Ott 16, 2002 | Chiesa
Alla Gentile Signorina CHIARA LUBICH Presidente dell’Opera di Maria (Movimento dei Focolari) 1. Con gioia ed affetto rivolgo il mio cordiale saluto a Lei ed ai partecipanti all’Assemblea Generale dell’Opera di Maria, in corso di svolgimento a Castel Gandolfo. Ringrazio per le espressioni di augurio che avete voluto farmi pervenire per l’odierna ricorrenza, che dà inizio al XXV anno del mio ministero nella Sede di Pietro. Ho sempre sentito la spirituale vicinanza degli aderenti al Movimento dei Focolari, e ho ammirato la loro fattiva azione apostolica nella Chiesa e nel mondo. In modo particolare, apprezzo l’Opera di Maria per il valido contributo che offre nel perseguimento stesso del suo fine specifico, cioè la promozione della comunione mediante la ricerca e la pratica del dialogo, sia all’interno della Chiesa cattolica, che con le altre Chiese e comunità ecclesiali, come pure con le diverse religioni e con i non credenti. 2. Mentre in questi giorni state verificando e progettando la vita e l’attività del Movimento, sono lieto di rinnovarvi l’espressione della mia stima e riconoscenza per l’apostolato che svolgete e per le molteplici iniziative che promuovete, affinché la Chiesa diventi sempre più “la casa e la scuola della comunione” (Lett. ap. Novo millennio ineunte, 43). Voi siete ben consapevoli – e il vostro operare ne tiene costantemente conto – di come le azioni concrete debbano essere precedute ed animate da una robusta spiritualità di comunione, quale principio educativo nei luoghi in cui si plasma l’uomo e il cristiano (cfr ibid.). Penso, al riguardo, alle molteplici diramazioni del Movimento dei Focolari: i ragazzi e i giovani, le famiglie, i sacerdoti e i religiosi; penso alla vostra presenza nelle comunità parrocchiali e diocesane, nei vari ambiti della società e della cultura. Vi ringrazio, carissimi, e vi incoraggio a proseguire dappertutto nel testimoniare Dio Amore, Uno e Trino, che risplende in Cristo e nella sua Chiesa. 3. Approfondite poi sempre più il peculiare legame spirituale che vi unisce a Maria Santissima: a Lei, infatti, la vostra Opera è intitolata. Coltivate una fedele devozione verso la Vergine Madre della Chiesa una e santa, la Madre dell’unità nell’amore. In questa singolare ricorrenza, vorrei consegnare idealmente ai Focolarini la preghiera del santo Rosario, che ho voluto riproporre a tutta la Chiesa, quale via privilegiata di contemplazione ed assimilazione del mistero di Cristo. Sono certo che la vostra devozione alla Vergine Santa vi aiuterà a dare il necessario rilievo all’iniziativa di un anno dedicato al Rosario. Offrite il vostro contributo, perché questi mesi diventino per ogni Comunità cristiana occasione di rinnovamento interiore. 4. L’Anno del Rosario sarà anche per voi uno stimolo a intensificare la contemplazione di Cristo con gli occhi di Maria, per conformarvi a Lui e irradiarne la salutare presenza negli ambienti nei quali vivete. In modo speciale so di poter affidare alla vostra preghiera il mistero di Gesù crocifisso e abbandonato quale via per contribuire all’attuazione del suo supremo desiderio di unità tra tutti i suoi discepoli. Certo del costante ricordo che avete per il Successore di Pietro, vi assicuro la mia preghiera e, auspicando ogni successo per la vostra Assemblea, ben volentieri imparto la Benedizione Apostolica a ciascuno di voi ed all’intero Movimento. Dal Vaticano, 16 Ottobre 2002
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Ott 16, 2002 | Chiesa
Così Chiara Lubich annuncia ai membri del movimento nel mondo la consegna del messaggio del Papa in un collegamento telefonico mondiale:
E’ un messaggio assai particolare dove il cuore del Papa si apre a noi, suoi figli, con una fiducia eccezionale, affidandoci ciò che in questi momenti gli sta più a cuore.
Si tratta di quello strumento di preghiera che ha sempre privilegiato perché, come una ’divina fionda’ nelle sue mani, gli ha permesso persino di concorrere a sradicare nella sua vita, durante la sua vita, senza alcuna altra arma umana, giganteschi pericoli della Chiesa e del mondo: il Rosario.
Nel contesto della promulgazione d’una sua nuova Lettera apostolica – di cui, penso, siate tutti al corrente – sulla contemplazione e l’assimilazione del mistero di Gesù attraverso la recita del rosario, da lui completato e splendidamente integrato con "misteri di luce", ci dice testualmente: "In questa singolare ricorrenza, vorrei consegnare idealmente ai Focolarini la preghiera del santo rosario che ho voluto riproporre a tutta la Chiesa. Sono certo che la vostra devozione alla Vergine Santa vi aiuterà a dare il necessario rilievo all’iniziativa di un anno dedicato appunto al rosario", il prossimo. "Offrite il vostro contributo perché questi mesi diventino per ogni comunità cristiana occasione di rinnovamento interiore.”
Sono subito nate in cuor nostro – come potete immaginare – diverse entusiasmanti iniziative per adempiere questa precisa volontà di Dio espressaci dal Papa. Iniziative che stiamo mettendo a punto, aiutati anche dai nostri fratelli delle varie Chiese che, seppure non praticano il rosario, amano però la Madre di Gesù, e sostenuti – perché no! – dall'amore sempre vivo di quegli altri nostri fratelli e sorelle di altre Religioni a cui ci lega la "Regola d'oro".
Che anche tutti noi possiamo ripetere durante il prossimo anno il motto del Santo Padre: Totus tuus, tota tua. Sono tutto tuo, tutta tua, siamo tutti tuoi.
Ott 16, 2002 | Centro internazionale
Ott 15, 2002 | Chiesa
Esattamente 24 anni fa, Giovanni Paolo II veniva eletto successore di Pietro. Il Papa coglie questa occasione per dire: “Affido nuovamente alle mani della Madre di Dio la vita della Chiesa e quella tanto travagliata dell’umanità. A Lei affido anche il mio futuro.” Proclama poi “Anno del Rosario” i mesi dall’ottobre 2002 all’ottobre 2003. E spiega il senso di questo gesto: chiedere a Maria di aiutare il Popolo di Dio a “far fruttificare” le tante grazie ricevute durante il Giubileo del 2000. Accompagnato dalla preghiera dei presenti, firma quindi la Lettera Apostolica “Rosarium Virginis Mariae”, dedicata alla preghiera del rosario. Con essa il Papa invita a riscoprire “la profondità mistica racchiusa nella semplicità di questa preghiera” che, essendo soprattutto meditazione dei misteri della vita e dell’opera di Gesù, porta a “conformare sempre più la propria esistenza a quella di Cristo”, parole sue. Per sottolineare questa finalità del rosario, il Papa ha aggiunto ai misteri tradizionali altri cinque, centrati in momenti-chiave della vita pubblica di Gesù (il battesimo nel Giordano, le nozze di Cana, l’annuncio del Regno di Dio con l’invito alla conversione, la trasfigurazione e l’istituzione dell’Eucaristia), e li ha definiti “misteri della luce”.
Ott 15, 2002 | Chiesa
INTRODUZIONE
1. Il Rosario della Vergine Maria, sviluppatosi gradualmente nel secondo Millennio al soffio dello Spirito di Dio, è preghiera amata da numerosi Santi e incoraggiata dal Magistero. Nella sua semplicità e profondità, rimane, anche in questo terzo Millennio appena iniziato, una preghiera di grande significato, destinata a portare frutti di santità. Essa ben s’inquadra nel cammino spirituale di un cristianesimo che, dopo duemila anni, non ha perso nulla della freschezza delle origini, e si sente spinto dallo Spirito di Dio a “ prendere il largo ” (“ duc in altum! ”) per ridire, anzi ’gridare’ Cristo al mondo come Signore e Salvatore, come “ la via, la verità e la vita ” (Gv 14, 6), come “ traguardo della storia umana, il fulcro nel quale convergono gli ideali della storia e della civiltà ”.1 Il Rosario, infatti, pur caratterizzato dalla sua fisionomia mariana, è preghiera dal cuore cristologico. Nella sobrietà dei suoi elementi, concentra in sé la profondità dell’intero messaggio evangelico, di cui è quasi un compendio.2 In esso riecheggia la preghiera di Maria, il suo perenne Magnificat per l’opera dell’Incarnazione redentrice iniziata nel suo grembo verginale. Con esso il popolo cristiano si mette alla scuola di Maria, per lasciarsi introdurre alla contemplazione della bellezza del volto di Cristo e all’esperienza della profondità del suo amore. Mediante il Rosario il credente attinge abbondanza di grazia, quasi ricevendola dalle mani stesse della Madre del Redentore. I Romani Pontefici e il Rosario 2. A questa preghiera hanno attribuito grande importanza tanti miei Predecessori. Particolari benemerenze ebbe, al riguardo, Leone XIII che il 1 (altro…)
Ott 14, 2002 | Centro internazionale
Una prima fase dell’assemblea è stata dedicata ad un approfondimento degli sviluppi del Movimento, diffuso attualmente in 182 nazioni, specie sui fronti della comunione fra nuovi e antichi carismi all’interno della Chiesa cattolica, con cristiani di 350 Chiese e comunità ecclesiali, e dei rapporti di fraternità stabiliti con singoli e Movimenti di altre religioni tra cui ebrei, musulmani, indù e buddisti e con persone di convinzioni non religiose, coinvolti nell’unico obiettivo, proprio del Movimento dei Focolari, di contribuire a ricomporre in unità, nella fraternità, la famiglia umana. La seconda fase dell’assemblea è dedicata ad alcuni giorni di ritiro ed alle votazioni. Momento culminante, l’udienza del Papa che consegnerà a Chiara Lubich un atteso messaggio. Insieme a Chiara Lubich, al baciamano dal Papa vi saranno tre rappresentanti del Consiglio Generale e Leslie Ellison, anglicana, la prima focolarina di altre Chiese, una dei 10 focolarine e focolarini, osservatori, delle Chiese: ortodossa di Romania, di Antiochia, siro-ortodossa, anglicana, evangelico-luterana e riformata dell’Olanda e della Svizzera. Il Movimento dei Focolari, nato il 7 dicembre 1943, sta per entrare nel suo 60
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Ott 14, 2002 | Focolari nel Mondo, Senza categoria
Inizio: Trento, 7 dicembre 1943. Spiritualità dell’unità: Anima l’intero movimento. E’ condivisa in vario modo anche da membri, aderenti e simpatizzanti non solo cattolici, ma anche cristiani di varie Chiese e comunità ecclesiali, da fedeli di varie religioni e da persone di convinzioni e orientamenti culturali diversi. E’ l’humus da cui traggono linfa molteplici concretizzazioni. Scopo: Contribuire alla fratellanza universale e comporre in unità nella diversità, la famiglia umana attraverso 4 dialoghi: – all’interno della Chiesa cattolica – tra cristiani di varie Chiese e Comunità ecclesiali – tra fedeli di altre religioni – con persone di buona volontà di convinzioni diverse Diffusione: – attualmente in 182 Paesi. – Inizio: in Europa dal 1952; in America dal 1958; in Africa dal 1965; in Asia dal 1966; in Australia dal 1967. Appartenenza: – membri: n. 141.280 – aderenti e simpatizzanti: n. 2.237.000 di cui: – circa 50.000 di 350 Chiese e comunità ecclesiali. – oltre 30.000 di varie religioni tra cui ebrei, musulmani, buddisti, indù, taoisti. – oltre 100.000 gli “amici di convinzioni diverse”. – irradiazione: vari milioni, difficilmente quantificabile Composizione: Alla guida del Movimento vi è la Presidente, attualmente Chiara Lubich. Per Statuto sarà sempre una donna, coadiuvata da un co-Presidente e da un Consiglio. Il Movimento, pur essendo una realtà unica, per la varietà delle persone che lo compongono (famiglie, giovani, sacerdoti, religiosi e religiose di varie congregazioni, e vescovi), si snoda in 22 diramazioni di cui: – 2 sezioni: i Focolari (maschile e femminile) che sono la “struttura portante” dell’Opera, – 14 branche, – 6 movimenti ad ampio raggio: Famiglie Nuove, Umanità Nuova, Movimento Parrocchiale, Movimento Diocesano, Giovani per un mondo unito, Ragazzi per l’unità. Il Movimento è suddiviso territorialmente in 75 zone. Sviluppi più recenti nei diversi ambiti: Cultura “Scuola Abba” – Nata nel 1990 per approfondire la dimensione dottrinale del carisma dell’unità, è composta da Chiara Lubich e una trentina di esperti di varie discipline. Dal 1998 sono coinvolti in questo studio anche altri trecento docenti ed esperti nei vari ambiti, di diversi Paesi. Economia “Economia di Comunione”, progetto economico nato nel 1991. Ispira la gestione di oltre 760 aziende e attività produttive nei 5 continenti e dà vita anche a 3 poli imprenditoriali nei pressi delle cittadelle di Vargem Grande Paulista (Brasile), di O’Higgins (Argentina) e di Loppiano (Incisa in Val d’Arno – Firenze). Ha riflessi anche nel campo delle scienze economiche: oltre 100 tesi di laurea in diversi Paesi e congressi di studio promossi da Atenei e organismi nazionali e internazionali. Politica – “Movimento politico per l’unità” per una politica di comunione sorto nel 1996, diffuso in vari Paesi d’Europa, specie in Italia, e in America Latina. Attività editoriale: – “Città Nuova”, casa editrice italiana con oltre 85 titoli l’anno. – 25 case editrici in altri Paesi, pubblicano oltre 215 titoli l’anno. – “Città Nuova”, quindicinale di opinione; 34 le edizioni in altrettante nazioni, per 22 lingue. – “Nuova Umanità”, rivista bimestrale di cultura. – “Gen’s” e “Unità e Carismi”: riviste per sacerdoti e religiosi, bimestrali in diverse lingue. – “Economia di Comunione. Una cultura nuova”, periodico quadrimestrale. – “Parola di Vita”, foglio mensile con commento spirituale-teologico di una frase della Scrittura, tradotto in 90 lingue e idiomi, con tiratura di oltre 3.000.000 di copie. – Sito web ufficiale internazionale: www.focolare.org Strutture formative e di irradiazione: – 32 cittadelle di testimonianza (Italia, Svizzera (2), Austria, Germania (2), Belgio, Olanda, Gran Bretagna, Irlanda, Francia, Spagna, Portogallo, Croazia, Polonia, Cechia, Stati Uniti, Messico, Brasile (3), Argentina (2), Cile, Venezuela, Filippine, Camerun, Costa d’Avorio, Kenya, Pakistan, Libano, Australia) e 5 nascenti. La più sviluppata è a carattere internazionale: Loppiano (Incisa in Val d’Arno – FI) con 800 abitanti di 70 nazioni. – 63 sono i “Centri Mariapoli” per la formazione spirituale e sociale dei membri, in 46 nazioni. 9 in Italia, oltre il Centro internazionale che ha sede a Castelgandolfo (Roma). – Convegni annuali di più giorni, detti “Mariapoli”, si svolgono in circa 70 paesi. – Scuole specializzate d’inculturazione, di ecumenismo, di dialogo interreligioso, sociali, si svolgono annualmente in vari Paesi. – Centro S. Chiara per la produzione e diffusione di audiovisivi per favorire la comunione nel Movimento data la sua grande estensione. – Centri d’arte e gruppi artistico-musicali, i più noti: “Centro Ave”, “Gen Verde” e “Gen Rosso”. – “Incontri Romani” : Centro di accoglienza turistica a Roma. Manifestazioni internazionali, a Roma: – “Genfest”, festival dei giovani ogni 5 anni: il 6
Ott 14, 2002 | Focolari nel Mondo, Senza categoria
Gli inizi Chiara Lubich nasce a Trento (Italia) il 22 gennaio 1920, seconda di quattro figli. La madre è fervente cattolica, il padre socialista. Poco più che ventenne, insegna alle scuole elementari ed inizia gli studi di filosofia all’Università di Venezia, spinta da un’appassionata ricerca della Verità, quando durante la seconda guerra mondiale, sul crollo di ogni cosa, comprende che solo Dio resta. Fa di Dio-Amore (cf 1 Gv 4,8). l’ideale della sua vita, scegliendolo come unico Tutto: il 7 dicembre 1943 è la data che segna convenzionalmente gli inizi del Movimento che nascerà. 13 maggio 1944 – Trento è colpita da uno dei più violenti bombardamenti. Anche casa Lubich è colpita. Mentre i familiari sfollano in montagna, Chiara decide di rimanere a Trento per non abbandonare la nuova vita nascente. Tra le macerie abbraccia una donna impazzita dal dolore che le grida la morte di 4 parenti. Avverte la chiamata ad abbracciare il dolore dell’umanità. Dopo poco troverà un appartamento che condividerà con le sue prime compagne. Nei rifugi antiaerei portano con loro solo il Vangelo. Quelle parole si illuminano di una luce nuova. Avvertono la spinta a tradurle immediatamente in vita. E’ tra i poveri di Trento che inizia quella che Chiara definisce “una divina avventura”. “Qualunque cosa hai fatto al minimo l’hai fatta a me” (Mt 25,40). Condividono con i poveri tutto ciò che hanno. In piena guerra, viveri, vestiario e medicinali arrivano con insolita abbondanza, per le molte necessità. Sperimentano l’attuarsi delle promesse evangeliche: “Date e vi sarà dato” (Lc 6,38), “chiedete e otterrete” (Lc 11,9). Di qui la convinzione che nel Vangelo vissuto è la soluzione di ogni problema individuale e sociale. Nelle parole di Gesù, calate una ad una nel quotidiano e in particolare nel comandamento che Gesù dice “nuovo” e suo, “amatevi l’un l’altro come io ho amato voi” (Gv 15,12) intuiscono esservi la legge perché l’umanità disgregata si ricomponga sul modello della Trinità. Colgono la misura di questo amore nel culmine della sofferenza di Gesù sulla croce che dà la sua vita e giunge a gridare “Dio, mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Sperimentano gioia, pace, forza, frutti dello Spirito per la presenza viva del Risorto da lui promessa a “due o tre riuniti nel suo nome” (Mt 18,20), cioè nel suo amore. E nel testamento di Gesù “Che tutti siano uno” (Gv 17,21), trovano il perché della loro vita: “eravamo nate per l’unità, per concorrere a realizzarla nel mondo”. Vari giovani operai e professionisti, attratti dalla radicalità evangelica, si uniscono a quel primo gruppo. Ben presto anche famiglie, persone di ogni categoria ed età, sacerdoti e religiosi. Dopo pochi mesi in 500 sono coinvolti in una comunione spontanea di beni materiali e spirituali, modellata sullo stile della comunità dei primi cristiani dove “erano un cuor solo ed un’anima sola e tutto era tra loro in comune” (At 4,32). Il vescovo di Trento, Carlo De Ferrari afferma: “Qui c’è il dito di Dio” e dà la sua prima approvazione. Diffusione e sviluppi Dal Vangelo vissuto scaturisce una corrente di spiritualità, una spiritualità dell’unità spiccatamente comunitaria, che verrà riconosciuta dalla Chiesa cattolica e dalle altre Chiese come effetto di uno dei carismi che lo Spirito Santo ha suscitato in questo tempo per risvegliare la vita del Vangelo. Da quel piccolo gruppo nasce e si diffonde un movimento di rinnovamento spirituale e sociale chiamato Movimento dei Focolari. Il Movimento, pur essendo una realtà unica, per la varietà delle persone che lo compongono (famiglie, giovani, sacerdoti, religiosi e religiose di vari istituti, e vescovi), si snoda in 22 diramazioni, di cui 6 movimenti ad ampio raggio: Famiglie Nuove, Umanità Nuova, Movimento Parrocchiale, Movimento Diocesano, Giovani per un mondo unito, Ragazzi per l’unità. Con gli anni assume le dimensioni di un piccolo popolo diffuso in tutto il mondo; dagli anni ’90, in oltre 180 Paesi, con più di 2 milioni di aderenti cattolici e 50.000 cristiani di 350 Chiese e Comunità ecclesiali. Via via anche fedeli di varie religioni, persone di convinzioni non religiose, sono coinvolte in un unico progetto: vivere e diffondere la fratellanza universale per contribuire a comporre in unità la famiglia umana, specie dove più dominano conflitti e divisioni. Il Movimento, in continuo sviluppo – come afferma Chiara Lubich stessa – ’non è stato pensato da mente umana, ma viene dall’Alto. Noi cerchiamo di seguire la Sua volontà giorno dopo giorno’. Dall’incontro, nel 1948, con Igino Giordani, deputato, scrittore, ecumenista, padre di 4 figli, il Movimento nascente ha una sua nuova apertura sul sociale, sulla famiglia e poi sul mondo ecumenico, tanto che Giordani viene considerato confondatore. Per l’impatto con la sofferenza della Chiesa dell’oltre cortina, nell’incontro con chi era riuscito a fuggire, la spiritualità dell’unità si diffonderà in tutto l’Est europeo sin dagli anni sessanta. Gli influssi del carisma dell’unità Si creano ovunque “brani di fraternità” innanzitutto attraverso i dialoghi fra persone della stessa Chiesa, tra cristiani di diverse tradizioni, fedeli di varie religioni, persone senza convinzioni religiose e attraverso l’impegno nei diversi ambiti della società. Fraternità possibile perché – come più volte ha affermato Chiara – “noi tutti siamo stati creati a immagine e somiglianza di Dio che è Amore. E l’imperativo di amare è iscritto nel DNA di ogni uomo”. I fratelli cristiani di altre Chiese, avendo in comune con i cattolici il battesimo, la Sacra Scrittura, il Credo, i primi Concili e la spiritualità dell’unità, che fanno propria per quanto possono, formano con i cattolici del Movimento in un dialogo detto “del popolo”, una realtà cristiana così forte da pensarla come una sola anima cristiana che potrà animare l’unica Chiesa, tensione e frutto dell’ecumenismo. Il dialogo interreligioso nasce per l’interesse mostrato da ebrei, musulmani e indù a Londra dove, nel 1977, alla cerimonia del premio Templeton, conferitole per il progresso della religione, Chiara narra la sua esperienza. E’ invitata a portare la sua esperienza spirituale in templi buddisti, come a Tokyo, all’inizio degli anni ’80, e 15 anni dopo in Tailandia; alla fine degli anni ’90 nella Moschea Malcolm X, di Harlem (New York). Si aprono all’interesse per la spiritualità dei Focolari 40 moschee di varie città degli Stati Uniti, centri ebraici. Nasce una fraternità che si mostrerà particolarmente preziosa dopo gli attentati dell’11 settembre negli Stati Uniti. E infine il dialogo con persone d’altre convinzioni per lavorare insieme alla salvaguardia dei valori umani. Nella società – L’esperienza del “date e vi sarà dato” evangelico, vissuta agli inizi, si ripete con gli anni, nelle più diverse situazioni quotidiane per la comunione dei beni che diventa stile di vita nel Movimento. Si sperimenta in modo particolare nelle oltre 1000 opere e attività sociali. Nei Paesi emergenti, gli indigenti stessi trovano una via per riscattarsi da situazioni subumane. E’ per l’impatto con il dramma della miseria alle periferie di una metropoli come São Paulo, che Chiara dà il via, durante un viaggio nel 1991 in Brasile, al progetto dell’Economia di Comunione. Ispira ora la gestione di centinaia di aziende nel mondo e fa intravedere una nuova teoria economica. La crisi politica che percorre l’Italia e molti Paesi, a metà degli anni ’90, suscita la nascita del ’Movimento politico per l’unità’ che assume la fraternità come categoria politica. Il Vangelo penetra, attraverso persone delle più diverse categorie, non solo nei mondi dell’economia, del lavoro e della politica, ma anche nei mondi del diritto, filosofia, pedagogia, arte, comunicazione sociale, scienze, sanità ed ecologia, imprimendo nei vari ambiti la dimensione della comunione, della solidarietà. E’ un contributo a quella globalizzazione della solidarietà e della comunione invocata come antidoto alla globalizzazione che provoca sempre più gravi disuguaglianze sociali e culturali. La Scuola Abbà, guidata da Chiara insieme a vari studiosi, sta elaborando una nuova dottrina che fiorisce dall’humus della spiritualità e getta luce sulle varie discipline. Questo influsso innovativo è riconosciuto da Università di varie parti del mondo che hanno conferito a Chiara numerose lauree honoris causa. “Lo sviluppo del Movimento dei Focolari getta ponti tra le persone, le generazioni, le categorie sociali e i popoli, in un’epoca in cui le differenze etniche e religiose conducono troppo spesso a conflitti violenti”: è la motivazione del Premio Unesco ’96 per l’Educazione alla Pace. Questo contributo è riconosciuto anche da altri premi internazionali, come il Premio Diritti Umani ’98, e da cittadinanze onorarie conferitele da città come Buenos Aires, Roma, Firenze. In questi tempi, in cui la donna chiede di svolgere nella società e nella Chiesa il ruolo che le è proprio, Chiara Lubich, con la sua vita, mostra quale è il suo specifico: il carisma dell’amore che fa unità. Gli Statuti del Movimento dei Focolari, riconosciuti dalla Chiesa cattolica, confermano che una donna laica presieda, anche in futuro, un movimento con le più diverse vocazioni.
Set 30, 2002 | Parola di Vita
Il dibattito su quale fosse il primo tra i tanti comandamenti delle Scritture era un tema classico che le scuole rabbiniche si ponevano al tempo di Gesù. Gesù, considerato un maestro, non elude la domanda che gli viene posta in proposito: “Qual è il più grande comandamento della legge?”. Egli risponde in maniera originale, unendo amore di Dio e amore del prossimo. I suoi discepoli non possono mai disgiungere questi due amori, come in un albero non si possono separare le radici dalla chioma: più amano Dio, più intensificano l’amore ai fratelli e alle sorelle; più amano i fratelli e le sorelle, più approfondiscono l’amore per Dio.
