Apr 8, 2003 | Focolari nel Mondo
Sono medico ginecologo, mamma di sei figli. L’altra sera, prima di partecipare a una riunione di medici, mentre accompagnavo a casa uno dei più piccoli, il bambino esclama: “Mamma, sento così nostalgia di te! Che cosa sarebbe di noi se tu ci mancassi?”. L’ho subito rassicurato. Più tardi, mentre parcheggiavo la macchina all’entrata del poliambulatorio, tre giovani armati mi hanno intimato di scendere. Lì per lì mi è sembrato uno scherzo. Ma un ragazzo, puntandomi la rivoltella al collo, faceva sul serio: “Se non scende, le faccio scoppiare tutte le vene!”. Sono scesa, e mentre uno prendeva il volante, mi sono resa conto che stavano veramente portandomi via. Le parole di mio figlio mi martellavano in cuore. Mi sono ritrovata in un faccia a faccia con Dio e con uno slancio del cuore gli ho detto: “Che importa nella vita? amarti importa”. E ho deciso di rimettermi alla sua volontà di quel momento, per quanto fosse tragica e assurda. Ho pensato che potevano essere i miei ultimi momenti e dovevo viverli bene, soltanto nell’amore. Mi è scesa una gran pace nell’anima. Mi sono interessata a loro come una madre. Volevano soldi e quando hanno saputo che avevo sei bambini ed ero medico, si sono un po’ zittiti. Poi: “Signora, non si preoccupi, non le succederà niente, ritroverà la macchina presto!”. Ad un certo punto, per una divergenza tra loro, si sono aggrediti, discutendo aspramente e minacciandosi con la pistola. Io sono rimasta a testa bassa, evitando di guardarli, pregando per loro, poco più grandi dei miei figli. Finalmente si sono fermati, per lasciarmi a piedi in mezzo alla campagna. Per venti minuti ho camminato cercando un sentiero che mi portasse alla strada asfaltata e ad un telefono: ho chiamato mio marito perché venisse a prendermi. L’avventura era finita! Il giorno dopo ho riavuto la macchina: dentro c’era la borsa coi documenti, soldi, assegni, magnetofono… e nessun graffio alla carrozzeria! T.N. – Brasile da I Fioretti di Chiara e dei Focolari – San Paolo Editrice
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Apr 2, 2003 | Focolari nel Mondo
Vent’anni e la convinzione che vivere la mia vita significasse fare tutto ciò che mi piaceva. Un giro di amicizie oltre il limite della legalità: droga, discoteca, teppismo, scontri con la polizia, sete di denaro e di potere, lotte tra bande rivali. Ero la ragazza del capo, e questo mi poneva in una posizione di privilegio e mi faceva sentire importante, capace di manovrare gli altri per raggiungere i miei scopi. Mio fratello aveva iniziato in quel periodo a frequentare dei nuovi amici che subito mi avevano colpito: avevano tra loro un rapporto molto diverso da quello che avevo io con la mia banda e vivevano prendendo sul serio le parole di Gesù. Dio per me non era nessuno e quei ragazzi mi incuriosivano, ma non riuscivo a capirli: li osservavo per poterli più tardi canzonare con i miei amici. Poi, l’incidente: una macchina mi ha travolta mentre, in motorino, andavo in discoteca. Il dramma di un attimo: se la mia vita era conclusa, cosa mi restava in mano? Mi è apparsa, in un lampo, tutta l’inutilità dei miei anni spesi rincorrendo il nulla, che il nulla mi lasciavano. E un flash improvviso: una gita in montagna di tanti anni prima, una persona che mi proponeva di affidare la mia vita a Dio. Era ormai troppo tardi per farlo, oppure Dio aveva accolto quella preghiera? In ospedale, a trovarmi, non è mai venuto nessuno dei miei amici. Invece, è subito arrivata un’amica di mio fratello e mi è rimasta accanto per tutti i giorni della degenza. Con lei, pian piano, è nato un rapporto di amicizia e di stima profonde e ho scoperto che il suo Dio Amore poteva trasformare e arricchire anche la mia vita. “Ama il tuo prossimo come te stesso” ripeteva anche a me Gesù: era una rivoluzione radicale. Nel mio cuore gli ho detto di sì. Ho deciso drasticamente di uscire dal giro in cui si erano impantanati i miei anni. Non è stato facile: minacce a me e alla mia famiglia, e una volta sono stata picchiata. Ma c’erano i miei nuovi amici a sostenermi e l’amore personale di Dio a darmi forza. Mi sentivo rinata e il vangelo mi indicava passo passo la strada da percorrere. Sono stata assunta in un laboratorio di confezioni: tenendo conto della crisi, era un bel lavoro. Ma ho saputo di una ragazza che aveva più bisogno di me di lavorare. “Ama il tuo prossimo come testesso”. Ho proposto al titolare del negozio di assumere lei al mio posto: con mia grande sorpresa, lui non solo ha accettato, ma ha tenuto anche me. Ho poi trovato un lavoro migliore come impiegata in un’azienda. Un giorno, ho saputo che la direzione stava per licenziare alcuni operai per mancanza di lavoro. Sapevo che il mio posto era sicuro, ma non così per altri. Ho iniziato a cercare nuovi appalti, nuovo lavoro, coinvolgendo nella ricerca anche il principale. Siamo riusciti, così, a garantire il lavoro a tutti gli operai. In tante occasioni ho avuto modo di sperimentare l’amore di Dio e ho compreso come lui abbia trasformato la mia vita, dandole un senso. Ho anche capito che era necessario, per non perdermi di nuovo, mantenere un legame strettissimo con chi viveva già questa esperienza del vangelo: l’unità tra noi era sempre più forte e fonte di luce per tanti. In me, questi momenti hanno ravvivato ancora di più il desiderio di spendere bene, per Dio, l’unica vita che ho. E come ho visto bruciate le vite dei miei amici di prima, finiti in prigione o morti per droga o in conflitti a fuoco, così anch’io sento di voler bruciare la mia vita, ma nell’amore. S. F. (Italia) (altro…)
Apr 2, 2003 | Non categorizzato
Particolare importanza ha assunto il momento di riflessione politica, svoltosi a Martigny (CH) sabato 22 marzo, sullo sfondo della guerra in Iraq. Lo ha rilevato il sindaco di Mollens, Stéphane Pont, moderatore del Convegno che aveva per titolo: “La sfida per una politica autentica”. Vivo interesse ha suscitato questa iniziativa, promossa da alcuni sindaci, che ha superato le aspettative: vi hanno partecipato oltre 300 politici da tutti i cantoni, impegnati a livello nazionale, cantonale e comunale, alcuni provenienti anche da Francia e Austria, oltre a una delegazione del Consiglio Ecumenico delle Chiese di Ginevra (CEC). Chiara Lubich, che era stata invitata come oratore principale, nel suo intervento ha proposto di assumere la fraternità come categoria politica, più che mai urgente proprio nell’ attuale drammatico contesto internazionale. “La politica è nella sua essenza amore” – ha detto – e rende necessario sviluppare categorie mentali che tengono conto dell’unità fondamentale tra tutti gli uomini, nel pieno rispetto delle differenze. Ed ha concluso lanciando una sfida alla Svizzera: “essendo un piccolo Paese, può diventare per l’Europa un modello di unità nella diversità delle culture e lingue”. “Oggigiorno la politica è spesso estremamente dura. Oggi ci è stata presentata una visione della politica forse un po’ idealistica – ha commentato alla Kipa Christophe Darbellay, membro della direzione dell’Ufficio federale dell’Agricoltura – ma io credo che sia importante avere anche nella vita politica mete e prospettive ideali. L’impulso migliore per un agire politico è un rapporto solido con gli altri e con Dio. Questo ci è stato mostrato oggi”. Lucia Fronza Crepaz, già deputato italiano, ha presentato gli sviluppi del Movimento politico dell’unità nato nel 1996 con lo scopo di incoraggiare l’impegno politico e il dibattito democratico inteso come servizio verso tutta la società e di valorizzare quegli aspetti che contribuiscono alla realizzazione del bene comune, alla fraternità universale”.
Numerose le testimonianze di politici che hanno mostrato con i fatti questa nuova cultura politica. Particolarmente significativa la relazione di Marco Fatuzzo, già sindaco di Siracusa (Sicilia), per l’opera costruttiva che è riuscito ad attuare in collaborazione con le forze di maggioranza ed opposizione a favore dei cittadini in una situazione difficile, complicata a volte da condizionamenti mafiosi.
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Apr 2, 2003 | Non categorizzato
A me è chiesto di descrivere sinteticamente la fisionomia del Movimento politico per l’unità oggi, a sette anni dalla sua costituzione. Gli inizi – La data di nascita è per noi il 2 maggio ’96, allorché un gruppetto di politici, di diversi livelli di responsabilità, di partiti diversi, in occasione di un viaggio a Napoli di Chiara Lubich, le chiese se fosse possibile lavorare insieme per i valori pur militando in partiti diversi; se fosse possibile agire in politica secondo la fraternità. Ero tra quei politici e per questo vorrei iniziare testimoniando prima di tutto quale significato e quale novità sia stato per noi. La proposta fu molto forte: metterci in gioco in prima persona per porre i valori eterni dell’uomo e il bene comune, fine vero della politica, prima del nostro essere politici, per attuare la fraternità prima di tutto l’uno verso l’altro, e, alla luce di questo rapporto, agire in politica. Al termine siglammo, tutti insieme, con le nostre firme quell’evento che avrebbe avuto un seguito davvero inatteso. Già in quel primo incontro venne in luce una particolarità che avrebbe caratterizzato il Movimento politico per l’unità: nella sua sfida sono coinvolti tutti i soggetti della politica. Ci sono:
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Mar 31, 2003 | Parola di Vita
Gesù è nell’orto degli ulivi, il podere chiamato Getsemani. L’ora tanto attesa è arrivata. È il momento cruciale di tutta la sua esistenza. Si prostra a terra e supplica Dio, chiamandolo “Padre” con confidente tenerezza, perché gli risparmi di “bere il calice” , un’espressione che si riferisce alla sua passione e morte. Lo prega che quell’ora passi… Ma alla fine Gesù si rimette completamente alla sua volontà:
«Non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu»
Gesù sa che la sua passione non è un evento fortuito, né semplicemente una decisione degli uomini, ma un disegno di Dio. Sarà processato e rifiutato dagli uomini, ma il “calice” viene dalle mani di Dio.
Gesù ci insegna che il Padre ha un suo disegno d’amore su ciascuno di noi, ci ama di amore personale e, se crediamo a questo amore e se corrispondiamo col nostro amore – ecco la condizione -, egli fa finalizzare ogni cosa al bene. Per Gesù nulla è successo a caso, neppure la passione e la morte.
E poi ci fu la Risurrezione, la cui solenne festa celebriamo in questo mese.
L’esempio di Gesù, Risorto, deve essere di luce per la nostra vita. Tutto quanto arriva, quanto succede, quello che ci circonda e anche tutto quanto ci fa soffrire dobbiamo saperlo leggere come volontà di Dio che ci ama o una permissione di lui che ancora ci ama. Allora tutto avrà senso nella vita, tutto sarà estremamente utile, anche quello che sul momento ci pare incomprensibile e assurdo, anche quello che, come per Gesù, può farci piombare in un’angoscia mortale. Basterà che, insieme a lui, sappiamo ripetere, con un atto di totale fiducia nell’amore del Padre:
«Non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu»
La sua volontà è vivere, ringraziarlo con gioia dei doni della vita, ma a volte non è certamente quella che si pensa: un obiettivo di fronte al quale rassegnarsi, specie quando ci si imbatte nel dolore, né un susseguirsi di atti monotoni disseminati nella nostra esistenza.
La volontà di Dio è la sua voce che continuamente ci parla e ci invita, è il modo con cui egli ci esprime il suo amore, per darci la sua pienezza di Vita.
Potremmo rappresentarcela con l’immagine del sole i cui raggi sono come la sua volontà su ciascuno di noi. Ognuno cammina su un raggio, distinto dal raggio di chi ci è accanto, ma pur sempre su un raggio di sole, cioè sulla volontà di Dio. Tutti, dunque, facciamo una sola volontà, quella di Dio, ma per ognuno essa è diversa. I raggi poi, quanto più si avvicinano al sole, tanto più si avvicinano tra di loro. Anche noi, quanto più ci avviciniamo a Dio, con l’adempimento sempre più perfetto della divina volontà, tanto più ci avviciniamo fra noi… finché tutti saremo uno.
Vivendo così, nella nostra vita ogni cosa può cambiare. Anziché andare da chi piace a noi e amare solo quelli, possiamo avvicinare tutti coloro che la volontà di Dio ci mette accanto. Anziché preferire le cose che più ci piacciono, possiamo attendere a quelle che la volontà di Dio ci suggerisce e preferirle. L’essere tutti proiettati nella divina volontà di quell’attimo (“ciò che vuoi tu”) ci porterà di conseguenza al distacco da tutte le cose e dal nostro io (“non ciò che io voglio”), distacco non tanto cercato di proposito, perché si cerca Dio solo, ma trovato di fatto. Allora la gioia sarà piena. Basta inabissarci nel momento che passa ed adempiere in quell’attimo la volontà di Dio, ripetendo:
«Non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu»
Il momento passato non è più; quello futuro non è ancora in nostro possesso. È come un viaggiatore in treno: per arrivare alla mèta non cammina avanti e indietro, ma sta seduto al suo posto. Così dobbiamo star fermi nel presente. Il treno del tempo cammina da sé. Dio lo possiamo amare soltanto nel presente che ci è dato, pronunciando il proprio “sì” fortissimo, totalitario, attivissimo alla sua volontà.
Amiamo dunque quel sorriso da donare, quel lavoro da svolgere, quella macchina da guidare, quel pasto da preparare, quell’attività da organizzare, chi soffre accanto a noi.
Neppure la prova o il dolore deve farci paura se, con Gesù, sapremo riconoscervi la volontà Dio, ossia il suo amore per ognuno di noi. Anzi, potremo pregare così:
“Signore, dammi di non temere nulla, perché tutto ciò che succederà non sarà che la tua volontà! Signore, dammi di non desiderare nulla, perché niente è più desiderabile che la tua sola volontà.
Che importa nella vita? La tua volontà importa.
Dammi di non sgomentarmi di nulla, perché in tutto è la tua volontà. Dammi di non esaltarmi di nulla, perché tutto è tua volontà”.
Chiara Lubich
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Mar 27, 2003 | Non categorizzato
Già dall’ottobre scorso, da quando il Papa aveva rilanciato il rosario per la pace e la famiglia, e aveva dato una particolare consegna al Movimento, si era riscoperta e diffusa tra le famiglie, i giovani, i ragazzi la preghiera del rosario. Da quando è scoppiata la guerra, si stanno moltiplicando le iniziative, come raccontano i fax che arrivano da tutto il mondo. Ne riportiamo alcune.
Iniziative ecumeniche e interreligiose NORVEGIA – 23 marzo – Veglia di riflessione sulla pace nella Moschea di Oslo. 600 presenti: adulti e bambini, cattolici, luterani e musulmani. Iniziativa che ha avuto risalto sui media. Vari giornali titolavano: “Nessuna religione sprona all’aggressione. Questa guerra non c’entra con la religione”. Nascerà ora un comitato cristiano-musulmano per dare seguito a questa iniziativa. Diramato via e-mail un messaggio dal titolo “Effetto palla di neve”: “Invece di fare la guerra, vogliamo costruire la pace e la riconciliazione attorno a noi nel quotidiano. Ci impegniamo con atti concreti. Ad esempio: accogliere chi è discriminato; perdonare; non coricarsi prima di essere riconciliati tra marito e moglie; chiedere scusa; evitare di parlare male del prossimo, ma mettere in luce il positivo; collaborare con i colleghi o i capi, invece di mettere i bastoni tra le ruote; sensibilizzare tutti al fatto che l’amore è più potente delle bombe. Ci stai anche tu? ”. FILIPPINE – MANILA, 26 marzo – Serata ecumenica di preghiera con pastori e laici di altre Chiese, in una chiesa metodista. 27 marzo – Serata interreligiosa per la pace con amici di altre religioni: ebrei, musulmani, buddisti. Iniziativa accolta con gratitudine specie dagli amici musulmani. STATI UNITI – CHICAGO – Cena di beneficenza presenti anche amici musulmani, conclusa con un momento di silenzio e con la lettura della preghiera di San Francesco. Scrivono: “Anche se la propaganda televisiva continua ad affermare che tanti sono per la guerra, assicuriamo che tantissimi non condividono queste decisioni politiche e militari e sono innumerevoli le dimostrazioni e le veglie di preghiera per la pace”. TEXAS – Si stanno contattando gli altri Movimenti ecclesiali a Dallas e Austin, membri di altre Chiese cristiane, amici musulmani in varie città: Houston, San Antonio, Dallas, a Denver in Colorado e in Oklahoma, per riflessioni sulla pace. Sono state lanciate catene di recita quotidiana del rosario che copre tutto l’arco della giornata. BELGIO – BRUXELLES – “Battere i tamburi per la pace” – Un’azione promossa dal Movimento da alcuni anni per sensibilizzare i bambini alla non-violenza e alla responsabilità civica, sostenuta dal Ministero dell’educazione e da vari Comuni. Coinvolge ogni anno numerose scuole. Quest’anno, per la drammatica attualità, l’azione ha radunato 60.000 bambini, con echi alla TV locale e su uno dei più importanti quotidiani nazionali. Iniziativa di riflessioni sulla pace davanti alla Basilica del Sacro Cuore, al centro di Bruxelles con rappresentanti di varie Chiese e Religioni. Molti i musulmani. Un momento profondissimo di raccoglimento ripreso da una catena televisiva nazionale. I partecipanti desiderano ripetere questa esperienza allargandola. ALBANIA – LEZHA, 22 marzo – Vari gruppi dalle diverse regioni hanno partecipato ad una marcia per la pace che è partita dalla Chiesa cattolica e si è conclusa alla Moschea. Numerosa la partecipazione di cattolici e musulmani con varie autorità religiose e civili. BULGARIA – SOFIA – In programma, insieme agli amici ortodossi, per sabato 29 marzo, un pellegrinaggio ad un monastero ortodosso dedicato a Maria nelle vicinanze di Sofia. Protagonisti: giovani, ragazzi e bambini Sin dal dicembre 2002, i Giovani per un mondo unito dei Focolari avevano lanciato il “Rosario Planetario”: 10 Ave Maria ogni giorno, o un momento di silenzio per i non credenti, in un orario prestabilito che copre tutto il pianeta con una preghiera continua. In molti Paesi è stato rilanciato il Time-out: ogni giorno 1 minuto di preghiera per la pace alle ore 12. Appuntamento iniziato col 1^ conflitto in Iraq e che coinvolge ogni giorno migliaia di persone nel mondo. AUSTRIA – VIENNA – Da mesi i giovani e i ragazzi del Movimento hanno lanciato l’Operazione “Lifestyle4peace”. Proponendo la “Regola d’oro”: “fa’ agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”, la promuovono come nuovo stile di vita per la pace. Sono stati coinvolti migliaia di giovani in decine di scuole: raccolgono firme per la pace (finora 10.000), partecipano con le loro esperienze a ’lascia la tua impronta’, (24.000 i messaggi nel nostro sito Internet), si impegnano in concorsi artistici. I premiati dei concorsi faranno da spalla al Gen Rosso che nei giorni prossimi porterà il suo spettacolo con un forte messaggio di fraternità. Questa iniziativa sta avendo ripercussione sui mass media. Prima dei concerti i presidenti delle rispettive regioni a Innsbruck, Graz, Linz e Vienna premieranno i partecipanti ai concorsi. Il patronato del progetto abbraccia politici di tutti gli schieramenti, oltre al cardinale Franz König e al presidente della comunità islamica in Austria, Anas Schakfeh. EGITTO – IL CAIRO – Veglia per la pace organizzata dai giovani dell’Azione Cattolica insieme a quelli del Movimento. Vi ha partecipato il vescovo siriano cattolico, sacerdoti, religiosi, giovani, famiglie, ragazzi. Preghiere canti, esperienze e meditazioni e uno stralcio della lettera del Papa sul Rosario e la pace. Scrivono: “Alla luce delle candele, in 150, abbiamo recitato un mistero del rosario e riproposto a tutti il time-out. In un clima di profonda e solenne preghiera, ogni pensiero, preoccupazione, giudizio cadevano ed erano offerta a Dio con una speranza nuova, credendo nella pace e con l’impegno ad essere operatori di pace”. ITALIA – MILANO – Sabato 22 marzo, insieme alla Comunità di Sant’Egidio, è stata indetta una marcia silenziosa per le vie della città, per la pace in Iraq e nei 62 Paesi dove sono in atto conflitti. Attraverso testimonianze, è stata proposta la pace come stile di vita: sono intervenuti un giovane algerino musulmano, una ragazza israeliana, un buddista dello Sri Lanka. In una chiesa del centro, è iniziata una staffetta di preghiera insieme ai giovani di vari movimenti e associazioni della diocesi. ITALIA – PALERMO – Sit-In di preghiera promosso dai ragazzi del Movimento, domenica 24 marzo in una grande piazza di Palermo. L’invito è lasciare l’impronta della mano con la firma per la pace su un grande lenzuolo bianco. Momento centrale: pregare insieme in modo nuovo il Rosario, lanciando ad ogni Ave Maria un palloncino in cielo con la scritta “Pace”. Ogni mistero è stato accompagnato da una testimonianza di Vangelo vissuto. ITALIA – CASTELNUOVO VALSUGANA (TRENTO) – Una ragazzina ha sensibilizzato, classe per classe, tutta la sua scuola, coinvolgendo anche i professori e il vicesindaco per una marcia per la pace. A chi le ha chiesto come è riuscita a fare questo, pur essendo timidissima: “Sentivo dentro che dovevo fare qualcosa”. Ed ha aggiunto: “Da due giorni la mia classe è cambiata radicalmente. Ora fra noi siamo tutti uniti”. REPUBBLICA SLOVACCA – BRATISLAVA – Un gruppo di bambine dai 4 ai 6 anni, dopo aver pregato il rosario per la pace, hanno avuto l’iniziativa di inviare al giornale cattolico nazionale una lettera per tutti i bambini. Da Julia di cinque anni, la prima idea: “Preghiamo che non ci sia più nessuna guerra mondiale”. Uscirà sul prossimo numero di Kalocke Noviny. Ecco il testo: “Carissimi amici, abbiamo saputo che il Santo Padre ha avuto un grande dolore per l’inizio della guerra in Iraq e ha subito pregato. Anche noi abbiamo iniziato a pregare ogni giorno il rosario o almeno una decina, perché non ci sia più nessuna guerra. Che nessuno provochi guerre o conflitti: né nelle scuole, ne a casa o sul campo dei giochi, nei mezzi di trasporto pubblici, sulle strade o nel parlamento, fra i politici. Venite a pregare insieme, più bambini possibili, perché con le preghiere facciamo finire al più presto la guerra. Invitate anche altri bambini e adulti. Ringraziamo! Ciao! ”. Nel cuore delle città BRASILE – , 24 marzo – Giovani e famiglie munite di striscioni al mercato all’aperto: distribuiti 8000 volantini con le parole della canzone del Gen Rosso: Speranze di Pace. Hanno allestito una bancarella per raccogliere gesti d’adesione alla pace. Circa 1000 le firme. SAN PAOLO – Si distribuiscono volantini nel centro della città invitando i passanti a fare delle camminate per le strade, un momento di pellegrinaggio per la pace, recitando qualche preghiera. ITALIA – ROMA – Istallato un “avamposto di preghiera e di testimonianza per la pace” presso la Chiesa dei Bergamaschi, nel cuore di Roma e della vita politico-sociale italiana: ogni giorno momenti di preghiera, dialogo, testimonianza. ARGENTINA – BUENOS AIRES – Iniziativa della Chiesa locale insieme ad alcune comunità evangeliche ed organizzazioni ebree e musulmane: è stata installata una Tenda d’Incontro per la pace nella famosissima Plaza de Mayo. La Tenda resterà aperta 24 ore su 24 e sarà uno spazio di preghiera per la pace. Il Movimento ha assicurato turni per assicurare una presenza costante. FRANCIA – STRASBURGO – “Festival per la Pace e la Fraternità”, dal 29-30 marzo, a Erstein, nei pressi di Strasburgo, in collaborazione con il Rettore e presidente della Moschea di Strasburgo, e col patrocinio del sindaco, di religione ebraica. (altro…)
Mar 23, 2003 | Non categorizzato
Mobilitarsi per la pace “Quello che con il Santo Padre avremmo voluto che mai succedesse è avvenuto: la guerra in Iraq”.
Così Chiara Lubich il 20 marzo inizia il suo messaggio al movimento e invita tutti a mobilitarsi per la pace: “Il Santo Padre informato dell’attacco americano all’Iraq dopo aver messo in moto la settimana scorsa, ogni possibile iniziativa per salvare la pace, sgomento, si è ritirato a pregare. La nostra coscienza e il suo esempio ci spingono ora, in tutti i Paesi dove siamo presenti a dar vita a manifestazioni in favore della pace. Chiara invita soprattutto a moltiplicare le iniziative di preghiera, “perché si invoca l’aiuto di Dio verso un fenomeno, la guerra, dove non sembra essere assente il principe del Male: quindi preghiere, pellegrinaggi, sante Messe, recita pubblica del rosario”.
Una appassionata ricerca “a tutti i costi” della fratellanza universale Nel messaggio per una scuola di formazione delle famiglie musulmane del Movimento dei Focolari, iniziata il 26 marzo in Algeria, Chiara scrive: “Stiamo vivendo momenti difficili nei rapporti internazionali, momenti che ci chiedono una misura maggiore di fede nell’amore misericordioso dell’Unico Dio, una appassionata ricerca “a tutti i costi” della fratellanza universale, una più generosa e totalitaria immersione della nostra vita nei valori del nostro Ideale: un Ideale dove l’amore reciproco, l’accoglienza e la solidarietà, preparano l’avvento del mondo unito. Lo so che tante realtà, attorno a noi, ci spingono forse in senso inverso, ma noi sappiamo e crediamo che l’unico ambiente dove può vivere la giustizia è l’amore fraterno, quell’amore che attingiamo da Dio. Vi auguro di vivere insieme una feconda esperienza spirituale, che vi faccia crescere sia nell’amore tra di voi che nella testimonianza di fede da offrire alle vostre comunità. Una famiglia che vive secondo la volontà di Dio è come una lampada che illumina le vie degli uomini e la loro convivenza. Sono insieme a voi con tutto il mio amore”.
