi ha invitato. Nel 1992 è nata l’idea di stabilire un giorno della settimana, nel quale, secondo le possibilità, si sarebbero incontrati tutti i sacerdoti e pastori della città. Dopo 10 anni eravamo già 30 sacerdoti e pastori con due vescovi. Il nostro gruppo – composto da sacerdoti ortodossi rumeni e serbi, cattolici di rito latino e greco, riformati ungheresi, evangelici tedeschi e ungheresi, poi slovacchi, ucraini e croati – è diventato come un piccolo laboratorio ecumenico. Vivendo insieme il Vangelo, cerchiamo di far crescere fra noi rapporti di amore reciproco. Ci ispira, ci incoraggia la promessa di Gesù: “Dove due o più sono uniti nel mio nome…”. Da questi incontri sono sorte le “giornate ecumeniche” che hanno luogo ogni anno nella “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani”. In queste giornate è una gioia scambiarci i doni delle diverse tradizioni con canti e preghiere che svolgiamo in tutte le chiese della città, facendo con i nostri fedeli una specie di pellegrinaggio da una chiesa all’altra. Qualche tempo fa, siamo riusciti ad individuare due santi patroni per la nostra città che potessero essere accettati da tutte le Chiese: i santi Pietro e Paolo. Questa ricorrenza è stata accolta anche dalle autorità civili. Così il 29 giugno è diventato la festa più bella della città, con la partecipazione di una moltitudine di persone, ed è per tutti un simbolo d’unità. A volte ci sono pure difficoltà. Un anno, proprio mentre ci preparavamo alla cerimonia ecumenica, in sacrestia si è verificato un diverbio abbastanza aspro fra uno dei sacerdoti ortodossi ed il prete greco-cattolico. Ho pensato: “Adesso tutto il lavoro di questi anni sarà distrutto e l’ecumenismo andrà indietro”. Non potevo che affidare questa situazione a Dio. Dopo tre giorni, all’incontro in un’altra chiesa, il sacerdote che aveva offeso l’altro, ha chiesto pubblicamente perdono, per essere stato di impedimento nella via dell’unità. Un’altra volta un fedele mi ha detto che una persona di un’altra Chiesa parlava male di me. Mi sono messo a pregare, certo che Gesù avrebbe risolto anche questa cosa. Ho telefonato poi a quella persona che conoscevo e l’ho pregata di dirmi se aveva qualche difficoltà nei miei riguardi. E’ bastato questo piccolo passo per riavvicinarci. Un sacerdote che si trovava in difficoltà, sentendosi solo e isolato, in questi incontri ha trovato nuovo slancio. Un pastore evangelico era stato ingiustamente denunciato presso i suoi superiori. Allora tutti insieme abbiamo scritto al suo Vescovo, per informarlo sulla vera realtà delle cose. Ogni volta, poi, quando ci incontriamo preghiamo insieme per i problemi pastorali in quest’epoca di transizione. (altro…)
Gen 14, 2005 | Famiglie, Focolari nel Mondo
Sembrava una sera come tante, ma non è stato così. Dopo ripetuti inviti, quella sera ho deciso di partecipare ad una riunione con un gruppo di famiglie che vivevano la spiritualità dell’unità, rinunciando al corso di nuoto. Sono tornata a casa felice, commossa: avevo trovato qualcosa di grande per cui valeva la pena di vivere. Avevo un grande desiderio di comunicare tutto a J., mio marito. Stava già dormendo e l’ho svegliato, ma non mi ha presa troppo sul serio. All’inizio non facevo che pensare a quanto quelle riunioni avrebbero aiutato J. a cambiare certi aspetti negativi del suo carattere, ma molto presto ho capito che ero io a dover cambiare. Ho cominciato allora a perdonare certi fatti passati che non ero mai riuscita a dimenticare. Poi ho cercato di essere più tollerante e di amare tutti di più e per prima, senza aspettarmi nulla in cambio. In casa si sono accorti del mio cambiamento e dopo qualche tempo anche J. ha accettato di partecipare con me a questi incontri: lo vedo entrare piano piano nel clima di fraternità che lì si respira, fino a diventarne costruttore attivo, mettendosi al servizio di tutti. J. decide di portare anche i nostri bambini, e di mettere a disposizione il suo autobus per trasportare le persone del nostro quartiere che avessero voluto partecipare agli incontri, così avrebbero risparmiato i soldi del viaggio. Ma non ha potuto farlo perché pochi giorni dopo non solo ha perso il lavoro, ma è stato minacciato pesantemente. Qualche tempo dopo viene convocato nell’ufficio della ditta. Sa di rischiare grosso, presentandosi, ma accetta. All’appuntamento lo aspetta la persona che gli toglie la vita. Per me è un colpo durissimo, ma sento che Dio aveva preparato mio marito e me a quanto ci stava per accadere. Prego che questo dolore non passi invano e lo offro perché la persona che ci ha fatto così tanto male si possa pentire. Non capisco il perché di quel che è successo, ma dentro di me non c’è rancore. Faccio di tutto perché anche i miei figli, di dodici e nove anni, superino la rabbia e riescano a perdonare. Le parole di Gesù sul perdono e sull’amore al nemico mi danno forza giorno per giorno. Un nostro conoscente sa chi è il colpevole e mi fa capire che, se voglio, posso ottenere la vendetta. «No! – rispondo – lo lascio alla giustizia di Dio. Siamo tutti creature sue e questa persona, oltretutto, ha bisogno di tempo per pentirsi». J. l’aveva sperimentato che Dio ci ama. Ho fatto scrivere sulla sua tomba: “Dillo a tutti: Dio ti ama immensamente”. (B.L. – Colombia) Tratto da L’amore vince. Trenta storie vere raccontate dai protagonisti. Ed. Città Nuova
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Gen 13, 2005 | Chiara Lubich, Spiritualità
Se siamo uniti, Gesù è fra noi. E questo vale. Vale più di ogni altro tesoro che può possedere il nostro cuore: più della madre, del padre, dei fratelli, dei figli. Vale più della casa, del lavoro, della proprietà; più delle opere d’arte d’una grande città come Roma, più degli affari nostri, più della natura che ci circonda coi fiori e i prati, il mare e le stelle: più della nostra anima. E’ Lui che, ispirando i suoi santi colle sue eterne verità, fece epoca in ogni epoca. Anche questa è l’ora sua: non tanto d’un santo, ma di Lui; di Lui fra noi, di Lui vivente in noi, edificanti – in unità d’amore – il Corpo mistico suo. E allora viviamo la vita che Egli ci dà attimo per attimo nella carità. E’ comandamento base l’amore fraterno. Per cui tutto vale ciò che è espressione di sincera fraterna carità. Nulla vale di ciò che facciamo se in esso non vi è il sentimento d’amore per i fratelli: ché Dio è Padre ed ha nel cuore sempre e solo i figli. Da MEDITAZIONI, di Chiara Lubich (altro…)
Gen 12, 2005 | Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Una nuova pagina di fraternità tra cristiani e buddisti si è aperta in Giappone. In questo grande Paese del Sol Levante, di 127 milioni di abitanti, in maggioranza scintoisti e buddisti, i cristiani non superano la soglia dell’1%. E’ proprio un Movimento buddista giapponese, la Rissho Kosei-kai, ad invitare il complesso musicale internazionale, Gen Verde, fra la sua gente, per portare un messaggio di pace e fraternità. Questa iniziativa è nata dopo che una delegazione della RKK aveva assistito ad uno spettacolo di questo complesso, in Corea nel 2002, dove avevano portato sui palcoscenici Prime Pagine, un “teatro musicale” che narra la scoperta del Vangelo, alle radici della storia del Movimento dei Focolari.
Gli spettacoli – per l’occasione allestiti in giapponese – raggiungono oltre 17.000 persone in 9 città, da Tokyo a Nagasaki. Un tifone particolarmente violento e il terremoto a Niigata spinge a fare degli spettacoli un gesto di solidarietà concreta.
L’invito della RKK si innesta sulla base del dialogo intessuto dal 1979 con Chiara Lubich e i Focolari in Giappone. Motivo ufficiale: la partecipazione alle cerimonie di commemorazione di Nikkyo Niwano, fondatore del Movimento, a 5 anni dalla sua dipartita. Sei milioni sono gli aderenti della RKK che si collegano via satellite alle cerimonie. La tournée segna, come aveva auspicato Chiara Lubich in un messaggio al Presidente della RKK, Nichiko Niwano, “un nuovo impegno a vivere e a lavorare assieme, con dedizione e fiducia, sostenendosi sempre l’un l’altro, per costruire l’unità della famiglia umana”.
Varie le occasioni di contatto diretto con la cultura giapponese, con lo scintoismo e il buddismo tradizionale, attraverso la visita ai loro templi e ad alcuni maestri spirituali, come il venerabile Takeuchi, già da tempo in contatto con i Focolari. Attraverso i Koriukai (incontri di approfondimento), il Gen Verde entra in contatto con altri 3.000 buddisti. “Questo popolo non ha mai smesso di stupirci – dice Paola Stradi del Gen Verde – forte e delicato allo stesso tempo, determinato e irriducibile, ma sensibilissimo ai valori dello spirito”.
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Gen 12, 2005 | Cultura, Dialogo Interreligioso, Focolari nel Mondo
“Vogliamo essere strumenti di pace come voi”. “E’ cresciuto dentro di noi il seme della pace”. “Questa è veramente l’espressione più alta dell’arte: donare forza e speranza!”. Alcune delle espressioni raccolte dal pubblico che numeroso, in 17.000, è intervenuto a Tokyo, Nagasaki, Hiroshima, Osaka, Fukuoka, Nagoya, Nagano, le città toccate nei 68 giorni di tournée giapponese del Gen Verde, espressione artistica del Movimento dei Focolari, in una lunga tournée iniziata il 24 settembre e conclusa il 1° dicembre scorso. L’invito è partito dal movimento buddista giapponese Rissho Kosei-Kai (RKK), sulla base del profondo dialogo intessuto dal 1979 con Chiara Lubich e i Focolari in Giappone. Il Gen Verde ha portato sui palcoscenici Prime Pagine – per l’occasione allestito in giapponese -, un “teatro musicale” che risale alle radici della storia del Movimento dei Focolari, alla scoperta del Vangelo, per realizzare il testamento di Gesù, “Padre, che tutti siano uno”.
Che la tournée porti frutti di pace e di fraternità
Il 1° ottobre, il Presidente Nichiko Niwano offre al Gen Verde un pranzo di benvenuto ufficiale. “L’augurio che ci scambiamo è che la tournée porti frutti di pace e di fraternità e che chi ci vede possa esclamare, per l’amore reciproco fra RKK e Gen Verde: “guardate come si amano”. Un augurio che si è realizzato: la tournée promossa dal Movimento giapponese, ha dato un contributo al dialogo tra cristiani e buddisti e all’unità tra il Movimento dei Focolari e la Rissho Kosei-Kai.
Nel cuore del popolo giapponese
Il tour è un’occasione per conoscere da vicino le sofferenze passate e presenti della nazione, come dice Paola Stradi del Gen Verde: “In 68 giorni questo popolo non ha mai smesso di stupirci: forte e delicato allo stesso tempo, determinato e irriducibile, ma sensibilissimo ai valori dello spirito. Cerchiamo di fare nostre le sofferenze passate: la tragedia della bomba atomica e le sue conseguenze a Nagasaki e Hiroshima, dove invitiamo il pubblico a cominciare con un momento di silenzio per la pace. Tra le sofferenze presenti, un tifone particolarmente violento e il terremoto a Niigata ci spinge a fare degli spettacoli un gesto di solidarietà concreta per questa gente così provata”.
Numerosi i contatti
Oltre alle 17.000 persone incontrate nei 9 spettacoli, 2.120 sono stati i partecipanti ai Koriukai, incontri di scambio fissati tra uno spettacolo e l’altro, dove il dialogo si approfondisce; e ancora un incontro-spettacolo per 215 universitarie su invito delle suore salesiane; incontri con l’arcivescovo di Nagasaki e con il vescovo di Hiroshima, con vari sacerdoti e religiosi. L’arcivescovo di Tokyo, card. Shirayanagi, interviene allo spettacolo del 14 novembre alla Fumon Hall. E’ presente Nichiko Niwano, Presidente della RKK, con sua figlia Kosho, futura presidente designata, che, assieme al cardinale, introduce il Gen Verde. E’ presente anche S.E. Ambrose De Paoli, nunzio apostolico in Giappone.
L’incontro con alcuni bonzi e la visita ai loro templi
E’ l’occasione di un contatto diretto con la cultura giapponese ed anche con lo scintoismo e col buddismo tradizionale. Un’accoglienza particolare, in un clima di vera fraternità, è riservata dal venerabile Takeuchi, che in aprile aveva partecipato in Italia al primo simposio buddista-cristiano promosso dai Focolari.
Le cerimonie in onore del Fondatore del Movimento giapponese
Motivo ufficiale dell’invito è la partecipazione alle cerimonie per la commemorazione di Nikkyo Niwano, fondatore della RKK. Il 2 ottobre, nella Fumon Hall di Tokyo, se ne ricorda la morte, avvenuta il 4 ottobre 1999, il “giorno di S. Francesco”, come fanno presente gli amici buddisti. “La preghiera di S. Francesco” è proprio una delle canzoni presentate dal Gen Verde in lingua giapponese! 3.000 persone sono presenti. Un milione seguono via satellite, così come ad una seconda cerimonia che si tiene nell’Aula Sacra il 15 novembre, per il compleanno del fondatore a cui sono presenti in 7000. La prima parte è una preghiera solenne che conducono Nichiko Niwano e sua figlia Kosho. Il messaggio che Chiara Lubich invia per l’occasione riscuote risonanza e adesione, soprattutto l’invito a “un nuovo impegno a vivere e a lavorare assieme, con dedizione e con fiducia, sostenendosi sempre l’un l’altro, per costruire l’unità della famiglia umana.” Sempre nell’Aula Sacra, il 20 novembre il Gen Verde presenta canzoni ed esperienze a 1500 giovani buddisti venuti da tutto il Giappone, responsabili di gruppi locali. E con un’intervista televisiva, a conclusione della tournée per il “collegamento” mensile della RKK, vengono raggiunte 6 milioni di persone.
‘Sayonara’, arrivederci, Giappone!
Alcune tra le moltissime impressioni raccolte dopo gli spettacoli, dicono il “termometro” della tournée: “Avete risvegliato in me l’amore di Dio e mi avete reso cosciente che è questo amore che mi fa vivere”. “E’ cresciuto dentro di noi il seme della pace. Anche nel terremoto ho sentito la forza dell’amore”. “Voglio diventare una che dà”. “Ho capito che anche nella sofferenza io esisto per gli altri”. Al momento di partire – come dichiara Paola Stradi – “cuore e anima sono arricchiti, dilatati, rinvigoriti. In ogni città il Presidente Niwano ci ha fatto trovare stupende composizioni di fiori come benvenuto. Ma c’è un profumo ancora più intenso che continua a seguirci: quello dei cuori che abbiamo conosciuto e che ora, insieme ai nostri, vivono con rinnovata decisione per un mondo più unito”. (altro…)
Dic 31, 2004 | Parola di Vita
Era l'anno 50 quando Paolo arrivò a Corinto, la grande città della Grecia famosa per l'importante porto commerciale e vivace per le sue molteplici correnti di pensiero. Per 18 mesi l'apostolo vi annunciò il Vangelo e pose le basi di una fiorente comunità cristiana. Altri dopo di lui continuarono l'opera di evangelizzazione. Ma i nuovi cristiani rischiavano di attaccarsi alle persone che portavano il messaggio di Cristo, piuttosto che a Cristo stesso. Nascevano così le fazioni: “Io sono di Paolo”, dicevano alcuni; e altri, sempre riferendosi all'apostolo preferito: “Io sono di Apollo”, oppure: “Io sono di Pietro”.
Davanti alla divisione che turbava la comunità, Paolo afferma con forza che i costruttori della Chiesa, paragonata ad un edificio, ad un tempio, possono essere tanti, ma uno solo è il fondamento, la pietra viva: Cristo Gesù.
Soprattutto questo mese, durante la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, le Chiese e le comunità ecclesiali ricordano insieme che Cristo è l'unico loro fondamento, e che soltanto aderendo a Lui e vivendo l'unico suo Vangelo possono trovare la piena e visibile unità tra di loro.
«Cristo, unico fondamento della Chiesa»
Fondare la nostra vita su Cristo significa essere una sola cosa con Lui, pensare come Lui pensa, volere ciò che Lui vuole, vivere come Lui ha vissuto.
Ma come fondarci, radicarci su di Lui? Come diventare una cosa sola con Lui?
