Mag 16, 2002 | Nuove Generazioni
Diretta RAI 3 e Mondovisione via satellite e Internet – 8,30 – 10 con video-sintesi del Musical dei Ragazzi del 25 maggio al Palaghiaccio di Marino e del dialogo a tu per tu con Chiara Lubich.
Invitati: il rabbino capo della comunità ebraica di Roma, Di Segni, il rev. Miyamoto del movimento buddista Myochikai (Giappone), la dott. Vinu Aram, indù, una delle presidenti della Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace (WCRP) leader del movimento Ghandiano indiano Shanti Ashram; l’Imam spagnolo Allal Bachar; il Card. Arinze, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso.
Testimonianze sulla pace di ragazzi: Medio Oriente; New York, Pakistan e Nigeria. Contributo musicale della scuola ebraica di Roma.
La manifestazione terminerà con un impegno comune per la pace: i ragazzi lo esprimeranno sul palco, imprimendo un’orma dorata su un enorme pannello. Un gesto che si ripeterà coinvolgendo l’intera piazza.
Coreografia dei ragazzi sulla pace, con 10.000 ombrelli colorati.
Canzone: “The Golden Rule”, cantata dai ragazzi rappresentanti delle principali religioni.
Messaggio di Giovanni Paolo II ai ragazzi.
Dal Colosseo, simbolo della difesa dei diritti umani, avrà inizio la Marcia dei Ragazzi per la Pace diretta verso S. Pietro. Vi aderiranno anche molti studenti delle scuole medie e superiori di varie regioni italiane.
Mag 16, 2002 | Nuove Generazioni
Vi parteciperanno circa 300 delegati di varie nazioni e religioni.
Si concluderà con il lancio di un messaggio programmatico ai ragazzi del mondo.
A Firenze, in Palazzo Vecchio, la cerimonia conclusiva e la consegna, da parte delle autorità, del premio ‘Ragazzi per la pace’, col Patrocinio del Comune di Firenze, della Provincia di Firenze e della Regione Toscana.
Mag 12, 2002 | Nuove Generazioni
Il messaggio, stilato lo scorso anno in Giappone, alla prima “Conference of children for the coming generation”, promossa dalla Fondazione buddista giapponese Arigatou, dall’Unicef e dai Ragazzi per l’unità, è stato consegnato il 10 maggio all’ONU.
Si fa “portavoce di tutti i ragazzi che nel mondo soffrono sfruttamento, guerre, malattie, Aids”.
Lancia proposte concrete sui rapporti tra i singoli e i popoli, mass media, ecolo- gia, nuove tecnologie, droga, Aids, globalizza- zione.
Propone di diffondere una nuova cultura, “la cultura del dare, del condividere”. Primo passo: condono del debito estero dei paesi poveri.
Ancora, chiede “una globalizzazione basata non solo sull’aspetto finanziario ed economico, ma sulla comunione tra le culture e le religioni, perché gli uomini diventino una sola famiglia”; che “entri nelle scuole l’educazione alla pace”.
“Noi abbiamo già cominciato a costruire la pace. Ma – concludono – abbiamo bisogno di voi”.
Rivolto a Capi di Stato, responsabili civili e religiosi, dirigenti dei mass media, organizzazioni nazionali ed internazionali, il messaggio aveva fatto il giro del mondo raccogliendo più di 320 mila firme per la pace, di cui 500 di personalità del mondo politico, culturale e religioso.
Apr 30, 2002 | Parola di Vita
L’evangelista Matteo inizia il Vangelo ricordando che quel Gesù, di cui sta per narrare la storia, è il Dio-con-noi, l’Emmanuele , e lo conclude riportando le parole citate, con le quali Gesù promette che rimarrà sempre con noi, anche dopo essere tornato al Cielo. Fino alla fine del mondo sarà il Dio-con-noi.
Gesù rivolge queste parole ai discepoli dopo aver affidato loro il compito di andare nel mondo intero a portare il suo messaggio. Era ben consapevole che li mandava come pecore in mezzo ai lupi e che avrebbero subìto contrarietà e persecuzioni. Per questo non voleva lasciarli soli nella loro missione. Così, proprio nel momento in cui se ne va, promette di rimanere! Non lo vedranno più con i loro occhi, non sentiranno più la sua voce, non potranno più toccarlo, ma lui sarà presente in mezzo a loro, come prima, anzi più di prima. Se, infatti, fino ad allora la sua presenza era localizzata in un luogo ben preciso, a Cafarnao, o sul lago, o sul monte, o a Gerusalemme, d’ora in poi egli sarà là dovunque sono i suoi discepoli.
«Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo»
Gesù aveva presenti anche tutti noi che avremmo dovuto vivere in mezzo alla vita complessa di ogni giorno. Perché Amore incarnato, avrà pensato: io vorrei essere sempre con gli uomini, vorrei dividere con loro ogni preoccupazione, vorrei consigliarli, vorrei camminare con loro per le strade, entrare nelle case, ravvivare con la mia presenza la loro gioia.
Per questo ha voluto rimanere con noi e farci sentire la sua vicinanza, la sua forza, il suo amore.
Il Vangelo di Luca racconta che dopo averlo visto ascendere al Cielo, i discepoli “tornarono a Gerusalemme con grande gioia”. Come poteva essere? Avevano sperimentato la realtà di quelle sue parole.
Anche noi saremo pieni di gioia se crediamo veramente alla promessa di Gesù:
«Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo»
Queste parole, le ultime che Gesù rivolge ai discepoli, segnano la fine della sua vita terrena e, nello stesso tempo, l’inizio della vita della Chiesa, nella quale è presente in tanti modi: nell’Eucaristia, nella sua Parola, nei suoi ministri (i vescovi, i sacerdoti), nei poveri, nei piccoli, negli emarginati…, in tutti i prossimi.
A noi piace sottolineare una presenza particolare di Gesù, quella che lui stesso, sempre nel Vangelo di Matteo, ci ha indicato: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. Mediante questa presenza egli vuole potersi stabilire in ogni luogo.
Se viviamo quanto lui comanda, specialmente il suo comandamento nuovo, possiamo sperimentare questa sua presenza anche fuori delle chiese, in mezzo alla gente, nei posti in cui essa vive, ovunque.
Quello che ci è chiesto è quell’amore vicendevole, di servizio, di comprensione, di partecipazione ai dolori, alle ansie e alle gioie dei nostri fratelli; quell’amore che tutto copre, che tutto perdona, tipico del cristianesimo.
Viviamo così, perché tutti abbiano la possibilità di incontrarsi con Lui già su questa terra.
Chiara Lubich
(altro…)
Apr 29, 2002 | Sociale
(da Agenzia Zenit)
Più di 6.000 giovani da 72 paesi sono venuti a Loppiano, cittadella vicina a Firenze, per impegnarsi personalmente a costruire ovunque la pace.
Hanno ascoltato numerose testimonianze di pace da giovani di tutto il mondo, e osservato un minuto di silenzio e di preghiera a mezzogiorno durante un collegamento telefonico con un gruppo di giovani della Terra Santa: ebrei, arabi cristiani, e arabi musulmani.
“Noi chiediamo la pace per quei 20 punti della terra dove è ancora minacciata, specie per la vostra terra, per tutti gli uomini e tutti i popoli” hanno detto i giovani in Italia in una dichiarazione. “Chiediamo perdono per tutte le guerre che devastano il nostro pianeta e ci impegniamo a far accelerare la costruzione di un mondo unito”.
I giovani della Terra Santa porteranno il testo di una preghiera per la pace al Muro del Pianto, al Santo Sepolcro e alla Moschea d'oro di Gerusalemme, luoghi che simbolizzano le tre grandi religioni.
In un messaggio mandato ai giovani riuniti a Loppiano, cittadella vicino Firenze, Chiara Lubich ha augurato: “Che la giornata odierna segni una tappa nel favoloso programma di vedere un giorno quella fraternità universale che è la soluzione di tutti i gravi problemi del nostro pianeta specie dopo l'11 settembre”, e ha dato una consegna: “Riportate nel mondo l'amore, che ha il potere di cambiarlo”.
Riportate nel mondo l'amore
Romano Prodi, presidente della Commissione europea, che stava partendo per gli USA per incontrare il Presidente Bush, si è collegato con i giovani in una video-conferenza, per esprimere la sua approvazione alla petizione che gli avevano inviato a sostegno dell' impegno europeo alla soluzione della crisi in Medio Oriente.
“Il vostro appello è un aiuto per me – ha detto Prodi – perché nel vostro messaggio mettete insieme profezia e realismo”.
A conclusione del meeting sono state raccolte firme in appoggio all'appello alla pace poi inviato a Prodi, al Presidente dell'Unione Europea José María Aznar, al ministro degli Esteri spagnolo Josep Pique, e a Javier Solana, responsabile dell'Unione Europea per gli Affari Esteri.
Ventimila quelle raccolte negli ultimi giorni in vari paesi d'Europa. Tra i firmatari, parlamentari europei, sindaci e consiglieri.
Centinaia di giovani hanno espresso il loro appoggio all'iniziativa attraverso Internet.
Apr 29, 2002 | Nuove Generazioni
Loppiano, 1 maggio 2002
Al Presidente della Commissione Europea Sig. Romano Prodi
Al Presidente del Consiglio Europeo Sig. José María Aznar
Al Presidente del Consiglio dell’Unione Europea Sig. Josep Piqué i Camps
All’Alto Rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune
dell’Unione Europea, Sig. Javier Solana
Siamo giovani europei, di differenti età e culture, oggi riuniti a Loppiano, Firenze, in 5000 e collegati con altri giovani in Italia e in Europa che, come noi, vivono per costruire un mondo unito.
In questo difficile momento storico, segnato da confitti drammatici e tensioni internazionali, vogliamo impegnarci, con tutte le nostre forze, per la realizzazione di un grande ideale: comporre sulla terra una famiglia di popoli, nel rispetto dell’identità di ciascuno.
Per questo crediamo che la categoria della fraternità, che è a cardine delle nostre azioni e delle nostre riflessioni, possa guidare anche l’azione politica, tanto più di fronte alle urgenti sfide di oggi.
Il nostro metodo e il nostro impegno, che sta dando vita nel mondo a cantieri di solidarietà e di condivisione, si fonda in particolare:
Apr 17, 2002 | Chiesa
Oggi più che mai appare come un’urgenza ineludibile aprire un dialogo a 360 gradi, che tenda a suscitare rapporti d’amicizia e miri alla fraternità universale.
In questo dialogo sono impegnate parrocchie e diocesi che sempre più risentono della mobilità e molteplicità di mondi delle persone presenti nel loro territorio.
Presenti S.E. il card. J. Francis Stafford, Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, ha presieduto la celebrazione della S. Messa, sabato 20 aprile, e Chiara Lubich che ha parlato su “Gesù Abbandonato via maestra per una comunità in dialogo”, il Congresso si è concluso domenica 21 in Piazza S. Pietro, dove gli oltre duemila animatori dei Movimenti Parrocchiale e Diocesano si sono recati per partecipare alla preghiera dell’Angelus e ricevere la benedizione del Santo Padre.
I partecipanti hanno inteso approfondire, alla luce del carisma dell’unità, quanto il Santo Padre afferma nella Novo millennio ineunte: “L’amore al crocifisso contemplato nel momento culminante della sofferenza e dell’abbandono costituisce la via maestra non soltanto per rendere più effettiva la comunione a tutti i livelli della compagine ecclesiale ma anche per aprire un fecondo dialogo con le altre culture e religioni”.
Si sono preparati così a contribuire alla crescita della comunione nelle comunità in cui operano e a farle diventare sempre più aperte al dialogo con tutti, nella piena fedeltà al messaggio evangelico.
Una sintesi del cammino di dialogo, delineato nei documenti pontifici e attuato nella vita della Chiesa dal Concilio Vaticano II alla recente Giornata di Assisi, è stata presentata da Mons. Piero Coda, professore dell’Università Lateranense.
Sono stati inoltre comunicati i frutti della ricca esperienza del Movimento dei Focolari nei vari dialoghi: all’interno della propria Chiesa, in campo ecumenico, con fedeli di altre religioni e con persone di altre convinzioni.
Diverse esperienze di comunità parrocchiali e diocesane, animate dalla spiritualità dell’unità, ne hanno illustrato l’attuazione e la fecondità nel contesto multiculturale in cui esse si trovano.
Apr 17, 2002 | Chiesa
Rivolgo un cordiale saluto al folto gruppo di animatori parrocchiali e diocesani appartenenti al Movimento dei Focolari, convenuti da diversi Paesi per il Congresso sul tema "Per una comunità in dialogo".
Sono lieto, carissimi, che abbiate approfondito le indicazioni della Lettera apostolica Novo millennio ineunte a proposito della spiritualità di comunione e delle sue esigenze concrete. Portate la mia benedizione nelle vostre comunità!
Apr 17, 2002 | Chiesa
Benarrivati all’attuale Convegno riservato al Movimento Parrocchiale ed a quello Diocesano!
Come tutti sappiamo, queste due realtà ecclesiali sono diramazioni del più vasto Movimento dei Focolari.
Il loro scopo?
Dare un volto nuovo, atteso ai nostri tempi, alla parrocchia e, distintamente, alla Chiesa diocesana.
Ciò può essere possibile attraverso un particolare dono dall’Alto: il "carisma dell’unità", offerto dallo Spirito alla Chiesa di oggi.
Volto nuovo, dunque, atteso ai nostri tempi, alla parrocchia ed alla diocesi: quindi desiderato dai fedeli e voluto dal Cielo: il volto dell’amore che fa la "Chiesa-comunione" ed è pienamente attuabile attraverso la nostra "spiritualità dell’unità" se vissuta con fedeltà nei suoi vari cardini.
Chiesa-comunione desiderata già dal Concilio Vaticano II che vedeva la Sposa di Gesù ad immagine della Santissima Trinità, la più alta e perfetta comunione che si possa pensare.
Chiesa-comunione, di cui parla spesso il Santo Padre, come ad esempio nella Novo millennio ineunte, chiedendo più precisamente che la Chiesa sia "casa di comunione" in se stessa, naturalmente, e cioè vera famiglia soprannaturale, che necessita di un’autentica "spiritualità di comunione".
"Spiritualità di comunione" che, come abbiamo documentato più volte, è, nel pensiero del Papa, sinonimo della nostra "spiritualità dell’unità". Lo ha dichiarato lui stesso in una nota lettera ai Cardinali e Vescovi amici del Movimento dei Focolari il 14 febbraio 2001.
Chiesa-comunione – come continua ancora il Papa nella Novo millennio ineunte – che sia pure "scuola di comunione".
Per chi?
Per tutti coloro che, nei territori affidati alle parrocchie ed alle diocesi, non conoscessero e non vivessero la comunione, che è unità, che è fraternità.
E cioè – e qui siamo al tema di oggi – per tutti coloro con i quali necessita aprire un dialogo per farla loro conoscere.
Ma una comunità, per poter essere in grado di aprire un dialogo, deve essere comunione in atto. Sì, comunione in atto perché, prima di rivolgere la parola agli altri, occorre testimoniarla con la propria vita.
Sappiamo però come nelle nostre parrocchie, così come nelle diocesi, solamente una certa percentuale di persone crede in Dio, nella Chiesa. Ed una percentuale, ancora minore, frequenta la Chiesa.
Su chi puntare, allora, per avere al più presto una comunità in dialogo?
E’ ovvio: su chi crede e frequenta la Chiesa come fate voi: senza contatto con gli altri fedeli, non è possibile creare comunione, comunità. E senza l’Eucaristia, che la Chiesa dona, manca il vincolo dell’unità.
Le altre persone costituiscono il campo d’amore, d’attenzione, d’azione, di dialogo delle prime.
Per compiere il dialogo, poi, come dice il titolo, riportando parole del Santo Padre , esiste una "via maestra" e cioè: Gesù crocifisso e abbandonato, il "Volto dolente del Cristo" come lo definisce la Novo millennio ineunte.
Fra noi, molti senz’altro conoscono questo "volto"; alcuni, forse, no.