Gesù sa, come nessun altro, chi è veramente il Dio che dobbiamo amare e sa come debba essere amato: è il Padre suo e Padre nostro, Dio suo e Dio nostro (cf Gv 20,17). È un Dio che ama ciascuno personalmente; ama me, ama te: è il mio Dio, il tuo Dio (“Amerai il Signore Dio tuo”).
E noi possiamo amarlo perché ci ha amato per primo: l’amore che ci è comandato è, dunque, una risposta all’Amore. Possiamo rivolgerci a Lui con la stessa confidenza e fiducia che aveva Gesù quando lo chiamava Abbà, Padre. Anche noi, come Gesù, possiamo parlare spesso con Lui, esponendogli tutte le nostre necessità, i propositi, i progetti, ridicendogli il nostro amore esclusivo. Anche noi vogliamo attendere con impazienza che arrivi il momento per metterci in contatto profondo con Lui mediante la preghiera, che è dialogo, comunione, intenso rapporto d’amicizia. In quei momenti possiamo dare sfogo al nostro amore: adorarlo al di là del creato, glorificarlo presente ovunque nell’universo intero, lodarlo nel fondo del nostro cuore o vivo nei tabernacoli, pensarlo lì dove siamo, nella stanza, al lavoro, nell’ufficio, mentre ci troviamo con gli altri…
«Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente»
Gesù ci insegna anche un altro modo d’amare il Signore Dio. Per Gesù amare ha significato compiere la volontà del Padre, mettendo a disposizione la mente, il cuore, le energie, la vita stessa: si è dato tutto al progetto che il Padre aveva su di Lui. Il Vangelo ce lo mostra sempre e totalmente rivolto verso il Padre (cf Gv 1,18), sempre nel Padre, sempre intento a dire solo quello che aveva udito dal Padre, a compiere solo quanto il Padre gli aveva detto di fare. Anche a noi chiede lo stesso: amare significa fare la volontà dell’Amato, senza mezze misure, con tutto il nostro essere: “con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Perché l’amore non è un sentimento soltanto. “Perché mi chiamate: Signore, Signore, e poi non fate ciò che dico?” (Lc 6,46), domanda Gesù a chi ama soltanto a parole.
«Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente»
Come vivere allora questo comando di Gesù? Intrattenendo senz’altro con Dio un rapporto filiale e di amicizia, ma soprattutto facendo quello che Lui vuole. Il nostro atteggiamento verso Dio, come quello di Gesù, sarà essere sempre rivolti verso il Padre, in ascolto di Lui, in obbedienza, per compiere la sua opera, solo quella e non altro.
Ci è chiesta, in questo, la più grande radicalità, perché a Dio non si può dare meno di tutto: tutto il cuore, tutta l’anima, tutta la mente. E ciò significa fare bene, per intero, quell’azione che Lui ci chiede.
Per vivere la sua volontà e uniformarsi ad essa, spesso occorrerà bruciare la nostra, sacrificando tutto ciò che abbiamo in cuore o nella mente, che non riguarda il presente. Può essere un’idea, un sentimento, un pensiero, un desiderio, un ricordo, una cosa, una persona…
E così eccoci tutti lì in quanto ci viene domandato nell’attimo presente. Parlare, telefonare, ascoltare, aiutare, studiare, pregare, mangiare, dormire, vivere la sua volontà senza divagare; fare azioni intere, pulite, perfette, con tutto il cuore, l’anima, la mente; avere come unico movente di ogni nostra azione l’amore, così da poter dire, in ogni momento della giornata: “Sì, mio Dio, in quest’attimo, in quest’azione t’ho amato con tutto il cuore, con tutta me stessa”. Solo così potremo dire che amiamo Dio, che contraccambiamo il suo essere Amore nei nostri confronti.
«Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente»
Per vivere questa Parola di vita sarà utile, di tempo in tempo, analizzare noi stessi per vedere se Dio è veramente al primo posto nella nostra anima.
E allora, per concludere, cosa dobbiamo fare in questo mese? Scegliere nuovamente Dio come unico ideale, come il tutto della nostra vita, rimettendolo al primo posto, vivendo con perfezione la sua volontà nell’attimo presente. Dobbiamo potergli dire con sincerità: “Mio Dio e mio tutto”, “Ti amo”, “Sono tutta tua”, “Sei Dio, sei il mio Dio, il nostro Dio d’amore infinito!”.
Chiara Lubich
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Set 10, 2002 | Non categorizzato
Su che cosa credi che sia possibile fondare la speranza di poter cambiare un giorno questa realtà?
Anche se è passato un anno ormai, è certamente ancor vivo nei nostri cuori quel tristissimo 11 settembre col crollo delle due Torri Gemelle a New York. Ed è vivo in modo particolare in quest’ultimo periodo, in cui sembrano profilarsi nuove analoghe minacce di terrorismo. Ebbene, di fronte a questa situazione e a tutte le altre forme di violenza, si fa sempre più strada il pensiero di spiriti eletti e illuminati che tutto ciò non sia frutto solamente dell’odio fra singoli o popoli, ma sia anche effetto dell’oscura forza del Male con la M maiuscola, delle Tenebre, come ebbe a dire il papa. La situazione, dunque, è seria. Perché, se le cose sono così, non è sufficiente opporsi a tanto pericolo con sole forze umane. Occorre impegnare le forze del Bene con la B maiuscola. Questo Bene è anzitutto Dio e tutto ciò che ha radice in lui: il mondo dello spirito, dei grandi valori, dell’amore vero, della preghiera. È qui il perché di Assisi: il 24 gennaio scorso, quando Giovanni Paolo II ha invitato per la seconda volta i rappresentanti delle più grandi religioni del mondo nella città di san Francesco per invocare dal cielo la pace. Ma notiamo anche altri mali, come ad esempio i grandi interessi economici e politici che mantengono nell’estrema indigenza e nella sottomissione economica paesi interi.
Chiara, come vedi l’11 settembre ad un anno di distanza?
Le cause del terrorismo sono più d’una: basti pensare allo squilibrio che esiste, nel mondo, fra paesi poveri e paesi ricchi, squilibrio che genera odio e scatena orribili vendette; mentre il piano di Dio sull’umanità sarebbe quello d’essere tutti fratelli, in una sola grande famiglia con un solo Padre. Occorre perciò – i tempi lo reclamano – una più equa distribuzione dei beni. Ma i beni non si muovono da sé se non si muovono i cuori. Di qui l’urgenza che l’ideale della fraternità pianti radici in tutti i popoli ed in modo speciale fra i politici anche di nazioni diverse.
Un sogno?
Per chi crede unicamente nelle proprie forze, sì. Ma, per chi crede in Colui che guida la storia, nessun sogno è impossibile. Ed è ciò che spera il “Movimento dell’unità”, forse piccolo Davide di fronte a Golia. Assieme a quanti altri sono impegnati a fare la propria parte”.
Set 10, 2002 | Non categorizzato
L’11 settembre è presente nella mente di tutti come fosse successo ieri. Invece è passato un anno e se ci domandiamo che cos’è cambiato in noi ed attorno a noi, oltre agli incubi che spesso vengono ad occupare i sogni di persone che una volta si sentivano sicure nelle loro case e nei loro uffici, si può dire che l’America non è più e non sarà forse mai più la stessa.
Non si parla qui di governanti e di strategie politiche, ma di gente comune, quella che incontri per la strada tutti i giorni. E Bush, che ultimamente ha molto parlato di amore del prossimo e di altruismo, in realtà riflette l’opinione pubblica – ci diceva Harry Barrett, presidente del Medical College di New York -: "I politici sono molto attenti ai sentimenti popolari. Ne è un esempio anche come si siano trovati d’accordo, pur di partiti diversi, durante la controversia sulla costituzionalità o meno di chiamarci ’Una nazione sotto Dio’ nella promessa di fedeltà alla bandiera".
"Siamo tutti più seri – ci ha commentato -. Migliaia di vite che scompaiono in pochi minuti ed improvvisamente, la difficoltà di identificare tante vittime, sono fatti che non possono non far riflettere su ciò che vale. C’è una porta aperta oggi in America per chi vuol portare la realtà dell’unità".
Harry Barrett spera che non si costruisca dove una volta c’erano le torri, anche se ora si parla di grossi progetti edilizi per un risveglio dell’economia nella città di New York.
Speriamo che prevalga il buon senso.
"Altrimenti – dice Barrett – ci vuole un’economia nuova".
Anche i cervelli di Hollywood hanno vissuto momenti difficili. Era tempo di Bambi o di Rambo? Certi film buoni, che una volta avrebbero cestinato, sono stati messi in circolazione subito. E ora? Potrebbe tutto tornare come prima, ma c’è nell’aria una speranza. È il momento in cui si potrebbe dare una svolta ai contenuti delle pellicole. Anche qui ci vuole il coraggio di sognare.
Non c’e periodico che non abbia uno o due articoli sull’11 settembre e questo si va intensificando quanto più ci si avvicina all’anniversario. Difficile anche perché la gente sa che dopo il primo impatto e il senso di solidarietà sentito in tutto il mondo, ora l’America è criticata ed anche a Kabul vi è stata la prima manifestazione antiamericana.
Si è sentito il 4 luglio, festa dell’indipendenza, festa di solito gioiosa con bandiere sì, ma anche con hot dogs ed apple pie. Quest’anno si son preparate le cose forse anche più in grande di prima, ma la tensione, dopo tutti gli avvertimenti di possibili attacchi terroristici, era molto alta. E le solite parole sulla potenza e grandezza del paese avevano qualcosa di forzato, mentre ci si guardava alle spalle per il timore costante di un nemico insidioso che ti può inquinare l’acqua che bevi ed ha reso i viaggi un incubo.
Sulla copertina del Time Magazine del primo luglio, sovrapposte ad una grande croce si leggono le parole: "La Bibbia e l’Apocalisse. Un maggior numero di americani leggono e parlano della fine del mondo". Un articolo poi dello stesso giornale dice come un sondaggio del Time/Cnn indica che un terzo degli americani non solo sono interessati alla fine del mondo, ma parlano della Bibbia e di quanto ha da dire al riguardo. Un segno – si afferma – del momento difficile che il paese sta vivendo.
Dopo quelli sulla fine del mondo vengono i libri sui pompieri. "Firefighters are hot, i pompieri vanno per la maggiore", sottolinea il settimanale Time; ed elenca vari libri su di loro che stanno circolando nelle librerie.
Secondo nella lista dei bestseller indicati dal New York Times è il libro di Dennis Smith, Report from Ground Zero.
Dopo 18 anni di lavoro tra i pompieri, Smith racconta nel suo libro storie di colleghi, porta con sé i lettori a Ground Zero e lì li fa restare per i tre mesi di ricerca dolorosa degli scomparsi. Per Dennis la piaga è sempre aperta, troppi dei suoi amici non sono usciti dalle Torri. È come se fosse successo ieri. Ora teme che il tempo cancelli nel mondo il ricordo di quanto è accaduto.
"Ci ha messo dentro un’energia che ci fa procedere in modo positivo e anche arriverà al resto del mondo".
Perché è successo? Cosa c’è da imparare da tutto questo? Forse un senso della necessità di un’unità planetaria?
Smith pensa di sì. "Gli americani – afferma – devono rendersi conto che c’è tanta fame nel mondo".
Buona volontà?
Ce n’è tanta come popolo, ma non nasconde le difficoltà politiche e ideologiche.
Ricorda i giorni in cui lavorava nel South Bronx, quando, ancora giovane, si era accorto che c’era un nuovo tipo di povertà. Vedeva bambini con biciclette nuovissime in quartieri desolati e aveva capito che "non erano meno poveri perché avevano una bicicletta nuova". Così quando si pensa a paesi poveri, la gente può aver poco ma possiede spesso una televisione.
"Ogni giorno vedono americani ed europei, vedono come vivono e gli eccessi della loro cultura".
I pompieri sempre eroi? "Sì, perché ci vuole coraggio fisico e morale".
Smith è stato uno di loro e questa forza morale gli dà speranza ad un anno dalla tragedia. "Sento la voce dell’amore e dell’amicizia, è la voce di Ground Zero. È la voce della generosità, decisione, forza. È la voce della tragedia, della tristezza, del dolore, dell’ispirazione.
La voce dell’America".
L’America che lui ha in cuore e tanti sperano sia vista così in tutto il mondo.
Serenella Silvi – da Città Nuova
Set 4, 2002 | Sociale
In diretta sul più grande canale televisivo nazionale, un premio “per la determinazione politica mostrata nello speri- mentare nuove iniziative vincenti di fronte ai grandi contrasti, a servizio dei ’più poveri tra i poveri’, attraverso programmi che considerano l’uomo nella sua interezza”. Il premio è stato assegnato dal Consiglio degli Affari Filippini al centro sociale “Bukas Palad” di Manila, nella persona di Irene De Los Angeles, fra i primi membri dei Focolari nelle Filippine, riconosciuta come “eroe del popolo… per il servizio umanitario, per lo sviluppo della comunità, incarnato ed esemplificato nei quasi vent’anni di programmi e attività del suddetto centro”. Il Centro, sorto in uno dei quartieri più miserabili di Manila, ha operato una profonda trasformazione sociale. La motivazione del Premio riconosce le radici di questo impegno nello “spirito ferreo, la fede in Dio e l’amore incondizionato per i fratelli, nelle infinite possibilità di servire i più poveri tra i poveri”.
Durante la premiazione, Irene De Los Angeles ha accettato pubblicamente il riconoscimento a nome del Movimento dei Focolari, e soprattutto delle innumerevoli famiglie di “Bukas Palad”, i veri protagonisti. Nel suo intervento, ha delineato la spiritualità di comunione, quale forza interiore per portare avanti il lavoro affidatole, partendo dalla scoperta di Dio Amore che porta l’unità fra i ricchi e i poveri. Il Consiglio degli Affari Filippini è nato nel 1998, per il desiderio di alcune persone di avere una società dove tutti possano avere accesso ai diritti fondamentali, promuovendo un alto livello di servizio pubblico e di responsabilità morale con competenza professionale e trasparenza nel governo e nella società. Riconosce, quindi, individui e gruppi che promuovono sia partecipazione democratica che eroismo comunitario. (altro…)
Set 4, 2002 | Sociale
Oggi anche a Tagaytay, Cebu e Davao “Bukas Palad” è un centro che sorge in uno dei quartieri più poveri di Manila, per lo sviluppo integrale della persona, della famiglia e della società. Centri simili sono nati a Tagaytay, presso la Cittadella Pace, a Cebu, cuore dell’arcipelago filippino e nell’estremo sud, a Davao, dove è forte la presenza dei musulmani.
23 programmi di assistenza: si sono raggiunte più di 6.000 famiglie; nelle scuole e nel collegio si insegna a oltre 3.200 bambini e ragazzi; sono curate negli ambulatori più di 7.000 persone; sono distribuiti pasti e latte a più di 2000 bambini quotidianamente; ci sono 1.872 adozioni a distanza; il controllo della tbc è esteso continuativamente a molte persone e i governi tedesco e filippino hanno premiato “Bukas Palad” per l’efficacia nel combattere tale malattia; si stanno offrendo prestiti per iniziare piccole attività per circa 1.600 famiglie; riparazione delle case per 259 famiglie e allestimento servizi per 285; inoltre sono numerosi i corsi per la pianificazione delle nascite seguendo i metodi naturali. Produzioni artigianali: una sartoria, una falegnameria, una panetteria, una gelateria, oltre a negozi di generi alimentari a basso costo per più di 4.500 famiglie. Alcune novità: una scuola di computer per giovani; un workshop estivo per giovani e coppie. Sono state costruite 50 case popolari, dove le famiglie dei nostri poveri si autogestiscono. Nei quattro centri in cui è suddivisa “Bukas Palad” lavorano ora 60 persone a tempo pieno e 330 volontari. In questi anni molti di loro hanno voluto aderire alla vita ed allo spirito del Movimento. Luogo di incontro con persone di altre religioni – Sin dalla sua nascita “Bukas Palad” è stato luogo d’incontro in particolare con i buddisti del Giappone, i taoisti di Cebu e i musulmani di Davao. Persone di convinzioni diverse vi hanno prestato servizio, scoprendo la bellezza della comunità cristiana. Incidenza nella coscientizzazione sociale – “Bukas Palad” ha inciso profondamente nel tessuto sociale filippino, operando una coscientizzazione sociale, a volte mancante nel Paese. Ambasciate, banche, scuole, ospedali e diverse Ong hanno deciso di collaborare, coinvolgendo centinaia di persone. Gli inizi – Nel 1983, un gruppetto di giovani aveva iniziato il centro in uno dei quartieri più poveri di Manila, “Bukas Palad” (che significa “a mani aperte”), scegliendo come motto: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8). Gli inizi sono stati più che modesti: una rivendita di vestiti usati fruttò 2.000 pesos (circa 150 dollari); con essi diedero vita ad un piccolo ambulatorio. L’ambiente attorno era miserabile: lungo un canale, una fila di baracche, niente acqua né luce, niente servizi igienici: un immenso immondezzaio. Malattie, disoccupazione, criminalità, disperazione… Appena si sparse la voce dell’esistenza di questo centro, molti iniziarono ad affluire da ogni parte. Quelle ragazze capirono che Dio forse voleva di più da loro: non bastava un medico ogni tanto o la buona volontà di alcune infermiere. Diversi membri del Movimento cominciarono così a prestare i loro servizi.
Ago 31, 2002 | Parola di Vita
Questa Parola di vita è tratta da uno dei libri dell’Antico Testamento, scritto, tra il 180 e il 170 avanti Cristo, da Ben Sira, un saggio, uno scriba, che svolgeva la sua funzione di maestro a Gerusalemme. Egli insegna un tema caro a tutta la tradizione sapienziale biblica: Dio è misericordioso verso i peccatori e il suo modo di agire deve essere da noi imitato. Il Signore perdona tutte le nostre colpe perché “è buono e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore” (Cf Sl 103,3.8). Chiude gli occhi per non vedere più i nostri peccati (Cf Sap 11,23), li dimentica gettandoseli dietro le spalle (Cf Is 38,17). Egli infatti, scrive ancora Ben Sira, conoscendo la nostra piccolezza e miseria, “moltiplica il perdono”. Dio perdona perché, come ogni padre, come ogni madre, vuol bene ai figli suoi e quindi li scusa sempre, copre i loro sbagli, dà loro fiducia e li incoraggia senza stancarsi mai.
Perché padre e madre, a Dio non basta amare e perdonare i suoi figli e le sue figlie. Il suo grande desiderio è che essi si trattino da fratelli e sorelle, vadano d’accordo, si vogliano bene, si amino. La fratellanza universale, ecco il grande progetto di Dio sull’umanità. Una fraternità più forte delle inevitabili divisioni, tensioni, rancori che si insinuano con tanta facilità per incomprensioni e sbagli.
Spesso le famiglie si sfasciano perché non ci si sa perdonare. Odi antichi mantengono la divisione tra parenti, tra gruppi sociali, tra popoli. A volte c’è addirittura chi insegna a non dimenticare i torti subiti, a coltivare sentimenti di vendetta… Ed un rancore sordo avvelena l’anima e corrode il cuore.
Qualcuno pensa che il perdono sia una debolezza, No, è l’espressione di un coraggio estremo, è amore vero, il più autentico perché il più disinteressato. “Se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete?” – dice Gesù – questo lo sanno fare tutti: “Voi amate i vostri nemici.” (Cf Mt 5,42-47)
Anche a noi viene chiesto di avere, imparando da Lui, un amore di padre, un amore di madre, un amore di misericordia nei confronti di quanti incontriamo nella nostra giornata, specialmente di chi sbaglia. A quanti poi sono chiamati a vivere una spiritualità di comunione, ossia la spiritualità cristiana, il Nuovo Testamento chiede ancora di più: “Perdonatevi scambievolmente” (Cf Col 3,13). L’amore reciproco domanda quasi un patto fra noi: essere sempre pronti a perdonarci l’un altro. Solo così potremo contribuire a creare la fraternità universale.
«Perdona l’offesa al tuo prossimo e allora per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati»
Queste parole non soltanto ci invitano a perdonare, ma ci ricordano che il perdono è la condizione necessaria perché anche noi possiamo essere perdonati. Dio ci ascolta e ci perdona nella misura in cui sappiamo perdonare. Gesù stesso ci ammonisce: “Con la misura con la quale misurate sarete misurati” (Mt 7,2). “Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia” (Mt 5,7). Se infatti il cuore è indurito dall’odio non è neppure capace di riconoscere e di accogliere l’amore misericordioso di Dio.
Come vivere allora questa Parola di vita? Certamente perdonando subito se ci fosse qualcuno con cui non ci siamo ancora riconciliati. Ma questo non basta. Occorrerà frugare negli angolini più riposti del nostro cuore ed eliminare anche la semplice indifferenza, la mancanza di benevolenza, ogni atteggiamento di superiorità, di trascuratezza verso chiunque ci passa accanto.
Più ancora, occorre un’opera di prevenzione. Ed ecco che ogni mattina vedo con sguardo nuovo quanti incontro, in famiglia, a scuola, al lavoro, al negozio, pronto a sorvolare su qualcosa che non va nel loro modo di fare, pronto a non giudicare, a dar loro fiducia, a sperare sempre, a credere sempre. Avvicino ogni persona con questa amnistia completa nel cuore, con questo perdono universale. Non ricordo affatto i suoi difetti, copro tutto con l’amore. E lungo la giornata cerco di riparare uno sgarbo, uno scatto di impazienza, con una domanda di scusa o un gesto di amicizia. Ad un atteggiamento di istintivo rigetto dell’altro faccio subentrare un atteggiamento di accoglienza piena, di misericordia senza limiti, di completo perdono, di condivisione, di attenzione alle sue necessità.
Allora anch’io, quando innalzerò la preghiera al Padre, quando soprattutto gli chiederò perdono per i miei sbagli, vedrò esaudire la mia richiesta: potrò dire con piena fiducia: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori” (Mt 6,12).
Chiara Lubich
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Ago 10, 2002 | Chiara Lubich
Oggi è la festa di santa Chiara d’Assisi 2002 che, nella tradizione del nostro Movimento, si è sempre commemorata, sin dall’inizio, non solo al Centro, ma in tutte le parti del mondo, dov’è diffuso. Anche oggi – come ogni anno – ricordiamo santa Chiara, e confrontiamo qualche particolare del suo cammino verso Dio col nostro.
Guardare a Gesù come ad uno specchio per imitarlo
Un concetto della santa, non ancora da noi messo in luce, è quello che si può esprimere così: “Lo specchio, gli specchi”. E’ l’immagine dello specchio che richiama esattamente quanto dice Paolo nella sua lettera ai Corinti: “E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore” (2 Cor 3,18). Nelle lettere ad Agnese di Praga, che fanno parte di vari scritti in cui dice la sua esigenza di fedeltà radicale al Vangelo, Chiara invita le sorelle a guardare a Gesù come ad uno specchio: uno specchio, che, nella sua umanità, riflette la divinità. “Colloca i tuoi occhi – scrive – davanti allo specchio dell’eternità, (Gesù) (…); e trasformati interamente (…) nella immagine della divinità di Lui.” (FF 2888) “E poiché questa visione di Lui è (…) specchio senza macchia, ogni giorno porta l’anima tua (…) in questo specchio e scruta in esso continuamente il tuo volto, perché tu possa così adornarti (…) di tutte le virtù, come conviene a te, figlia e sposa carissima del sommo Re.” (FF 2902) Santa Chiara sollecita dunque Agnese a guardare allo Sposo, ma anche ad imitarlo rifacendo le stesse scelte, gli stessi atti, gli stessi gesti. “Se con Lui soffrirai – continua -, con Lui regnerai; se con Lui piangerai, con Lui godrai; se in compagnia di Lui morirai sulla croce della tribolazione, possederai (…) per tutta l’eternità e per tutti i secoli, la gloria del regno celeste (…); parteciperai dei beni eterni, (…) e vivrai per tutti i secoli.” (FF 2880) Agnese, imitandoLo, diventa il Gesù dello specchio. Ma ecco che allora, divenuta tale, può a sua volta essere specchio per le sorelle.
Una catena ininterrotta di specchi da Gesù al mondo: il Movimento francescano
Si crea così – come dice lei stessa – una catena ininterrotta di specchi da Gesù al mondo. Gesù è lo specchio di Francesco. Gesù e Francesco sono lo specchio in cui Chiara si rispecchia. Gesù, Francesco e Chiara sono lo specchio di Agnese. Gesù, Francesco, Chiara ed Agnese sono lo specchio per le prime sorelle, che a loro volta diventano specchio per quelle future. Le sorelle future, guardando alle prime sorelle, diventano specchio per coloro che vivono nel mondo. Coloro che vivono nel mondo diventano specchio di Gesù per tutti. E così, riflettendo perfettamente Cristo, Francesco e Chiara, i primi frati e le prime sorelle, hanno dato origine al Movimento francescano: una di quelle realtà ecclesiali che, di tempo in tempo, riportano il Vangelo nella sua radicalità nella Chiesa, per farla rinascere, per rinnovarla, per riformarla.
Le esigenze del carisma dell’Unità: vivere l’unità per vivere Gesù
Anche a noi, pur piccoli ed indegni, è toccato in sorte un compito simile: far nascere, sviluppare, diffondere nel mondo una realtà carismatica, e anche a noi è toccato e tocca l’obbligo di vivere e far vivere integralmente, radicalmente il Vangelo, guardando a Gesù come in uno specchio. I primissimi appunti, che conserviamo, riguardanti il nostro Ideale, al suo primo apparire, riportano questa affermazione: “Noi dobbiamo essere un altro Gesù.” Ci chiedono quindi di rispecchiarci in Lui. Allo scopo, come a san Francesco ed a santa Chiara è stato dato dallo Spirito Santo un carisma, quello della povertà, a noi è stato donato il carisma dell’unità. Ed è proprio attraverso l’unità che noi possiamo essere un altro Gesù, essere Gesù. Ricordate la definizione dell’unità data in una lettera del lontano ’47: “Oh l’unità, l’unità! Che divina bellezza! Non abbiamo parole per dire cosa sia: è Gesù.” Sì, è Gesù. Si cominciava, allora, a capire che, amandoci a vicenda, avremmo realizzato l’unità e Gesù sarebbe stato in mezzo a noi… e in ciascuno di noi. Vivere l’unità, quindi, era ed è sinonimo di vivere Gesù. E in tal modo tutto il Vangelo.