Mettendo in pratica il Vangelo.
Gesù è il Verbo, ossia la Parola di Dio che si è incarnata. E se Egli è la Parola che ha assunto la natura umana, noi saremo veri cristiani se saremo uomini e donne che informano tutta la loro vita della Parola di Dio.
Se noi viviamo le sue parole, anzi, se le parole sue ci vivono, sì da fare di noi “Parole vive”, siamo uno con Lui, ci stringiamo a Lui; non vive più l'io o il noi, ma la Parola in tutti. Potremo pensare che vivendo così daremo un Contributo perché l'unità tra tutti i cristiani diventi una realtà.
Come il corpo respira per vivere, così l'anima per vivere vive la Parola di Dio.
Uno dei primi frutti è la nascita di Gesù in noi e tra noi. Questo provoca un mutamento di mentalità: inietta nei cuori di tutti, siano essi europei o asiatici o australiani o americani o africani, gli stessi sentimenti di Cristo di fronte alle circostanze, alle singole persone, alla società.
E' l'esperienza di uno dei miei primi compagni, Giulio Marchesi, ingegnere in una grande industria, poi direttore di un'altra importante azienda di Roma. Le tante esperienze vissute sul lavoro e in altri campi sociali, lo portarono alla sconfortante constatazione che dappertutto erano scopi egoistici a muovere le persone e che quindi non poteva esserci felicità a questo mondo.
Quando però incontrò un giorno delle persone che vivevano la Parola di vita, tutto in lui e attorno a lui sembrò cambiare. Mettendosi anch'egli a vivere il Vangelo cominciò ad avvertire in cuore un senso di pienezza e di gioia. Scriveva: “Sperimentavo l'universalità delle Parole di vita, scatenavano una vera rivoluzione in me, cambiavano tutti i rapporti con Dio e col prossimo, tutti mi parevano fratelli e sorelle, avevo l'impressione di averli sempre conosciuti. Ho anche sperimentato l'amore di Dio per me: bastava pregarlo. Insomma, la Parola vissuta mi ha fatto libero!”
E tale è rimasto anche quando, negli ultimi anni della vita, fu costretto su una carrozzella.
Sì, la Parola vissuta rende liberi dai condizionamenti umani, infonde gioia, pace, semplicità, pienezza di vita, luce; facendoci aderire a Cristo, ci trasforma a poco a poco in altri Lui.
«Cristo, unico fondamento della Chiesa»
Ma c'è una Parola che riassume tutte le altre, è amare: amare Dio e il prossimo. Gesù sintetizza in questa “tutta la Legge e i Profeti” .
Il fatto è che ogni Parola, pur essendo espressa in termini umani e diversi, è Parola di Dio; ma siccome Dio è Amore, ogni Parola è carità.
Come vivere allora questo mese? Come stringerci a Cristo “unico fondamento della Chiesa”? Amando come Lui ci ha insegnato.
“Ama e fa' quello che vuoi” , ha detto sant'Agostino, quasi sintetizzando la norma di vita evangelica, perché amando non sbaglierai, ma adempirai in pieno la volontà di Dio.
Chiara Lubich
Dic 30, 2004 | Chiara Lubich
La compagnia con i santi Mille grazie di questa laurea h.c. incentrata sulla vita consacrata, laurea assolutamente imprevista, ma graditissima. Le persone consacrate, infatti, mi portano sempre a pensare a quelle creature fra esse, che, perché donate completamente a Dio, hanno raggiunto la perfezione, la santità. E la conoscenza e la compagnia con i santi è uno dei doni più belli che un’anima cristiana può ricevere, delle meraviglie celesti che può sperimentare. Grazie dunque. Di cuore. La vita consacrata nel Movimento dei Focolari In questo mio intervento dovrò esporre, penso, come è vista e considerata la vita consacrata nel Movimento dei Focolari, di cui, come fondatrice, sono stata e sono uno strumento sempre “inutile e infedele”. Sarà quindi necessario anzitutto conoscere, per ampie linee, detto Movimento, e per meglio capirlo, qualche premessa al suo inizio ufficiale, effetto già del nuovo carisma dell’unità, che è stato ed è dono di Dio per molti. Sarò io il tuo Maestro La prima volta che ho avuto sentore che qualcosa di nuovo stava succedendo in me, e non partiva dalla mia intelligenza, è stato quando a 18 anni il mio cuore non aveva che un unico struggente desiderio: conoscere Dio. La filosofia, che avevo studiato nelle scuole superiori, non mi aveva appagata. E, dovendo iniziare a frequentare l’Università, avevo pensato che forse in un Ateneo cattolico avrei trovato chi avrebbe saziato la mia sete. Circostanze apparentemente avverse, ma che ho visto poi provvidenziali, me lo hanno impedito. Ne ho pianto costernata con mia madre che non riusciva a consolarmi. Ma proprio in quei momenti ho sentito chiare, nella mia anima, queste parole: “Sarò io il tuo Maestro”. Smisi di piangere, continuai la mia vita e mi iscrissi ad un’Università laica. A Loreto Un anno dopo, nel lontano 1939, sono stata invitata a partecipare a Loreto ad un convegno. Appena potevo correvo alla casetta di Nazareth, custodita nella grande chiesa-fortezza. Non avevo tempo di rendermi conto se storicamente quello fosse l’ambiente dove era vissuta la Sacra Famiglia. M’inginocchiavo accanto al muro annerito dalle lampade, ma non riuscivo a pronunciare parola: ogni volta qualcosa di nuovo e di divino mi avvolgeva, quasi mi schiacciava. Contemplavo col pensiero la vita verginale dei tre. Quella convivenza di vergini: Maria e Giuseppe, con Gesù fra loro aveva un’attrattiva irresistibile per me. L’ultimo giorno del convegno, quando la chiesa era gremita di giovani, mi è passato un pensiero: sarai seguita da una schiera di vergini. Una quarta strada Tornata nel Trentino ho trovato il mio parroco. Questi mi vede felice e mi domanda: “Hai trovato la tua strada?” “Sì”, rispondo. “Il matrimonio?” “No”. “Il convento?” “No”. “Rimarrai vergine nel mondo?” “No”. Erano le tre strade allora possibili per una ragazza. Però io non sapevo di più. Più tardi capirò: quella era una quarta strada, una strada nuova di consacrazione a Dio, che lo Spirito Santo apriva nella Chiesa; strada caratterizzata proprio dalla presenza di Gesù fra più persone vergini o, pur sposate, verginizzate dall’amore: e questo è il focolare. “Datti tutta a Me” Quattro anni dopo, poi, mentre compivo un atto d’amore verso mia madre (ero andata, in una freddissima mattina d’inverno, a comperare del latte al posto delle mie sorelle), è successo un fatto un po’ particolare: mi è sembrato quasi che il Cielo s’aprisse e Dio mi dicesse: “Datti tutta a me”. Era la chiamata esplicita di Dio, a cui ho subito risposto con tutto l’amore del mio giovane cuore. Ne ho parlato con il confessore che mi ha permesso di donarmi a Dio per sempre. Non mi sarà mai possibile descrivere ciò che è passato nel mio cuore quel giorno: avevo sposato Dio! Potevo aspettarmi ogni cosa da Lui! «Tutto vince l’Amore» Intanto avevo conosciuto alcune giovani alle quali non tenevo segrete quelle mie prime idee su ciò che stava per nascere, e anch’esse hanno fatto la mia stessa scelta. Ma l’amore, il mio amore è stato messo alla prova. Erano i tempi della seconda guerra mondiale che distruggeva ogni cosa, e quasi tutte le persone sfollavano dalle città. Un giorno di maggio un bombardamento su Trento aveva reso inabitabile la mia casa sicché, con la famiglia, ho dovuto ripararmi in un bosco alla periferia della città. Ricordo di quella notte, passata all’addiaccio, due particolari: stelle e lacrime. Stelle, perché le ho viste tutte – lungo le ore notturne – passare sopra il mio capo; lacrime, perché capivo che non potevo allontanarmi dalla città con i miei, che tanto amavo, in cerca di rifugio. Qualcosa stava nascendo: non avrei potuto abbandonare le mie compagne. Ad un dato punto mi è sembrato che Dio, per farmi capire la sua volontà, mi ricordasse una frase studiata a scuola: “Tutto vince l’amore” . L’amore per Dio doveva vincere anche quella cruda separazione dai miei? Al mattino l’ho fatto, con la benedizione di mio padre. E, mentre la famiglia andava verso la montagna, sono tornata verso la città distrutta. Ho cercato le mie compagne fra le case e le strade ridotte a macerie. Grazie a Dio, erano tutte salve. Il primo focolare Ci ha ospitato così, poco dopo, un piccolo appartamento. Era il primo focolare, anche se noi non lo sapevamo ancora. Anni dopo, per la presenza di quell’anima grande che era Igino Giordani, confondatore della nostra Opera e ora servo di Dio, si è precisata la fisionomia del focolare: esso è, ad immagine della famiglia di Nazareth, una convivenza, in mezzo al mondo, di persone vergini e coniugate, tutte donate, anche se in maniera differente, a Dio. Una nuova spiritualità Ma, tornando ai primi tempi del Movimento, ecco il Signore istruirci scolpendo a caratteri di fuoco nelle nostre anime quelli che sarebbero diventati i cardini di una spiritualità nuova – personale e comunitaria insieme -: la “spiritualità dell’unità”. Dio Amore Con la guerra e le sue conseguenze scomparivano quelle cose o persone che formavano quasi l’ideale della nostra vita e la lezione, che Dio ci offriva con quelle circostanze, era chiara: tutto al mondo passa. “Tutto è vanità delle vanità” (cf Qo 1,2). Contemporaneamente sorgeva per tutte, nel mio cuore, una domanda: “Ma, ci sarà un ideale che nessuna bomba può far crollare, per cui poter impegnare tutte noi stesse?”Sì, è stata la risposta, c’è. E’ Dio, Dio che è Amore. E lì, in mezzo alle stragi della guerra frutto dell’odio, siamo state abbagliate, come fosse la prima volta, dalla verità su Dio: “Dio è Amore” (1 Gv 4,8). E abbiamo creduto, con fede ardentissima, al Suo Amore. E, di conseguenza, se prima avevamo pensato Dio lontano, inaccessibile, ora Lo avvertivamo vicinissimo: illuminava, trasfigurava col suo amore ogni circostanza che ci riguardava, lieta o triste o indifferente che fosse: tutto ci appariva espressione del suo amore. E la gioia e lo stupore sono stati così grandi che non abbiamo atteso un attimo a scegliere proprio Lui, Dio Amore, come l’Ideale della nostra vita. E Dio Amore è il primo cardine della “spiritualità dell’unità”. Il Vangelo vissuto parola per parola Ben presto però si è imposta a noi un’esigenza: “Se Dio, che è Amore, è il nostro nuovo ideale, come comportarci per poter dire che Egli è veramente il tutto per noi?” Era ovvio: dovevamo a nostra volta amare Dio. Correvamo nei rifugi ad ogni allarme aereo e non potevamo prendere con noi null’altro se non un piccolo libro: il Vangelo. In esso – ne eravamo certe – avremmo trovato come amare Dio. Lo aprivamo. Ed ecco la meraviglia: quelle parole, che avevamo sentito tante volte, s’illuminavano, come se una luce vi si accendesse sotto, infiammavano il nostro cuore. Le capivamo ed una forza ci spingeva a metterle subito in pratica. Lo facciamo e avviene un susseguirsi di episodi che stupiscono e incantano. Ci rendiamo conto, con sorpresa, che ciò che Gesù aveva promesso anche ora mantiene. Il Vangelo, dunque, è vero. Questa costatazione mette le ali al nostro cammino da poco intrapreso. La nostra gioia è grande, contagiosa. Comunichiamo agli altri ciò che accade. Ed essi comprendono che Gesù è vivo. Sicché molti vogliono seguirLo. Amare Dio vivendo il Vangelo, parola per parola, è il secondo cardine della nuova spiritualità che Dio ci stava dando. L’arte di amare Fra tutte le parole del Vangelo, lo Spirito Santo ci sottolineava in modo speciale quelle riguardanti l’amore verso il prossimo: amore sempre nuovo che va diretto a tutti, che domanda a ciascuno d’aver l’iniziativa, che deve essere concreto, che vede Gesù in ogni prossimo. Ed abbiamo iniziato ad amare tutti i poveri, i mutilati della guerra, gli orfani, i soli…, che incontravamo, ad invitarli, ad esempio, alla nostra tavola in focolare, mentre ardeva nel nostro cuore il desiderio d’arrivare a risolvere il problema sociale della città. Vi dò un comandamento nuovo La guerra però ci poneva sempre di fronte alla morte, cosicché ci siamo chieste un giorno se vi è nel Vangelo una parola che piace particolarmente a Dio. Avremmo voluto viverla, per dargli gioia, almeno negli ultimi istanti della nostra vita. Il Vangelo presto ce la rivelò in quel comandamento che Gesù dice suo e “nuovo”, quindi speciale: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,12-13). Colpite fortemente dalla bellezza e dalla radicalità di queste parole, ci siamo guardate in faccia e ci siamo dichiarate, sotto l’azione – pensiamo proprio – d’una grazia tutta particolare: “Io sono pronta a dare la vita per te. Io per te. Io per te… Tutte per ciascuna”. E’ stato un patto solenne, che da allora abbiamo cercato di mettere in pratica sempre ed è diventato la base su cui poggia l’intero Movimento dei Focolari. Vivere l’amore evangelico e in modo particolare l’amore reciproco è il terzo cardine da cui non può prescindere chiunque voglia vivere la “spiritualità dell’unità”. Quell’amore che genera la presenza di Gesù in mezzo a noi Ma ecco che, avendo messo in atto l’amore vicendevole, la nostra vita interiore ha avuto un balzo di qualità: abbiamo avvertito una nuova sicurezza, una volontà più decisa, una gioia e una pace mai sperimentate, una pienezza di vita, un’abbondanza di luce. Come mai? La risposta è stata subito evidente quando abbiamo letto queste altre parole di Gesù: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome (e cioè in me, nel mio amore, dicono alcuni Padri della Chiesa), io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). Gesù silenziosamente si era, dunque, introdotto come Fratello invisibile, nel nostro gruppo. Ed abbiamo subito intuito l’infinito valore della sua presenza. Non abbiamo più voluto perderla. Con l’amore reciproco, che generava Gesù fra noi, si realizzava pure l’unità da Lui invocata nel suo testamento: “Che siano uno come io e te” (cf Gv 17,21). Unità che abbiamo potuto suggellare ricevendo quotidianamente la santissima Eucaristia. Gesù in mezzo ai suoi e l’unità sono il quarto cardine della nostra spiritualità. La chiave dell’unità: il grido di Gesù in croce Non sempre