Sarà, comunque, il caso di parlarne, perché chi non lo conoscesse, o non a sufficienza, abbia di che ammirarlo. E chi crede di conoscerlo, di scoprirne di più le infinite ricchezze.
Chi è, dunque, Gesù abbandonato? Ce lo ha rivelato un po’ il nostro Ideale.
Hans Urs von Balthasar, infatti, un grande teologo contemporaneo, ora in Cielo, spiega che, quando lo Spirito Santo manda un carisma sulla terra è come se s’aprisse per la prima volta nel Cielo della Chiesa una finestrella , attraverso la quale ci viene rivelata una verità nuova, pur contenuta nel patrimonio della fede.
Ecco: attraverso la finestrella aperta dallo Spirito Santo col nostro carisma dell’unità, si è intravisto qualcosa del mistero che si nasconde nel grido di Gesù in croce: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt 27,46): una prova abissale del Figlio di Dio per l’abbandono del Padre, ma per la fiducia sconfinata, che Gesù subito dopo dimostra in Lui, per chi è chiamato a realizzare il Testamento di Gesù, la rivelazione di Colui che può dirsi porta, chiave dell’unità.
Ricordo che uno dei primi giorni della nostra storia, avendo compreso la finalità del Movimento nascente e cioè realizzare l’unità (misteriosissima parola divina), sintesi dei desideri e comandi di Gesù, oggetto d’una sua famosissima preghiera, avevamo chiesto a Lui di rivelarci il modo d’attuarla, di darcene la "chiave". Ed ecco che, poco dopo – è un altro episodio noto -, ce ne ha svelato il segreto: Gesù crocifisso e abbandonato.
Quel Gesù abbandonato che tutti ci sforziamo di amare, di seguire, nostro unico tesoro, quando lo abbiamo compreso per davvero.
Ma, poiché Gesù abbandonato costituisce, col dialogo, il titolo del nostro tema, data la sua importanza, vediamo questa volta di approfondire un po’ di più il suo infinito dolore, chiedendoci, ad esempio: cosa dice di Lui la Scrittura?
A parlarne per primi sono i Vangeli, come quello di Matteo: "Dall’ora sesta fino all’ora nona si fece buio su tutta la faccia della terra, e all’ora nona Gesù gridò a gran voce: ’Eli, Eli, lemà sabactàni?’, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt 27,46)
Durante il periodo dei primi cristiani, poi, è noto che si preferiva non parlare di questo suo particolare dolore: era un momento di Gesù difficile da spiegare.
Solo secoli dopo, qualche raro mistico e teologo accenna a Lui.
Dice san Giovanni della Croce: "(…) proprio mentre ne era oppresso, Egli compì l’opera più meravigliosa di quante ne avesse compiute in cielo e in terra durante la sua esistenza terrena ricca di miracoli e di prodigi, opera che consiste nell’aver riconciliato e unito a Dio, per grazia, il genere umano" .
E L. Chardon O.P. fa questa considerazione: Gesù nell’abbandono sembra perdere il vincolo che lo legava al Padre. Ma cos’era questo vincolo? Era lo Spirito Santo. Egli lo perde per darlo a noi. E’ lo Spirito Santo, infatti, che lega ciascun uomo a Dio e uomo a uomo. Ecco le sue parole: "Avendoci generati in quel grido, qui nasce la Chiesa, il popolo nuovo. Qui è dato lo Spirito Santo. E’ lo Spirito Santo che, come Dio, legava Gesù al Padre. E nell’abbandono in Gesù è oscurato il vincolo col Padre.
Essendo lo Spirito Santo – aggiunge pure – il vero Paraclito, cioè il perfetto Consolatore (…) opera interiormente nell’anima [di Gesù] una croce più disastrosa (…) [di quella esteriore] con la sospensione delle sue meravigliose consolazioni (…)" .
Fra i teologi contemporanei, è frequente l’impressione che Gesù dà con questo suo tremendo strazio: quella che, in quel momento, la Santissima Trinità stessa, di cui è il Figlio, il Verbo, un tutt’uno col Padre e con lo Spirito Santo, quasi si spezzasse. "Quasi" perché non può essere così. Infatti l’ortodosso S. Bulgakov afferma: "(Nell’abbandono di Gesù) la stessa inseparabilità della Trinità Santissima sembra spezzarsi, il Figlio rimane solo (…) E’ questa la morte divina, perché ’triste è l’anima mia fino alla morte’, fino alla morte spirituale, che è l’abbandono di Dio" .
E S. Bulgakov aggiunge ancora: "Il calice è bevuto fino in fondo, e il Figlio rende il suo spirito al Padre: la SS. Trinità (che è sembrato spezzarsi) si ricompone nell’unità indivisibile" .
Gesù aveva sofferto quel tremendo senso di abbandono, di separazione dal Padre, proprio per l’unità e cioè per riunire tutti noi uomini a Dio, staccati come eravamo dal peccato, e per riunirci fra noi. Era Lui, dunque, il modello, la strada per realizzarla.
Infatti, non è rimasto nel baratro del suo infinito dolore, ma con uno sforzo immane e inimmaginabile, si è riabbandonato al Padre, da cui si sentiva come uomo quasi respinto, dicendo: "In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum", "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" (Lc 23,46). Ed ha così ricomposto l’unità con Lui.
Un altro teologo che parla di Gesù abbandonato è Hans Urs von Balthasar, già citato, che sottolinea l’immensità di quel dolore. Egli afferma: (Rimettendo) "esplicitamente nelle mani del Padre divino l’eterno vincolo d’unione, che a Lui lo legava, lo Spirito Santo", Gesù sperimenta "fino all’ultimo l’abbandono completo anche da parte del Padre", muore "nelle tenebre estreme abbandonate dallo Spirito" .
Mentre Karl Barth vi vede il dono stra-grande che Egli ci ha fatto: "Dio non tiene per sé la sua divinità come un bottino, come il ladro tiene la borsa, ma Egli si dà" .
Nella Lettera Novo millennio ineunte Giovanni Paolo II dà una sua spiegazione, mirabile per la sua completezza, di questo dolore di Gesù. Egli, parlando di Gesù abbandonato, come dell’"aspetto più paradossale del suo mistero" (di croce) dice: "E’ possibile immaginare uno strazio più grande, un’oscurità più densa?" Poi lo spiega così: "In realtà, l’angoscioso ’perché’ rivolto al Padre con le parole iniziali del Salmo 22, pur conservando tutto il realismo di un indicibile dolore, si illumina con il senso dell’intera preghiera, in cui il Salmista unisce insieme (…) la sofferenza e la confidenza" .
Pasquale Foresi, copresidente emerito del nostro Movimento e teologo, precisa: "(…) Anche se la redenzione è avvenuta per tutti i dolori spirituali e fisici di Gesù, tuttavia il dolore (…) che simboleggia tutta la redenzione è nel momento in cui egli sente la separazione del Padre; è lì che opera il ricongiungimento dell’umanità col Padre" .
E qui non possiamo dimenticare i nostri Statuti approvati dalla Chiesa, maestra di dottrina. Essi danno a noi Gesù abbandonato come chiave dell’unità; Gesù abbandonato al quale dobbiamo riservare un posto particolare nel nostro cuore. Fissando una lunga esperienza di vita, essi dicono che "nel loro impegno per attuare l’unità (i membri del Movimento) amano con predilezione e cercano di vivere in se stessi Gesù crocifisso che, nel culmine della sua passione, gridando: ’Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?’ s’è fatto artefice e via dell’unità degli uomini con Dio e tra loro" .
Ora, da tutto quanto è stato detto, si può capire come Gesù abbandonato, avendo realizzato in sé l’unità, avendo riunito Cielo e terra e uomo a uomo, abbia dato compimento al più difficile, importante ed a chiunque altro impossibile dialogo.
E lo ha potuto fare perché Egli è l’Amore, il massimo Amore, sì da ridursi così, crocifisso, abbandonato dal Padre, per amore nostro.
Lo ha fatto già nascendo su questa terra, col farsi uno di noi, come l’amore domanda: un uomo. "Figlio dell’uomo" amava chiamarsi.
Assumendo poi la natura umana, ha preso su di sé tutto quanto la riguardava: i nostri dolori, i nostri limiti, le nostre colpe, facendosi persino "peccato", come dice Paolo, pur senza aver mai peccato, "scomunica", pur senza essere mai stato scomunicato.
E tutto ciò perché il Padre ha caricato Lui, consenziente, dei nostri pesi, dei nostri guai, e a Lui ha chiesto di rimediarvi.
E’ divenuto maestro d’amore, svuotandosi completamente di sé, riducendosi a nulla, perdendo persino il senso d’essere Figlio di Dio, Dio stesso, per fare noi figli di Dio.
E così ha indicato a noi cosa significa dialogare: quali esigenze esso comporti, come vedremo in seguito.
* * *
E passiamo al dialogo vero e proprio, quello che dobbiamo condurre noi.
Di dialogo ha parlato il Santo Padre, cominciando dal 1983, quando ha lanciato una "nuova evangelizzazione".
Egli, spiegando perché all’evangelizzazione ha aggiunto la parola "nuova", ha affermato, fra il resto, che la “nuova evangelizzazione” sarà nuova "nelle sue espressioni" .
"E’ ormai tramontata – ha detto -, anche nei Paesi di antica evangelizzazione (come l’Europa), la situazione di una ‘società cristiana’, che (…) si rifaceva ai valori evangelici. Oggi si deve affrontare (…) una situazione (…) nel contesto della globalizzazione e del nuovo (…) intreccio di popoli e culture che la caratterizza" .
Per questo occorrono nuove espressioni di evangelizzazione.
E non c’è dubbio che fra le forme di evangelizzazione moderne emergano i dialoghi, nei quali è impegnata la Chiesa e sono impegnati soprattutto diversi Movimenti e Nuove Comunità ecclesiali.
Il nostro Movimento – come sapete – ha aperto sin dall’inizio, il dialogo nella nostra Chiesa, fra singoli cattolici e più recentemente fra Movimenti ecclesiali e altre Associazioni, come pure con Famiglie religiose nate da antichi carismi.
E’ un dialogo che raggiunge proprio lo scopo di cui abbiamo parlato: la “Chiesa-comunione”.
Infatti, anche nel mio breve discorso il 24 gennaio u.s. ad Assisi, durante il convegno interreligioso indetto dal Santo Padre sulla pace, assieme a rappresentanti di altre confessioni cristiane e di altre religioni, ho affermato che la Chiesa, svolgendo il primo dialogo fra i suoi figli e le sue figlie, innesca quella comunione richiesta ad ogni livello, che è pace assicurata. Ora possiamo aggiungere: è unità, è fraternità assicurata e certa.
E già qui dobbiamo pensare a noi, a noi presenti in questa sala per ricevere un impulso al dialogo fra noi figli e figlie della Chiesa.
Come lo possiamo fare bene e con successo?
Al contatto con cattolici non privi di problemi, di dolori, di dubbi, di pesi, ma anche di gioie da condividere, dobbiamo comportarci come ho già detto di Gesù abbandonato: amarli anzitutto, con tutta l’arte di amare che conosciamo, farci uno con loro, operando un vuoto completo in noi per capire, comprendere appieno l’altro, farci uno, anzi "farci lui", come Gesù s’è fatto uomo, s’è fatto "peccato".
E – occorre ricordarlo bene – non pensare a ciò che dobbiamo dire, ma soffrire o godere con lui. Alla fine, quando ci avrà confidato ogni cosa, lo Spirito Santo ci darà la parola giusta per illuminarlo, sollevarlo, consolarlo o anche, se il caso è diverso, aiutarlo a godere bene delle sue gioie, dei doni di Dio, condividendo felicità, speranze, sogni.
Ho detto: lo Spirito Santo ci darà la parola… Sì, perché, come nell’abbandono di Gesù ha avuto a che fare lo Spirito Santo (ricordate?), lo Spirito Santo avrà a che fare anche con noi, se, per amore del fratello, riviviamo un po’ il suo abbandono.
Il nostro Movimento poi – e anche questo vi è noto -, nel 1961, ha iniziato il dialogo ecumenico, dove facciamo calcolo del molto che abbiamo in comune con i cristiani delle altre Chiese: il battesimo, la Scrittura, il Credo, i primi Concili, e la nostra stessa spiritualità dell’unità, che si vive insieme quasi integralmente. Essa, fra il resto, è ritenuta qua e là, spiritualità ecumenica.
In tal modo, per tutti questi elementi comuni, sentiamo di poter già formare con i cristiani di 350 Chiese, che aderiscono al nostro Movimento, un solo popolo cristiano in attesa della piena unità. E ciò allevia di molto i dolori della divisione e inculca pazienza, saper attendere l’ora.
Anche di questo dialogo ho fatto cenno ad Assisi.
Ora, anche se tutti voi vi comporterete nella maniera dettataci dal carisma, sprigionando cioè tutto l’amore a Gesù abbandonato, vivo in loro, di cui siete capaci; facendo calcolo delle cose comuni, e sentendovi con loro una sola famiglia cristiana (il battesimo, che è comune, ci fa tutti figli di Dio! cosa meravigliosa!), darete un colpo d’ala all’ecumenismo in parrocchia e, già uniti con tutti in questo modo, preparerete voi e questi vostri fratelli all’unità piena. Non solo. La nostra unità (di noi e loro insieme) sarà già una grande testimonianza di Gesù per altri fratelli: i fedeli di altre religioni e per le persone di convinzioni non religiose.
Alla fine degli anni ’70 si è aperto fra noi il dialogo con i fedeli di altre religioni, nel quale, come primo passo, cominciamo col vivere assieme la "Regola d’oro" presente in quasi tutti i Libri Sacri; regola che, nel Vangelo, recita così: "Fate agli altri ciò che vorreste fosse fatto a voi" (Mt 7,12). E’ quella regola menzionata recentemente ad Assisi dal Santo Padre e da altri.
Regola per la quale, dato l’amore al prossimo, che si chiede da ambo le parti, è già possibile mettere a base del rapporto fra noi e le persone di altre religioni l’amore reciproco. Ed ecco fiorire brani di fraternità.
Poi, in questo clima, ponendosi sullo stesso piano, si può stabilire il dialogo col proprio partner, dialogo nel quale si cerca, come Gesù abbandonato, di farsi nulla per "entrare", in certo modo, in lui.
Ci si pone quindi in quest’atteggiamento importantissimo e imprescindibile, che ha un duplice effetto: aiuta noi ad inculturarci nel mondo dell’altro, a conoscerne la cultura ed il linguaggio, e predispone l’altro ad ascoltare noi.
Si passa così al "rispettoso annuncio" – bella e indovinata espressione del Santo Padre – dove, per lealtà davanti a Dio, a se stessi, come pure per sincerità verso il prossimo, diciamo quanto la nostra fede afferma sull’argomento di cui si parla, senza con ciò imporre nulla all’altro, senza voler conquistare nessuno, quindi senza ombra di proselitismo. Ma per amore.
Il nostro dialogo interreligioso abbraccia – come sapete – fedeli delle più importanti religioni: ebrei, musulmani, buddisti, scintoisti, indù, ecc., dai quali siamo spesso stimati ed amati sì da chiamarci a portare la nostra esperienza cristiana anche in moschee musulmane (in 40 finora negli USA), in templi buddisti, in centri ebraici e altri.
Ci può essere poi chi, rimanendo nella propria religione, l’approfondisce (e sono molti!) e chi abbraccia liberamente il cristianesimo, come è stato – anche questo lo sapete – di migliaia di persone a Fontem, nel Camerun, per le quali abbiamo dovuto costruire una chiesa ed è stata istituita la parrocchia.
Quante persone di altre religioni si sono ormai stabilite anche nei nostri Paesi, nelle vostre rispettive parrocchie, nelle vostre diocesi!
Il mio consiglio è individuarle, stabilire con loro l’amore reciproco, e pian pianino, con prudenza, dialogare, se si può, con esse come fa il Movimento.