L’Unità: anima e mèta del Vangelo
Un giorno una piccola, ma significativa luce nel nostro cammino, ci ha chiarito questa novità. Le Parole del Vangelo ci sono apparse come neonate pianticelle, disposte in un vasto terreno, e si è compreso che la radichetta d’ognuna affondava nel Testamento di Gesù, nell’unità, che sottostava a tutto il terreno, ed era vivificata da esso. E’ stata una visione plastica di come vada considerato il Testamento di Gesù e il suo rapporto con le altre Parole del Vangelo; e di come vivere l’una (l’unità) e le altre. Si era capito meglio che l’unità non è una virtù particolare (non si elenca infatti fra le virtù); non è solo la più alta parola di Gesù; non è nemmeno soltanto il tema fondamentale del suo Testamento. L’unità è l’anima di tutto il Vangelo, di tutta la Scrittura. Ed è la mèta a cui tutto il Vangelo tende. E, perché effetto della carità, si poteva anche dire che è il sunto, il concentrato del Vangelo. Si era capito che occorreva vivere le parole in vista dell’unità. Sì, perché non è evangelicamente esatto vivere la povertà per la povertà, ma per la carità che porta all’unità, né l’obbedienza per l’obbedienza, ecc., ma tutto in vista dell’unità. E in modo simile ogni beatitudine, come pure i dieci Comandamenti e quanto chiede il primo Testamento, che Gesù è venuto a completare e non a distruggere. Ed ora si comprende perché lo Spirito ci ha spinto a mettere in pratica, ogni mese, una diversa Parola, sì da poterle, col tempo, vivere tutte. Esse spiegano l’unità come in un ventaglio. E in esse possiamo specchiarci per essere Gesù, un altro Gesù. E diventare così specchio di Lui per altri.
Ma oggi possiamo chiederci: siamo noi, in qualche modo, specchio di Gesù? Lo siamo per gli altri?
Specchiarci nel Vangelo per diventare specchio di Gesù
A questo proposito vorrei ricordare un nostro sogno degli inizi. Dicevamo: “Se per ipotesi assurda tutti i Vangeli della terra venissero distrutti, noi desidereremmo vivere in maniera tale che gli uomini, considerando la nostra condotta, vedendo, in certo modo, in noi Gesù, potessero, riscrivere il Vangelo: ’Ama il prossimo tuo come te stesso’ (Mt 19,19), ’Date e vi sarà dato’ (Lc 6,38), ’Non giudicate…’ (Mt 7,1), ’Amate i vostri nemici…’ (Mt 5,44), ’Amatevi a vicenda’ (cf Gv 15,12), ’Dove due o tre sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro (Mt 18,20).” Ebbene, in questi ultimi tempi ci siamo accorti, con riconoscenza a Dio, che, se non siamo arrivati a tale traguardo, vi siamo però incamminati. L’ho potuto costatare, verso la fine di maggio, cooperando alla composizione dei cosiddetti “Fioretti”: libro commissionatoci dall’Editrice San Paolo per presentare fatti e fatterelli evangelici della vita del Movimento. Essi rivelano lo sforzo da noi compiuto per stare in linea – per specchiarci, oggi diremmo – col Vangelo, e svelano pure i relativi interventi del Signore, secondo le sue promesse.
Poiché oggi è festa, leggiamone alcuni inediti per lodare Dio, e ringraziare chi, vivendoli, s’è specchiato nel Vangelo, in Gesù, sicché ora, tramite “i Fioretti”, potrà diventare specchio di Lui per molti. Intanto Gesù faccia di tutti noi specchi suoi e del Vangelo, perché molti possano specchiarvisi. (altro…)
Ago 10, 2002 | Spiritualità
Siamo ad Innsbruck, in pieno inverno. Sono le ventidue e fuori un freddo gelido. Mi imbacucco nella calda giacca a vento e cerco di raggiungere velocemente casa mia. Un giovane uomo mi sbarra la strada, e mi chiede di comprare la sua stufa per 300 scellini. Mi spiega che, se non paga entro il giorno la quota completa dell’alloggio, la padrona di casa lo manda sulla strada. La mia reazione è: “Purtroppo non posso”. Porto nel mio borsellino esattamente 323 scellini, soldi che devono bastare per coprire le spese della seconda metà di febbraio. Ogni scellino è già contato per acquistare i viveri di prima necessità come pane, burro ecc.. I miei amici sono in ferie invernali e non ho nessuno a cui chiedere un prestito. Mentre mi allontano mi sovviene che io ho almeno una stanza calda, mentre quell’uomo non possiede nulla. Mi ricordo delle parole del Vangelo: “Date e vi sarà dato.” Mi giro e lo chiamo; gli do i 300 scellini; la stufa può tenerla per sé. Mentre vado a casa, sta per assalirmi l’angoscia: non ho proprio idea di come arrivare fino all’ultimo giorno del mese. Ma, appena arrivato, ecco cosa trovo: un grosso borsone appeso alla porta della mia stanza. Sorpresa! Contiene pane, carne affumicata (speck), uova, formaggio, miele, burro: tutte cose che sogna uno studente affamato. Fino ad oggi non ho scoperto ancora chi avesse appeso quel borsone alla porta della mia stanza.
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Ago 10, 2002 | Spiritualità
A Barcellona, nel “Centro Mariapoli Loreto” c’era bisogno di cambiare i copriletto ai 47 letti, ma non avevamo i soldi necessari.
Ricordando le parole della lettera di san Pietro: “Gettate in lui ogni vostra preoccupazione perché egli ha cura di voi” (cf 1 Pt 5,7), abbiamo pensato di chiedere all’Eterno Padre questo dono, affidandoci al Suo amore. Non è stato necessario attendere molto. Pochi giorni dopo un’amica, proprietaria di un hotel, ci ha chiesto se volevamo i loro copriletti, perché, avendo cambiato i letti con altri di diverse misure, a loro non servivano più. Da tempo dicevamo pure che la cucina piccola dello stesso Centro Mariapoli era tanto deteriorata, mentre ci faceva molto comodo non dover utilizzare la cucina industriale per cucinare pasti piccoli. Anche quella volta abbiamo chiesto la cucina all’Eterno Padre. Dopo qualche giorno arriva una telefonata di un’altra amica, la quale, dovendo svuotare un appartamento, voleva offrirci proprio una cucina praticamente nuova.
Ago 10, 2002 | Spiritualità
Mentre faccio la passeggiata giornaliera, indicata dal medico, cerco di conoscere il quartiere dove risiedo da poco tempo: sono, infatti, il nuovo vescovo del posto. Alcuni giorni dopo, mi trovo a mettere un po’ d’ordine nella casa vescovile, cercando che essa esprima sempre meglio Dio, che è bellezza. Trovo alcuni candelabri di bronzo che non vanno d’accordo col resto. Mi viene in mente un piccolissimo negozio di compravendita, scoperto durante le passeggiate. Penso che, data la difficile situazione economica del Paese, il suo proprietario possa trovarsi in gravi difficoltà. Chiedo alla segretaria di fare un pacco con i candelabri e consegnarli a quel signore con un bigliettino che dice: “Sono un piccolo dono del vescovo. Se riesce a venderli, la prego di dare i soldi ai poveri. Ma, se lei ne avesse bisogno, può tenerseli”. Nel pomeriggio improvvisamente viene al vescovado questo signore. Insiste che vuol vedermi. Quando ci troviamo mi dice: “Oggi volevo suicidarmi. Ma, quando è arrivata la sua segretaria, ho capito che io interessavo ancora a qualcuno, ed ho cambiato idea. Mille grazie!”
Ago 10, 2002 | Spiritualità
Mi costava tantissimo dare l’unica zappa che avevo ad un povero, perché era la sola che possedevo e la sentivo utile e necessaria. Ma mi dicevo: “Se sei chiamato a dare la vita per gli altri, cosa vuoi che sia una zappa!” L’ho data e a Gesù ho detto: “Adesso pensaci tu”.
Via radio sento che c’è in arrivo una partita di zappe. Chiedo ad una ONG se potevo beneficiare e ne ricevo 200! insieme ad accette e sacchi di sementi! Immediatamente distribuisco i sacchi di sementi per i villaggi, e ne ricevo ancora 700! Altra gente del posto, protestante, mi chiede aiuto… Mi trovo così con il pastore a caricare 200 sacchi destinati a loro. Vengono poi a chiedere i membri di una setta di kimbangisti, che non compaiono nemmeno alla Settimana dell’unità dei cristiani per pregare insieme. 400 sacchi di sementi appena giunti sono per loro! Perfino uno stregone, nemico tradizionale dei cristiani, mi invita a casa e, davanti a 5 litri di vino di palma, mi ringrazia per quanto ho fatto per la sua gente. E tutto per un semplice atto d’amore! Quant’è vero che Lui ci ricambia con: “…una buona misura, pigiata, scossa e traboccante…” (Lc 6,38).
Lug 31, 2002 | Nuove Generazioni
In un momento in cui l’incontro tra fedi e culture sembra essere l’unico antidoto ai conflitti e alle tensioni che minacciano il mondo, la GMG di Toronto ha aperto ai giovani anche l’orizzonte del dialogo interreligioso.
Per tre giorni la chiesa di St Patrick è diventata teatro di canzoni, danze, sketch, video-clip e un vero fuoco d’artificio di testimonianze di giovani di diverse religioni che condividono lo spirito di unità dei Focolari, a cui la Chiesa canadese aveva affidato questa iniziativa.Ha sorpreso molto i media americani che a Toronto vi fossero anche giovani ebrei, musulmani, indù, buddisti.
Le testimonianze mostravano con fatti concreti che l’arte di amare radicata nella cosiddetta regola d’oro “Fa agli altri ciò che vorresti fosse fatta a te”, comune a tutte le religioni, cambia decisamente la vita, lenisce piaghe, apre nuovi orizzonti, unisce giovani di culture e religioni diverse rispettando in pieno l’identità di ognuno. Metta, buddista tailandese, accusata di aver subito dai cristiani un lavaggio al cervello, conquista poi tutta la scuola buddista alle sue idee; Avinash, indù, parla dell’incontro con i “Giovani per un mondo unito” di Bombay, e della scoperta di una vita così ricca di valori. Già da bambina, Ikram, studente musulmana del Marocco, aveva imparato dalla sua maestra cristiana l’arte di amare, che oggi, all’università in Belgio, è per lei la chiave per aprire il dialogo con tutti.
E ancora prendono la parola una giornalista ebrea, un Imam degli Stati Uniti. Non manca una testimonianza cristiana, come quella di Alicia, del Burundi, che è riuscita a perdonare chi ha ucciso parte della sua famiglia e, insieme a colleghi appartenenti all’altra tribù, è diventata punto di riferimento all’università per giovani delle due etnie combattenti. Con grande gioia poi è stato accolto a St Patrick il Cardinale Francis Arinze, Presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. “Il dialogo – ha affermato – è ormai una componente irreversibile nella Chiesa cattolica.”
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Lug 31, 2002 | Parola di Vita
Il lago di Tiberiade, detto anche “mare di Galilea”, ha queste dimensioni: 21 chilometri di lunghezza e 12 di larghezza. Ma quando il vento scende impetuoso dalla valle della Bekaa fa paura anche ai pescatori, abituati a navigarlo. E quella notte i discepoli di Gesù ebbero veramente paura: onde alte e vento contrario. Riuscivano appena a reggere la barca.
Avvenne allora un evento inaspettato. Gesù, che era rimasto a terra, solo, per pregare, apparve improvvisamente sulle acque. Già agitati per le condizioni del mare, i Dodici cominciarono a gridare, impauriti, credendo di vedere un fantasma. Non poteva essere Gesù quello che vedevano davanti a loro. Soltanto Dio, è scritto nel libro di Giobbe, cammina sulle acque (Cf Gb 9,8). Ed ecco le parole di Gesù: “Coraggio, sono io, non abbiate paura”. Sale sulla barca e il mare si calma. I discepoli non soltanto ritrovano la pace, ma per la prima volta lo riconoscono come “figlio di Dio”: “Tu sei veramente il Figlio di Dio!” (Mt 14,33).
«Coraggio, sono io, non abbiate paura»
Quella barca agitata dal vento e sbattuta dalle onde è diventata il simbolo della Chiesa di tutti i tempi. Per ognuno dei cristiani, che compiono la traversata della vita, prima o poi arriva il momento della paura. Forse anche tu qualche volta ti sarai trovato con il cuore in tempesta; forse ti sei sentito portato, da un vento contrario, nella direzione opposta a quella verso la quale volevi andare; hai avuto timore che la tua vita o quella della tua famiglia facesse naufragio.
Chi non passa attraverso la prova? Essa assume i volti del fallimento, della povertà, della depressione, del dubbio, della tentazione… A volte ciò che ci fa più male è il dolore di chi ci sta accanto: un figlio drogato o incapace di trovare la sua strada, il marito alcolista o senza lavoro, la separazione o il divorzio di persone care, i genitori anziani ed ammalati… Fa paura anche la società materialista e individualista che ci circonda, con le guerre, le violenze, le ingiustizie… Davanti a queste situazioni può insinuarsi anche il dubbio: l’amore di Dio dov’è finito? è stato tutto un’illusione? è un fantasma?
Non c’è niente di più terribile che sentirsi soli nel momento della prova. Quando non c’è nessuno con cui poter condividere il dolore, o che sia capace di aiutarci a risolvere le situazioni difficili, ogni sofferenza ci appare insopportabile. Gesù lo sa, per questo appare sul nostro mare in tempesta, ci viene accanto e ci ripete nuovamente:
«Coraggio, sono io, non abbiate paura»
Sono io, sembra dirci, in quella tua paura: anch’io sulla croce, quando ho gridato il mio abbandono sono stato invaso dalla paura che il Padre mi avesse abbandonato. Sono io in quel tuo scoraggiamento: là sulla croce anch’io ho avuto l’impressione che mi mancasse il conforto del Padre. Sei disorientato? Lo ero anch’io, al punto che ho gridato “perché?” Io, come e più di te, mi sono sentito solo, dubbioso, ferito… Io ho sentito su di me il dolore della cattiveria umana…
Gesù è entrato veramente in ogni dolore, ha preso su di sé ogni nostra prova, si è identificato con ognuno di noi. Egli è sotto tutto ciò che ci fa male, che ci fa paura. Ogni circostanza dolorosa, spaventosa, è un suo volto. Lui è l’Amore ed è dell’amore cacciare ogni timore.
Ogni volta che ci assale una paura, che siamo soffocati da un dolore, possiamo riconoscere la realtà vera che vi è nascosta: è Gesù che si fa presente nella nostra vita, è uno dei tanti volti con cui si manifesta. Chiamiamolo per nome: sei Tu, Gesù abbandonato-dubbio; sei Tu, Gesù abbandonato-tradito; sei Tu, Gesù abbandonato-malato. Facciamolo allora salire sulla nostra “barca”, accogliamolo, lasciamolo entrare nella nostra vita. E poi continuiamo a vivere quanto Dio vuole da noi, buttandoci ad amare il prossimo. Scopriremo che Gesù è sempre Amore. Potremo così dirgli, come i discepoli: “Tu sei veramente il Figlio di Dio!”
Abbracciandolo diverrà la nostra pace, il nostro conforto, il coraggio, l’equilibrio, la salute, la vittoria. Sarà la spiegazione di tutto e la soluzione di tutto.
Chiara Lubich
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Lug 1, 2002 | Chiara Lubich
“La fraternità come categoria politica è la risposta più innovativa alle tensioni e ai conflitti del mondo, come nei singoli stati e all’interno delle amministrazioni locali”. E’ uno dei passaggi-chiave del messaggio che Chiara Lubich ha lanciato da Rimini dove era stata invitata dal sindaco Alberto Ravaioli. Le Amministrazioni comunale e provinciale hanno voluto che proprio da questa città, Rimini, capitale del turismo e dell’ospitalità, città per tradizione cosmopolita, partisse questo forte messaggio.
Il Palacongressi sabato era gremito da oltre 5000 persone fra cui moltissimi giovani. Presenti anche circa quaranta tra sindaci deputati e senatori, il vescovo della città, mons. Mariano De Nicolò. Chiara Lubich, era stata presentata da Sergio Zavoli come “ricca del suo carisma interiore e al tempo stesso dotata di un sistema di valori calato nella dimensione anche politica della realtà quotidiana”, “testimone e protagonista di una nuova, ragionata speranza”. Speranza ben espressa dal messaggio della fondatrice dei Focolari, incentrato su “Fraternità e pace per l’unità dei popoli”. Tre parole da lei definite “tremendamente attuali, perché dopo il fatidico 11 settembre, la loro assoluta necessità è emersa paradossalmente nella coscienza di molti”. E qui ha richiamato le “tante reti già in atto che collegano i popoli, le culture e le diversità” grazie alle decine e decine di Movimenti e comunità ecclesiali in espansione non solo in Europa, ma ormai in tutto il mondo. Chiara dà un esempio concreto: il “Movimento dell’ unità”, emanazione dei Focolari, sorto nel 1996, formato da politici che assumono la fraternità come categoria politica. “Non un nuovo partito, ma portatore di una cultura e di una prassi politiche nuove”, che rende possibile, ad esempio, il dialogo tra maggioranza e opposizione. “Chi è al governo, riconosce gli apporti positivi dell’opposizione e ne favorisce il ruolo di controllo. L’opposizione è condotta attraverso una critica costruttiva che non tende a intralciare l’operato del governo, ma a correggerlo per migliorarlo. Così si favorisce la ricerca della soluzione migliore per la comunità, la quale viene pienamente garantita solo se governo e opposizione esercitano entrambi al meglio il proprio ruolo”. Ed ha parlato di “risultati politici di rilievo” come “tra le opposte fazioni nell’Irlanda del Nord”. Andando alle radici delle cause del terrorismo, approfondite nei mesi successivi agli attentati in USA, ha citato come “fondamentale” lo squilibrio sul nostro pianeta fra paesi poveri e paesi ricchi, squilibrio che reclama maggior condivisione di beni. Impossibile “finché l’umanità non sarà percorsa da un ardente desiderio e da un forte impegno di fraternità universale”. Il prof. Stefano Zamagni ha poi presentato il progetto dell’Economia di comunione, lanciato da Chiara Lubich più di 10 anni fa, che ispira la gestione di più di 750 aziende nel mondo, da lui definito “un nuovo paradigma economico”. E’ seguita la presentazione del progetto del Polo imprenditoriale, di prossima attuazione nei pressi della cittadella di Loppiano. Jorge Braga De Macedo, Presidente del Centro di Sviluppo Ecosoc (Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo presso l’ONU) ha parlato di una proposta “molto importante per gli economisti che lavorano per lo sviluppo dei paesi più poveri”. Il sindaco di Rimini, Ravaioli, in un’intervista a Città Nuova ha commentato: “Oggi Chiara ci ha mostrato – e Rimini è orgogliosa di avere lanciato questo messaggio – che sono necessari strumenti nuovi. E questo dell’Economia di Comunione, e della fratellanza e unità tra i popoli – è uno strumento nuovo, un passo concreto per realizzare un nuovo cammino verso la pace e l’unità”. (altro…)
Lug 1, 2002 | Chiara Lubich
Rimini incontra per la seconda volta Chiara Lubich. La prima fu per l’attribuzione della cittadinanza onoraria, questa è per un riconoscimento che investe non soltanto la sua personalità religiosa, ma anche quella che esprime idee e ideali legati alla testimonianza civile, alle ragioni collettive, ai valori della scelta umanistica negli ambiti concreti del comune patrimonio sociale, sia esso culturale, economico, politico.
Rimini ha fama di città votata, insieme, alle quiete poetiche provinciali e alla più clamorosa delle vacanze, alle convenute e salutari esigenze del tempo prestato al riposo, al ristoro, alle gioie di giornata, così come all’effimero, alla dimenticanza, ai rinvii: ma nel suo patrimonio civile, morale e culturale tende, complessivamente, a fare della propria, grande visibilità mondana uno strumento di attrazione e di sintesi di grandi temi valoriali, a cominciare dalla pace e dalla libertà, dalla giustizia e dalla fratellanza. Non a caso ospita, ogni anno, una manifestazione culturale di respiro internazionale, le giornate del “Pio Manzù”, un grande evento d’ispirazione religiosa, il “Meeting per l’Amicizia fra i popoli”; e, a cura del Comune e della Provincia, iniziative culturali di risonanza più che nazionale. Nel contempo è la fonte di una provocazione solidale, in nome di Giovanni XXIII, che non ha l’uguale nel mondo, e conta un numero di volontari laici che, in proporzione, è il più alto d’Italia; questo – nonostante l’invito sapiente di Federico Fellini a fare “un po’ di silenzio”- nella terra del più chiassoso e corrivo dei simboli: il cosiddetto, abusato e per fortuna ormai frusto divertimentificio! Al Sindaco e al Presidente della Provincia, alle rispettive giurisdizioni, alla cittadinanza, alle rappresentanze della società civile, senza distinzione tra laici e credenti, è parso in modo netto di poter identificare una figura di riferimento alto, reale, non solo edificante e non solo simbolico, nella persona di Chiara Lubich, la donna che, come Martin Luther King e Teresa di Calcutta, ha offerto la sua fede e la sua opera per la costruzione di un mondo in cui la speranza sappia farsi anche progetto, la preghiera anche denuncia, la condivisione anche sacrificio; e dove non si dica solo e sempre redimere, ma anche liberare. Chiara Lubich sa che Rimini è una singolare città di frontiera: vivere sotto gli occhi di mezzo mondo, offrendo lusinghe di ogni genere – non ultima quella, umanissima, di essere un luogo propizio per portarvi anche da molto lontano veri e propri disegni di vita, con trasferimenti d’esistenza non di rado difficili – è altresì il luogo in cui sono possibili, accanto a benemerite redenzioni umane e sociali, anche gravi rischi di degrado morale e d’inquinamento socio-economico. In questa realtà Chiara è più che mai un bene prezioso. Ricca del suo carisma interiore, e al tempo stesso dotata di un sistema di valori calato nella dimensione anche politica della realtà quotidiana, il suo essere per la vita – quindi nella pace, nella libertà e nella giustizia – ne fanno una persona capace di trasmettere, in tempi come questo, un forte segnale di allerta. Nel mondo, infatti, cova una malattia subdola e insidiosa: non è ancora la peste, e non è ancora a bordo, assicurano i nostromi del mondo, ma sulla tolda serpeggia un’inquietudine nuova: l’intolleranza genera inimicizia, e questa istiga la violenza; l’iniquità provoca fame, e questa induce alla disperazione; l’indifferenza è fonte di rivalsa e questa suscita il rancore; l’egoismo si sposa con il pregiudizio, e questo produce separatezza e razzismo. Spendendosi con vigore anche su questi temi, Chiara lascia ogni giorno nel mondo testimonianze memorabili, fatte proprie persino da confessioni diverse, suscitando un’ammirazione che è l’eco stessa dello spirito di Assisi, secondo cui non c’è più un pulpito, un inginocchiatoio o uno stuoino, dal quale una preghiera – se rivolta al Dio dell’ut unum sint – possa salire più in alto di altre. Chiara, nel mondo, non ha mancato di dire a capi religiosi, statisti, leaders politici, intellettuali, che ci salveremo da un futuro per ora incerto, e qua e là denso di pericoli, a patto di razionalizzare, e quindi laicizzare, giudizi, scelte, decisioni. Non è più tempo – tutto, intorno a noi, ci ammonisce – di insistere su pretese d’intoccabilità, da una parte, e d’impunità dall’altra. Occorre semmai conciliare i diritti conferitici dalle aggressioni dei fondamentalismi con i doveri cui tenersi nel momento di porre in atto le risposte: perché se non venissero rispettati i doveri verrebbe meno la stessa legittimità dei diritti; ed eccedere nella rivalsa significherebbe annullare lo stesso concetto di giustizia; una vittima che ne producesse un’altra, infatti, non terrebbe in equilibrio l’equità, ma porrebbe sullo stesso piano due ingiustizie. Lo dico pensando ai ragazzi imbottiti di rancore e di plastico che vanno ad uccidersi e a uccidere dove altri ragazzi, perciò stesso, cresceranno nell’odio e nella rivalsa, lo dico pensando alle “torri gemelle”, alle due lance scagliate, si direbbe, contro il costato di Gesù in croce che tuttavia non possono chiamare in causa civiltà intere, né mettere a repentaglio la pace addirittura nel nome di Dio. Non è più tempo di crociate, è tempo di incontri e aperture, dialoghi e progetti, di cui farsi garanti con l’ottimismo della volontà, cioè credendo in ciò che si può fare e dunque va fatto. Ecco perché Chiara è oggi una presenza insostituibile tra chi opera non solo con la preghiera, ma anche con il richiamo alle responsabilità e ai compiti della politica, agli strumenti dell’economia, ai mezzi della conoscenza per una non più rimandabile rigenerazione del mondo in senso umanistico, vale a dire di un impegno, nelle sue premesse, fondamentalmente etico. Se in questo istante si stanno combattendo sul pianeta 45 tra guerre e guerriglie (per un pozzo d’acqua, per un confine etnico, per avere uno Stato), se tre persone su dieci rischiano di morire di fame, se un miliardo di uomini non conoscono ancora la luce elettrica, se tale scenario, iniquamente distribuito, vede da una parte crescere l’accumulo dell’opulenza e dall’altra l’abisso della povertà, è sembrato cosa buona e giusta dare la parola, con questa solenne adunanza, a una donna non eterea, non edificante, non irenica, non insomma auna “prigioniera della Grazia”, “un’alunna della Perfezione”, a una creatura libera ed esigente, che interpreta la libertà lasciataci dal creatore perché partecipassimo, spendendo ciascuno il proprio talento, alla liberazione di tutti.In un mondo dove non solo le previsioni dei sociologi e degli storici, ma anche e soprattutto le cosiddette “curve econometriche” ci dicono che il nostro futuro sta nel dar vita alla convivenza di una irresistibile realtà multietnica – perché non vi è nulla, ormai, che non riguardi il singolo e allo stesso tempo le comunità – politica significa più di sempre, secondo l’espressione di Don Milani, uscirne insieme; e mentre carità e condivisione sono le braccia che si stringono intorno al bisogno, giustizia è il solo abbraccio che può trarre da quel bisogno. Se non saranno garantiti lavoro, dignità, sicurezza a tre quarti del pianeta, ci si dovrà domandare chi sia venuto meno al proprio compito: se il creatore o le sue creature. Laici e credenti si contendono questa responsabilità, ma non è facile per nessuno accettare l’equazione secondo la quale se l’uomo fallisse il fallimento sarebbe anche di Dio. Chiara ci dice che se Dio e l’uomo non possono mancare l’uno all’altro, pena la loro stessa impotenza, questo non ci esime dal dover fare, sempre e comunque, la nostra parte: non solo ai piedi degli altari, per chi ha fede in Dio, ma anche, per chi crede nella ragione, ai tavoli della politica, della finanza, della scienza, della comunicazione. Non saranno le sedie vuote nel consesso della Fao a rassicurarci sulle responsabilità collettive, né sui progressi della globalizzazione. Un miliardo di uomini appartengono ai Paesi ricchi, 5 miliardi a quelli poveri. Ogni ora muoiono di fame 900 persone , una ogni 4 secondi. Il cibo a disposizione degli italiani potrebbe sfamare 110 milioni di persone; ogni giorno sono disponibili, in Italia, 3.500 calorie pro capite: 2.200 quelle utilizzate, 1.300 quelle perdute, buttate via. I mercati di Roma gettano nelle discariche, in 24 ore, 87 tonnellate di frutta e verdura; 25 tonnellate di carne e pesce: solo questo cibo potrebbe sfamare, quotidianamente un milione di persone. Nel frattempo, sono ancora attive, sul pianeta, 32 milioni di mine antiuomo; e la spesa annuale destinata ancora agli armamenti basterebbe all’approvvigionamento idrico per un terzo del pianeta. Ci spettano, a veder bene, doveri che non tollerano distinzioni né ontologiche né ideologiche; e che non ammettono deleghe, né deroghe. Rimini, un luogo cresciuto con i suoi principi cristiani e, del pari, nel suo laicismo, attraverso questa donna apparentemente fragile, e invece radicata nella sua stessa universale lezione d’umanità, oggi, qui si dichiara “città aperta” a ogni cultura, lingua, colore della “pace nella giustizia”, per usare un’espressione molto significativa di questo Papa coraggioso e leale; pronta a farsi testimone e sostegno di quanto opera in nome di ciò che unisce e contro ogni forza che tenda, sciaguratamente, a dividerci: per un umanesimo riedificato dall’eticità dei nostri sì e dei nostri no, prima e ultima scelta con cui decidere se vogliamo vivere, consapevolmente, all’altezza dell’uomo, cioè nel punto più alto della responsabilità affidataci dalla nostra storia misteriosa e palese, arcana e concreta, fatta di carne e di spirito. Quella che ha indotto alla scelta di Chiara come testimone e protagonista di un grande appello e di una nuova, ragionata speranza. Grazie. (altro…)
Lug 1, 2002 | Chiara Lubich
"Gentile Chiara, gentili ospiti, autorità,
io credo che in tutti noi vi sia oggi una lucida consapevolezza: questa giornata da trascorrere insieme alla nostra cittadina onoraria Chiara Lubich non è storica solo per Rimini ma per tutti coloro nel mondo i quali ritengono che la pace non sia un concetto astratto e utopico ma un fatto vero, reale, solido riguardante da vicino le nostre quotidiane esistenze.