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Mar 21, 2003 | Non categorizzato
Signore e Signori politici impegnati a livello comunale, cantonale e nazionale, Signore e Signori, Amici,
esprimo anzitutto la gioia nel trovarmi qui con tutti i presenti, dopo aver incontrato e conversato cordialmente, l’estate scorsa, con alcuni di loro partecipanti ad Innsbruck nel novembre 2001, al Congresso “Mille città per l’Europa”. E ringrazio per l’occasione che mi hanno dato di fare un intervento su un argomento che tanto appassiona me e politici in più parti del mondo. Esso recita così: “La sfida di una politica autentica”, intendendo quella arricchita dalla fraternità come nuova categoria politica. Un argomento attraente che immette fiducia e alimenta speranze. Eppure poche volte forse, come nel tempo presente, il nostro pianeta è stato ed è attraversato dalla sfiducia, dal timore, dal terrore persino; mai il nostro mondo, specie quello civile e politico, è stato così profondamente scosso. Basta accennare a due terribili avvenimenti: l’affacciarsi del terrorismo, l’11 settembre 2001 e lo scoppio d’una guerra aborrita dai più: il 20 marzo 2003. Tutto nero, dunque, senza speranza? Può sembrare, ma non è così. Infatti, contemporaneo a questi tristissimi avvenimenti, non si può negare un fatto, anche se oggi è messo senza dubbio in ombra. Un fatto reale: il mondo, il nostro mondo, in questi ultimi decenni, va verso l’unità. “Questa – è stato detto autorevolmente – sembra la prospettiva che emerge dai molteplici segni del nostro tempo: la prospettiva di un mondo unito. E’ la grande attesa degli uomini di oggi (…) e, nello stesso tempo, la grande sfida del futuro”. Molti fattori religiosi, sociali e politici lo stanno a dimostrare. Lo affermano, nel mondo cristiano, le varie Chiese e Comunità ecclesiali, spinte verso la riconciliazione e la piena comunione, dopo secoli di indifferentismo e di lotta. Lo afferma la realtà del Consiglio Ecumenico delle Chiese, che rappresenta più di 300 Chiese, come lo ha sottolineato il Concilio Vaticano II. Lo dice ancora, nel mondo religioso, ad esempio, la Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace, che unisce rappresentanti delle più varie tradizioni religiose in un comune impegno ricco di iniziative, a favore della pace. Nel mondo politico, poi, dicono che il mondo va verso l’unità gli Stati che lavorano, in modi diversi, alla loro unificazione, come quelli dell’Unione Europea. Un caso recente è anche l’Unione Africana che ha visto la luce nel luglio 2002, chiamata a modellarsi intorno al concetto africano di “cooperazione comune solidale”, così da garantire, accanto all’integrazione economica, una coesione sociale ed umana tra le diverse anime di quel continente. Un altro caso sono le Conferenze ibero-americane che periodicamente indicano obiettivi comuni all’azione dei Paesi dell’America Latina, della Spagna e del Portogallo. E ancora le riunioni tra i Paesi che sono parte dell’APEC, il sistema di cooperazione economica tra l’Asia e il Pacifico, che vede unirsi intorno ad obiettivi comuni i Paesi del continente asiatico e di quello americano. Evidenzia ancora la tendenza del nostro mondo all’unità l’affermarsi di numerosi enti e organizzazioni internazionali come l’ONU. E fanno capire questa tendenza situazioni, esigenze, aspetti importanti della realtà contemporanea. I mezzi di comunicazione rendono presenti gli uni agli altri persone e popoli materialmente lontanissimi. La globalizzazione economica e finanziaria ha intrecciato tutti i nostri interessi, per cui ciò che accade in un Paese può avere ripercussioni materiali immediate in molti altri Paesi. Esistono problemi che interessano l’umanità nel suo insieme: basta pensare alla questione ambientale e in particolare l’ecologia umana, lo sviluppo e l’alimentazione, le problematiche riguardanti il patrimonio genetico dei diversi gruppi umani. Viviamo in un mondo che davvero è diventato un villaggio. L’umanità vive oggi come fosse un piccolo gruppo che, se non è riuscito ancora a sviluppare sufficientemente un pensiero capace di rispettare le distinzioni, comprende la sua fondamentale unità. Sì, anche se oggi tutto può dire il contrario, anche se altre nere previsioni lasciano l’uomo moderno col cuore sospeso, il mondo va verso l’unità, anzi, l’unità globale. Ed è in questo quadro che va collocato anche il Movimento che indegnamente rappresento: il Movimento dei Focolari. Occorre vederlo così perché il suo obiettivo è proprio l’unità, è la fratellanza universale. Non solo, occorre vederlo così, e quindi come elemento di speranza nel mondo d’oggi, perché è una delle riprove che Dio, se lo si ama, sa sempre trarre dal male, da qualsiasi male, anche dai terribili mali moderni, un bene. Il Movimento dei Focolari è nato proprio durante una guerra, la seconda guerra mondiale, quando, di fronte ai nostri occhi ed al nostro giovane cuore, pieno di idealità, tutto crollava sotto le bombe e ogni nostro sogno si spegneva sotto le macerie. Ma ecco che la grazia d’un carisma dello Spirito Santo ci fece capire che uno solo era l’Ideale che non passa: Dio e con Lui il suo piano sull’umanità: fare di essa una famiglia, attraverso la fratellanza universale. S’è cominciato con grande slancio. Ora siamo presenti in 182 nazioni e contiamo milioni e milioni di persone, più di quelle dell’intera Confederazione svizzera. Se amiamo Dio, possiamo attenderci, dunque, anche dalle attuali circostanze, un bene. Naturalmente occorre fare la propria parte. Quale? Cooperare al disegno di Dio e cioè alla fraternità universale. E’ la sfida che dobbiamo affrontare. La fratellanza universale, anche prescindendo dal cristianesimo, non è stata assente dalla mente di qualche spirito forte. Diceva il Mahatma Gandhi: “La regola d’oro è di essere amici del mondo e considerare ’una’ tutta la famiglia umana” . Ed è presente tuttora in qualche grande personalità come il Dalai Lama che, a proposito di quanto era successo l’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, scriveva ai suoi: “Per noi le ragioni (degli eventi di questi giorni) sono chiare. (…) Non ci siamo ricordati delle verità umane più basilari. (…) Siamo tutti uno. Questo è un messaggio che la razza umana ha grandemente ignorato. Il dimenticare questa verità è l’unica causa dell’odio e della guerra (…)”. Ma anche altre voci stimolano l’umanità ad amare; così Augusto Comte propone una religione (tutta terrena) che abbia come morale l’altruismo e una regola fondamentale “vivere per l’altro” ; così Feuerbach, uno dei padri dell’ateismo moderno, afferma: “La legge prima e suprema deve essere l’amore dell’uomo per l’uomo” . Ma chi ha portato la fraternità come dono essenziale all’umanità, è stato proprio Gesù, che ha pregato così prima di morire: “Padre…, che tutti siano uno” (cf Gv 17,21). Egli, rivelando che Dio è Padre, e che gli uomini, per questo, sono tutti fratelli, abbatte le mura che separano gli “uguali” dai “diversi”; gli amici dai nemici; che isolano una città dall’altra. E scioglie ciascun uomo dai vincoli che lo imprigionano, dalle mille forme di subordinazione e di schiavitù, da ogni rapporto ingiusto, compiendo in tal modo un’autentica rivoluzione esistenziale, culturale e politica. L’idea della fraternità iniziò così a farsi strada nella storia. E tutti vi sono chiamati: anche coloro che lavorano in politica. Lo ha detto, ad esempio, la Rivoluzione francese che nel suo motto: “Libertà, uguaglianza, fraternità”, ha sintetizzato il grande progetto politico della modernità, anche se questo progetto è stato inteso da essa in modo assai riduttivo. La Rivoluzione francese, nonostante le sue contraddizioni, aveva però intuito quel che le esperienze successive hanno dimostrato: i tre principi stanno o cadono insieme; solo il fratello può riconoscere piena libertà e uguaglianza al fratello. Inoltre, se numerosi Paesi, arrivando a costruire regimi democratici, sono riusciti a dare una certa realizzazione alla libertà e all’uguaglianza, la fraternità è stata più annunciata che vissuta. La fraternità, dunque, come ideale da recuperare, come ideale di oggi. Ma come suscitare fraternità? Per dare al mondo la fraternità che generi un’unità spirituale, garanzia dell’unità politica, economica, sociale, culturale, non mancano gli strumenti. Basta saperli individuare. Uno, la cui efficacia non è ancora del tutto scoperta, è quello dell’apparire nel mondo cristiano, dopo i primi decenni del ’900, di decine e decine di Movimenti, simili al nostro già menzionato, che, come tante reti collegano i popoli, le culture e le diversità: quasi un segno che il mondo potrebbe diventare una casa delle Nazioni perché esso lo è già attraverso queste realtà , pur se ancora a livello di laboratorio. Sono Movimenti meritevoli di grande ed alta stima perché effetto non di progettualità umane, ma anch’essi di carismi dello Spirito di Dio, che conosce meglio di qualsiasi uomo e donna della terra i problemi del nostro pianeta ed è desideroso di concorrere a risolverli. Ora questi Movimenti, poiché fondati o prevalentemente composti da laici, veicolano un sentito e profondo interesse per il vivere umano con ricadute nel campo civile, cui offrono concrete realizzazioni politiche, economiche, e così via. Sono venuti in piena luce appena cinque anni fa, quando la Chiesa cattolica si è riscoperta e ripresentata al mondo costituita, oltre che dall’aspetto istituzionale, anche da quello carismatico, atto a riportare il popolo cristiano, spesso secolarizzato dal contatto col mondo, alla radicalità del Vangelo, sempre capace di dare un volto nuovo anche alla città terrena. Questi Movimenti, seguendo ciascuno il proprio carisma, concretizzano l’amore in tante forme. Qualcuno fra questi, in particolare, manifesta la forza dello Spirito nella capacità che ha d’aprire uomini e donne del nostro pianeta a un dialogo profondo e dare così origine a brani di umanità affratellata. Per quanto riguarda il Movimento dei Focolari, quattro sono i dialoghi che, da quasi mezzo secolo, esso ha messo in atto. Il dialogo all’interno della Chiesa, che l’aiuti ad essere sempre più “comunione”, quella comunione in cui la fraternità e la pace sono assicurate. Il dialogo ecumenico nella sua forma di “dialogo del popolo”, che coinvolge, vivissimo, cristiani di 350 Chiese, trasformati tutti in una sola “famiglia cristiana”, quasi un pezzo d’anima di quell’unica Chiesa di Cristo che verrà. Il dialogo con persone di altre religioni: musulmani, ebrei, buddisti, indù, sikhs, ecc., oggi presenti un po’ dovunque per le ondate migratorie. Dialogo possibile per la cosiddetta “regola d’oro”, comune a tutte le principali religioni della terra. Essa dice: “Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te” (cf Lc 6,31). Regola d’oro che in fondo domanda di amare ogni prossimo, cosicché se noi, perché cristiani, amiamo, ed essi, pure, come indù, musulmani, ebrei, amano, ecco l’amore reciproco, da cui fiorisce la fraternità. Questo dialogo ha già fruttato, per il Movimento dei Focolari, una fraternità piena e sentita con un Movimento buddista moderno di Tokio, la Rissho Kosei-kai, che conta sei milioni di membri. E con un altro Movimento musulmano afroamericano, l’Associazione di musulmani americani, di due milioni di membri, il quale, per lo scambio dei doni che si effettua nel dialogo, ha, ad esempio, aperto a noi 40 moschee negli USA, dove possiamo annunciare le nostre esperienze evangeliche, da loro tanto desiderate, e la nostra finalità: la fraternità universale. Dialogo, infine, con i nostri fratelli che non professano una fede religiosa, ma hanno iscritta pure essi, nel DNA della loro anima, la spinta ad amare. E sono, forse, i più. Ma ecco ciò che più particolarmente interessa qui. Il Movimento dei Focolari, pur essendo primariamente religioso, ha avuto, sin dal 1948, e poi durante gli anni, un’attenzione particolare per il mondo politico, sino a veder nascere dal suo seno, a Napoli nel 1996, il cosiddetto “Movimento politico per l’unità”. Movimento che ora sta diffondendosi e organizzandosi su tutto il pianeta. Vi fanno parte politici, amministratori, funzionari, studiosi e cittadini, appartenenti ai più diversi orientamenti politici. Ne parlerà oggi l’on. Lucia Fronza, deputato al Parlamento italiano per due legislature ed ora presidente del “Movimento politico per l’unità”. Della genesi e sviluppo di detto Movimento ho potuto parlare anch’io più volte come, fra il resto, ai parlamentari italiani, a Strasburgo, al Centro Europeo di Madrid e all’ONU. Non è un nuovo partito, ma il portatore di una cultura e di una prassi politiche nuove. Cambia il metodo della politica. Pur rimanendo fedele alle proprie autentiche idealità, il politico dell’unità ama non solo i politici del suo partito, ma tutti gli altri politici, cercando di vivere in comunione con ognuno. Fa questo nei consigli comunali, nei partiti, nei diversi gruppi di iniziativa civica e politica, nei parlamenti regionali o cantonali, nei parlamenti nazionali. L’unità, così vissuta, è portata come fermento anche tra i partiti stessi, nelle istituzioni, in ogni ambito della vita pubblica, nei rapporti fra gli Stati. Lo scopo specifico del “Movimento politico per l’unità” è dunque: aiutare ed aiutarsi a vivere sempre nella fraternità; con essa alla base, credere nei valori profondi, eterni dell’uomo e solo dopo, muoversi nell’azione politica. Ed ecco alcune idee-forza del “Movimento politico per l’unità”. Anzitutto, per il politico dell’unità, la scelta dell’impegno politico è un atto d’amore, con il quale egli risponde ad un’autentica vocazione, ad una chiamata personale. Egli vuol dare risposta ad un bisogno sociale, ad un problema della sua città, alle sofferenze del suo popolo, alle esigenze del suo tempo. Chi è credente, avverte che è Dio stesso a chiamarlo, attraverso le circostanze; il non credente, risponde ad una domanda umana che trova eco nella sua coscienza: ma è sempre l’amore che entrambi immettono nella loro azione. E gli uni e gli altri, questi politici, hanno la loro casa nel “Movimento politico per l’unità”. In secondo luogo, il politico dell’unità prende coscienza che la politica è, nella sua radice, amore; e ciò porta a comprendere che anche l’altro, colui che a volte è chiamato avversario politico, può avere compiuto la propria scelta per amore. E questo esige che lo si rispetti, anzi il politico dell’unità ha a cuore che anche l’altro realizzi il disegno buono di cui è portatore, che, se risponde ad una chiamata, ad un bisogno vero, è parte integrante di quel bene comune che solo insieme si può costruire. Il politico dell’unità ama, dunque, non solo coloro che gli danno il voto, ma quelli che lo danno ad altri; non solo il proprio partito, ma anche quello altrui. Un altro aspetto della fraternità in politica è la capacità di saper ascoltare tutti, anche i “diversi”. E in tal modo ci si “fa uno” con tutti, ci si apre alla loro realtà. E il farsi uno aiuta a superare i particolarismi, rivela aspetti delle persone, della vita, della realtà, che ampliano anche l’orizzonte politico: il politico che impara a farsi uno con tutti diventa più capace di capire e di proporre. Il farsi uno è il vero realismo politico. Ancora, il politico dell’unità non può rimanere passivo davanti ai conflitti, spesso aspri, che scavano abissi tra i politici e tra i cittadini. Al contrario, egli compie il primo passo per avvicinarsi all’altro e riprende la comunicazione interrotta. Creare la relazione personale dove essa non c’è, o dove ha subito una interruzione, può significare, a volte, riuscire a sbloccare lo stesso processo politico. La fraternità, ancora, trova piena espressione nell’amore reciproco, di cui la democrazia, se rettamente intesa, ha una vera necessità: amore dei politici fra loro, e fra i politici e i cittadini. Il politico dell’unità non si accontenta di amare da solo, ma cerca di portare l’altro, alleato o no, all’amore, perché la politica è relazione, è progetto comune. Un’ultima delle nostre idee-forza è che la patria altrui va amata come la propria; la più alta dignità per l’umanità sarebbe infatti quella di non sentirsi un insieme di popoli spesso in lotta fra loro, ma, per l’amore vicendevole, un solo popolo, arricchito dalla diversità di ognuno e per questo custode nell’unità delle differenti identità. E’ quanto il Movimento ha cercato di vivere in momenti anche drammatici, attraverso gesti di amicizia e di pace attuati tra i nostri dell’una e dell’altra nazione: gesti che avevano un profondo significato politico. Ma tutti questi aspetti dell’amore politico, che realizzano la fraternità, richiedono sacrificio. Quante volte l’attività politica fa conoscere la solitudine, l’incomprensione da parte, anche, dei più vicini! E a quante divisioni, spaccature, ferite della propria gente il politico deve rimediare. E’ questo il prezzo della fraternità che è a lui richiesto: prezzo altissimo, ma altissimo è anche il premio. La fedeltà alla prova farà, infatti, del politico un modello, un punto di riferimento per i suoi concittadini, orgoglio della sua gente. Questi sono i politici che il “Movimento politico per l’unità” desidera, con l’aiuto di Dio, generare, nutrire, sostenere. E non è utopia. Lo dicono alcuni dei nostri che ci hanno preceduti in Cielo: Jozef Lux, già vice-primo ministro della Repubblica Ceca, che seppe conquistare l’ammirazione dei colleghi e degli altri; o Domenico Mangano, che visse la politica nell’amministrazione comunale di Viterbo, in costante servizio ai suoi concittadini; o il deputato nazionale Igino Giordani, modello non solo di virtù religiose, ma anche di virtù civili: segno, questo, che ci si può realizzare come cristiani non “nonostante la politica”, ma “attraverso la politica”. Questi uomini hanno risposto alla loro chiamata. E la risposta alla vocazione politica è anzitutto un atto di fraternità: non si scende in campo, infatti, solo per risolvere un problema, ma si agisce per qualcosa di pubblico, che riguarda gli altri, volendo il loro bene come fosse il proprio. Il vivere così permette ai sindaci, ad esempio, di ascoltare fino in fondo i cittadini, di conoscerne i bisogni e le risorse; li aiuta a comprendere la storia della propria città, a valorizzarne il patrimonio culturale e associativo: in tal modo arrivano a cogliere, un po’ alla volta, la sua vera vocazione ed a guardare ad essa con sicurezza per tracciarne il cammino. Il compito dell’amore politico è quello di creare e custodire le condizioni che permettono a tutti gli altri amori di fiorire: l’amore dei giovani che vogliono sposarsi e hanno bisogno di una casa e di un lavoro, l’amore di chi vuole studiare e ha bisogno di scuole e di libri, l’amore di chi si dedica alla propria azienda e ha bisogno di strade e ferrovie, di regole certe… La politica è perciò l’amore degli amori, che raccoglie nell’unità di un disegno comune la ricchezza delle persone e dei gruppi, consentendo a ciascuno di realizzare liberamente la propria vocazione. Ma fa pure in modo che collaborino tra loro, facendo incontrare i bisogni con le risorse, le domande con le risposte, infondendo in tutti fiducia gli uni negli altri. La politica si può paragonare allo stelo di un fiore, che sostiene e alimenta il rinnovato sbocciare dei petali della comunità. Ma ora, parlando più in particolare ai Signori Sindaci, viene spontaneo chiedersi: che cosa significa e comporta l’ideale della fraternità per la vita della città? Esso non si aggiunge dall’esterno alla riflessione e alla pratica politica, ma si può considerare l’anima con la quale affrontare i problemi di oggi. Noi sappiamo, infatti, che anche oggi ci sono cittadini per i quali la città è come non esistesse, cittadini per i cui problemi le istituzioni cercano con difficoltà le risposte. C’è anche chi si sente escluso dal tessuto sociale e separato dal corpo politico, a causa della mancanza di lavoro, o di casa, o della possibilità di curarsi adeguatamente. Sono questi, e molti altri, i problemi che quotidianamente i cittadini pongono a chi ha il governo della città. E la risposta che ricevono è determinante perché anch’essi si sentano a pieno titolo cittadini e avvertano l’esigenza e abbiano la possibilità di partecipare alla vita sociale e politica. E perciò, da questo punto di vista il Comune è la più importante delle istituzioni, perché più vicina alle persone, di cui incontra direttamente tutti i tipi di bisogni. Ma è pure attraverso il rapporto con il Comune, nelle sue varie articolazioni, che il cittadino sviluppa la gratitudine – o il rancore – verso l’insieme delle istituzioni, anche quelle più lontane, quali lo Stato. Nel “Movimento politico per l’unità” si è sperimentato che il Comune riesce a rispondere bene alle esigenze dei cittadini se colui che governa, o che in qualche modo ha una responsabilità nell’amministrazione della città, ha, alla base del suo impegno politico, l’esigenza di vivere la fratellanza con tutti, e guarda anche al cittadino come ad un fratello. E si sa che per un fratello i problemi si risolvono più facilmente, perché si pensa e si ripensa al suo problema, si bussa a tutte le porte, si cercano tutte le opportunità, si mettono insieme tutte le risorse; e, infine, quando tutte le forze fossero state impiegate, ci si rivolge, se si ha la fede, pure a Dio perché provveda. Il “Movimento politico per l’unità” in generale vede l’umanità come un unico corpo nel quale tutti gli uomini possono essere affratellati. L’umanità è prima di tutto una cosa sola. Un’unità, sempre nella diversità, nella libertà, costruita da persone e da popoli che siano veramente se stessi, portatori di una propria identità e di una propria cultura aperte e dialoganti con le altre. E quando sarà così, si potrà conoscere finalmente la pace. Infatti, a mano a mano che a ciò ci si avvierà, vedremo realizzarsi particolari sogni di grandi della nostra storia. Come quello di Martin Luther King: “Oggi ho (…) sognato che (…) gli uomini muteranno le loro spade in aratri, (…) (e che) la guerra non sarà neppure più oggetto di studio. (…) Con questa fede noi saremo capaci di affrettare il giorno in cui vi sarà pace sulla terra e buona volontà verso tutti gli uomini. Sarà un giorno glorioso, e le stelle canteranno tutte insieme, ed i figli di Dio grideranno di gioia” . Che il Signore ed il nostro agire facciano in modo che quel giorno non sia lontano. Ringrazio tutti dell’ascolto. Chiara Lubich
Martigny, 22 marzo 2003
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Mar 11, 2003 | Focolari nel Mondo
Abito a Rio de Janeiro: una città tra le più belle del mondo. Da tempo vivo la Parola di Vita e consegno il foglietto con il commento di Chiara a varie persone. Ero uscita dal lavoro un po’ più tardi quella sera, ma non volevo tornare a casa senza aver consegnato l’ultimo foglietto a una famiglia che ogni mese visitavo. Ho telefonato quindi a mia madre, per dirle il mio programma. Per arrivare prima, ho pensato di prendere un taxi. Nel retrovisore vedo il volto del tassista che mi dice: “Sei entrata nella macchina sbagliata, questo è un taxi rubato, ora verrai con me”. Rabbrividisco: è un rapinatore, dove mi porterà? Il taxi fila fuori della città. Siamo arrivati davanti a un Motel, una casa di prostituzione, e lì mi fa scendere, spingendomi dentro una stanza. Mentre lui resta nella hall, mi siedo su un letto: cosa sarà di me? Poteva essere il mio ultimo momento di vita… Mi sono allora ricordata della Parola di Vita che portavo e ho cominciato a leggerla lentamente. Quella persona entra e chiude la porta, si siede accanto a me mettendomi un braccio sulle spalle. “Cosa stai facendo?” Gli spiego che si trattava di un commento al Vangelo, una frase di Gesù che cercavo di mettere in pratica. “Leggimela a voce alta!”, mi dice con tono aggressivo. Penso di vivere quel momento con solennità, leggendo parola per parola con amore. Non arrivo neanche alla fine della pagina che lui, strappandomi il foglio dalle mani, mi dice: “Vai via, vai pure, sei troppo buona!”. La Parola mi ha salvato. M.A.C. – Rio de Janeiro (Da “I Fioretti di Chiara e dei Focolari” – San Paolo Editrice)
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Mar 7, 2003 | Non categorizzato
da Agenzia ASCA_SOCIALE Digiuno: Camera, riflessione interreligiosa sulla pace Una riflessione interreligiosa sulla pace, con la partecipazione del Presidente della Camera Pier Ferdinando Casini e di numerosi politici dei due schieramenti, si è svolta a Montecitorio in occasione della giornata di digiuno indetta da Giovanni Paolo II. L’incontro, durato un’ora, dalle 14,00 alle 15,00, si è tenuto nella Sala della Regina e si è sviluppato sulla lettura di nove brani di altrettanti personaggi che hanno dedicato la loro vita o loro significative opere alla pace. Si è iniziato con Ignazio Silone, poi con Chiara Lubich, per passare a Gabriel Garcia Marquez, Simone Weil, Giovanni XXIII, Vaclav Havel, Gandhi, Teresa di Calcutta e Martin Luther King. Riflessioni e testimonianze sono state offerte dal cattolico mons. Rino Fisichella (cappellano della Camera dei deputati), Alberto Piperno, ebreo, (presidente del Comitato Memoria, Dialogo, Pace), da Ajahn Chandapalo, buddista, del monastero Santacittarama di Rieti, e dalla teologa musulmana iraniana Shahrzad Hushman. Tutti i partecipanti, trecento circa, hanno devoluto l’equivalente di un pranzo alla CRI. All’incontro, promosso da Lucia Fronza Crepaz, del Movimento politico per l’unità (ex parlamentare Ppi), oltre al presidente Casini, hanno preso parte numerosi politici sia di maggioranza sia di opposizione. Tra gli altri, Nicola Mancino, Pierluigi Castagnetti, Willer Bordon, Roberto Pinza, Alberto Monticone, Patrizia Toia (della Margherita), Luciano Violante, Mimmo Lucà e Livia Turco (Ds), Gabriella Pistone (Pdci), Paolo Cento (Verdi), Rocco Buttiglione e Francesco D’Onofrio (Udc), Clemente Mastella (Udeur). Alla riflessione hanno partecipato anche il presidente delle Acli, Luigi Bobba e il missionario padre Alex Zanotelli.