Ma anche le persone di buona volontà, pur senza un riferimento religioso, si rendono conto che l’amare gli altri non è solo dei cristiani, ma è un imperativo inscritto nel DNA d’ogni uomo, perché – così noi pensiamo – ogni uomo è creato ad immagine di Dio che è Amore.
Si può perciò amarsi a vicenda pure con loro e può nascere, anche con essi, il dialogo, col nostro "annuncio rispettoso" delle verità cristiane.
E, poiché credono almeno nell’uomo, si lavora insieme, a gloria di Gesù, uomo oltre che Dio, a salvaguardare i grandi valori umani a cui danno anch’essi tanta importanza, quali la libertà, la solidarietà, i diritti umani, la pace.
Anche nelle nostre parrocchie, e nelle nostre diocesi, c’è molto da fare. Oggi incontriamo dovunque persone in ricerca, o non credenti. Occorre amarle con l’arte di amare vissuta alla lettera, vedendo in esse Gesù abbandonato e possibilmente lavorare con loro per ideali comuni.
Quelli spiegati fin qui sono i quattro dialoghi già annunciati da Paolo VI nell’Ecclesiam suam e oggi così attuali.
Ma tutto riusciremo a fare se Gesù abbandonato sarà la stella del nostro cammino!
Sempre nel nostro cuore, sempre presente alla nostra mente. Sempre nella nostra preghiera: "Sei Tu, Signore, l’unico nostro bene".
Apr 17, 2002 | Chiesa
Esperienze di una parrocchia di Carpi (Modena) con persone di convinzioni non religiose
Mar 31, 2002 | Parola di Vita
Nel Vangelo di Giovanni “vedere” Gesù è di un’importanza capitale. È la prova evidente che Dio si è fatto veramente uomo. Già nella prima pagina del Vangelo leggiamo l’appassionata testimonianza dell’Apostolo: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria”.
Soprattutto dopo la resurrezione di Gesù sentiamo riecheggiare il grido di quanti lo hanno visto. Lo annuncia Maria di Magdala: “Ho visto il Signore”, così come gli apostoli: “Abbiamo visto il Signore”. Anche il discepolo che Gesù amava “vide e credette”.
Soltanto l’apostolo Tommaso non vide il Signore risorto, perché non era presente il giorno di Pasqua quando egli apparve agli altri discepoli. Tutti avevano creduto perché avevano veduto. Anche lui – così disse – avrebbe creduto se, come gli altri, avesse veduto. Gesù lo prese in parola e otto giorni dopo la resurrezione si mostrò a lui, perché anche lui credesse. Vedendo Gesù vivo davanti a sé Tommaso esplose in quella professione di fede che è la più profonda e la più completa che mai sia stata pronunciata in tutto il Nuovo Testamento: “Mio Signore e mio Dio”. Allora Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, hai creduto”:
«Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!»
Anche noi come Tommaso vorremmo vedere Gesù. Specialmente quando ci sentiamo soli, nella prova, sotto il peso delle difficoltà… Ci riconosciamo un po’ in quei greci che si avvicinarono a Filippo e gli chiesero: “Signore, vogliamo vedere Gesù”. Come sarebbe stato bello, ci diciamo, se fossimo vissuti al tempo di Gesù: avremmo potuto vederlo, toccarlo, ascoltarlo, parlare con lui… Come sarebbe bello se potesse apparire anche a noi, così come apparve a Maria di Magdala, ai Dodici, ai discepoli…
Erano veramente beati quelli che stavano con lui. Lo disse anche Gesù in una beatitudine che ci riporta il Vangelo di Matteo e di Luca: “Beati i vostri occhi perché [mi] vedono”. Eppure a Tommaso Gesù disse un’altra beatitudine:
«Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!»
Gesù pensava a noi che non possiamo più vederlo con questi nostri occhi, ma che pure possiamo vederlo con gli occhi della fede. La nostra condizione non è poi così diversa da quelli che vivevano al tempo di Gesù. Anche allora non bastava vederlo. Tanti, pur vedendolo, non gli credettero. Gli occhi del corpo vedevano un uomo, occorrevano altri occhi per riconoscere in lui il Figlio di Dio.
Ma già molti dei primi cristiani non avevano visto personalmente Gesù e vivevano quella beatitudine che anche noi oggi siamo chiamati a vivere. Nella prima lettera di Pietro leggiamo, ad esempio: “Voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la mèta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime”.
I primi cristiani avevano ben capito da dove nasce la fede di cui Gesù parlava a Tommaso: dall’amore. Credere è scoprire di essere amati da Dio, è aprire il cuore alla grazia e lasciarsi invadere dal suo amore, è affidarsi totalmente a questo amore rispondendo all’amore con l’amore. Se tu ami, Dio entra in te e testimonia dentro di te lui stesso. Lui dà un modo tutto nuovo di guardare la realtà che ci circonda. La fede ci fa vedere gli avvenimenti con i suoi stessi occhi, fa scoprire il disegno che egli ha su di noi, sugli altri, sulla creazione intera.
«Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!»
Un esempio luminoso di questo nuovo modo di guardare le cose con gli occhi della fede è quello di Teresa di Gesù Bambino. Una notte, a causa della tubercolosi che l’avrebbe portata alla morte, ebbe uno sbocco di sangue. Avrebbe potuto dire: “Ho uno sbocco di sangue”. Invece disse: “È arrivato lo Sposo”. Ha creduto anche senza vedere. Ha creduto che in quel dolore Gesù veniva a visitarla e la amava: il suo Signore e il suo Dio.
La fede, come per Teresa di Gesù Bambino, ci aiuta a vedere tutto con occhi nuovi. Come lei ha tradotto quell’avvenimento in “Dio mi ama”, così anche noi possiamo tradurre ogni altro avvenimento della nostra vita in “Dio mi ama”, oppure: “Sei tu che vieni a visitarmi”, oppure: “Mio Signore e mio Dio” .
In Cielo vedremo Dio così come egli è, ma la fede già da ora ci spalanca il cuore sulle realtà del Cielo e ci fa intravedere tutto con la luce del Cielo.
Chiara Lubich
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Mar 2, 2002 | Ecumenismo
Un momento di festa, il primo incontro dei responsabili di 15 movimenti evangelici tedeschi con Chiara Lubich e Andrea Riccardi alla cittadella ecumenica di Ottmaring.
“Mi sembrava di intravvedere uno squarcio della visione della Chiesa futura: mi trovavo in un giardino meraviglioso pieno di fiori preziosi” l'impressione a caldo di una giovane evangelica.
Gioia comune, perché l'avvenimento di Pentecoste '98 con il grande incontro dei Movimenti e nuove comunità con il Papa in piazza San Pietro che aveva segnato l'inizio di un cammino e testimonianza comune, si allarga ora al mondo evangelico, aprendo nuove prospettive di unità e di evangelizzazione.
Previsto per il 2000 a Monaco un grande incontro di Movimenti e Nuove Comunità evangelici e cattolici
Significativo che questo incontro abbia avuto luogo nel pomeriggio dello stesso 31 ottobre, quando il Presidente della Federazione Luterana mondiale, il vescovo dott. Christian Krause, durante la solenne cerimonia per la storica firma, aveva detto che “la Dichiarazione congiunta sulla Giustificazione vuole spalancare la via perché tutti gli uomini possano avvalersi dei doni di Dio”. Gioia comune per l'accordo tra la Chiesa cattolica e la Chiesa luterana dopo oltre 450 anni di controversie, e per lo scoprirsi animati dallo stesso spirito di amore e di unità.
(02-03-2002)
Feb 28, 2002 | Parola di Vita
In questa perla del Vangelo che è il discorso alla Samaritana, nei pressi del pozzo di Giacobbe, Gesù parla dell’acqua come dell’elemento più semplice, ma che si evidenzia più desiderato, più vitale per chi ha consuetudine col deserto. Non gli occorrevano molte spiegazioni per far intendere cosa significasse l’acqua.
L’acqua sorgiva è per la vita nostra naturale, mentre l’acqua viva, di cui parla Gesù, è per la vita eterna.
Come il deserto fiorisce solo dopo una pioggia abbondante, così i semi sepolti in noi col battesimo possono germogliare solo se irrorati dalla Parola di Dio. E la pianta cresce, mette nuovi germogli e prende la forma di un albero o di un bellissimo fiore. E tutto questo perché riceve l’acqua viva della Parola che suscita la vita e la mantiene per l’eternità.
«Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna»
Le parole di Gesù sono rivolte a tutti noi, assetati di questo mondo: a quelli che sono coscienti della loro aridità spirituale e sentono ancora i morsi della sete e a quelli che non avvertono più neanche il bisogno di abbeverarsi alla fonte della vera vita, e dei grandi valori dell’umanità.
Ma, in fondo, è a tutti gli uomini e alle donne di oggi che Gesù rivolge un invito, svelando dove possiamo trovare la risposta ai nostri perché, e la piena soddisfazione dei nostri desideri.
A noi tutti, dunque, attingere alle sue parole, lasciarsi imbevere del suo messaggio.
Come?
Rievangelizzando la nostra vita, confrontandola con le sue parole, cercando di pensare con la mente di Gesù e di amare con il suo cuore.
Ogni attimo in cui cerchiamo di vivere il Vangelo è una goccia di quell’acqua viva che beviamo.
Ogni gesto d’amore per il nostro prossimo è un sorso di quell’acqua.
Sì, perché quell’acqua così viva e preziosa ha questo di speciale, che zampilla nel nostro cuore ogniqualvolta l’apriamo all’amore verso tutti. E’ una sorgente – quella di Dio – che dona acqua nella misura in cui la sua vena profonda serve a dissetare gli altri, con piccoli o grandi atti di amore.
«Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna»
Dunque abbiamo capito che, per non soffrire la sete, dobbiamo donare l’acqua viva che attingiamo da Lui in noi stessi.
Basterà una parola, talvolta, un sorriso, un semplice cenno di solidarietà, per darci di nuovo un sentimento di pienezza, di soddisfazione profonda, uno zampillo di gioia. E se continuiamo a dare, questa fontana di pace e di vita darà acqua sempre più abbondante, senza mai prosciugarsi.
E c’è anche un altro segreto che Gesù ci ha rivelato, una specie di pozzo senza fondo a cui attingere. Quando due o tre si uniscono nel suo nome, amandosi dello stesso suo amore, Lui è in mezzo a loro. Ed è allora che ci sentiamo liberi, uno, pieni di luce e torrenti di acqua viva sgorgano dal nostro seno. E’ la promessa di Gesù che si avvera perché è da Lui stesso, presente in mezzo a noi, che zampilla acqua che disseta per l’eternità.
Chiara Lubich
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Feb 22, 2002 | Chiesa
Grande gioia ha espresso il Papa per questo incontro di oltre 80 vescovi, amici del Movimento dei Focolari.
Un’udienza a sorpresa, quella di giovedì 28 febbraio, che, all’ultimo momento, ha sostituito la partecipazione dei vescovi all’udienza generale.
Il Papa ha rivolto un saluto speciale a Chiara Lubich fonda- trice del movimento dei Focolari, e parole di gratitudine al cardinale Miloslav Vlk, arcivescovo di Praga, che aveva tracciato il cammino percorso dai vescovi in questi 25 anni, dal 1977, quando ebbe inizio il 1
Feb 22, 2002 | Chiesa
Venerati Fratelli! 1. Con grande gioia vi accolgo, durante il vostro convegno di approfondimento della spiritualità di comunione, promosso dal Movimento dei Focolari. A ciascuno rivolgo il mio cordiale saluto, con uno speciale pensiero di gratitudine al Cardinale Miloslav Vlk, che si è fatto interprete dei comuni sentimenti, illustrando i temi del vostro incontro. Un saluto particolare desidero riservare alla Fondatrice del Movimento, Chiara Lubich, che ha voluto essere presente qui con noi. Carissimi, voi state riflettendo sulla comunione, realtà costitutiva della natura stessa della Chiesa. La Chiesa, come ben sottolinea il Concilio Vaticano II, si trova, per così dire, tra Dio e il mondo, adunata nel nome della Santissima Trinità per essere “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen gentium, 1). La comunione all’interno del popolo cristiano, pertanto, chiede di essere sempre più assimilata, vissuta e manifestata, anche grazie ad un deciso impegno programmatico, a livello sia di Chiesa universale che di Chiese particolari. Occorre coltivare un’autentica e profonda spiritualità di comunione, come ho voluto sottolineare nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte (cfr n. 43). Si tratta di un’esigenza che riguarda tutti i membri della Comunità ecclesiale. Questo compito spetta però anzitutto ai Pastori, chiamati a vigilare affinché i diversi doni e ministeri contribuiscano alla comune edificazione dei credenti ed alla diffusione del Vangelo. 2. Il servizio dell’unità, su cui voi giustamente amate molto insistere, è intrinsecamente segnato dalla Croce. Il Signore ha sofferto la passione e la morte per distruggere l’inimicizia e riconciliare gli uomini col Padre e tra di loro. Seguendone l’esempio, la Chiesa, Corpo mistico di Cristo, ne prolunga l’opera. Con la forza dello Spirito Santo partecipa intimamente al Mistero pasquale, al di fuori del quale non vi è crescita del Regno di Dio. L’esperienza della storia evidenzia che la Chiesa vive la passione e la croce indissolubilmente unita al suo Signore risorto, illuminata e confortata dalla presenza che Egli stesso le ha garantito per tutti i giorni, fino alla fine del mondo (cfr Mt 28,20). E’ lo stesso Signore, nel cui corpo glorioso permangono i segni dei chiodi e della lancia (cfr Gv 20,20.27), ad associare i suoi amici alle sue sofferenze, per conformarli poi alla sua gloria. Questa fu, in primo luogo, l’esperienza degli Apostoli, a cui i credenti nel loro pellegrinaggio fanno costante riferimento. Il loro ministero di comunione e di evangelizzazione ha goduto della stessa fecondità di quello di Cristo: la fecondità del chicco di grano, come ricorda l’evangelista Giovanni, che produce molto frutto se e perché muore nella terra (cfr Gv 12,24). 3. Segno per eccellenza di tale fecondità pasquale sono i frutti dello Spirito, anzitutto “amore, gioia e pace” (Gal 5,22), che caratterizzano, pur nella varietà degli stili e dei carismi, la testimonianza dei santi di ogni epoca e di ogni nazione. Anche nella prova, anche nelle situazioni più drammatiche niente e nessuno può togliere a colui che vive unito a Cristo la certezza del suo amore (cfr Rm 8,37-39) e la gioia di essere e di sentirsi una cosa sola con Lui. Questo amore, questa gioia e questa pace invoco in abbondanza per ciascuno di voi, carissimi Fratelli nell’Episcopato, e per le Comunità che vi sono affidate. Maria, la Vergine dell’amore fedele, vegli su di voi e sul vostro ministero. Vi aiuti a camminare in perfetta sintonia con il cuore del suo divin Figlio, sorgente di immensurabile carità e misericordia. Io vi assicuro un costante ricordo nella preghiera e ben volentieri vi imparto una speciale Benedizione, estendendola a quanti quotidianamente incontrate nel vostro servizio pastorale.
Feb 22, 2002 | Chiesa
La notizia dell’Udienza privata con il Papa, giovedì 28 marzo, è giunta come gradita sorpresa, proprio nella giornata in cui si ricordavano a Castel Gandolfo i 25 anni da quando, nel febbraio del 1977, si era svolto il primo Convegno di Vescovi amici del Movimento dei Focolari. Sarà presente all’udienza anche Chiara Lubich.
L’incontro è stato aperto sabato 23 febbraio, dal card. Miloslav Vlk, arcivescovo di Praga e moderatore dell’annuale convegno spirituale di Vescovi amici del Movimento dei Focolari. Aveva messo in luce come nuova evangelizzazione e rinnovamento della cultura sarebbero state approfondite sulla base delle linee spirituali tracciate dalla Novo millennio ineunte ed aveva affermato: “Dobbiamo ricordarci che non si tratta solo di mettere in atto una buona collaborazione fra gli agenti pastorali, ma di vivere a tutti gli effetti quella spiritualità di comunione che rende presente Cristo e che è l’indispensabile presupposto per poter affrontare le sfide del terzo Millennio”.