La pace quale principio ispiratore di ogni nostra azione, la fraternità quale scudo infrangibile posto davanti ai piccoli e ai grandi tentativi di prevaricazione, l’unità come metodo per restare saldi davanti alle tante tragedie di un mondo che non ha ancora imparato le lezioni dolorose trasmesse dalla storia.
Da te, Chiara, quest’oggi in tanti attendono non solo parole di pace e di speranza ma anche l’indicazione di un cammino che non può e deve essere interrotto dalle guerre, e dal sangue inutilmente versato nel nome di una religione o di una ideologia. Io penso che tu, Chiara, quest’oggi ci dirai che quella strada siamo noi- con le nostre opere- a realizzarla ogni giorno.
Non è forse vero che la più dirompente delle rivoluzioni comincia nel cuore dell’uomo e nella risposta individuale?
La responsabilità personale e collettiva ci chiama dagli albori della storia dell’uomo a un impegno a costruire una società migliore; ci chiama dal primo all’ultimo giorno della nostra vita a una crescita personale che condiziona poi le scelte generali. Non possiamo dimenticare questo: è nostro dovere capire e conoscere per crescere insieme. In ogni campo dell’esistenza.
Anche e soprattutto in quella politica che troppe volte ha deviato dal nobile principio originario.
Restituirgli il suo sapore attraverso la riaffermazione di categorie etiche universali- vale a dire, realizzare la libertà, l’uguaglianza, la pace, la fratellanza con programmi concreti- è compito che riguarda uomini pubblici a qualsiasi livello. Anche noi.
Per farlo occorre non limitarsi alla gestione, o cinica o populista o consociativa, del quotidiano; serve dare segni che vadano anche oltre i ruoli se vogliono davvero indicare una via per il futuro.
Oggi, con la tua presenza, Chiara, Rimini vuole offrire al mondo uno di questi segni.
La nostra città è diversa e migliore di quelle rappresentazioni parziali che a volte fuoriescono all’esterno. La nostra città ha costruito l’industria dell’accoglienza su una profonda cultura dell’accoglienza; ha ricoperto e ricopre il ruolo di realtà aperta al dialogo, al confronto tra culture diverse, alla multietnicità, alla tolleranza.
E’ stata ed è capitale della vacanza, dando a questa espressione una valenza straordinaria e positiva: ’inventare’ un sistema unico che permettesse a tutti- senza distinzioni di classi o censo- di ritagliarsi durante l’anno giorni di serenità e svago. Ma proprio perché eccellente, Rimini oggi ha una responsabilità in più rispetto ad altre città: non può accontentarsi. In un momento di profondi cambiamenti sociali, economici, culturali, uno snodo della storia per certi versi epocale, Rimini deve tornare a essere anticipatrice, innovativa e propositiva, dando risposte non banali a problemi tanto urgenti quanto universali.
Questa città deve investire le sue risorse, in primis umane, più qualificanti in uguaglianza, integrazione, accoglienza perché in tanti all’esterno chiedono a questa città di tornare a essere ’laboratorio’ capace di interpretare con fantasia, laboriosità, voglia di intrapresa i messaggi che il mondo pone.
E’ un compito difficile, non lo nego, che necessita di un grado di coesione assoluto tra cittadini, istituzioni pubbliche civili e religiose, categorie private, immigrati sulla base di poche ma chiare certezze: il rispetto da parte di tutti delle regole di convivenza, la condivisione di valori imprescindibili quali l’ascolto delle idee altrui, la consapevolezza che il legittimo benessere economico vada perseguito battendo le strade della legalità, l’impegno a non chiudersi nell’individualismo e nel corporativismo.
Serve un altro scatto in avanti, una nuova prospettiva in cui si miscelino in egual misura orgoglio, umanità, intelligenza e capacità imprenditoriale. Questo, Chiara, è il mio sogno e il mio appello. Non è ambizioso perché sai- e la tua presenza qui ne è la testimonianza palese- quanto Rimini sia già adesso aperta e bella. Questa giornata – i colori, la gioia, l’atmosfera che si respira – mi fanno dire che un pezzetto di questo sogno si stia già avverando."
Il Sindaco di Rimini
Dott. Alberto RAVAIOLI
Lug 1, 2002 | Chiara Lubich
Ho ricevuto il vostro cortese invito per il convegno su pace, solidarietà e fraternità: una diversa cooperazione per l’unità dei popoli che si terrà il prossimo 22 giugno (2002) a Rimini.. Mi rincresce di non partecipare a questa iniziativa: avrei ascoltato con particolare piacere l’intervento di Chiara Lubich le cui parole sanno sempre aprire i cuori e le menti alle ragioni della pace e della fratellanza. Nell’augurarvi buon lavoro, saluto tutti coloro che saranno presenti e che daranno il loro contributo a questa importante iniziativa.
Pier Ferdinando Casini Presidente della Camera dei Deputati (altro…)
Lug 1, 2002 | Non categorizzato
Signor Sindaco, Autorità civili e religiose, Signore e Signori.
Fraternità, pace e unità, ecco tre parole tremendamente attuali su cui dovrei soffermarmi. Attuali perché, dopo il fatidico 11 settembre dell’altr’anno, la loro assoluta necessità è emersa, paradossalmente, nella coscienza di molti, come tre splendidi fiori sbocciati da una chiazza di sangue, come una speranza impensata da un immenso sconforto. New York trasformata Quel che è successo quel giorno a tutti è noto. Sgomento infinito negli USA e non solo. Ma, ecco, da quel groviglio di dolore, da quella notte piombata in piena luce, apparire un fenomeno inconsueto: una gara di solidarietà mai vista: muri d’indifferenza sciolti in una valanga di aiuti concreti, di conforto, di prontezza a far qualcosa che allevi i dolori degli altri. New York è trasformata. Così gli Stati Uniti, Paese multi-religioso, multi-etnico, multi-culturale, ha presentato al mondo, in una sua città, un modello di solidarietà, di unità. E’ stato come se gli occhi di un popolo si fossero spalancati e avessero visto l’assoluta necessità che si instauri la fraternità e non solo fra gli americani. Quest’esigenza poi è emersa in tutta la sua urgenza nei mesi successivi, quando si sono approfondite le varie possibili cause del terrorismo. Fra queste, fondamentale, quella dello squilibrio, sul nostro pianeta, fra Paesi poveri e Paesi ricchi, squilibrio che ha reclamato maggior condivisione di beni. Cosa che non sarà possibile finché l’umanità non sia percorsa da un ardente desiderio e da un forte impegno di fraternità universale. La fraternità nelle grandi anime La fraternità universale non è un’idea di oggi. Essa è stata presente nelle menti di spiriti forti. “La regola d’oro – diceva il Mahatma Gandhi – è di essere amici del mondo e considerare ’una’ tutta la famiglia umana.” E a proposito di sé affermava: “La mia missione non è semplicemente la fratellanza dell’umanità indiana. (…) Ma, attraverso l’attuazione della libertà dell’India, spero di attuare e sviluppare la missione della fratellanza degli uomini.” E Martin Luther King: “Ho il sogno che un giorno gli uomini (…) si renderanno conto che sono stati creati per vivere insieme come fratelli (…); (e) che la fraternità (…) diventerà l’ordine del giorno di un uomo di affari e la parola d’ordine dell’uomo di governo” . Su questa linea, il Dalai Lama, a proposito di quanto è successo negli Stati Uniti, scriveva ai suoi: “Per noi le ragioni (degli eventi di questi giorni) sono chiare. (…) Non ci siamo ricordati delle verità umane più basilari. (…) Siamo tutti uno. Questo è un messaggio che la razza umana ha grandemente ignorato. Il dimenticare questa verità è l’unica causa dell’odio e della guerra”. Gesù e la fraternità Ma chi ha indicato e portato la fraternità come dono essenziale all’umanità, è stato Gesù, che ha pregato così prima di morire: “Padre, che tutti siano uno” (cf Gv 17,21). Egli, rivelando che Dio è Padre, e che gli uomini, per questo, sono tutti fratelli, introduce l’idea dell’umanità come famiglia, l’idea della “famiglia umana”. E con ciò abbatte le mura che separano gli “uguali” dai “diversi”, gli amici dai nemici. E scioglie ciascun uomo dai vincoli che lo imprigionano, dalle mille forme di subordinazione e di schiavitù, da ogni rapporto ingiusto, compiendo in tal modo un’autentica rivoluzione esistenziale, culturale e politica. I politici e la fraternità L’idea della fraternità iniziò così a farsi strada nella storia. E tutti vi sono chiamati: anche coloro che lavorano in politica. Lo ha detto, ad esempio, la Rivoluzione francese che nel suo motto: “Libertà, uguaglianza, fraternità”, ha sintetizzato il grande progetto politico della modernità, anche se questo progetto è stato inteso da essa in modo assai riduttivo. Inoltre, se numerosi Paesi, arrivando a costruire regimi democratici, sono riusciti a dare una certa realizzazione alla libertà e all’uguaglianza, la fraternità è stata più annunciata che vissuta. Comunque “la lezione del ventesimo secolo – è stato detto – è che il futuro più umano passa attraverso l’accettazione del trinomio biblico (libertà, uguaglianza, fraternità) purificato dalle letture ideologizzate e riportato all’auscultazione dell’uomo (…) che si riscopre co-umanità. (…) L’elemento base del trinomio, sul piano della garanzia vitale, è la fraternità.” Un’unità globale Oggi il mondo tende all’unità. L’unità è un segno dei tempi: molti fattori religiosi, sociali e politici lo stanno a dimostrare. Ma occorre precisare: oggi, il mondo tende ad un’unità universale, ad un’unità globale. Ce lo fanno capire situazioni, esigenze, aspetti importanti della realtà contemporanea. I mezzi di comunicazione rendono presenti gli uni agli altri persone e popoli materialmente lontanissimi; tanto che, per esempio, nelle scelte personali di un giovane occidentale, può avere un peso decisivo ciò che accade in Asia o in Africa. Nessuno ci è più estraneo, perché lo “vediamo”, perché sappiamo di lui. Inoltre, la globalizzazione economica e finanziaria ha intrecciato tutti i nostri interessi, che non sono più separati fra di loro: ciò che accade in un Paese può avere ripercussioni materiali immediate in molti altri Paesi. Ancora: esistono problemi che interessano l’umanità nel suo insieme, che nessun popolo può affrontare separatamente dagli altri. Basti pensare ai grandi temi che coinvolgono la comunità internazionale in questo periodo: la questione ambientale e in particolare l’ecologia umana, lo sviluppo e l’alimentazione, le problematiche riguardanti il patrimonio genetico dei diversi gruppi umani. Oggi non è più l’epoca dei soli diritti individuali, né solo dei diritti sociali di una categoria: la nostra è l’epoca dei diritti e dei doveri dei popoli e dell’umanità. Viviamo dunque in un mondo che davvero è diventato un villaggio: complesso e nuovo, ma un villaggio. L’umanità vive oggi come fosse un piccolo gruppo. Ma, a differenza dei piccoli gruppi di una volta, non è ancora riuscita a sviluppare sufficientemente un pensiero capace di rispettare le distinzioni mentre comprende la fondamentale unità. I concetti tradizionali di razza, religione, cultura, Stato, si infrangono davanti alla complessità della situazione. Ebbene, è proprio la fraternità la categoria di pensiero capace di abbracciare quell’unità e quella distinzione cui anela l’umanità contemporanea. Lo stesso Giovanni Paolo II, parlando al Corpo Diplomatico il 10 gennaio 2000, ha eletto la fraternità a criterio di giudizio del secolo appena trascorso. Dopo avere sottolineato il grande progresso scientifico che ha caratterizzato il Novecento, si è chiesto: “Questo secolo è stato anche quello della fraternità?”. Egli ha sottolineato “l’azione perseverante di diplomatici saggi” nel tentativo di far emergere una vera “comunità di Nazioni”; indice, questo, di “una certa volontà di edificare un mondo fondato sulla fraternità, per stabilire, proteggere ed estendere la pace intorno a noi” . Strumenti d’unità e fraternità La fraternità, dunque, è l’ideale di oggi. Ma come farla fiorire? Come suscitare fraternità? Per dare al mondo la fraternità che generi un’unità spirituale, garanzia dell’unità politica, economica, ecc., non mancano gli strumenti. Basta saperli individuare. Uno, la cui efficacia non è ancora del tutto scoperta, ma che si farà evidente nel prossimo futuro, è quello dell’apparire nel mondo cristiano, dopo i primi decenni del ’900, di decine e decine di Movimenti e Comunità ecclesiali. E questo non solo in Paesi europei, ma ormai in tutto il mondo, come tante reti che collegano i popoli, le culture e le diversità. Quasi un segno che, cominciando dal nostro Continente, il mondo potrebbe diventare una casa delle Nazioni perché esso lo è già attraverso queste realtà , pur se ancora a livello di laboratorio. Sono Movimenti moderni, sorti non solo nella Chiesa cattolica, avvolti in genere ancora nel silenzio, come tutte le cose nascenti vere e importanti, ma che esploderanno presto. Sono realtà meritevoli di grande ed alta stima perché effetto non di programmazioni o progettualità umane, ma di doni, di carismi dello Spirito di Dio, che conosce meglio di qualsiasi uomo e donna della terra i problemi del nostro pianeta ed è desideroso di concorrere a risolverli. Ora questi Movimenti, poiché fondati o prevalentemente composti da laici, veicolano un sentito e profondo interesse per il vivere umano con ricadute nel campo civile, cui offrono concrete realizzazioni politiche, economiche, ecc. Sono venuti in piena luce appena tre anni fa, quando la Chiesa si è riscoperta e ripresentata al mondo costituita, oltre che dall’aspetto istituzionale, anche da quello carismatico, coessenziale al primo. Aspetto che ha arricchito anche i secoli passati di Movimenti spirituali (come, per un solo esempio, quello francescano) e delle più varie correnti di pensiero e di spiritualità, atte a riportare il popolo cristiano, spesso illanguidito e secolarizzato dal contatto col mondo, all’autenticità ed alla radicalità del Vangelo, capace sempre di dare un volto nuovo alla città terrena. Questi Movimenti, seguendo ciascuno il proprio carisma, concretizzano l’amore in tante forme. Parecchi fra questi, in particolare, manifestano la forza dello Spirito nella capacità che hanno d’aprire tutti gli uomini e donne del nostro pianeta a un dialogo profondo. Il Movimento dei Focolari Una di tali realtà è il Movimento dei Focolari che conta milioni di membri presenti in 182 nazioni. Esso – assieme a molte altre valide organizzazioni, iniziative, opere – porta in questa nostra epoca l’unità e la fraternità, dovunque. Dirò qualcosa di questo Movimento, che meglio conosco, ma come esempio fra tanti. I dialoghi Quattro sono i dialoghi che, da quasi mezzo secolo, esso ha messo in atto. Il dialogo all’interno della Chiesa, che l’aiuti ad essere sempre più “comunione”, quella comunione nella quale la fraternità e la pace sono assicurate. Il dialogo ecumenico nella sua forma di “dialogo del popolo”. Questo dialogo coinvolge, vivissimo, cristiani di 350 Chiese, trasformati tutti in una sola “famiglia cristiana”, quasi un pezzo d’anima di quell’unica Chiesa che verrà. Il dialogo con persone di altre religioni: musulmani, ebrei, buddisti, indù, sikhs, ecc., oggi presenti un po’ dovunque per le ondate migratorie. Dialogo possibile, questo, per la cosiddetta “regola d’oro”, comune a tutte le principali religioni della terra. Essa dice: “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te” (cf Lc 6,31). Regola d’oro che in fondo domanda di amare ogni prossimo, cosicché se noi, perché cristiani, amiamo, ed essi, pure, come indù, musulmani, ebrei, amano, ecco l’amore reciproco, da cui fiorisce la fraternità. Questo dialogo ha già fruttato, per il Movimento dei Focolari, una fraternità piena e sentita con un Movimento buddista moderno di Tokio, che conta sei milioni di membri. E con un altro Movimento musulmano afroamericano di due milioni di membri, il quale, per lo scambio dei doni che si effettua nel dialogo, ha aperto a noi 40 moschee negli USA, dove possiamo annunciare le nostre esperienze di fede, sempre da loro tanto desiderate, mentre noi apriamo alla loro amicizia le nostre Cittadelle. Dialogo, infine, con i nostri fratelli che non professano una fede religiosa, ma hanno iscritta pure essi, nel DNA della loro anima, la spinta ad amare. E sono, forse, i più. La spiritualità dell’unità Ma da dove tale successo, che offre tanta speranza, in un solo nuovo Movimento? Il segreto della sua riuscita sta in una nuova linea di condotta, assunta da milioni di persone che, ispirandosi fondamentalmente a princìpi cristiani – senza trascurare, anzi evidenziando, valori paralleli presenti in altre fedi e culture – cerca di portare in questo mondo fraternità, pace e unità. Si tratta della “spiritualità dell’unità”, personale e comunitaria insieme, attuale e moderna, presentata oggi dal Santo Padre Giovanni Paolo II, sotto il nome di “spiritualità di comunione”, a tutta la Chiesa, perché tutti la vivano. Due sono i cardini principali di questa spiritualità. Il primo è stato donato al primo gruppo di ragazze, quando, in una cantina per ripararsi dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, aprendo il Vangelo a caso, si sono trovate proprio di fronte alla solenne preghiera di Gesù rivolta al Padre prima di morire: “Padre santo (…) che tutti siano una cosa sola” (cf Gv 17,11-21). Preghiera che chiede l’unità dei cristiani con Dio e fra loro, da estendersi poi a tutti e tutte, in una fraternità universale. Il secondo cardine, Gesù crocifisso e abbandonato, è stato chiaro, per quelle ragazze, quando hanno approfondito il grido di Cristo in croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46 e Mc 15,34). Avevano capito infatti che Gesù, il Verbo di Dio fatto uomo, proprio per questo suo essere uomo s’era addossato anche tutte le nostre colpe, le nostre divisioni, le nostre sofferenze; e per questo il Padre aveva permesso che sentisse quel dolorosissimo abbandono. Egli, però, con uno sforzo sovrumano, aveva superato questa tremenda prova e si era riabbandonato al Padre dicendo: “Nelle tue mani… raccomando il mio spirito” (Lc 23,46). Per cui Gesù abbandonato, ma risorto all’Amore, è sempre stato per i membri del Movimento – ed ora non solo per essi – il modello, la chiave per ricomporre ogni genere di disunità, per sanare ogni trauma. Così, amando Lui, si è concorso ad unire singoli e brani di società, in ogni popolo, lavorando con ciò all’unità della famiglia umana. Il “Movimento dell’Unità” Il Movimento dei Focolari, pur essendo primariamente religioso, ha avuto, sin dal 1948, e poi su su durante gli anni, un’attenzione particolare per il mondo politico, sino a veder nascere dal suo seno, a Napoli nel 1996, il cosiddetto “Movimento dell’Unità” al servizio del mondo. E ora sta diffondendosi e organizzandosi su tutto il pianeta. Vi fanno parte politici, amministratori, funzionari, studiosi e cittadini, appartenenti a diversi orientamenti politici. Non è un nuovo partito, ma il portatore di una cultura e di una prassi politiche nuove. Cambia il metodo della politica. Pur rimanendo fedele alle proprie autentiche idealità, il politico dell’unità ama non solo i politici del suo partito, ma tutti gli altri politici, cercando di vivere in comunione con tutti. Fa questo nei consigli comunali, nei partiti, nei diversi gruppi di iniziativa civica e politica, nei parlamenti nazionali e regionali. L’unità, così vissuta, è portata come fermento anche tra i partiti stessi, nelle istituzioni, in ogni ambito della vita pubblica, nei rapporti fra gli Stati. Lo scopo specifico del “Movimento dell’Unità” è dunque: aiutare ed aiutarsi a vivere sempre nella fraternità; per essa credere nei valori profondi, eterni dell’uomo e solo dopo, muoversi nell’azione politica. Aspetti dell’amore fraterno in politica Ora, in quali modi la fraternità aiuta il politico ad assolvere pienamente ai propri compiti? Posso rispondere soffermandomi su alcuni aspetti dell’amore fraterno vissuto in politica. Anzitutto, per il politico dell’unità, la scelta dell’impegno politico è un atto d’amore, con il quale egli risponde ad un’autentica vocazione, ad una chiamata personale. Egli vuol dare risposta ad un bisogno sociale, ad un problema della sua città, alle sofferenze del suo popolo, alle esigenze del suo tempo. Chi è credente, avverte che è Dio stesso a chiamarlo, attraverso le circostanze; il non credente, risponde ad una domanda umana che trova eco nella sua coscienza: ma è sempre l’amore che entrambi immettono nella loro azione. E gli uni e gli altri, questi politici, hanno la loro casa nel Movimento dell’Unità. In secondo luogo, il politico dell’unità prende coscienza che la politica è, nella sua radice, amore; e ciò porta a comprendere che anche l’altro, l’avversario politico, può avere compiuto la propria scelta per amore. E questo esige che lo si rispetti, che si comprenda l’essenza del suo impegno, andando al di là dei modi in cui si esprime. Il politico dell’unità ha a cuore che anche il suo avversario realizzi il disegno buono di cui è portatore. Questo disegno, infatti, se risponde ad una chiamata, ad un bisogno vero, è parte integrante di quel bene comune che solo insieme si può costruire. Il politico dell’unità ama, dunque, non solo coloro che gli danno il voto, ma anche gli avversari; non solo il proprio partito, ma anche quello altrui. Un altro aspetto della fraternità in politica è la capacità di spostare se stessi per fare spazio all’altro, di saper tacere per ascoltare tutti, anche gli avversari. E un “perdere se stessi” che rinnova ogni giorno l’originaria scelta politica, con la quale si decise di occuparsi degli altri. E in tal modo ci si “fa uno” con tutti, ci si apre alla loro realtà. E il farsi uno aiuta a superare i particolarismi, rivela aspetti delle persone, della vita, della realtà, che ampliano anche l’orizzonte politico: il politico che impara a farsi uno con tutti diventa più capace di capire e di proporre. Il farsi uno è il vero realismo politico. Ancora, il politico dell’unità non può rimanere passivo davanti ai conflitti, spesso aspri, che scavano abissi tra i politici e tra i cittadini. Al contrario, egli compie il primo passo per avvicinarsi all’altro, riprendere la comunicazione interrotta; dapprima, anche solo con un piccolo gesto, un saluto, ad esempio. Creare la relazione personale dove essa non c’è, o dove ha subito una interruzione, può significare, a volte, riuscire a sbloccare lo stesso processo politico: amare per primi, per il politico dell’unità, è un atto dovuto alla dignità della persona, ma che si trasforma anche in una vera e propria iniziativa politica, aiutando a superare i pregiudizi e il gioco delle parti, che tanto spesso paralizzano i politici in contrapposizioni inutili. La fraternità, ancora, trova piena espressione nell’amore reciproco, di cui la democrazia, se rettamente intesa, ha una vera necessità: amore dei politici fra loro, e fra i politici e i cittadini. Il politico dell’unità non si accontenta di amare da solo, ma cerca di portare l’altro, alleato o avversario, all’amore, perché la politica è relazione, è progetto comune. Un’ultima delle nostre idee-forza è che la patria altrui va amata come la propria; la più alta dignità per l’umanità sarebbe infatti quella di non sentirsi un insieme di popoli spesso in lotta fra loro, ma, per l’amore vicendevole, un solo popolo, arricchito dalla diversità di ognuno e per questo custode nell’unità delle differenti identità. E’ quanto il Movimento ha cercato di vivere in momenti anche drammatici, per esempio durante la guerra per le isole Falkland-Malvine, attraverso gesti di amicizia e di pace attuati tra i nostri argentini e i nostri inglesi: gesti che avevano un profondo significato politico. Realizzare la fraternità richiede sacrificio Ma tutti questi aspetti dell’amore politico, che realizzano la fraternità, richiedono sacrificio. Quante volte l’attività politica fa conoscere la solitudine, il senso di abbandono, l’incomprensione da parte, anche, dei più vicini! Chi, tra coloro che fanno politica, non si è mai sentito amareggiato o emarginato o tradito, al punto di essere tentato di lasciare? Ebbene, è qui che viene in aiuto anche al politico il Cristo crocifisso che grida: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46) ma che, riabbandonandosi al Padre, come è stato detto, ha superato il baratro e ha ricomposto ogni disunità. Gesù abbandonato-risorto, infatti, se è l’immagine ideale di ogni uomo, lo è particolarmente del politico, proprio perché il politico è colui che abbraccia le divisioni, le spaccature, le ferite della propria gente, per trovare le soluzioni, per ricomporle in unità. E’ questo il prezzo della fraternità che è richiesto al politico: prezzo altissimo, come è alta la vocazione politica. Ma altissimo è anche il premio. La fedeltà alla prova farà, infatti, del politico un modello, un punto di riferimento per i suoi concittadini, orgoglio della sua gente. Questi sono i politici che il Movimento dell’Unità desidera, con l’aiuto di Dio, generare, nutrire, sostenere. E non è utopia. Lo dicono alcuni dei nostri che ci hanno preceduti in Cielo: Jozef Lux, già vice-primo ministro della Repubblica Ceca, che seppe conquistare l’ammirazione di colleghi e avversari; o Domenico Mangano, che visse la politica nell’amministrazione comunale di Viterbo, in costante servizio ai suoi concittadini; o Igino Giordani, il cui processo di canonizzazione recentemente iniziato sta mettendo in luce come egli abbia vissuto non solo le virtù religiose ma anche quelle civili: segno, questo, che ci si può fare santi non “nonostante la politica”, ma “attraverso la politica”. Esempi concreti Il Movimento dell’Unità è impegnato anch’esso sul piano del dialogo. Lo ha attuato, ad esempio, tra le opposte fazioni dei cattolici e dei protestanti nell’Irlanda del Nord, contribuendo a risultati politici di rilievo. Ma dialogo, anche, tra parlamentari di diversi schieramenti, come sempre avviene quando alcuni dei nostri sono eletti in partiti diversi ma compongono, insieme, un’unica “cellula parlamentare”. La “cellula d’ambiente” è una delle nostre tipiche forme organizzative, che si costituisce quando dei membri del Movimento si trovano ad operare nel medesimo luogo. Dialogo, poi, tra governo e opposizione. Di questo abbiamo esperienza soprattutto nelle amministrazioni locali. I nostri che sono al governo riconoscono gli apporti positivi dell’opposizione e ne favoriscono il ruolo di controllo. L’opposizione è condotta allora attraverso una critica costruttiva, che non tende ad intralciare l’operato del governo, ma a correggerlo per migliorarlo. In numerosissimi casi, l’unità tra i nostri presenti da una parte e dall’altra ha favorito la ricerca della soluzione migliore per la comunità, la quale viene pienamente garantita solo se governo e opposizione esercitano entrambi, al meglio, il proprio ruolo. L’umanità come un unico corpo Il Movimento dell’Unità vede l’umanità come un unico corpo nel quale tutti gli uomini sono affratellati. L’umanità è prima di tutto una cosa sola. Giovanni Paolo II, parlando ai nostri giovani, diceva: “(Voi) volete scrutare il cammino che bisogna percorrere per raggiungere un ’mondo unito’, nella consapevolezza che tale ’ideale’ va facendosi ’storia’. “Davvero, questa sembra la prospettiva che emerge dai molteplici segni del nostro tempo: la prospettiva di un mondo unito. E’ la grande attesa degli uomini d’oggi. (…) A tutti è domandato di educare la propria coscienza a sentimenti di rispettosa convivenza, di concordia, di fratellanza, giacché senza questi non è possibile attuare un vero cammino di unità e di pace” . Il Papa ha detto questo prima dell’11 settembre. Ora il suo pensiero è senz’altro rafforzato dal gravissimo pericolo del terrorismo, che esige unità non solo fra gli uomini e le donne del nostro pianeta, ma fra i popoli come tali ed i grandi che li governano. Unità nella diversità Un’unità, sempre nella diversità, nella libertà, costruita da persone e da popoli che siano veramente se stessi, portatori di una propria identità e di una propria cultura aperte e dialoganti con le altre. Sognare la pace E quando sarà così, si potrà conoscere finalmente la pace. Infatti, a mano a mano che a ciò ci si avvierà, vedremo realizzarsi altri particolari sogni di grandi della nostra storia. Come quello, ancora, di Martin Luther King: “Oggi ho (…) sognato che (…) gli uomini muteranno le loro spade in aratri, e che le nazioni non insorgeranno più contro le nazioni, e la guerra non sarà neppure più oggetto di studio. (…) Con questa fede noi saremo capaci di affrettare il giorno in cui vi sarà pace sulla terra e buona volontà verso tutti gli uomini. Sarà un giorno glorioso, e le stelle canteranno tutte insieme, ed i figli di Dio grideranno di gioia” . Che il Signore ed il nostro agire facciano in modo che quel giorno sia vicino. Grazie, Signori tutti, dell’ascolto. Chiara Lubich
Lug 1, 2002 | Focolari nel Mondo, Spiritualità
Il progetto dell’ Economia di Comunione nasce durante un viaggio che Chiara ha fatto nel 1991 in Brasile.