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Mar 7, 2003 | Non categorizzato
Diamo inizio a questo momento di riflessione sulla pace. Comincio col ringraziare tutti quanti hanno accettato questo invito e tutti quelli che ci hanno aiutato a realizzarlo: in particolare Mons. Fisichella, appena di ritorno da un lungo e – immagino – faticoso viaggio in India, che ha risposto al nostro appello; l’Ajahn Chandapalo del Monastero buddista di Santacittarama; il dott. Piperno rappresentante della comunità ebraica di Roma, la dott.ssa Shahrzad Hushman, teologa musulmana, e il Presidente della Camera che ci ha aperto con grande disponibilità le strutture di Montecitorio. L’idea di questa iniziativa è frutto di un cammino politico che si sta costruendo da alcuni anni – in più nazioni – tra politici di diversi orientamenti, assieme a cittadini, funzionari, studenti e studiosi di scienza politica, un cammino condotto alla luce del carisma dell’unità di Chiara Lubich. Lo scopo è quello di andare in profondità nel nostro impegno politico, ritrovarne le ragioni e rimettere la politica al suo posto, quello di strumento indispensabile all’unità e alla pace della famiglia umana. Questo approfondimento non ci ha portato fuori della quotidianità politica, ma ci ha richiesto lo sforzo di trovare, nell’approfondire le nostre e nel capire le ragioni dell’altro, quali sono i valori che oggi possono ridare voce e soggettività alla politica. E così, anche in questi giorni così difficili, siamo partiti dalla convinzione che era necessario fare la nostra parte per approfondire la nostra unità intorno alla pace, e trovare un momento alto di sintesi dentro quei valori che sono propri dell’uomo e che sono alla base di ogni scelta politica fatta, o che ci attende. Abbiamo pensato così di costruire, per offrirlo a tutti, un momento di tregua, in cui cercare nel rispetto delle nostre posizioni diverse, le radici profonde di un comune impegno per la pace. La decisione degli 8 parlamentari presenti quel giorno è stata quella di non prendere la parola, di fare un gesto che hanno chiamato di umiltà e di ascolto. E’ nato così questo momento di meditazione in cui abbiamo chiesto ispirazione a grandi testimoni, religiosi e laici, e ai rappresentanti delle grandi religioni di accompagnarci in questa ricerca, religioni che sono presenti nei teatri di guerra o nei punti nei quali la pace è più minacciata e che hanno certamente una parola di dire alle coscienze degli uomini. Del resto, dall’indomani dell’11 settembre, si sono moltiplicati gli incontri tra i responsabili delle religioni consapevoli del contributo che esse possono dare al dialogo tra i popoli e alla costruzione delle condizioni della pace, proseguendo nel dialogo che lo stesso Giovanni Paolo II ha cominciato ad Assisi. Penso di esprimere un sentimento che avvertiamo tutti dicendo che, in questo momento storico, ci stiamo accorgendo che la pace non è conseguenza scontata, come tanti di noi avevano immaginato nell’89, non è un dono gratuito legato alla caduta di un regime, ma può essere solo frutto di fatica, un lungo cammino che ha bisogno del contributo di tutti. Per questo, a nostro parere due premesse sono indispensabili: una negativa ed una positiva. La negativa: abbandonare da una parte e dall’altra eventuali atteggiamenti di chiusura, di giudizio precostituito; quella positiva: fondare il nostro pensare ed il nostro operare politico su categorie nuove e universali che reggano all’impatto della domanda oggi rivolta alla politica. Oggi la capacità di parola della politica rispetto alla pace può essere salvaguardata solo con sforzi creativi proporzionati ai pericoli che la minacciano. Ci vuole il coraggio di uscire dalle strade che fino ad oggi abbiamo percorso, il coraggio di uscire da una politica parziale e dall’orizzonte stretto. Un esempio? Oggi è chiaro che l’indipendenza di un popolo deve sempre più essere coniugata assieme all’interdipendenza, direi di più: all’intercomunione. Già lo diceva la Pacem in terris, 40 anni fa. La fraternità è la categoria che oggi, vicino alla libertà e alla uguaglianza può reggere questo impatto. Non è, forse, proprio la fraternità che può ridare alla libertà la sua vera interpretazione, come espressione completa di ciascuno, e non come spazio senza regole in cui prevale il più forte? Non è, forse, proprio la fraternità che può dare all’uguaglianza il suo vero significato come principio di giustizia sociale, e non come ideologia collettiva e impersonale? Perché la fraternità è il legame universale tra gli uomini. Chi, fra noi, attinge al messaggio di Cristo, la scopre come conseguenza dell’esser figli dell’unico Padre, Dio Amore, e quindi fratelli fra di noi; ma anche chi ha dato altri riferimenti culturali alla propria vita la riscopre, al centro della propria coscienza, come patrimonio di ogni persona e di tutte le persone. Da qui, l’esigenza di approfondire la fraternità e il contributo che essa può dare alla politica e alla costruzione della pace. La scoperta che abbiamo fatto noi, anche alla luce del cammino storico e filosofico che l’umanità ha compiuto finora – basti ricordare la Rivoluzione Francese, crocevia della modernità, con le sue ombre e le sue luci – è che la fraternità è una categoria politica che getta luce su metodo, contenuto e fine della politica. Sceglierla come orizzonte cambia i nostri atti politici, richiedendo concretezza verso l’uomo, chiunque esso sia, e universalità, una qualità così consona alla stato attuale della politica. C’è ancora una caratteristica da sottolineare. La fraternità, proprio perché nasce dal più profondo di ogni uomo e chiama ognuno alla sua personale partecipazione, non frutta una omogeneità di pensiero mortificante; chiede, anzi, la ricerca appassionata del proprio contributo personale e di gruppo, insieme ad una grande capacità di ascolto della posizione dell’altro. Non è forse questa la domanda che ci viene posta con insistenza oggi? Capacità di comprendere a fondo le domande, al tempo stesso globali e locali, e capacità di costruire risposte, al tempo stesso realistiche e aperte al progetto? Se la pace è un lento e faticoso cammino, la fraternità può esserne la radice e il motore. Presentazione del programma A questo punto, qualche parola sul programma di quest’ora. Cominceremo dalla lettura di alcuni pensieri di testimoni che hanno coerentemente speso la vita per la pace. Ci aiuteranno in questo primo momento Saverio D’Ercole e Sabrina Duranti, attori. Si tratta di 9 brevi brani, scelti – tra i mille possibili – con l’unico criterio di portarci alle radici delle ragioni della pace e del nostro impegno personale e collettivo per essa. Subito dopo, diamo spazio alla riflessione che ci viene offerta, in quest’ordine, dagli interventi del dott. Piperno, di Ahajn Chadapalo, della dott.ssa Hushman; chiuderà Mons. Fisichella. Il ricavato di quanto verrà raccolto come corrispettivo del pranzo – come avrete letto nella lettera di invito – sarà devoluto, attraverso il Comitato Internazionale della Croce Rossa/Mezzaluna Rossa, ad un progetto di solidarietà in Iraq.
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Mar 7, 2003 | Non categorizzato
Ignazio Silone “L’uomo mutilato della fraternità è un albero senza radici e senza rami, una pianta sterile… “
Chiara Lubich “E’ in gestazione un mondo nuovo. Ma c’è bisogno di un’anima: l’amore”. Gabriel Garcia Marquez “All’oppressione, allo sfruttamento e all’abbandono, noi rispondiamo con la vita”. Simone Weil “E’ eterno solo il dovere verso l’essere umano come tale”. Giovanni XXIII “Un compito immenso: ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà”. Vaclav Havel Esiste qualcosa di più alto valore dello stato. Questo valore è l’umanità. Mohandas Gandhi Attraverso la libertà dell’India spero di attuare e sviluppare la fratellanza degli uomini. Teresa di Calcutta Se fai il bene, ti attribuiranno fini egoistici: non importa, fa’ il bene! Martin Luther King Ho il sogno che la fraternità diventerà l’ordine del giorno di un uomo di affari e la parola d’ordine dell’uomo di governo. (altro…)
Mar 7, 2003 | Non categorizzato
“L’uomo mutilato della fraternità è un albero senza radici e senza rami, una pianta sterile…” Ignazio Silone Ed Egli si nascose (1943), Città Nuova Ed., Roma, 2000 Posso dirvi questo: il poco che io so non l’ho imparato all’università, ma in compagnia di uomini come voi. La fraternità è la verità sacra dell’uomo. L’uomo mutilato della sua fraternità è un albero senza radici e senza rami, una pianta sterile… Per non morire bisogna ricominciare col riscoprire la fraternità. Amici, io sono venuto per dirvi questo: è necessario, è urgente stare assieme, metterci insieme, creare in questo paese cellule viventi di uomini interi cioè fraterni, difenderci dal contagio della morte. Vi ripeto che è urgente. Fra pochi giorni, forse anche voi lo sapete, scoppierà la nuova guerra d’Africa, e sarà una guerra fredda, cinica, infame. Il disprezzo dell’uomo vi celebrerà il suo trionfo. La protesta più efficace da parte nostra non sarebbe qualche rumoroso attentato individuale, ma un atto di amicizia e di fraternità. Io sono tornato solo per questo. *** “E’ in gestazione un mondo nuovo. Ma c’è bisogno di un’anima: l’amore” Chiara Lubich “Il pianeta al bivio”, in Città Nuova, 13 luglio 2001, 14/2001, Roma Viviamo in un tempo di “svolta epocale”, di gestazione sofferta di un mondo nuovo. Ma c’è bisogno di un’anima: l’amore. (…) L’amore – lo constato sempre più a contatto di singoli e gruppi di religioni, razze e culture diverse – è iscritto nel DNA di ogni uomo. E’ la forza più potente, feconda e sicura che può legare l’intera umanità. Ma esige un capovolgimento totale di cuori, di mentalità, di scelte. Del resto è ormai parte del sentire comune della vita internazionale la necessità di rileggere il senso della reciprocità, uno dei cardini dei rapporti internazionali. Sono questi i tempi in cui ogni popolo deve oltrepassare il proprio confine e guardare al di là, fino ad amare la patria altrui come la propria. Reciprocità tra i popoli significherà allora superamento di antiche e nuove logiche di schieramento e di profitto, stabilendo invece relazioni con tutti ispirate all’iniziativa senza condizioni e interessi, perché si guarda all’ “altro” come ad un altro se stesso, parte della stessa umanità, e in questa linea si progetta: disarmo, sviluppo, cooperazione. Nascerà una reciprocità in grado di rendere ogni popolo, anche il più povero, protagonista della vita internazionale, nella condivisione di povertà e ricchezze. Non soltanto nelle emergenze, ma nella quotidianità. Identità e potenzialità saranno sviluppate proprio col metterle a disposizione degli altri popoli, nel rispetto e nello scambio reciproco. Allora sì, se singoli e governanti faremo la nostra parte, potremo sognare di comporre un’unica comunità planetaria. Utopia? Il primo a lanciare la globalizzazione è stato Gesù quando ha detto: “Che tutti siano uno”. Non solo: ci ha fatto capaci di quell’amore che ha la forza di ricomporre la famiglia umana nell’unità e nella diversità. Basta poi aprire gli occhi: sono disseminati nel mondo molti “laboratori” di questa “umanità nuova”. Che sia giunta l’ora di proiettarli su scala mondiale? *** “All’oppressione, allo sfruttamento e all’abbandono, noi rispondiamo con la vita” Gabriel Garcia Marquez Nobel Lecture, 8 December, 1982: “The Solitude of Latin America”, in Nobel Lectures in Literature 1981-1990, World Scientific Publishing Co., Singapore, 1994 (nostra traduzione) All’oppressione, allo sfruttamento e all’abbandono, noi rispondiamo con la vita. Né le inondazioni e le epidemie, la fame e le catastrofi, nemmeno le interminabili guerre durate per secoli, hanno potuto sconfiggere la forza incessante della vita sulla morte. E’ un vantaggio che cresce e accelera sempre più: ogni anno, le vite che si accendono superano di settantaquattro milioni quelle che si spengono, un numero di nascite sufficiente a moltiplicare per sette, ogni anno, la popolazione di New York. La maggior parte di esse avviene in America Latina. Allo stesso tempo, i paesi più ricchi continuano ad accumulare armi di distruzione capaci di annichilire, più di cento volte, non solo gli esseri umani che sono esistiti fino ad oggi, ma anche la totalità delle creature che abbiano mai respirato su questo pianeta sventurato. In un giorno come questo, il mio maestro William Faulkner disse: “Mi rifiuto di accettare la fine dell’uomo”. Non sarei degno di stare in questo luogo che è stato suo, se non fossi pienamente consapevole che la colossale tragedia che egli rifiutò di riconoscere trentadue anni fa, è ora, per la prima volta dall’inizio dell’umanità, nient’altro che una semplice eventualità scientifica. Di fronte a questa spaventosa realtà che era sembrata una mera utopia durante tutta la storia dell’umanità, noi, gli inventori delle favole, che presteremmo fede a qualsiasi cosa, abbiamo il diritto di credere che non è troppo tardi per impegnarci a costruire l’utopia opposta. Una nuova e travolgente utopia della vita, dove nessuno potrà decidere per gli altri come dovranno morire. Dove l’amore proverà che la verità e la felicità sono possibili, dove gli uomini condannati a cent’anni di solitudine avranno ancora, finalmente e per sempre, una seconda opportunità sulla terra. *** “E’ eterno solo il dovere verso l’essere umano come tale” Simone Weil Obbedire all’amore nella giustizia, trad.it., P.Elia (a cura di), Gribaudi, Torino, 1975 L’oggetto dell’obbligo, nel campo delle cose umane, è sempre l’essere umano in quanto tale. C’è obbligo verso ogni essere umano, per il solo fatto che è un essere umano, senza che alcun’altra condizione abbia ad intervenire; e persino quando egli stesso non ne riconosce alcuno. Quest’obbligo non si fonda su nessuna situazione di struttura sociale, né sui rapporti di forza, né sull’eredità del passato, né sul supposto orientamento della storia. Perché nessuna situazione di fatto può suscitare un obbligo. Quest’obbligo non si fonda su nessuna convenzione. Perché tutte le convenzioni sono modificabili secondo la volontà dei contraenti, mentre in esso nessun cambiamento nella volontà degli uomini può nulla modificare. Quest’obbligo è eterno. Esso risponde al destino eterno dell’essere umano. Soltanto l’essere umano ha un destino eterno. Le collettività umane non ne hanno. Quindi, rispetto a loro, non esistono obblighi diretti che siano eterni. E’ eterno solo il dovere verso l’essere umano come tale. *** “Un compito immenso: ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà” Giovanni XXIII “Pacem in terris”, in Le encicliche sociali, Ed. Paoline, Milano, 1984 47. Riaffermiamo noi pure quello che costantemente hanno insegnato i nostri predecessori: le comunità politiche, le une rispetto alle altre, sono soggetti di diritti e di doveri; per cui anche i loro rapporti vanno regolati nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante, nella libertà. La stessa legge morale, che regola i rapporti fra i singoli esseri umani, regola pure i rapporti tra le rispettive comunità politiche. Ciò non è difficile a capirsi quando si pensi che le persone che rappresentano le comunità politiche, mentre operano in nome e per l’interesse delle medesime, non possono venire meno alla propria dignità; e quindi non possono violare la legge della propria natura, che è la legge morale. Sarebbe del resto assurdo anche solo il pensare che gli uomini, per il fatto che vengono preposti al governo della cosa pubblica, possano essere costretti a rinunciare alla propria umanità; quando invece sono scelti a quell’alto compito perché considerati membra più ricche di qualità umane e fra le migliori del corpo sociale. Inoltre, l’autorità è un’esigenza dell’ordine morale nella società umana; non può quindi essere usata contro di esso, e se lo fosse, nello stesso istante cesserebbe di essere tale; perciò ammonisce il Signore: “Udite pertanto voi, o re, e ponete mente, imparate voi che giudicate tutta la terra. Porgete le orecchie voi che avete il governo dei popoli, e vi gloriate di aver soggette molte nazioni: la potestà è stata data a voi dal Signore e la dominazione dall’Altissimo, il quale esaminerà le opere vostre, e sarà scrutatore dei pensieri” (Sap 6,2-4). 87. A tutti gli uomini di buona volontà spetta un compito immenso: il compito di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà: i rapporti della convivenza tra i singoli esseri umani; fra i cittadini e le rispettive comunità politiche; fra le stesse comunità politiche; fra individui, famiglie, corpi intermedi e comunità politiche da una parte e dall’altra la comunità mondiale. *** “Esiste qualcosa di più alto valore dello stato. Questo valore è l’umanità” Vaclav Havel “L’idolo infranto dello Stato sovrano”, in La Repubblica/Dossier, 1 giugno 1999, Roma “Tutto sta a indicare che la gloria della nazione-stato, intesa come culmine della storia di ogni comunità nazionale e come suo più alto valore terreno – l’unico, anzi, in nome del quale è consentito uccidere, o per il quale era considerato dulce et decorum sacrificare la vita – ha già superato il suo zenit. Sembrerebbe che gli illuminati sforzi di generazioni di democratici, la terribile esperienza di due guerre mondiali – che tanto hanno contribuito all’ adozione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani – nonché l’evolversi della civiltà abbiano, finalmente, indotto l’umanità a persuadersi che gli esseri umani sono più importanti dello Stato. (…) Spero sia chiaro che io non sono contro l’istituto dello stato sovrano come tale. Sarebbe oltre tutto assurdo che un capo di stato auspicasse l’abolizione dello stato di fronte agli organi rappresentativi di altri stati. Parlo di qualcosa di ben diverso: dico cioè che esiste, di fatto, qualcosa di più alto valore dello stato. Questo valore è l’umanità. Come sappiamo, lo stato esiste per servire la gente, il popolo, non viceversa. Se un individuo serve il proprio paese, ebbene, si dovrebbe pretendere che questi lo serva solo nella misura necessaria a far sì che lo stato possa servire bene tutti i propri cittadini. I diritti umani sono superiori ai diritti degli stati. Le libertà umane rappresentano un valore più alto della sovranità statale. (…) Mi sono spesso domandato perché mai gli esseri umani abbiano dei diritti. E sono sempre giunto alla conclusione che i diritti umani, le libertà umane e l’ umana dignità hanno le loro radici profonde da qualche parte al di fuori del mondo percettibile. Questi valori sono tanto potenti perché in determinate circostanze, la gente li accetta senza esservi costretta ed è pronta a morire per essi. Questi valori hanno un senso solo nella prospettiva dell’infinito e dell’eterno.” *** “Attraverso la libertà dell’India spero di attuare e sviluppare la fratellanza degli uomini” Mohandas Gandhi Antiche come le montagne, trad.it., S.Radhakrishnan (a cura di), Edizioni di Comunità, Milano, 1963 “Per vedere faccia a faccia l’universale spirito di Verità che tutto pervade, bisogna essere capaci di amare l’essere più modesto della creazione come noi stessi. E colui che aspira a questo, non può permettersi di tenersi lontano da alcun campo della vita. Perciò la mia devozione alla verità mi ha spinto nella politica; e posso dire senza la minima esitazione, e pure in tutta umiltà, che chi dice che la religione non ha nulla a che vedere con la politica, non sa che cosa significhi religione. (p.86) La mia missione non è semplicemente la fratellanza dell’umanità indiana. La mia missione non è semplicemente la libertà dell’India, benché oggi essa assorba, in pratica, tutta la mia vita e tutto il mio tempo. Ma attraverso l’attuazione della libertà dell’India spero di attuare e sviluppare la missione della fratellanza degli uomini. Il mio patriottismo non è esclusivo. Comprende tutto, e io ripudierei quel patriottismo che cercasse di affermarsi sulla miseria e lo sfruttamento di altre nazioni. Il patriottismo che io concepisco non vale nulla, se non si concilia sempre, in ogni caso senza eccezioni, con il maggior bene dell’umanità tutta. (p.162) Vogliamo la libertà del nostro Paese, ma non a costo di sacrificare o sfruttare gli altri, né in modo da degradare altri paesi. Non voglio la libertà dell’India, se essa deve significare l’estinzione dell’Inghilterra o la scomparsa degli inglesi. Voglio la libertà del mio paese affinché altri paesi possano imparare qualcosa dal mio libero paese, affinché le risorse del mio paese possano essere utilizzate a vantaggio dell’umanità.” (p.164) *** “Se fai il bene, ti attribuiranno fini egoistici: non importa, fa’ il bene!” Madre Teresa Da un foglietto sul muro della ’Casa dei bambini’ di Calcutta “L’uomo è irragionevole, illogico, egocentrico: non importa, amalo! Se fai il bene, ti attribuiranno fini egoistici: non importa, fa’ il bene! Se realizzi i tuoi obiettivi, troverai falsi amici e veri nemici: non importa, realizzali! Il bene che fai verrà domani dimenticato: non importa, fa’ il bene! L’onestà e la sincerità ti rendono vulnerabile: non importa, sii franco ed onesto! Dai al mondo il meglio di te e ti prenderanno a calci: non importa, continua! Se aiuti, la gente se ne risentirà: non importa, aiutala! Quello che per anni hai costruito può essere distrutto in un attimo: non importa, costruisci!” *** “Ho il sogno che la fraternità diventerà l’ordine del giorno di un uomo d’affari e la parola d’ordine dell’uomo di governo” Martin Luther King “Discorso della Vigilia di Natale 1967 – Atlanta”, trad.it., in Il fronte della coscienza, SEI, Torino, 1968 “Per prima cosa lasciate che vi suggerisca che se vogliamo avere pace sulla terra, il termine fedeltà per noi deve avere un significato ecumenico, non parrocchiale. La nostra fedeltà deve trascendere la razza, la tribù, la classe sociale, la nostra patria stessa: e questo significa che dobbiamo sviluppare una prospettiva mondiale. Nessun individuo può vivere solo; nessuna nazione può vivere sola; è provato che se qualcuno tenta l’isolamento, questo qualcuno perpetua la guerra. In fin dei conti si tratta di questo: la vita è un insieme di interrelazioni. Siamo legati da una rete di comunità, vestiti dello stesso abito del nostro destino. Tutto ciò che colpisce uno direttamente, colpisce tutti indirettamente. Siamo fatti per vivere insieme: la nostra realtà è intercomunicante. Non vi siete mai fermati a pensare che non potete neppure andare al lavoro al mattino senza dichiarare la vostra dipendenza da tutto il mondo? Dove sta il problema? Tutti parlano della pace come di una meta lontana, come di un fine a cui un giorno o l’altro si arriverà, ma noi sappiamo che si dovrà presto arrivare a considerare la pace non soltanto come una meta, ma anche come il mezzo con cui si può arrivare alla meta stessa. Dobbiamo raggiungere fini pacifici con mezzi pacifici. E questo equivale a dire che il fine e i mezzi devono essere coerenti, perché il fine preesiste nei mezzi, e mezzi distruttivi non potranno mai raggiungere un fine costruttivo. Ecco perché io ho ancora un sogno. Ho il sogno che un giorno gli uomini si rizzeranno in piedi e si renderanno conto che sono stati creati per vivere insieme come fratelli. Oggi ho ancora il sogno (…) che la fraternità diventerà qualcosa di più che le poche parole alla fine di una preghiera, diventerà l’ordine del giorno di un uomo di affari e la parola d’ordine dell’uomo di governo.
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Mar 3, 2003 | Centro internazionale
Ristampato, a cinquant’anni dalla prima edizione, il volume “L’inutilità della guerra” di Igino Giordani
GIAMPAOLO MATTEI
Un pugno allo stomaco. Ecco che cosa ti assesta la lettura di un libro il cui titolo – “L’inutilità della guerra” – ha una eloquenza così forte da costringerti con le spalle al muro. A rendere ancora più significativa l’esperienza di avere a che fare con queste pagine è la constatazione che sono state scritte esattamente cinquant’anni fa. Portano la firma di Igino Giordani (1894-1980), uomo politico, giornalista, scrittore, grande protagonista della vita ecclesiale e della vita italiana. L’editrice Città Nuova ha deciso di riproporre il libro di Giordani (Roma 2003, pagine 116 – euro 6,50) in un tempo storico che dimostra di avere più che mai bisogno di parole vere, chiare, essenziali. Ci sono opere – si legge nella prefazione – che hanno il sapore di una perenne attualità. Nascono di sicuro sotto la spinta di problemi contingenti, ma producono un insegnamento che travalica la condizione storica e si mette al servizio di ogni uomo, in ogni epoca, di qualsiasi luogo. È proprio da questa constatazione che è scaturita l’idea di ripubblicare il libro scritto da Igino Giordani nel 1953 quando la “guerra fredda” stava congelando le posizioni geopolitiche e cristallizzando la spartizione delle coscienze.