naturalmente riuscivamo a vivere così. Alle volte difetti anche piccoli offuscavano lo splendore dell’unità, allontanavano Gesù di mezzo a noi. Ma non ci arrendevamo. Avevamo saputo che Gesù aveva sofferto il massimo dei suoi dolori quando in croce, sperimentando l’abbandono del Padre e la separazione da Lui, aveva gridato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Toccate da questo suo dolore, ci siamo sentite spinte a prendere come modello nostro proprio Gesù nel suo abbandono. Egli si è fatto “peccato” per noi? Ha assunto ogni nostra difficoltà, ogni nostra divisione? Dunque, ovunque appaiono, Egli è presente. E, da allora, abbiamo scoperto il suo volto: nelle aridità della nostra anima, nel buio, nei dubbi; nei prossimi soli, derelitti, delusi; nelle più varie divergenze presenti nelle famiglie; nelle disunità fra le generazioni, fra le comunità della nostra Chiesa; nelle divisioni fra le Chiese; nell’incomunicabilità fra fedeli di religioni diverse, fra credenti e non credenti. E tutti questi dolori, tutte queste disunità non ci hanno spaventate. Anzi abbiamo amato in esse la presenza di Gesù abbandonato. E, comportandoci come Lui ha fatto, quando abbandonato dal Padre al Padre si è riabbandonato (“Nelle tue mani raccomando il mio spirito” – Lc 23,46), abbiamo trovato la chiave per porre rimedio alle diverse situazioni. Amare Gesù crocifisso e abbandonato è il quinto cardine della “spiritualità dell’unità”. La vocazione della nostra Opera: portare Gesù nel mondo Ci vollero cinque, sei anni perché potessimo far nostri questi principali cardini e perché essi raggiungessero il loro vero scopo: insegnarci a vivere sempre con “Gesù in mezzo a noi”. Tutti, infatti, sono in funzione di questa altissima finalità. Si delineava così quella che sarebbe stata la vocazione della nostra Opera: portare spiritualmente Gesù nel mondo. Ed è ciò che è successo, ancora sotto la guerra, attorno al primo focolare: dopo pochi mesi circa 500 persone di tutte le età, uomini e donne, delle più varie estrazioni sociali e di tutte le vocazioni, condividevano il nostro Ideale e formavano lì, in mezzo al mondo, una comunità simile a quella dei primi cristiani. Tra essi non mancavano i figli dei fondatori, religiosi dei più vari Ordini, le cui diverse spiritualità si armonizzavano e risplendevano maggiormente nella comune fraternità. Essi ci hanno dato modo di contemplare gli Ordini, le Congregazioni, le Famiglie religiose, come splendide aiuole del magnifico giardino della Chiesa in cui sono fiorite e fioriscono tutte le virtù. Cristo dispiegato nei secoli Se, infatti, Cristo è il Verbo incarnato, la Chiesa ci è apparsa, per i più vari carismi donatile dallo Spirito, come un Vangelo incarnato. Ogni famiglia religiosa è in particolare l’incarnazione di un’espressione di Gesù, d’un fatto della sua vita, d’un suo dolore, di una sua parola… Ci sono i francescani, che continuano a predicare nel mondo, anche con la loro solo esistenza: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno di Dio” (Mt 5,3). Ci sono i domenicani che, contemplando il Logos, il Verbo, spiegano e diffondono la verità. I gesuiti che sottolineano la totale disponibilità nel servizio della Chiesa mediante l’obbedienza. Gli Ordini missionari che attuano il precetto: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura” (cf Mt 28,19). I carmelitani che adorano Dio sul Tabor pronti a discendere per predicare e affrontare la passione e morte. Le famiglie di san Vincenzo de’ Paoli e di san Camillo de’ Lellis che incarnano le opere di misericordia. E così via. Per tutti questi carismi, fioriti lungo i secoli, la Chiesa appare proprio come un Vangelo dispiegato nel tempo e anche nello spazio, perché i figli dei santi fondatori sono presenti spesso dovunque. I moderni Movimenti ecclesiali e le Nuove Comunità, prevalentemente composti da laici, continuano questa meravigliosa “incarnazione” del Vangelo. Infatti, anche in essi, pur nella diversità delle loro forme, si possono ravvisare doni particolari dello Spirito e una spinta a mettere in pratica le parole di Gesù. Ora, compresa così la Chiesa, quale può essere il rapporto del nostro Movimento con tutte queste ricchezze della Sposa di Cristo e in particolare quale la relazione fra la nostra spiritualità e le altre? L’unità, il supremo disegno di Cristo Come ho già detto, la spiritualità del Movimento s’incentra sull’unità, sul Testamento di Gesù. E, come chiave per attuarla, sul più grande dolore di Gesù: sul suo abbandono in croce. Ora, essendo l’unità – come già diceva Paolo VI – il “supremo disegno” di Cristo, la “sintesi dei suoi precetti” , la parola riassuntiva dei suoi desideri divini , il “vertice del Vangelo” ; ed essendo l’abbandono il culmine del patire, che Cristo ha offerto per la nostra salvezza, è evidente che ogni altra espressione della sua dottrina o della sua vita si ritrovi nell’unità e nell’abbandono. Anzi, è logico che scopra nel Testamento di Gesù e nel vertice del suo patire, il senso vero di se stessa. Rinnovamento delle comunità religiose Ecco perché i numerosi religiosi e religiose che, fin dal nascere del Movimento hanno avuto contatto con esso, vi hanno scoperto una luce che ravvivava la loro spiritualità ed aiutava a comprenderla meglio. Sono assai consolanti, infatti, gli effetti che la partecipazione al carisma dell’unità produce nei più di ventimila religiosi di circa 200 Istituti che sono in contatto con la spiritualità e fanno parte del nostro Movimento, e nelle cinquantaduemila religiose di oltre 2800 Istituti. Essi, per la luce di questo carisma dei tempi attuali, affermano, ad esempio, di comprendere meglio il loro fondatore. Nasce un nuovo amore per lui, un apprezzamento, a volte, non avvertito prima ed un desiderio forte di rivivere ed attualizzare il suo carisma nell’oggi della Chiesa. Conosciuto poi più in profondità il proprio fondatore, affermano di riscoprire le loro regole e sentono una maggiore spinta a metterle in pratica. E ancora, per aver compreso di più il fondatore, nasce una più profonda unità con i superiori che lo rappresentano e, nel padre comune, si trovano a riconoscersi meglio come fratelli della stessa Famiglia religiosa. Tutto ciò favorisce la presenza di Gesù in mezzo alla comunità così unita ed Egli illumina e valorizza ogni suo aspetto, e dà senso ad ogni sua manifestazione. Per questo si assiste ad un vero e proprio rinnovamento di comunità, con aumento di vocazioni, con nuovi sviluppi nelle missioni, con possibilità per i superiori d’affidare compiti difficili a persone di cui possono veramente fidarsi. E ancora si osserva il realizzarsi di una reale e profonda comunione fra membri di Ordini diversi, potenziando il senso dell’unità ecclesiale, così come fra religiosi e sacerdoti secolari, e fra religiosi e laici impegnati. Di qui il sentirsi in modo nuovo parte viva non solo della propria Famiglia religiosa, ma della Chiesa. Comunione tra movimenti ecclesiali Se, sin dall’inizio del nostro Movimento, abbiamo scorto questi frutti e abbiamo sperimentato con forza che il carisma che Dio ci aveva dato incrementava la comunione fra singoli, gruppi e associazioni, in questi ultimi anni abbiamo assistito al dilagare di questa comunione oltre ogni nostra aspettativa e ben al di là del nostro Movimento. Come loro ricorderanno, nella vigilia della Pentecoste 1998, Giovanni Paolo II, pensando maturo il tempo, ha radunato 60 Movimenti ecclesiali e Nuove Comunità in Piazza San Pietro, mettendo in rilievo, nel suo discorso, queste realtà della Chiesa che, con le altre sorte nel passato, rappresentano l’aspetto carismatico di essa, aspetto coessenziale – come ebbe a dire – al suo aspetto istituzionale. In quel giorno, io stessa, essendo venuta a conoscenza del desiderio della Chiesa e del Papa che i Movimenti ecclesiali siano in comunione fra loro, rivolgendo la parola al santo Padre, mi sono detta completamente disponibile a questo scopo. Si è così attuata subito una comunione caratterizzata da una carità fattiva, dapprima fra alcuni Movimenti, poi con altri. Sono fiorite in tutto il mondo delle “Giornate” (200 finora) sostenute dai membri di diversi Movimenti, presenti i Vescovi del luogo o convocate da loro stessi. In esse si sono esposti i propri carismi e si sono donate le proprie esperienze. Le “Giornate” hanno rivelato, in genere, ai singoli Vescovi la grande ricchezza che i Movimenti e le Nuove Comunità portano, e hanno fatto loro intravedere, per essi, la possibilità di rendere la Chiesa più unita, più bella, più viva, più dinamica, più familiare, più carismatica, più mariana. Comunione tra carismi antichi e nuovi In seguito a tutto ciò Famiglie religiose, nate da antichi o meno antichi carismi, costatata la vitalità dei Movimenti ecclesiali e delle Nuove Comunità, hanno desiderato anch’esse conoscerci e iniziare con noi una comunione. Così è stato, ad esempio, con l’intera famiglia francescana ad Assisi, con quella benedettina a Montserrat in Spagna, con la Congregazione di Madre Teresa a Calcutta, con le Piccole sorelle di Gesù e con i cistercensi a Roma, ed altri. L’augurio del Papa E, mentre si svolgevano queste diverse iniziative, il santo Padre promuoveva, attraverso la Novo millennio ineunte, all’inizio dell’anno 2001, una “spiritualità di comunione” per tutta la Chiesa. Come scrisse il Papa in due lettere ai Vescovi amici del nostro Movimento , questa “spiritualità di comunione” si identifica con la “spiritualità dell’unità”, dell’Opera di Maria, e ne viene “arricchita”. Nell’anno 2002, poi, ci ha dato grande gioia il documento della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata intitolato: Ripartire da Cristo. In esso si consiglia ai e alle religiose “di far crescere la ’spiritualità di comunione’ prima di tutto al proprio interno”(n.28) e poi “nella stessa comunità ecclesiale”, favorendo così la comunione fra i diversi Istituti. E’ “un compito dell’oggi delle comunità di vita consacrata” dice il documento. “Nei confronti delle nuove forme di vita evangelica (i Movimenti, ad esempio), si domanda dialogo e comunione” (n.30), e si parla dei vantaggi della comunione per gli uni e per gli altri. Infine si ammonisce: “Non si può più affrontare il futuro in dispersione” (n.43). Queste indicazioni del Papa e della Santa Sede sono un’ulteriore conferma che la “spiritualità dell’unità” può essere vissuta insieme ad un’altra, ad esempio a quella propria di una Famiglia religiosa: essa non è, infatti, che la spiritualità del Corpo mistico nel quale tutti siamo inseriti. Per cui, anche se la nostra singolare vocazione ci chiama a incarnare un particolare della vita di Gesù, una delle sue tante parole, lo dobbiamo fare vivendo prima di tutto l’amore che è l’anima di quel Corpo. I nostri carismi porteranno più copiosi frutti se metteremo a base della vita delle nostre comunità la mutua e continua carità che è l’essenza della vita cristiana, qualunque sia la forma che essa prende. Tutto quanto ho riferito fin qui ci sembra voglia dire che lo Spirito Santo sta soffiando sulla Chiesa perché si compia, anche attraverso di noi, il grande desiderio del santo Padre: far sì che essa sia “la casa e la scuola della comunione” (NMI 43). Insieme per l’Europa Abbiamo toccato con mano gli straordinari effetti di questa comunione e le sue enormi potenzialità nel maggio scorso a Stoccarda, in una grande Giornata dal titolo Insieme per l’Europa. Essa era frutto della collaborazione di più di 150 Movimenti e Comunità di varie Chiese (luterani, ortodossi, anglicani, di Chiese libere…), che da alcuni anni si sono aggregati ecumenicamente alla comunione sorta tra i Movimenti cattolici. Tutti questi Movimenti e Comunità ci erano apparsi come tante reti che Dio aveva steso sull’Europa, quasi a preparare- a livello di laboratorio – la sua unità. Volevamo far conoscere queste buone opere onde dare gloria a Dio (cf Mt 5,16) e concorrere a realizzare, accanto all’Europa politica ed economica, l’“Europa dello spirito”. La Giornata è stata un evento profetico e storico che ha radunato in un tripudio di comunione 9.000 persone, presenti numerosi politici tra i quali Romano Prodi. Trasmessa via satellite nel nostro continente ed oltre, questa Giornata è stata seguita in diretta da 100.000 persone in 163 incontri contemporanei, svoltisi in altrettante città europee collegate con Stoccarda. A conclusione di essa è stato detto autorevolmente che c’era in quella sala una fortissima energia, gioia, decisione, vitalità, coraggio, arte, profezia, un’incredibile comunione d’intenti. Mons. Stanislaw Rylko, Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, ha definito la manifestazione una “cosa miracolosa”, mentre il card. Kasper si è detto certo che da un simile spirito anche il movimento ecumenico riceverà nuovi impulsi e andrà avanti con nuova speranza. Ma, per chi più vi ha lavorato, un simile evento si spiega con una sola parola: Gesù, Gesù che era spiritualmente presente in mezzo a tutti, cattolici ed altri cristiani, perché tanti si erano impegnati a mantenerlo vivo costantemente, col loro reciproco amore a tutta prova, e con l’amore totale verso chiunque. E’ Lui, infatti, il Risorto, il principio, il mezzo e il fine della nostra comunione, nella Chiesa e oltre. E’ Lui, reso vivo e palpitante fra quanti si amano, la fonte dell’amore e della luce, l’artefice della nostra gioia. E’ Lui che vince il mondo, Lui che ha pregato così prima di morire: “Padre, che siano uno affinché il mondo creda. Che tutti siano uno” (cf Gv 17,21). Preghiera del Figlio di Dio al Padre. Preghiera quindi che non potrà non essere esaudita. Che il Signore dia a tutti noi di lavorare ancora a lungo nella sua vigna e che mandi numerosi operai in essa! Grazie di questo dottorato. Grazie della loro attenzione.