E in quei giorni, infatti, gli oltre 80 Vescovi di 43 Paesi dei cinque continenti hanno vissuto un’esperienza profonda di comunione fraterna, nutrita da conversazioni di spiritualità, approfondimenti teologici e momenti di dialogo, nei quali si realizza un toccante scambio di testimonianze personali e pastorali, vissute spesso in regioni di grande sofferenza come il travagliato Medio Oriente, la Repubblica Democratica del Congo, il Burundi; zone fortemente secolarizzate come i Paesi Bassi o alcuni Paesi post-comunisti, e le lontane Isole di Wallis et Futuna nell’Oceano Pacifico.
Chiara Lubich, nel suo intervento al Convegno, domenica 24, ha enucleato dieci capisaldi della nuova evangelizzazione come emergono dall’insegnamento di Giovanni Paolo II ed ha illustrato come il Movimento dei Focolari con la sua spiritualità di comunione può offrire un particolare contributo ad attuarli. “La nuova evangelizzazione proposta dal Papa a tutta la Chiesa – ha affermato – ha dato a noi le ali”. Ed faceva notare: “L’evangelizzazione sarà ‘nuova nel suo ardore’ se, man mano procede, cresce, in chi la promuove, l’unione con Dio”. Con grande interesse i partecipanti hanno quindi seguito la presentazione di due progetti di evangelizzazione, uno in contesto metropolitano (Roma) e l’altro in terra di missione (Fontem / Cameroun).
Ogni giorno il Convegno si è aperto con una meditazione su quello che Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte ha definito il “mistero nel mistero”: Gesù crocifisso ed abbandonato, come via all’unione con Dio e come sorgente di comunione. Molto apprezzate le testimonianze di alcuni dei primi focolarini e delle prime focolarine su questo che è anche uno dei cardini della spiritualità dei Focolari.
Chiara Lubich è intervenuta nuovamente al Convegno, mercoledì 27, per un dialogo aperto con i Vescovi.
Feb 6, 2002 | Cultura
La Giunta della Regione Toscana si è impegnata ad inserire nei programmi di sviluppo della Regione il progetto del Polo Imprenditoriale di Loppiano (Incisa Valdarno, FI), riconosciuto come laboratorio di una nuova economia, "modello da proporre e moltiplicare anche al fine di rafforzare e organizzare l’attuazione di una nuova politica di cooperazione allo sviluppo".
Loppiano incontra gli Imprenditori – Questo progetto verrà presentato nella cittadella internazionale di Loppiano, il 9-10 febbraio 2002, in un incontro a livello nazionale con imprenditori, dipendenti, operatori economici, ricercatori e studenti interessati al progetto di Economia di comunione.
Verranno presentati:
– La cittadella di Loppiano e la sua vita
– Gli ultimi sviluppi del progetto dell’Economia di Comunione a 10 anni dal suo lancio
– Il nascente Polo produttivo "Lionello"
Feb 6, 2002 | Cultura
Una mozione di sostegno al polo imprenditoriale di Loppiano, presentata dal Gruppo Rinnovamento Italiano e Riformisti per l’Ulivo, è stata approvata a maggioranza, con l’astensione dello SDI e di alcuni consiglieri del centro sinistra.
Nel testo si chiede alla Giunta regionale di aderire al progetto del polo imprenditoriale di Loppiano nel Comune di Incisa Valdarno, laboratorio di una nuova economia, promosso dal Movimento dei Focolari, sottoscrivendo simbolicamente alcune quote di azionariato popolare e di inserire il progetto nei programmi di sviluppo della Regione Toscana quale modello da proporre per l’attuazione di una nuova politica di cooperazione allo sviluppo.
Premessa
La “Dichiarazione sul futuro dell’Unione”, allegata al trattato di Nizza, ha rilanciato il dibattito sul “metodo di governo” quale processo di cooperazione costruttiva tra tutti i livelli di potere e responsabilità in Europa.
I principi guida sono la sussidiarietà, il pluralismo istituzionale e la legittimità democratica.
Sono punti programmatici che devono trovare realizzazione completa anche nelle politiche dei governi nazionali e tra le pluralità delle istituzioni territoriali.
Nel frattempo, si sono affermati in Europa valori importanti quali l’uguaglianza dei popoli, politiche di coesione economica e sociale, la libertà di circolazione, la parità di trattamento ed il riconoscimento dei diritti fondamentali.
E’ il concetto di “fraternità politica”, quale effettiva composizione di strutture, territori, funzioni, identità e culture ma anche per fornire risposte originali alle molteplici sfide del nuovo millennio. La prima sfida importante è stata raccolta da Chiara Lubich e dal Mov.to dei Focolari che, realizzando nel corso degli ultimi anni, in tutto il mondo, piccole città autonome, modello di vita da proporre e moltiplicare, hanno voluto conciliare plurime esigenze capaci di coniugare valori imprescindibili.
I sottoscritti Consiglieri (Lucia Franchini e Francesco Pifferi)
atteso che dal lancio del progetto dell’Economia di Comunione, pensato da Chiara Lubich e dal Movimento dei Focolari, sono sorte nel mondo iniziative tese a far crescere e diffondere una cultura economica innovativa, dove si coniuga il “bilancio economico” con il “bilancio sociale”;
considerato che da detta iniziativa è nata l’esigenza di dar vita ad un polo imprenditoriale in cui concentrare alcune aziende italiane che già aderiscono al progetto stesso tale da rappresentare un modello all’interno della realtà economica nazionale;
considerato che il Movimento dei Focolari ha presentato il progetto di far nascere un Polo Industriale nei pressi della cittadella di Loppiano nel Val d’Arno, attraverso la sottoscrizione di azionariato popolare;
preso atto che gli scopi principale saranno la costruzione di capannoni, uffici e infrastrutture, oltre ad attività di supporto alle aziende e promozione di nuove imprese, scuole per imprenditori, manager e operatori;
considerato che Loppiano rappresenterà la prima esperienza industriale del Movimento, oggetto di attenzione anche da parte delle Istituzioni comunitarie e del Governo nazionale;
ritenuto necessario, nello spirito di costituzione di un “laboratorio di fraternità”, sostenere politicamente e materialmente i programmi di investimento solidale, anche quale attuazione di iniziative di cooperazione allo sviluppo;
visto il contesto operativo nel quale il progetto di Loppiano si colloca, teso a comprendere l’inserimento dello stesso nei programmi di sviluppo regionale anche quale modello contro l’esclusione sociale;
tutto ciò premesso
impegnano la Giunta
– ad aderire al progetto del Polo Imprenditoriale di Loppiano nel comune di Incisa Valdarno, laboratorio di una nuova economia, promosso dal Movimento dei Focolari.
– ad inserire il progetto nei programmi di sviluppo della Regione Toscana quale modello da proporre e moltiplicare anche al fine di rafforzare ed organizzare l’attuazione di una nuova politica di cooperazione allo sviluppo”.
Feb 6, 2002 | Cultura
Lucia Franchini (Rinnovamento Italiano) ha illustrato la mozione sottolineando che l’esperienza di Loppiano dimostra la possibilità concreta di coniugare sviluppo e solidarietà, tenendo conto non soltanto del bilancio economico, ma anche della valenza sociale. L’esperienza di Loppiano è un esempio da valorizzare e far conoscere sull’intero territorio regionale.
Franco Banchi (Centro Democratici Uniti) ha evidenziato gli aspetti positivi dell’esperienza di Loppiano, ma la Regione non deve avere un coinvolgimento diretto, perché il compito della politica è di dare degli input propositivi, non di entrare nella gestione diretta dell’attività. L’esperimento di Loppiano dimostra la possibilità di un nuovo rapporto tra economia e solidarietà.
Varis Rossi (Democratici di Sinistra) ha evidenziato il valore di questa esperienza, ha preso l’impegno di approfondire ulteriormente la conoscenza del progetto in Terza Commissione. E’ necessario sostenere vari modelli di sviluppo, aiutando anche coloro che hanno un passo economico più lento, ma un alto valore sociale. E’ necessaria la massima attenzione e cautela per conoscere le potenzialità di un’esperienza notevole come quella portata avanti a Loppiano.
Marco Carraresi (Centro Cristiano Democratico) ha dichiarato di condividere totalmente la mozione che rende giustizia di un Movimento di grande valore, una esperienza quotidiana di vivere il Vangelo in modo concreto. Un modello da imitare nei progetti di cooperazione promossi dalla Giunta regionale.
Anche Giovanni Barbagli (Rifondazione Comunista) e Lorenzo Zirri (Forza Italia) hanno dato il pieno sostegno alla mozione presentata, mentre Pieraldo Ciucchi (Socialisti Democratici Italiani) ha dichiarato il proprio voto di astensione per la troppa enfatizzazione che si vuole dare a questa esperienza ecclesiastica.
Angelo Passaleva, vicepresidente della Giunta regionale ha dichiarato l’adesione alla mozione e all’esperienza di Loppiano che è un nuovo modo di fare impresa con l’attenzione ai valori sociali. E’ un modello sperimentale che si può trasferire anche ad altre situazioni regionali. Nella società globale è sbagliato accettare soltanto la logica del profitto, perché la guerra e la violenza nascono anche dalla mancanza di una giusta distribuzione della ricchezza complessiva.
Feb 6, 2002 | Cultura
Il dialogo in politica e l’economia di comunione, così come l’economia solidale e la finanza etica, sono elementi essenziali per sviluppare un nuovo modello del "vivere insieme".
In questo senso la Regione Toscana non può non riconoscere che la realizzazione del polo industriale di Loppiano rappresenta una sfida importante per tutto il nostro territorio, un progetto al quale aderire e da inserire nei programmi di sviluppo della Regione medesima al fine di rafforzare ed organizzare una nuova politica di cooperazione allo sviluppo.
Si potrà quindi affermare con la pratica che non è vero che l’unico modello adottabile all’interno del mercato del lavoro è quello classico economico liberista. Si potrà affermare che la competitività delle aziende sussiste, pur destinando parte del ricavato ad azioni di formazione e solidarietà sociale.
E soprattutto che l’economia di comunione è un modello di convivenza per il quale all’interno del mondo economico ogni attore, sia impresa, lavoratore o consumatore, riscopre la libertà di scelta e di azione e la preziosa unitarietà tra valori e comportamento. Un modello in sintesi che, oltre a prestare attenzione al bilancio economico, non dimentica "il bilancio sociale", cioè la valutazione di quanto nell’azienda la risorsa umana sia da valorizzare (pur non dimenticando il profitto) e quindi i rapporti con i dipendenti, fornitori e concorrenti siano da improntare principalmente su una competizione di qualità, sulla trasparenza e sul rispetto dell’ambiente.
Quali sono i punti di riferimento a cui attingere per la sua attività politica?
La più alta sfida per tutti noi è oggi promuovere e diffondere valori importanti quali l’uguaglianza dei popoli, le politiche di coesione economica e sociale, i diritti di cittadinanza, la sussidiarietà, l’unità, rispettando il pluralismo delle diverse identità, tradizioni e religioni.
Chiara Lubich ancora una volta ci indica, con semplicità ma con grande tensione emotiva e ideale, il principio guida a cui far riferimento: "la fratellanza". Anche in politica non si può prescindere da questo concetto, perché Chiara molto lucidamente ci ricorda che "la risposta alla vocazione politica è anzitutto un atto di fraternità: non si scende in campo infatti solo per risolvere un problema, ma si agisce per qualcosa di pubblico, che riguarda gli altri, volendo il loro bene come fosse il proprio".
Un valore semplice da comprendere, ma arduo da praticare quando deve corrispondere una conseguente linearità nell’azione.
D’altra parte sono convinta che quello è il valore da realizzare. Forse inizialmente rappresenterà solo una tensione, ma se vogliamo davvero innalzare e qualificare le azioni di governo e di rappresentanza politica, costruire insieme un comune senso di identità, destino e cittadinanza, dobbiamo partire dal riconoscimento che solo il concetto di "fraternità politica" potrà tracciare un percorso di coesione e partecipazione.
Feb 5, 2002 | Dialogo Interreligioso
In occasione della giornata di preghiera per la pace di Assisi, Chiara Lubich ha potuto intrattenersi con diverse personalità di altre religioni, approfondendo il dialogo già intrapreso o avviando nuovi contatti.
Al Centro del Movimento dei Focolari a Rocca di Papa ha incontrato Nichiko Niwano, Presidente del movimento laico buddista Rissho Kosei Kai del Giappone, con cui i Focolari sono in dialogo sin dal 1979.
Per la prima volta, sempre a Rocca di Papa, Chiara Lubich ha ricevuto il rev. Joginder Singh, leader spirituale di oltre 20 milioni di Sikhs nel mondo, che risiede nel centro di Amritsar (India). Si è instaurato un rapporto vivo e cordiale centrato su Dio e sulla fratellanza fra tutti gli uomini. Chiara aveva incontrato ad Assisi anche il guru dei Sikhs inglesi, il rev. Bhai Sahib-ji Mohinder Singh con cui il Movimento dei Focolari in Inghilterra aveva già iniziato un dialogo.
Alcuni giorni dopo, anche la signora Didi Athavale, che in rappresentanza del mondo indù aveva dato la sua testimonianza di pace ad Assisi, ha desiderato incontrare Chiara. E’ la figlia del fondatore di un grande movimento indù denominato Swadhyàya.
Più che un movimento è un nuovo stile di vita che ha cambiato l’esistenza a milioni di persone: dagli emarginati e analfabeti alle élites della società, facendo crollare i muri di separazione causate da religione, ricchezza, educazione, casta, razza e sesso. Ha seminato così la pace e l’armonia sia a livello individuale che sociale.
Swadhyaya è stata iniziata dal rev. Pandhurangshastri Athavale, chiamato Dada (fratello maggiore). Un pensatore, filosofo e sociologo, che ha messo al centro della sua attività la devozione verso Dio (Bhakti) e l'attenzione all’uomo. Nei 17 stati dell’India ha 19.500 centri ed è diffuso in 110.000 villaggi.
Questi colloqui hanno aperto nuove prospettive di dialogo.
Feb 4, 2002 | Dialogo Interreligioso
Vedere gli esponenti di tutte queste religioni, delle diverse espressioni di Chiese, tutti così uniti, così desiderosi che questo avvenimento si ripeta. E’ difficile spiegare lo Spirito Santo… ma qui lo Spirito Santo invadeva tutto. Il Papa ha parlato anche a un dato punto del vento, che è simbolo della Spirito Santo.
E pensando che dietro ciascuno c’erano popoli, mondi così vari, veniva da dire: questa è una forza enorme per la pace, e anche per creare appunto questa fraternità che è la base per arrivare domani a quella meta a cui pure certi governanti mirano. Adesso, essendo stati costretti a stringere i rapporti, per esempio, la Russia con l’America, si può pensare che, in un domani, sia possibile arrivare ad un’unica comunità mondiale.
E l’anima, mi sembra, è proprio quanto abbiamo visto oggi: tutti si stimavano a vicenda… Quindi c’era proprio un amore che va e che viene. E’ una grandissima speranza!
Da intervista della Radio Vaticana – 24.1.2002
Come diffondere lo “spirito di Assisi” e tener fede ai solenni impegni presi dai leader religiosi?
Col considerare intanto questo convegno un fatto storico, perché lo è stato, ma pensandolo come un momento non isolato. Già questa volta ha avuto, in molte parti del mondo e non solo cristiano, dei significativi riflessi con incontri di preghiera locali ed altre manifestazioni per la pace. Non isolato anche perché in qualche modo dovrebbe continuare. È ciò che speriamo.
È nel nostro cuore quindi il desiderio che Assisi 2002 sia l’inizio di una serie di varie iniziative vagliate e pensate da chi ne ha la responsabilità, perché il grido: “Mai più la guerra” diventi realtà.
Da intervista Città Nuova n. 3 – 10.2.2002
Feb 4, 2002 | Chiara Lubich
Qual’ è stata l’emozione più forte che ha vissuto in questa giornata ad Assisi?