Oggi il testo non soltanto consente di respirare quel clima con il senno di poi, tenendo tra le mani, si potrebbe dire, i pezzi del Muro di Berlino: è davvero un’esperienza di enorme portata storica e politica. Ma in queste ore così difficili ci pianta nello stomaco un gran bel pugno perché dimostra, dati alla mano, l’inutilità della guerra, la sua intrinseca ed evidente stupidità. E – attenzione – Giordani sa esattamente di che cosa sta parlando perché lui al fronte c’è stato meritando anche, nella catastrofe della Prima Guerra Mondiale, un’alta onorificenza. Non è uno sprovveduto, non parla per “vigliaccheria” secondo la consueta, ridicola, accusa che viene mossa a quanti si schierano dalla parte della pace: oltretutto i veri coraggiosi sono i costruttori di pace e non quanti si riparano dietro missili, cannoni, fucili o quant’altro. Giordani afferma con chiarezza, scandendo i suoi ragionamenti, che la pace è il risultato di un progetto che va realizzato con pazienza e con serietà e non è una parola buona solo per riempirsi la bocca, non è un paravento per celare chissà quali interessi. Leggere le cento pagine del libro è sconvolgente proprio perché sembra scritto stamani e non cinquant’anni fa. Davvero la storia è “maestra di vita” secondo l’antico detto. Peccato che gli uomini siano troppo spesso pessimi scolari. Già la prima frase del libro di Giordani ti inchioda e ti costringe subito a sottolinearla con la matita: “La guerra è un omicidio in grande”. Ed ecco che punta il dito sulla retorica, sulla menzogna, sugli interessi che accompagnano ogni conflitto ovunque si combatta: “Come la peste serve ad appestare, la fame ad affamare, così la guerra serve ad ammazzare”. Punto e basta. Alzi gli occhi e avverti una sensazione di fierezza. Sì, giovane cattolico, ti senti fiero di appartenere ad una cultura che è stata tessuta da persone di questo spessore. Giordani non era un isolato, farneticante e controcorrente. Giordani è uno dei tanti protagonisti del mondo cattolico che hanno contribuito in maniera decisa, e oggi forse dimenticata, allo sviluppo del popolo italiano con progetti di vita e di speranza. È un fatto che entusiasma, prima ancora che un dovere, conoscere i pensieri di questi uomini così vicini a noi e così spiritualmente ricchi da non passare mai di moda. Da ex combattente di trincea dimostra che la guerra è inutile La lettura del libro di Giordani appassiona ed è difficile persino interromperla. Dopo una manciata di pagine devi già rifare la punta alla matita perché l’hai consumata nel far segni quasi ad ogni riga. L’autore è polemico e polemista di razza senza però smettere di essere fratello di ogni persona, anche quella che la pensa in modo diametralmente opposto. Non offende gli uomini, ma da strenuo lottatore, da ex combattente di trincea, si avventa contro la guerra e dimostra, appunto, che è inutile. Non molla la presa. Giordani ha un modo personalissimo di esprimersi, trascinante, appassionato, evidentemente scaturito dalla voglia di comunicare idee. È in stato di missione permanente. È nel cuore della Chiesa. Lui non è uno scrittore puro, è “oltre”, è “di più”. Sa scegliere le parole giuste e, se serve, inventa espressioni affascinanti. Ha il linguaggio tipico dei mistici e si riconoscono nelle sue parole gli echi dei Padri della Chiesa. È un libro di storia, è un libro di vita, è un libro di preghiera. È un libro che si schiera contro la tentazione della rassegnazione davanti alle decisioni dei potenti di turno. Giordani sostiene che ogni persona è protagonista della pace. “Se vuoi la pace, prepara la pace” è il suo grande messaggio che coinvolge tutte le categorie umane. “Solo i matti e gl’incurabili possono desiderar la morte – scrive -. E morte è la guerra. Essa non è voluta dal popolo; è voluta da minoranze alle quali la violenza fisica serve per assicurarsi vantaggi economici o, anche, per soddisfare passioni deteriori. Soprattutto oggi, con il costo, i morti e le rovine, la guerra si manifesta una “inutile strage”. Strage, e per di più inutile”. Queste ultime parole appartengono a Benedetto XV. Giordani respira a pieni polmoni il Magistero dei Papi e nel percorso del libro non perde mai di vista i passi dei Successori di Pietro. La guerra – afferma – è sempre una sconfitta anche per chi vince sul campo. Con i soldi investiti in questa “inutile strage” si potrebbero finalmente affrontare con decisione problemi drammatici come la fame e la povertà, tante malattie potrebbero essere definitivamente debellate. È un fatto di giustizia. Così non valgono a nulla i mille pretesti, sempre gli stessi, adoperati per giustificare la guerra. E non è una buona “scusa” la “rapidità” delle operazioni militari: qui Giordani è sprezzante e ricorda che, nel giudizio di Hitler, la Seconda Guerra Mondiale avrebbe dovuto essere “la guerra lampo” e che, secondo Salandra, la prima doveva essere “la passeggiata”. Aggiunge con impeto: “Non credo che ci sia mai capo di Stato, il quale abbia ammesso di far la guerra a scopo di rapina; ha sempre dichiarato di farla per fini uno più nobile, uno più altruista, più ideale dell’altro. E – puerilità dell’odio – sempre la rapacità è assegnata al nemico e l’idealità all’amico”. Rovesciare una macabra prospettiva della storiografia La logica dice che chi fa la guerra ha torto, non risolve nulla e comunque ci rimette. Il popolo non la vuole. E si commette un grave errore rigirandosi nelle biografie di personaggi che hanno scatenato stragi indicibili – da Hitler a Stalin – ignorando i veri condottieri dell’umanità come, scrive Giordani, ad esempio un Cottolengo o un don Orione. È un fatto culturale riuscire a rovesciare questa macabra prospettiva della storiografia. Giordani indica la strada del dialogo alla ricerca di una soluzione sempre e comunque, senza cedere alla stanchezza. Afferma che miseria e cupidigia sono le prime cause delle guerre la cui radice è la paura. Ma c’è una speranza, un’alternativa: si chiama carità e l’ha incarnata Cristo che ha voluto redimere anche la politica per portarla ad una funzione di pace, di vita. “I nemici si amano: questa è la posizione del cristianesimo – scrive Giordani -. Se si iniziasse una politica della carità, si scoprirebbe che questa coincide con la più illuminata razionalità, e si palesa, anche economicamente e socialmente, un affare”. Definisce un crimine ogni guerra, aggressiva e preventiva che sia. È infatti un’azione contro la giustizia perché la giustizia vera fa scaturire la pace vera. I riferimenti che Giordani dedica a san Francesco e a Dante sono una sollecitazione spirituale elevatissima. Afferma: “Per meritarsi il nome di figli di Dio i cristiani devono lavorare per la pace”. Senza timidezze e con coraggio, vivendo il ministero della riconciliazione, abbattendo ogni muro di separazione, perdonando quanti ci fanno del male, riconducendo ad unità chi è lontano. Cita il tedesco Max Josef Metzger, ucciso dai nazisti nel 1944: “Noi dobbiamo organizzare la pace così come altri hanno organizzato la guerra”. Non è serio, non è credibile parlare di pace e intanto preparare la guerra. “L’opera pacificatrice comincia da me e da te…” conclude Giordani. Per rimuovere la guerra non basta eliminare le armi, ma occorre innanzitutto ricostruire una coscienza, una cultura di pace. È un’opera urgentissima che gli uomini di fede accompagnano con la strategia della preghiera. Ecco la missione dei cristiani oggi nella storia: realizzare il Vangelo della Pace. (altro…)
Mar 3, 2003 | Centro internazionale, Cultura, Spiritualità
“La guerra è un omicidio in grande, rivestito di una specie di culto sacro”, p. 9
“Quando l’umanità sarà progredita spiritualmente, la guerra verrà catalogata accanto ai riti cruenti, alle superstizioni della stregoneria e ai fenomeni di barbari”, p. 9 “Solo i matti e gl’incurabili possono desiderar la morte. E morte è la guerra. Essa non è voluta dal popolo; è voluta da minoranze alle quali la violenza fisica serve per assicurarsi vantaggi economici o, anche, per soddisfare passioni deteriori. Soprattutto oggi, con il costo, i morti e le rovine, la guerra si manifesta una ‘inutile strage’. Strage, e per di più inutile” , p. 9 “Come la peste serve ad appestare, la fame ad affamare, così la guerra serve ad ammazzare: per giunta, distrugge i mezzi della vita. E’ una industria funeraria: una fabbrica di rovine”, p.12 “La guerra non serve a niente, all’infuori di distruggere vite e ricchezze”, p.13 “La guerra moderna – inutile, maledetta – non conta più né vittorie né sconfitte. E’ tutta una sconfitta”, p.15 “Con le somme spese si sarebbe potuto provvedere d’un alloggio comodo e mobiliato ciascuna famiglia degli Stati Uniti, del Canada, dell’Australia, Inghilterra, Irlanda, Francia, Germania, Russia e Belgio ecc., e di più costruire chiese, ospedali, scuole, musei, strade, stadi, ecc. Ma s’è preferito quella ricchezza – costata lavoro, ingegno, sacrifici – gittarla in armi, per distruggere abitati e abitanti”, p.17 “Se quanto si spende per le guerre, si spendesse per rimuoverne le cause, si avrebbe un accrescimento immenso di benessere, di pace, di civiltà: un accrescimento di vita. E non è meglio vivere che morire ammazzati?”, p.20 “Ha torto senz’altro chi inizia la guerra. (…) Il torto è di chi, pur avendo ragione, ricorre alle armi. Chi primo spara è il più sicuro criminale”, p.22 “La guerra è guerra, cioè una sciagura senza attenuanti, complicata da imbecillità senza limiti (pretende di conseguire il bene con il male, di curare un malato uccidendolo); ed è tale sia se combattuta dagli amici sia se combattuta dagli avversari. Questo perciò è da stabilire: la guerra è un male: dunque non è lecito muoverla”, p.23 “Chi ama la Patria le assicura la pace, cioè la vita: come chi ama suo figlio, gli assicura la salute. La pace è la salute di un popolo: è l’ossigeno della sua civiltà”, p.24 “…il ‘si vis pacem para pacem’, è di tutti i tempi, anche dei nostri, al lume, se non altro, della semplice ragione”, p.25 “Se la guerra è inutile, non si ha da fare: ecco, la logica. La questione è spirituale: ma allora è questione della carità, e non della tecnica”, p.29 “E dunque discutere, trattare: questa la soluzione, più che il riarmo, il quale – dicono i pensatori d’ogni colore – porta alla guerra”, p.54 “La sostanza della frattura sta altrove che nel capitalismo o nel comunismo. Sta nella miseria. E causa prima della guerra è la miseria. Essa, come porta all’ateismo, porta alla guerra. I Padri della Chiesa sapevano ciò”, p.58 “Se causa prima della guerra è la miseria, causa seconda è la cupidigia”, p.64 “La diplomazia dei due emisferi prosegue il ragionamento dei figli di Caino, col quale e per il quale da millenni gli uomini vivono la loro esistenza come un’occasione per ammazzarsi, facendo della vita una produzione di morte. E’ il trionfo dell’imbecillità: ma non si vede come sottrarvisi”, p.71 “Il principale argomento a sostegno delle spese di guerra è tratto dalla sapienza pagane: – Si vis pacem para bellum (se vuoi la pace, allestisci la guerra) -. Che è come dire: se vuoi la salute, procurati la polmonite; se vuoi arricchire, dilapida il denaro; se vuoi il bene, opera il male…”, p.72 “La pace si ottiene con la pace: e sant’Agostino già dai suoi tempi, nei quali le guerre stavano dissolvendo l’Impero Romano, insegnava ad acquistare vel obtinere pacem pace: a conquistare o a custodire la pace con la pace, non con le armi. Con le armi si ammazza la pace”, p.74 “Solo una suggestione ipnotica può dare a certuni l’illusione che con le armi si difenda la civiltà cristiana: che con l’omicidio si difenda l’amore; che si custodisca il culto di Dio ammazzandoGli i figli”, p.81 “Noi dovremmo resistergli (al Principe della Morte, l’Omicida): muovere guerra alla guerra; rispondere con la carità alla bestialità”, p.82 “Per non aver timore dell’uomo, bisogna amarlo. Amarlo anche se malvagio, anche se pezzente, anche se sporco, vedendo sempre, sotto le sue spoglie e i suoi cenci e la sua grinta il volto di Cristo”, p.84 “Ci vuole coraggio – un coraggio razionale – a sostener la pace contro le orge della propaganda bellica, contro quei fenomeni di ossessione collettiva prodotti dalla retorica”, p.85 “La guerra è l’utopia che rinasce, come idra: la pace è la realtà, che l’intelligenza postula. La guerra è l’utopia che pretende di risolvere problemi, mentre invece essa complica tutti i problemi ed altri crea”, p.87 “C’è un alternativa all’atomica? C’è: e si chiama carità, che è l’amore divino che lega Dio e uomini”, p.88 “La pace comincia in noi… in me e da me, da te, da ciascuno… come la guerra”, p.91 “Se gli altri odiano, non è una ragione perché odiamo anche noi. Si vince il male col bene; la malattia con la salute; si oppone all’ostilità la carità: questo è il comandamento di Dio. Gli altri sono comandamenti di uomini e uomini senza Dio, anche se facciamo salamelecchi al pievano”, p.91 “Il comandamento vale anche in politica. Soprattutto in politica, dove si scatenano le passioni irrazionali, e più arduo diviene il mantenere la serenità – la pace -, mentre diviene quasi eroico il serbare l’amore dentro il vortice delle ambizioni e intrighi e miserie. Ma Cristo ha voluto redimere anche al politica, per portarla a una funzione di pace, di vita”, p.92 “I nemici si amano: questa è la posizione del cristianesimo. Se si iniziasse una politica della carità, si scoprirebbe che questa coincide con la più illuminata razionalità, e si palesa, anche economicamente e socialmente, un affare”, p.93 “E un giorno saremo liberi dalla guerra come dalla peste e dalla fame, e succubi d’oggi, i retori delle virtù militari e dell’onore insanguinato, appariranno figuri sinistri come i monatti e gli untori. Ma tocca al popolo – a questo deposito di carne da macello, per gli uni; a questo corpo sociale di Dio, per noi -, a rovesciare il maleficio, abbattendo la tirannide d’odio, avarizia e ignoranza, da cui è immolato”, p.95 “‘L’invasione liberatrice è un crimine di guerra come la guerra preventiva’. Tranne il caso di evidente aggressione subìta, e cioè tranne il caso di difesa, la guerra è sempre ingiusta. Mentre la stessa guerra giusta è di fatto condotta oggi con tale violenza indiscriminata che colpendo militari e civili, per il danno sproporzionato che reca, diviene essa stessa ingiusta”, p.98 “La religione porta alla pace. Essa è la pace, cercata e attuata, tra Dio e gli uomini, tra materia e Spirito. Il saluto tipico dell’anima religiosa è: Pace”, p.99 “Per meritarsi il nome di figli di Dio, i cristiani devono lavorare per la pace”, p.108 “L’opera pacificatrice comincia da me e da te…”, p.110 “Ecco perché il problema è anzitutto morale. Come sempre, anche oggi il male nasce dal cuore dell’uomo: e là va curato. Non basta il riarmo e neppure il disarmo per rimuovere il pericolo della guerra: occorre rimuovere lo spirito di aggressione e sfruttamento ed egemonia, dal quale la guerra viene: occorre ricostruire una coscienza”, p.111 “Le guerre sono franamenti della costruzione sociale sulla sabbia di nequizie giuridiche, economiche, sociali, politiche: sul terreno, puntellato magari di cannoni e illustrato di lampioni, ma senza uno strato di principi morali”, p.114 “La guerra, mentre impoverisce tutti, non abolisce le più gravi disuguaglianze”, p.116 “Il popolo non vuole inutili stragi. E qui davvero vox populi vox Dei”, p.116
Città Nuova, Roma 2003
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Feb 28, 2003 | Parola di Vita
Alle folle che accorrevano, Gesù parlava del Regno di Dio . Lo faceva con parole semplici, con parabole tratte dalla vita di ogni giorno, eppure il suo parlare aveva un fascino tutto particolare. La gente rimaneva colpita dal suo insegnamento perché insegnava loro come uno che ha autorità, non come gli scribi . Anche le guardie andate per arrestarlo, quando i sommi sacerdoti e i farisei le interrogarono perché non avevano eseguito gli ordini, risposero: “Mai un uomo ha parlato come parla quest’uomo”.
Il Vangelo di Giovanni riporta anche colloqui di luce con singoli, come Nicodemo o la samaritana. Gesù va ancora più in profondità con i suoi apostoli: parla apertamente del Padre e delle cose del Cielo, senza più fare uso di similitudini ; ne sono conquistati, e non indietreggiano neppure quando non comprendono appieno le sue parole, oppure quando esse sembrano troppo esigenti.
“Questo linguaggio è duro” , gli dissero alcuni discepoli quando sentirono che avrebbe dato loro da mangiare il suo corpo e da bere il suo sangue.
Gesù, vedendo che i discepoli si tiravano indietro e non andavano più con lui, si rivolse ai 12 Apostoli: “Forse anche voi volete andarvene?”
Pietro, ormai avvinto a lui per sempre, affascinato dalle parole che gli aveva sentito pronunciare dal giorno che lo aveva incontrato, rispose a nome di tutti:
«Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna»
Pietro aveva capito che le parole del suo Maestro erano diverse da quelle degli altri maestri. Le parole che vanno dalla terra alla terra, appartengono e hanno il destino della terra. Le parole di Gesù sono spirito e vita perché vengono dal Cielo: una luce che scende dall’Alto ed ha la potenza dell’Alto. Le sue parole possiedono uno spessore ed una profondità che le altre parole non hanno, siano esse di filosofi, di politici, di poeti. Sono “parole di vita eterna” perché contengono, esprimono, comunicano la pienezza di quella vita che non ha fine, perché è la vita stessa di Dio.
Gesù è risorto e vive, e le sue parole, anche se pronunciate nel passato, non sono un semplice ricordo, ma parole che egli rivolge oggi a tutti noi e a ciascuna persona di ogni tempo e di ogni cultura: parole universali, eterne.
Le parole di Gesù! Devono essere state la sua più grande arte, se così si può dire. Il Verbo che parla in parole umane: che contenuto, che intensità, che accento, che voce!
“Un giorno racconta ad esempio Basilio il Grande , quasi svegliandomi da un lungo sonno, guardai la luce meravigliosa della verità del Vangelo e scoprii la vanità della sapienza dei prìncipi di questo mondo.”
Teresa di Lisieux in una lettera del 9 maggio 1897 scrive: “Qualche volta, quando leggo certi trattati spirituali… il mio povero piccolo spirito non tarda a stancarsi. Chiudo il libro dei sapienti che manda in pezzi la mia testa e dissecca il mio cuore, e prendo in mano la Sacra Scrittura. Allora tutto mi diventa luminoso, una sola parola dischiude all’anima mia orizzonti infiniti e la perfezione mi sembra facile”.
Sì, le parole divine saziano lo spirito fatto per l’infinito; illuminano interiormente non solo la mente, ma tutto l’essere, perché sono luce, amore e vita. Danno pace quella che Gesù chiama sua: “la mia pace” anche nei momenti di turbamento e di angoscia. Danno gioia piena pur in mezzo al dolore che a volte attanaglia l’anima. Danno forza soprattutto quando sopraggiungono lo sgomento o lo scoraggiamento. Rendono liberi perché aprono la strada della Verità.
«Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna»
La parola di questo mese ci ricorda che l’unico Maestro che vogliamo seguire è Gesù, anche quando le sue parole possono sembrare dure o troppo esigenti: essere onesti nel lavoro, perdonare, mettersi a servizio dell’altro piuttosto che pensare egoisticamente a se stessi, rimanere fedeli nella vita familiare, assistere un ammalato terminale senza cedere all’idea dell’eutanasia…
Ci sono tanti maestri che ci invitano a soluzioni facili, a compromessi. Vogliamo ascoltare l’unico Maestro e seguire lui, che solo dice la verità ed ha “parole di vita eterna”. Così possiamo ripetere anche noi queste parole di Pietro.
In questo periodo di Quaresima in cui ci prepariamo alla grande festa della Resurrezione, dobbiamo veramente metterci alla scuola dell’unico Maestro e farci suoi discepoli. Anche in noi deve nascere un amore appassionato per la parola di Dio: la accogliamo con attenzione quando ci viene proclamata nelle chiese, la leggiamo, la studiamo, la meditiamo…
Ma soprattutto siamo chiamati a viverla, secondo l’insegnamento della stessa Scrittura: “Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi” . Per questo ogni mese ne prendiamo in considerazione una in particolare, lasciando che ci penetri, ci modelli, “ci viva”. Vivendo una parola di Gesù viviamo tutto il Vangelo, perché in ogni sua parola egli si dona tutto, viene lui stesso a vivere in noi. E’ come una goccia di sapienza divina di Lui, il Risorto, che lentamente ci scava dentro e sostituisce il nostro modo di pensare, di volere, di agire in tutte le circostanze della vita.
Chiara Lubich
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Feb 26, 2003 | Focolari nel Mondo
Sono studentessa di diritto e allo stesso tempo lavoro in un ministero nel Paraguay. Spesso mi trovo ad andare controcorrente ad una mentalità opposta al progetto di Dio, per difendere i miei principi fino alle ultime conseguenze. Una persona importante nel mio ambiente di lavoro, che godeva di certi privilegi, aveva un comportamento chiaramente disonesto. E per giustificarsi soleva argomentare: “Se hai deciso di essere avvocato e non commettere nessuna illegalità, perdi il tuo tempo e finirai tranquillamente morta di fame”. Io sentivo invece che ciò non era vero. Ne avevo la prova: molte altre persone che conoscevo, vivevano con coerenza. Dovevo dirglielo, certamente con carità, ma dovevo farlo, anche se mi rendevo conto che era rischioso. Ma più forte era “quella” voce interiore, che mi dava la certezza che era ‘amore’ anche dire all’altro ciò che non va bene. Come temevo, per aver manifestato le mie convinzioni, perdo il lavoro. Ho sofferto terribilmente, ma allo stesso tempo ero tranquilla perché sapevo che avevo agito in modo giusto. Più forte in me è la coscienza di avere un Padre a cui tutto è possibile e che mi ama oltre misura. Non era scritto nel Vangelo che il Padre che si prende cura degli uccelli del cielo, tanto più si sarebbe occupato di noi? Certo, sembrava umanamente impossibile nella situazione economica e lavorativa che vive il Paraguay, eppure quella stessa sera mi sono arrivate due proposte di impiego e per il giorno dopo è stato fissato il primo colloquio di lavoro. Per di più il nuovo lavoro è più direttamente collegato con i miei studi e quindi più interessante e formativo. Infinita è in cuore la riconoscenza per il Padre. E’ una nuova sfida che si apre davanti a me e mi offre migliaia di opportunità di amare e servire. P.C. – Paraguay (Da “I Fioretti di Chiara e dei Focolari” – San Paolo Editrice)
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Feb 11, 2003 | Non categorizzato
“Le difficoltà che l’orizzonte mondiale presenta ci inducono a pensare che solo un intervento dall’Alto, capace di orientare i cuori di quanti vivono situazioni conflittuali e di quanti reggono le sorti delle Nazioni, può far sperare in un futuro meno oscuro”. Così il Papa all’Angelus del 9 febbraio, riportando una frase della Lettera Apostolica in cui rilancia l’antica preghiera mariana del Rosario.
La risposta dei giovani: il Rosario Planetario per la Pace. L’adesione è entusiasta: in ogni momento delle 24 ore (grazie alla diversità di fuso orario) ci sono giovani che pregano il Rosario con la speciale intenzione della pace, dovunque si minacci o sia in atto un conflitto, come in Terra Santa, in Costa D’Avorio, in Congo … Per chi volesse unirsi a questa iniziativa dei Giovani per un Mondo Unito, ecco le fasce orarie: ore Italia | ore locali | luoghi 1 | 18 | Messico, America Centrale 2 | 20 | Cile, Perù, Colombia 3 | 22 | Argentina, Uruguay, Venezuela 4 | 8 | India 5 | 8 | Pakistan 5 | 10 | Tailandia 6 | 12 | Singapore, Vietnam 7 | 14 | Filippine, Hong Kong, Australia (Perth) 8 | 8 | Germania 8 | 16 | Corea, Giappone 9 | 9 | Belgio, Olanda 9 | 8 | Gran Bretagna, Irlanda, Costa d’Avorio 9 | 18 | Australia 10 | 10 | Italia: Emilia Romagna, Lazio, Sicilia, Toscana 11 | 11 | Italia: Lombardia, Campania, Roma; Medio Oriente 12 | 12 | Austria, Svizzera 12 | 11 | Portogallo 13 | 13 | Francia 14 | 14 | Polonia 14 | 15 | Russia 15 | 15 | Rep. Ceca, Slovacchia 15 | 17 | Kenya 16 | 16 | Croazia 16 | 18 | Madagascar 17 | 17 | Slovenia 18 | 18 | Congo 18 | 14 | Brasile 19 | 19 | Camerun 20 | 20 | Sud Africa; Italia: Abruzzo 21 | 21 | Ungheria; Italia: Sardegna 22 | 22 | Madrid; Barcellona; Italia: Triveneto, Piemonte 23 | 14 | USA: San Antonio, Los Angeles; Canada Ovest 24 | 16 | USA: New York, Chicago; Canada: Toronto (altro…)
Feb 11, 2003 | Chiesa
“Le difficoltà che l’orizzonte mondiale presenta ci inducono a pensare che solo un intervento dall’Alto, capace di orientare i cuori di quanti vivono situazioni conflittuali e di quanti reggono le sorti delle Nazioni, può far sperare in un futuro meno oscuro.
Il Rosario è preghiera orientata per sua natura alla pace, per il fatto stesso che consiste nella contemplazione di Cristo, Principe della pace e “ nostra pace ” (Ef 2,14). Chi assimila il mistero di Cristo – e il Rosario proprio a questo mira –, apprende il segreto della pace e ne fa un progetto di vita. Inoltre, in forza del suo carattere meditativo, con il tranquillo succedersi delle Ave Maria, il Rosario esercita sull’orante un’azione pacificante che lo dispone a ricevere e sperimentare nella profondità del suo essere e a diffondere intorno a sé quella pace vera che è dono speciale del Risorto (cfr Gv 14, 27; 20, 21). È poi preghiera di pace anche per i frutti di carità che produce. Se ben recitato come vera preghiera meditativa, il Rosario, favorendo l’incontro con Cristo nei suoi misteri, non può non additare anche il volto di Cristo nei fratelli, specie in quelli più sofferenti. Come si potrebbe fissare, nei misteri gaudiosi, il mistero del Bimbo nato a Betlemme senza provare il desiderio di accogliere, difendere e promuovere la vita, facendosi carico della sofferenza dei bambini in tutte le parti del mondo? Come si potrebbero seguire i passi del Cristo rivelatore, nei misteri della luce, senza proporsi di testimoniare le sue beatitudini nella vita di ogni giorno? E come contemplare il Cristo carico della croce e crocifisso, senza sentire il bisogno di farsi suoi “ cirenei ” in ogni fratello affranto dal dolore o schiacciato dalla disperazione? Come si potrebbe, infine, fissare gli occhi sulla gloria di Cristo risorto e su Maria incoronata Regina, senza provare il desiderio di rendere questo mondo più bello, più giusto, più vicino al disegno di Dio? Insomma, mentre ci fa fissare gli occhi su Cristo, il Rosario ci rende anche costruttori della pace nel mondo. Per la sua caratteristica di petizione insistente e corale, in sintonia con l’invito di Cristo a pregare “ sempre, senza stancarsi ” (Lc 18,1), esso ci consente di sperare che, anche oggi, una ’battaglia’ tanto difficile come quella della pace possa essere vinta. Lungi dall’essere una fuga dai problemi del mondo, il Rosario ci spinge così a guardarli con occhio responsabile e generoso, e ci ottiene la forza di tornare ad essi con la certezza dell’aiuto di Dio e con il proposito fermo di testimoniare in ogni circostanza “ la carità, che è il vincolo di perfezione ” (Col 3, 14)”. (Paragrafo n. 40) (altro…)
Feb 7, 2003 | Focolari nel Mondo
Abito a Rio Grande, una città dello Stato del Rio Grande del Sud, e sono sposata da più di 25 anni. Quando sono rimasta incinta della quarta figlia, abitavamo in una piccola casa che non aveva più spazio per un altro lettino. Provavo una grande apprensione e paura per il futuro, anche perché la nostra situazione economica era molto precaria. Ma non potevo non ascoltare “quella voce” che sentivo nell’intimo: mi diceva di non preoccuparmi, ma di gettare ogni sollecitudine nel cuore del Padre, anzi di lasciarmi prendere per mano e guidare da Lui come un bambino che si abbandona nelle sue braccia. Insieme a mio marito, ricordandoci che nel Vangelo Gesù dice che tutto quello che, uniti, chiediamo al Padre nel suo nome egli lo concede, lo abbiamo fatto. Alcuni giorni dopo, una vicina di casa, che aveva saputo della mia gravidanza, è arrivata portandomi il corredo di una sua nipotina e persino la culla e il materasso. Era la risposta. In seguito, rimanendo fedeli alla sua volontà e sapendo soffrire con pazienza la disapprovazione dei nostri familiari e amici per ogni bambino che nasceva, abbiamo sempre sperimentato la paternità di Dio, che in mille modi ha provveduto alle nostre necessità. Così è stato per la nascita degli altri tre figli, come per la ristrutturazione della nostra casa… Oggi i figli più grandi incominciano a lavorare e veramente non ci è mai mancato nulla.
L.F. – Rio Grande (Brasile) (Da “I Fioretti di Chiara e dei Focolari” – San Paolo Editrice) (altro…)
Gen 31, 2003 | Parola di Vita
Il salmo, da cui è tratta la Parola di vita, ci ricorda che noi siamo il popolo di Dio e che egli vuol guidarci, come fa un pastore con il suo gregge, per introdurci nella terra promessa. Lui, che da sempre ci ha pensati, sa come dobbiamo camminare per vivere in pienezza, per raggiungere il nostro vero essere. Nel suo amore ci suggerisce cosa dobbiamo fare, cosa non dobbiamo fare e ci indica la via da percorrere.
Dio parla a noi come ad amici perché vuole introdurci nella comunione con sé. Se uno ascolta la sua voce, dice il nostro salmo nella sua conclusione, entrerà nel riposo di Dio, ossia nella terra promessa, nella gioia del Paradiso.
Anche Gesù si paragona ad un pastore che conduce ognuno di noi alla pienezza della vita. Egli parla e i suoi discepoli, che lo conoscono, ascoltano la sua voce e lo seguono. Ad essi promette la vita eterna.
Ad ognuno Dio fa sentire la sua voce. Ce lo ricorda il Concilio Vaticano II: “Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a sfuggire il male, quando occorre chiaramente dice alle orecchie del cuore: fa’ questo, fuggi quest’altro. L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al suo cuore…”.
Cosa dobbiamo fare quando Dio parla al nostro cuore? Dobbiamo semplicemente porgere ascolto alla sua Parola, ben sapendo che, nel linguaggio biblico, ascoltare significa aderire interamente, obbedire, adeguarsi a quanto ci viene detto. E’ come lasciarsi prendere per mano e farsi guidare da Dio . Possiamo fidarci di lui, come un bambino che si abbandona alle braccia della mamma e si lascia portare da lei. Il cristiano è una persona guidata dello Spirito Santo.
«Ascoltate oggi la sua voce»
Subito dopo queste parole, il salmo continua: “Non indurite il vostro cuore”. Anche Gesù tante volte ha parlato della durezza del cuore. Si può opporre resistenza a Dio, ci si può chiudere a lui e rifiutare di ascoltare la sua voce. Il cuore duro non si lascia plasmare.
A volte non si tratta neppure di cattiva volontà. E’ che “quella voce” la si distingue con difficoltà in mezzo alle tante altre voci che risuonano dentro. Il cuore è spesso inquinato da troppi rumori assordanti: sono le inclinazioni disordinate che conducono al peccato, la mentalità di questo mondo che si oppone al progetto di Dio, le mode, gli slogan pubblicitari… Sappiamo come è facile confondere le proprie opinioni, i propri desideri con la voce dello Spirito in noi, come è facile perciò cadere nell’arbitrio e nel soggettivo.
Non devo mai dimenticare che la Realtà è dentro di me. Devo far tacere tutto in me per scoprirvi la voce di Dio. E bisogna estrarre questa voce come si toglie un diamante dal fango: ripulirla, metterla in mostra e lasciarsi guidare da essa. Allora potrò essere guida anche per altri, perché questa voce sottile di Dio che sprona e illumina, questa linfa che sale dal fondo dell’anima, è sapienza, è amore e l’amore va dato.
«Ascoltate oggi la sua voce»
Come affinare la sensibilità soprannaturale e l’intuizione evangelica per essere capaci di cogliere i suggerimenti di quella voce?
Innanzitutto occorre rievangelizzarci costantemente frequentando la Parola di Dio, leggendo, meditando, vivendo il Vangelo, così da acquistare sempre più una mentalità evangelica. Impareremo a riconoscere la voce di Dio dentro di noi nella misura in cui impareremo a conoscerla sulle labbra di Gesù, Parola di Dio fattasi uomo. E questo lo si può chiedere con la preghiera.
Dovremo poi lasciar vivere il Risorto in noi, rinnegando noi stessi, facendo guerra all’egoismo, all’”uomo vecchio” sempre in agguato. Questo richiede una grande prontezza nel dire di no a tutto ciò che è contro la volontà di Dio e dire sì a tutto il suo volere; no a noi stessi nel momento della tentazione, tagliando corto con le sue suggestioni, e sì ai compiti che Dio ci ha affidato, sì all’amore verso tutti i prossimi, sì alle prove e alle difficoltà che incontriamo.
Infine possiamo cogliere con più facilità la voce di Dio se abbiamo il Risorto in mezzo a noi, cioè se amiamo fino alla reciprocità, creando ovunque oasi di comunione, di fraternità. Gesù in mezzo a noi è come l’altoparlante che amplifica la voce di Dio dentro ciascuno di noi, facendola sentire più chiaramente. Anche l’apostolo Paolo insegna che l’amore cristiano vissuto nella comunità si arricchisce sempre più in conoscenza e in ogni genere di discernimento, aiutandoci a distinguere sempre il meglio .