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Dic 30, 2004 | Chiara Lubich, Focolari nel Mondo, Senza categoria
Alla scuola dei santi
Ero ancora studente di teologia quando con i miei compagni donammo a Chiara Lubich un libretto ciclostilato con alcuni pensieri sulla vita fraterna, tratti dagli scritti del nostro fondatore. Pochi giorni dopo ci chiese se poteva mandarne copia a tutti i focolari sparsi nel mondo. Lo aveva letto d’un fiato, “come si beve un sorbetto”, diceva, ed aveva annotato alcuni pensieri su sant’Eugenio de Mazenod, mostrando di averlo capito nel profondo della sua personalità spirituale. Ciò che più mi colpì furono le parole che rivolse a noi Oblati in quella circostanza: “Se loro, per via del carisma dell’unità, si sentono dell’Opera di Maria, io per via del loro fondatore mi sento “Oblata di Maria Immacolata”. E subito aggiungeva: “Ma io mi sento di tutti gli Ordini: di san Francesco, di san Benedetto…”. “Mi sento di tutti gli Ordini…”. Queste stesse parole, espresse in modo diverso, le ho poi ritrovate spesso negli scritti di Chiara. “Se da una parte siamo coscienti che il carisma del nostro Movimento è utile a tutta la Chiesa – scriveva ad esempio durante la lettura delle opere di S. Giovanni della Croce -, dall’altra siamo pure convinti che tutti i carismi della Chiesa sono utili a noi, figli della Chiesa. E allora dobbiamo imparare da tutti i santi” 1. Si sente, in queste parole, una “donna-Chiesa”, capace di dire, come un’altra grande donna, Teresa d’Avila, “sono figlia della Chiesa”. Perché tale sa mettersi con umiltà alla scuola dei santi. La loro esperienza le appartiene, come tutto ciò che è Chiesa. “È proprio della nostra spiritualità – scrive in pro-posito – imparare dai santi, farci figli di essi, per partecipare del loro carisma”. 2 Leggendo i suoi scritti si rimane impressionati di come Chiara Lubich ha camminato in compagnia dei santi.Si è confrontata costantemente con loro, in un rapporto che potremmo definire d’amore vicendevole, di unità e di distinzione. Da una parte i santi, con la loro esperienza di Dio, quasi le si accostano per incoraggiarla nella nascita e nello sviluppo della sua Opera, per illuminarla, aiutarla 3. Dall’altra il confronto con la vita e le opere dei santi le consente di cogliere tutta l’originalità della sua fondazione. Una ricca dottrina sulla dimensione carismatica della Chiesa Nello stesso tempo, grazie a questa particolare reciprocità d’amore con i santi, Chiara sa rico-noscere “il compito, la missione, il disegno che Dio ha pensato per essi” 4. Più ancora, ella arriva ad elaborare una ricca ed originale dottrina sulla dimensione carismatica della Chiesa e sui carismi della vita consacrata in particolare. È il primo motivo per cui le viene meritatamente conferito il dottorato in teologia della vita consacrata. Chiara Lubich possiede una sua originale comprensione dei carismi. Li vede come lo spiegarsi di Cristo attraverso i secoli, come un Vangelo vivo. Se Cristo è il Verbo di Dio incarnato, scriveva nel lontano 1950, a soli 30 anni, “la Chiesa è il Vangelo incarnato. Così è Sposa di Cristo. Noi vediamo attraverso i secoli fiorire tanti Ordini religiosi su tante ispirazioni quanti essi sono. Ogni Ordine o Famiglia Religiosa è l’incarnazione d’un’“espressione” di Gesù, d’una sua Parola, d’un suo atteggiamento, d’un fatto della sua vita, d’un suo dolore, d’una parte di Lui”. 5 Poi, sempre in questo illuminante testo del 1950, ecco la percezione estetica della Chiesa cari-smatica, quale “magnifico giardino in cui fiorirono tutte le Parole di Dio, fiorì Gesù, Parola di Dio, in tutte le più svariate manifestazioni. (…). Come l’acqua si cristallizza in stelline di tutte le forme quando cade come neve sulla terra, così l’Amore assunse in Gesù la Forma per eccellenza, la Bellezza delle Bellezze (“il più bello dei Figli degli uomini” [cf Sal 45, 3]). L’Amore assunse nella Chiesa diverse forme e sono gli Ordini e le famiglie religiose. Nella Chiesa fiorirono e fioriscono tutte le virtù. I fondatori degli Ordini sono quella virtù fatta vita e salirono al Cielo solo perché erano Parola di Dio. (…) Tutte queste Parole formano la Chiesa, un Altro Cristo o un Cristo continuato, la Sposa di Cristo. È la Nuova Gerusalemme ammanta-ta di tutte le virtù”. 6 I carismi appaiono sostanziati dal Verbo, sue espressioni: lo contengono e lo manifestano, sono verbo nel Verbo, un Vangelo incarnato. “In tutti gli Ordini è un raggio dell’Ordine che è Dio. In tutte le spiritualità una luce della luce che è Gesù”. 7 I fondatori sono contemplati come “ortoprassi” della dottrina cristiana. La loro vita è illuminata e guidata dal Vangelo e insieme lo spiega. Ognuno di loro, scrive ancora Chiara, “ha ordinato in famiglia” i propri seguaci “con le leggi eterne del Vangelo, sentite risuonare con novella e attuale forza dallo Spirito Santo nel suo spirito”. 8 È la motivazione ultima e il senso profondo della vita consacrata: vivere appieno la vita evangelica, seguendo con radicalità Cristo nelle sue parole e nella sua opera. Il Vangelo è l’unica vera regola, come già sapeva il primitivo monachesimo. Inevitabile il confronto di questa intuizione del 1950, in cui Chiara Lubich legge la vita consacrata a partire dal suo dinamismo storico-carismatico, con la teologia che si elaborava nel medesimo periodo. Il Congresso mondiale degli istituti di perfezione, che si celebrava a Roma in quello stesso anno, riproponeva una statica teologia degli “stati di perfezione”, ancora ferma al “culto dei voti”. Occorrerà attendere ancora sette anni prima che Karl Rahner scriva il famoso libro sul principio dinamico della Chiesa nel quale rilegge in questa chiave anche l’evento della vita religiosa. Una nuova corrente di spiritualità Fin dall’inizio sono stati coinvolti in questa nuova corrente di spiritualità anche religiosi e religiose.Da qui ha preso vita, in seno all’Opera di Maria, un Movimento di religiosi e un Movimento di religiose e consacrate, a cui aderiscono migliaia di membri dei diversi istituti. In questo ambito l’esperienza spirituale di Chiara ha espresso anche una originale metodologia ermeneutica dei carismi, che si è rivelata via privilegiata per il rinnovamento auspicato dal Concilio Vaticano II. Ed è questo il secondo motivo per cui le viene conferito il dottorato. Essere parola nell’unica Parola Se i carismi e gli istituti possono essere paragonati a fiori sbocciati dal Vangelo, di certo essi conserveranno o ritroveranno la loro freschezza, e quindi saranno pienamente se stessi, nella misura in cui saranno capaci di andare alla radice da cui sono nati, immergendosi nuovamente nel Vangelo “nel quale solo valgono – ricorda Chiara -, ed il quale solo debbono essere”. 9 Ogni istituto ed ogni spiritualità ad esso legata è chiamato a tornare ad essere parola nell’unica Parola. Vivendo il Vangelo in pienezza si accende la luce per cogliere la particolare di-mensione evangelica da cui il carisma è sgorgato. In definitiva, ricorda Chiara, “Tutti questi Ordini, queste spiritualità nate attraverso i secoli debbono ritrovare la loro vera essenza, il loro principio: tutte sono Gesù: sono Amore Incarnato (…). Sono tutte pregne di Amore, Spirito Santo. (…) Per ridonare la vera spiritualità agli Ordini dobbiamo far sì che i seguaci vedano il loro fondatore come Dio lo vede e Dio non può vedere che Dio, ciò che è Divino. Dio non vede S. Francesco, ma vede l’Idea della Povertà. In S. Teresina vede la piccolezza, in S. Caterina il Sangue di Cristo. Iddio ama ogni Ordine perché Gli ricorda Se stesso, Gli ricorda Gesù, l’Idea di Sé umanata”. 10 La parola per eccellenza: il grido di Cristo in croce La proposta ermeneutica di Chiara va ancora più in profondità quando orienta verso il mistero di Gesù crocifisso e abbandonato. Il grido di Cristo in croce: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato” (Mc 15, 34; Mt 27, 46), è colto da Chiara come la Parola per eccellen-za, quella in cui tutte le altre parole del Vangelo trovano la più alta spiegazione. Conseguentemente, quando ella pensa ai carismi come “parola di Dio”, non può non vederli se non in riferimento a Gesù abbandonato. Essi sono tutti sgorgati da quella “piaga”, da dove è sgorgato lo Spirito Santo, autore dei carismi. 11 Dal punto di vista ermeneutico il ritorno al Vangelo va quindi portato alle sue estreme conse-guenze: deve giungere al culmine del Vangelo. “Questi Ordini e spiritualità – spiega Chiara – si mantengono se vanno alla Fonte donde hanno Vita: Dio, il Vangelo intero, Gesù nell’espressione più completa di Sé”, ossia “quando redime e redime nell’attimo dell’abbandono”. 12 Ogni carisma ha bisogno del dono dell’altro Riprendendo nuovamente la metafora della Chiesa come giardino,una ulteriore legge metodologica per la comprensione profonda di un carisma viene così formulata: non fermarsi a guardare soltanto il proprio fiore, ma guardare piuttosto tutti gli altri fiori. Per il fatto che il mistero di Cristo è inesauribile e inesauribile la ricchezza della sua parola, ogni carisma ha bisogno del dono dell’altro, della luce dell’altro, per capire in profondità se stesso. Senza la piena comunione fra tutti i carismi difficilmente si può raggiungere il senso vero di ciascuno di essi. Si può ora comprendere meglio l’apporto specifico della spiritualità dell’unità alle altre spiritualità nella Chiesa. Nessuna concorrenza o dicotomia. La spiritualità dell’unità aiuta piuttosto a vivere l’amore reciproco in tutta la sua autenticità, con la misura espressa da Gesù croci-fisso e abbandonato, anche tra benedettini e domenicani, tra gesuiti e francescani, tra verbiti e lazzaristi, introducendo nella pienezza della vita evangelica. Grazie a questa co-munione dei doni tra persone di differenti ordini e istituti Gesù si rende nuovamente presente tra di loro e lui, il Signore Risorto, torna a spiegare le Scritture – il carisma di ciascuno –, proprio come aveva fatto quando si era reso presente tra i due discepoli di Emmaus. “Noi – spiega Chiara riguardo al proprio contributo alle altre vocazioni nella Chiesa – dobbiamo soltanto far circolare fra i diversi Ordini l’Amore. Si devono comprendere, capire, amare come si amano [tra di loro] le Persone della Trinità. Fra essi c’è come rapporto lo Spirito Santo che li lega perché ognuno è espressione di Dio, di Spirito Santo”. 13 Forse perché la sua è “Opera di Maria”, “si comprende come lei [Maria], madre di tutti i fedeli e della Chiesa, possa aver suscitato un Movimento ecclesiale che raduni tutte le vo-cazioni della Chiesa. E, perché colma di tutti i carismi di Dio, non abbia escluso i religiosi che ama senz’altro di un amore particolarissimo. Essa vuole, anche attraverso questa sua opera, dar una mano a tali figli prediletti”. 14 Il focolare: una originale forma di vita consacrata Vi è infine un terzo motivo per cui consegniamo a Chiara Lubich il dottorato, ed è fondamentale. Lo accenno soltanto preferendo lasciare a lei stessa, come la più competente, di illustrarcelo. Chiara non soltanto ha elaborato una dottrina nuova sulla vita consacrata e una metodo-logia ermeneutica per la sua comprensione e il suo rinnovamento. Ha fatto molto di più: ha creato una nuova originalissima forma di vita consacrata, il focolare. J.M.R. Tillard ci ha ricordato che i grandi fondatori posti dallo Spirito all’origine di nuove organiche riletture evangeliche, capaci quindi di dare vita a nuove spiritualità – ed è questo il ca-so di Chiara Lubich – “piuttosto che innestare il loro carisma nell’istituzione religiosa che li precede, la modificano per adattarla al loro progetto e porla al loro servizio, dandole così un nuovo volto”. 15 Essi suscitano nuove forme di vita consacrata. E nuova è la forma del focolare e, attorno ad esso, della grande e complessa architettura dell’Opera di Maria, che abbraccia ormai tutte le vocazioni presenti nella Chiesa e che va oltre, nella comunione con le altre Chiese, con i membri delle altre religioni, con le persone di convinzioni non religiose, attuazione dei quattro grandi dialoghi sui quali il Concilio Vaticano II ha aperto tutta la Chiesa. Un’audace Opera della Chiesa Ricordo che in queste aule, spiegando a noi studenti il perché del dottorato a Teresa d’Avila, Jean Leclercq ci diceva che esso non riguardava soltanto il suo magistero nell’ambito della dottrina spirituale ma, grazie alla regola da lei scritta, anche in quello canonico. Chiara Lubich ha visto approvato dalla Chiesa uno Statuto accompagnato finora da ben 18 regolamenti per al-trettante diramazioni e branche. Il nostro dottorato è il riconoscimento dell’audacia della sua istituzione. La comunità è composta da vergini e sposati, membri a pieno titolo del focolare, e questo obbliga a ripensare l’idea stessa di consacrazione. Il governo, sempre presieduto, per Statuto, da una donna, è lo spazio che consente a “Gesù in mezzo” di guidare il Movimento secondo il di-segno di Dio. La finalità apostolica travalica luoghi e settori specifici per abbracciare gli oriz-zonti stessi del Figlio di Dio: “Che tutti siano uno”; tutti, senza alcuna esclusione di ambiti e di persone. La molteplicità delle vocazioni ecclesiali che vivono nel suo seno, delinea, in bozzetto, come ha avuto occasione di sottolineare Giovanni Paolo II 16, una Chiesa interamente ordinata dalla reciprocità dell’amore, secondo il modello trinitario. L’accoglienza di membri di altre Chiese e religioni, insieme a persone di buona volontà, dilata i confini della Chiesa su quelli infiniti di Cristo e della sua redenzione. In definitiva è apparsa nella Chiesa, ed è vita della Chiesa, una realtà nuova che è destinata a fermentarla tutta, dal di dentro. Chiara Lubich ha disegnato un immenso affresco che rimarrà segno emblematico della grande stagione carismatica vissuta dalla Chiesa tra i due millenni. ________________________________ 1 Diario, 30 agosto 1980, inedito, riportato in C. Lubich, Cristo dispiegato nei secoli. Testi scelti, Città Nuova, Roma 1994, p. 68. 2 Diario, 21 maggio 1963, Diario 1964/65, Città Nuova, Roma 19852, p. 61. 3 Cf. Ibid., p. 63. 4 Scritti spirituali/2, Città Nuova, Roma 19843, p. 223. 5 [La Chiesa], 1959, inedito. Questo,m come si successivi testi inediti sono stati riportati in F. Ciardi, I carismi parole di Dio vive, “Nuova umanità”, 19 (1997) 387-407. 6 Ibid. 7 Ibid. Sembra qui riecheggiata l’esperienza di san Paolo, che è poi quella di ogni carismatico: “E Dio che disse: Rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo” (2 Cor 4,6). Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica Vita consecrata scrive che “nell’unità della vita cristiana le varie vocazioni sono come raggi dell’unica luce di Cristo “riflessa sul volto della Chiesa”” (n. 16). 8 Scritti Spirituali/1, p. 87. 9 [La Chiesa], 1950, inedito. 10 Ibid. 11 In uno dei suoi scritti così esprime tale rapporto tra Gesù abbandonato e le spiritualità degli istituti religiosi: “Se per i francescani è importante la povertà, di cui Francesco è il carisma incarnato, chi più “Ma-donna povertà” di Gesù, il quale nell’abbandono ha perduto Dio? Se i gesuiti mettono in rilievo l’obbedienza, chi più obbediente di Gesù che, orbato del senso della presenza del Padre, a Lui si abbandona? Gesù abbandonato è il modello dei benedettini, “ora et labora”, perché il suo grido è la più straziante preghiera e frutta l’opera più favolosa. Gesù abbandonato è il modello dei domenicani, perché è lì che esprime, che dà tutta la Verità. (…) La spiritualità di Gesù abbandonato può penetrare tutte le altre riportandole, qualora ne avessero bisogno, al loro vero significato, al carisma riposto dal Cielo nel cuore del fondatore, e illuminando i discepoli onde capire ciascun loro maestro e quanto, nelle loro regole di vita, ha loro lasciato”(Citato da A. Balbo, Gesù abbandonato nella vita religiosa, in AA.VV., Il sacerdote oggi, il religioso oggi, o.c., p. 29). Rivolgendosi poi ai religiosi Chiara Lubich così si scriveva: Maria, attraverso la sua Opera (l’Opera di Maria) “concorre anch’essa, con una sua spiritualità, a far sì che queste aiuole [delle famiglie religiose] siano sempre più fiorenti agli occhi di Dio e del mondo. La Vergine opera questo, facendo splendere su molti religiosi quel sole radioso della carità che genera vita; mentre li invita a contemplare le particolari parole, che lo Spirito ha insegnato loro ad incarnare, in Colui nel quale ogni virtù ha raggiunto il culmine, ha toccato il vertice: Gesù crocifisso e abbandonato. Chi saprà mai cantare la sua povertà, affrontare la sua obbedienza, misurare la sua sapienza, raggiungere la sua umiltà? Chi conosce la sua forza? Chi può immaginare la sua fiducia? Chi scrutare l’abisso del-la sua misericordia o imitare la sua magnanimità? Chi bruciare del suo amore? È alla sua luce che molti religiosi riscoprono alla radice il carisma della proria famiglia religiosa” (Messaggio rivolto al Congresso, in AA.VV., Il sacerdote oggi, il religioso oggi, Città del Vaticano, 30 aprile 1982, p. 11). Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica Vita consacrata scrive in proposito: “Nella contemplazione di Cristo crocifisso tro-vano ispirazione tutte le vocazioni; da essa traggono origine, con il dono fondamentale dello Spirito, tutti i doni e in particolare il dono della vita consacrata” (n. 23). 12 Andare a Gesù abbandonato vuol dire scoprire la fonte ultima della propria vocazione e, insieme, ciò che costantemente può alimentarla. Chi punta “l’occhio del cuore su di Lui”, spiega ancora Chiara Lubich, trova “non una spiritualità ma la Spiritualità (che è l’Unità); non trova un Ordine, ma l’Ordine; non regole ma la Regola, cioè il Vangelo puro” (1950 [?], inedito). 13 [La Chiesa] 1959, inedito. “Il carisma dell’unità – spiega ad alcuni religiosi – mette in moto i figli dei Fondatori, e fa che si conoscano e li uniscano tra di loro. Siccome la carità è illuminante, ognuno viene il-luminato sulla propria vocazione, che sente dentro di sé, perché, se quel dato religioso è figlio di un Santo, ha naturalmente una grazia di figliolanza dentro di sé” (29 settembre 1974, inedito). La carità fa rifiorire la grazia carismatica che lo Spirito ha deposto nel cuore di ciascuno chiamandolo in quella determinata famiglia religiosa. 14 Inedito, citato da J. Castellano, Un carisma a servizio dell’unità tra i religiosi, in F. Ciardi (ed.), Il coraggio della comunione. Vie nuove per la vita religiosa, Città Nuova, Roma 1993, p. 94. 15 Le dynamisme des vocations, “Vocations” (1881), n. 295, p. 22-24. 16 Cf. Discorso al Movimento dei Focolari, Rocca di Papa, 19 agosto 1984; “L’Osservatore Romano”, 20/21.8.1984, p. 5. (altro…)
Dic 30, 2004 | Chiara Lubich, Spiritualità
“La Chiesa ci è apparsa, per i più vari carismi donatile dallo Spirito, come un Vangelo incarnato. Ogni famiglia religiosa è in particolare l’incarnazione di un’espressione di Gesù, d’un fatto della sua vita, d’un suo dolore, di una sua parola… Per tutti questi carismi fioriti lungo i secoli, la Chiesa appare proprio come un Vangelo dispiegato nel tempo e anche nello spazio”
Queste, alcune parole della lectio di Chiara Lubich in occasione del conferimento del dottorato honoris causa in Teologia della Vita Consacrata dalla Pontificia Università Lateranense – Istituto “Claretianum” di Roma, specializzato in teologia della vita consacrata.
In una sala gremita di religiosi, religiose e studenti è il preside dell’Istituto, prof. Santiago Ma González Silva che apre la cerimonia presentando la spiritualità dell’unità del Movimento dei Focolari agli oltre 400 alunni di 57 nazioni, rappresentanti di 177 istituti. Dopo l’esecuzione di una versione polifonica del Veni Creator, cantata dal coro interuniversitario di Roma, il preside traccia una presentazione della fondatrice dei Focolari: “In Chiara – afferma – contempliamo limpidamente riflessa una parola del Vangelo che ormai varca, oltre i confini della Chiesa, tutte le regioni del pianeta: il comandamento nuovo di Gesù, «Amatevi l’un l’altro come io ho amato voi» (Gv 13,34)”.