Vedere gli esponenti di tutte queste religioni, delle diverse espressioni di Chiese, tutti così uniti, così desiderosi che questo avvenimento si ripeta. E’ difficile spiegare lo Spirito Santo… ma qui lo Spirito Santo invadeva tutto. Il Papa ha parlato anche a un dato punto del vento, che è simbolo della Spirito Santo.
E pensando che dietro ciascuno c’erano popoli, mondi così vari, veniva da dire: questa è una forza enorme per la pace, e anche per creare appunto questa fraternità che è la base per arrivare domani a quella meta a cui pure certi governanti mirano. Adesso, essendo stati costretti a stringere i rapporti, per esempio, la Russia con l’America, si può pensare che, in un domani, sia possibile arrivare ad un’unica comunità mondiale.
E l’anima, mi sembra, è proprio quanto abbiamo visto oggi: tutti si stimavano a vicenda… Quindi c’era proprio un amore che va e che viene. E’ una grandissima speranza!
E’ anche una forte rivincita della religione in quanto tale, perché tante fedi diverse che si sono rivolte però a Dio in maniera simultanea e per lo stesso motivo… E’ di nuovo tornato il miracolo d’Assisi.
E’ tornato, e forse anche meglio, io penso! Perché non so se erano così tanti l’altra volta. Certo c’è questo fatto: che il Papa qualche volta ha detto … che quanto è successo col terrorismo non è solo causato da una forza umana, semplicemente, l’odio, non so, la rivendicazione di tante ingiustizie, ma che c’è la forza del Male che ha agito. E di fronte alle forze del male bisogna che si contrappongano le forze del Bene, del bene col b maiuscolo, contro il Male magari con M maiuscolo. E quindi mobilitare le religioni è la cosa più intelligente da fare contro questo fenomeno del terrorismo. Non basta che la politica si muova, non basta la guerra per far giustizia … anzi si deve stare attenti a come ci si muove, ma qui occorre l’elemento religioso, è indispensabile!
D. – E la fiamma, le tante fiamme che sono state accese, continueranno a brillare?
Assolutamente! E’ stato troppo bello. Hanno fatto un’esperienza .. L’hanno confermato tanti, anche perché li conosciamo, questi sikhs, questi musulmani. E’ stato troppo bello, troppo bello! Non si può dimenticare una cosa così. Ha agito lo Spirito Santo.
Feb 4, 2002 | Dialogo Interreligioso
D – Il Papa, facendo riferimento al vento che soffiava impetuoso, ha detto, improvvisando, che era “il soffio dello Spirito”. Tanti hanno avuto l’impressione che lo Spirito Santo abbia guidato l’incontro del 24 gennaio. E’ anche la tua opinione? Cosa te lo fa dire?
«E’ anche la mia impressione. Me lo ha confermato l’atmosfera che si è creata fra tutti, nella quale si potevano percepire i doni dello Spirito: pace e gioia, in un reciproco tangibile amore, quell’amore sublime che è diffuso nei cuori proprio dallo Spirito Santo.
«Durante l’incontro, infatti, che era stato preparato in maniera che le diverse denominazioni cristiane presenti, così come le varie altre religioni, fossero sullo stesso piano, l’amore fra tutti era così forte che, anche quando il pubblico applaudiva ripetutamente il Santo Padre, non appariva una stonatura, anzi».
D. – La giornata di preghiera per la pace ha visto riuniti i rappresentanti di tutte le principali Chiese cristiane, compresa – una felice novità – quella ortodossa russa. Una testimonianza di unità di fronte al mondo. Quale rapporto ti sembra esistere tra l’unità dei cristiani e la pace?
«Un rapporto di primo piano. Anzitutto perché l’unità fra i cristiani, una volta raggiunta, sarà sinonimo di pace per più di un miliardo di persone, quanti sono i cristiani nel mondo. E in più, poiché l’unità fra i cristiani è il tipico distintivo dei seguaci di Gesù, testimoniando essa Cristo, Signore della pace, il suo Vangelo d’amore e di pace potrà avere nel mondo una grande influenza. Ed anche al presente lo sforzo ecumenico di molti cristiani e delle loro chiese dà già sicuramente un certo contributo di pace nel mondo».
D. – Anche tu hai parlato nel tuo intervento della “regola d’oro”, come hanno fatto il Papa, il patriarca Bartolomeo e il card. Kasper. Quali prospettive concrete può aprire?
«E’ la norma base per poter instaurare il dialogo interreligioso fra le religioni. Poiché i vari libri sacri affermano che tutto ciò che si desidera fatto a sé stessi, occorre farlo agli altri (“Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi anche voi fatelo a loro”, Mt 7,12), domanda a tutti, in pratica, di amare. Lo domanda con la voce stessa della propria religione attraverso la presenza di questa frase che non è altro che uno dei “semi del Verbo”, princìpi di verità diffusi nelle varie fedi».
D. – È inutile negare come esistano tra i cristiani delle resistenze contro il dialogo interreligioso. Si teme una perdita di identità, e si paventa il rischio del sincretismo. Qual è il tuo pensiero al riguardo? Cosa diresti a un cristiano “tiepido” nei confronti di questo dialogo?
«Non è per nulla sbagliato temere una perdita di identità e il sincretismo nell’approccio con fedeli di altre religioni. E’ un vero pericolo se si pensa che qualunque cristiano può essere in grado di dialogare. Lo possono fare solamente persone preparate e che ne abbiano la vocazione.
«D’altra parte nel tempo presente ormai, in molti paesi, fedeli di religioni diverse vivono quotidianamente gomito a gomito fra loro. Dovrà pur esserci quindi un modo di rapportarsi.
«Secondo il mio parere esso può consistere, da parte dei cristiani, nel mettere in pratica quell’amore che Gesù ha portato sulla terra e che ha precise esigenze: va rivolto a tutti, e non solo ai parenti e agli amici, sull’esempio dell’amore del Padre celeste che manda pioggia e sole su buoni e cattivi, quindi pure sui nemici.
È un amore che spinge ad amare per primo, senza attendere d’essere amato, come ha fatto Gesù il quale, quando eravamo ancora peccatori e quindi non amanti, ha dato la vita per noi.
È un amore che considera l’altro come sé stesso, che ama l’altro come sé.
Quest’amore non è fatto solo di parole o di sentimento, è concreto: esige cioè che ci si faccia uno con gli altri, che “si viva” in certo modo “l’altro” nelle sue sofferenze, nelle sue gioie, per capirlo, per poterlo aiutare efficacemente.
Infine quest’amore vuole che si veda Cristo nella persona amata. Anche se diretto all’uomo, alla donna, Egli, infatti, ritiene fatto a sé quanto di bene e di male si fa loro.
«Ad un cristiano tiepido spiegherei quanto ho detto fin qui, cercando di tranquillizzarlo e spronando pure lui ad amare».
D. – A rappresentare la Chiesa cattolica, il Papa ha chiamato due laici, una donna e un uomo, espressioni dei nuovi carismi… Cosa pensi stia a significare questa scelta inedita?
«A quanto so, questa è stata proprio una scelta del Santo Padre. Forse ha pensato che, come si conosce un mandorlo dai suoi fiori, così si può meglio capire la Chiesa dalle sue più piccole creature, ultime nate, ma vive: due membri dei nuovi movimenti o comunità carismatiche. Ultimi e piccoli figli della Chiesa, ma nei quali la Madre vede, come in altre realtà ecclesiali, i fautori, per grazia di Dio, d’una sua nuova giovinezza, anzi di una nuova primavera da tempo attesa e preannunciata».
D. – Giovanni Paolo II è stato a più riprese indicato dai rappresentanti delle grandi religioni come “l’unica persona” che avrebbe potuto organizzare una manifestazione come quella di Assisi. Come hai visto il Papa nella città di Francesco, e quale ti sembra debba essere il suo ruolo nel dialogo interreligioso?
«Nella città di Assisi ho visto nel Santo Padre soprattutto quella benedetta “debolezza” di cui parla san Paolo, che è garanzia di “forza”. L’ho visto nella sua veste di “servo dei servi di Dio” che detiene, fra gli altri, anche il primato dell’amore.
«Nel dialogo religioso il suo ruolo mi sembra quello che si è già affermato per la terza volta quest’anno ad Assisi: punto di incontro fra tutti, perno d’amore fra le varie confessioni cristiane e religioni. Dimostrazione vivente che il suo è un amore più grande: “Mi ami più di costoro?” (cf Gv 21,15), garanzia di fraternità sotto lo sguardo di un Padre comune».
D. – Come diffondere lo “spirito di Assisi” e tener fede ai solenni impegni presi dai leader religiosi? E quale può essere il contributo concreto del Movimento dei Focolari?
«Col considerare intanto questo convegno un fatto storico, perché lo è stato, ma pensandolo come un momento non isolato. Già questa volta ha avuto, in molte parti del mondo e non solo cristiano, dei significativi riflessi con incontri di preghiera locali ed altre manifestazioni per la pace. Non isolato anche perché in qualche modo dovrebbe continuare. E’ ciò che speriamo.
«Oggi infatti, dopo l’11 settembre, si è aggiunto un nuovo motivo per incontrarsi e per pregare Dio per la pace. In effetti certe guerre, presenti in più luoghi nel mondo, non sono più soltanto effetto dell’odio, di risentimenti per ingiustizie perpetrate, di rancori a lungo sopportati ed ira esplosi: tutti fattori negativi, ma forse semplicemente umani.
Con l’affacciarsi del terrorismo diffuso, siamo di fronte anche a “forze del male” – come le ha definite il Santo Padre –, per vincere le quali non bastano più sforzi unicamente umani, non è più sufficiente che si mobiliti, ad esempio, il mondo politico…
«Occorre che il mondo religioso avverta la necessità di far prevalere il Bene sul male, il bene con la B maiuscola, in uno sforzo comune per creare su tutto il pianeta quella fraternità universale in Dio alla cui realizzazione è chiamato. Fraternità che sola può essere l’anima di quella comunità mondiale a cui più d’uno degli ultimi papi ha fatto cenno e che è nell’aspirazione di molti cristiani.
«È nel nostro cuore quindi il desiderio che Assisi 2002 sia l’inizio di una serie di varie iniziative vagliate e pensate da chi ne ha la responsabilità, perché il grido: ’Mai più la guerra’ diventi realtà.
«Il Movimento dei Focolari? Poiché è frutto d’un carisma per questi tempi, avverte d’essere già, con i suoi vari dialoghi, le sue attività ed il suo spirito, in sintonia con quanto le presenti esigenze oggi domandano. La giornata di Assisi è servita però a dare al Movimento un’accelerazione in più, che faremo del nostro meglio per mantenere ed aumentare. Sempre, il tutto, a totale servizio di quant’altro lo Spirito e la Chiesa vorranno chiederci».
a cura di Michele Zanzucchi
Gen 31, 2002 | Parola di Vita
E’ la risposta di Gesù alla prima delle tentazioni nel deserto, avendo digiunato “quaranta giorni e quaranta notti”. Ed è la più elementare, la fame.
Da qui la proposta del tentatore di utilizzare i suoi poteri per trasformare le pietre in pane. Che male ci sarebbe a soddisfare un bisogno che è proprio della condizione umana?
Gesù però avverte l’insidia che si cela dietro la proposta: è il suggerimento di strumentalizzare Dio, pretendendo che egli si metta solo al servizio delle nostre necessità materiali. A Gesù viene chiesto, in fondo, di assumere un atteggiamento di autonomia invece dell’abbandono filiale nel Padre.
Ecco dunque la risposta di Gesù, che è anche una risposta a tutti i nostri perché di fronte alla fame del mondo, e alla sempre più drammatica richiesta di cibo, di casa, di vesti di milioni di essere umani. Lui che sfamerà le folle con il miracolo della moltiplicazione dei pani, e che baserà il giudizio finale anche sul dar da mangiare agli affamati, ci dice che Dio è più grande della nostra fame e che la sua Parola è il primo ed essenziale nostro nutrimento.
«Sta scritto: non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio»
Gesù presenta la Parola di Dio come pane, come nutrimento. Questo pensiero, questa similitudine di Gesù ci illumina sul nostro rapporto con la Parola.
Ma come si fa a nutrirsi della Parola?
Se il grano prima è seme, poi è spiga e infine pane, così la Parola è come un seme deposto in noi che deve germogliare, è come un frammento di pane che va mangiato, assimilato, trasformato in vita della nostra vita.
La Parola di Dio, il Verbo pronunciato dal Padre e incarnatosi in Gesù, è una sua presenza fra noi. Ogni volta che l’accogliamo e cerchiamo di metterla in pratica è come nutrirsi di Gesù.
Se il pane nutre e fa crescere, la Parola nutre e fa crescere Cristo in noi, la nostra vera personalità.
Venuto Gesù in terra e fattosi nostro cibo, non può più bastarci un alimento naturale come il pane. Abbiamo bisogno di quello soprannaturale che è la Parola per crescere come figli di Dio.
«Sta scritto: non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio»
La natura di questo cibo è tale che di esso si può dire, come di Gesù nell’Eucaristia, che, quando ne mangiamo, non si trasforma in noi, ma siamo noi che ci trasformiamo in lui, perché veniamo, in certo modo, assimilati da lui.
Così il Vangelo non è un libro di consolazione ove ci si rifugia unicamente nei momenti dolorosi, ma il codice che contiene le leggi della vita, leggi che non vanno solo lette, ma assimilate, mangiate, con l’anima, e con ciò ci fanno simili a Cristo in ogni istante.
Si può essere dunque altri lui attuando in pieno e alla lettera la sua dottrina. Sono Parole d’un Dio le sue, cariche d’una forza rivoluzionaria, insospettata.
Questo dobbiamo fare: nutrirci della Parola di Dio. E, come oggi l’alimento necessario al corpo può essere concentrato in una pillola, così noi possiamo nutrirci di Cristo vivendo volta per volta anche una sola delle sue Parole, perché in ognuna di esse egli è presente.
C’è una Parola per ogni momento, per ogni situazione della nostra vita. La lettura del Vangelo ce le potrà rivelare.
Viviamo ora l’amore al prossimo per amor di Dio, che è come un concentrato di tutte le Parole.
Chiara Lubich
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Gen 23, 2002 | Dialogo Interreligioso
"La Giornata di Assisi è molto molto importante, molto molto urgente. Se prima il dialogo interreligioso si poteva fare, era segno dei tempi, adesso è un’esigenza improrogabile, proprio per le circostanze. Perché c’ è la minaccia anche di uno scontro di culture, di religioni. Non solo. Come ha detto il Papa ed ho pensato anch’io quando sono cadute le torri, qui non si tratta soltanto di un fattore umano come l’ odio, ma qui c’ è di mezzo „la forza delle tenebre“, ci sono forze del male, per cui non basta l’elemento politico, civile, umano, per contrapporsi. Anche quello sarà stato necessario, ma è necessario che si arruolino anche le religioni, che le religioni si mobilitino, perché contro il Male – con la M grande – ci vuole Dio, ci vuole l’aiuto di Dio, l’aiuto soprannaturale. E’ essenzialissimo l’aspetto religioso oggi nel mondo".
Gen 23, 2002 | Dialogo Interreligioso
Quando Giovanni Paolo II visitò l’India nel 1986, incontrò a Madras i rappresentanti delle varie religioni e disse loro queste parole:
“Il frutto del dialogo è l’unione fra gli uomini e l’unione degli uomini con Dio. Attraverso il dialogo facciamo in modo che Dio sia presente in mezzo a noi, perché mentre ci apriamo l’un l’altro nel dialogo, ci apriamo anche a Dio”.
Sono parole che esprimono esattamente ciò che Chiara sentì fin dal primo incontro con fratelli e sorelle di altre fedi religiose.