La nostra vita sarà allora come tra due fuochi: Dio in noi e Dio in mezzo a noi. In questa fornace divina, ci formiamo e ci alleniamo ad ascoltare e seguire Gesù.
È bella una vita guidata il più possibile dallo Spirito Santo: ha sapore, ha vigore, ha mordente, è autentica e luminosa.
Chiara Lubich
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Gen 23, 2003 | Centro internazionale
Il Convegno scientifico si propone di favorire un approfondimento critico e di tentare di formulare un bilancio della ricerca storica su taluni aspetti, fin qui poco studiati, della figura e dell’opera di Igino Giordani. Novità assoluta è l’analisi della sua produzione letteraria.
Nel programma si prevedono tre sessioni: – “Giordani nella società italiana del ’900” – venerdì 31 maggio, ore 9 – “L’impegno letterario di Giordani” – venerdì 31 gennaio, ore 15 – “Giordani e il rinnovamento cattolico” – sabato 1° febbraio, ore 9 Sede: LUMSA (Libera Università Maria SS. Assunta), Via Pompeo Magno 22 – ROMA La figura di Giordani sarà rievocata anche sabato 25 gennaio, nel corso del Convegno su Papa Paolo VI, a Sant’Ivo alla Sapienza, nella relazione della prof.ssa Francesca Giordano: “Giovanni Battista Montini e Igino Giordani”. (altro…)
Gen 23, 2003 | Centro internazionale
I SESSIONE Venerdì 31 gennaio, ore 9,00 “Giordani nella società italiana del ’900”
Presiede e introduce sul tema: “Attualità di Igino Giordani” On. Mario Baccini(Sottosegretario agli Affari Esteri) 1 rapporti di Igino Giordani con l’associazionismo cattolico Francesco Malgeri (Università La Sapienza – Roma) La Cultura cattolica degli Anni Venti: “il Davide” Francesca Giordano (Università La Sapienza – Roma) La politica estera dei popolari nell’analisi di Giordani Matteo Pizzigallo (Università Federico II – Napoli) Giordani negli anni del Fascismo Andrea Ciampani (Lumsa – Roma) II SESSIONE Venerdì 31 gennaio, ore 15,30 “L’impegno letterario di Igino Giordani” Presiede e introduce: Giuseppe Dalla Torre (Rettore magnifico – Lumsa) Giordani e le riviste letterarie: “La Via” Alberto Frattini (Università di Roma – Tor Vergata) La lingua e lo stile di Giordani Gabriella Di Paola (Lumsa – Roma) L’ “America quaternaria” Lia Fava Guzzetta (Lumsa – Roma) Fede e storia ne “La città murata” di Igino Giordani Carla Carotenuto (Università di Macerata) Accenni autobiografici tra dimensione storica e tensione pedagogica nei versi e nella prosa di Igino Giordani Maria Luisi (Lumsa – Roma) III SESSIONE Sabato 1° febbraio, ore 9,00 “Giordani e il rinnovamento cattolico” Introduce e presiede: Paolo Siniscalco (Università La Sapienza – Roma) Giordani studioso di Patristica p. Angelo Di Berardino (Pontificio Istituto Patristico) Giordani confondatore del Movimento dei Focolari Tommaso Sorgi (Centro Igino Giordani – Grottaferrata) Giordani e il Concilio Vaticano II Giuseppe Ignesti (Prorettore della LUMSA – Roma) (altro…)
Gen 21, 2003 | Focolari nel Mondo
Non ero in grado di ammettere di essere ammalato di alcolismo. D’altra parte sentivo vergogna di non riuscire a resistere all’alcol, ma respingevo ogni tentativo degli altri ad aiutarmi. In questo disagio crescente ho implorato Dio di concedermi la grazia. Lo toccavo con mano, ero fragile come un vaso d’argilla, ma ero certo che lui mi poteva spalancare una via d’uscita. Dopo una mattinata in un magazzino di mobili, ho iniziato un colloquio personale, aperto, profondo con un amico. Non era una semplice chiacchierata, ma uno scambio essenziale, esigente, con momenti durissimi, ma salutari: l’amico mi ha offerto qualsiasi appoggio, purché io mi decidessi a uscire dalla mia malattia. Questo portare alla luce del sole la mia situazione e l’ammettere da parte mia la debolezza, mi ha come liberato. Mi sentivo sì sprofondare nel nulla, ma allo stesso tempo ero sicuro dell’amore di Dio, a cui m’ero affidato, e dell’amore del mio amico. E ho avvertito la forza di avviarmi a una cura da cavallo sul piano medico, psichico e spirituale: una via esigente e dura. Pian piano è scomparso il mio senso d’isolamento. Ho sperimentato il perdono e ho cominciato a perdonare anch’io. Ho conquistato la sincerità e anche la giusta umiltà, conoscendo i miei pregi e difetti. Ad un certo punto ho lasciato perdere tutte le mie mete ed i miei piani, abbandonandomi ai piani di Dio e scegliendo come mai prima Gesù Crocifisso come mio unico bene. Mi è sembrato il biglietto d’ingresso in una vita nuova. Ora vivo con una gioia tutta speciale, come una persona rinata. Nonostante che al lavoro l’alcol sia sempre a portata di mano, è passato già un anno e mezzo e senza ricadute. I medici si meravigliano e lo considerano un miracolo. Io vi vedo la grazia ricevuta.
X.E. Austria da “I Fioretti di Chiara e dei Focolari” – San Paolo Editrice (altro…)
Gen 19, 2003 | Spiritualità
Incontrando a Manresa Ignazio di Loyola, ad Avila Teresa, a Segovia Giovanni della Croce, ho trovato dei “giganti” della santità, che hanno raggiunto gloriosamente la mèta attraverso una via spirituale che conduce il singolo a Dio. Gli episodi straordinari della loro vita, le parole sante da loro dette, quelle divine udite, i vari luoghi che li ricordano e profumano ancora dell’ardentissimo amore per Dio di queste anime elette, hanno avuto su di me un notevole, forte impatto. Vi hanno scavato un insaziabile desiderio: quello di approfondire, di sviluppare al massimo il nostro rapporto personale con Dio. Ho avvertito dentro di me l’urgenza, la necessità e la bellezza di rivedere i momenti sacri che la volontà di Dio su di noi ha riservato a questo scopo, e di adempiere, con moltiplicato impegno, gli appuntamenti di preghiera delle diverse ore della giornata. Sono per noi il “vestito” che indossiamo, premessa per poter poi uscire ad amare i fratelli. Sì: il vestito! Ma di quale vestito si tratta? E’ il vestito d’oro dell’unione con Dio. E’ e deve essere oro, oro, oro. E può diventare miniera d’oro se si accresce amando, per Dio, i fratelli.
Ho cominciato a vivere così, a cercare di perfezionare, quasi cesellare quei momenti. E quale il primo risultato? Forse perché: “A chi ha sarà dato”, la spinta, il giorno dopo, a farlo ancora meglio, sempre meglio, quasi non fosse mai fatto abbastanza bene. Ma l’effetto più forte, straordinario, direi, di tutto questo impegno è stato, paradossalmente, il vedere con maggiore chiarezza e precisione e il sentirmi attratta verso quelle parole della Scrittura, nel Nuovo Testamento, che meglio si addicono non tanto alla dimensione personale, quanto all’aspetto tipico, soprattutto comunitario, della nostra spiritualità e ne permettono l’attuazione. Come il “Che tutti siano una cosa sola” (cf Gv 17,21), e qui occorrono i fratelli; come l’ “Amatevi a vicenda come io vi ho amato” (cf Gv 15,12), e qui occorre il fratello; come “Prima di tutto abbiate tra voi la mutua carità” (cf 1 Pt 4,8). Parole che riguardano, con me, anche i miei fratelli. Parole che, se vanno adempiute dopo aver indossato il “vestito” suddetto, lo devono pure – in certo modo, ma senz’altro – per un intreccio divino, precedere, perché la nostra vita sia pienamente, cristianamente realizzata. Non occorre forse lasciare l’offerta all’altare – una delle nostre pratiche – per riconciliarsi col fratello quando ce ne fosse bisogno? Non solo. Ho avvertito ancora l’attrattiva, l’importanza per noi di altre parole della Scrittura che raggiungono senz’altro il necessario cristiano rinnegamento, l’annientamento di sé, così ammirato, ad esempio, nei santi spagnoli, annientamento però, per noi, non tanto perseguito direttamente, ma attraverso quella che noi chiamiamo, per esempio, “la visibilità” del nostro operare a gloria di Dio. Parole come: “Voi siete la luce del mondo; (…) risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (cf Mt 5,14-16). “Gloria al Padre vostro che è nei cieli” e non a noi; ed ecco ancora il rinnegamento di sé, di noi. Ho sentito l’attrattiva ancora di altre Parole che chiedono di mostrare al mondo, non tanto le rinunce, che il Vangelo chiede a tutti i cristiani, quanto la ricchezza e la bellezza dei doni di Dio che, perché Padre, ci dà. Come la Parola riguardante il “centuplo”, di cui parla il Vangelo, a chi tutto lascia (ecco la povertà a base, ecco il distacco); o quella che dice: “Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai di più per voi?” (Mt 6,28-30). Sempre se abbiamo fede in lui, rinunciando – ecco l’annientamento – a pensarci troppo noi. Sono aspetti questi che sembra possano mostrare un volto nuovo della Chiesa: quello del Risorto. Avremo modo di approfondire in seguito questi aspetti della vita cristiana. Ma occorre una rinascita spirituale che si riassume in un motto: “Oro più oro, uguale miniera d’oro”. Cioè oro nell’approfondire l’unione con Dio, nella preghiera; più oro: nell’ amare, amare gli altri, amare dalla mattina alla sera, amare sempre. Se raccogliamo amore nell’unione con Dio e raccogliamo amore amando i fratelli, il nostro cuore diventa una miniera d’oro, tale da riversare questo oro sul mondo. (altro…)
Gen 19, 2003 | Dialogo Interreligioso
A distanza di un anno dalla grande Giornata per la pace di Assisi del 24 gennaio 2002, che ha visto riuniti con il Papa leaders delle più grandi religioni mondiali, sembrano prevalere i rumori di guerra alle voci di pace. Segnali di segno opposto ci vengono proprio dall’India, venuta alla cronaca in quest’ultimo anno in occidente solo per la recrudescenza di violenza proprio tra indù, cristiani e musulmani. I fatti: in occasione del viaggio di Chiara Lubich e dei suoi collaboratori iniziato a Mumbai (Bombay) il 4 gennaio, nel dialogo con istituzioni culturali e sociali indù, sono venute in luce non solo la tensione mistica che pervade la misteriosa cultura indiana, ma anche la fraternità universale iscritta nelle sue radici. 
L’evento che ha destato reciproca sorpresa per i molti elementi in comune è stato l’incontro con la Swadhyaya Family, un vasto movimento indù con oltre 8 milioni di aderenti, fondato da Shri Pandurang Shastri Athavale, conosciuto come Dada-ji (maestro, fratello maggiore). Insegna che Dio risiede in ogni essere umano e che il compimento dell’unità spirituale porterà con sé le soluzioni per i problemi mondiali. Il primo contatto era avvenuto proprio in occasione della Giornata per la pace di Assisi, a cui avevano preso la parola due sole donne: Didi Talwakar, figlia ed erede spirituale del fondatore della Swadhyaya Family e Chiara Lubich. Nel primo incontro, avvenuto a Rocca di Papa, comune la scoperta della straordinaria consonanza tra lo spirito della Swadhyaya Family e quello del Movimento dei Focolari. E ciò aveva fatto sperimentare una immediata e profonda fraternità. A Bombay si erano registrati altri due importanti incontri che hanno segnato un approfondimento del dialogo iniziato due anni fa, quando Chiara Lubich aveva fatto il suo primo viaggio in India: al Somaiya College, istituto a livello universitario con 25.000 studenti e oltre 30 facoltà e dipartimenti, una delle istituzioni indù maggiormente impegnate nel dialogo interreligioso; e, al Bharatiya Vidya Bhavan, centro culturale parauniversitario che conta un centinaio di sedi in India e quindici all’estero, nato per la riscoperta delle radici della cultura indù e per il suo sviluppo. Un organismo di cui fanno parte indù, musulmani, cristiani, zoroastriani e buddisti. Chiara era giunta in India il 4 gennaio. Il primo incontro lo aveva avuto con il cardinale Dias, arcivescovo di Bombay e con il suo predecessore card. Simon Pimenta, per iniziare il suo viaggio in piena comunione con la Chiesa locale. Il cardinal Dias l’aveva invitata anche a portare il suo carisma di unità a clero, seminaristi, religiosi e religiose della diocesi, che Chiara ha incontrato il 9 gennaio, e a intervenire, il 12 gennaio, al 3° Incontro dei movimenti ecclesiali che hanno intrapreso un cammino di comunione: erano in oltre 3500 persone, di 16 movimenti e associazioni. Chiara Lubich è appena rientrata dall’India, mentre i suoi collaboratori sono partiti per Coimbatore, nel Tamil Nadu, e proseguiranno poi per Delhi. Li attende un fitto programma di incontri col mondo indù e con le chiese locali. (altro…)
Gen 18, 2003 | Spiritualità
Descrizione dell’ Editrice San Paolo: “Correva l’anno 1943. Eravamo all’inizio del Movimento dei Focolari a Trento ed infuriava la guerra…”. Iniziano così i “fioretti di Chiara”, esperienze vissute da Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari, o da altri suoi compagne e compagni, dall’origine del movimento nel 1943 a Trento, fino ad oggi. Si tratta di semplici fatti straordinari che colpiscono per un’evidenza di luce, per un candore quasi d’infanzia che commuove e fa esultare. Da quelle prime avventure sono ormai trascorsi quasi 60 anni e i Focolari oggi, nel mondo, tra aderenti e simpatizzanti, sono quasi 2 milioni e mezzo, presenti in 182 nazioni. Un prodigio evangelico moderno. Doriana Zamboni è una delle prime compagne di Chiara Lubich e oggi fa parte del Consiglio centrale dei Focolari. Edizioni San Paolo – Collana: Letteratura / Narrativa moderna
Gen 17, 2003 | Dialogo Interreligioso
Il 18 gennaio, incontro al Centro di cultura indiana Bharatiya Vidya Bhavan. A Chiara era stato chiesto di comunicare la sua specifica vocazione: la scoperta dell’unità e della fraternità universale.
Il suo denso discorso si sofferma su uno degli aspetti dell’arte di amare scoperta nel Vangelo: “farsi uno, farsi l’altro” quale chiave per il dialogo: “Nel momento in cui ci incontriamo con l’altro, ad esempio, occorre porsi sullo stesso piano, come con un proprio partner, chiunque egli sia. E ciò richiede distacco da tutto, anche dalle ricchezze della propria religione. Nello stesso tempo bisogna fare il vuoto dentro di noi, per lasciar il fratello libero di dire il suo pensiero e per poter capirlo. Comportamento, questo, importantissimo e indispensabile, che ha due effetti: aiuta noi ad inculturarci nel mondo del fratello, a conoscerne il linguaggio, la cultura, la fede, ecc., e predispone poi il fratello all’ascolto.
Si passa, quindi, al “rispettoso annuncio” dove – per lealtà davanti a Dio e sincerità davanti al prossimo, sempre rispettando il pensiero dell’altro – diciamo quanto pensiamo e crediamo sull’argomento, senza imporre nulla, senza voler conquistare nessuno alle nostre idee”.
150 i partecipanti. “E’ l’inizio di un percorso che ci porterà lontano” – ha commentato il prof. Dave, presidente onorario dell’istituzione – “In quelle parole c’è qualcosa che ci avvicina alle radici stesse del pensiero, le radici stesse del nostro sanathana dharma, la religione universale”.
Gen 15, 2003 | Dialogo Interreligioso
Il primo contatto tra la Swadhyaya Family e il Movimento dei Focolari era avvenuto proprio ad Assisi, alla giornata interreligiosa per la pace del 24 gennaio dello scorso anno.
Ed ora Bombay segna una nuova tappa. Il 16 gennaio, Didi Talvalkar, figlia ed erede spirituale del fondatore, davanti a 50.000 giovani radunati nello stadio di Thane, al nord di Mumbai, per la festa dello sport, ha così presentato la figura di Chiara Lubich: “L’ho incontrata al grande incontro interreligioso per la pace ad Assisi, nel gennaio 2002. Eravamo le uniche donne a parlare nel corso di quell’avvenimento. La considero come una madre e volevo che parlasse a voi tutti. Dobbiamo essere una sola famiglia umana: è questo il loro ideale e anche il nostro”.
Anche nel discorso di Chiara c’era il richiamo ad Assisi e all’attuale urgenza di suscitare ovunque “brani di fraternità”. Ha quindi incoraggiato a diffondere l’amore, quell’amore reciproco che genera la fratellanza, che unico è capace di “muovere anche i beni”, e contribuire a sanare “lo squilibrio tra ricchi e poveri”, “uno dei fattori, forse il più determinante, che genera vendetta, terrorismo”, e a far risplendere “l’arcobaleno della pace”. Questa fratellanza tra indù e cristiani già era una realtà, sperimentata proprio per le molte somiglianze tra i due movimenti.
In un successivo colloquio, Didi Talwakar e Chiara Lubich decidono di approfondire i rapporti tra i due rispettivi movimenti. “Ci sono troppe cose in comune tra di noi – ha detto la signora Didi – perché non ci rendiamo conto che Dio ha un progetto”. E Chiara Lubich, si diceva certa che qui ha agito lo Spirito Santo. Davvero – come scrive il Papa nella Novo Millennio Ineunte “lo Spirito di Dio, ‘che soffia dove vuole’ suscita nell’esperienza umana universale, nonostante le sue molteplici contraddizioni, segni della sua presenza”.
Gen 13, 2003 | Dialogo Interreligioso
L’incontro al Somaiya College, il 14 gennaio, ha avviato la collaborazione coi Focolari per l’animazione spirituale dei 25.000 studenti in vista della fraternità universale.
Chiara Lubich aveva narrato la storia della sua avventura cristiana, annunciando la sua riscoperta di Dio Amore, senza nascondere alcunché del suo credo. Non aveva mancato di citare anche vari testi indù, mostrando i punti in comune che possono contribuire al grande disegno della fraternità universale.
Erano presenti 300 esponenti indù, dirigenti delle diverse facoltà. “La Bhagavad Gita – le sacre scritture indiane – dice che lo splendore di mille soli nel cielo è Dio” – ha commentato la prof. Kala Acharya, tra i dirigenti del Somaiya Institute. “Gli spirituali vedono Dio e noi vediamo Dio attraverso di loro”.
Si verifica quell’esperienza di dialogo di cui aveva parlato il Papa proprio in India: “Attraverso il dialogo facciamo in modo che Dio sia presente in mezzo a noi, perché mentre ci apriamo l’un l’altro nel dialogo, ci apriamo anche a Dio. E il frutto è l’unione fra gli uomini e l’unione degli uomini con Dio”.
Gen 3, 2003 | Dialogo Interreligioso
Inaspettata, una gioia grande, per la lettura della nuova lettera apostolica del Papa “Novo Millennio Ineunte”, pubblicata proprio i primi giorni di quel mio primo viaggio in India. Quale centralità dell’amore e della spiritualità di comunione! E poi, proprio mentre mi stavo accostando al misterioso mondo dell’induismo, quale consonanza e conferma dalle sue pagine che incoraggiano il dialogo tra le religioni! “Il dialogo deve continuare.” – scrive il Papa – “Nella condizione di più spiccato pluralismo culturale e religioso, quale si va prospettando nella società del nuovo millennio, tale dialogo è importante anche per mettere un sicuro presupposto di pace e allontanare lo spettro funesto delle guerre di religione che hanno rigato di sangue tanti periodi nella storia dell’umanità. Il nome dell’unico Dio deve diventare sempre di più, qual è, un nome di pace e un imperativo di pace”. E’ quanto, con gioia, constato ora, settimana dopo settimana, dai fax che mi giungono dall’India dai responsabili del Movimento che mi tengono continuamente aggiornata sugli sviluppi del dialogo avviato nel gennaio scorso, quando mi ero recata in quella terra così misteriosa e affascinante. E’ un profondo cambiamento di mentalità che comincia a poco a poco a diffondersi. Un mondo chiuso da paure e sospetti, che avevano eretto alte barriere religiose da ambo le parti, si sta aprendo. Come aveva osservato la prof. Kala Acharya, indù, uno dei promotori dell’incontro al campus universitario del Baratiya Sanskriti Peetham di Mumbai (Bombay), a cui ero stata invitata: “Ognuno era cresciuto chiuso fra le proprie mura ad ammirare il proprio giardino, senza sapere che dall’altra parte di queste mura altissime, ci sono bellissimi giardini da contemplare. E’ l’ora di buttar giù queste mura e scoprire il giardino dell’altro”. Una rete di rapporti si sta stringendo fra cristiani e indù, nel segno della fraternità. Fervono iniziative e programmi. “Dobbiamo andare avanti”. E’ l’urgenza avvertita dalla signora Minoti Aram, presidente dello Shanti Ashram, che per prima mi aveva rivolto l’invito per recarmi in India. In marzo convoca nella sua cittadella, insieme alla figlia Vinu, anche l’incaricato dei giovani e il segretario della sua istituzione gandhiana. Nasce la proposta di avviare un dialogo a 4 livelli: a metà giugno con un gruppo di intellettuali; all’inizio di agosto con i giovani, in un grande incontro; in ottobre col gruppo delle donne che lavorano per l’Ashram a favore dei bambini dei villaggi più poveri ed ancora, all’inizio di dicembre, con personalità di varie religioni della città di Coimbatore, capoluogo del Tamil Nadu, nel Sud dell’India. Tema degli incontri: presentare la collaborazione tra i Focolari e lo Shanti Ashram come esempio di dialogo. Un seminario internazionale per il dialogo interreligioso fra Induismo e Cristianesimo al Somaiya College di Mumbai, nel febbraio scorso, è occasione per stabilire nuovi rapporti e rafforzare quelli iniziati con l’incontro di gennaio. In marzo, insieme alla dott. Kala Acharya, altre docenti fanno visita ad un centro dei Focolari di Mumbai. Si evidenzia ancora una volta la loro sensibilità alla vita interiore, e la consonanza con il nostro stile di vita. Si moltiplicano i viaggi dal nord al sud dell’India per incontrare giovani e adulti, famiglie aderenti al Movimento, per formarli al dialogo interreligioso, nello spirito del Concilio Vaticano, con i chiarimenti apportati dalla Dominus Iesus, di fronte alle attuali problematiche, e nella luce del carisma che anima la spiritualità dell’unità. I vescovi chiedono ai membri del nostro Movimento in India collaborazione nelle commissioni per il dialogo interreligioso nelle varie diocesi. Testimonianza e dialogo aperto all’ascolto Il Papa nella sua lettera apostolica invita alla “testimonianza piena della speranza che è in noi” e allo stesso tempo ad “andare al dialogo con le altre religioni ‘intimamente disposti all’ascolto’ ”, proprio perché ci troviamo “di fronte al mistero di grazia infinitamente ricco di dimensioni e di implicazioni per la vita e la storia dell’uomo” (NMI 56). Queste parole del Papa mi hanno sorpresa. Il mio desiderio, appena giunta in India, era infatti prima di tutto conoscere questa cultura millenaria, stando in silenzio, in ascolto, il più possibile. A poco a poco, questo mondo misterioso ci si è rivelato con un suo volto per noi occidentali non facilmente decifrabile, unitario nella sua ricchissima diversità. Si sente davvero che siamo di fronte ad uno scrigno di tesori spirituali, di tensione mistica di tutta la natura umana, tensione alla quale non è certamente estranea l’opera della Grazia. E questo scrigno si apre solo a chi vi si accosta con rispetto pieno d’amore e, soprattutto, con la convinzione che Dio ha tanto da dirci attraverso questa cultura millenaria, che nel difficile e tormentato mondo contemporaneo ha un suo contributo da dare, essenziale e vitale per tutti, una parola che mette in forte evidenza il primato della vita interiore. Mi chiedevo che cosa sarebbe potuto scaturire dall’incontro dell’India con il carisma dell’unità. Sin dai primi giorni intuivo che, portando a piena maturazione i semi del Verbo presenti in essa – lavoro immenso, ciclopico, che richiederà anni ed anni, forse secoli, potrebbe scaturire Gesù dal cuore stesso della realtà indiana. Ma in che modo? Essendo, da parte nostra, quella presenza di Maria, che è l’unica capace di offrire, di donare Gesù nella sua verità più profonda, ma facendolo nascere dal cuore stesso della realtà alla quale lo dona. E mi è risuonato col sapore di una sfida, quanto aveva scritto Igino Giordani nel 1960, al termine di un suo viaggio in India: “(…) se in Asia, e soprattutto in India, le religioni minuto per minuto si sfiorano e si confrontano, emergerà, col tempo, quella che più dà, e cioè, quella che più innalza l’uomo con energie divinizzanti”. Come dare quel tutto che possiamo qui in India? Con l’amore, un amore che va indirizzato alle singole persone, ma anche alla nazione stessa nella sua totalità. Maria portava e porta in cuore per ognuno e per ogni popolo un amore particolare, l’amore che è misericordia, quell’amore che vede nel prossimo nient’altro che le virtù, le buone opere, quell’amore che è “nulla di sé”, che sa aprirsi del tutto all’altro, per “entrare” nell’altro. E abbiamo sperimentato ancora una volta che questo amore suscita la reciprocità. Si colgono così quegli elementi comuni che si possono vivere insieme. Proprio in quei giorni mi aveva colpito la frase di un filosofo non credente che definisce l’amore “la capacità di scoprire somiglianze nel dissimile” (T.W. Adorno). Mi sono chiesta: “Il dialogo allora non è forse una delle più belle espressioni dell’amore?” L’annuncio gioioso della rivelazione di Dio Amore e i semi del Verbo presenti nell’Induismo Misteriosa, certo, questa religione. Ma, al di sopra dei molti dèi, abbiamo scoperto che vi è pure il senso molto forte dell’ “Uno”, dell’Assoluto. E sopra tutte le regole: la tolleranza, l’amore! Abbiamo scoperto una cosa meravigliosa: quanto sono evidenti in questa religione i semi del Verbo di cui parla il Concilio! Abbiamo sperimentato che, se li mettiamo in rilievo, diventano sempre più grandi, più maturi e gli stessi indù se ne “riinnamorano” e mettono in secondo piano altri aspetti della loro religione: si va diritto all’essenza che è l’amore. Parlando a leaders religiosi, a membri indù di istituzioni gandhiane e di enti culturali della nostra grande scoperta di Dio Amore, proprio nel tempo di odio e violenza del secondo conflitto mondiale, è stato spontaneo citare espressioni delle loro scritture e dei loro saggi: “Noi sottolineiamo che Dio è amore – ho detto loro – ma voi non dite forse: ‘Dio è il primo ad amarci, poiché fu Lui a dare a noi l’amore e in noi lo accresce quando lo cerchiamo’? E ancora, non dite voi: ‘Il Signore è per natura amore, Egli risiede nell’amore, la Sua suprema realtà’? Non conoscete anche voi quella frase di Tagore: ‘Da quando mi sono incontrato con il mio Signore, non è mai finito il nostro gioco d’amore’?”