Il prof. Fabio Ciardi, Omi, docente al Claretianum, nella laudatio ricorda il suo incontro giovanile con la spiritualità dell’unità dei Focolari e la sorpresa nel constatare in Chiara «il bisogno di partecipare al carisma di tutti i santi». Illustra poi le tre motivazioni fondamentali del dottorato: – l’aver elaborato una dottrina sui carismi della vita consacrata, con la singolare intuizione dello spiegarsi di Cristo lungo i secoli, come un Vangelo vivo; – l’apertura della spiritualità di comunione – tipica dei focolari – alle varie forme di vita consacrata (sono decine di migliaia i religiosi e le religiose in contatto con questa spiritualità); – l’aver creato una originale forma di vita consacrata, il focolare. Il dottorato è il riconoscimento anche dell’Opera fondata da Chiara Lubich, che coinvolge non soltanto le diverse vocazioni della comunità cristiana, ma anche membri di altre Chiese cristiane, di altre religioni e persone di altre convinzioni. (altro…)
Dic 29, 2004 | Focolari nel Mondo
I responsabili delle comunità del Movimento presenti in India, Sri Lanka, Tailandia, Indonesia e Malesia, si sono attivati per sostenere varie iniziative d’aiuto alle popolazioni disastrate.
Si possono mandare contributi attraverso l’AMU: Associazione Azione per un Mondo Unito Via Frascati 342 00040 Rocca di Papa (Roma) – Italia c/c bancario n. 640053 presso Sanpaolo IMI, Agenzia di Grottaferrata (Roma) ABI 01025 CAB 39140 CIN M Coord. Bancaria internazionale per i versamenti dall’estero: IBAN IT16 M010 2539 1401 0000 0640 053 BIC IBSPITTM Per l’Italia si può utilizzare anche il conto corrente postale 81065005, sempre intestato all’AMU: Associazione “Azione per un Mondo Unito”, Via Frascati 342 00040 Rocca di Papa (Roma), indicando come causale ‘Emergenza Sud-est asiatico’. L’Associazione “Azione per un Mondo Unito” (AMU) è un’ organizzazione non governativa (ONG) che si ispira alla spiritualità dell’unità del Movimento dei Focolari e si propone di favorire la fraternità tra i popoli, promuovendo progetti di cooperazione allo sviluppo, nel rispetto delle realtà sociali, culturali ed economiche delle popolazioni. Per chi desiderasse avviare delle adozioni a distanza: http://www.famiglienuove.org/it/sostegnoadistanza.php
Nota. Secondo la normativa fiscale italiana i contributi ricevuti sono deducibili nella misura massima del 2% del reddito complessivo sia per le persone giuridiche che per le persone fisiche.
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Dic 28, 2004 | Focolari nel Mondo
Tempo fa, come responsabile di un progetto europeo, mi trovo a riferire sullo stato dei lavori al consesso dei rappresentanti degli stati dell’Unione, presenti gli ufficiali della Commissione Europea. Il suggerimento dei colleghi più esperti è di essere generico e fumoso nell’esposizione per non correre il rischio di essere criticato e messo in difficoltà dai rappresentanti degli stati; ma questo non corrisponde al mio stile di vita e di lavoro: prima di ogni riunione, oltre al problema in esame, penso al rapporto con le persone che mi stanno intorno, alla loro vita e a quel poco che so delle speranze, difficoltà e aspettative con cui sono arrivate alla riunione. Penso agli utenti finali che potrebbero ricevere un beneficio dal nostro lavoro. E torniamo a Bruxelles, alla nostra sessione plenaria; contrariamente ai suggerimenti dei miei colleghi, espongo lo stato del progetto con calma e chiarezza, guardando i rappresentanti degli stati in faccia per essere sicuro che comprendano bene. Si trattava di un servizio per i pensionati europei che, per essere realizzato correttamente, aveva bisogno del contributo convinto dei rappresentanti degli Stati, in modo da tener conto delle situazioni locali. Al termine dell’esposizione, per più di un’ora sono stato sottoposto ad una raffica di domande e osservazioni di tutte le delegazioni. Nel rispondere cercavo sempre di mettermi nella pelle e nella cultura di colui che faceva la domanda, in modo da capire cosa c’era dietro, e rispondere in modo mirato e personale. Durante la discussione si sono accesi vivaci contrasti tra i delegati, spesso dovuti solo ad incomprensioni a causa delle diverse culture, modi di dire, legislazioni, abitudini… Ho cercato quindi di intervenire con delicatezza, spiegando all’uno perché l’altro aveva fatto quell’osservazione, che però andava letta ed interpretata in un certo modo, aiutandoli quindi a capirsi, a dissipare il sospetto di secondi fini, per trovare un punto comune. Il risultato finale è stato l’approvazione del progetto, con una serie di osservazioni e miglioramenti condivisi da tutti i delegati. C’era una distesa ed insolita aria tra tutti. Quando alla fine mi sono alzato, salutandoli e ringraziandoli per la fruttuosa revisione che avevamo fatto insieme, mi hanno fatto un applauso, cosa raramente successa in quella sala. I. N. – Italia Tratto da Tutta rivestita di Parola, a cura di Michele Zanzucchi, Città Nuova 2004
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Dic 12, 2004 | Chiesa, Ecumenismo
INTERVISTA:
Quello vissuto in questi giorni è stato un incontro tanto atteso che ha visto una maggiore partecipazione di vescovi di varie Chiese, rispetto agli anni scorsi. Perché? Metropolita Serafim Joanta: Perché Istanbul, l’antica Costantinopoli, questa terra, la Turchia è un Paese anticamente cristiano, ricco di storia, di tanti luoghi santi. E’ per questo che molti vescovi sono stati attirati: per vivere proprio qui momenti di unità. E’ stato un incontro speciale. In questi giorni abbiamo vissuto un’esperienza estremamente ricca che ci ha rinnovato spiritualmente a contatto con questa cristianità antica: con gli ortodossi, con i siro-ortodossi, gli armeno-apostolici, i cattolici di diversi riti. Un fatto del tutto eccezionale e straordinario. Da dar gloria a Dio! Loro hanno vissuto questa settimana proprio in un momento in cui sono stati compiuti gesti storici nei rapporti tra Costantinopoli e Roma, per il ritorno a Costantinopoli delle reliquie dei due grandi Padri della Chiesa, san Giovanni Crisostomo e san Gregorio Nazianzeno detto “il Teologo”. Inoltre, hanno avuto più di un contatto diretto con il Patriarca. Quale significato ha assunto il loro convegno? Metropolita Serafim Joanta: Il ritorno delle reliquie dopo secoli è stato per questi cristiani, per la Turchia, un segno di speranza molto forte, molto commovente. Sono stato impressionato da come i vescovi delle Chiese anglicana e evangelico-luterana, che assistevano per la prima volta alla venerazione delle reliquie da parte di ortodossi e cattolici, abbiano apprezzato questo gesto. Il patriarca Bartolomeo ha parlato in modo commovente, ringraziando il Papa e la Curia romana per questo gesto eccezionale. E per il Patriarcato ecumenico e per le altre comunità siro-ortodossa, armena, anglicana che hanno visitato, quale significato ha avuto la loro presenza? Metropolita Serafim Joanta: Tutte le comunità hanno avvertito l’unità che c’era tra di noi. Hanno apprezzato la preghiera, la “qualità” della comunione. E’ stata per loro una cosa straordinaria vedere vescovi di tante Chiese uniti nella preghiera. Hanno manifestato gioia per il fatto che siamo stati in mezzo a loro. E’ stata per loro come una nuova chiamata all’unità: se i vescovi sono insieme, anche il popolo di Dio deve essere insieme. Penso che tutte queste comunità abbiano ricevuto un grande impulso per l’avvenire. Il Patriarca ecumenico Bartolomeo I, alla festa di s. Andrea, ha parlato del primato dell’unità spirituale che siamo chiamati a vivere in Cristo, sul modello della Trinità. Sembra un traguardo lontano… Metropolita Serafim Joanta: Penso che quanto abbiamo vissuto qui a Costantinopoli e quanto vivono cristiani di diverse Chiese insieme, nello spirito d’unità del Movimento dei Focolari, con Gesù in mezzo, è un esempio, una speranza, è un seme dell’unità che esiste già tra le diverse Chiese nella comunione, nell’amore della Trinità. Tra noi, infatti, c’è un grande amore, grande rispetto per ogni Chiesa, per ogni tradizione. Ho visto come i vescovi evangelici, anglicani e cattolici hanno apprezzato le icone, le reliquie, la liturgia ortodossa che è lunga, ma bella. Tutto questo è stato un esempio dell’unità che esiste già e che si deve diffondere in tutte le Chiese, in tutta la cristianità. E’ l’amore che può far avanzare l’unità dei cristiani. Se, soprattutto noi vescovi e i capi delle Chiese, diamo questa testimonianza – il dono delle reliquie ne è un segno molto forte – tutto questo sarà recepito dalla coscienza delle nostre Chiese. Dove ha radice questa loro esperienza di unità, da dove attinge la linfa? Metropolita Serafim Joanta: La radice dell’unità è l’amore di Dio, l’amore del Cristo che unisce nello Spirito Santo il mondo intero e prima di tutto i cristiani che si uniscono nel suo nome. E’ per questo che abbiamo in noi, nel nostro cuore, Gesù, Gesù in mezzo a noi. Questa spiritualità del Movimento dei Focolari è la spiritualità per eccellenza della Chiesa di Cristo, di ciascuna Chiesa. Sottolineo questo sempre: non è qualcosa specifico di questo movimento o della Chiesa cattolica soltanto. L’unità proposta da Chiara Lubich e dal Movimento dei Focolari è anche per le Chiese ortodossa, luterana, anglicana, perché è semplicemente evangelica, riassume, comprende tutto il Vangelo, l’essenza del Vangelo: è l’amore di Dio, l’unità in Cristo per lo Spirito Santo. Tra le tappe del loro pellegrinaggio in questa terra antica del cristianesimo c’è stata Nicea. Che significato ha avuto per loro? Metropolita Serafim Joanta: A Nicea abbiamo vissuto un momento molto forte: è un luogo che testimonia la Chiesa indivisa. Dove nel 325, si è celebrato il primo Concilio che ha formulato la prima parte del nostro credo. Insieme abbiamo firmato un patto di amore tra noi vescovi, e, in quanto vescovi, ci siamo impegnati anche per tutta la nostra Chiesa locale ad adoperarci per il ristabilimento della piena comunione visibile. E’ stato un segno molto forte e una speranza per l’avvenire. Dove e quando il prossimo appuntamento? Metropolita Serafim Joanta: Il prossimo anno ci ritroveremo in Romania, a Bucarest. Ci troveremo in un Paese ex-comunista che ha sofferto per 50 anni la repressione e da pochi anni ha ritrovato la libertà, non senza incontrare difficoltà. Questo nostro incontro sarà un segno di incoraggiamento per i cristiani di Romania, non solo ortodossi. C’è una forte comunità di cattolici, ci sono evangelici, calvinisti. Sarà l’occasione per incontrare il patriarca Teoctist … Metropolita Serafim Joanta: Sì, sarà l’occasione per incontrare il Patriarca Teoctist e i responsabili delle Chiese cattolica e evangelica e molti vescovi del Paese. Sarà l’occasione per dar loro modo di conoscere più da vicino il ruolo di unità del Movimento dei Focolari: abbiamo avuto qui a Costantinopoli una testimonianza molto forte di un sacerdote cattolico romeno che si è impegnato a incontrare regolarmente i sacerdoti ortodossi, cattolici, riformati e luterani. Questi incontri hanno cambiato lo spirito di questa città. Ora tutti pregano insieme, c’è tra tutti una vita veramente nello Spirito Santo. Sì, il Movimento dei Focolari ha un grande rispetto per ogni Chiesa: anzi, ognuno ritrova le proprie radici nella propria Chiesa, ogni sacerdote, ogni cristiano approfondisce la propria tradizione. E’ qualcosa di straordinario che può cambiare la situazione.
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Dic 12, 2004 | Ecumenismo
Dal servizio del Radiogiornale vaticano del 3 dicembre 2004
Un nuovo impegno per la piena unità dei cristiani è assunto ad Istanbul, l’antica Costantinopoli, una terra ricca di storia, in cui si sono tenuti i primi Concili della Chiesa indivisa. E’ qui che si è svolto il Convegno annuale dei vescovi di varie Chiese, amici del Movimento dei Focolari, a cui hanno partecipato oltre 40 vescovi provenienti da 18 Paesi, dal Medio Oriente all’Australia, Stati Uniti, Europa dell’Est e Ovest, ortodossi, siro-ortodossi, armeno-apostolici, anglicani, evangelici-luterani e cattolici di vari riti.
Una settimana ricca di incontri: con il Patriarca ecumenico Bartolomeo I, il Patriarca armeno apostolico Mesrob II e il vicario patriarcale siro-ortodosso Filüksinos Yusuf Çetin, che li hanno accolti nelle loro comunità, e con il card. Walter Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani.
“In questi giorni abbiamo vissuto un’esperienza estremamente ricca che ci ha rinnovato spiritualmente”: questa la testimonianza del Metropolita ortodosso rumeno, Serafim Joanta. Un momento culmine: la visita a Nicea, dove si è celebrato il primo Concilio ecumenico. “A Nicea abbiamo vissuto un momento molto forte: è un luogo che testimonia la Chiesa indivisa. Abbiamo pregato tra i ruderi dell’antica chiesa di S. Sofia. Insieme abbiamo firmato un patto di amore reciproco. E’ stato un segno molto forte, una speranza per l’avvenire”.
I vescovi sono stati testimoni anche dello storico ritorno delle reliquie degli antichi Patriarchi di Costantinopoli, san Giovanni Crisostomo e san Gregorio Nazianzeno, detto il Teologo, donate dal Papa il giorno precedente, nella Basilica vaticana, al Patriarca Bartolomeo I. Poi hanno partecipato alla festa di Sant’Andrea, nella chiesa di san Giorgio, dove il Patriarca Bartolomeo I ha parlato del primato dell’unità spirituale che siamo chiamati a vivere in Cristo, sul modello della Trinità.
L’unità spirituale: è questa l’esperienza più profonda vissuta dai vescovi delle diverse Chiese. Ancora il metropolita Serafim: “Penso che quanto abbiamo vissuto qui a Costantinopoli, nello spirito dell’unità dei Focolari, con Gesù in mezzo a noi, è una speranza, è un seme dell’unità che esiste già tra le diverse Chiese, nella comunione, nell’amore della Trinità”.
La presenza di Cristo fra coloro che “sono uniti nel suo nome” è stata infatti non solo il tema del Convegno, ma l’esperienza che ne ha scandito lo svolgimento. Tre interventi preparati da Chiara Lubich hanno illustrato i fondamenti di questa via ecumenica che nasce dalla spiritualità di comunione dei Focolari, il cosiddetto, “dialogo della vita” o “dialogo di popolo”, la cui importanza è stata sottolineata dal cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, in un momento di incontro con i vescovi.
Le testimonianze – Membri del Movimento di varie Chiese, poi, hanno raccontato come, nelle diverse parti del mondo, stanno operando per incrementare la comunione nelle loro Chiese e fra le diverse Comunità cristiane, come ancora riferisce il metropolita Serafim Joanta: “Abbiamo avuto qui a Costantinopoli una testimonianza molto forte di un sacerdote cattolico che si è impegnato a incontrare regolarmente i sacerdoti ortodossi, cattolici, riformati e luterani. Questi incontri hanno cambiato lo spirito di quella città. Sì, il Movimento dei Focolari ha un grande rispetto per ogni confessione: anzi ognuno ritrova le sue radici nella propria Chiesa, ogni sacerdote, ogni cristiano approfondisce la propria tradizione. E’ qualcosa che può cambiare la situazione”. (altro…)
Dic 12, 2004 | Chiesa, Ecumenismo, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Nel luogo in cui è stato formulato il Credo Venerdì, 26 novembre, quaranta Vescovi – ortodossi, siro-ortodossi, armeni apostolici, anglicani, evangelici-luterani e cattolici di vari riti, provenienti da 18 nazioni – si sono recati insieme a Nicea, il luogo in cui quasi 1700 anni fa, durante il primo Concilio ecumenico, è stato formulato il comune Credo cristiano, detto niceno-costantinopolitano. Consci delle tristi conseguenze delle disunità nel corso dei secoli, in questo luogo-simbolo si sono promessi solennemente di attuare in tutto e innanzi tutto il comandamento evangelico dell’amore reciproco, «affinché Cristo viva sempre fra noi e il mondo possa credere anche per il nostro contributo», come ha detto l’arcivescovo di Praga, il Card. Miloslav Vlk, uno dei principali promotori dell’iniziativa. E’ stato questo – al dire dei partecipanti – uno dei momenti culmine del 23° Convegno ecumenico di Vescovi amici del Movimento dei Focolari che, per invito del Patriarca ecumenico Bartolomeo I, si è svolto dal 23 novembre al 1° dicembre a Costantinopoli.