Attraversando la città di San Paolo, avverte la tragicità del problema sociale in quella terra, constata che la stessa comunione dei beni, che sin dall’inizio si attuava nel Movimento, non è più sufficiente ad aiutare i poveri. Propone allora la nascita di aziende, rette da persone che mettano in comune liberamente gli utili aziendali per tre finalità: aiutare quelli che sono nel bisogno, formare alla cultura del “dare” e sostenere l’azienda. Questo progetto assume il nome di “Economia di Comunione”. A riguardo delle aziende diceva: “A differenza dell’economia consumista, basata su una cultura dell’avere, l’Economia di Comunione è l’economia del dare. Ciò può sembrare difficile, arduo, eroico. Ma non lo è perché l’uomo fatto ad immagine di Dio che è Amore, trova la propria realizzazione proprio nell’amare, nel dare. …dare non significa soltanto dare gli utili o dare qualcosa. Non è quello. E’ quel dare che noi abbiamo imparato dal Vangelo che significa amare tutti. Quindi la cultura dell’amare: Amare anche i dipendenti, amare anche i concorrenti, amare anche i clienti, amare anche i fornitori, amare tutti. Lo stile di vita aziendale deve essere tutto cambiato, tutto deve essere evangelico, altrimenti non abbiamo economia di comunione”. Il ‘sogno’ di allora sta diventando realtà: molte aziende sono nate e non solo in Brasile, ma in molti Paesi del mondo, imprese già esistenti hanno fatto proprio il progetto, modificando lo stile di gestione aziendale e la destinazione degli utili. A tutt’oggi sono 761 le aziende che vi aderiscono nel mondo, 250 in Italia. Quando è stato lanciato questo progetto anche noi vi abbiamo aderito subito con radicalità. E’ stato come una vera bomba che ha cambiato la nostra vita, una luce che ha illuminato e dato più senso al nostro lavoro, alla nostra economia. Ci siamo scoperti imprenditori, non per noi ma per un disegno molto più grande e abbiamo capito che potevamo allargare il nostro orizzonte all’umanità intera. Ha assunto un nuovo significato l’assumere in azienda persone in difficoltà, come una famiglia di profughi composta dai genitori e sei bambini. Abbiamo capito il perché della nostra cura nel produrre rispettando la natura e l’ambiente ed anche il nuovo rapporto con i dipendenti interessandoci di più delle loro problematiche e necessità. Un’altra conseguenza della nostra adesione è stato l’esaminarci e confrontarci su come vivere il dare. Il dare non è stato facile. Eravamo soliti pensare di reinvestire quasi tutto l’utile nell’azienda. Ma, pur tenendo conto di questa necessità, abbiamo superato questi pensieri pensando ai tanti poveri che potevamo aiutare . Ed anche quando, per difficoltà subentrate, gli utili non ci sono più stati, il dispiacere di non poterlo più fare è servito per scoprire tutti i valori, anche più profondi del vivere questa economia nuova: i rapporti con le persone, la correttezza professionale e verso le istituzioni, l’armonia nell’azienda. Poli Industriali Nella cittadella del Movimento in Brasile, quest’invito a concretizzare il progetto dell’EDC, è stato accolto subito con slancio e generosità ed è nato a pochi chilometri di distanza dall’abitato, un polo imprenditoriale: il polo Spartaco. Alla società per azioni che si è costituita per amministrarlo aderiscono oggi più di 3600 persone che , con radicalità, hanno messo a disposizione i loro risparmi, spesso di modesta entità, dando vita così ad un azionariato diffuso. Lanciando il Polo Spartaco in Brasile, Chiara Lubich aveva esclamato: “siamo poveri, ma tanti”, suggerendo di ripartire il capitale in azioni dal valore nominale modesto, a cui molti potessero accedere. Il Polo in Brasile oggi è una realtà, con già sei aziende funzionanti, esempio e modello di una nuova economia. Sono nati, in questi ultimi anni, Poli imprenditoriali anche in Argentina e si stanno costituendo negli USA, in Francia ed in Belgio. Nell’aprile 2001 a Castelgandolfo, a dieci anni dal lancio del progetto, si è tenuto un seminario per operatori dell’economia di comunione e Chiara ha lanciato una nuova sfida: far nascere anche in Italia, nei pressi della cittadella di Loppiano un polo industriale, a cui potranno collegarsi le aziende italiane che aderiscono al progetto. La proposta è stata accolta con grandissimo entusiasmo e un piccolo gruppo di esperti ha iniziato subito a studiarne la realizzazione. E’ stata suggerita la costituzione di una società per azioni che miri a coinvolgere quante più persone possibili per realizzare anche qui in Italia un’azionariato diffuso e per questo il valore nominale di ciascuna azione è stato fissato a 50 €. Il complesso nascente è stato chiamato: “Polo Lionello”, per ricordare il focolarino Lionello Bonfanti, uno degli artefici della costruzione della cittadella di Loppiano ed in ottobre si è costituita l’EdiC S.p.A., un nome che sentiamo come una responsabilità perché carico di una grande idealità: rendere visibile l’EdC. Nel suo statuto se ne precisano i fini: l’acquisto, il progetto e la costruzione di immobili, che saranno dati in locazione alle aziende che vorranno insediarsi; lo studio , la realizzazione e l’organizzazione di impianti industriali, commerciali e di servizi e corsi di formazione. L’art. 32 evidenzia la novità del progetto EdC: infatti per essere pienamente coerenti ai principi ispiratori si è voluto stabilire che il 30% degli utili venga destinato ad un fondo per indigenti. Immediati e sorprendenti sono stati gli echi di risposta all’iniziativa: La regione toscana ha approvato una mozione di sostegno al polo imprenditoriale di Loppiano. Nel testo si chiede alla giunta regionale di aderire al progetto perché “laboratorio di una nuova economia” e di inserirlo nei programmi di sviluppo della regione quale modello da proporre per l’attuazione di una nuova politica di cooperazione allo sviluppo. Anche l’amministrazione comunale ha dimostrato grande interesse dando tutto l’appoggio affinché il cuore del progetto abbia sede nel comune di Incisa in Valdarno. La risposta degli imprenditori italiani è stata subito pronta e generosa, mostrando come il Polo sia già, ancora prima di essere realizzato, centro di attrazione e riferimento, un faro di luce, per tutte le aziende di EdC ed anche per il mondo economico. Ad un convegno, tenutosi a Loppiano nel febbraio scorso, hanno partecipato più di 550 fra imprenditori, operatori economici e studenti, una ventina di aziende hanno manifestato il desiderio di potersi insediare nel Polo e più di un centinaio di esperti, professionisti e dirigenti d’azienda hanno offerto la disponibilità a collaborare alla realizzazione di questo progetto. Le aziende individuate e disposte a trasferirsi nel Polo, o ad aprirvi una propria filiale, condividono l’Economia di Comunione; sono imprenditori pieni di ardore e con uno slancio da veri pionieri. Anche tantissime persone che sono venute a conoscenza di questa iniziativa, vi hanno aderito prontamente, dichiarando, che appena sarà possibile iniziare la raccolta, vi contribuiranno per sentirsi pienamente artefici ed attori pur non essendo imprenditori; sono persone di ogni tipo: giovani e ragazzi, lavoratori, pensionati, casalinghe ed anche imprenditori che, pur condividendo il progetto e volendolo sostenere, non possono trasferire la propria attività. Sappiamo che tutto questo è un grande impegno, un grande sforzo ma ci aiuta il pensare che non è tanto un “buon investimento” quello a cui stiamo lavorando, ma è la realizzazione di un’ Opera di Dio. Per sovvenire alle necessità di molti, l’intento è quello di produrre utili, ma vorremmo sottolineare la peculiarità di altri beni che la società intende generare : un complesso di beni meno visibili, difficilmente quantificabili, espressi dalla qualità e stile di vita, dai rapporti di amore all’interno delle aziende, fra le aziende e fuori di esse, beni che presuppongono un grande ideale. Per questo, l’inserimento nella cittadella di Loppiano, è un aiuto , un sostegno, è la fonte che genera quel “supplemento d’anima” necessario. Siamo ancora agli inizi, ma siamo sicuri che questo progetto, per l’adesione di tanti, si realizzerà. (altro…)
Giu 30, 2002 | Parola di Vita
Queste parole di Gesù sono talmente importanti che il Vangelo di Matteo le riporta due volte (Mt 13,12; 25,29). Esse mostrano chiaramente che l’economia di Dio non è come la nostra. I suoi calcoli sono sempre diversi dai nostri, come quando, ad esempio, dà lo stesso compenso all’operaio dell’ultima ora come a quello della prima (Cf Mt 20, 1-16).
Gesù disse queste parole rispondendo ai discepoli che gli chiedevano perché a loro parlava apertamente mentre invece agli altri si rivolgeva in parabole, in maniera velata. Gesù dava ai suoi discepoli la pienezza della verità, la luce, proprio perché lo seguivano, perché per loro lui era tutto. A loro che gli avevano aperto il cuore, che erano pienamente disposti ad accoglierlo, che già avevano Gesù, a loro Gesù si dà in pienezza.
Per comprendere questo suo modo di agire può essere utile ricordare un’altra Parola simile, che riporta il Vangelo di Luca: “Date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo” (Lc 6,38). Nelle due frasi, secondo la logica di Gesù, avere (a chi ha sarà dato) equivale a dare (a chi dà sarà dato).
Sono sicura che questa verità evangelica l’hai sperimentata anche tu. Quando hai aiutato una persona ammalata, quando hai consolato qualcuno che è triste, quando sei stato vicino a chi si sente solo, non hai provato a volte una gioia ed una pace che non sai da dove vengono? È la logica dell’amore. Quanto più uno si dona tanto più è arricchito.
Potremmo allora leggere così la Parola di questo mese: a chi ha amore, a chi vive nell’amore, Dio dà la capacità di amare ancora di più, dà la pienezza dell’amore fino a farlo diventare come lui che è Amore.
«A chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza, e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha»
Sì, è l’amore che ci fa essere. Noi esistiamo perché amiamo. Se non amassimo, e tutte quelle volte che non amiamo, non siamo, non esistiamo (“sarà tolto anche quello che ha”).
Allora non ci resta che amare, senza risparmio. Solo così Dio si donerà a noi e con lui verrà la pienezza dei suoi doni.
Diamo concretamente a chi ci sta attorno, sicuri che dando a lui diamo a Dio; diamo sempre; diamo un sorriso, una comprensione, un perdono, un ascolto; diamo la nostra intelligenza, la nostra disponibilità; diamo il nostro tempo, i nostri talenti, le nostre idee, la nostra attività; diamo le esperienze, le capacità, i beni per farne parte ad altri, in modo che nulla si accumuli e tutto circoli. Il nostro dare apre le mani di Dio che, nella sua provvidenza, ci riempie sovrabbondantemente per poter dare ancora, e tanto, e ricevere ancora, e poter così venire incontro alle smisurate necessità di molti.
«A chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza, e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha»
Il dono più grande che Gesù vuol farci è lui stesso, che vuole essere sempre presente in mezzo a noi: questa è la pienezza di vita, l’abbondanza di cui vuole ricolmarci. Gesù si dà ai suoi discepoli quando lo seguono uniti. Questa Parola di vita ci ricorda, quindi, anche la dimensione comunitaria della nostra spiritualità. Possiamo leggerla così: a quanti hanno l’amore reciproco, a quanti vivono l’unità sarà data la presenza stessa di Gesù in mezzo a loro.
E ci sarà dato ancora di più. A chi ha, a chi ha vissuto nell’amore e così avrà guadagnato il centuplo in questa vita, sarà dato anche, in sovrappiù, il premio: il Paradiso. E sarà nell’abbondanza.
Chi non ha, chi non avrà il centuplo, perché non ha vissuto nell’amore, non godrà in futuro nemmeno del bene e dei beni (parenti, cose) che ha avuto sulla terra, perché in inferno non ci sarà che pena.
Amiamo, dunque. Amiamo tutti. Amiamo fino al punto che anche l’altro ami a sua volta e l’amore sia reciproco: avremo la pienezza della vita.
Chiara Lubich
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Giu 19, 2002 | Dialogo Interreligioso
“Questo incontro è stato un’esperienza spirituale, non solo un esercizio accademico. Abbiamo tutti sperimentato la vicinanza di Dio. Siamo stati introdotti alla tradizione cristiana che un po’ già conoscevamo, ma in modo speciale l’esperienza perso- nale e spirituale di Chiara, la sua esperienza di Dio, ci ha arricchito, perché è molto simile a quello che hanno sperimentato i nostri santi”.
E’ quanto ha dichiarato in un’intervista alla Radio Vaticana, la prof. Kala Acharya, direttrice dell’Istituto di cultura Sanskriti Peetham dell’Università Somaiya di Vidyavihar (Bombay), tra i promotori di questo simposio Indù-cristiano, che in apertura ha visto la presenza del card. Ivan Dias, di Bombay, e di mons. Felix Machado, incaricato dei rapporti con l’Induismo al Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. “I vari studiosi hanno espresso in profondità le loro tradizioni e convinzioni, in un clima di grande apertura e fraternità – ha detto il prof. Giuseppe Zanghì co-responsabile del Centro del Dialogo interreligioso del Movimento dei Focolari, che ha organizzato il simposio insieme alla prof. Kala Acharya. “Tutto si è svolto a livello fortemente accademico, ma penetrato e nutrito da una fortissima spiritualità. E’ stato un vero arricchimento reciproco. Da parte nostra è stato entrare in una cultura millenaria che ha certo delle ricchezze umane, ma anche divine – non ho paura ad affermarlo – che sono notevoli e che dobbiamo far nostre, perché il dialogo sia un dialogo sincero”. Prospettive per il futuro? Il Prof. Shantilal K. Somaiya, Presidente dell’omonina Università, figlio del fondatore dell’Ateneo, risponde: “Chiara verrà in visita in India dall’8 gennaio. Nel rapporto tra noi c’è un progresso continuo, una profonda unità e amore reciproco. Il dialogo è all’ordine del giorno nel terzo millennio. Sono certo che le Religioni impareranno a vivere insieme, a comprendersi e lavorare insieme a beneficio dell’umanità. Questo è lo scopo”. La Prof. Kala Acharya: “Ciò che abbiamo iniziato avrà certo un seguito e sono sicura che fiorirà”. Per il prof. Zanghì si porterà avanti questo incontro: “Si è aperta una finestra, una realtà che avrà degli sviluppi importanti”. Un frutto notevole: era presente, come osservatore, un giapponese del Movimento buddista Rissho Kosei-kai. E insieme si è progettato per il 2003 un incontro analogo con i buddisti. In udienza dal Papa Mercoledì 19, i partecipanti al Simposio erano presenti all’udienza generale nell’Aula Paolo VI, dove il Papa li ha salutati ed si è fermato per una foto ricordo. Chi è il Papa per gli indù? Prof. Somaiya: E’ un grande capo spirituale Prof. Kala Acharya: Per gli indù, i Santi sono Santi, è qualcosa che va al di là della religione. Noi siamo molto aperti … E il Papa è il grande Santo che io rispetto. (da un’intervista della Radio Vaticana) (altro…)
Giu 19, 2002 | Dialogo Interreligioso

Chiara Lubich con Kala Acharya e Shantial Somaiya
I partecipanti – La delegazione indiana era costituita oltre che dalla prof.ssa Kala Acharya, dal prof. Somaiya con altri rappresentanti dello suo Istituto, dalla dott.ssa Joshi, direttrice della facoltà di Filosofia dell’università di Bombay, dal prof. Upadhyaya con la sua signora (a rappresentare il Bharatya Vidhya Bhavan, altra prestigiosa istituzione culturale di Bombay, con 200 sedi in India e 6 all’estero).
Presenti anche i gandhiani del sud dell’India con la sig.ra Minoti Aram e la figlia Vinu, dello Shanti Ashram, il dott. Markandan e il dott. Raja della Gandhigram University. Prezioso l’apporto anche di diversi membri indiani del Focolare, di varie vocazioni. Come osservatore ha preso parte al convegno il sig. Kazumasa Yoshinaga, dell’Ufficio di Ginevra del Movimento buddista Rissho Kosei-kai. Per il Movimento dei Focolari, oltre a Giuseppe Zanghì e Natalia Dallapiccola e gli altri componenti del Centro del dialogo interreligioso, hanno animato il Simposio i membri della Scuola Abba. Il tema: “La via dell’amore – L’unione con Dio e la fraternità universale nell’induismo e nel cristianesimo”, è stato affrontato con la presentazione di studi ed esperienze a diverso livello, commentate poi in momenti di dialogo. Ben oltre le aspettative – La preparazione era cominciata in India e al Centro del Movimento dei Focolari, con largo anticipo e con grande impegno, tanta era l’attesa. Ma il Simposio è andato ben oltre le aspettative giacché sin dalle prime battute si è compreso qualcosa di nuovo e di grande. Chiara Lubich ha confermato questa impressione che ciascuno aveva in cuore. Nel suo saluto all’inizio dei lavori, ha infatti commentato: “Penso che ci si spalanca davanti un orizzonte che noi non conosciamo.” Il programma – La mattina seguente Chiara stessa ha presentato la sua esperienza di “devozione” a Dio, mettendo in rilievo la novità dell’amore al prossimo, come strada privilegiata per l’unione con Dio. La prof.ssa Kala Acharya ha poi sottolineato punto per punto l’esposizione di Chiara con riferimenti alla tradizione indù, che propone tre strade verso Dio: quella dell’azione, quella della conoscenza e quella della “devozione”. La professoressa ha sottolineato che Chiara con la sua spiritualità apre ora una quarta strada: quella dell’amore al prossimo e dell’amore reciproco. I vari interventi mettevano in rilievo un argomento particolare: la “devozione” nella scrittura indù e in quella cristiana, la devozione in Maria e in alcune sante indù, il dolore come dimensione indispensabile per arrivare ad una vera unione con Dio. Fruttuosi i due momenti di dialogo quotidiano in cui c’era la possibilità di confrontarsi e di sottolineare quanto precedentemente esposto con esperienze di vita.
Particolarmente arricchente la domanda con cui il prof. Sureshchandra Upadhyaya ha chiesto di chiarire come Gesù, essendo Dio, possa essersi sentito abbandonato da Lui. All’apparente contraddizione, Chiara ha risposto presentando il mistero dell’incarnazione e la sua personale scoperta di Gesù abbandonato. Nel pomeriggio, si è parlato dell’ incidenza che la spiritualità porta nelle realtà umane. Sono stati presentati l’Economia di Comunione e il Movimento dell’unità in politica, da parte dei Focolari; e, da parte indù, le prospettive economiche e della vita pubblica in Gandhi; e ancora le cittadelle dei Focolari e l’Ashram indiano. Come dicevano indù e cristiani, si è sperimentata la presenza di Dio in questi giorni indimenticabili che, come sottolineava Chiara, sono l’inizio di una strada forse lunga, ma che non si fermerà agli ostacoli se Dio rimarrà con noi.