. Così quando ho parlato della luce che aveva illuminato le parole del Vangelo e ci aveva mostrato che amare Dio non è questione di sentimenti, ma occorre fare la sua volontà, ho aggiunto: “Non dite forse anche voi: ‘Fare la volontà del Signore è un atto più grande che non cantare le sue lodi’? ”. E quando ho parlato loro della scoperta dell’amore del prossimo, cuore del Vangelo, che ci chiedeva di amare gli altri come sé, ho portato ad esempio un detto di Gandhi: “Io e te siamo una cosa sola. Non posso ferirti senza fare del male a me stesso”. Poi, quando ho citato l’amore al nemico – così genuinamente evangelico – ho riportato quest’altro loro detto: “La scure taglia il legno di sandalo, mentre questo le fa dono della sua virtù, rendendola profumata”. Si vendica, insomma, con l’amore. Tutti questi sono semi del Verbo, qualche cosa di vivo, di vero! Gli indù sono rimasti impressionati da quelle frasi. Davvero – come ha scritto il Papa – questo “annuncio gioioso della rivelazione del Dio Amore è un dono per tutti”(cf NMI 56). Gli stessi indù, sia al termine dell’incontro a Coimbatore, sia dopo l’incontro al Bharatiya Sanskriti Peetham, il centro culturale dell’università di Vidyavihar di Mumbai, esprimevano la comune esigenza dell’amore e dell’unità. “E’ una necessità dell’ora presente. Stiamo passando attraverso una grande crisi nel mondo. Solo la pace e l’amore possono salvarci” diceva un docente universitario. E aggiungeva che avevo “riassunto il pensiero di questo Paese elaborato in tanti secoli”. “Nonostante che nella nostra religione sottolineiamo già questi valori” affermava un letterato di Mumbai, Partap H. Butani, della Bombay Natural History Society “c’è una differenza: non si tratta solo di parole, le dobbiamo vivere”. Ed un poeta, Kalyangi Sarla Curmil (giainista). “Se abbiamo capito qualcosa stasera, è di essere il profumo di questo fiore dell’amore”. Le vie misteriose della grazia salvifica Certo, sono a noi sconosciute le vie attraverso cui la grazia salvifica di Dio arriva ai singoli non cristiani (cf Ad Gentes 7). La teologia – come afferma la Dominus Iesus – sta cercando di approfondire questo argomento, ricerca che è incoraggiata perché “è senza dubbio utile alla crescita della comprensione dei disegni salvifici di Dio e delle vie della loro realizzazione”. Ma anche il “dialogo della vita” può gettare nuova luce e aprire nuovi sentieri nella conoscenza dei piani di Dio. M’è parso di avere la conferma che anche negli indù, se e in quanto amano, agisce lo Spirito santo. Mi ha colpito l’esperienza di una dottoressa indù che da tempo si impegna a vivere la spiritualità dell’unità: “Noi parliamo della reincarnazione; si crede necessaria per purificarci. Ma ho imparato che ogni volta che amo, muoio a me stessa per ‘vivere l’altro’ e amando sperimento la gioia. E’ quindi una continua morte e rinascita”. E’ lo Spirito di Verità che porterà alla pienezza della verità. La nostra esperienza di dialogo evidenzia quanto aveva detto il Papa proprio in India: “Attraverso il dialogo facciamo in modo che Dio sia presente in mezzo a noi, perché mentre ci apriamo l’un l’altro nel dialogo, ci apriamo anche a Dio. E il frutto è l’unione fra gli uomini e l’unione degli uomini con Dio”. Dagli indù la proposta di continuare il dialogo Dai nostri amici indù è nata la proposta di continuare il dialogo: “Dobbiamo continuare ad esplorare i nostri fondamenti spirituali; poi si potranno avviare azioni e progetti comuni”, aveva proposto la dott. Vinu Aram, dirigente dell’istituzione gandhiana Shanti Ashram. Un’ altra personalità indù sottolineava che tra nazioni non solo bisogna collaborare nel campo dello sviluppo industriale o dell’insegnamento, ma “anche nel campo della pace e della spiritualità”. “Hai piantato un seme – diceva – ora dobbiamo innaffiarlo e controllare che cresca”. Ma già alla cerimonia di Coimbatore, in cui avevano voluto assegnarmi il Premio “Difensore della Pace”, veniva da un’altra istituzione gandhiana, il Sarvodaya Movement, la richiesta di iniziare il dialogo con l’induismo così come l’avevo intrapreso da tempo con il buddismo. Non solo. La motivazione del premio riconosceva che i semi di pace e di amore gettati fra i popoli erano frutto degli insegnamenti di Gesù Cristo e mostravano quanto “il messaggio di Gesù Cristo rimane rilevante, fresco e benefico nel risolvere le questioni contemporanee”. Chiedevano il nostro contributo per affermare anche in India i valori spirituali, in un tempo in cui questo Paese deve affrontare “sfide nuove, problemi sociali accompagnati da tensioni e divisioni; deve misurarsi con uno sviluppo economico e tecnologico segnato spesso da una mentalità materialista e priva di valori morali”. Una comprensione nuova del messaggio cristiano Davvero “lo Spirito di Dio, ‘che soffia dove vuole’ suscita nell’esperienza umana universale, nonostante le sue molteplici contraddizioni, segni della sua presenza” (NMI 56). Ed è proprio nell’essere stati testimoni di questa azione misteriosa di Dio, che – come scrive il Papa – si giunge ad una comprensione più profonda del messaggio cristiano (cf NMI 56). Ho avuto una nuova conferma che il dialogo con le altre religioni apre sempre più la Chiesa cattolica a quell’altra se stessa che è fuori di lei! S. Tommaso ha affermato che la Chiesa non va commisurata soltanto sul numero dei cattolici, ma, siccome Gesù Cristo è morto per tutti gli uomini, va commisurata sul numero di tutti quelli per i quali Lui è morto, cioè sull’umanità intera. Quindi in certo modo la Chiesa è anche “fuori di sé”. Col dialogo si apre a quel “se stessa che è fuori di sé”. In India ho capito poi, come in nessun altro luogo, cos’è il Battesimo, la sua necessità per far gustare ai cuori e alle menti la libertà e la gioia che nascono dall’essere innestati in Cristo. Ho riscoperto la Messa, la straordinaria consolantissima possibilità di fare un dono proporzionato alla regale maestà del Padre: il suo Figlio immolato. Una nuova via al dialogo e all’evangelizzazione Mi è rimasta in cuore una immensa gratitudine a Dio. Il card. Tomko, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione, in una lettera indirizzata al Centro per il dialogo interreligioso del Movimento dei Focolari, scrive: “Conoscendo bene la realtà complessa dell’India, specialmente nell’ambito del dialogo interreligioso, ci sentiamo di unirci a Voi nel rendere grazie al Signore per questa via che lo Spirito Santo ha voluto aprire alla Chiesa”. Una via, inedita ma efficace, di evangelizzazione, che evita i compromessi e i sincretismi, come avevano affermato molti vescovi indiani, a cui, a Calcutta, avevo esposto la nostra esperienza di dialogo, durante l’Assemblea della Conferenza episcopale. Maria e il dialogo interreligioso Mi chiedevo come era avvenuto tutto questo. Mi avevano sorpreso le parole della prof.ssa Kala Acharya. Fin dal primo incontro, notava come Dio stava usando per il dialogo di quei giorni tre donne (lei, la signora Minoti Aram, presidente dello Shanti Ashram, ed io), e aggiungeva: “Perché la donna è madre e sa cos’è l’amore, come Maria. Penso che è Lei che sta lavorando, come quando per fare le collane di fiori occorre un filo che li lega tutti. Lei, Maria, sta legando tutti questi fiori”. Appena giunti in India, il 1° gennaio, festa della Madre di Dio, avevo chiesto all’Eterno Padre, durante la Messa, di scolpire in tutti noi, membri di un’Opera che è “di Maria”, la sua immagine. Forse la risposta sta qui: per il carisma che ci è stato dato, dono gratuito dello Spirito per questo nostro tempo, seguendo il cammino della spiritualità di comunione, così evidenziata dal Papa (cf NMI 43), partecipiamo in certo modo alla maternità di Maria, generando spiritualmente Gesù al mondo. Lui si fa presente in mezzo a noi, come ha promesso (Mt 18,20), per l’amore reciproco vissuto sino all’unità. E Lui è luce, gioia, amore! E si può in un certo senso “farlo vedere” (NMI 16). E Gesù è luce per ogni uomo su questa terra, anche per gli indù. Sì, perché Lui è in qualche modo “imparentato” anche con loro, perché ha dato il sangue per tutti gli uomini, che, quando lo “vedono” nei cristiani, pur inconsciamente, si sentono attirati… di qualsiasi religione essi siano. A viaggio concluso, assistendo agli sviluppi che si prospettano, mi si conferma una certezza: in questo tempo lo Spirito soffia forte ispirando nel Santo Padre parole e gesti profetici che spingono la Chiesa al largo, verso nuovi orizzonti e suscita l’irruzione di nuovi carismi per dare attuazione ai disegni di Dio. Si sta forse delineando il nuovo volto della Chiesa del terzo millennio: la Chiesa, comunione tra la dimensione petrina-istituzionale e la dimensione mariana carismatica, così viva nel cuore del Papa?
Dic 31, 2002 | Parola di Vita
I cristiani di Corinto mettevano a confronto l’apostolo Paolo con altri predicatori contemporanei che parlavano con maggiore eloquenza ed erudizione. A loro piacevano i bei discorsi, le speculazioni filosofiche, mentre Paolo si presentava con semplicità, senza grandi parole suggerite dalla sapienza umana , debole e provato nel fisico. Eppure a lui Gesù, sulla via di Damasco, si era pienamente rivelato, e da allora Dio aveva continuato a fargli brillare in cuore la luce del Figlio suo e lo aveva inviato a portare a tutti quella luce . Paolo era però il primo a rendersi conto della sproporzione tra la preziosità inestimabile della missione affidatagli e l’inadeguatezza della sua persona: un tesoro in un povero vaso di terracotta.
Quante volte anche noi avvertiamo la nostra povertà, i limiti, l’insufficienza davanti ai compiti che ci sono affidati, l’incapacità di rispondere pienamente alle esigenze della nostra vocazione, l’impotenza di fronte a situazioni che sono più grandi di noi. Percepiamo inoltre inclinazioni e attrattive che ci orientano più facilmente al male che al bene, alle quali facciamo fatica a resistere per la debolezza della nostra volontà. Anche noi come Paolo ci sentiamo vasi di creta.
Ci è facile riscontrare le stesse debolezze e fragilità anche nelle persone che ci stanno accanto, in famiglia, così come nella comunità o nel gruppo di cui facciamo parte.
E come non pensare a queste parole di Paolo in questo mese in cui si celebra la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani? Noi cristiani nei secoli non siamo riusciti, nonostante il tesoro che Dio ci ha dato, a vivere in unità.
«Questo tesoro lo portiamo in vasi d’argilla»
Se guardassimo soltanto al vaso d’argilla che siamo noi, ci sarebbe proprio da scoraggiarsi. Ciò che invece vale, e su cui dobbiamo volgere tutta l’attenzione, è il tesoro che portiamo dentro! Paolo sapeva che il suo vaso d’argilla era inabitato dalla luce di Cristo: era Cristo stesso a vivere in lui e questo gli dava l’audacia di tutto osare per la diffusione del suo Regno.
Anche noi possiamo sperimentare il tesoro infinito che, in quanto cristiani, portiamo dentro di noi: è la Trinità Santissima. Mi guardo dentro e scopro come una voragine d’amore, come un abisso, come l’immenso, come un sole divino dentro di me.
Mi guardo attorno e anche negli altri, al di là del loro vaso di creta, che subito mi appare davanti con evidenza, imparo a scorgere il tesoro che lì inabita. Non mi fermo all’apparenza esteriore. La luce della Trinità che abita in noi, ci ha ricordato Giovanni Paolo Il, “va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto” .
«Questo tesoro lo portiamo in vasi d’argilla»
Come vivere questa Parola di vita?
Essa è rivolta a noi. Un noi che non esclude nessuno. “I cristiani devono far conoscere insieme questo tesoro che risplende glorioso nel volto del Risorto.” Però, per diventare pienamente consapevoli del tesoro che abbiamo, occorrerà entrare in comunione con esso. Sì, possiamo imparare a convivere con la Santissima Trinità, fino a perderci in essa. Possiamo avere un rapporto personale con ognuna delle tre divine Persone, col Padre e col Figlio e con lo Spirito Santo, in modo che sia Dio stesso a vivere e ad agire in noi.
Abbiamo il Padre. Nel nostro vaso di creta è presente un Padre. Possiamo gettare ogni sollecitudine in lui, ogni preoccupazione, come ci suggerisce l’apostolo Pietro . Perché così si fa con un padre: ci si affida a lui, in tutto e per tutto, con piena fiducia. E questo è un padre: il sostegno, la certezza del figlio che, come un bambino, si butta spensierato fra le sue braccia.
C’è anche il Figlio dentro di noi: il Verbo che, incarnato, è Gesù. C’è Gesù dentro di noi. Abbiamo imparato ad amarlo profondamente nelle sue diverse presenze: nell’Eucaristia, nella Parola, quando siamo uniti nel Suo nome, nel povero, nell’autorità che lo rappresenta…, nel profondo del nostro cuore. Possiamo persino imparare ad amarlo nei limiti, nelle debolezze, nei fallimenti, perché Egli ha assunto la nostra debolezza e la nostra fragilità pur non essendo peccatore. Per questo Gesù, Verbo incarnato, avendo condiviso tutto di noi, può sostenerci in ogni prova della vita, suggerendoci come superarla, per ridarci e luce e pace e forza.
E lo Spirito Santo. Quello Spirito in cui, come ad altri noi stessi, ci confidiamo sicuri. Che sempre risponde quando lo invochiamo e ci suggerisce parole di sapienza. Che ci dà conforto, che ci sostiene, e ci ama come vero amico, dandoci la luce.
Che vogliamo di più? Un solo Amore ha preso stanza nel nostro cuore: è il nostro tesoro. Il vaso di argilla, il nostro come quello degli altri, non sarà più un ostacolo, non ci scoraggerà più. Ci ricorderà soltanto che la luce e la vita che Dio vuole sprigionare in noi e attorno a noi non è tanto frutto delle nostre capacità umane, ma effetto della sua presenza operosa in noi, riconosciuta ed amata.
Allora, come Paolo, anche noi potremo tutto osare per il Regno di Dio e con più forza tendere alla mèta della piena e visibile comunione tra i cristiani, perché come lui possiamo ripetere: “Però noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi” (2 Cor 4,7).
Chiara Lubich
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Dic 22, 2002 | Nuove Generazioni
Il futuro del mondo si gioca a dadi ogni mattina. Giocare è semplicissimo: tira il tuo dado prima di iniziare la giornata e scopri quale è il tuo obiettivo. Se lo raggiungi al tramonto, il mondo sarà un pochino migliore di come l’hai trovato. Così l’Editrice San Paolo presenta nelle librerie il “Dado dell’Amore”, accompagnato da un libretto che porta in prima pagina questa introduzione: E’ comparso alcuni anni fa tra i più giovani, ma oggi lo desiderano anche gli adulti. Gira voce che sia noto in più di 180 paesi. Conosce quasi tutte le lingue della terra. Anche nei sogni più arditi, non si sarebbe mai immaginato un tale successo. Si parla di un dado – un dado un po’ speciale! Sui sei lati del dado non si trovano i caratteristici puntini, ma dei ’motti’ che ricordano il messaggio evangelico – per così dire, una sintesi del vangelo: “L’arte di amare”. “Amare Gesù nell’altro” c’è scritto su un lato: a chi legge il vangelo risuona nell’orecchio una frase di Gesù: “Qualunque cosa avrete fatto …”. In modo simile vi succederà con gli altri cinque motti. Tutti invitano all’amore cristiano nelle sue varie espressioni: “Amare tutti”, “Amare per primi”, “Amare il nemico”, “Farsi uno con l’altro”, “Amarsi a vicenda”.
Dice Chiara Lubich ai bambini: “Li avete sul vostro dado, questi ’Punti dell’arte di amare!’. Allora vivete bene quello che c’è scritto sul dado e così imparate ad amare!”. I testi di Chiara Lubich sono su un fondino colorato, le esperienze dei bambini sono contrassegnate con un piccolo dado colorato. Nel libretto seguono i testi di Chiara Lubich, che illustrano uno ad uno i punti dell’arte d’amare, tratti da un dialogo con i più piccoli, e le esperienze dei bambini. Riportiamo qui di seguito il punto “Amare per primi”.
Bisogna amare per primi. Bisogna amare cominciando da noi. Magari andiamo a casa e c’è la sorellina che ha il muso lungo, perché è annoiata, è stanca, non le va niente, non le va di giocare né di studiare … Non aspettate, non aspettate che sia lei ad amarvi; dovete cominciare voi; amate per primi, e dite: “Non ti senti bene? Come va? Forse hai qualche problema? Vuoi dirlo? Vuoi che usciamo? Vuoi che facciamo un gioco?”. Dovete essere i primi ad amare. Esperienza Manu ha una compagna di scuola, la cui famiglia è molto povera. La maestra ha programmato una gita che costa 15 Euro. La bambina con molta vergogna dice in classe che non può partecipare. Tornato a casa, Manu lo racconta ai suoi, poi gli viene un’idea: visto che negli ultimi tempi ha risparmiato dei soldi, propone loro di aiutare l’amica. Prima che i genitori riescano a parlarne con i genitori della bambina, Manu ha già messo da parte i soldi, parlato con la maestra e per ultimo ha convinto la compagna ad accettare l’aiuto. Alcuni giorni dopo, in occasione del compleanno di Manu, l’amichetta avrebbe desiderato fargli un regalo, ma non ha i soldi … “Vuoi farmi un regalo? – le dice Manu – invitami a giocare a casa tua!”. (In vendita nelle librerie)
Dic 17, 2002 | Focolari nel Mondo
Ho, insieme con un socio, una piccola ditta d’importazione d’apparecchiature mediche. Sono molto costose e quindi le vendite non sono facili. E’ purtroppo prassi, negli ospedali pubblici, che le persone incaricate degli acquisti chiedano delle tangenti ai fornitori. Il mio socio ed io non siamo mai stati d’accordo con queste procedure e, per questo motivo, abbiamo perso alcune possibilità concrete di vendita. Da tempo infatti abbiamo sentito di essere coerenti col Vangelo che chiede di attuare nel quotidiano la volontà di Dio, di attuare la sua giustizia… In un periodo molto difficile, di poche vendite, un nostro venditore viene nel mio ufficio per dirmi che per realizzare una possibile vendita – quasi pronta – la persona dell’ufficio acquisti chiedeva “una cortesia” da parte nostra. Capivo anche che per il nostro venditore era molto importante che si concretizzasse quell’operazione, poiché il suo stipendio è a percentuale sulle vendite. Sereno, ho parlato chiaramente con lui, dicendo le mie convinzioni: questo era un atto di corruzione che, anche se dava dei guadagni, non era d’accordo con la linea presa dalla nostra ditta. E’ uscito dall’ufficio pensieroso, ma dopo un po’ è tornato deciso: rinunciava alla vendita a quelle condizioni. In quello stesso pomeriggio suona il telefono: era un medico, col quale da tempo si cercava di concludere una grossa vendita, ma che era stata sempre da lui rimandata. All’improvviso mi conferma che è deciso ad acquistare il nostro prodotto: il costo era esattamente dieci volte di più rispetto a quella della mancata vendita. Quando ho messo giù il telefono, sorpreso e felice, ho ricordato, per il fatto avvenuto poche ore prima, le parole di Gesù: “Cercate il regno di Dio e la sua giustizia, il resto vi verrà in sovrappiù”. Ho voluto subito condividere col mio dipendente la gran gioia che provavo, e anche lui ha potuto toccare con mano la provvidenza di Dio. J.B. – Buenos Aires Da “I fioretti di Chiara e dei Focolari” – Ed. San Paolo
Dic 3, 2002 | Focolari nel Mondo
Padre M., religioso olandese missionario del Verbo Divino, si trasferisce in Brasile in un periodo difficile per la vita religiosa. Proprio in quegli anni entra in contatto con la spiritualità dell’unità. Nella comprensione delle parole di Gesù “Dove due o più sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt. 18,20), trova la chiave per rispondere a quella situazione di crisi: sarà Gesù fra i suoi a risplendere e ad attirare molti. Piano piano il seminario si ravviva. Si moltiplicano le iniziative sociali. Fioriscono le vocazioni. Sono nato in Olanda, ma dal 1958 la mia nuova patria è il Brasile, terra in cui sono giunto come missionario del Verbo Divino, col desiderio profondo di dare la mia vita per questa terra. Negli anni del dopo concilio, nel bel mezzo della grande crisi della vita religiosa, ho avuto l’opportunità di partecipare a un corso internazionale di formazione per religiosi animato dal Movimento dei Focolari. Un punto fondamentale in quel corso fu la comprensione della parola del Vangelo “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). Scoprivo così che Gesù presente in mezzo a noi è colui che ha in sé tutti i doni, tutti i carismi, tutti i fondatori delle varie famiglie religiose. Il rientro da quel corso è stato duro: il nostro seminario maggiore di San Paolo era praticamente vuoto e abbandonato in seguito alla crisi vocazionale degli anni ‘70. In quell’ambiente di scoraggiamento e abbandono generale, capisco di dover avere fiducia nell’esperienza fatta: Gesù presente in mezzo a noi era certamente capace di generare vita nuova, in pieno accordo con le esigenze della vita religiosa rinnovata proposta dal Concilio. E avvenne così. Anche un altro mio confratello aveva scoperto questa vita di unità e il padre provinciale lo chiama ad assumere la direzione del seminario vuoto. Eravamo amici già da prima, ma da quel momento cerchiamo insieme di ravvivare l’unità in seminario. Gli altri confratelli del nostro piccolo gruppo cominciano ad avvertire sempre maggior interesse per questa vita e per la comunità. Anche il seminario, prima criticato aspramente, inizia ad essere visto di buon occhio. Missionari del Verbo Divino La vita di comunione ci porta a riscoprire l’esperienza di Sant’Arnaldo Janssen, fondatore della congregazione dei Missionari del Verbo Divino. I giovani religiosi sentono sempre più vivo il desiderio di rispondere con generosità alla chiamata a lanciarsi nell’avventura missionaria. Questa riscoperta della identità missionaria ci ha portato anche ad un passo abbastanza significativo a livello strutturale nell’evoluzione del noviziato. Abbiamo capito che “formazione” e “missione” sono due realtà inseparabili e che, quindi, sarebbe stato bene spostare il noviziato in un ambiente di “missione”. Abbiamo scelto la diocesi missionaria di Registro, regione del Brasile estremamente povera e disagiata, dove i Verbiti da più di cinquant’anni vivono e lavorano al servizio del popolo e della Chiesa. Amare Gesù nei poveri L’esperienza del noviziato vissuta in un luogo di grande sofferenza, dove la morte sembra avere l’ultima parola, ci fa vivere un aspetto di Gesù che incontriamo spesso nel Vangelo: la compassione, il soffrire con gli altri, il partecipare alla sofferenza dei fratelli, il condividere il dolore di tanta gente ridotta in miseria. Gesù presente tra noi ci insegna a vedere la sua presenza nel povero e nel ricco. Questo ci aiuta ad essere una presenza di quell’amore che genera intorno a sé fraternità, un segno visibile “dei cieli nuovi e della terra nuova”.
Nov 30, 2002 | Parola di Vita
Queste parole segnano l’inizio della divina avventura di Maria. L’Angelo le ha appena svelato il progetto di Dio su di lei: essere la madre del Messia. Prima di dare il suo assenso Ella ha voluto sincerarsi che quella fosse veramente la volontà di Dio ed una volta compreso che questo era quanto Lui voleva non ha esitato un momento ad aderirvi pienamente. Da allora Maria ha continuato ad abbandonarsi completamente al volere di Dio, anche nei momenti più dolorosi e tragici.
Perché ha compiuto non la sua ma la volontà di Dio, perché si è fidata pienamente di quanto Dio le chiedeva, tutte le generazioni la dicono beata (cf. Lc 1,48) ed Ella si è realizzata pienamente fino a diventare la Donna per eccellenza.
È proprio questo, infatti, il frutto del compiere la volontà di Dio: realizzare la nostra personalità, acquistare la nostra piena libertà, raggiungere il nostro vero essere. Dio, infatti, ci ha pensati da sempre, ci ha amati da tutta l’eternità; da sempre abbiamo un posto nel suo cuore. Anche a noi, come a Maria, Dio vuole svelare quanto ha pensato su ciascuno di noi, vuol farci conoscere la nostra vera identità. “Vuoi che io faccia di te e della tua vita un capolavoro? – sembra dirci – Segui la strada che ti indico e diverrai chi da sempre sei nel mio cuore. Io, infatti, da tutta l’eternità ti ho pensato ed amato, ho pronunciato il tuo nome. Dicendoti la mia volontà rivelo il tuo vero io”.
Ecco allora che la sua volontà non è un’imposizione che ci coarta, ma lo svelamento del suo amore per noi, del suo progetto su di noi; ed è sublime come Dio stesso, affascinante ed estasiante come il suo volto: è Lui stesso che si dona. La volontà di Dio è un filo d’oro, una divina trama che tesse tutta la nostra vita terrena e oltre; va dall’eternità all’eternità: nella mente di Dio dapprima, su questa terra dopo, ed infine in Paradiso.
Ma, perché il disegno di Dio si compia in pienezza Dio chiede il mio, il tuo assenso, come lo ha chiesto a Maria. Solo così si realizza la parola che ha pronunciato su di me, su di te. Allora anche noi, come Maria, siamo chiamati a dire:
«Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto»
Certamente la sua volontà non ci è sempre chiara. Come Maria anche noi dovremo domandare luce per capire quello che Dio vuole. Occorre ascoltare bene la sua voce dentro di noi, in piena sincerità, consigliandoci se occorre con chi può aiutarci. Ma una volta compresa la sua volontà subito vogliamo dirgli di sì. Se, infatti, abbiamo capito che la sua volontà è quanto di più grande e di più bello possa esserci nella nostra vita, non ci rassegneremo a “dover” fare la volontà di Dio, ma saremo contenti di “poter” fare la volontà di Dio, di poter seguire il suo progetto, così che avvenga quello che Lui ha pensato per noi. E’ il meglio che possiamo fare, la cosa più intelligente.
Le parole di Maria – “Eccomi, sono la serva del Signore” – sono dunque la nostra risposta d’amore all’amore di Dio. Esse ci mantengono sempre rivolti a Lui, in ascolto, in obbedienza, con l’unico desiderio di compiere il suo volere per essere come Lui ci vuole.
A volte tuttavia quello che Lui ci chiede può apparirci assurdo. Ci sembrerebbe meglio fare diversamente, vorremmo essere noi a prendere in mano la nostra vita. Ci verrebbe addirittura voglia di consigliare Dio, di dirgli noi come fare e come non fare. Ma se credo che Dio è amore e mi fido di Lui, so che quanto predispone nella mia vita e nella vita di quanti mi sono accanto è per il mio bene, per il loro bene. Allora mi consegno a Lui, mi abbandono con piena fiducia alla sua volontà e la voglio con tutto me stesso, fino ad essere uno con essa, sapendo che accogliere la sua volontà è accogliere Lui, abbracciare Lui, nutrirsi di Lui.
Nulla, lo dobbiamo credere, succede a caso. Nessun avvenimento gioioso, indifferente o doloroso, nessun incontro, nessuna situazione di famiglia, di lavoro, di scuola, nessuna condizione di salute fisica o morale è senza senso. Ma ogni cosa – avvenimenti, situazioni, persone – è portatrice di un messaggio da parte di Dio, ogni cosa contribuisce al compimento del disegno di Dio, che scopriremo a poco a poco, giorno per giorno, facendo come Maria, la volontà di Dio.
«Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto»
Come vivere allora questa Parola? Il nostro sì alla Parola di Dio significa concretamente fare bene, per intero, ogni momento, quell’azione che la volontà di Dio ci chiede. Essere tutti lì in quell’opera, eliminando ogni altra cosa, perdendo pensieri, desideri, ricordi, azioni che riguardano altro.