La prima forte esperienza fu quella vissuta da lei nel 1966 in una sperduta valle dell’Africa camerunense, a Fontem, a contatto con la tribù dei Bangwa fortemente radicata nella religione tradizionale. Per farle festa tutti si erano radunati in una grande radura della foresta per i loro canti e le loro danze e lì Chiara ebbe la forte impressione che l’Amore di Dio, come un immenso sole, abbracciasse tutti e ci facesse uno. Per la prima volta nella sua vita Chiara intuì che il carisma datole da Dio poteva essere una forza soprannaturale di coesione fra cristiani e fedeli di altre religioni.
Ma l’evento in qualche modo "fondante" del nostro dialogo interreligioso fu il Premio Templeton per il Progresso della Religione, che venne assegnato a Chiara nel 1977. A Londra, dopo il suo discorso alla cerimonia nella Guildhall davanti a rappresentanti qualificati delle grandi religioni mondiali, ebbe la profonda sensazione che tutti i presenti fossero una cosa sola, anche se di fedi diverse. Cercando una spiegazione a tutto questo, Chiara pensò che forse dipendeva dal fatto che la maggior parte dei presenti avesse una viva fede in Dio e che Egli, anche qui, ci avvolgesse col suo amore.
Quando uscì dalla sala, i primi a salutarla furono proprio gli appartenenti ad altre religioni: buddisti, musulmani, ebrei, sikhs, indù, ecc. Chiara intuì che questa circostanza dava al Movimento una nuova apertura: avremmo dovuto da allora in poi cercare di portare il nostro spirito, il nostro amore, la nostra vita, non solo nelle altre Chiese o comunità ecclesiali cristiane, ma anche a questi nostri fratelli di altre fedi.
Ciò che è accaduto in più di 20 anni di dialogo è difficile da riassumere. Sono stati scritti dei libri sui suoi incontri con i buddisti del Giappone e della Thailandia, con gli ebrei in Sud America, con i musulmani negli U.S.A.
Prima di affrontare il dialogo con l’Islam, nel breve tempo che abbiamo a disposizione, vorremmo chiederci quale sia la chiave del nostro dialogo e come mai abbia avuto una evoluzione così rapida e profonda. La risposta è tutta nella nostra spiritualità che è la spiritualità dell’unità e che ci porta a vivere il nostro dialogo con quell’arte di amare che Chiara ha riassunto in quattro punti e che sono perfettamente condivisibili da tutte le tradizioni religiose.
L’arte di amare di Chiara è attinta direttamente dal Vangelo. Ed è:
Dic 31, 2001 | Parola di Vita
Tutti i cristiani sono invitati in questo mese a pregare per l’unità e si sono dati una Parola di Dio da meditare e da vivere, tratta dal Salmo 36. Questa Parola della Scrittura ci dice qualcosa di così importante e vitale, da essere uno strumento di riconciliazione e di comunione.
Anzitutto ci dice che una sola è la sorgente della vita, Dio. Da lui, dal suo amore creativo, nasce l’universo e ne fa la casa dell’uomo.
E’ lui che ci dà la vita con tutti i suoi doni. Il salmista, che conosce le asprezze e le aridità dei deserti e che sa cosa significa una sorgente d’acqua, con la vita che le fiorisce attorno, non poteva trovare un’immagine più bella per cantare la creazione che nasce, come un fiume dal grembo di Dio.
Ecco, dunque, sgorgare dal cuore un inno di lode e di riconoscenza. Questo è il primo passo da fare, il primo insegnamento da cogliere nelle parole del Salmo: lodare e ringraziare Dio per la sua opera, per le meraviglie del cosmo e per quell’uomo vivente che è la sua gloria e l’unica creatura che sa dirgli:
«E’ in te la sorgente della vita»
Ma non è bastato all’amore del Padre, pronunciare la Parola con cui tutto è stato creato. Ha voluto che la sua stessa Parola prendesse la nostra carne. Dio, l’unico vero Dio, si è fatto uomo in Gesù e ha portato sulla terra la sorgente della vita.
La fonte di ogni bene, di ogni essere e di ogni felicità è venuta a stabilirsi fra di noi, perché l’avessimo, per così dire, a portata di mano. “Io sono venuto – dice Gesù – perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” . Egli ha riempito di sé ogni tempo e spazio della nostra esistenza. E ha voluto rimanere con noi per sempre, in modo da poterlo riconosce ed amare sotto le più varie spoglie.
A volte ci viene da pensare: “Come sarebbe bello vivere ai tempi di Gesù!” Ebbene, il suo amore ha inventato un modo per rimanere non in un piccolo angolo della Palestina, ma su tutti i punti della terra: Egli si fa presente nell’Eucaristia, secondo la sua promessa. E lì noi possiamo abbeverarci per nutrire e rinnovare la nostra vita.
«E’ in te la sorgente della vita»
Un’altra fonte cui attingere l’acqua viva della presenza di Dio è il fratello, la sorella. Ogni prossimo, specie quello bisognoso, che ci passa accanto, se noi lo amiamo, non si può considerare un nostro beneficato ma un nostro benefattore perché ci dona Dio. Infatti, amando Gesù in lui [“Ho avuto fame (…), ho avuto sete (…), ero uno straniero (…), ero in carcere (…)] riceviamo in cambio il suo amore, la sua vita, perché lui stesso, presente nei nostri fratelli e sorelle, ne è la sorgente.
Una fontana ricca di acqua è anche la presenza di Dio dentro di noi. Egli sempre ci parla e sta a noi ascoltare la sua voce, che è quella della coscienza. Quanto più ci sforziamo di amare Dio e il prossimo, tanto più la sua voce si fa forte e sovrasta tutte le altre. Ma c’è un momento privilegiato nel quale come mai possiamo attingere alla sua presenza dentro di noi: è quando preghiamo e cerchiamo di andare in profondità nel rapporto diretto con lui, che abita nel fondo della nostra anima. E’ come una vena d’acqua profonda che non s’asciuga mai, che è sempre a nostra disposizione e che ci può dissetare in ogni momento. Basterà chiudere un attimo le imposte dell’anima e raccoglierci, per trovare questa sorgente, pur nel bel mezzo del più arido deserto. Fino a raggiungere quell’unione con lui nella quale si sente che non siamo più soli, ma siamo in due: egli in me e io in lui. Eppure siamo – per suo dono – uno come l’acqua e la sorgente, il fiore e il suo seme.
In questa Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, la Parola del Salmo ci ricorda, dunque, che è solo Dio la sorgente della vita e quindi della comunione piena, della pace e della gioia. Quanto più ci abbevereremo a questa fonte, quanto più vivremo di quell’acqua viva che è la sua Parola, tanto più ci avvicineremo gli uni gli altri e vivremo come fratelli e sorelle. Allora si avvererà, come continua il Salmo: “Quando ci illumini viviamo nella luce” , quella luce che l’umanità attende.
Chiara Lubich
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Dic 14, 2001 | Dialogo Interreligioso
Una giovanissima donna di 81 anni, i capelli bianchi e gli occhi chiari che guardano lontano.
Chiara Lubich, classe 1920, è la fondatrice e leader di un movimento diffuso su scala planetaria, quello dei Focolari: un popolo di due milioni e duecentomila persone attorno a cui gravitano almeno cinque milioni di simpatizzanti, presenti in 182 paesi.
La Lubich, di casa in Vaticano e nei palazzi del potere civile di tutta Europa, da ieri è a Genova: riceverà oggi un premio in denaro della Regione Liguria, destinato a finalizzare la ricostruzione di un istituto scolastico in Pakistan.
Domani sarà a Palazzo Tursi per ricevere la cittadinanza onoraria della città di Genova.
Chiara Lubich, come comincia l’avventura dei Focolari?
“Era il 1943, iniziava la guerra. Ricordo un grande bombardamento durante il quale mi ritrovai in un bosco di Trento che viene chiamato ’Goccia d’oro’. Sentivo le bombe che cadevano da ogni parte e mi rendevo conto che tutti gli ideali che avevamo io e le mie amiche, lo studio, la famiglia, una bella casa, erano niente. Quella notte piansi e vidi scorrere sopra di me tutte le stelle, senza chiudere occhio. Quando il giorno dopo i miei genitori sfollarono sui monti, io rimasi in città con le mie compagne, con la benedizione di mio padre, un vecchio socialista”.
Da quella esperienza traumatica di guerra è nato un movimento che coinvolge milioni di persone. Parlate di valori difficili da accogliere nella società di oggi: fratellanza, castità, amore …
“Abbiamo fatto nostro il Vangelo preso alla lettera, come è proposto dalla Chiesa: non annacquato”.
Anche il Papa parla di valori che sembrano fuori dal tempo. Però domani, 14 dicembre, ha chiesto un digiuno per la pace.
“E’ una proposta molto bella. Il Papa non ha avuto paura di fare una cosa simile all’Islam, nel giorno della fine del Ramadan. E l’invito al digiuno è rivolto a tutti, anche agli anziani come”.
Perché questo Papa trova tanto seguito tra i giovani con le sue richieste così estreme?
“I giovani non sono come gli adulti, non hanno un passato come i vecchi, delusi e prevenuti per il crollo delle ideologie. Sono fisicamente rivolti verso il futuro e vanno avanti pronti per grandi ideali. Recentemente mi sono trovata a parlare nella cattedrale di Santo Stefano a Vienna. C’erano 6.000 giovani. Ho raccontato qualche fatterello di quando ero bambina, quando le suore mi portavano all’ adorazione del Santissimo Sacramento: ricordo che una volta svenni, tanto ero concentrata. Ebbene, durante quella Messa non c’erano più ostie per la Comunione e alla fine c’era la coda ai confessionali”.
Il Movimento dei Focolari nasce all’interno del cattolicesimo, ma comprende anche fedeli dell’Islam e di altre religioni. Come è possibile?
“E’ un movimento aperto al dialogo con tutti: il primo dialogo è quello tra i cattolici. Poi c’è quello ecumenico: in 58 anni di vita dei Focolari abbiamo raggiunto cristiani di 350 chiede diverse. Nemmeno sapevo che esistessero. E poi c’è il dialogo stupendo con le altre religioni. Perché c’è stato un solo popolo eletto, ma gli altri non sono stati dimenticati. I semi del Verbo sono sparsi in tutte le religioni”.
L’Islam oggi fa paura a molti, nel paesi islamici il proselitismo religioso è punito con la morte. Com’è possibile il dialogo?
“Noi abbiamo contatti con l’Islam in Asia, in Africa, nell’America del Nord; i musulmani possono far parte dei Focolari restando musulmani. Tempo fa un Imam a capo di 2 milioni di Afro-americani mi ha invitato a NewYork nel quartiere di Harlem, dove aveva vissuto Malcolm X. Ho parlato col chador sul volto, rivolta a La Mecca, davanti a tremila persone, con un altoparlante che amplificava perché potesse sentire chi era rimasto fuori. Ci sono parti del Corano che valgono anche per noi. Nel libro sacro dell’Islam compare 42 volte il nome di Maria. E le frasi di Gesù che paragonano i fedeli ai gigli dei campi sono universali”.
L’11 settembre ha cambiato le cose? Cosa può fare una donna di 81 anni?
“Stiamo lavorando in Pakistan per la ricostruzione di una scuola, a Dalwal, vicino a Islamabad. Sarà aperta anche alle donne”.
Dic 12, 2001 | Focolari nel Mondo
Comunicato Stampa
Nel corso di una seduta straordinaria del Consiglio regionale questa mattina, alla presenza di un folto pubblico è stato conferito a Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, il Premio per la pace, la solidarietà e lo sviluppo dei popoli. In base alla Legge regionale 28 del 1998 sulla cooperazione allo sviluppo, alla solidarietà internazionale e alla pace, le sono stati donati una medaglia e un assegno di 20 milioni per finanziare le numerose opere benefiche del movimento.
Il premio venne istituito sulla base di una mozione proposta fra gli altri da Massimiliano Costa (capogruppo Ppi-Udeur Insieme) e Nicola Abbundo (Forza Italia) e approvata all’unanimità dal Consiglio regionale. Chiara Lubich nel suo intervento, ha annunciato che il contributo finanziario ricevuto verrà destinato a un complesso scolastico in Pakistan frequentato da 118 allievi e all’annesso Centro per il dialogo cristiano-musulmano: “Sarà un ulteriore segno – ha detto – che la convivenza fra religioni diverse è possibile e rappresenterà una testimonianza di pace”.
“Vogliamo consegnarglieli – ha detto il Presidente del Consiglio Vincenzo Gianni Plinio aprendo la seduta – in segno di riconoscenza per la sua incessante e meritoria opera per la pace ed al servizio dell’umanità”. Plinio ha ricordato i 12 dottorati honoris causa e le altrettante cittadinanze onorarie, i sei premi internazionali che la Lubich ha ricevuto e in particolare quello prestigioso dell’Unesco del 1996.
“A parlare della Lubich – ha aggiunto Plinio – sono i fatti: in poco più di 50 anni ha dato vita ad un ampio movimento impegnato nel rinnovamento spirituale e sociale della comunità e nella diffusione del Vangelo come fonte di valori capaci di ricostruire l’uomo e ricomporre la famiglia umana. In 182 paesi la Lubich è riuscita a coinvolgere non solo cattolici ma persone di oltre 350 diverse Chiese e fedi religiose insieme a moltissime persone animate da diverse convinzioni. Con la forza dell’amore verso gli altri è riuscita a sanare violenze, odi e pregiudizi ridando a tanti disperati un po’ di fiducia e dignità”.
Ma Plinio ha voluto ringraziare la Lubich anche per quanto lei e i suoi collaboratori hanno fatto e continuano a fare per i più deboli e i più poveri fra i liguri ed i genovesi: “E’ infatti degno di massimo rispetto anche e soprattutto da parte della pubblica amministrazione chi, superando le logiche del profitto, ha saputo, come il consorzio Tassano, creare cooperative sociali in grado di condividere parte dei loro utili con i poveri e attente all’inserimento lavorativo di soggetti in fascia debole che oggi risultano fuori dal processo produttivo”.
Dopo il presidente Plinio ha preso la parola il Presidente della Giunta Sandro Biasotti che nel rivolgersi a Chiara Lubich si è detto emozionato come quando ha incontrato il Papa”. Biasotti si è poi detto onorato di poter incontrare una persona del suo valore morale: “Lei – ha aggiunto – è riuscita ad adattare il suo ruolo all’evoluzione dei tempi ed è riuscita ad essere attuale per ben 50 anni”.
Chiara Lubich, dopo aver ringraziato il Consiglio regionale per l’ambito riconoscimento, ha ripercorso a grandi linee le tappe del suo movimento nato nel 1943 a Trento in piena guerra. Ed è proprio in quel momento terribile che si sviluppò la volontà di far crescere la fratellanza e l’amore fra i popoli. Chiara Lubich ha ricordato i primi contatti, nel 1969, con il capoluogo ligure, i suoi imprenditori e i suoi lavoratori. Grazie anche al contributo di questi ultimi, l’azione incessante dei focolarini si sviluppò fra i Bangwa, un popolo che abitava un posto sperduto nella foresta del Camerun ed era in via di estinzione, decimato da una mortalità infantile che raggiungeva il 90 per cento. Vennero inviati medici, creato un piccolo dispensario, diffusa una cultura igienico sanitaria di base. “I risultati – ha ricordato la Lubich – non si fecero attendere: la mortalità infantile diminuì rapidamente.
Ma quello è stato solo il primo passo: oggi il villaggio un tempo sperduto nella foresta è diventato sede di sotto-prefettura”.
Altra operazione che ha visto l’intervento dei genovesi è il progetto “Genova per il Nord Est del Brasile”: grazie a 150 opere donate da pittori e scultori e al patrocinio della Regione Liguria, è stata creata a Recife una moderna falegnameria che dà lavoro in una zona poverissima. Negli anni ‘80 inoltre è nata un’azienda dedicata alla cooperazione allo sviluppo grazie alla quale sono stati dotati di acqua potabile 25 villaggi del Benin.
Domani Chiara Lubich riceverà la cittadinanza onoraria della città di Genova.
Dic 11, 2001 | Dialogo Interreligioso
Venerdì 14 dicembre alle ore 18, nella Sala del Maggior Consiglio al Palazzo Ducale, il Sindaco ha conferito a Chiara Lubich la cittadinanza onoraria.