In Vaticano – Il Simposio ha anche conosciuto due momenti di intensa comunione in Vaticano: lunedì 17 i partecipanti hanno trascorso un’ora e mezza con il card. Francis Arinze ed i suoi collaboratori al Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Mercoledì 19, infine, l’udienza nell’Aula Paolo VI, dove Giovanni Paolo II ha salutato i partecipanti al Simposio. Alla fine dell’udienza si è fermato col gruppo indù-cristiano per una foto ricordo. Venerdì 14, l’apertura del Simposio aveva visto la presenza del cardinale di Bombay, Ivan Dias, e di mons. Felix Machado, del pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, intervenuto su: “Il dialogo indù-cristiano”. Ad Assisi e alla cittadella di Loppiano – Una visita ad Assisi ed una giornata alla cittadella di Loppiano hanno coronato un’esperienza indimenticabile. Come diceva uno dei partecipanti prima della partenza: “Non posso promettervi che vi ricorderò perché si ricordano solo le cose e le persone che prima si erano dimenticati… questi giorni e tutti voi non potranno essere dimenticati, sono parte di noi.”
Giu 17, 2002 | Non categorizzato
Giu 1, 2002 | Chiara Lubich
Non a caso Chiara Lubich definisce Torino, scrivendo la mattina del 2 giugno nel libro d’oro della città: “la capitale della fraternità”. E’ questa la fisionomia che si delineerà a chiare lettere nel pomeriggio, nella cornice del Teatro Regio, uno dei maggiori teatri lirici d’Europa. Torino, nelle parole del sindaco, trova nuovo coraggio per incarnarla nell’attuale momento di profonda trasformazione. Per il conferimento della cittadinanza onoraria a Chiara Lubich sono convenuti in oltre 1600 persone. Vi è rappresentata tutta la città: il sindaco, il cardinale, industriali, uomini di cultura, cristiani di diverse Chiese, ebrei, musulmani e buddisti, altri movimenti ecclesiali e associazioni come Comunione e Liberazione, Comunità di Sant’ Egidio, Azione Cattolica e Acli. Presente anche Ernesto Olivero, fondatore del Sermig. Il sindaco aveva invitato molti suoi colleghi che rappresentavano 55 comuni della provincia. Quanti non hanno trovato posto all’interno seguono attraverso un maxischermo istallato nella piazzetta adiacente al teatro, mentre un numero difficilmente quantificabile è collegato nel mondo grazie alla diretta televisiva via satellite e via internet. E’ il sindaco Sergio Chiamperino, promotore dell’iniziativa, che apre la cerimonia. “E’ un’emozione – dice – avere l’onore di conferire la cittadinanza a una donna che, con il suo impegno e con la sua forza umana e spirituale, ha saputo dialogare e far dialogare popoli e religioni, dandoci un insegnamento che – oggi più che mai – è il più prezioso per la nostra società. Ed è lui che presenta a Chiara la sua città: “Torino ha visto i grandi santi sociali, dal Cottolengo a Giovanni Bosco a Cafasso, a Murialdo… e ad altri. Ha visto queste personalità saper lanciare insieme un messaggio spirituale e un aiuto materiale alla società che ne aveva bisogno; penso che anche oggi, già adesso, mentre noi parliamo, ci sono tante persone che nell’umiltà dell’anonimato, nelle istituzioni, che nel volontariato lavorano a servizio degli altri. E ci sono anche tante persone che concepiscono il servizio alla città, la responsabilità, che sia in politica, che sia alla guida di grandi imprese, come servizio alle persone. Ecco, tutto ciò mi fa sperare che Torino continui a rinverdire questa sua vocazione alla persona e al senso di comunità. Il sindaco afferma che questo incontro infonde nuovo coraggio per rinverdire e far emergere questa vocazione sociale.
Le testimonianze che seguono, tra cui quelle del card. Poletto, arcivescovo di Torino, del giornalista Sergio Zavoli, del sindaco di Trento Pacher, sono di grande rilievo: pur da angolazioni diverse, sottolineano la novità e l’attualità del carisma dell’unità e la profonda consonanza con la santità e socialità, la vocazione profonda della città. “La testimonianza di Chiara Lubich – aveva poi aggiunto il sindaco nel suo intervento – ha valore in modo particolare per chi è impegnato nella società attraverso la politica”. Ed è su sua richiesta che Chiara Lubich interviene parlando della “fraternità in politica” e dell’esperienza in atto del Movimento dell’unità a cui appartengono politici dei più diversi partiti, animati dalla spiritualità dell’unità. Nelle parole di ringraziamento, in apertura, Chiara aveva espresso il desiderio di ricambiare il dono ricevuto con il dono non suo ma “piovuto dal cielo” per il bene di molti, frutto di un carisma… “Un nuovo stile di vita, una nuova spiritualità dell’unità” che “suscita dovunque brani di fraternità”, dando pieno senso alla nostra vita di uomini che spesso non sanno accontentarsi di mediocrità, ma aspirano al meglio e, sempre, nonostante tutto, sperano in un mondo migliore, più unito”. L’applauso esploso inaspettatamente in sala proprio quando Chiara ha parlato della difficile via di fraternità nel complesso mondo politico come via di santità, testimoniata da vari politici, ha svelato quanto questa aspirazione sia profonda nel cuore di Torino. Le interviste raccolte a fine programma evidenziano il profondo impatto del suo messaggio.
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Giu 1, 2002 | Chiara Lubich
Chiara Lubich ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Torino e di Bra La cittadinanza onoraria è un modo per rendere pubblico, mettere in comune l’universo di valori che una persona ha testimoniato e promosso lungo la propria vita. I Consigli comunali di Torino e di Bra, conferendo la cittadinanza a Chiara Lubich hanno mostrato di voler considerare “valore” le parole e le opere che la fondatrice del Movimento dei Focolari ha seminato, in quasi 60 anni, in tutto il mondo. “Valore” non solo per chi sull’esperienza di Chiara fonda la propria vita o per i soli cattolici; ma valore per la città intera, per quella comunità che comprende tutte le persone di un territorio. La “risposta” di Chiara Lubich alla città, nell’intervento con cui ha concluso al Teatro Regio la cerimonia di conferimento, è una risposta “politica”: illustrando l’esperienza del Movimento per l’Unità, Chiara ha ricordato che la “cittadinanza” si fonda sulla politica; e che il fine stesso della politica è di realizzare condizioni di “cittadinanza” sempre più piene per tutte le persone. Proprio perché la realtà comune che fonda la politica e la cittadinanza è la fraternità, il riconoscere l’eguaglianza di sostanza e di diritti in ogni uomo e donna del pianeta. Non a caso la fondatrice dei Focolari ha ricordato all’inizio della sua “lezione” i principi della Rivoluzione francese, osservando come proprio la fraternità sia forse “quello più misconosciuto e meno applicato. Stupisce che, mentre la libertà e l’uguaglianza hanno conosciuto un notevole sviluppo dottrinale e hanno trovato parziale applicazione nelle Costituzioni e nelle leggi di molti Stati democratici, alla fraternità non sia spesso riconosciuta la dignità che le è propria: quella di categoria politica fondamentale, senza la quale neppure le altre possono trovare espressione”. Da personaggio “non politico” qual è, Chiara Lubich non aveva bisogno di testimoniare il disagio di quei cittadini (tanti) che di fronte alla politica attuale oggi non si riconoscono nello stile di una politica spettacolare, strumentale ad altri interessi ed altre priorità, o nella politica intesa come bruto confronto di forza; o, ancora, negli imbrogli affaristici delle lobbies, che sembrano diventare il referente indispensabile dell’agire politico, di qua e al di là dell’Atlantico. Ma, descrivendo lo stile della “fraternità politica”, Chiara ha indicato in positivo quel che la politica può essere, a cominciare dai principi fondamentali di “stile” (rispetto delle persone e delle opinioni)fino ai contenuti specifici dell’agire politico, secondo il criterio del bene comune. Una lezione che potrebbe apparire ovvia, se proprio quei valori non fossero sistematicamente disattesi, oggi, dagli stessi politici che li predicano. Se proprio oggi non ci venisse presentato il grande “passo indietro” che la politica sta subendo in tutto il mondo, sostituita dalla vigliaccheria del terrorismo o della forza altrettanto vigliacca dello sfruttamento tecnologico ed economico dei ricchi sui poveri. In realtà, senza quei principi semplici (ma che vanno testimoniati con la vita) non c’è politica, come non c’è costruzione della storia. Dall’affarismo e dalle prove di forza non è mai venuto un progetto che durasse più degli interessi che ne erano all’origine; ma non è lungo questa strada che si sono fatti gli Stati e poi si è iniziato a “sognare” l’Europa. Nella “lezione” di Chiara Lubich c’è però anche altro: c’è l’invito, diretto certo non ai soli focolarini, a considerare senza paura né pregiudizio la via della politica come una strada “alta” per vivere la carità. C’è l’invito a uscire, a “farsi vedere”, come più volte Chiara ha ripetuto in queste giornate torinesi, per essere punto di riferimento, segnale di speranza.
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Giu 1, 2002 | Chiara Lubich
L’arcivescovo di Torino, cardinale Severino Poletto: “Questo gesto dell’amministrazione comunale di Torino, di conferire la cittadinanza onoraria a Chiara Lubich manifesta una capacità di collegarsi con la storia religiosa di questa città, una storia di fraternità. I nostri santi sociali, così tanto citati oggi, sono veramente quelli che hanno creato l’innervatura dell’identità stesso della città di Torino. E allora il carisma di Chiara, questo suo annunciare a tutti la spiritualità dell’unità e della comunione è un carisma che va molto incoraggiato e sostenuto, perché corrisponde all’essenza del cristianesimo. Se davvero fossimo capaci di realizzare la fraternità universale, non ci sarebbero più poveri né guerre. Sarebbe un’anticipazione del Paradiso”. Il magistrato Giancarlo Caselli: “M’è parso molto interessante questo invito ai politici a cercare l’unità non nonostante la politica, ma attraverso la politica; una politica quindi che sia davvero servizio senza steccati o egoismi o peggio ancora contrapposizioni e ostilità. E’ quello che tutti vorremmo e che potrebbe sembrare un sogno se Chiara Lubich non avesse dimostrato in questi anni che i sogni, o addirittura le utopie possono trasformarsi in realtà con la forza della volontà, della fede e con l’unità di intenti”. Gianni Zandano, già Presidente del Banco San Paolo: “Siamo sconvolti per la potenza di questa parola, fraternità, di questo enorme carisma di Chiara. Può essere estremamente utile in un momento in cui Torino è attraversata da fremiti di difficoltà, per i molti problemi non ultimo quello della occupazione per la crisi della Fiat Auto, per l’immigrazione, per una serie di problemi che stanno all’orizzonte, prima dei quali la riscoperta di una vocazione per la città”. Mercedes Bresso, Presidente della Provincia: “La fraternità un’utopia? No. Mi sembra importante questo richiamo di Chiara ispirato dalla sua esperienza, un’esperienza mondiale. In fondo lei è il volto umano della globalizzazione che non è solo dell’economia, ma anche della fraternità. Oggi in qualche modo ci ha dato una sorta di lezione magistrale che ripercorre, teorizzandola, organizzandola, la sua esperienza che prima di tutto è una esperienza di vita. Ernesto Olivero, fondatore del Sermig: “Io rileggevo il Vangelo e quando si entra nel Vangelo si dicono in modi diversi le stesse cose. Quindi il mio cuore ha gioito e gioisce”.
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Giu 1, 2002 | Chiara Lubich, Spiritualità
«Signor Sindaco, Signor Cardinale, onorevoli senatori e deputati, Autorità civili e religiose giunte da tutto il Piemonte e dalla Valle d’Aosta, Signore e signori, giovani presenti.
È con particolare gioia che accetto l’invito a parlare della fraternità alla luce dell’esperienza e della dottrina del “Movimento dell’unità”. Sì, con gioia e con passione, vorrei dire – e non può che essere così – se penso che la fraternità è addirittura, per chi è credente, come sono io, il piano di Dio sull’intera umanità chiamata ad essere una sola famiglia. Il messaggio evangelico, infatti, sottolinea, in modo del tutto particolare, la fraternità, elevandola nella sfera del divino, per la partecipazione di noi, uomini, alla stessa vita della Santissima Trinità dove Dio Trino, ma Uno, è il modello perfetto e supremo di fraternità. Ma, poiché la pratica dell’amore verso il prossimo è presente nei sacri libri di molte fra le grandi religioni del mondo ed è inscritto anche nel cuore di ogni uomo, pur senza un riferimento religioso, ecco che è possibile a tutti gli uomini – pur nella varietà delle loro culture e fedi – di amare ed essere amati e dar vita così alla fraternità. La fraternità è vocazione di tutti e non può, quindi, non esserlo per i politici. Anch’essi, come tutti, sono chiamati a metterla in pratica, a sentirsi fratelli fra loro. E’ il loro primo dovere prima ancora di dedicarsi con passione al proprio partito, prima delle scelte che distinguono le diverse opzioni. Prima. Ed è un bene ciò perché l’amore, se dona luce sempre, lo fa anche sulle decisioni da prendere sì da rendere più atti a raggiungere il fine della politica stessa: il bene comune. La fraternità! Così importante ma quanto praticata? Dei tre grandi principi che, con la Rivoluzione francese, hanno aperto l’epoca politica contemporanea, quello più misconosciuto e meno applicato è proprio la fraternità. Mentre la libertà e l’uguaglianza hanno conosciuto un notevole sviluppo dottrinale e hanno trovato parziale applicazione nelle Costituzioni e nelle leggi di molti Stati democratici, alla fraternità non è stata spesso riconosciuta la dignità che le è propria: quella di categoria politica fondamentale, senza la quale neppure le altre possono trovare piena espressione. Ripercorrendo l’evoluzione del pensiero delle diverse epoche, si potrebbe rintracciarne, forse, una sua qualche presenza alla base di fondamentali concezioni politiche, presenza a volte palese, altre volte più nascosta. Una fraternità vissuta spesso, ogniqualvolta, ad esempio, un popolo si è unito per conquistare la propria libertà, o quando gruppi sociali hanno lottato per difendere un soggetto debole, o in ogni occasione in cui persone di convinzioni diverse hanno superato ogni diffidenza per affermare un diritto umano. Ma lo si è fatto in maniera limitata a quel popolo, a quel gruppo. Nel “Movimento dell’unità”, invece, la fraternità è alla base della sua dottrina politica. Ed è questo il tema del mio presente intervento. Il “Movimento dell’unità” è nato a Napoli nel 1996, ed ora sta diffondendosi e organizzandosi in tutto il mondo. Vi fanno parte politici, amministratori, funzionari, studiosi e cittadini, appartenenti ai più diversi orientamenti politici. Non è un nuovo partito, ma il portatore di una cultura e di una prassi politiche nuove. Per comprenderlo esattamente, bisogna ritornare al ceppo dal quale è fiorito e di cui è una delle espressioni: il Movimento dei Focolari. Ma cos’è il Movimento dei Focolari? E’ una realtà ecclesiale, a finalità ecumenica, interreligiosa, interculturale, frutto non tanto di forze umane, ma, principalmente, di un carisma e cioè di un dono dello Spirito Santo che segue la storia e le offre, di epoca in epoca, aiuti particolari secondo i bisogni. Carisma che vuol concorrere con la Chiesa alla piena realizzazione, fra tutti i cristiani, del “sogno d’un Dio” come dicono i nostri giovani: l’unità; “Padre, che tutti siano uno” (cf Gv 17,21) ha pregato Gesù. Unità però aperta alla fratellanza universale, poiché proprio Lui, Gesù, è morto per tutti. Il Movimento dei Focolari realizza il suo fine attraverso la pratica dell’amore evangelico e di quello reciproco, cuore e sintesi del Vangelo, definito da Gesù: “nuovo” e “suo”. Amore che ha come misura il dare la vita (Gv 15,12-13). Amore che i primi cristiani vivevano così bene da far dire a chi li osservava: “Guarda come si amano e l’uno per l’altro è pronto a morire” . Non si tratta del semplice affetto umano, limitato spesso ai soli parenti od amici. E’ un amore che chiede d’essere rivolto a tutti senza distinzione, uomo e donna, giovane e anziano, bianco e nero, della tua e dell’altrui patria, amico e nemico, come insegna il Padre del Cielo che manda sole e pioggia sui buoni e sui cattivi. Amore che domanda di essere disposti a compiere il primo passo, cioè di avere noi l’iniziativa senza aspettare d’esser amati dagli altri. Amore che chiede di spostare le proprie preoccupazioni per far posto a quelle degli altri, onde comprenderli fino in fondo ed aiutarli opportunamente e concretamente. Amore sempre finalizzato alla reciprocità, all’amarsi a vicenda. E’ quest’amore con tali qualità, è questa fraternità, generata dall’amore degli uni verso gli altri, che il Movimento dei Focolari vuole vivere e irradiare dovunque. Il Movimento dei Focolari, pur essendo fondamentalmente religioso, ha avuto, sin dal 1948, e poi via via durante gli anni, un’attenzione particolare al mondo politico, da quando l’on. Igino Giordani, personalità di vasta esperienza culturale, sociale e politica, combattente nelle stagioni difficili del primo dopoguerra, ne è divenuto confondatore. Egli ha portato nel nostro cuore l’umanità con i suoi problemi e le sue ansie: la ricostruzione del Paese e dell’Europa dopo la seconda guerra mondiale, la democrazia rinascente, la divisione Est-Ovest. Ben presto attorno a Giordani si è raccolto un discreto gruppo di deputati, che hanno cercato di portare il nostro spirito – per quanto allora si era precisato ed approfondito – in parlamento; gruppo che dal 1950 ad oggi ha visto cambiare i propri membri i quali, da un certo momento in poi, appartenevano anche a partiti diversi. Altra presenza politica notevole, sempre fra noi, è stata quella di Alcide De Gasperi, nel quale la nostra spiritualità ha rafforzato quella vocazione all’unità che, assieme ad Adenauer e a Schuman, lo ha fatto fondatore dell’Europa Unita. I nostri politici costituirono, nel 1959, il “Centro santa Caterina” che fu, per quasi dieci anni, il punto di convergenza delle loro ansie e preoccupazioni ed il punto di partenza delle loro attività, rinnovate nello spirito dell’unità. Intanto, sviluppandosi il Movimento dei Focolari dapprima in Italia, poi in Europa e, più tardi ancora, in tutto il mondo, si è andato formando un vero e proprio popolo, il popolo dell’unità, che conta oggi più di 7 milioni di persone: gente di ogni cultura, professione, Paese. E, se fin dai primi tempi si è sempre avuta la consapevolezza che il carisma dell’unità è portatore di una cultura propria, è stato il crescere di questo popolo che ha evidenziato la specificità di questa cultura, rendendone necessario l’approfondimento dottrinale: teologico, ma anche filosofico, politico, economico, psicologico, artistico, ecc. Come novità, poi, di questi ultimi tempi, ecco che l’incontro tra il popolo dell’unità e la sua dottrina sempre più esplicitata, ha provocato quelle che noi chiamiamo “inondazioni”, termine suggeritoci da san Giovanni Crisostomo: lo svilupparsi, cioè, di veri e propri nuovi movimenti, che vanno al di là dello stesso Movimento dei Focolari, aperti a tutti coloro che ne condividono gli ideali; essi agiscono, ad esempio, nel campo economico, con il progetto dell’Economia di Comunione, e in quello politico, con il “Movimento dell’unità”. Il “Movimento dell’unità” è portatore, dunque, di una nuova cultura politica. Cambia il metodo della politica. Pur rimanendo fedele alle proprie autentiche idealità, il politico dell’unità ama fraternamente non solo i propri, ma anche gli altri politici, vive in comunione con tutti. Fa questo nei parlamenti nazionali, nei consigli regionali e comunali, nei partiti, nei diversi gruppi di iniziativa civica e politica. E l’unità, così vissuta, è portata come fermento anche tra i partiti stessi, nelle istituzioni, in ogni ambito della vita pubblica, nei rapporti tra gli Stati. Lo scopo specifico, quindi, del “Movimento dell’Unità” è: aiutare ed aiutarsi a vivere sempre nella fraternità; in quella, credere nei valori profondi, eterni dell’uomo e, solo dopo, muoversi nell’azione politica. L’ideale della fraternità non si aggiunge dall’esterno alla riflessione e alla pratica politica, ma si può considerare come il frutto maturo del percorso plurimillenario della politica, l’anima con la quale affrontare i problemi di oggi. Ma come vivere la fraternità? E in quali modi essa aiuta la politica ad assolvere pienamente ai propri compiti? Per spiegarlo devo soffermarmi su alcuni aspetti dell’amore fraterno, appena accennato, e vedere come è vissuto in politica. Anzitutto, per il politico dell’unità, la scelta dell’impegno politico è un atto d’amore, con il quale egli risponde ad una autentica vocazione, cioè ad una chiamata personale. Egli risponde ad un bisogno sociale, ad un problema della sua città, o alle sofferenze del suo popolo, alle esigenze del suo tempo. Chi è credente avverte che è Dio a chiamarlo, attraverso le circostanze; il non credente risponde ad una domanda umana che trova eco nella sua coscienza: ma entrambi mettono nella loro azione l’amore, ed entrambi hanno la loro casa nel “Movimento dell’unità”. In secondo luogo, il politico dell’unità prende coscienza che, se la politica è, fin nella sua radice, amore, anche l’altro, l’avversario politico, può avere compiuto la propria scelta per amore: e questo esige di rispettarlo, di comprendere l’essenza del suo impegno, andando al di là dei modi, non sempre privi di animosità, con i quali lo vive, e che si possono correggere. Il politico dell’unità ha a cuore che anche il suo avversario realizzi il disegno buono di cui è portatore, perché, se risponde ad una chiamata, ad un bisogno vero, esso è parte integrante di quel bene comune che solo insieme si può costruire. Il politico dell’unità ama, dunque, non solo coloro che gli danno il voto, ma anche gli avversari; non solo il proprio partito, ma anche quello altrui; non solo la propria Patria, ma l’umanità intera. E amare tutti fa comprendere e vivere la dimensione universale della politica. Ancora, il politico dell’unità non può rimanere passivo davanti ai conflitti, spesso aspri, che scavano abissi tra i politici e tra i cittadini. Al contrario, deve essere lui a compiere il primo passo, anche solo con il saluto, per avvicinarsi all’altro, riprendere la comunicazione interrotta. Creare la relazione personale dove essa non c’è, o dove ha subito una interruzione, può significare, a volte, riuscire a sbloccare lo stesso processo politico. Amare per primo, per il politico dell’unità, è un atto dovuto alla dignità della persona, ma si trasforma anche in una vera e propria iniziativa politica; aiuta a superare i pregiudizi e il gioco delle parti, che tanto spesso paralizzano i politici in contrapposizioni inutili. Un altro aspetto della fraternità in politica è la capacità di spostare se stessi per fare spazio all’altro, di tacere per ascoltare anche gli avversari. E’ un “perdere se stessi” che rinnova ogni giorno l’originaria scelta politica, con la quale si decise di occuparsi non di sé, ma degli altri. E in tal modo ci si “fa uno” con loro, ci si apre alla loro realtà. Farsi uno aiuta a superare i particolarismi, fa conoscere aspetti delle persone, della vita, della realtà, che ampliano anche l’orizzonte politico: il politico che impara a farsi uno con tutti diventa più capace di capire e di proporre. Il “farsi uno” è il vero realismo politico. Infine, la fraternità trova piena espressione nell’amore reciproco, di cui la democrazia, se rettamente intesa, ha una vera necessità: amore dei politici fra loro, e fra politici e cittadini. Il politico dell’unità non si accontenta di amare da solo, ma cerca di portare l’altro, alleato o avversario, all’amore, perché la politica è relazione, è progetto comune, non solo decisione individuale. Un amore reciproco che la politica richiede non solo nei rapporti personali, ma come esigenza istituzionale. Nel loro significato più profondo, le distinzioni dei compiti, che la democrazia assegna, hanno lo scopo di permettere l’amore reciproco: se l’azione d’amore del governo si esprime nella proposta e nella decisione, la risposta d’amore dell’opposizione si attua attraverso la controproposta e il controllo. Ma tutti questi aspetti dell’amore politico, che realizzano la fraternità, richiedono sacrificio. Quante volte l’attività politica fa conoscere la solitudine, il senso di abbandono, l’incomprensione da parte, anche, dei più vicini! Chi, tra coloro che fanno politica, non si è mai sentito amareggiato, o emarginato, o tradito, al punto di essere tentato di lasciare? Ebbene, tutto ciò è stato vissuto anche da Gesù che, arrivato al culmine della sua passione, ha gridato l’abissale lontananza che provava da Colui che, per tutta la sua vita, gli era stato il più vicino: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Con questo grido Gesù si è abbassato fino al fondo della condizione umana, ha raggiunto noi uomini fin nella nostra condizione di fallimento e di distacco da Dio. Noi tutti eravamo staccati dal Padre e divisi fra noi: era necessario che il Figlio si facesse come noi, per raccoglierci e per riportarci al Padre, per trasformarci in fratelli. Era necessario che non si sentisse più Figlio perché noi lo diventassimo. Ma, rivolgendosi ancora a Dio: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46), Gesù ha superato il baratro, e ricomposto l’unità con Dio e fra noi. Gesù abbandonato-risorto è il modello di ogni uomo. E lo è particolarmente del politico, proprio perché il politico è colui che abbraccia le divisioni, le spaccature, le ferite della propria gente, per trovare le soluzioni, per ricomporle in unità. E’ questo il prezzo della fraternità che è richiesto al politico: prezzo altissimo, come è altissima la sua vocazione. Ma altissimo è anche il premio. Gesù infatti è l’uomo, l’uomo completo e perfetto; e tale può diventare il politico che vive fino in fondo l’ideale della fraternità. La sua fedeltà alla prova farà allora di lui un modello, punto di riferimento per i suoi concittadini, orgoglio della sua gente. Questi sono i politici che il “Movimento dell’unità” vuole generare, nutrire, sostenere. Non è utopia. Ce lo dicono alcuni che ci hanno preceduti in cielo: come Joseph Lux, già vice-primo ministro della Repubblica Ceca, che seppe conquistare l’ammirazione di colleghi e avversari; o Domenico Mangano, che visse la politica nell’amministrazione comunale di Viterbo, in costante servizio ai suoi concittadini; o Igino Giordani, il cui processo di canonizzazione, recentemente iniziato, sta mettendo in luce come egli abbia vissuto non solo le virtù religiose, ma anche quelle civili: segno, questo, che ci si può fare santi non “nonostante la politica”, ma “attraverso la politica”. Oggi poi nel nostro pianeta la fraternità è più che necessaria. Dopo l’11 settembre scorso, il terrorismo si è manifestato in tutta la sua virulenza. Ma sappiamo come più d’una ne siano le cause: basti pensare allo squilibrio che esiste, nel mondo, fra Paesi poveri e Paesi ricchi, squilibrio che genera odio e scatena orribili vendette. Occorre perciò – i tempi lo reclamano – una più equa distribuzione dei beni. Ma i beni non si muovono da sé se non si muovono i cuori. Di qui l’urgenza che l’ideale della fraternità pianti radici in tutti i popoli ed in modo speciale fra i politici anche di nazioni diverse. Un sogno? Per chi crede unicamente nelle proprie forze, sì. Ma, per chi crede in Colui che guida la storia, nessun sogno è impossibile. Ed è ciò che spera il “Movimento dell’unità”, forse piccolo Davide di fronte a Golia, assieme a quanti altri sono impegnati a fare la propria parte. Grazie, Signori, del loro ascolto». (altro…)
Mag 31, 2002 | Parola di Vita
Il comportamento di Gesù era talmente nuovo rispetto alla mentalità corrente che spesso, per così dire, scandalizzava le persone perbene. Come quella volta che disse a Matteo di seguirlo ed andò a pranzo con lui. Matteo era un esattore delle tasse. A causa del suo mestiere non era amato dalla gente, anzi, era considerato un peccatore pubblico, un nemico al servizio dell’Impero Romano.