Di fronte ad ogni volontà di Dio dolorosa, gioiosa, indifferente, possiamo ripetere: “avvenga di me quello che hai detto”, oppure, come ci ha insegnato Gesù nel “Padre nostro”: “sia fatta la tua volontà”. Diciamolo prima di ogni nostra azione: “avvenga”, “sia fatta”. E compiremo attimo dopo attimo, tassello per tassello, il meraviglioso, unico e irrepetibile mosaico della nostra vita che il Signore da sempre ha pensato per ciascuno di noi.
Chiara Lubich
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Nov 29, 2002 | Chiara Lubich
Vorrei comunicare un’idea, un’intuizione, forse una luce che ho ricevuto qualche tempo fa. Si può intitolare: “Conferma della fede.” Una circostanza provvidenziale mi ha portato ad approfondire la realtà di Gesù che, dopo l’abbandono e la morte in croce, è risorto. Non solo: ho avuto l’occasione di meditare intensamente con la mente e con il cuore molti particolari della risurrezione di Gesù e della sua vita dopo la risurrezione. E sono rimasta sbalordita (è la parola esatta) dalla maestosità, dalla grandiosità che da questo avvenimento divino emanava: dall’unicità del Risorto, da questo fatto soprannaturale che, per quanto so, è unico al mondo. Per cui non posso non soffermarmi a metterlo in rilievo. La risurrezione di Gesù è ciò che maggiormente caratterizza il cristianesimo, ciò che distingue il suo Fondatore, Gesù. Il fatto che è risorto. Risorto da morte! Ma non nella maniera di altri risorti, come Lazzaro ad esempio, che poi, a suo tempo, è morto. Gesù è risorto per non morire mai più, per continuare a vivere, anche come uomo, in Paradiso, nel cuore della Trinità. E l’hanno visto in 500 persone! E non era certo un fantasma. Era lui, proprio lui: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato” (Gv 20,27), ha detto a Tommaso. Ed ha mangiato con i suoi ed ha parlato ai suoi ed è rimasto con loro ben 40 giorni… Aveva rinunciato alla sua infinita grandezza per amore nostro e s’era fatto piccolo, come uno di noi, uomo fra gli uomini, così piccoli che da un aereo non ci possono neppure vedere. Ma, poiché è risorto, ha rotto, ha superato ogni legge della natura, del cosmo intero, e s’è mostrato, con questo, più grande di tutto ciò che è, di tutto ciò che ha creato, di tutto ciò che si può pensare. Sicché anche noi, al solo intuire questa verità, non possiamo non vederlo Dio, non possiamo non fare come Tommaso e, inginocchiati di fronte a Lui, adoranti, confessare e dirgli col cuore in mano: “Mio Signore e mio Dio”. Anche se non la saprò mai descrivere bene, è questo l’effetto che ha fatto in me la luce del Risorto. Certamente, lo sapevo; sicuramente lo credevo, e come! Ma qui l’ho come visto. Qui la mia fede è diventata chiarezza, certezza, ragionevole, vorrei dire. E ho visto con altri occhi quello che ha fatto in quei nuovi favolosi giorni terreni. Dopo la discesa dal Cielo di un angelo che ha ribaltato la pietra del suo sepolcro e lo ha annunciato, ecco il Risorto apparire per primo alla Maddalena, già peccatrice, perché egli aveva preso carne per i peccatori. Eccolo sulla via di Emmaus, grande e immenso com’era, farsi il primo esegeta a spiegare ai due discepoli la Scrittura. Eccolo come fondatore della sua Chiesa, alitare sui suoi discepoli, per dar loro lo Spirito Santo; eccolo dire straordinarie parole a Pietro, che ha posto a capo della sua Chiesa. Eccolo mandare i discepoli nel mondo ad annunziare il Vangelo, il nuovo Regno da lui fondato, in nome della Santissima Trinità da cui era disceso quaggiù e che nell’ascensione seguente avrebbe raggiunto in anima e corpo. Tutte cose conosciute da me, ma ora nuove perché vere in assoluto per la fede e per la ragione. E perché Risorto, ecco anche le sue parole detteci in precedenza, prima della sua morte, acquistare una luminosità unica, esprimere verità incontrastabili. E prime fra tutte quelle in cui annuncia anche la nostra risurrezione. Lo sapevo e lo credevo perché sono cristiana. Ma ora sono doppiamente certa: risorgerò, risorgeremo. Potrò dire allora ai miei molti, ai nostri molti amici partiti per l’Aldilà e, forse, pensati da noi inconsciamente perduti, non tanto: addio, ma ARRIVEDERCI, ARRIVEDERCI per non lasciarci mai più. Perché fin qui arriva l’amore di Dio per noi. Non so se ho espresso, almeno un po’, la grazia, la luce che ho ricevuto: una conferma della fede. Che il Signore faccia in modo che l’abbia potuta comunicare.
Nov 8, 2002 | Cultura
Di fronte al fenomeno della globalizzazione della finanza e dell’economia, che da un lato apre nuove prospettive, ma dall’altro attua un modello di sviluppo che provoca l’ampliamento del divario fra ricchi e poveri, il progetto dell’Economia di Comunione vuole offrire una risposta al dramma della povertà delle popolazioni ancora oggi prive dei più fondamentali diritti umani. I Movimenti Internazionali Umanità Nuova e Giovani per un Mondo Unito di Firenze impegnati nel diffondere valori di pace e di unità tra i popoli, pur non essendo tra gli organizzatori del Social Forum Europeo, considerando però la pluralità delle voci che si esprimono in questo contesto, hanno proposto un seminario autogestito sull’Economia di Comunione (EdC). Il progetto Edc è nato in Brasile da Chiara Lubich nel 1991: oggi è attuato nei cinque continenti da oltre 800 aziende for profit, che hanno modificato lo stile di gestione aziendale e già destinano una parte dei loro utili ai poveri. Questo progetto sta suscitando un grande interesse sul piano teorico: sono circa un centinaio le tesi di laurea discusse in varie università; numerosi sono i congressi promossi da Atenei e organizzazioni nazionali e internazionali in vari Paesi del mondo. Da questi studi sull’Edc si fa strada una nuova teoria economica. Il seminario ha il Patrocinio della Provincia di Firenze, dal momento che il nascente polo imprenditoriale E.di C.spa Lionello, sorgerà nei pressi della cittadella internazionale di Loppiano a Incisa in Valdarno (FI). Il seminario sull’EdC, articolato in due momenti, vuole essere una proposta in prospettiva di una globalizzazione della solidarietà e della fraternità. Nella prima parte attraverso contributi teorici ed esperienze concrete, è stata presentata “l’EdC fra storia e profezia” quale nuovo paradigma antropologico, politico, ed etico. Coordinatore il prof. Luigino Bruni, docente di Storia del pensiero economico all’Università Bocconi di Milano. E’ intervenuto il dr. Alberto Ferrucci, presidente di New Humanity – ONG accreditata all’ONU. Nella seconda parte, l’esperienza e la teorizzazione dell’EdC è stata inquadrata nel contesto dell’attuale scenario mondiale. Alla tavola rotonda “” hanno preso parte: Walter Baier, Presidente del KPÖ – Austria; Lorna Gold, York University- Inghilterra; Eva Gullo, Edc Bologna; Riccardo Moro, Fondazione Giustizia e Solidarietà – Roma; Mario Primicerio, Fondazione La Pira – Firenze; Stefano Zamagni Università di Bologna; Alex Zanotelli, Missionario Comboniano. Coordinatrice la sociologa brasiliana Vera Araujo, che a Porto Alegre ha presentato un workshop di più giorni sull’EdC. E’ stato allestito per tutto il periodo, all’interno della Fortezza da Basso, uno stand che illustra il progetto EdC. Movimenti internazionali Umanità Nuova – Firenze Giovani per Un Mondo Unito – Firenze
Nov 2, 2002 | Dialogo Interreligioso, Spiritualità
“Qui non siamo solo amici, siamo sorelle e fratelli”. E’ voce comune a conclusione di un incontro che ha radunato più di 220 musulmani e circa 100 cristiani, provenienti da 24 nazioni attorno ad un punto sottolineato dalle due religioni: l’amore al prossimo. Profonda, nei musulmani e cristiani presenti, la consapevolezza che è proprio questa fraternità l’antidoto più efficace al terrorismo.
In questo clima gli interventi di rappresentanti delle due religioni, alternati alle testimonianze, hanno favorito un approfondimento della conoscenza reciproca dei vari aspetti dell’amore al prossimo, come approfonditi nella Spiritualità dell’Unità e nella Religione Musulmana.. All’incontro è intervenuto anche l’arcivescovo Michael Fitzgerald, attuale presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, che ha portato la sua esperienza in diversi paesi musulmani. La fraternità sperimentata al Convegno avrà un ulteriore rilancio: Chiara ha proposto di moltiplicare negli USA e ovunque nel mondo gli incontri per la fratellanza universale tra i fratelli delle due religioni. Ha annunciato anche un Simposio cristiano-musulmano.. L’Imam W.D. Mohammed, presidente della American Society of Muslims, ha inviato un messaggio al Convegno in cui tra l’altro scrive: “Il mio cuore si riempie di gioia nel vedere che questo mio desiderio di unità è portato avanti da questa delegazione di circa 80 persone esemplari, uomini e donne. Siamo una famiglia. L’amore del Focolare per l’umanità è radicato in Cristo e sia i cristiani che i musulmani ne traggono beneficio, beneficio che è accolto da molti, oltre che da noi”. Chiara Lubich gli ha risposto: “Ho sperimentato qui una profonda fraternità. E’ qualcosa di straordinariamente bello che non può essere che Opera di Dio. Egli ci ha fatto veramente una sola famiglia per i suoi piani”. La fraternità tra cristiani e musulmani, un’esperienza vitale. Alcune impressioni a caldo: Un professore della Giordania: “Per me c’è stato veramente un forte cambiamento nella natura dei rapporti tra cristiani e musulmani. Se il Concilio Vaticano II aveva riconosciuto negli anni ’60 che l’Islam è una grande religione abramica – e questa è stata una grande trasformazione – penso che oggi si stia facendo un grande passo in avanti, perché ciò che era scritto, sta diventando vita. Un Imam del Nord Africa: “Vedo che il carisma di Chiara rinnova la vita degli uomini di oggi, rinnova lo spirito del Popolo. Porta le persone ad amare veramente Dio e ad amarsi gli uni gli altri”. Erano presenti più di 80 afroamericani della American Society of Muslims dagli Stati Uniti: “Ci sentiamo veramente benedetti per essere parte di questa grande rivitalizzazione dello spirito umano. Dio ha promesso che ci avrebbe guidati fuori dalle tenebre. Chiara, insieme al nostro leader W.D. Mohammed, è fra coloro che portano la torcia nel buio, facendoci camminare nella pienezza della luce dell’amore e della grazia di Dio”.
Fraternità universale: antidoto al terrorismo
“Dopo l’11 settembre 2001, si è aggiunto un nuovo motivo per incontrarci, per amarci, per vivere insieme uniti nell’amore di Dio”, ha detto in apertura Chiara Lubich. “Perché prevalga il Bene – ha aggiunto – occorre uno sforzo comune per creare su tutto il pianeta quella fraternità universale in Dio, alla cui realizzazione l’umanità è chiamata. Fraternità che, sola, può essere l’anima, la molla per quella più giusta condivisione dei beni fra popoli e Stati, la cui mancanza costituisce la causa più profonda del terrorismo”. Chiara ha poi approfondito il tema di apertura del Convegno, “L’amore del prossimo”, nella Spiritualità dell’Unità, sottolineandolo con alcune citazioni del Vangelo, del Corano e degli Hadith. Sull’aspetto ascetico dell’amore al prossimo nell’Islam è intervenuto un Professore della Giordania: “Uno degli aspetti dottrinali più importanti nei quali trova fondamento l’amore al prossimo nell’Islam – dice – è lo stretto legame tra i Nomi di Dio e la vita del credente. La parola “perdono” con i suoi derivati è ripetuta nel Corano 234 volte. E’ la prova più grande di quanto il perdono sia importante nell’Islam. Al Ghafur, al Ghaffar (Colui che perdona molto) è tra “i Nomi più belli di Dio”. Così chi ama il prossimo deve saper perdonare molto. Mir Nawaz Khan Marwat, del Pakistan, vice segretario del Congresso Musulmano Mondiale, uno dei presidenti della Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace (WCRP) ha parlato su “Pace e fraternità”. “Oggi siamo qui riuniti – ha detto – contro tutte le ingiustizie, il terrorismo, la discriminazione e la violenza. Vogliamo predicare la fratellanza umana”. Tutti questi interventi però si basavano su un esperienza pratica, personale e quotidiana dell’amore al prossimo come ricordava una Dottoressa dell’Iran: “La concretezza non è altro che amare il prossimo, quello che ci sta accanto, poterci far nulla fino alla piena unità con chi abbiamo accanto a noi. Questo forse con le parole sembra facile: ma è la cosa più difficile che possiamo pensare. Tutti lo stiamo sperimentando, perché tutti abbiamo per volontà di Dio qualcuno accanto a noi: o nell’ufficio, o nel lavoro, o nella famiglia, o nella patria, qualcuno che ci è antipatico, o che ci fa del male, o che ci crea dolore, o che non è possibile sopportare. Allora proprio lì dobbiamo creare l’unità, perché lì sono i muri dentro di noi ed è lì che dobbiamo fare cadere questi muri per aprirci pienamente all’amore di Dio, a quell‘amore infinito che si presenta all’inizio di ogni sura”. (altro…)
Ott 31, 2002 | Parola di Vita
Gesù è appena uscito dal tempio. I discepoli gli fanno notare con orgoglio l’imponenza e la bellezza dell’edificio. E Gesù: «Vedete tutte queste cose? In verità vi dico, non resterà qui pietra su pietra che non venga diroccata». Poi sale sul monte degli Ulivi, si siede e, guardando Gerusalemme che gli è davanti, inizia a parlare della distruzione della città, e della fine del mondo.
Come avverrà la fine del mondo? – gli domandano i discepoli – e quando arriverà? È una domanda che anche le successive generazioni cristiane si sono poste, una domanda che si pone ogni essere umano. Il futuro è infatti misterioso e spesso fa paura. Anche oggi c’è chi interroga i maghi e indaga l’oroscopo per sapere come sarà il futuro, cosa accadrà…
La risposta di Gesù è limpida: la fine dei tempi coincide con la sua venuta. Lui, Signore della storia, tornerà. È Lui il punto luminoso del nostro futuro.
E quando avverrà questo incontro? Nessuno lo sa, può avvenire in qualsiasi momento. La nostra vita è infatti nelle sue mani. Lui ce l’ha data; Lui può riprenderla anche all’improvviso, senza preavviso. Tuttavia ci avverte: avrete modo d’essere pronti a questo evento se vigilerete.
«Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora»
Con queste parole Gesù ci ricorda innanzitutto che Lui verrà. La nostra vita sulla terra terminerà ed inizierà una vita nuova, che non avrà più fine. Nessuno oggi vuole parlare della morte… A volte si fa di tutto per distrarsi, immergendosi completamente nelle occupazioni quotidiane, fino a dimenticare Colui che ci ha dato la vita e che ce la richiederà per introdurci nella pienezza della vita, nella comunione con il Padre suo, nel Paradiso.
Saremo pronti ad incontrarlo? Avremo la lampada accesa, come le vergini prudenti che attendono lo sposo? Ossia, saremo nell’amore? Oppure la nostra lampada sarà spenta perché, presi dalle tante cose da fare, dalle gioie effimere, dal possesso dei beni materiali, ci siamo dimenticati della sola cosa necessaria: amare?
«Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora»
Ma come vegliare? Innanzitutto, lo sappiamo, veglia bene proprio chi ama. Lo sa la sposa che attende il marito che ha fatto tardi al lavoro o che deve tornare da un viaggio lontano; lo sa la mamma che trepida per il figlio che ancora non rincasa; lo sa l’innamorato che non vede l’ora d’incontrare l’innamorata… Chi ama sa attendere anche quando l’altro tarda.
Si attende Gesù se lo si ama e si desidera ardentemente incontrarlo.
E lo si attende amando concretamente, servendolo ad esempio in chi ci è vicino, o impegnandosi alla edificazione di una società più giusta. È Gesù stesso che ci invita a vivere così raccontando la parabola del servo fedele che, aspettando il ritorno del padrone, si prende cura dei domestici e degli affari della casa; o quella dei servi che, sempre in attesa del ritorno del padrone, si danno da fare per far fruttificare i talenti ricevuti.
«Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora»
Proprio perché non sappiamo né il giorno né l’ora della sua venuta, possiamo concentrarci più facilmente nell’oggi che ci è dato, nell’affanno del giorno, nel presente che la Provvidenza ci offre da vivere.
Tempo fa mi venne spontaneamente di rivolgere a Dio questa preghiera. Vorrei ora ricordarla.
“Gesù,
fammi parlare sempre
come fosse l’ultima
parola che dico.
Fammi agire sempre
come fosse l’ultima
azione che faccio.
Fammi soffrire sempre
come fosse l’ultima
sofferenza che ho da offrirti.
Fammi pregare sempre
come fosse l’ultima
possibilità,
che ho qui in terra,
di colloquiare con Te”.
Chiara Lubich
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Ott 27, 2002 | Ecumenismo, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
“Lo spirito che anima il Movimento è in un certo senso lo stesso spirito che anima il nostro Consiglio, nato con l’intento di formare una fraternità di Chiese”: così il Segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese, il pastore luterano Konrad Raiser, motiva l’invito alla fondatrice del Movimento dei Focolari alla Plenaria dei membri del Consiglio. E aggiunge: “E’ l’impegno di Chiara Lubich e dei suoi amici di tradurre la spiritualità dell’unità in forme nuove di convivenza, che ci avvicina, specie in un momento in cui il Consiglio ecumenico è alla ricerca di una nuova espressione”.
L’incontro si è svolto nell’auditorium della moderna costruzione che a Ginevra accoglie questo che è il maggiore organismo ecumenico mondiale. Abbraccia 342 Chiese, di 157 Paesi. Conta più di 50 anni di vita. A Chiara Lubich era stato chiesto di parlare del cuore del suo carisma, della “chiave” che apre all’unità: Gesù crocefisso e abbandonato. Le sue parole fanno penetrare nel mistero di amore di un Dio che giunge a gridare l’abbandono del Padre per ricongiungerci a lui e tra di noi. Un Dio che assume tutti i volti del dolore, dei traumi delle divisioni per ridare “al cieco la luce, al disperato la speranza, al fallito la vittoria, al separato l’unità”. Chiara mostra che in “Gesù abbandonato vi è anche ’la luce per ricomporre la piena comunione visibile dell’unica Chiesa di Cristo’.” “Possiamo vederlo – dice – come ‘il crocefisso ecumenico’. ” “Ho sentito nel suo discorso – ha detto subito dopo il pastore Raiser – l’eco di una intuizione che è stata al fondamento della ricerca dell’unità ed era stata fissata come programma sin dal 1925: ‘più ci avviciniamo alla croce di Cristo e più ci avviciniamo gli uni agli altri. E’ sotto la croce che possiamo stendere le nostre braccia gli uni verso gli altri’.” In un’intervista il vescovo di Basilea, Kurt Koch, vice-presidente della conferenza episcopale svizzera, dà alla crisi del movimento ecumenico un’interpretazione positiva: “Si può parlare di crisi nel senso che è ora di trovare nuove vie. Solo se riconosciamo Gesù abbandonato in questo corpo straziato di Cristo e ci buttiamo in questo dolore, potremo trovare nuove vie per arrivare all’unità”. Servizio della Radio Vaticana (altro…)
Ott 27, 2002 | Ecumenismo, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
La dott.ssa Chiara Lubich, fondatrice e presidente del Movimento dei Focolari per il rinnovamento spirituale e sociale, ha
fatto visita al Consiglio Ecumenico delle Chiese il 28 ottobre per una celebrazione ecumenica e per un dialogo sulla “spiritualità dell’unità” che tocca tutti i campi della vita e della società.
Dopo un ricco scambio, la dott.ssa Lubich e il rev. dott. Konrad Raiser, segretario generale del CEC, hanno formulato un messaggio comune in cui mettono in rilievo una «rinnovata speranza per il comune cammino ecumenico».
Testo integrale del messaggio comune rilasciato il 28 ottobre 2002
E’ con un senso di profonda gratitudine che vi scriviamo poiché, considerando il compito del Consiglio Ecumenico delle Chiese e cioè lavorare a favore dell’unità cristiana, oggi qui al CEC a Ginevra, è fiorita nei nostri cuori una nuova fiducia. Si sono tenuti incontri e colloqui che ci fanno guardare al futuro più serenamente e ci aprono nuove prospettive. La conferenza all’Istituto Ecumenico di Bossey, il culto nella cattedrale protestante di S. Pierre a Ginevra e l’incontro di oggi, costituiscono un evento importante durante il quale i partecipanti – Vescovi di varie Chiese riuniti in questi giorni per un convegno ecumenico nei pressi di Ginevra, rappresentanti del Movimento dei Focolari e lo staff del Consiglio Ecumenico delle Chiese – hanno condiviso preghiere ed avuto uno scambio di pensieri ed esperienze che ispirano noi e le nostre Chiese a corrispondere più profondamente alla nostra comune chiamata e al nostro comune scopo. Eravamo bene a conoscenza di come le Chiese membri del CEC da decenni si siano dedicate ad una continua ricerca, con sforzi instancabili, in favore dell’unità e ci erano note pure le conquiste raggiunte. Nello stesso tempo avevamo presenti le difficoltà sorte in quest’ultimo periodo nel quale si parla di stasi, di periodo invernale dell’ecumenismo. Ebbene, con l’una e l’altra cosa in cuore, durante questa giornata, ci sembra che con l’aiuto del Signore, abbiamo rinnovato la speranza per il nostro comune cammino ecumenico attraverso una spiritualità da vivere che potrebbe chiamarsi «spiritualità dell’unità», che è una via alla conversione del cuore. Se le Chiese si riuniscono per rendere visibile l’unità cercata sinceramente, converrebbe cambiare gli atteggiamenti verso Dio e tra di loro. Esse sono chiamate alla metanoia e alla kenosis, nelle quali troviamo il modo di praticare la più genuina penitenza e vivere la più autentica umiltà. L’importante certamente è di non sottovalutare la preghiera. Se ci stacchiamo da sicurezze false, se troviamo in Dio la nostra vera e unica identità, se abbiamo il coraggio di essere aperti e vulnerabili reciprocamente, allora cominceremo a vivere come pellegrini in viaggio. Scopriremo il Dio delle sorprese che ci guiderà su strade mai percorse, e scopriremo l’un l’altro come veri compagni di viaggio. Questa spiritualità richiede di spogliare noi stessi come Cristo (cfr. Fil 2,6). Essa conduce alla conversione del cuore di cristiani singoli che vengono così a trovarsi fianco a fianco e imparano dalle esperienze spirituali, dalla teologia e dalle tradizioni degli altri che pure anelano ad essere fedeli a Cristo. Sarà Lui ad aiutarci ad amare la Chiesa altrui come la propria, premessa questa necessaria all’unità visibile. Tale spiritualità deve penetrare nelle nostre Chiese mentre cercano di testimoniare quell’unità per la quale ha pregato il Signore: “che tutti siano uno”. Ciò è possibile grazie allo Spirito Santo che – perché battezzati in Gesù morto e risorto – ci rende capaci di vivere al di là di noi stessi, entrando nella realtà dell’altro. Con questi pensieri, con questa speranza e queste disposizioni, nei giorni scorsi, abbiamo, potuto sperimentare, noi – laici, pastori, sacerdoti, vescovi, responsabili di Chiese – che cosa significhi essere già, in qualche modo, per la presenza del Risorto fra noi, («Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» – Mt 18,20), un solo popolo cristiano. Abbiamo vissuto un nuovo dialogo, quello della vita, dialogo del popolo che occorre promuovere maggiormente. Dialogo complementare a quello teologico e a altre forme di dialogo tradizionale tra le singole Chiese; le favorisce e le accelera alla piena realizzazione del Testamento di Gesù: «Che tutti siano uno perché il mondo creda» (cf Gv 17,21). Col desiderio di continuare, anche con tutti voi, questo cammino, assicuriamo e chiediamo la vostra preghiera a Colui che tutto può.
Konrad Raiser Segretario Generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese Chiara Lubich Presidente e Fondatrice del Movimento dei Focolari Ulteriori informazioni sulla visita di Chiara Lubich al CEC (altro…)
Ott 26, 2002 | Ecumenismo, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Una testimonianza ecumenica sorprendente e carica di speranza nella città di Calvino: così il più importante quotidiano di
Ginevra presentava ieri la celebrazione ecumenica di questa mattina, svolta nella cornice solenne ed austera dell’antica cattedrale di St. Pierre di Ginevra, centro di irradiazione della Riforma protestante.
E così è stato. La cattedrale era gremita da oltre 1500 persone; al centro del Tavolo della Santa Cena, accanto al presidente della Chiesa protestante di Ginevra, una donna cattolica: Chiara Lubich. “Noi, oggi – ha detto il pastore protestante Joel Stroudinsky davanti a vescovi di varie Chiese e di diversi Paesi, rappresentanti di organismi ecumenici, tra cui il cardinale Miloslav Vlk – dobbiamo essere testimoni della passione del Vangelo, della forza della Parola che trasforma il mondo nei suoi molteplici aspetti: sociale, economico e politico”. E qui, presentando Chiara Lubich, ha parlato della sua testimonianza potente, dell’azione dello Spirito di Dio nel mondo. “L’accogliamo oggi – ha detto – in questa comunione particolare, che nasce dalla comune passione del Vangelo”. La parola di Chiara si è inserita nel culto domenicale, in un clima di intensa preghiera. Era il ministero dell’amore, tipico della vocazione della donna, che risaltava dal suo forte messaggio. Chiara ha preso spunto da un’importante festività di questa Chiesa: cade il 3 novembre, la festa stessa della Riforma. “Ricorda a tutte le Chiese – ha detto – l’urgenza di quella continua riforma auspicata dal Concilio”. E qui ha parlato dell’azione dello Spirito che lungo la storia ha suscitato sempre nuove correnti spirituali per far rinascere una vita evangelica radicale, sino ad oggi, con il fiorire di nuovi carismi. Toccando temi di bruciante attualità proprio in queste ore, come l’oppressione dei popoli, la povertà e il terrorismo, ha lanciato un forte richiamo alla radicalità di quell’amore che sa dare la vita e suscita la reciprocità. “Solo questa testimonianza tra le Chiese ci rende visibili – ha detto – e portatori di quell’amore di cui il mondo ha bisogno. E’ questa – ha concluso con forza – la riforma delle riforme che il Cielo ci chiede; lo ripete e lo grida con le presenti circostanze che permette”. (dalla Radio Vaticana, 27.10.2002) (altro…)
Ott 25, 2002 | Chiesa
“Hemmerle era una figura rilevante del cattolicesimo tedesco, oltre che un Vescovo estremamente emblematico della Chiesa del postconcilio. Già nei pochi anni dalla morte, si sono svolti su Hemmerle due convegni accademici e sono stati scritti numerosi saggi, articoli, dissertazioni. La sua tomba, nell’antico duomo di Aquisgrana, è oggi meta di venerazione popolare e di pellegrinaggi spirituali”.