Anche l’Università di Genova le ha assegnato un riconoscimento per l’apporto dato alla cultura.
Particolare significato assume questo avvenimento in coincidenza con la giornata di digiuno e di preghiera promossa dal Papa per “accrescere la comprensione reciproca tra cristiani e musulmani, chiamati più che mai, nell’epoca attuale, ad essere insieme costruttori di giustizia e di pace”.
Ed è proprio sullo sfondo dell’attuale contesto internazionale che al Palazzo Ducale Chiara Lubich ha parlato della spiritualità dell’unità e dell’impegno nel dialogo ecumenico, interreligioso e con persone di buona volontà, mentre Shahrzad Hushmand, teologa islamica iraniana, ha dato testimonianza del dialogo tra cristiani e musulmani promosso dal Movimento dei Focolari in varie parti del mondo.
Tra le personalità, è intervenuto anche l’arcivescovo di Genova, card. Dionigi Tettamanzi.
Il Consiglio regionale della Liguria, considerata “l’importanza di questo momento per tutta la comunità cittadina e regionale”, ha istituito un premio che è stato assegnato a Chiara Lubich quale riconoscimento del suo apporto nel campo dello sviluppo, della solidarietà internazionale e della pace. Le è stato consegnato dal Presidente della Regione, Sandro Biasotti, giovedì 13 dicembre, alle ore 10,30, durante la seduta straordinaria del Consiglio stesso.
Sabato 15 dicembre, al Palasport di Genova, alle ore 15, c'è stato un grande incontro di associazioni, movimenti e nuove comunità. Anche questo appuntamento è stato nel segno del dialogo e dell’unità. E' stata presentata l’esperienza di dialogo tra cristiani e musulmani promosso dai Focolari e il cammino di comunione tra associazioni, movimenti e nuove comunità incoraggiato dal Papa alla vigilia di Pentecoste ’98. E' seguita la presentazione del contributo dei vari carismi al momento storico attuale. Hanno preso la parola rappresentanti dell’Azione Cattolica, Comunità di Sant’Egidio, Rinnovamento carismatico, Comunione e Liberazione. Ha concluso Chiara Lubich. L’incontro è culminato con la celebrazione eucaristica presieduta dal card. Tettamanzi, alle ore 17,30.
Sabato, al Palasport, alle 21, appuntamento aperto alla cittadinanza: il complesso internazionale Gen Rosso ha presentato il musical “Streetlight” che porta in scena la storia vera di un giovane afroamericano ucciso per il suo impegno non violento.
Dic 7, 2001 | Ecumenismo
Incontro di movimenti cattolici e evangelici nel duomo di Monaco di Baviera
Monaco – Chiara Lubich, presidente e fondatrice del Movimento internazionale dei Focolari, ha invitato i 5000 partecipanti all’incontro – primo nella storia – nel duomo di Monaco, ad una nuova passione per portare il messaggio cristiano.
Questa nuova passione può crescere solo da un nuovo amore a Dio e agli uomini. L’amore cristiano è molto esigente e va oltre i confini di un amore puramente naturale che si ferma alla cerchia dei propri amici. L’amore cristiano deve rivolgersi a tutti, ai simpatici e agli antipatici, ai belli e a brutti, a quelli della mia patria e agli stranieri, a quelli che appartengono alla mia religione e a quelli di altre religioni – diceva la Lubich. E proprio per questo è importante per i cristiani il dialogo interreligioso, senza tacere il messaggio dell’amore cristiano dell’amore di Dio in Gesù Cristo.
A diffondere il Vangelo, non sono chiamati solo i ministri nelle Chiese. E’ compito di tutto il popolo di Dio – diceva Chiara Lubich. Qui c’entra la grande forza dei Movimenti che si sono formati nelle varie Chiese.
L’arcivescovo di Monaco, card. Friedrich Wetter, e il vescovo evangelico-luterano della Baviera, Johannes Friedrich sottolineavano il legame dei Movimenti con le Chiese. “La Chiesa e i Movimenti non sono alternative – diceva Friedrich – Le Chiese hanno bisogno di voi e voi avete bisogno della Chiesa per non chiudervi in voi stessi”.
Il card. Wetter diceva che solo insieme possiamo costruire la civiltà dell’amore.
Il vescovo Friedrich ricordava anche la firma sulla Dichiarazione congiunta sulla Giustificazione tra le Chiese evangelico-luterana e cattolica; l’incontro dei Movimenti in duomo è un segno visibile che la Dichiarazione comune non è rimasta senza seguito.
La pluralità e la vivacità dei nuovi movimenti spirituali sono inoltre una dimostrazione che lo spirito di pentecoste è ancora molto forte.
Il pastore Friedrich Aschoff, presidente del Rinnovamento nello Spirito della Chiesa evangelica in Germania diceva: “Già il fatto che sono nati questi movimenti è un segno dell’agire dello Spirito Santo. Il secolo passato non è stato solo un secolo di guerre mondiali terribili e di crolli diversi, ma anche un secolo di risveglio spirituale.
In questo contesto, Aschoff nominava anche la nascita del movimento pentecostale, la fondazione di nuove comunità, come Taizè e anche il Concilio Vaticano II, a cui erano invitati anche osservatori evangelici. Adesso si tratta di cercare di più l’unità tra queste nuove forme associative, e diceva: “Il nostro mondo così frammentato, così in ricerca, ha bisogno di una Chiesa che diventi unita e che comprenda la molteplicità. Una tale Chiesa è il segno più certo in cui il mondo secolarizzato può riconoscere Gesù quale salvatore mandato da Dio”.
Per questo incontro dei Movimenti nel duomo di Monaco erano stati invitati circa 50 gruppi del mondo evangelico, di quello cattolico e delle chiese libere. Alcuni movimenti presentavano anche alcune loro realizzazioni, come la comunità di Sant’Egidio che si impegna nella lotta contro la povertà e l’Aids, il CVJM (= YMCA), che si impegna per il rinnovamento spirituale nelle capitali, il movimento Cursillos che offre corsi di approfondimento della fede e la Équipe Nôtre Dame che si impegna per il sostegno delle famiglie. E’ stato il primo incontro a livello tedesco di questo tipo, che è stato organizzato in modo ecumenico. Il titolo era: “Come, se non insieme?”.
Nov 30, 2001 | Parola di Vita
Ecco una Parola decisiva per la nostra vita e la nostra testimonianza nel mondo. Per spiegare la condotta del cristiano, Paolo ama spesso far l’esempio delle vesti che il seguace di Cristo deve indossare. E anche qui, nella lettera ai Colossesi, parla delle virtù, che devono prendere posto nel nostro cuore, come di tanti capi di vestiario. Esse sono: la misericordia, la bontà, l’umiltà, la mansuetudine, la pazienza, la sopportazione, il perdono.
Ma “al di sopra di tutto – dice, quasi pensando ad una cintura che lega tutto insieme e dà perfezione all’abbigliamento – vi sia la carità”. Sì, la carità; perché non basta per un cristiano esser buono, misericordioso, umile, mansueto, paziente… Egli deve avere per i fratelli e le sorelle la carità. Ma la carità – può obiettare qualcuno – non è forse esser buoni, misericordiosi, pazienti, saper perdonare? Sì, ma non solo. La carità ce l’ha insegnata Gesù. Essa consiste nel dare la vita per gli altri. L’odio toglie la vita agli altri (“chi odia è omicida” ), l’amore dà loro la vita. Ogni cristiano, solo se muore a se stesso per gli altri ha la carità. Ma se ha la carità – dice Paolo – sarà perfetto e ogni altra sua virtù acquisterà la perfezione.
«Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione»
Certamente alcuni di noi possono avere una buona disposizione verso i fratelli e le sorelle, perdonando e sopportando. Ma, se ben osserviamo, quello che spesso ci manca può essere proprio la carità. Pur con le più sante intenzioni, la natura ci porta a ripiegarci su noi stessi e, di conseguenza, nell'amare gli altri usiamo le mezze misure. Ma non si è cristiani se si è solamente così. Occorre mettere il nostro cuore nella massima tensione. Di fronte ad ogni prossimo che incontriamo nella nostra giornata (in famiglia, al lavoro, dappertutto) dobbiamo dire a noi stessi: “Su, coraggio, rispondi a Dio, è il momento di amare, con un amore così grande da mettere in gioco anche la vita”.
«Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione»
Questa Parola dell'Apostolo ci invita, dunque, ad esaminarci fino a che punto la nostra vita cristiana è animata dalla carità, la quale, come vincolo della perfezione, è quel legame che ci porta alla più alta unità con Dio e fra noi. Ringraziamo, dunque, il Signore per averci riversato nei cuori il suo amore che ci rende sempre più capaci di ascoltare, di immedesimarci con i problemi e le preoccupazioni dei nostri prossimi; di condividerne il pane, le gioie e i dolori; di far cadere certe barriere, che ancora ci dividono; di mettere da parte certi atteggiamenti di orgoglio, di rivalità, di invidia, di risentimento per eventuali torti ricevuti; di superare quella terribile tendenza alla critica negativa; di uscire dal nostro egoistico isolamento per metterci a disposizione di chi è nella necessità o nella solitudine; di costruire dappertutto l'unità, voluta da Gesù. E' questo il contributo che noi cristiani possiamo dare alla pace mondiale e alla fraternità fra i popoli, specie nei momenti più tragici della storia.
Chiara Lubich
Nov 29, 2001 | Spiritualità
La dottrina spirituale di Chiara Lubich viene presentata secondo tre grandi momenti:
il primo concentrato sul cuore del carisma;
il secondo sull’originale modalità di vivere e pensare la fede; il terzo sulla visione del mondo nei suoi aspetti più diversi, dalla politica all’economia, dalla filosofia alle scienze della comunicazione.
Come dimostrano i saggi teologici introduttivi, la figura di Chiara Lubich può essere collocata, senza timore di eccedere nella valutazione, accanto alle più grandi personalità della spiritualità cattolica di tutti i tempi.
Il suo insegnamento ha già mostrato lungo gli anni tutta la propria ricchezza, generando libri, discorsi, lettere, interventi. Di tale variegato e ricco messaggio però mancava un’organica articolazione che ne abbracciasse sia l’estensione cronologica di oltre mezzo secolo, sia l’ampiezza degli argomenti trattati.
Il presente volume, che della figura di Chiara Lubich offre la dottrina spirituale, intende colmare tale vuoto.
Gli scritti che lo compongono vanno dal 1943 (anno di fondazione del Movimento dei Focolari) ai nostri giorni, e racchiudono l’intera varietà dei generi letterari nei quali ha preso vita la spiritualità di Chiara Lubich: lettere personali e manifesti programmatici, pagine a stampa e parole sussurrate all’orecchio, magistrali lezioni accademiche e frasi stringate come aforismi, discorsi pubblici e colloqui intimi e personali. In queste pagine non manca nessuno dei numerosi registri utilizzati da Chiara Lubich per esprimere la sua originale interpretazione del cristianesimo.
Curato da un esperto studioso di Chiara Lubich, questo libro è stato rivisto dall’Autrice parola per parola, non senza nuove integrazioni e una significativa presenza di inediti. Al testo si affiancano due saggi sul valore teologico e spirituale, la bibliografia completa delle opere e una rassegna dei principali scritti sulla sua figura, due dettagliate schede sulla biografia e sul Movimento dei Focolari, un indice dei temi spirituali.
Frutto di una competenza e di un amore rari, questo libro è una vera piccola “summa” che consente di conoscere in profondità una delle più suggestive spiritualità del nostro tempo.
Nov 29, 2001 | Spiritualità
Qual è il destino del cristianesimo nel terzo millennio? Quale ascolto riesce a ottenere il suo messaggio – cruciale – di amore, in un’epoca continuamente minata e smembrata dall’odio e dalla violenza? Quali vie deve percorrere la fede, e quale spazio può avere la provocazione evangelica o il modello ecclesiale mariano nel mondo globalizzato, dove vecchi e nuovi fanatismi si intrecciano a facili sincretismi acquisiti a basso costo nel supermarket del sacro? Il teologo Karl Rahner non aveva dubbi: per lui, il cristiano del futuro o sarà un mistico (vale a dire, uno che vive l’esperienza di Dio nel mondo) o, semplicemente, non sarà.
Chiara Lubich è la testimonianza vivente di questa convinzione. Sin da quando, ventenne, scriveva in una lettera degli anni ’40 dalle macerie della sua Trento bombardata: “Vedi, io sono un’anima che passa per questo mondo. Ho visto tante cose belle e buone e sono sempre stata attratta solo da quelle. Un giorno (indefinito giorno) ho visto una luce. Mi parve più bella delle altre cose belle e la seguii. Mi accorsi che era la Verità”. In queste poche, semplici parole è racchiuso il nocciolo di un carisma, di un’utopia incarnata nel movimento cattolico del Focolare, fondato il 7 dicembre del 1943 da Lubich: classe 1920, maestra elementare appassionata di filosofia che proprio dal crollo di ogni progetto e valore provocato dalla seconda guerra mondiale ha scoperto il Dio-amore, il suo ideale di unità e santità comunitaria.
A 81 anni, dopo 12 dottorati honoris causa, altrettante cittadinanze onorarie, ruoli di spicco che l’hanno resa familiare e amata in ogni angolo del pianeta e un mare di premi nazionali e internazionali, Chiara conserva lo stesso sorriso fresco e contagioso di allora, la stessa schiva ma autorevole mitezza e l’infaticabile operosità che ha fatto crescere il movimento da lei fondato e presieduto. Radicato, oggi, in 182 Paesi del mondo, con due milioni di aderenti e un’irradiazione di più di cinque milioni di persone.
Per approfondire la peculiare spiritualità contemplattiva di questa figura – non a torto considerata una delle più profetiche personalità cattoliche di tutti i tempi, maestra di dialogo, economia di comunione, ecumenismo interreligioso – giunge quanto mai opportuna la pubblicazione della sua dottrina spirituale. Si tratta di un florilegio di scritti dalle origini del percorso di Chiara Lubich ai giorni nostri, raccolto per la cura dello studioso Michel Vandeleene per Mondadori in un corposo volume (pagg. 446, lire 36mila) che si avvale, tra l’altro, di due saggi teologici di Piero Coda e Jesus Castellano.
Il volume (Chiara Lubich, la dottrina spirituale) verrà presentato oggi alle 18 a Roma, nel Teatro Quirino, in un incontro durante il quale il giornalista Sergio Zavoli (ammiratore della religiosità laica di Chiara, alla quale ha non a caso dedicato dei versi nella raccolta poetica In parole strette) dialogherà con l’autrice.
(da Il Mattino On Line – di Donatella Trotta)
Nov 29, 2001 | Spiritualità
Chissà. Se nel ’43 a Trento non fosse dovuta scappare nei rifugi antiaerei col Vangelo stretto sotto il cappotto, forse oggi il movimento dei Focolari non sarebbe una realtà in 182 Paesi. Sarà per questo che Chiara Lubich oggi invita a non disperare. Anche nella tragedia indicibile dell’11 settembre.
Anche con una guerra che atterrisce chi credeva e crede nel dialogo. «Ci sono due modi di vederla – dice Chiara Lubich con la disarmante semplicità delle grandi anime – uno umano: migliaia di morti, una giustizia che occorre fare ma stando attenti a che non provochi altra violenza… Poi c’è l’altro modo. Un ragazzo di New York mi ha scritto: da quel giorno qui i muri di indifferenza stanno crollando, in questa città è rinata la solidarietà. Ecco – spiega – san Paolo ci dice che tutto coopera al bene per chi ama Dio. Tutto, proprio tutto. Capi di Stato, che prima non si guardavano nemmeno, ora collaborano. Chissà che domani non guardino al mondo come a una fraternità, che domani non succeda qualcosa di bello. Se non ci fosse stata la Guerra mondiale, quando tutto crollava, forse non avremmo capito che tutto è vanità. Ed è nata questa rivoluzione cristiana. La guerra è stata un segno della Provvidenza».