Perché, si domandano i farisei, Gesù mangia con un peccatore? Non è meglio stare lontano da certa gente? Quella domanda diventa per Gesù l’occasione per spiegare che lui vuole incontrare proprio i peccatori, così come un medico i malati, e conclude dicendo ai farisei che vadano a studiare cosa significa la parola di Dio riportata nell’Antico Testamento dal profeta Osea: “Misericordia io voglio e non sacrificio” (Cf Os 6,5).
Perché Dio vuole da noi la misericordia? Perché ci vuole come lui. Dobbiamo somigliare a lui come i figli somigliano al padre e alla madre. Lungo tutto il Vangelo Gesù ci parla dell’amore del Padre per i buoni e per i cattivi, per i giusti e per i peccatori: per ognuno, non fa distinzioni e non esclude nessuno. Se ha delle preferenze sono per quelli che meno sembrano meritare di essere amati, come nella parabola del figliol prodigo.
“Siate misericordiosi – spiega Gesù – come è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6,36): questa è la perfezione (Cf Mt 5,48).
«Andate dunque e imparate che cosa significhi: misericordia io voglio e non sacrificio»
Anche oggi Gesù rivolge ad ognuno di noi l’invito: “Andate ad imparare…”. Ma dove andare? Chi potrà insegnarci cosa vuol dire essere misericordiosi? Proprio uno solo: lui, Gesù, che è andato in cerca della pecora smarrita, ha perdonato chi l’aveva tradito e crocifisso, ha dato la sua vita per la nostra salvezza. Per imparare ad essere misericordiosi come il Padre, perfetti come lui, occorre guardare Gesù, rivelazione piena dell’amore del Padre. Egli ha detto: “Chi ha visto me ha visto il Padre.”
«Andate dunque e imparate che cosa significhi: misericordia io voglio e non sacrificio»
Perché la misericordia e non il sacrificio? Perché l’amore è il valore assoluto che dà senso a tutto il resto, anche al culto, anche al sacrificio. Infatti il sacrificio più gradito a Dio è l’amore concreto verso il prossimo, che trova la sua espressione più alta nella misericordia.
Misericordia che aiuta a vedere sempre nuove le persone con le quali viviamo ogni giorno in famiglia, a scuola, al lavoro, senza ricordarci più dei loro difetti, degli sbagli; che ci fa non giudicare, ma perdonare i torti subiti. Anzi dimenticarli.
Il nostro sacrificio non sarà tanto fare lunghe veglie e digiuni, dormire per terra, ma accogliere sempre nel nostro cuore chiunque ci passa accanto, buono o cattivo.
Così ha fatto un signore che lavorava nel reparto accettazione e contabilità di un ospedale. Il suo villaggio era stato interamente bruciato dai “nemici” suoi; quando una mattina vide arrivare un uomo con un parente ammalato. Dal suo accento subito capì che si trattava di uno dei “nemici”, spaventato, che non voleva rivelare la sua identità per non essere mandato via. Il contabile non gli chiese i documenti e lo aiutò, anche se doveva superare l’odio che da tempo gli covava dentro. Nei giorni seguenti ebbe modo di assisterlo in varie occasioni. L’ultimo giorno di ospedale il “nemico” andò a pagare alla cassa e disse al contabile: “Devo confessarti qualcosa che non sai”. E lui: “Dal primo giorno so chi sei.” “E perché mi hai aiutato se sono un tuo ’nemico’?”
Come per lui anche per noi la misericordia nasce dall’amore che sa sacrificarsi per qualsiasi altro sull’esempio di Gesù, che è arrivato fino a dare la vita per tutti.
Chiara Lubich
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Mag 31, 2002 | Nuove Generazioni
“No al di più, sì alla cultura del dare come antidoto al consumismo e alle enormi differenze tra i Paesi”. “L’altro: un pianeta da scoprire, puntando a ciò che unisce”. “Rispondiamo all’odio con il perdono, iniettando dappertutto speranza”.
Sono gli impegni concreti lanciati da ragazzi dal Palco del Palaghiaccio di Marino ai ragazzi che in diretta satellitare con 13 TV nazionali d’Europa dell’Est e Ovest, Americhe e Africa e 3 reti internazionali e oltre 20 TV italiane regionali e via internet che ha raggiunto in tre ore 6800 visitatori da 42 Paesi.
Così si è concluso quello che i ragazzi per l’Unità dei Focolari hanno voluto chiamare “Musical” in un Palaghiaccio gremito da un pubblico multietnico e multireligioso: 9000 ragazzi da tutto il mondo, 92 Paesi, anche dai punti più caldi del mondo: con Terra Santa, Burundi, India e Pakistan. Non sono solo cattolici, ma anche cristiani di 13 Chiese, ragazzi ebrei, musulmani, buddisti, indù.
Coinvolgendo platea e spalti, sono gli stessi ragazzi che hanno comunicato con la forza delle musica canzoni, coreografie, una storia vera, la storia di Chiara Lubich quando nel clima di odio e violenza del secondo conflitto mondiale fa la scoperta dell’Amore che è Dio, da cui scaturisce, con la riscoperto del Vangelo, una corrente di amore e di unità che si intreccia con la loro storia.
Ed è poi Chiara stessa che in dialogo con i ragazzi risponde alle loro domande sul dolore e la morte, sulle pressioni della società consumistica e sull’Al di là.
Di grande profondità questo "tu a tu" con lei: Com’è il Paradiso? "E’ una casa dove ciascuno ha un posto. Ci sarà tutto quanto abbiamo fatto per amore". Ed è lei che chiede loro se sanno cos’è l’Inferno: "Non poter più amare. Aver coscienza che nella vita si doveva amare e non si è amato". Come realizzare il progetto di unità che Dio ha sul mondo?: "Incominciate dai vostri coetanei: testimoniate con la vita e con la parola".
Sono testimonianze forti le storie di Rafel del Brasile: dalla tentazione di suicidio alla scoperta di Dio Amore; perdonare il nemico, che può essere il proprio padre che ha abbandonato la famiglia, come ha raccontato Heloisa. Storie di Vangelo vissuto nei contesti più difficili, come di fronte alla crisi argentina. O in campo politico come l’esperienza di Federico, sindaco Junior in un comune della Sicilia.
E’ questo un appuntamento quinquennale dei ragazzi per l’unità. Novità di quest’anno: portare il loro messaggio di pace e di unità per le strade di Roma. Domenica 26 appuntamento al Colosseo e poi in marcia sino a San Pietro.
Mag 31, 2002 | Nuove Generazioni
La nostra scoperta di Dio Amore
Dalla tentazione di suicidio alla scoperta di Dio Amore
Rafael del Brasile
Nella mia scuola tanti ragazzi pensano solo a se stessi e non si accorgono degli altri.
È difficile dirsi persino un “Ciao!”. Soffrivo molto per questo e non sapevo cosa fare.
Poi, provando a fare il primo passo, ho cominciato ad avere degli amici.
In particolare ho conosciuto un ragazzo che mi sembrava molto triste. Sempre chiuso in se stesso, non voleva parlare con nessuno.
Ho cercato di interessarmi a lui, facendogli sentire che ci tenevo alla sua amicizia. Dopo una lunga chiacchierata, mi ha confidato di essere disperato: aveva tutto, ma era insoddisfatto della vita. Essendo molto intelligente, cercava la verità nei libri. E si domandava come credere in Dio, quando c’è così tanta sofferenza. Non riuscendo a trovare una risposta aveva pensato persino al suicidio.
Gli ho assicurato che poteva contare su di me. Poi ho telefonato ad altri compagni invitando anche loro a stargli vicino. Ci siamo messi d’accordo di chiedergli aiuto per alcune materie, in modo che si sentisse utile. Grazie a questi rapporti ha iniziato a stare meglio.
Spesso mi faceva domande sulla fede. Così l’ho invitato ad un incontro con i ragazzi per l’unità. Alla fine mi ha detto: “Vi vedo per la prima volta, ma in una parola mi avete dato la risposta che cercavo: Dio è amore e quando amiamo Lui è dentro di noi”.
Poi si è confessato ed è tornato a Messa dopo molto tempo. Mi ha confidato: “Tu ed i tuoi amici mi avete salvato la vita”.
Perdonare il nemico
Dal senso di abbandono al perdono del padre che ha lasciato la famiglia
Heloisa del Brasile
Avevo 12 anni quando i miei genitori si sono separati e questo mi ha fatto molto soffrire. Il dolore più grande per me era, però, non riuscire a perdonare il papà per averci lasciato, formandosi un’altra famiglia.
All’inizio, quando chiamava al telefono, non volevo rispondergli. Ma l’invito che Gesù fa nel Vangelo di “perdonare il nemico”, non mi lasciava in pace.
Chiedevo a Gesù di riuscire a fare questo passo.
Anche Lui sulla croce si era sentito abbandonato dal Padre, ma aveva continuato ad amare. Anche io dovevo fare lo stesso. E altre ragazze che credono in questo mi hanno molto aiutato.
Avvicinandosi la festa del papà, vedevo a scuola i miei compagni che preparavano i regali. Era l’occasione per dimostrare anche al mio papà che lo avevo perdonato.
Quando ha ricevuto il mio regalo, si è commosso e mi ha detto che la cosa più importante per lui erano i figli. Da quel momento i nostri rapporti sono cambiati: era come se avessi riaperto la porta del mio cuore a lui.
In una telefonata mi ha confidato di sentirsi molto solo. Ho colto l’occasione per andare più in profondità con lui parlandogli della mia scoperta di Dio, che ama ognuno immensamente. Mi ha salutato sereno assicurandomi che sarebbe venuto a trovarmi per parlare di questo.
Vivere questa situazione non è facile. Ma cercando di amare, ho capito che tutti possono sbagliare, ma abbiamo la possibilità di ricominciare sempre.
L’unità che rinnova politica, arte, mass media, sport
Al muretto
Federico, sindaco "junior" della Sicilia
Trecastagni, dove abito, è il primo Comune della Sicilia ad avere un Consiglio Comunale Junior. Accanto a quello degli adulti, infatti, ce n’è uno formato da ragazzi dai 13 ai 15 anni, eletto dagli studenti.
Il sindaco della mia città ha voluto realizzare questa iniziativa ritenendo utile e costruttivo il contributo di noi ragazzi. Il Consiglio Junior, infatti, fa parte a tutti gli effetti dell’amministrazione comunale ed ha il compito di fare proposte e dare consigli agli adulti sulle decisioni politiche che più ci riguardano, nell’ambito della scuola, dello sport e dell’ambiente.
Con alcuni ragazzi per l’unità ci siamo candidati e, senza fare campagna elettorale, in tre siamo stati eletti: io come sindaco, Davide è il mio vice ed Eric è consigliere.
Nel Consiglio Junior non ci sono divisioni partitiche e questa è la cosa più bella.
Ci riuniamo una volta al mese e portiamo le nostre proposte nel Consiglio degli adulti.
Durante il nostro mandato, che era di un anno, abbiamo fatto approvare vari progetti, che poi sono stati realizzati: la formazione di una consulta giovanile che riunisce le associazioni del paese, la ristrutturazione di alcune aree verdi e la costruzione di un centro polifunzionale per ragazzi.
Questa esperienza mi ha arricchito molto: oltre ad aprirmi al confronto con tanti altri ragazzi, mi ha fatto capire il vero senso della politica, che è servizio: amore concreto rivolto a tutta la città.
Questo penso sia il segreto di chiunque voglia essere un buon sindaco.
Mag 31, 2002 | Nuove Generazioni
CONOSCERSI: un sito internet in cui ragazzi di Paesi diversi potranno incontrarsi e formare una rete mondiale di scuole per condividere culture, lingue e tradizioni.
AIUTARSI: attraverso un fondo di solidarietà sosterranno borse di studio per i ragazzi dei Paesi più svantaggiati che non possono frequentare la scuola.
IN AFRICA – Uganda
Su una popolazione di 21 milioni di abitanti, più di 800.000 hanno contratto l’AIDS dei quali 53.000 hanno meno di 15 anni. A Kampala è nata la ’Scuola Arcobaleno’. La frequentano bambini e ragazzi orfani che a causa dell’AIDS hanno perso i genitori. Fra loro il 10% è già ammalato. Nella scuola vengono garantiti due pasti al giorno a tanti che non avrebbero da mangiare. Douglas rubava per la fame: ora frequenta la scuola e guadagna qualcosa lavorando nel giardino. Sam viveva per la strada, introverso e trascurato è diventato il primo della classe. Winnie di 10 anni, emarginata perché affetta dalla malattia, ha cercato rifugio da sola nella scuola: “Sono felicissima – scrive – ora ho trovato la mia famiglia!”.
IN OCEANIA – Noumea
La Nuova Caledonia è un bellissimo arcipelago dell’Oceano Pacifico. Dalle piccole isole, per poter finire gli studi, molte ragazze devono trasferirsi a Noumea, la capitale. Qui, accolte da parenti e amici, vivono in baracche poverissime. Spesso sono vittime di varie forme di sfruttamento e costrette ad abbandonare gli studi. Nel Centro ‘Maison Virgo’, coordinato da un’assistente sociale, si offre ospitalità a molte di loro. Attraverso borse di studio raggiungono un alto rendimento scolastico.
IN ASIA – Pakistan
Ragazzi cristiani e musulmani gomito a gomito sui banchi di scuola studiano e giocano insieme. Così si presenta la vita a Dalwal, un piccolo villaggio in una zona desertica 200 km a nord di Islamabad. I missionari belgi vi avevano costruito una scuola, caduta poi in totale abbandono. Con aiuti arrivati si sono ristrutturate le aule per i bambini e i ragazzi che prima facevano lezione sotto gli alberi. In un Paese in prevalenza musulmano, la scuola apre le sue porte anche alle bambine e ragazze.
IN AMERICA DEL SUD – Colombia
I quartieri alla periferia di Bogotà sono formati da baracche. Sono zone ad alta delinquenza, dove il 30% dei ragazzi abita solo con la mamma. Solo il 4% frequenta scuole professionali, la maggioranza finisce in bande giovanili, subiscono violenze, sono sfruttati o fanno uso di droghe.
E poi in Bolivia, Uruguay, Colombia, Ecuador, Brasile, Congo, Burundi, Madagascar, Tailandia, India, Iraq, Romania
Con un Euro al mese per diventare compagni di banco da una parte all’altra del globo
www.school-mates.org
Mag 30, 2002 | Nuove Generazioni
“Non sono giovane, ma siete riusciti a commuovere questo cuore indurito da anni di indifferenza!”.
“Vedere gente come voi mi ha dato la spinta per credere ancora nelle persone, nella vita. Siete forti!”.
“Con la vostra gioia freschissima, mi avete veramente commosso e confermato che occorre vivere per Qualcosa di grande, per lasciare la propria impronta in questa vita!”.
Migliaia gli echi giunti via internet da telespettatori di tutte le età e da tutto il mondo che, domenica 26 maggio, in diretta televisiva, avevano seguito la grande manifestazione interreligiosa dei “Ragazzi per l’Unità” dei Focolari.
Momento culmine, un patto: vivere la ‘Regola d’oro’ comune a tutte le fedi: “Fa’ agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”, per costruire insieme un mondo di pace, per sradicare odi e vendette, per un mondo unito dalla fraternità.
Mag 30, 2002 | Nuove Generazioni
I ragazzi hanno poi voluto portare questa testimonianza di pace e unità per le strade di Roma, coinvolgendo passanti e automobilisti incuriositi. A tutti il dono di un segnalibro arcobaleno con la proposta della “Regola d’oro” che si traduce nel concreto “No al di più. Sì alla cultura del dare.
L’altro è un pianeta da scoprire. Rispondiamo all’odio con il perdono. Iniettiamo dappertutto speranza.”
Si è conclusa così la seconda giornata del “Supercongresso 2002”, l’appuntamento quinquennale dei “Ragazzi per l’unità” iniziato il giorno precedente al Palaghiaccio di Marino (Roma).
Erano in dodicimila da tutto il mondo, raccolti nella cornice del Colosseo a Roma. Una manifestazione culminata con un patto: costruire insieme un mondo di pace, sradicare gli odii e le vendette, per un mondo unito dalla fraternità tra cristiani, ebrei, musulmani, buddisti, indù, sikhs; il patto di vivere la ‘Regola d’oro’ comune a tutte le fedi: “Fa’ agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”.
Loro stessi protagonisti, da 92 paesi diversi, di religioni diverse, a ritmo di musica e di danze variopinte, ma anche con testimonianze, hanno lanciato dal palco del Colosseo questo patto anche ai ragazzi e non solo, collegati con molte TV del mondo e via Internet, grazie alle riprese di Rai Tre.
Un patto che ha coinvolto anche i vari leaders civili – come il sindaco di Roma, Walter Veltroni – e religiosi: ebrei rappresentati da Lisa Palmieri del WCRP (Conferenza mondiale delle religioni per la pace), indù come la Dr. Vinu Aram del movimento gandhiano Shanti Ashram, buddisti come il rev. Keishi Miyamoto del Movimento Myochi-kai e il sig. Hoshina del Movimento Rissho Kosei-kai, la guida spirituale della comunità sikhs di Roma, Ajalb Singh, il card. Francis Arinze, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, il delegato del card. Camillo Ruini, mons. Mauro Parmeggiani, e i rappresentanti di Azione Cattolica, Sant’Egidio e Rinnovamento nello Spirito, presenti al Colosseo.
Lo slogan: “Lascia la tua impronta”. Con un gesto simbolico ognuno apponeva l’impronta di una mano dorata sull’ombrello colorato del vicino, mentre cantavano a ritmo di rock: ”C’è una regola d’oro che apre le porte del mondo intero verso l’unità, voglia di fare a te quello che farei per me”
E le adesioni sono arrivate anche via internet: oltre 4000 da 74 Paesi e continuano ad arrivare: “Voglio comunicarvi la mia gioia di essere protagonista con voi! ”, “Meraviglioso! Una trasmissione che ci ha fatto capire che siamo uniti, di qualsiasi colore sia la pelle! Vogliamo anche noi costruire la pace” (Brasile). Dal Panamà: “Mi è sembrato qualcosa caduto dal cielo in questo momento dove il mondo si trova avvolto da tante cose cattive. Questa è la via d’uscita”. “Penso di essere nato per seguire ‘l’arte dell’amore’. Ho solo 16 anni, ma voglio vivere a lungo per vedere un mondo senza odio e guerre. Anch’io mi impegnerò. Per questo lascio qui la mia impronta!”. Un operatore della TV nazionale slovacca scrive via e-mail: “Sto seguendo la trasmissione. Dietro a queste parole non sono stati conquistati solo i cuori dei ragazzi!”. Una mamma: “Sono tanto tanto commossa. Bisogna lanciarsi ad amare tutti e subito. Come abbiamo sentito questa mattina, dove c’è amore non scende mai la notte!”.
E’ questa la risposta dei ‘Ragazzi per l’unità’ alla consegna del Papa di essere “sentinelle docili e coraggiose della pace vera”, quella pace costruita sull’amore al nemico, con “coraggio, mitezza e tenacia”. Un messaggio accolto con grande gioia, letto dal card. Francis Arinze.
Ragazzi tra i dodici e i diciassette, capaci di sognare un mondo nuovo, tra coreografie che mostravano la bellezza delle diverse culture: indiana, indigena, filippina, canti a ritmo di rap e di rock, un sogno che nel quotidiano è già realtà.
Dal palco, Joyce racconta ciò che ha visto a New York dopo l’11 settembre: la solidarietà, ma anche la paura per il futuro, il risentimento e la discriminazione verso mediorientali e musulmani. “Ci siamo detti di cominciare noi per primi ad andare oltre il dolore per amare tutti”. Di qui le raccolte in denaro per le vittime, gli incontri con gli amici musulmani. “Molto più reale della guerra scoppiata in Afghanistan, era il nostro incontro fra fratelli”.
Wajiha, musulmana del Punjab (Pakistan), regione conosciuta per gli scontri interreligiosi, parla della scuola di Dalwal, nella cittadella dei Focolari, dove studiano cristiani e musulmani: “Non è facile perdonare i torti, non aspettare niente in cambio, amare per primi, ma è proprio questo che, insieme alla matematica, si impara a Dalwal”.
Dopo le esperienze di ragazzi delle più varie parti del mondo, Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari – impegnato da decenni nel dialogo a tutto campo – che mostra lo spessore di quest’arte di amare. Non ignora i conflitti e le attuali nuove minacce di terrorismo.
Va alla radice: “E’ in atto la forza oscura del Male con la M maiuscola. Occorre impegnare le forze del Bene con la B maiuscola: Dio e tutto ciò che ha radice in lui”. Così sarà possibile rimuovere l’ingiustizia, il divario tra ricchi e poveri, realizzare la comunione dei beni, ma aggiunge: “E’ ovvio che i beni non si muovono se non si muovono i cuori”. “Occorre invadere il mondo con l’amore”. Lo chiede ‘la regola d’oro’ comune alle religioni. E dà ai ragazzi una consegna: trascinate a questi grandi ideali i ragazzi che incontrerete giorno dopo giorno.
E per “muovere i beni”, un’iniziativa concreta: “Schoolmates”: un euro al mese per diventare compagni di banco da una parte all’altra del globo e favorire lo scambio tra culture, lanciata anche via internet.
Mag 30, 2002 | Nuove Generazioni
Carissimi Ragazzi e Ragazze "GEN 3"!
1. Vi saluto con gioia ed affetto, in occasione del vostro ".Supercongresso", che ogni cinque anni raduna migliaia di ragazzi di tanti Paesi del mondo intorno ad un grande ideale: l’ideale dell’unità. Voi, infatti, vi chiamate "Ragazzi per l’unità".
Il mio saluto va ad ognuno personalmente, e vorrei che questo mio messaggio giungesse alla mente ed al cuore di ciascuno di voi. Ringrazio il Cardinale Francis Arinze, che di esso si fa portatore, aggiungendovi la sua preziosa testimonianza di Pastore della Chiesa, che da anni collabora con me per il dialogo con le religioni non cristiane. Un cordiale saluto rivolgo alla carissima Chiara Lubich, Fondatrice e Presidente del Movimento dei Focolari, come pure ai Sacerdoti ed agli animatori che vi hanno accompagnato.
Cari giovani amici, voi avete tanto desiderato coinvolgere il Papa in questo evento che vi sta molto a cuore. Come sapete, però proprio durante il vostro Congresso, sarò lontano da Roma: mi troverò in Visita Pastorale in Azerbaijan e in Bulgaria. Questo mi impedisce di incontrarvi, ma non di esservi spiritualmente vicino! E sono certo che anche voi, con la preghiera e con l’affetto, mi accompagnerete e sosterrete nel mio Viaggio Apostolico.
2. Voi, "Ragazzi per l’unità", comprendete bene perché ogni tanto lascio la mia Sede per visitare Chiese e Nazioni lontane. Questo rientra nel mio servizio di Successore dell’Apostolo Pietro, incaricato da Cristo di custodire e promuovere l’unità dell’intero Popolo di Dio. Tutti i Vescovi sono al servizio dell’unità, ma il Vescovo di Roma lo è con una propria e più forte responsabilità. Così, tutti i ragazzi cristiani sono "per l’unità", ma voi, che aderite al Movimento dei Focolari, lo siete in modo speciale!
Lo stesso Spirito ci muove, carissimi, lo stesso Spirito ci unisce. E’ lo Spirito Santo di Dio, che, in modo misterioso, spinge la Chiesa verso una sempre più profonda comunione con Dio. Lo fa non come un Assoluto, che tutto assoggetta e domina, ma come Amore, che tutto dona, vivifica e santifica.