Intervento del Patriarca ecumenico Bartolomeo I Per la Preghiera ecumenica d’apertura, nella chiesa cattolica di S. Antonio, gremita di cristiani delle diverse Comunità presenti a Istanbul, è intervenuto lo stesso Bartolomeo I, che nella mattinata successiva si è rivolto ai Vescovi, congratulandosi per il loro zelo per l’unità dei cristiani, e si è soffermato quindi sul tema del Convegno: “Dove due o più sono riuniti nel mio nome, là sono io in mezzo a loro” (Mt 18, 20). Con ampio riferimento alla Scrittura e al pensiero dei Padri greci, il Patriarca ha messo a fuoco tre fondamentali presupposti perché si verifichi questa promessa di Gesù: “l’amore verso Cristo, realizzata con l’osservanza di tutti i suoi comandamenti, la fede in lui, manifestata come fiducia in lui, e la retta fede… come retta conoscenza della sua persona che scaturisce dalla comunione personale con lui”.
Visite alle Comunità cristiane di Istanbul Nel corso del Convegno i Vescovi hanno visitato le varie Comunità cristiane della città, unendosi alla loro preghiera, conoscendone i tesori spirituali e condividendone gioie e sofferenze. Di particolare rilievo, la visita alla sede del Patriarca Armeno Apostolico Mesrob II, che, dopo la celebrazione dei Vespri, si è intrattenuto con i suoi ospiti per un ampio dialogo sulla vita e la situazione della Chiesa armena, che ha dato, lungo i secoli, una testimonianza spesso eroica. In un suo messaggio per l’apertura al Convegno aveva già formulato un appassionato appello per l’unità. Molto cordiale pure l’incontro con il Vicario patriarcale Siro-Ortodosso Filüksinos Yusuf Çetin e la sua vivace Comunità che ha fatto grande festa ai Vescovi. In un’intervista rilasciata, il Metropolita ha sottolineato che una tale intesa tra i Vescovi è un esempio importante per i fedeli. Gioia per un gesto ecumenico di grande significato Al Fanar, la Sede del Patriarcato ecumenico, i Vescovi hanno partecipato alle solenni preghiere per l’arrivo delle reliquie di S. Giovanni Crisostomo e S. Gregorio il Teologo, donate dal Papa al Patriarca Bartolomeo I, nella Basilica vaticana. Il gesto ecumenico – aveva detto a Roma il Patriarca Bartolomeo I – ha un grande significato, e “conferma che non esistono nella Chiesa di Cristo problemi insormontabili, quando l’amore, la giustizia e la pace si incontrano”. La partecipazione è continuata poi durante le celebrazioni per la Festa di S. Andrea, Patrono del Patriarcato ecumenico, per la quale, oltre alla Delegazione vaticana guidata dal Card. Kasper, erano convenute a Costantinopoli rappresentanze delle Chiese ortodosse nel mondo.
“Dialogo della vita” La presenza di Cristo fra coloro che sono uniti nel suo nome è stata non solo il tema del Convegno ma soprattutto l’esperienza
che ne ha scandito lo svolgimento, creando – come hanno detto i Vescovi – “un intenso legame di vera fraternità”. Tre interventi preparati da Chiara Lubich, hanno illustrato i fondamenti di questa via ecumenica che nasce dalla spiritualità di comunione vissuta nel Movimento dei Focolari: il cosiddetto “Dialogo della vita”, o “Dialogo di popolo” che – ha spiegato Chiara Lubich – “non è un dialogo della base che si contrappone o giustappone a quello dei cosiddetti vertici o responsabili di Chiese, ma un dialogo al quale tutti i cristiani possono partecipare”. “Se viviamo così nelle nostre Chiese, esse rifioriranno”, ha affermato un Vescovo cattolico dell’Inghilterra, accennando alle grandi sfide della secolarizzazione. Mentre un Vescovo luterano ha espresso quanto aveva sperimentato nel Convegno con le parole del ben noto inno “Ubi caritas et amor, ibi Deus est – dov’è la carità e l’amore lì è Dio”.
Passi sul cammino verso l’unità Nel corso del programma, persone del Movimento dei Focolari di varie Chiese hanno raccontato di come, nelle varie parti del mondo, stanno operando per incrementare la comunione nelle loro Chiese e fra le diverse Comunità cristiane. Di particolare interesse la testimonianza di un parroco cattolico della Romania. Attraverso un paziente dialogo della carità, sono radicalmente cambiati i rapporti fra i pastori e le diverse comunità cristiane della sua città, con molte iniziative comuni che ormai coinvolgono le stesse autorità civili. Non meno significativo il costruttivo dialogo in atto fra il Mouvement Jeunesse Orthodoxe e il Movimento dei Focolari, di cui ha parlato un’ortodossa del Libano. Due evangelici e un cattolico hanno parlato ai Vescovi della Giornata ecumenica “Insieme per l’Europa”. Per essa, l’8 maggio 2004, erano convenuti a Stoccarda 10 mila persone di numerosi Movimenti, Comunità e Gruppi spirituali di varie Chiese: inizio di una maggiore testimonianza comune.
Incontro con il Card. Kasper La presenza della Delegazione vaticana per la Festa di S. Andrea, ha offerto l’occasione di un incontro dei Vescovi con il Card. Walter Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani. Nell’offrire un quadro dei recenti sviluppi ecumenici, egli ha sottolineato l’apporto dei Movimenti ecclesiali alla causa dell’unità: “Io sono molto grato per questi Movimenti, per il Movimento dei Focolari, e penso che è un segno dello Spirito Santo… Soltanto insieme possiamo fare qualcosa per la venuta del Regno di Dio. Perciò i Movimenti sono una strada importantissima”.
Nel settembre 2005 a Bucarest Prima di ripartire per le loro nazioni, i Vescovi hanno stabilito di ritrovarsi di nuovo nel settembre 2005 a Bucarest, aderendo all’invito del Patriarca rumeno-ortodosso Teoctist e del suo Sinodo. (altro…)
Nov 30, 2004 | Chiesa, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Il parroco e alcuni laici della parrocchia di San Giovanni della Croce, nella città di Roma, ci raccontano come è nata e si è sviluppata la comunità parrocchiale. “Un giorno il Cardinale, allora Vicario della diocesi di Roma – racconta il parroco – mi propone di fondare una nuova comunità parrocchiale in un quartiere che sta sorgendo, all’estrema periferia Nord di Roma, nella località Colle Salario. Mi reco sul posto e trovo palazzi in costruzione, altissime gru in movimento su tutta la zona. Preso in affitto un locale sotto un palazzo di 15 piani, vi ricavo la chiesa, la sala, la cucina, l’ufficio e una piccola camera da letto. Quella chiesetta-negozio è stata la sede della comunità per 13 anni. Soltanto alla fine del 2001 è stata costruita la nuova bellissima Chiesa”. Non basta un luogo per celebrare la Messa, ma occorre prima formare la comunità. Le famiglie provengono dalle più svariate regioni d’Italia, senza legami sociali fra loro. Non sanno neppure che esiste la parrocchia. Così ogni mattina il parroco si reca alle fermate del scuolabus per augurare buona giornata ai bambini che vanno a scuola e alle mamme che li accompagnano. Più volte al giorno va al supermercato per incontrare la gente: nella fila alle casse conosce persone, propone a qualche mamma di fare la catechista, aiuta le anziane a portare a casa la spesa. Prende vita poco a poco una piccola comunità. Una famiglia, appena arrivata nel quartiere, si mette a disposizione per tutto quanto c’è bisogno. Sono del Movimento dei Focolari. Lui fa il fotografo, e viene ingaggiato per il servizio fotografico nelle prime comunioni dei bambini. Dato che la chiesetta è insufficiente a contenere tutti, per l’occasione si prende in affitto una grande chiesa, al centro di Roma. Prima della funzione Pino e il parroco si accordano di amare tutti, perché Gesù stesso sia presente fra loro, come Lui ha promesso a “due o tre riuniti nel suo nome” (Mt. 18,20). Ed è proprio la presenza del Risorto che coinvolge altri a vivere questa nuova spiritualità, ad amare, pronti a dare la vita l’uno per l’altro, a ricominciare quando si sbaglia, a raccontarsi le esperienze sul Vangelo per crescere insieme. F., ad esempio, comunica come ha cominciato a frequentare la chiesa-negozio. Stava passando un momento difficile nel rapporto con sua moglie. Decidono di andare insieme in quella chiesetta e per la prima volta sentono annunciare che Dio è Amore, che ci vuol bene personalmente, ci accetta come siamo, non è lontano, può essere tra noi, se ci amiamo nel suo nome. Scoprono un volto nuovo della Chiesa, diverso da quello che pensavano. Entrano nel gruppo di coloro che partecipano all’incontro della “Parola di Vita” perché comprendono che da lì nasce quella vita nuova che li attrae. Si sforzano di mettere alla base di tutto l’amore, come la propone il Vangelo. E’ una scuola di vita, una nuova evangelizzazione, che richiede una conversione di mentalità. C. e M. sono sposati da 22 anni e hanno due figli di 20 e 17 anni. Fanno parte anch’essi dei gruppi della parrocchia che vivono la spiritualità del Movimento dei Focolari: “I nostri gruppi – spiegano – non hanno attività a se stanti in parrocchia, ma partecipano alla vita della comunità parrocchiale: c’è chi fa il catechismo, chi tiene la segreteria, chi è animatore dell’oratorio, chi affianca il parroco nel corso di preparazione al matrimonio, chi si dedica ai lavori artigianali per la manutenzione della casa parrocchiale, chi si dedica alle pulizie, chi alla cucina dei sacerdoti”. Vogliono essere un po’ come il sale che si scioglie nei vari settori della vita comunitaria e donare quel tocco in più di amore umano e soprannaturale, che pian piano genera un clima di famiglia e spesso attira anche chi non crede. D. spiega – e lo dicono anche altri – che questa spiritualità di comunione si sta diffondendo in tutta la comunità e sta diventando la sua prima caratteristica. Soprattutto dopo che il Papa, nella “Novo millennio ineunte, l’ha lanciata per tutta la Chiesa.
Bellezza e armonia della varietà dei vari movimenti – Nella parrocchia di S. Giovanni della Croce – racconta il parroco – sono presenti altri movimenti: la Comunità di S. Egidio, il Cammino neocatecumenale, ed altre espressioni di vita associata, di più piccole dimensioni, ma sempre importanti. E’ una gioia veder fiorire vari carismi che contribuiscono a portare avanti la nuova evangelizzazione e rendono più bella la comunità. I fedeli si sentono liberi di seguire questo o quel cammino, di formarsi nella spiritualità e con i modi ed i tempi del Movimento cui aderiscono. La loro stessa presenza nella comunità è segno di vitalità e stimolo per tutti. Dal canto loro i membri del Movimento dei focolari si sforzano di comprendere e vivere sempre meglio il proprio specifico nella parrocchia: essere costruttori di comunione. Come Maria: amare ed accogliere tutti, mettere amore dove non c’è amore, creare l’unità. Ed essere apostoli del dialogo, così come li vede il S. Padre. Arrivano i visitatori – Anche se il quartiere è situato all’estrema periferia della città, ogni tanto arriva qualche gruppo parrocchiale. Sono arrivati dalla Svizzera, da Stoccolma, Belluno, Napoli, dal Brasile, dal Messico, dalla Francia. Vengono per visitare le bellezze di Roma, per vedere soprattutto il Papa; ma c’è chi desidera anche incontrare una comunità viva della Chiesa di Roma. Si passa un pomeriggio insieme, ci si raccontano le esperienze, si mangia insieme una pizza. Nasce un rapporto di fraternità nonostante, a volte, la difficoltà della lingua. Le persone della comunità di Colle Salario raccontano come vivono la Parola e l’amore scambievole che considerano fondamento di ogni azione pastorale. Questo, spesso, lascia meravigliati. In diretta TV – Qualche tempo fa, la Messa domenicale della comunità di S. Giovanni della Croce è stata trasmessa in diretta da una rete televisiva nazionale. E’ stata preparata insieme, distribuendo letture, preghiere e testimonianze fra i membri dei vari gruppi parrocchiali e dei vari movimenti. Da più parti d’Italia sono pervenute telefonate con espressioni di gratitudine e incoraggiamento: “Grazie della vostra Messa, è stata bellissima, “Si vede che siete una comunità viva e che vi volete bene”, “Quanto desidero che i giovani del mio paese possano incontrare una comunità come la vostra!”. (altro…)
Nov 30, 2004 | Chiesa
Fino a qualche anno fa il nostro seminario era situato in una struttura di tipo tradizionale, con muri spogli e lunghi corridoi. Forse anche per questo ciascuno rischiava di rimaner chiuso nel suo mondo. Alcuni di noi seminaristi siamo venuti in contatto con la spiritualità dell’unità. È stata una grande scoperta renderci conto che il vangelo si poteva vivere con tale concretezza e soprattutto in chiave così fortemente comunitaria. Per cui ci siamo messi subito a vivere con slancio ed entusiasmo la “Parola di vita” – una frase di senso compiuto della Scrittura che tutti nel Movimento dei focolari si impegnano a tradurre in pratica durante un mese intero – e non ci è voluto molto tempo per fare anche noi le nostre prime “esperienze”- In seguito altri seminaristi, attratti dalla novità di vita, si sono uniti a noi. Il numero degli studenti nel frattempo era cresciuto abbastanza e nell’edificio del seminario non c’era sufficiente spazio per tutti. I formatori hanno deciso allora di trasformare un grande salotto in una camera per dodici seminaristi. Ma nessuno voleva andarci, perché tutti preferivano avere la camera singola. Capivamo che era un’opportunità per amare concretamente e per lanciarci in una vita di comunione più forte. Così ci siamo offerti noi al trasferimento. L’anno successivo si è ripresentato il problema della mancanza di camere ed i formatori ci hanno proposto di continuare la nostra esperienza in una casa vicino al seminario. Abbiamo iniziato questa nuova avventura con la fiducia che era qualcosa che Dio ci proponeva. Mettevamo tutto in comune: vestiti, libri, soldi ed anche le nostre necessità, che erano tante. Per poter sovvenire ai nostri bisogni abbiamo intrapreso varie attività, tra cui l’allevamento dei pulcini. Tante persone incuriosite da questa iniziativa, ci offrivano il loro aiuto e ci portavano del mangime. Tutto era occasione per testimoniare il nostro ideale d’unità e così la nostra casa è diventata un luogo d’incontro e attorno a noi si è creata una grande famiglia. Intanto in diocesi si è deciso di costruire un nuovo seminario. L’esperienza della nostra «casetta» ha fatto sorgere l’idea di progettarlo non come un grande palazzo, ma come un insieme di varie abitazioni con al centro la cappella. Da allora ad oggi si sono susseguite tante vicende ed anche le difficoltà e le prove non sono mancate. Ma davanti a qualsiasi cosa ci siamo sempre detti che quello che importava era vivere e testimoniare l’amore reciproco. Un giorno uno di noi aveva bisogno di pantofole ed io di un paio di scarpe per una celebrazione. Convinti che occorreva cercare innanzi tutto il Regno dei Cieli e tutto il resto sarebbe venuto in sovrappiù, abbiamo rinnovato fra noi il patto di amarci a vicenda con un amore che è pronto a dare anche la vita e ci siamo nuovamente lanciati ad amare tutti – superiori e compagni — nelle piccole cose, cercando di vedere in ognuno Gesù. Giunta la sera, un compagno mi ha chiesto se non mi serviva un paio di scarpe, perché gliene erano state regalate due paia; ed una signora ci ha offerto una somma di denaro, giusto il necessario per comprare le pantofole. Constatavamo l’amore concreto di Dio. Uno dei punti piuttosto deboli nella vita del nostro seminario era lo sport. Inevitabilmente ogni partita di calcio portava a contrasti e discussioni. Abbiamo allora organizzato un torneo che aveva per regola che ciascuno godesse dei successi degli altri come dei propri. Ed è andato benissimo! Il più contento è stato il padre spirituale. E anche tanti seminaristi ci hanno ringraziato per aver dato loro l’occasione di scoprire che pure nello sport si può vivere il vangelo. Abbiamo cercato di trasmettere questa vita anche fuori del seminario, specie nell’attività pastorale. Un giorno, insieme ad un compagno, ci siamo recati al carcere femminile. Prima d’entrarvi, ci siamo proposti di stare saldi nell’amore reciproco e di vedere Gesù in ognuna delle carcerate. All’inizio le abbiamo trovate molto indifferenti, ciascuna concentrata sul proprio lavoro. Abbiamo allora tentato di cantare qualcosa per loro e pian piano si sono avvicinate tutte. Stabilito il rapporto, abbiamo potuto raccontare loro alcune esperienze che avevamo fatto con la «Parola di vita». Erano felicissime e si sono riconciliate l’una con l’altra. Noi non riuscivamo a spiegarci come Gesù poteva agire così in fretta. Una di loro ci ha detto di aver capito che doveva vivere amando, anche nel carcere, e che solo così poteva essere libera, magari anche più di tanti che vivono in «libertà». Un’altra ci ha portato fino alla porta della sua cella per dirci come quella stessa sera aveva pensato di suicidarsi, ma che l’amore che avevamo portato le aveva ridato la gioia di vivere. Era evidente che non eravamo stati noi a fare queste cose, ma Gesù presente fra noi per l’amore reciproco. (N. U. A. Q. – Colombia) (altro…)
Nov 30, 2004 | Parola di Vita
Natale s’avvicina, il Signore sta per venire, e la liturgia ci invita a preparargli la strada.