“Figlio di artisti, aveva innate inclinazioni per la pittura, la musica, la poesia, la linguistica e il fine umorismo. A ventisette anni, come giovane sacerdote, ricevette il compito di fondare l’Accademia cattolica della sua Diocesi di Friburgo, e di organizzare così ’l’incontro tra la Chiesa e il mondo’ secondo le parole del Vicario generale all’affidamento dell’incarico. Assolse egregiamente questo compito. Da professore universitario, dimostrò acutezza di analisi teologica e filosofica, testimoniata da una vasta produzione scientifica.” “Certo Hemmerle aveva qualità non comuni. E nella sua biografia non mancano le realizzazioni di rilievo. Era un predicatore di rara capacità, con una vivissima forza comunicativa. ’Sapeva parlare di Dio in modo così avvincente …’ – ha osservato il suo successore, il Vescovo Heinrich Mussinghoff”. “Ha avviato il dialogo della Chiesa tedesca con l’ebraismo, compito comprensibilmente difficile”. “Era sempre alla ricerca della pecora perduta, aveva un desiderio profondo di comunicare il Vangelo a tutti senza eccezioni, aveva una spiccata sensibilità ecumenica. Accettava la sfida del dialogo, era sempre per così dire sulla strada, parlava con tutti, perdonava tutti, affidandoli alla misericordia divina, non condannava ma sapeva convincere. Credeva all’amore di Dio per gli uomini e lo manifestava”. “Ma l’autentico spessore di una figura come Hemmerle va cercato nell’umiltà, l’integrità sacerdotale, la disponibilità al dialogo, lo sforzo costante di vedere Cristo negli interlocutori, la benevolenza, la cordialità, il senso dell’amicizia, e altre virtù spirituali che gli venivano dalla costanza nella preghiera e nella pietà.” “Vescovo di Aquisgrana dal 1975 al 1994, anno della sua scomparsa, Klaus Hemmerle è stato per molti aspetti un uomo fuori dell’ordinario. …. Sin dagli inizi del suo mandato episcopale, disse di non avere programmi: ’Il mio programma è solo il Vangelo. Intendo dire il Vangelo che mi viene proposto e interpretato dalla Chiesa …’.” “Sapeva di avere tanti impegni e incombenze, ma risolveva evangelicamente il dilemma del suo tempo – come spiega la seguente citazione, che rende qualcosa della sua anima semplice e profonda: ’Quanto più ho bisogno di tempo per gli impegni urgenti che non posso rimandare, tanto più ho bisogno di tempo per un rapporto immediato con il Signore. Mi troverei letteralmente senza respiro, non riuscirei davvero a venirne fuori se prima non mi fossi svincolato dai miei impegni per dedicarmi al Signore’. ” Dalla recensione di Roberto Morozzo Della Rocca Osservatore Romano del 5/9/2002 sulla biografia di mons. Hemmerle, pubblicata dapprima in Germania ed ora in Italia (Wolfgang Bader – Wilfried Hagemann, Klaus Hemmerle. Un Vescovo secondo il cuore di Dio, Roma, Città Nuova)
Ott 25, 2002 | Ecumenismo, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Nel mondo ecumenico sta emergendo con forza una domanda di spiritualità. Ne ha fatto cenno sabato mattina, 26 ottobre, il teologo ortodosso rumeno Ioan Sauca, direttore dell’Istituto ecumenico di Bossey, presentando Chiara Lubich e motivando così l’invito ad esporre la sua tipica “spiritualità di comunione”, davanti al corpo docente e agli studenti, futuri teologi e ministri, che da tutto il mondo sono inviati dalle loro Chiese per specializzarsi in questo che è definito “laboratorio ecumenico”. “Senza una spiritualità ecumenica – ha detto il prof. Sauca – avremo solo un ecumenismo di slogan. Se non viviamo la carità, l’ecumenismo non fiorirà”.
Chiara Lubich, prendendo la parola, testimonia l’azione dello Spirito Santo che, col dono di un carisma per l’unità, ha suscitato una nuova spiritualità. Viene in luce il cuore di questo carisma che ha provocato sin dagli inizi “un balzo di qualità della vita”: la presenza vitale di Gesù, con i doni di “gioia, pace, abbondanza di luce”, da lui promessa “a due o più riuniti nel suo nome”, cioè nel suo amore, quell’amore vicendevole esigente che richiede la misura della vita.
“Il fatto è – dice Chiara – che lo Spirito Santo, in questo tempo di transizione, offre così ai dialoghi ecumenici a tutti i livelli, una possibilità d’essere già più ’uno’ in Gesù, di sentirci già come una sola famiglia cristiana, perché è Cristo che ci lega”. E’ l’esperienza di quel dialogo “del popolo” che dà origine ad una “vita nuova per la piena e visibile comunione cui desideriamo contribuire”. La presenza, nella sala di Bossey, dei vescovi di varie Chiese amici dei Focolari, riuniti nei pressi di Ginevra per il loro convegno annuale, promosso dal card. Miloslav Vlk, arcivescovo di Praga, ne era una testimonianza visibile.
L’avventura ecumenica dei Focolari, era iniziata proprio da questa testimonianza di vita evangelica che aveva colpito alcuni pastori luterani in Germania, ancora nel 1960. Ed è per questa testimonianza data lo scorso anno ad un incontro ecumenico nella Svizzera tedesca che si devono gli appuntamenti di questi giorni. (altro…)
Ott 25, 2002 | Ecumenismo, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Carissimi fratelli e sorelle, che Gesù sia in mezzo a noi!
E può esserlo avendolo promesso Lui stesso: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome – che per alcuni Padri della Chiesa vuol dire uniti nel mio amore -, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). E noi siamo più di due o tre… Il 3 novembre prossimo si celebrerà qui a Ginevra l’anniversario della Riforma, una festa religiosa che auguro ricca dei migliori doni spirituali a tutti i cristiani delle Chiese Riformate, miei amatissimi fratelli e sorelle. In quel giorno risuonerà quindi forte una parola: “riforma”, appunto. Riforma, espressione che dice desiderio di rinnovamento, cambiamento, rinascita quasi. Parola speciale, attraente, che significa vita, più vita. Parola che può suscitare anche una domanda: il sostantivo “riforma”, l’aggettivo “riformata”, valgono unicamente per la Chiesa che ha a Ginevra il suo centro? O non sono parole applicabili in qualche modo a tutte le Chiese? Anzi non erano forse tipiche della Chiesa da sempre? Dice il decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano II: “La Chiesa peregrinante è chiamata da Cristo a questa continua riforma di cui, in quanto istituzione umana e terrena, ha sempre bisogno” . E, se osserviamo bene la storia della Chiesa, e in particolare gli anni in cui noi cristiani eravamo ancora uniti, vediamo che Gesù, con lo Spirito Santo, ha sempre pensato, voluto, orientato la sua Sposa verso una continua riforma, sollecitandone un costante rinnovamento. Per questo ha mandato sulla terra, di tempo in tempo, doni, carismi dello Spirito Santo che hanno suscitato correnti spirituali nuove o nuove Famiglie religiose. E con esse ha riofferto lo spettacolo, in uomini e donne, d’una vita evangelica totalitaria e radicale. Così è anche nei nostri tempi, cari fratelli e sorelle, per decine e decine di carismi diffusi nelle Chiese, atti a rinnovarle. Di essi, a mo’ d’esempio, vi dirò qualcosa di quello chiamato “carisma dell’unità” che ha suscitato il Movimento dei Focolari. Questa realtà ecclesiale, infatti, pur nata in una Chiesa, quella cattolica romana, è formata ora da persone appartenenti a oltre 350 Chiese e Comunità ecclesiali. I suoi frutti abbondanti, la sua espansione nel mondo in 182 Nazioni e la sua consistenza, fatta di 7 milioni di persone circa, di 91 lingue, dicono che fino ad oggi, ringraziando Dio, è andato veramente bene. Il suo fine è quello di collaborare proprio all’unità fra tutti i cristiani ed alla fraternità universale fra tutti gli uomini e le donne della terra. Non solo. Questo Movimento è di una straordinaria attualità. E lo possiamo capire analizzando un po’ insieme la presente situazione del nostro pianeta. Tutti sappiamo che recentemente a Johannesburg c’è stato il summit delle Nazioni Unite (ONU) sullo sviluppo sostenibile definito come “una presa di coscienza” . Per esso le terribili cifre sulla povertà, in cui versa una grande parte dell’umanità, sono state davanti agli occhi del mondo. E si è capito che non è più possibile rimanere inerti. Occorre che impariamo e il mondo impari a vivere tenendo conto del disegno di Dio sull’umanità: siamo tutti sorelle e fratelli, siamo una sola famiglia. Inoltre oggi è vivo più che mai un pericolo di enorme reale gravità: il terrorismo diffuso. Non, quindi, soltanto 34 guerre, frutto dell’odio alimentato da motivi i più vari, che tuttora colpiscono e insanguinano decine di Nazioni, ma qualcosa di assai più grave, se eminenti personalità vi vedono implicate addirittura “forze del Male” con la M maiuscola. Per cui pensano che non basti rispondere umanamente per ristabilire l’equilibrio e la giustizia, ma occorra mobilitare forze del Bene con la B maiuscola, forze d’un mondo superiore, forze religiose. Occorre, come prima cosa, dare il via ad un’era nuova sostenuta da una preghiera comune per la pace e l’unità. Ma non basta. Sappiamo infatti qual è il perché più profondo di tanto male. E’ il risentimento, l’odio compresso, la ruggine, la voglia di vendetta covati da popoli oppressi da tempo, per questa divisione del nostro pianeta in due parti: quella ricca e quella povera e miserabile a volte. Ciò che manca, quindi, sulla nostra terra è trattarsi da fratelli, è la comunione, la solidarietà, manca la condivisione. I beni vanno suddivisi, ma si sa: essi non si muovono da soli. Occorre muovere i cuori. Occorre quindi vedere sorgere nel mondo una larga fraternità e – dato che il problema è universale – una fraternità universale. E’ questa una visione non assolutamente nuova. Testimoni della storia recente, come il Mahatma Gandhi, Martin Luther King, Madre Teresa di Calcutta, il Dalai Lama e Giovanni Paolo II, l’hanno pensata e fortemente agognata. Ma è soprattutto Gesù che vuole la fraternità universale se ha pregato così: “Padre, che tutti siano uno” (cf Gv 17,21). Egli parlando di unità, parla di fraternità; fraternità che, per noi cristiani, può e deve essere addirittura sul modello della Trinità, alla cui vita noi possiamo partecipare, per il comune battesimo. L’unità. L’unità, dunque. La fraternità. Unità e fraternità che, per il carisma dell’unità, il Movimento dei Focolari è particolarmente impegnato a realizzare. Esso testimonia e insegna che, per vivere l’unità, occorre partire dall’amore annunciato nel Vangelo, quell’amore radicale tipicamente cristiano. Quell’amore che, se si accoglie con attenzione e diligenza e lo si pratica, può far sperare molto per il momento presente della storia. Anzi: può diventare un’ulteriore espressione, assieme alla preghiera, di quel bene con la B maiuscola invocato. Non è esso un amore limitato come quello umano, rivolto spesso solo ai parenti ed amici. Si indirizza a tutti: al simpatico e all’antipatico, al bello e al brutto, a quello della mia patria e allo straniero, della mia e di un’altra religione, della mia e di un’altra cultura, amico o nemico che sia. Un amore, quindi, ad imitazione di quello del Padre celeste, che manda sole e pioggia sui buoni e sui cattivi. E’ un amore ancora che spinge ad amare per primi, ad aver sempre l’iniziativa, senza attendere – come sarebbe umano – d’essere amati. Un amore come quello di Gesù il quale, quando eravamo ancora peccatori, e quindi non amanti, ci ha amato, dando la vita per noi. E’ un amore che considera l’altro come se stesso, che vede nell’altro un altro se stesso. Un amore non fatto solo di parole o di sentimento, ma concreto come quello mostratoci da Gesù con la lavanda dei piedi ed i molti miracoli. E, anche se diretto all’uomo, alla donna, quest’amore ti porta ad amare Gesù stesso nella persona amata. Quel Gesù che ritiene fatto a Sé quanto di bene e di male si fa ai prossimi. Lo ha detto parlando del giudizio universale: “L’hai fatto a me” (cf Mt 25,40) o “Non l’hai fatto a me” (cf Mt 25,45). E’ un amore finalmente che, vissuto da più persone, diventa reciproco, quel vicendevole amore che è la perla del Vangelo ed ha per misura la vita: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,12-13). Chi lo pratica nel Movimento dei Focolari, ad esempio, ha sperimentato che l’amore è la più potente forza del mondo: scatena, attorno a chi lo vive, la pacifica rivoluzione cristiana, sì da far ripetere ai cristiani d’oggi quello che, secoli fa, dicevano i primi cristiani: “Siamo di ieri e già siamo diffusi in tutto il mondo” . Questa rivoluzione cristiana tocca non solo l’ambito spirituale, ma anche quello umano, rinnovandone ogni espressione: culturale, filosofica, politica, economica, educativa, scientifica, ecc. L’amore! Quanto bisogno d’amore nel mondo! Ed in noi, cristiani! Tutti noi insieme delle varie Chiese siamo più d’un miliardo. Molti, dunque, e dovremmo essere ben visibili. Ma siamo così divisi che tanti non ci vedono, né vedono Gesù attraverso di noi. Egli ha detto che il mondo ci avrebbe riconosciuti come suoi e, attraverso noi, avrebbe riconosciuto Lui, dall’amore reciproco, dall’unità: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). L’amore reciproco, l’unità doveva essere, dunque, la nostra divisa, il nostro distintivo. E il distintivo della sua Chiesa. Ma la piena comunione visibile non l’abbiamo mantenuta e non c’è ancora. Per cui è nostra convinzione che anche le Chiese in quanto tali debbano amarsi con questo amore. E ci sforziamo di lavorare in questo senso. Quante volte le Chiese sembrano aver obliato il testamento di Gesù, hanno scandalizzato, con le loro divisioni, il mondo, che dovevano conquistarGli! Infatti, se diamo uno sguardo alla nostra storia di 2000 anni ed in particolare a quella del secondo millennio, non possiamo non costatare come essa sia stata spesso un susseguirsi di incomprensioni, di liti, di lotte che hanno spezzato in molti punti la tunica inconsùtile di Cristo, che è la sua Chiesa. Colpa certamente anche di circostanze storiche, culturali, politiche, geografiche, sociali… Ma pure del venir meno fra noi di quest’elemento unificatore, nostro tipico: l’amore. E’ per questo che ora, per poter tentare di rimediare a così tanto male, per attingere nuova forza per ricominciare, dobbiamo porre tutta la nostra fiducia in quest’amore evangelico. Se diffonderemo amore e amore reciproco fra le Chiese, quest’amore le porterà, pur diverse, a divenire ognuna dono alle altre, come auspica Giovanni Paolo II nel suo libro Varcare la soglia della speranza: “Bisogna – scrive – che il genere umano raggiunga l’unità mediante la pluralità, che impari a raccogliersi nell’unica Chiesa, pur nel pluralismo delle forme del pensare e dell’agire, delle culture e delle civiltà.” Carissimi fratelli e sorelle, l’abbiamo capito: il tempo presente domanda a ciascuno di noi amore, domanda unità, comunione, solidarietà. E chiama anche le Chiese a ricomporre l’unità lacerata da secoli. E’ questa la riforma delle riforme che il Cielo ci chiede. E’ il primo e necessario passo verso la fraternità universale con tutti gli uomini e donne del mondo. Il mondo infatti crederà se noi saremo uniti. Lo ha detto Gesù: “Che tutti siano uno (…) affinché il mondo creda” (cf Gv 17,21). Dio questo vuole! Credetemi! E lo ripete e lo grida con le presenti circostanze che permette. Che Egli ci dia la grazia, se non di veder realizzato tutto ciò, almeno di prepararlo. Chiara Lubich
Ott 17, 2002 | Ecumenismo
Dal comunicato del Consiglio Mondiale delle Chiese (nostra traduzione) Il tema della “spiritualità dell’unità”, che abbraccia tutti gli ambiti della vita, è centrale nel messaggio di Chiara Lubich ed è di grande interesse per gli organismi che le hanno rivolto l’invito a Ginevra: il Consiglio Mondiale delle Chiese, la Chiesa Protestante di Ginevra e l’Istituto Ecumenico di Bossey. Il rev. Dott. Konrad Raiser, segretario generale del Consiglio Mondiale delle Chiese, rivolgendo l’invito a Chiara Lubich, sottolineava il suo “vitale contributo al movimento ecumenico”. Affermava che “le sue numerose iniziative non solo in campo spirituale e religioso, ma anche nell’ambito politico, economico e sociale, dimostrano la potenzialità della testimonianza comune e la necessità dell’impegno per ricomporre la comunione”. “Tutto ciò – aggiungeva – evidenzia l’importanza della spiritualità nel contesto attuale e il suo contributo estremamente prezioso e decisivo non solo per l’unità delle Chiese, ma dell’intera famiglia umana”. Il programma della visita di Chiara Lubich comprende: un seminario per studenti e corpo insegnante dell’Istituto Ecumenico di Bossey; la celebrazione ecumenica nella Cattedrale riformata di San Pietro. Lunedì 28 ottobre, al Consiglio mondiale delle Chiese, si terrà un incontro pubblico sul tema: “Spiritualità e comunione” e uno scambio di vedute sulla spiritualità e i processi socio-economici e politici. Questa visita coincide con l’annuale incontro ecumenico internazionale dei vescovi amici del Movimento, promosso dal cardinale Miloslav Vlk, arcivescovo di Praga. I vescovi saranno presenti ai vari avvenimenti previsti per la visita di Chiara Lubich a Ginevra. Questa è la terza visita di Chiara Lubich al Consiglio Mondiale delle Chiese. Le visite precedenti ebbero luogo nel 1967 e nel 1982. Per maggiori informazioni o per interviste, rivolgersi all’Ufficio Media del WCC, 0041.22.791.6421 Dal comunicato della Chiesa protestante di Ginevra (nostra traduzione) La Chiesa protestante di Ginevra riceve Chiara Lubich – Sarà ospite della città di Calvino nell’ottobre prossimo. Uno dei momenti forti di questo soggiorno sarà il culto che si svolgerà alla Cattedrale Saint-Pierre di Ginevra, il 27 ottobre alle ore 10, con la partecipazione di rappresentanti di altre comunità cristiane. Dopo il Grossmuenster (Chiesa storica di Zurigo, culla della Chiesa riformata n.d.r.), lo scorso anno, è la cattedrale di Saint-Pierre a Ginevra che accoglierà Chiara Lubich. La fondatrice del Movimento dei Focolari darà la sua testimonianza di unità. Nel novembre 2001 avevano avuto luogo in Svizzera numerosi incontri ecumenici in presenza di Chiara Lubich e di vescovi e responsabili di varie Chiese di tutti i continenti. In seguito a questi avvenimenti, il pastore Konrad Raiser, segretario generale del Consiglio Mondiale delle Chiese, a nome del WCC, il pastore Joel Stroudinski, presidente della Chiesa protestante di Ginevra e il prof. Ioan Sauca, direttore dell’Istituto ecumenico di Bossey, hanno invitato Chiara Lubich a Ginevra per una nuova tappa ecumenica.
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Ott 17, 2002 | Ecumenismo
Programma
Venerdì 25 ottobre: ore 11 – Conferenza stampa all’auditorio Calvino a Ginevra Sabato 26 ottobre: all’Istituto ecumenico di Bossey – Intervento di Chiara Lubich: “Verso una spiritualità dell’unità” Domenica 27 ottobre: ore 10 – Celebrazione ecumenica alla Cattedrale St. Pierre (Chiesa riformata) – Intervento su: “Il rinnovamento che opera il carisma dell’unità nelle Chiese e nella società” Lunedì 28 ottobre: Al Consiglio Mondiale delle Chiese – Interverrà sul tema: “L’unità e Gesù crocefisso e abbandonato fondamenti di una spiritualità di comunione” Pomeriggio, gruppo di lavoro su spiritualità e processi socio-economici e politici”. Chiara farà una: “Introduzione all’influsso della spiritualità nel sociale” Martedì 29 ottobre: Giornata aperta per responsabili di Chiese (a Morges) – Intervento su: “La Parola”.
Ott 16, 2002 | Chiara Lubich
Questa mattina in piazza San Pietro era presente un nutrito gruppo di focolarini, di aderenti al Movimento fondato da Chiara Lubich. A loro il Papa ha consegnato una lettera e senza dubbio questo è il Movimento che più di altri…, è fondato sul carisma proprio mariano. Allora abbiamo intervistato Chiara Lubich. Sentiamo che cosa ci ha detto del rosario e della sua esperienza personale di preghiera verso Maria. R. – A me sembra che veramente lo Spirito Santo nel Papa va di pari passo con lo Spirito Santo che opera nel mondo. Adesso è tanto in voga, il profilo mariano della Chiesa, cioè quel profilo di cui ha parlato von Balthasar, che abbraccia anche il profilo petrino e gli altri profili. E il Papa, proprio in consonanza con questo, rilancia questa meravigliosa preghiera che adesso è diventata veramente uno splendore. D. – Il Papa aggiunge al Rosario cinque nuovi misteri, misteri della luce. Che cosa significano? R. – E’ una cosa importantissima secondo me, perché dopo la tradizione che abbiamo avuto di recitare il rosario in quella data maniera, adesso vengono fuori altri cinque misteri. Ma sono talmente necessari! Veramente integrano gli altri misteri. Si arrivava fino al battesimo, ma dal battesimo sino all’inizio della passione non c’è niente nel rosario, mancava la vita pubblica di Gesù, piena di luce, dove lui si manifesta figlio di Dio. Quindi ne sono rimasta molto contenta. Il rosario è veramente un riassunto del Vangelo intero, per cui è veramente – come dice il Papa – una preghiera contemplativa. Recitandolo, e pensando ad ogni mistero, si può rivivere tutta la vita di Gesù, naturalmente accompagnata da Maria. E questo è importante, perché non è una preghiera così, che si recita un’Ave Maria dietro l’altra, è una contemplazione. E’ un riassunto, insomma, di tutta la verità cristiana. E, veramente, dopo quel tragico attentato dell’11 settembre, nel quale il Papa stesso ha detto che si sono viste anche le forze del Male con la M maiuscola, bisognava opporre le forze del Bene col B maiuscolo. Quindi non tanto le guerre, ma piuttosto la preghiera! Noi poi sentiamo tanto l’urgenza della condivisione dei beni nel mondo per poter far tacere il terrorismo. Quindi il rosario – che adesso salta fuori così nuovo – è veramente quello che ci vuole per questo momento. D. – Chiara, oggi il Papa le ha consegnato una lettera in cui affida al Movimento dei Focolari la preghiera del rosario. R. – Il nostro Movimento veramente si chiama “Opera di Maria”, anche se è più conosciuto come Movimento dei Focolari. La nostra norma è questa: cercare di ripetere Maria e di continuarla com’è possibile. Ora, questo avere affidato a noi… è un grande onore intanto, anche un impegno, è una grande gioia, perché – vorrei dire – è della nostra vocazione questo di mettere in risalto Maria. D. – Maria anche come figura che ci aiuta a portare Cristo nella vita, ci aiuta a capire anche Cristo, è un tramite. R. – Assolutamente, assolutamente! Lei è lo sfondo bianco su cui lui brilla Gesù. Io credo che non si può arrivare a Cristo senza Maria, è la strada che lo Spirito Santo, che la Trinità, ha trovato per portare Cristo sulla terra. D. – Chi è per lei Maria? R. – Per me Maria è qualche cosa di grandioso. Lei è il concentrato di tutti i carismi, soprattutto del carisma dei carismi che è l’amore, che è la carità. Per me Maria è la figura del cristiano, in modo particolare della donna. Adesso che si sta cercando, non so, di far emulare la donna, di metterla alla pari dell’uomo, magari cercando i mezzi che noi non possiamo condividere, facendola diventare sacerdote. A me sembra che la vocazione della donna invece è imitare Maria. Lei porta quell’amore che solo resterà nell’altra vita; perché nell’altra vita tante cose che ci sono di qua, per esempio la gerarchia e i sacramenti, non ci saranno, ma solo l’amore resterà. Ora lei è la testimonianza di ciò che rimarrà. D. – Cosa può dire a chi vede il rosario come invece una semplice preghiera ripetitiva, a chi non riesce ad intuirne la grande spiritualità. Com’è possibile incontrare veramente Maria nel rosario? R. – Io ricordo una volta che mi trovavo ad Assisi e accompagnavo un gruppo di evangelici, e lì sul muretto di Assisi abbiamo trovato un rosario. Un pastore ha preso questo rosario in mano e dice: “Ma a che serve? Perché sempre ripetere Ave Maria, Ave Maria…?” Quando – dico io – si ama una persona, le si vuol dire mille volte: io ti amo, io ti amo, io ti amo. Non è una ripetizione, è l’esigenza del cuore. Allora, siccome è nostra madre, è nostro modello, è colei che ci ha dato la cosa più preziosa, che è Gesù, bisogna dirglielo mille volte. E quelle 150 volte che noi ripetiamo Ave Maria ogni giorno, hanno questo significato. (altro…)
Ott 16, 2002 | Chiesa
Alla Gentile Signorina CHIARA LUBICH Presidente dell’Opera di Maria (Movimento dei Focolari) 1. Con gioia ed affetto rivolgo il mio cordiale saluto a Lei ed ai partecipanti all’Assemblea Generale dell’Opera di Maria, in corso di svolgimento a Castel Gandolfo. Ringrazio per le espressioni di augurio che avete voluto farmi pervenire per l’odierna ricorrenza, che dà inizio al XXV anno del mio ministero nella Sede di Pietro. Ho sempre sentito la spirituale vicinanza degli aderenti al Movimento dei Focolari, e ho ammirato la loro fattiva azione apostolica nella Chiesa e nel mondo. In modo particolare, apprezzo l’Opera di Maria per il valido contributo che offre nel perseguimento stesso del suo fine specifico, cioè la promozione della comunione mediante la ricerca e la pratica del dialogo, sia all’interno della Chiesa cattolica, che con le altre Chiese e comunità ecclesiali, come pure con le diverse religioni e con i non credenti. 2. Mentre in questi giorni state verificando e progettando la vita e l’attività del Movimento, sono lieto di rinnovarvi l’espressione della mia stima e riconoscenza per l’apostolato che svolgete e per le molteplici iniziative che promuovete, affinché la Chiesa diventi sempre più “la casa e la scuola della comunione” (Lett. ap. Novo millennio ineunte, 43). Voi siete ben consapevoli – e il vostro operare ne tiene costantemente conto – di come le azioni concrete debbano essere precedute ed animate da una robusta spiritualità di comunione, quale principio educativo nei luoghi in cui si plasma l’uomo e il cristiano (cfr ibid.). Penso, al riguardo, alle molteplici diramazioni del Movimento dei Focolari: i ragazzi e i giovani, le famiglie, i sacerdoti e i religiosi; penso alla vostra presenza nelle comunità parrocchiali e diocesane, nei vari ambiti della società e della cultura. Vi ringrazio, carissimi, e vi incoraggio a proseguire dappertutto nel testimoniare Dio Amore, Uno e Trino, che risplende in Cristo e nella sua Chiesa. 3. Approfondite poi sempre più il peculiare legame spirituale che vi unisce a Maria Santissima: a Lei, infatti, la vostra Opera è intitolata. Coltivate una fedele devozione verso la Vergine Madre della Chiesa una e santa, la Madre dell’unità nell’amore. In questa singolare ricorrenza, vorrei consegnare idealmente ai Focolarini la preghiera del santo Rosario, che ho voluto riproporre a tutta la Chiesa, quale via privilegiata di contemplazione ed assimilazione del mistero di Cristo. Sono certo che la vostra devozione alla Vergine Santa vi aiuterà a dare il necessario rilievo all’iniziativa di un anno dedicato al Rosario. Offrite il vostro contributo, perché questi mesi diventino per ogni Comunità cristiana occasione di rinnovamento interiore. 4. L’Anno del Rosario sarà anche per voi uno stimolo a intensificare la contemplazione di Cristo con gli occhi di Maria, per conformarvi a Lui e irradiarne la salutare presenza negli ambienti nei quali vivete. In modo speciale so di poter affidare alla vostra preghiera il mistero di Gesù crocifisso e abbandonato quale via per contribuire all’attuazione del suo supremo desiderio di unità tra tutti i suoi discepoli. Certo del costante ricordo che avete per il Successore di Pietro, vi assicuro la mia preghiera e, auspicando ogni successo per la vostra Assemblea, ben volentieri imparto la Benedizione Apostolica a ciascuno di voi ed all’intero Movimento. Dal Vaticano, 16 Ottobre 2002
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