3. Da chi ci viene questa meravigliosa "teo-logia", cioè questa dottrina su Dio? Ci viene da Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo e nato dalla Vergine Maria. Gesù è il rivelatore del Padre, l’immagine del mistero invisibile, il "volto" di Dio in un uomo come noi, il "testimone" fedele del suo amore. Per questo è venuto sulla terra, si è dedicato alla predicazione del Regno dei Cieli e lo ha inaugurato con segni e prodigi, guarendo coloro che erano prigionieri del male (cfr At 10,38). Per questo si è consegnato volontariamente alla morte lasciandoci, nella Cena pasquale, il testamento del suo Sacrificio. Per questo il Padre lo ha risuscitato dai morti e lo ha innalzato alla sua destra, costituendolo Signore del mondo e della storia. Nel nome di Gesù la salvezza è offerta e annunciata agli uomini, di ogni lingua, popolo e nazione.
Sì, Gesù è il Salvatore del mondo intero. E’ il Principe della pace. Anzi, come dice l’apostolo Paolo, "egli è la nostra pace" (Ef 2,14), perché ha abbattuto il muro dell’inimicizia, che separa gli uomini e i popoli tra loro. Gesù è la nostra speranza, la speranza per tutta l’umanità che, in ogni generazione, è chiamata a costruire la pace nella giustizia, nella verità e nella libertà.
4. Cari Ragazzi e Ragazze, Cristo vi chiama ad essere gli annunciatori e testimoni di questa splendida verità. Vi chiama ad essere gli apostoli della sua pace. Costruite la pace in tutte le situazioni in cui vi trovate quotidianamente a vivere: in famiglia, nella scuola, tra gli amici, nello sport e nel tempo libero… Siate sempre pronti all’ascolto, al dialogo, alla comprensione. Sappiate unire il coraggio e la mitezza, l’umiltà e la tenacia nel bene. Imparate dal divin Maestro che la verità non si sostiene con la violenza, ma con la forza della verità stessa. Alla scuola del Vangelo, tenete sempre uniti la giustizia e il perdono, perché la pace vera è frutto di entrambi. Animati dallo Spirito di Gesù, amate chi non vi ama e vogliate bene a chi non ve ne vuole, perché cresca nel mondo il Regno di Dio, che "è giustizia, pace e gioia nello Spinto Santo" (Rm 14,17). In questo modo, carissimi, sarete veramente costruttori di unità e di pace.
5. Cari Ragazzi e care Ragazze, siate apostoli di pace! Vorrei ripetere a voi le parole che ho pronunciato ad Assisi il 24 gennaio scorso, in occasione della Giornata di Preghiera per la Pace: "Giovani del terzo millennio, giovani cristiani, giovani di tutte le religioni, chiedo a voi di essere, come Francesco d’Assisi, “sentinelle” docili e coraggiose della pace vera, fondata nella giustizia e nel perdono, nella verità e nella misericordia! Avanzate verso il futuro tenendo alta la fiaccola della pace. Della sua luce ha bisogno il mondo!" (Discorso ad Assisi, n. 7: L’Osservatore Romano, 25.1.2002, p. 7). Così il Papa vi desidera, perché così vi vuole Gesù. Non abbiate paura di donarvi totalmente al Signore.
Vi aiuti Maria Santissima , che ama come proprio figlio ogni singolo discepolo di Gesù. Amatela, cari Ragazzi, come vostra Madre, e lasciatevi sempre guidare da Lei nel cammino della vita. Io vi accompagno volentieri con grande affetto e vi mando di cuore una speciale Benedizione.
Dal Vaticano, 8 Maggio 2002
JOANNES PAULUS II
Mag 30, 2002 | Nuove Generazioni
Carissimi ragazzi per l’unità e voi tutti ragazzi e ragazze presenti,
eccovi qui, nella città di Roma, piena di sole, colma di storia, centro della Chiesa cattolica, convenuti da novantadue nazioni del mondo, rappresentanti di tante culture e di molte fedi: ebrei, musulmani, buddisti, indù, sikhs, zoroastriani, di religioni tradizionali africane e cristiani di 14 Chiese.
Eccovi all’ombra del Colosseo, dove tanti cristiani dei primi secoli hanno pagato col martirio la loro fede in Gesù.
Eccovi qui a celebrare e a manifestare a favore di un grandissimo ideale: la pace.
La pace.
Ma è di così grande attualità la pace?
Certamente sì, e forse più che mai. E non solo per le decine di guerre in corso qua e là sul nostro pianeta, ma anche perché oggi la pace è minacciata in modo diverso, più subdolo.
Vedete: anche se sono passati più mesi ormai, è certamente ancor vivo nei vostri giovani cuori quel terribile 11 settembre col crollo delle due torri gemelle a New York. Ed è vivo in modo particolare in questi giorni in cui sembrano profilarsi nuove analoghe minacce di terrorismo. Ebbene, di fronte a tale situazione, si fa sempre più strada il pensiero di spiriti eletti e illuminati che tutto ciò non sia frutto solamente dell’odio fra singoli o popoli, ma sia anche effetto dell’oscura forza del Male con la M maiuscola.
La situazione, dunque, è seria. Perché, se le cose sono così, non è sufficiente opporsi a tanto pericolo con sole forze umane. Occorre impegnare le forze del bene con la B maiuscola.
E voi tutti conoscete cos’è questo Bene: è anzitutto Dio e tutto ciò che ha radice in lui: il mondo dello spirito, dei grandi valori, dell’amore vero, della preghiera.
E qui è il perché di Assisi, il 24 gennaio scorso, quando Giovanni Paolo II ha invitato per la seconda volta i rappresentanti delle più grandi religioni del mondo nella città di san Francesco per invocare dal Cielo la pace.
La pace però è oggi un bene così prezioso che tutti noi, adulti e giovani, persone responsabili e semplici cittadini, dobbiamo impegnarci a salvaguardarla. E anche voi ragazzi e ragazze.
Naturalmente, per sapere come comportarci, occorre conoscere bene le cause più profonde dell’attuale drammatica situazione.
Anche a voi è noto come nel mondo non regni la giustizia, come vi siano Paesi ricchi e Paesi poveri, mentre il piano di Dio sull’umanità sarebbe quello d’essere tutti fratelli, in una sola grande famiglia con un solo Padre.
E’ questo squilibrio uno dei fattori, forse più determinante, che genera risentimento, ostilità, vendetta, terrorismo.
E allora come creare maggiore uguaglianza, come suscitare una certa comunione di beni?
E’ ovvio che i beni non si muovono se non si muovono i cuori. Occorre, quindi, diffondere l’amore, quell’amore reciproco che genera la fratellanza. Occorre invadere il mondo con l’amore! Cominciando da noi stessi.
Così voi, ragazzi.
Ma, qualcuno dei presenti mi potrebbe chiedere: "E’ compatibile l’amore, l’amarsi con lo stile di vita che le nostre culture ci hanno tramandato?"
Sì, è possibile: andate a cercare nei vostri Libri sacri e troverete – è quasi dovunque – la cosiddetta "Regola d’oro". Il cristianesimo la conosce così: "Fa’ agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te" (cf Lc 6,31). E così dice Israele: "Non fare a nessuno ciò che non piace a te" (Tb, 4,15).
L’Islam: "Nessuno di voi è vero credente se non desidera per il fratello ciò che desidera per se stesso" (Hadith 13, Al Bukhari). E l’induismo: "Non fare agli altri ciò che sarebbe causa di dolore se fosse fatto a te" (Mahabharata 5:1517). Tutte frasi che significano: rispetta e ama il tuo prossimo.
E se tu, ragazzo musulmano, ami, e tu, cristiano, ami, e tu, indù, ami, arriverete certamente ad amarvi a vicenda. E così fra tutti. Ed ecco realizzato un brano di fraternità universale.
Poi occorre amare gli altri prossimi, e voi in particolare, i ragazzi che incontrerete nella vita: perché se ogni simile ama il proprio simile, i ragazzi si lasciano meglio convincere e trascinare a grandi ideali dai ragazzi.
Amare dunque: è uno dei grandi segreti del momento.
Amare con un amore speciale. Non certo con quello rivolto unicamente ai propri familiari o agli amici, ma l’amore verso tutti, simpatici o antipatici, poveri o ricchi, piccoli o grandi, della tua patria o di un’altra, amici o nemici… Verso tutti.
E amare per primi, prendendo l’iniziativa, senza aspettare d’esser amati.
E amare non solo a parole, ma concretamente, a fatti.
E amarsi a vicenda.
Carissimi ragazzi e ragazze, se così farete, se così faremo tutti, la fratellanza universale s’allargherà, la solidarietà fiorirà, i beni saranno meglio distribuiti, e potrà risplendere sul mondo l’arcobaleno della pace: su quel mondo che, fra pochi anni, sarà nelle vostre mani.
Mag 30, 2002 | Nuove Generazioni
Tutti abbiamo assistito alla tragedia dell’11 settembre. E forse, guardando increduli le immagini della TV, abbiamo avuto l’impressione che, insieme a quelle Torri, crollassero anche tante certezze. Abbiamo provato sentimenti di paura, di incertezza per il futuro. Qui con noi c’è Joyce, che è arrivata dagli Stati Uniti. Vorremmo chiederti: come avete reagito a New York?
Da quel giorno il nostro Paese è cambiato. Appena la città si è ripresa dal terribile shock, abbiamo visto dilagare un incredibile senso di solidarietà che solo la sofferenza poteva generare e che ha unito la nazione. I muri di indifferenza si sono sciolti in una valanga di aiuti concreti. Tutti volevano fare qualcosa per gli altri. Era commovente vedere la gente riempire le chiese, rivolgere a Dio preghiere spontanee, dal Parlamento alle piazze.
Però c’era anche collera, risentimento.
A scuola alcuni miei compagni hanno iniziato a trattare con disprezzo gli studenti mediorientali. Ci faceva male constatare una discriminazione già in atto. Ci siamo detti di cominciare noi per primi ad andare oltre il dolore, per amare tutti. Solo così è possibile trovare una strada di pace. Insieme ad altri abbiamo organizzato raccolte di denaro per le vittime e per il popolo afgano. Abbiamo sentito l’esigenza di incontrarci con alcuni amici musulmani che si impegnano con noi a costruire il mondo unito. Mentre eravamo insieme nella loro moschea, la radio annunciava l’inizio dell’attacco in Afganistan.
Ma la guerra ci sembrava lontana: molto più reale era il nostro incontro tra fratelli.
Tutti, cristiani e musulmani, ci siamo sentiti parte di un unico disegno: realizzare la fraternità universale.
Samuel è arrivato dalla Nigeria, dove ci sono scontri fra le etnie. Tu ti sei trovato davanti ad una scelta difficile, vero?
Nel mio Paese, per più di 100 anni, le duecento minoranze etniche hanno vissuto in pace e in armonia.
Nello stesso periodo in cui a New York crollavano le Torri, anche in Nigeria è scoppiata la guerra civile a causa dei contrasti tra le etnie, tra cristiani e musulmani, con saccheggi e stragi da entrambe le parti.
Il governo ha cercato di riportare l’ordine ma, non riuscendovi, sia i cristiani che i musulmani hanno formato truppe di sorveglianza. Anch’io ero in uno di questi gruppi e combattevo dalla parte dei cristiani.
Una sera, durante un giro di controllo, ci siamo imbattuti in un gruppo musulmano. Avevamo accerchiato i nostri nemici. La maggioranza dei cristiani ha suggerito di ucciderli. Ma io non potevo farlo: il Vangelo dice che dobbiamo amare tutti, siano essi cristiani, musulmani o buddisti. E amare anche i nemici.
Ho chiamato il nostro capo-gruppo ed ho proposto a lui e agli altri di risparmiare le loro vite, non perché non ci avessero fatto del male, ma perché quelli dell’altra etnia sono, come noi, figli di Dio. Queste parole hanno colpito tutti e le vite di quei ragazzi musulmani sono state risparmiate.
Ero felice perché, anche se eravamo nemici, la volontà di Dio per i suoi figli è che ci amiamo come fratelli.
Hind arriva dalla Terra Santa e ci porta i saluti anche di tanti Ragazzi per l’unità che, data la difficile situazione, non sono riusciti a venire.
Che cosa vuol dire per voi vivere per la pace? Pensi che sia possibile realizzarla?
Un anno fa, in un incontro con ragazzi di diversi Paesi, la scoperta che Dio è amore e ci ama immensamente mi ha cambiato. Ho capito che non c’è differenza fra cristiani, musulmani ed ebrei. Dovevo amare tutti, senza distinzione. Con altri ragazzi della Terra Santa abbiamo fatto il patto di fare una rivoluzione d’amore nel nostro Paese. Ho saputo che anche alcuni ragazzi palestinesi vogliono vivere come noi per la pace e si sono accordati per trasformare la lotta in Intifada d’amore.
Per arrivare a scuola ogni giorno devo fare una lunga coda ad un posto di blocco israeliano. Questo fa nascere in me un sentimento di rabbia, ma cerco di amare tutti. Un giorno, arrivato il mio turno, alcuni soldati mi hanno rimandato alla fine della fila, ma consegnando il documento ho accolto il soldato con un sorriso. Lui, sorpreso, me ne ha chiesto il motivo. Ho detto che credo in un Dio che è Signore della pace: Lui mi dà la gioia. Alla sua richiesta a proposito dell’attentato negli USA ho spiegato che non è Dio a fare cose cattive, ma l’uomo. Gli ho assicurato che in tanti preghiamo per la pace. E lui: “In questa situazione, non avevo mai incontrato nessuno cosi felice!”.
Abbiamo poi lanciato il Time-out: un momento di silenzio per la pace che i Ragazzi per l’unità fanno ogni giorno in tutto il mondo. A Gerusalemme in varie scuole più di 600 ragazzi si fermano adesso insieme per chiedere insieme la pace.
Tra loro anche alcune amiche musulmane con le quali, superata la diffidenza, adesso ci vogliamo bene davvero. Una di loro, che frequenta una scuola dove tutti sono musulmani, ha risposto alle critiche sui cristiani spiegando che, più che le differenze, importa amarci reciprocamente: è questo che ci fa entrare in paradiso.
Questo cammino non è facile, ma sempre chiedo a Dio di aiutarci perché se ognuno sarà una pietra viva nella costruzione del mondo unito, riusciremo a fare della nostra terra una casa per tutti, dove tutti vivranno in pace.
Mag 30, 2002 | Nuove Generazioni
Un mondo di pace nasce e cresce ogni giorno da ognuno di noi.
Il segreto è: ‘fare agli altri quello che vorresti fosse fatto a te’. Questa ‘Regola d’oro’, presente in quasi tutte le fedi del mondo, è iscritta nel cuore di ogni uomo. Ci invita a vivere il rispetto, l’amore. Ma amare è un’‘arte’ che ha delle qualità.
Chiede di amare tutti, amare per primi, amare concretamente, amare immedesimandosi nell’altro, amare anche il nemico. Mettere in pratica questa ‘arte di amare’ in tutti gli ambiti della nostra vita, è già realizzare la fraternità universale per fare dell’umanità una famiglia di popoli uniti.
No al di più
Mag 29, 2002 | Chiara Lubich
Città di Torino – Ufficio Stampa
Chiara Lubich, fondatrice e presidente del Movimento dei Focolari, ha ricevuto domenica 2 giugno la cittadinanza onoraria torinese, nel corso di una cerimonia iniziata alle 17.00 presso il Teatro Regio.
Il conferimento della cittadinanza onoraria alla signora Lubich era stato deliberato dal Consiglio comunale il 6 maggio scorso, in riconoscimento del suo impegno sociale, accompagnato dalla passione civile, teso a realizzare un progetto di solidarietà umana mirante all’equità sociale, al dialogo ed alla pace. Partendo da questi presupposti il Movimento dei Focolari, dal nucleo originario trentino, si è diffuso a partire dal secondo dopoguerra in 180 paesi, raccogliendo non soltanto cristiani ma ebrei, musulmani, induisti, esponenti d’altre religioni ed anche non credenti.
La cerimonia di domenica, alla quale hanno partecipato le autorità cittadine, sindaci, amministratori, personalità civili e religiose di diverse Chiese cristiane ed esponenti di altre religioni, oltre ad una folta rappresentanza di giovani, è stata aperta dagli interventi del presidente del Consiglio comunale Mauro Marino e del sindaco Sergio Chiamparino.
Hanno parlato inoltre il vice sindaco Marco Calgaro, il rappresentante del presidente della Regione Piemonte Giampiero Leo, la presidente della Provincia di Torino Mercedes Bresso, il cardinale Severino Poletto. Ci sono state le testimonianze di Sergio Zavoli, Alberto Pacher, sindaco di Trento (la città natale di Chiara Lubich) e di Doris Battistini (Movimento dei Focolari).
Ha preso poi la parola Chiara Lubich, con un intervento incentrato sul tema: “Della fraternità in politica”.
A concludere la manifestazione c'è stato un concerto del Coro dell’Università torinese, diretto da Sergio Pasteris.
Mag 28, 2002 | Nuove Generazioni
Ufficio Stampa – Comune di Firenze
DA PALAZZO VECCHIO GIOVANI PAKISTANI E INDIANI LANCIANO UN APPELLO PER LA PACE FRA I LORO DUE PAESI
«India e Pakistan riprendano il dialogo e risolvano pacificamente i loro contrasti».
A lanciare l’appello un gruppo di giovani pakistani ed alcuni coetanei indiani che in questi giorno sono stati ospitati a Loppiano, in provincia di Firenze, per partecipare al "Forum interreligioso dei ragazzi per la pace". I pakistani sono provenienti dalla regione del Punjab mentre i giovani indiani fanno parte della comunità ghandiana "Shanti Ashram" ed oggi pomeriggio, insieme ad altre centinaia di ragazzi provenienti da ogni parte del mondo, hanno partecipato, nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, alla cerimonia conclusiva del forum. «Siamo sconvolti dalle notizie che arrivano dalla nostra terra – hanno confessato i ragazzi – c’è addirittura il rischio di un conflitto nucleare. In questi giorni passati insieme abbiamo capito che è possibile costruire insieme un mondo di pace, sradicare l’odio e le vendette, per vivere in fraternità tra cristiani, ebrei, musulmani, buddisti, indù, sikhs».
A Loppiano indù, buddisti, cristiani, musulmani si erano dividisi in vari gruppi di lavoro, guidati da esperti, per approfondire in quali modi costruire concretamente la pace: nei rapporti tra le culture e le generazioni, nello sport, nella dimensione scolastica e formativa, nel campo della solidarietà promuovendo una "cultura del dare" contrapposta a quella dell’avere, nel campo dei mass media, della musica e della cultura giovanile. Uno dei progetti lanciati dal forum è "Schoolmates", i gemellaggi fra le scuole di tutto il mondo, al costo di un euro al mese, per diventare compagni di banco da una parte all’altra del globo e favorire lo scambio tra culture, lanciata anche via internet.
In questi giorni sono già arrivate, al sito www.lascialatuaimpronta.net oltre 4000 adesioni da 74 paesi.
«E’ importante – ha detto il Sindaco Leonardo Domenici intervenendo nel Salone dei Cinquecento – che tanti giovani di diverse religioni si incontrino per discutere e preparare la pace. Firenze li ospiterà sempre, la nostra città è messaggera di pace: questo è un tratto distintivo della sua storia, un riconoscimento conferito dalle Nazioni Unite, un impegno che la città porta avanti quotidianamente anche con iniziative concrete per promuovere il dialogo e l’incontro. Proprio dalle città, dalle realtà urbane possono crescere nuove forme dirette di assistenza, di aiuto materiale allo sviluppo e alla copereazione».
Durante la cerimonia conclusiva, alla quale hanno partecipato anche il Presidente della Regione Claudio Martini e della Provincia Michele Gesualdi, è stato consegnato il "Premio Ragazzi per la Pace" al reverendo Miyamoto, Presidente del Movimento buddista Myochikai, promotore della prima "Conference of children for Coming Generation".
Mag 27, 2002 | Nuove Generazioni
FORUM INTERRELIGIOSO DEI RAGAZZI
27 MAGGIO 2002
LOPPIANO (Incisa Valdarno, Firenze)
Circa 300 ragazzi, delegati di varie nazioni e religioni si incontreranno a Loppiano, cittadella internazionale, interculturale ed interreligiosa del Movimento dei Focolari. I ragazzi dialogheranno tra loro sul tema della pace.
Alcuni rappresentanti di varie religioni (indù, buddisti, cristiani, musulmani) sottolineeranno i punti di contatto che ci accomunano. I ragazzi si divideranno quindi in vari gruppi di lavoro guidati da esperti per approfondire in quali modi costruire concretamente la pace (nei rapporti tra le culture e le generazioni, nello sport, nella dimensione scolastica e formativa, nel campo della solidarietà promuovendo una "cultura del dare" contrapposta a quella dell’avere, nel campo dei mass media, della musica e della cultura giovanile).
La sera, nell’anfiteatro all’aperto, si alterneranno coreografie, musica, danze e contributi artistici dei ragazzi delle diverse religioni.
CERIMONIA CONCLUSIVA DEL FORUM INTERRELIGIOSO
28 MAGGIO 2002
Firenze Palazzo Vecchio, Salone dei Cinquecento – ore 16
presieduta dal Sindaco di Firenze Leonardo Domenici, con la partecipazione dei Presidenti della Regione Claudio Martini e della Provincia Michele Gesualdi.
La cerimonia conclusiva, presieduta dal Sindaco di Firenze Leonardo Domenici, prevede la partecipazione del Presidente della Regione Claudio Martini, del Presidente della Provincia, Michele Gesualdi, e di altre personalità cittadine, esponenti del campo politico, civile e sociale. Firenze, da sempre città aperta al dialogo tra culture e religioni, vuole essere un punto di arrivo e di partenza non solo del percorso di pace proposto dai ragazzi, ma una tappa importante del dialogo costruttivo tra le giovani generazioni e le istituzioni. Vorremmo che la Firenze di la Pira, di Don Milani, di Balducci e di quanti hanno lavorato per un futuro di pace e dialogo, possa trovare oggi un momento di slancio creativo e profetico di respiro planetario.
Mag 16, 2002 | Nuove Generazioni
Da tutto il mondo a Roma, ragazzi dai 12 ai 17 anni, non solo cristiani, ma di popoli, culture, religioni diverse.
Da 87 Paesi, tra cui Medio Oriente, Stati Uniti, Pakistan, Burundi, Congo, Angola, Bosnia, Serbia e Croazia, India, Hong Kong, Argentina, Colombia, per dire insieme che, nonostante tutto, UN FUTURO DI PACE È POSSIBILE
Di fronte al terrorismo, alla guerra e alla paura del futuro, i Ragazzi per l’Unità del Movimento dei Focolari, vogliono dare risposte di speranza con proposte concrete e fatti di vita, diffondendo tra i loro coetanei la cultura della comunione tra i popoli, della pace e della fraternità. Parteciperanno anche delegazioni di ragazzi ebrei di Roma, Argentina e Brasile; musulmani del Medio Oriente, Africa e Europa; buddisti di Giappone e Tailandia; indù, sikhs e zoroastriani dell’India; appartenenti alle religioni tradizionali africane.
25 Maggio 2002
’MUSICAL’ dei ragazzi per l’Unità
al Palaghiaccio di Marino (Roma) – ore 15.00-18.00
Sarà trasmesso Via Satellite e Via Internet
26 Maggio 2002
"THE GOLDEN RULE"
Al Colosseo "L’ Assisi dei Ragazzi" di varie religioni
Marcia per la Pace dal Colosseo a San Pietro
DIRETTA RAI 3 e Mondovisione via Satellite e Internet dalle 8,30 alle 10 con video-sintesi del Musical dei Ragazzi del 25 maggio al Palaghiaccio di Marino e il dialogo a tu per tu con Chiara Lubich.
La trasmissione in diretta via satellite per Europa, Medio Oriente, Americhe, Asia, potrà essere realizzata grazie al supporto tecnico di TELESPAZIO, ESA (Agenzia Spaziale Europea), TELECOM ITALIA e CRC del Canada
Patrocini: Presidente della Commissione Europea, Presidente Repubblica Italiana, Consiglio d’Europa, Ministeri Affari Esteri, Istruzione, e Università e ricerca, Regione Lazio, Comune di Roma
Si ringraziano vivamente la Regione Lazio per la sua partecipazione e l'Associazione buddista Myochikai.
Mag 16, 2002 | Nuove Generazioni
9.000 ragazzi tutti attori: musiche, coreografie, giochi scenografici e canzoni, testimonianze. Un programma condotto interamente dai ragazzi che daranno voce alle loro speranze.
Storie di adolescenti che hanno sperimentato la forza dell’amore nell’impegno a costruire un mondo unito a scuola, in famiglia, con gli amici ed anche in situazioni di guerra, solitudine e povertà.
Sarà presente la delegazione dei Ragazzi per l’unità intervenuta dal 5 al 10 maggio a New York, alla Sessione Speciale dell’ONU per l’Infanzia, a cui hanno proposto un messaggio per la pace in 10 punti, sottoscritto da 320.000 firme, oltre 500 di personalità del mondo politico e culturale di vari paesi.
Ospiti speciali: ragazzi indù dello Shanti Ashram (India), Street Children cristiani della Tanzania, studenti buddisti della Duang Prateep Foundation per l’educazione dei ragazzi degli slum di Bangkok (Tailandia), musulmani della Spagna e del Medio Oriente, ragazzi buddisti della Rissho Kosei-Kai (Giappone) e della Myochikai (Giappone); adolescenti ortodossi di Chernobyl (Ucraina), una generazione che porta il segno del disastro nucleare.
Lancio – attraverso un numero verde – di un progetto di solidarietà: "Schoolmates"
I ragazzi dei Paesi più ricchi si impegnano ad assicurare borse di studio per i loro coetanei delle nazioni più povere, mettendo così in contatto ragazzi di culture diverse con l’obiettivo di conoscersi e imparare ad amare il Paese e la cultura altrui come la propria.
Momento clou: il dialogo con Chiara Lubich, Premio Unesco ’96 per l’Educazione alla Pace.