Egli, entrato nella storia duemila anni fa, vuole entrare nella nostra vita, ma la strada in noi è irta di ostacoli. Occorre spianare le montagnole, rimuovere i massi. Quali sono gli ostacoli che possono ostruire la strada a Gesù?
Sono tutti i desideri non conformi alla volontà di Dio che sorgono nella nostra anima, sono gli attaccamenti che l’attanagliano; desideri minimi di parlare o di tacere, quando si deve fare diversamente; desideri di affermazione, di stima, di affetto; desideri di cose, di salute, di vita… quando Dio non lo vuole; desideri più cattivi, di ribellione, di giudizio, di vendetta…
Essi sorgono nella nostra anima e l’invadono tutta. Occorre spegnere con decisione questi desideri, togliere questi ostacoli, rimetterci nella volontà di Dio e così preparare la via del Signore.
«Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi»
Questa Parola, Paolo la indirizza ai cristiani della sua comunità, perché avendo sperimentato il perdono di Dio, essi sono capaci di perdonare a loro volta chi commette ingiustizia contro di loro. Egli sa che essi sono particolarmente abilitati ad andare oltre i limiti naturali nell’amare, fino a dare la vita anche per i nemici. Fatti nuovi da Gesù e dalla vita del Vangelo, essi trovano la forza per andare oltre le ragioni o i torti e tendere all’unità con tutti.
Ma l’amore batte in fondo ad ogni cuore umano e ognuno può attuare questa Parola.
La saggezza africana così si esprime: “Fa’ come la palma: le tirano sassi e lei lascia cadere datteri”.
Non basta quindi non rispondere ad un torto, a un’offesa…, ci è domandato di più: fare del bene a chi ci fa del male, come ricordano gli apostoli: “Non rendete male per male, né ingiuria per ingiuria, ma, al contrario, rispondete benedicendo”; “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene”.
“Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi”.
Come vivere questa Parola?
Nella vita di ogni giorno tutti possiamo avere parenti, compagni di studio o di lavoro, amici che ci hanno fatto un torto, un’ingiustizia, del male… Forse il pensiero della vendetta non ci sfiora, ma può rimanere in cuore un senso di rancore, di ostilità, di amarezza o anche soltanto di indifferenza, che impedisce un autentico rapporto di comunione.
Che fare allora?
Alziamoci al mattino con una “amnistia” completa nel cuore, con quell’amore che tutto copre, che sa accogliere l’altro così com’è, con i suoi limiti, le sue difficoltà, proprio come farebbe una madre con il proprio figlio che sbaglia: lo scusa sempre, lo perdona sempre, spera sempre in lui…
Avviciniamo ognuno vedendolo con occhi nuovi, come se non fosse mai incorso in quei difetti.
Ricominciamo ogni volta, sapendo che Dio non solo perdona, ma dimentica: è questa la misura che richiede anche a noi.
Così è stato per un nostro amico di un Paese in guerra, che ha visto massacrare i genitori, il fratello e tanti amici. Il dolore lo sprofonda nella ribellione, fino ad augurare ai carnefici un castigo tremendo, proporzionato alla colpa.
Gli tornano però di continuo alla mente le parole di Gesù sulla necessità del perdono, ma gli sembra impossibile viverle. “Come posso amare i nemici?” – si domanda. Gli occorrono mesi e tanta preghiera prima di cominciare a trovare un po’ di pace.
Ma quando, un anno dopo, sa che gli assassini non soltanto sono noti a tutti, ma circolano per il Paese a piede libero, il rancore gli attanaglia nuovamente il cuore e comincia a pensare a come si sarebbe comportato se avesse incontrato quei suoi “nemici”. Scongiura Dio di placarlo, di farlo ancora una volta capace di perdonare.
“Aiutato dall’esempio dei fratelli con cui cerco di vivere il Vangelo – racconta – comprendo che Dio mi chiede di non inseguire quelle chimere, ma piuttosto di essere attento ad amare le persone che ora mi stanno vicino, i colleghi, gli amici… Nell’amore concreto verso di loro, pian piano, trovo la forza di perdonare fino in fondo gli uccisori della mia famiglia. Oggi il mio cuore è nella pace”.
Chiara Lubich
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Nov 26, 2004 | Ecumenismo
„Dove due o più sono uniti nel mio nome…Un solo popolo nella molteplicità delle tradizioni
Sarà il Patriarca ecumenico Bartolomeo I che aprirà questo 23° convegno ecumenico sul tema: “Dove due o più sono uniti nel mio nome… Un solo popolo nella molteplicità delle tradizioni. A Istanbul sono giunti 52 vescovi di varie Chiese d’Oriente e d’Occidente: ortodossi, siro-ortodossi, armeni apostolici, anglicani, evangelico-luterani e cattolici di vari riti.
Momenti culmine Oltre all’apertura del convegno con il Patriarca ecumenico Bartolomeo I, gli incontri-dialogo con il card. Walter Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, con il Patriarca Armeno Apostolico di Costantinopoli, Mesrob II, e con il Vicario Patriarcale Siro-ortodosso per la Turchia, Filüksinos Yusuf Çetin. Al cuore della spiritualità dell’unità: la presenza di Cristo Risorto promessa a “due o più sono uniti nel suo nome” Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari, ha incaricato alcuni dei suoi più stretti collaboratori e collaboratrici a trasmettere i suoi interventi sulla tematica del congresso e sull’esperienza ecumenica del Movimento. Da loro verrà evidenziata la sintonia della spiritualità dell’unità, tipica dei Focolari con la spiritualità ecumenica fortemente incoraggiata dal Papa che ultimamente, il 13 novembre, aveva nuovamente invitato i cristiani a realizzare quella “piena comunione” che “non significa astratta uniformità, ma ricchezza di legittima diversità di doni condivisi e riconosciuti da tutti…” (Omelia di Giovanni Paolo II in occasione del 40° anniversario del decreto conciliare “Unitatis Redintegratio”) L’inizio: celebrazione ecumenica alla Chiesa di Sant’Antonio Il Convegno di Vescovi inizia con una celebrazione ecumenica, nella chiesa cattolica di Sant’Antonio, alla presenza dei Responsabili e dei membri delle varie comunità cristiane presenti a Istanbul. La visita a Nicea, sede di due tra i primi Concili ecumenici In programma la visita a Nicea, e al Monastero della SS. Trinità ad Halki, insigne centro di studi del Patriarcato ecumenico. Prevista anche la visita al Patriarca Mesrob II, nella sede del Patriarcato Armeno Apostolico e al Metropolita Filüksinos Yusuf Çetin, al Vicariato patriarcale Siro ortodosso. L’accoglienza delle reliquie di Giovanni Crisostomo e Gregorio di Nazianzo I Vescovi, ad Istanbul, parteciperanno, per felice coincidenza, all’accoglienza delle reliquie dei Padri della Chiesa indivisa Giovanni Crisostomo e Gregorio di Nazianzo, Vescovi di Costantinopoli nel IV-V secolo, consegnate da Giovanni Paolo II al Patriarca Bartolomeo nella Basilica di S. Pietro in Vaticano proprio in questi giorni, sabato 27 novembre. La festa dell’apostolo Sant’ Andrea al Fanar Al Fanar, sede del Patriarcato ecumenico, il 29/30 novembre i vescovi assisteranno alle solenni celebrazioni per la Festa di S. Andrea apostolo, Fondatore e Patrono del Patriarcato di Costamtinopoli, presiedute dal Patriarca Bartolomeo I, a cui parteciperà la delegazione della Santa Sede, guidata dal card. Walter Kasper. Gli appuntamenti precedenti I convegni ecumenici di vescovi di varie Chiese “amici del Movimento dei Focolari” si svolgono con cadenza annuale. Si sono tenute di anno in anno in diverse località: Costantinopoli (1984), Londra (1986 e 1996), Ottmaring/Augsburg in Germania (1988 e 1998),Trento (1995), Amman/Gerusalemme (1999), Zurigo (2001), Ginevra (2002) e più volte a Roma. Costante la benedizione da parte dei Capi delle diverse Chiese. (altro…)
Nov 25, 2004 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Con mia moglie dal 1992 abbiamo una ditta di esportazione di macchine e tecnologie per la lavorazione della carne, che aderisce al progetto dell’Economia di comunione ed opera negli stati dell’ex-Unione Sovietica. Nell’agosto del 1997 sono crollati il sistema bancario ed il mercato russo. Tutto si è fermato colpendoci gravemente: avevamo, infatti, oltre dieci contratti in Russia; molti sono stati sospesi e i pagamenti dei crediti congelati. Ma la nostra ditta doveva andare avanti e assicurare anche i pagamenti regolari ai dipendenti, per il sostentamento di una decina di famiglie. Le riserve stavano per esaurirsi e tutte le mattine telefonavo alla banca per chiedere se fosse arrivato qualche bonifico dalla Russia o se fosse tornato qualcosa dai nostri creditori. La risposta era sempre la stessa: no. Dopo tre mesi ancora non era arrivato nulla. Tutti mi dicevano di non pensarci neanche: tutto era bloccato e non arrivava niente per nessuno. Un lunedì ho guardato il conto bancario e ho visto che avevamo solo 300.000 fiorini. Sapevo che il giorno seguente avrei dovuto pagare un conto di 400.000 fiorini e inoltre, rimanevano gli stipendi da pagare. A mezzogiorno sono tornato a casa molto preoccupato. Con mia moglie, ci siamo chiesti cosa fare: sciogliere l’impresa oppure andare avanti? Sentivamo la responsabilità non solo per noi, ma anche per gli altri. All’ingresso, sul tavolino, teniamo sempre qualche foglio della Parola di Vita del mese. Quella diceva: “Se avrete fede…”. Uscendo per tornare in ufficio ho detto a mia moglie: “Adesso abbiamo bisogno davvero di aumentare la nostra fede!”. Entrando in ufficio, mi ha accolto la notizia che mi avevano cercato dalla banca, perché era arrivato un bonifico di un milione e mezzo! I.B. – Ungheria Tratto da Quando Dio interviene. Esperienze da tutto il mondo. Città Nuova Editrice 2004
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Nov 3, 2004 | Cultura
Dal 5 al 7 novembre prossimi a Castelgandolfo (Roma) i comunicatori delle varie discipline si troveranno uniti per sperimentare le strade di una professione che sia costruttrice positiva della società. Sono già pervenute 650 prenotazioni da parte di 41 Paesi di tutti i Continenti. Europa: Italia, Gran Bretagna, Irlanda, Francia, Albania, Repubblica Ceca, Romania, Slovenia, Slovacchia, Ungheria. Medio Oriente: Libano e Turchia. America: Stati Uniti, Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Venezuela. Africa: Algeria, Camerun, Congo, Sudafrica. Asia: Corea del Sud, Filippine, India, Pakistan. La delegazione delle Filippine è composta da 30 persone, dagli Stati Uniti arriveranno 46 persone, fra cui 17 registi e sceneggiatori di Hollywood. Fra gli italiani, molto numerosi, sarà presente anche Susanna Tamaro, regista e scrittrice. Il convegno è rivolto a professionisti, docenti e studenti dei diversi campi dei media: informazione, cinema, televisione, ICT e nuovi media, editoria e scienze delle comunicazioni. E’ promosso da NetOne, espressione del Movimento dei Focolari, che vuol raccogliere e mettere in rete le idee, i progetti, gli approfondimenti culturali, le sperimentazioni di comunicatori di varie parti del mondo che lavorano o studiano nei diversi ambiti dei media nella prospettiva di un mondo unito. Il titolo “Il Silenzio e la Parola. La Luce” corrisponde alla dinamica del dialogo: dialogo e dimensione mondiale saranno i due elementi che caratterizzeranno la riflessione. Molte le religioni rappresentate al convegno: ebraismo, islam, induismo, buddismo. Oltre ai cattolici saranno presenti anche evangelico-luterani ed evangelici, oltre a persone senza riferimenti religiosi. Prima della conclusione dei lavori, in seduta comune verrà annunciato uno speciale premio a Chiara Lubich, il Life Achievement Award ( un “Premio per quanto ha realizzato nella vita” ), da parte della Family Theater Productions, per il suo efficace uso dei mezzi di comunicazione nello svolgere il suo straordinario servizio alla Chiesa e alla famiglia umana, e poiché ha ispirato migliaia e migliaia di persone in oltre 180 nazioni del mondo portandole sulla via del dialogo e della fraternità. UFFICIO STAMPA Net One – Alma Pizzi 3358092813 SIF – 06947989 – Carla Cotignoli 3488563347
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Nov 3, 2004 | Cultura
A fronte di una comunicazione spesso condizionata pesantemente da una globalizzazione che rischia di essere appiattita dal “pensiero unico” occidentale, questa sessione intende proporre una “Strategia del dialogo per una svolta nell’informazione”. E’ questo il titolo generale, che verrà sviluppato in due tavole rotonde. La prima – “Diversità culturali-religiose e sintonie planetarie” – per una informazione che contribuisca al “nuovo” che si sta delineando con la società multirazziale, multiculturale e multireligiosa, e che sradichi pregiudizi e paure, allenti le tensioni, contribuisca alla pace. Di qui la scelta di dar voce a comunicatori di aree culturali e di religioni diverse: cristianesimo, ebraismo, islam, induismo e buddismo. Con la seconda tavola rotonda – “Media, società locale e globale. Dialogo (im)possibile” – cui interverranno giornalisti delle diverse latitudini, si prospetta una riconsiderazione del ruolo della società civile, non a caso definita il 6? potere, per una informazione che sappia non solo comunicare problematiche e conflittualità, ma anche intercettare i segni innovativi di fraternità e unità che stanno emergendo nella società reale. Interverranno, fra gli altri: Vera Araujo, sociologa brasiliana; Ela Gandhi, editore di due periodici fondati dal Mahatma (Sudafrica); Miriam Meghnagi, rappresentante del mondo ebraico; Ayesha Mustafaa, direttore The Muslim Journal (USA), Hiroshi Miyahira, gruppo editoriale buddista giapponese The Kosei Publishing; Martin Nkafu, professore universitario (Camerun), Piero Damosso, giornalista TG1-Rai; John Allen, giornalista, National Catholic Reporter (USA).
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Nov 3, 2004 | Cultura
Gli incontri di ICT e new media, organizzazione e management avranno luogo nella sala Building 14 messa a disposizione da ESA/ESRIN a Frascati. Tra i relatori italiani, accanto a Raffaele Meo del Politecnico di Torino, che ha presieduto la Commissione governativa per l’”open source” nella Pubblica Amministrazione, e a Alessandro Musumeci, consulente del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, troviamo personaggi della Rete, come Giancarlo Livraghi (www.gandalf.it) autore di L’umanità dell’Internet e Il potere della stupidità e Luisa Carrada (www.mestierediscrivere.com), premio Donna è Web 2004. Numerosi i contributi internazionali: René Cluzel della divisione Informazione e informatica di UNESCO, Mauricio Pimentel membro del Centro Universitário Faculdades Metropolitanas Unidas di San Paolo e José Antonio Peralta dell’Università argentina di Salta, aderente a Hipatia (www.hipatia.info), organismo internazionale che promuove la libera disponibilità e sostenibilità della tecnologia e della conoscenza. All’organizzazione e management sarà dedicato il pomeriggio del giorno 6 con una relazione a più voci sugli aspetti della comunicazione all’interno delle organizzazioni e i principi del quality management, conclusa da un tema sul valore economico delle relazioni umane presentato da Luigino Bruni (Università Milano-Bicocca), coordinatore del Movimento per una Economia di Comunione (www.edc-online.org).
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Nov 3, 2004 | Cultura
La sezione Cinema e TV raccoglie i produttori registi, autori, operatori a tutti livelli del cinema e della tv (non quelli del campo dell’informazione giornalistica) presenti al Congresso, provenienti da tutto il mondo, dall’India a Buenos Aires. Particolarmente nutrita è la presenza di sceneggiatori e registi da Hollywood, che da anni si incontrano per una ricerca sulla possibilità di produrre film ispirati a valori universali. La prima sessione, del venerdì pomeriggio, ha come titolo: Fotogrammi di vita: percorsi di lavori tra il cinema e la TV. Verranno proiettati vari spezzoni video, e ogni autore ne indicherà la motivazione, la ricerca, il significato. Tali video rappresentano la testimonianza di impegno in prodotti ispirati a valori universali, a servizio dell’uomo. La seconda sessione, sabato mattina, presenterà una tavola rotonda durante la quale registi e produttori (vedere nomi sul programma) dialogheranno sul tema: Film maker a confronto: immagini da culture in dialogo. Cinema e televisione come strumenti di conoscenza tra gli uomini e i popoli. Condurrà José Maria Poirier, critico cinematografico argentino. La terza sessione, sabato pomeriggio, si articolerà sui temi: Televisione-Documentari: strumenti per il dialogo; Giovani professionisti: la responsabilità dei Maestri; Iniziative positive nel mondo del Cinema. Durante la serata del venerdì e del sabato la sezione Cinema TV offrirà a tutti i convegnisti la proiezione di brevi film, alcuni dei quali sono vincitori dell’International Angelus Awards di Los Angeles.
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Nov 3, 2004 | Cultura
Fine della comunicazione? Tanti lo pensano, lo dicono e lo scrivono, di fronte alla babele planetaria e al relativismo imperante. Le discipline alle quali le scienze della comunicazione sono debitrici, sempre più si dotano di strumenti ad hoc per comunicare, e approfondiscono gli ingranaggi della comunicazione dal loro punto di vista, lasciando meno spazio agli studiosi della comunicazione tout court. NetOne crede che siamo invece alla vigilia di un nuovo inizio della comunicazione, o meglio, alla vigilia di una nuova epoca comunicativa, post-tecnologica e post-babelica.
NetOne è convinta che troppo spesso, nel dibattito culturale attuale, si riduce il problema della comunicazione a quello dei mezzi di comunicazione. Pensiamo che ciò sia fuorviante, perché – prima della discussione sulla natura di tali mezzi con le loro specificità, i loro contenuti, le loro professionalità e la loro etica –, esiste una finalità intrinseca alla comunicazione stessa.
Tale finalità è, come già sottolineato, l’incontro tra le persone che comunicano. Incontro, e non semplice relazione: se s’instaura una comunicazione vera, sia chi comunica sia chi è destinatario della comunicazione non rimane uguale a quel che era prima dello stesso processo di comunicazione, perché se lo scontro divide, l’incontro unisce. Incontro che porta alla reciprocità. Questo il quadro di riferimento della sessione “Scienze delle comunicazioni ed editoria” che riunisce un centinaio di accademici e di studenti, oltre ad alcuni esponenti del mondo dell’editoria, per riflettere insieme sulle implicazione di una comunicazione “in positivo” nel mondo della comunicazione e della cultura.
Nov 1, 2004 | Parola di Vita
Tenebre e luce: un’opposizione eloquente, nota a tutte le culture e a tutte le religioni. La luce simboleggia la vita, il bene, la perfezione, la felicità, l’immortalità. Le tenebre richiamano il freddo, il negativo, il male, la paura, la morte.
L’apostolo Paolo ricorda ai fedeli di Roma che il cristiano non ha più niente a che fare con un passato “tenebroso”, fatto di impurità, ingiustizia, malvagità, cupidigia, malizia, invidia, rivalità, frodi, malignità…
«Gettiamo via le opere delle tenebre…
Quali sono le “opere delle tenebre”? Al dire di Paolo sono: ubriachezze, impurità, contese, gelosie, ma anche dimenticanza di Dio, tradimento, furto, omicidio, superbia, ira, disprezzo dell’altro; e ancora: materialismo, consumismo, edonismo, vanità.
Opera delle tenebre è anche la facilità con cui spesso seguiamo qualsiasi programma televisivo o navighiamo su internet, con cui leggiamo certi giornali, o vediamo certi film, o sfoggiamo certi abbigliamenti.
Noi, al momento del battesimo, per bocca dei nostri padrini, abbiamo accettato di voler morire con Cristo al peccato quando, per tre volte, abbiamo decretato di voler rinunciare al demonio e alle sue seduzioni. Oggi non si ama parlare del demonio, si preferisce dimenticarlo e dire che non esiste, eppure c’è e continua a fomentare guerre, stragi, violenze d’ogni genere.
“Gettare via”: un’azione violenta, che costa, che richiede coerenza, decisione, coraggio, ma necessaria se vogliamo vivere nel mondo della luce. Continua, infatti, la Parola di vita:
… e indossiamo le armi della luce»
Non basta cioè rinunciare, “spogliarsi” del male, occorre “indossare le armi della luce”, ossia, come spiega Paolo più avanti, “rivestirsi del Signore Gesù Cristo”, lasciando che sia lui a vivere in noi. Anche l’apostolo Pietro invita ad “armarsi” degli stessi sentimenti di Gesù .
Immagini forti, sì, perché lasciar vivere Cristo, lo sappiamo, non è facile, vuol dire rispecchiare in noi i suoi stessi sentimenti, il suo modo di pensare, di agire; significa amare come lui ha amato e l’amore è esigente, chiede lotta continua contro l’egoismo che è dentro di noi.
Ma non c’è altra via per pervenire alla luce, come ricorda con chiarezza la prima lettera di Giovanni: “Chi ama suo fratello, dimora nella luce e non v’è in lui occasione di inciampo. Ma chi odia suo fratello è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi” (2, 10-11).
«Gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce»
Questa Parola di vita è un invito alla conversione, a passare continuamente dal mondo delle tenebre a quello della luce. Ripetiamo allora il nostro no a Satana e a tutte le sue lusinghe, e ridiciamo il nostro sì a Dio, così come l’abbiamo pronunciato il giorno del battesimo.
Non dovremo compiere grandi azioni. Basta che ognuna di quelle che già facciamo sia suggerita e animata dall’amore vero.
Concorreremo così a irradiare attorno a noi una cultura della luce, del positivo, delle beatitudini. Sarà costruire il Paradiso fin da questa terra, per possederlo eternamente in Cielo. Sì, perché il Paradiso è una realtà, ce l’ha promesso Gesù, ed è come una casa, che si costruisce di qua per poi abitarla di là. E sarà il suo dono: gioia piena, armonia, bellezza, danza, felicità senza fine, perché il Paradiso è l’amore.
Ce lo testimonia l’esperienza vissuta da Mary del Perù. Madre di tre figlie in tenera età, quando conosce la Parola di vita incontra Dio, trova la luce; viene coinvolta totalmente e la sua vita ha una svolta radicale.
Poco tempo dopo le viene diagnosticata una malattia grave. Ricoverata in ospedale scopre di avere poco più di un mese di vita. La confidenza nuova con Gesù, che ora sperimenta, le dà la forza di una preghiera, gli chiede cinque anni di tempo per consolidare la sua conversione e poter cambiare la vita anche attorno a lei.
Inspiegabilmente per i medici, la sua salute migliora e Mary viene dimessa dall’ospedale. Ritorna a casa, si prepara con il suo compagno alle nozze, che celebra in Chiesa, e chiede il battesimo per le figlie.
A distanza di cinque anni, il male si riacutizza all’improvviso, e nel breve volgere di due settimane si conclude la sua vita terrena.
Prima di morire, riesce a disporre ogni più piccola cosa nei riguardi delle figlie e a trasmettere speranza al suo sposo. “Adesso vado dal Padre che mi aspetta. Tutto è stato meraviglioso, Lui mi ha dato i cinque anni più belli della mia vita, da quando l’ho conosciuto nella Sua Parola che dà la Vita!”.
Chiara Lubich
Ott 31, 2004 | Chiesa, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Carpi, una cittadina dell’Emilia Romagna. La parrocchia del Corpus Domini si trova in una zona in pieno sviluppo, abitata da famiglie delle più varie provenienze. L’interesse è concentrato sugli affari, predomina l’indifferenza religiosa, la frequenza alla Chiesa è appena del sette per cento. Come andare incontro a questa gente? Dio ama tutti – L’azione pastorale del parroco non si limita al piccolo gruppo dei praticanti ma è rivolta a tutti. Avvicina ogni persona che incontra con un atteggiamento d’amore, sapendo che è un incontro con Gesù, e tanti ne sono conquistati e coinvolti. A loro comunica la sua scoperta: Dio è amore e vuole che anche noi ci amiamo. Basta vivere le sue Parole, che, se vissute, cambiano poco a poco la mentalità, promuovono lo spirito di comunione, suscitano il clima di famiglia. Ben presto tanti ne fanno l’esperienza. Iniziano gli incontri della Parola di Vita che poi si moltiplicano, si fanno nei caseggiati, coinvolgono sempre più persone. Si forma una vera comunità, aperta e accogliente, con uno stile di vita evangelico. Un uomo chiede al parroco un attestato d’idoneità per fare da padrino in un battesimo. Non è praticante e non è nemmeno certo di aver la fede. “Perché vuoi farlo?”, chiede il parroco. “Per far piacere a mia sorella che insistentemente me lo ha chiesto” risponde.“Un atto d’amore – rileva il parroco – è un pezzo di Vangelo vissuto!”. Lui non pensava di vivere il Vangelo, e rimane sorpreso. Nasce un colloquio su Dio che è amore e su come l’amore presente in ogni azione vissuta per gli altri è un riflesso di Lui. Rimane affascinato. Inizia un cammino di conoscenza del Vangelo. L’amore non ha frontiere – L’amore è sempre creativo e spinge a gesti di amicizia anche verso coloro che sono contrari. In parrocchia c’è un circolo di anziani ostili alla Chiesa per educazione e ragioni storiche. Stanno costruendo una nuova sede. E’ un’opera sociale, di aiuto a queste persone. Considerando l’aspetto positivo dell’iniziativa, il parroco propone al Consiglio pastorale di incoraggiarli, offrendo loro un contributo in denaro. C’è un iniziale rifiuto. Allora spiega che ai credenti tocca amare per primi. Acconsentono di dare una piccola somma. Lui l’accompagna con una calda lettera di ringraziamento per questo servizio a tutti gli anziani del quartiere. Il gesto ha parlato più di una predica: quando nel circolo si è ricevuto il dono e si è letta la lettera tutti avevano le lacrime agli occhi. Ed è incominciato un atteggiamento nuovo, di apertura, verso la Chiesa. Casa aperta anche a chi non può ricevere i sacramenti – La parrocchia è la casa di tutti: nessuno deve sentirsi escluso. Si trova il modo che tutti si sentano accolti, anche coloro che non possono ricevere i Sacramenti. Si spiega loro che possono intanto vivere la Parola di Dio, amare il prossimo, condividere gioie e dolori sapendo che Gesù ha detto: “Qualunque cosa avete fatto ad uno di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me”. T. aveva alle spalle un matrimonio fallito e viveva da alcuni anni con F. Aveva ricevuto una formazione cristiana ed ora si sentiva lontana da Dio e rifiutata dalla Chiesa. Un giorno entra in parrocchia. Il parroco le va incontro, la saluta con calore. La donna si sente accolta e gli apre il suo cuore, comunica il suo dolore. Da lui, per la prima volta, si sente dire: “Dio ti ama immensamente”. E’ la luce: prende a frequentare gli incontri della Parola di Vita, si sforza di vivere il Vangelo, comincia a farne esperienza. E, come loro, molti sono stati conquistati dall’accoglienza cordiale trovata in parrocchia e dall’atmosfera di carità che si respira in quella comunità. Una comunità che è stata invitata ad offrire la propria esperienza anche in convegni e incontri a livello nazionale ed internazionale. (altro…)
Ott 28, 2004 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Compie 40 anni la prima delle 33 cittadelle dei Focolari che sorgono nei 5 continenti.
Situata sui colli toscani nei pressi di Firenze nel comune di Incisa in Val d’Arno, con scuole, aziende, centri artistici, conta oggi circa 1000 abitanti di 70 nazioni: dalla Russia al Portogallo, dalla Giordania, Libano, Egitto al Burundi, Congo, Sud Africa, da Stati Uniti, Messico, Terra del Fuoco, Giappone, Cina, Corea, Filippine, ad Australia e Nuova Zelanda. Sono studenti e docenti, professionisti, artigiani, agricoltori, artisti, famiglie, religiosi e sacerdoti, cristiani di diverse chiese e fedeli di altre religioni: un prototipo di una nuova società fondata sulla legge evangelica dell’amore.
Una cittadella che rispecchia un ideale di unità e di pace Costruire una cittadella che rispecchi il proprio pensiero è stato spesso il sogno di chi ha dato vita a nuove correnti filosofiche, ideologiche o spirituali. È stato così anche per Chiara Lubich, fondatrice del Movimento die Focolari che, visitando nel 1962 l’abbazia benedettina di Einsiedeln, uno dei centri di irradiazione della civiltà cristiana europea, ha l’intuizione che sarebbero nate nel mondo cittadelle moderne con case, scuole, fabbriche. Più di 40.000 visitatori ogni anno passano da Loppiano. Insieme a chi vi abita, contribuiscono a comporre quel disegno di unità sul quale la cittadella si fonda. Maria Theotókos: la chiesa della cittadella In occasione di questo anniversario, giunge al traguardo anche la Chiesa della cittadella, dedicata a Maria Theotókos, la “Madre di Dio”. La solenne concelebrazione d’inaugurazione avrà luogo sabato, 30 ottobre 2004, alle ore 11.00 e sarà presieduta dal Card. Ennio Antonelli, Arcivescovo Metropolita di Firenze e da Mons. Luciano Giovannetti, Vescovo di Fiesole. Il progetto è stato realizzato con il contributo della Conferenza Episcopale Italiana. Un’opera del Centro Ave Realizzata dallo studio di progettazione Centro Ave che ha sede a Loppiano – formato da una scultrice, 3 donne architetto e 3 pittrici – la chiesa si staglia delicatamente sulle colline: un ampio piano inclinato nasce dal terreno e sale al culmine della costruzione. È coronata dalla torre campanaria, coperta da una falda triangolare dorata, la cui forma chiara lascia trasparire il riferimento trinitario. L’idea del progetto e la cappella ecumenica Nell’interno, al centro del presbiterio, una grande vetrata in una molteplicità di azzurri fa da sfondo al tabernacolo dorato. “Desideravo esprimere attraverso la forma – spiega Ave Cerquetti, scultrice e ideatrice dell’edificio – la grandezza di colei che, Madre di Dio, grande oltre ogni immaginazione, come la Chiesa l’ha confermata nei primi concili, è come un dolce piano che va dalla terra al cielo, a Dio”. Al primo piano della torre campanaria è situata la cappella ecumenica.
Ad onorare Maria in questa chiesa non sono solo i cristiani E’ arrivato dall’India un grande quadro impreziosito da lamine d’oro e tempestato da pietre semipreziose, opera di un artista indù, che la raffigura assieme al bambino. Sarà presente anche il Maestro Pra Maha Thongrattana, monaco buddista tailandese. La sua permanenza a Loppiano, nel 1992, era stata determinante per l’avvio di un fruttuoso dialogo tra i monaci buddisti tailandesi e i Focolari.
La nuova chiesa ospiterà inoltre le spoglie di Renata Borlone
Renata (1930-1990), per anni è stata costruttrice e corresponsabile di Loppiano. E’ ora in corso la causa di beatificazione.
Polo imprenditoriale “Lionello Bonfanti” Nell’anno del 40° di Loppiano sono iniziati anche i lavori di costruzione del polo imprenditoriale. 5.615 azionisti ne sostengono la costruzione, attraverso la società di gestione “E. di C. S.p.A.” costituitasi nel 2001 (www.edicspa.com). Nel mondo sono operativi o nascenti altri Poli in Brasile, Argentina, USA, Portogallo, Francia e Belgio, nati per dare visibilità al progetto dell’Economia di comunione, che ispira la gestione di 270 aziende di produzione in Italia e complessivamente di 800 nel mondo. (altro…)