Chiara Lubich spazia a 360 gradi dai ricordi dei suoi primi passi alla crisi internazionale, della fede al dialogo ecumenico e interreligioso. L’occasione è speciale. Al Teatro Quirino si presenta Chiara Lubich – La dottrina spirituale, appena edito da Mondadori. È la “summa teologica” della donna che ha fondato un movimento di 2 milioni e 200 mila persone. Cattolici e non solo. Cristiani e non solo, tenuto conto dei 30 mila ebrei, musulmani, buddisti, induisti, taoisti. E perfino agnostici dichiarati, che lei chiama «persone di buona volontà di convinzioni diverse». Scritti di tutto il suo cammino spirituale in un’organica rappresentazione della sua dottrina spirituale.
A stimolarla al racconto c’è un’intervistatore di professione qual è Sergio Zavoli.
ei fruga nei suoi tanti ricordi di ottantenne lucidissima. E parte dagli inizi: «Il Signore chiama persone deboli perché trionfi la sua potenza. Ma li prepara. Ero piccolina quando le suore mi portavano all’adorazione eucaristica. A quell’ostia chiedevo: dammi la tua luce. A 18 anni avevo una fame tremenda di conoscere Dio. Volevo andare all’Università Cattolica. Non potei. Poi, provvidenzialmente, sentii una voce: sarò io il tuo maestro». «Ha avuto il suo rettore…», chiosa ironico Zavoli. E gli chiede: «Ma perché non s’è fatta suora?». «Non ne avevo la vocazione – risponde disarmante – e perché c’era bisogno di un’altra strada». Una strada che si chiama unità: nella fede, tra gli uomini. Arduo parlarne in tempi di guerra.
«Quello che stiamo patendo è il Signore che ci frusta un pochino – dice la Lubich – noi cristiani siamo oltre un miliardo, ma siamo considerati atei e infedeli. Presentiamo i nostri riti, non il nostro distintivo di cristiano. Da questo riconosceranno che siamo cristiani, dall’amore. Con le nostre chiese dobbiamo darci sotto con l’ecumenismo, tra noi cattolici dobbiamo mettere la fraternità». Non mancano gli aneddoti. «Il patriarca Atenagora mi confidò il suo grande desiderio di celebrare tutti attorno all’unico calice».
Ma le divisioni teologiche? «Mi disse: prendiamo tutti questi teologi, e mettiamoli su un’isoletta. Senza mangiare, finché non avranno risolto tutto». Zavoli la provoca: «Non corre il rischio del sincretismo?». «No mai. Gli altri ci stimano per la fedeltà alla nostra Chiesa». E l’Islam? Con loro non c’è reciprocità: «Non bisogna aspettarla – confida – arriverà spontanea. Noi abbiamo le nostre chiese fatte da persone vive». Tutto così facile? «Sant’Agostino – ricorda Zavoli – diceva di guardarsi dalla disperazione come dalla speranza senza fondamento: «C’è il cristianesimo – chiude Chiara Lubich -. Più fondamento di questo!».
Nov 29, 2001 | Spiritualità
Non è un libro qualsiasi, La dottrina spirituale di Chiara Lubich.
Non appena si comincia a leggerlo, si ha la sensazione di entrare in una dimensione diversa, molto diversa, da quella a cui la realtà di ogni giorno troppo spesso ci abitua. Andando avanti con le pagine, si scende in profondità, ci si trova a fare i conti, inevitabilmente, con il senso più vero di parole e pensieri che lasciano il segno.
E anche con se stessi, e in particolare con il rapporto che ognuno di noi è capace di avere con gli altri: con chi ogni giorno condivide la nostra vita, ma anche con le persone di un’altra condizione sociale, di un’altra cultura, di una diversa etnia o fede religiosa.
C’è una parola, un valore fondamentale, che rappresenta la chiave di volta non solo del libro, ma credo di poter dire anche della vita di Chiara Lubich e del Movimento dei Focolari, da lei fondato – lo scrive – «con gran semplicità», e ormai presente in tutto il mondo. Questa parola è «dialogo».
Dialogo nella Chiesa, tra le Chiese, nei fedeli di altre religioni, tra i laici di «buona volontà»: quattro pilastri che reggono un edificio abitato e animato da più di due milioni di persone, quattro principi che segnano un crocevia per tutti coloro che ritengono valida la frase di Ghandi, citata dalla Lubich: «io e te siamo una cosa sola. Come posso ferirti senza far male a me stesso?».
È difficile non cogliere l’intima verità di questo messaggio. È difficile soprattutto oggi, nel momento in cui avvertiamo tutto il dolore della ferita più profonda che la storia degli ultimi cinquant’anni ci abbia mai inferto. Una ferita figlia di un odio maturato sotto la distorsione in fanatismo di una religione che come tutte le altre predica la pace e, appunto, il dialogo.
Una ferita che ha segnato l’umanità intera, perché la ragione Andrea Riccardi: quelle torri gemelle, ripiegate su stesse l’11 settembre, rappresentano una sorta di contemporanea «arca di Noè», abitate com’erano da donne e da uomini di ogni colore, di ogni credo religioso, di origini diverse, con radici che affondavano in così tanti paesi del mondo eppure con speranze e con sogni che non dovevano poi essere così dissimili tra loro.
Una ferita profonda, una lacerazione intensa e così grande che la politica e la comunità internazionale si sono dovute porre il problema del modo in cui impedire il ripetersi di una simile tragedia. Ma le istituzioni degli uomini devono sapersi porre anche un altro problema: quello del limite connaturato alle proprie azioni, dell’impossibilità di assicurare il futuro delle generazioni che verranno se non si riuscirà a far crescere una profonda cultura del dialogo, della conoscenza e del rispetto di ciò che è altro da sé.
Sono vere e colpiscono, in questo senso, alcune parole della Lubich, in particolare quando si sofferma sulla indispensabile capacità, che ogni individuo e ogni popolo dovrebbero ricercare, di «oltrepassare il proprio confine e guardare al di là», offrendo un contributo a «quanti lavorano in quest’immenso cantiere che è oggi il nostro pianeta».
Oltrepassare i confini del proprio modo di essere e di vedere le cose, creare ponti per costruire un dialogo: è questa la sfida. una sfida difficile, ma è l’unica stretta via per evitare che vinca chi vuole uno scontro di civiltà. Non possiamo permettere che un modo di pensare sia destinato a prevalere sugli altri, che si affermi una civiltà o una religione su un’altra. «Dialogando a 360 gradi», come dice ancora Chiara Lubich, potremo non fermarci di fronte allo «spacco della divisione»,ma potremo «trovarvi rimedio, tutto il rimedio possibile».
Anche perché, come lei stessa insegna, il dialogo e l’amore formano un flusso potente, ricco e a doppio segno: è un dare e ricevere continuo, senza interruzioni. È qualcosa che rafforza, che arricchisce e che costruisce rapporti di solidarietà tra gli uomini.
Quella stessa solidarietà per la quale ero partito per gli Stati Uniti, qualche giorno fa, e che ho portato al Sindaco e al Comandante dei Vigili del Fuoco di New York. Quella stessa, comune, solidarietà che poche ore dopo ho ricevuto da loro quando ad essere bisognoso sono stato io, è stata la città che rappresentavo, Roma, colpita da quella tragedia, da quella esplosione, dalla morte di chi stava facendo il suo dovere e di chi viveva e lavorava lì, a via Ventotene.
Davvero dialogo e solidarietà rappresentano un dare e ricevere, un flusso ininterrotto e biunivoco. E proprio dialogo e solidarietà hanno bisogno di essere costruiti, pazientemente, tenacemente, ogni giorno. Nei rapporti tra i popoli, ma anche nel sistema di relazioni che anima le nostre comunità, le nostre città. È compito di tutti: delle istituzioni, di chi governa e amministra, delle associazioni e dei movimenti che rendono ricco il tessuto di una società, di ogni uomo di buona volontà.
In un discorso riportato nel libro e tenuto a Castel Gandolfo, un anno e mezzo fa circa, Chiara Lubich fa cenno a un certo punto alla «tremenda responsabilità che hanno di fronte a Dio e agli uomini quelli che governano» e che il potere politico deve porsi «al servizio» dei cittadini.
Devo dire che come sindaco di Roma sento tutta la responsabilità di questo, e in particolare della parte che spetta alle istituzioni, del ruolo che il Comune può e deve avere, per contribuire a far funzionare al meglio quella rete di solidarietà cittadina senza la quale non avremmo speranza di «ricucire» una società che sia inclusiva e solidale, di costruire una città più umana, in cui ogni persona abbia garantita una vita degna di essere vissuta, in cui nessuno debba correre più il rischio di restare solo. Ma è proprio questo che conta di più, perché le condizioni di benessere di un città, di una qualsiasi realtà locale, non possono essere valutate e misurate unicamente in base alla generica capacità di produrre ricchezza, ma anche e soprattutto in base al livello di inclusione sociale e all’insieme di opportunità che le istituzioni e la comunità nel suo complesso sono in grado di garantire ai cittadini, a tutti i cittadini.
È vero, allora, che se il dialogo ha sempre più bisogno di «missionari», la solidarietà ha sempre più bisogno di «costruttori», di persone della fede e della profondità interiore di Chiara Lubich e di tutti coloro che, con il loro impegno quotidiano, siano amministratori o giovani che fanno parte di un movimento o di un’associazione di volontariato, spendono una parte di sé per la vita degli altri, per il futuro di tutti noi.
Nov 26, 2001 | Spiritualità
È il 27 novembre, e la comunità universitaria, alla conclusione della mattinata di lezioni, si raduna per aprire l’Avvento con Chiara Lubich, che si rivolge alle autorità accademiche, a professori e studenti, introdotta da una efficace presentazione del rettore, prof. Franco Imoda, che l’aveva invitata.
Partendo da alcuni episodi chiave della propria vita, la fondatrice del Movimento dei Focolari ha messo in luce i due cardini principali della sua spiritualità: l’unità e Gesù abbandonato.
E poi gli esempi: così la spiritualità dell’unità permette di rinnovare la vita quotidiana e di intraprendere e sviluppare i grandi dialoghi ai quali la chiesa è oggi chiamata.
Per ognuno di essi la Lubich ha fornito testimonianze e indicato linee dottrinali, profondamente inserite nella tradizione della Chiesa e, allo stesso tempo, portatrici di nuove e illuminanti prospettive.
Un percorso, quello tratteggiato dalla Lubich, culminante col riconoscimento che la spiritualità di comunione portata dal carisma dell’unità non è più, ormai, soltanto del Movimento dei Focolari, ma, come ha recentemente scritto Giovanni Paolo II, è spiritualità della Chiesa.
L’applauso caloroso e interminabile, lo stringersi dei giovani intorno a Chiara, i capannelli di studenti che si attardavano a commentare vivacemente, sembravano non voler concludere un incontro indimenticabile.
Nov 22, 2001 | Ecumenismo
Sullo sfondo dell’attuale situazione mondiale, un avvenimento ecumenico inedito, attorno al fonte battesimale del Grossmünster, l’antica chiesa nel centro di Zurigo, dove Huldrych Zwingli iniziò la Riforma in Svizzera: il 17 novembre, il pastore Ruedi Reich, presidente del Consiglio della Chiesa evangelico-riformata del cantone di Zurigo, ha accolto Chiara Lubich, invitata a prendere la parola sulla spiritualità dell'unità.
Altri ospiti d'eccezione: 24 vescovi di 9 Chiese, tra cui il vescovo Makarios, delegato del Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, e il card. Miloslav Vlk, arcivescovo di Praga. Nel segno della riconciliazione, hanno pregato per l’unità dei cristiani.
Una celebrazione alla quale sono intervenute oltre 1.300 persone da tutta la Svizzera. Due giorni dopo, nel Centro “Unità” a Baar, l’incontro con altre 32 personalità ecumeniche, provenienti da varie Chiese e Comunità ecclesiali.
Nov 22, 2001 | Ecumenismo
A cinque secoli dalla rottura con la Chiesa di Roma, il Grossmünster, l’antica chiesa che domina la città di Zurigo dove Huldrych Zwingli iniziò la sua Riforma, il 17 novembre scorso ha accolto ospiti d’eccezione.
Assieme al pastore Ruedi Reich ed a Chiara Lubich, vi sono convenuti il cardinale Miloslav Vlk di Praga, il Vescovo ausiliare cattolico per Zurigo Peter Henrici e altri 22 vescovi di 9 Chiese di vari Paesi del mondo: ortodossi, siro-ortodossi, anglicani, evangelico-luterani, cattolico-romani.
Con oltre 1300 persone da tutta la Svizzera, riformati e cattolici, membri di Movimenti di diverse Chiese, religiosi e religiose, ma anche persone distanti dalla vita di fede, nel segno della riconciliazione e della fratellanza, hanno invocato da Dio il dono della piena unità visibile della Chiesa.
“Non immaginavo certo che un avvenimento di questa portata potesse aver luogo qui, al Grossmünster”, ha commentato il vescovo ausiliare per Zurigo Henrici. “Ero scossa e sfiduciata dopo i tragici eventi dei mesi scorsi, – commenta una donna – ma ora ho ritrovato la speranza”. Mentre una ragazza afferma: “Ho difficoltà con tutto ciò che riguarda la Chiesa. Ma qui ho avvertito qualcosa di carismatico che irradiava al di sopra di tutto”. E qualcun altro ancora: “Oggi ho sentito una chiamata speciale a vivere la solidarietà e la fraternità”.
“Da oltre 1000 anni il Grossmünster è un luogo di annuncio del Vangelo”. Con queste parole il pastore Ruedi Reich, presidente del consiglio della Chiesa evangelico-riformata nel cantone di Zurigo, in apertura della grande celebrazione ecumenica aveva sottolineato non la rottura ma ciò che unisce. Ed aveva ricordato l’antica tradizione di questa chiesa edificata da Carlo Magno sulle tombe dei martiri Felix e Regula della Legione tebana. Fu qui e nel vicino Fraumünster che Huldrych Zwingli, assieme ai suoi collaboratori, tradusse la Bibbia in tedesco.
Dopo una preghiera d’apertura formulata dal parroco del posto, Hans Stickelberger, e la lettura della Preghiera di Gesù per l’unità (Gv 17), Chiara Lubich era stata invitata a prendere la parola. In seguito agli eventi dell’11 settembre scorso – afferma – la riconciliazione fra i cristiani non è più soltanto un desiderio ma un’assoluta necessità. E ribadisce: “Non è tutto solo colpa del terrorismo, se stiamo vivendo un momento di tanta emergenza”. E non è neppure da attribuire semplicemente al fatto pur grave “che nazioni più ricche non hanno aiutato altre nazioni in grande ed estrema povertà”. C’è anche, secondo la Fondatrice dei Focolari, una seria responsabilità dei cristiani che spinge ad agire con urgenza: “Se oggi alcuni arrivano, tragicamente, a qualificare noi cristiani addirittura come ‘atei’ e ‘infedeli’, una ragione c’è…”.
Bisogna riconoscere, infatti, che, pur essendo oltre un miliardo nel mondo, siamo ancora divisi. Mentre solo nell’amore reciproco, nell’unità, secondo le parole di Gesù, c’è il distintivo vero dei cristiani. “Lavoriamo. Non diamoci pace”, esorta quindi la Lubich: “Quando ci sarà fra noi la piena comunione visibile, un fremito di nuova vita invaderà la terra per il bene dell’umanità”. Parole che hanno avuto un forte impatto sui presenti e sono state accolte con un lungo applauso.
Mentre la cerimonia prosegue, fra preghiere e canti eseguiti da una nutrita corale giovanile, l’assemblea si fa sempre più compatta. E non manca una certa commozione nel momento in cui cinque vescovi di diverse Chiese e il Pastore Reich formulano davanti a tutti le loro intenzioni di preghiera; quando tutti insieme recitano il Padre nostro; quando i vescovi presenti si dirigono fino ai posti più remoti della chiesa per dare un segno di pace e unità ai fedeli e quando Chiara Lubich con una preghiera appassionata chiede a Dio di suggellare la volontà della ricerca dell’unità dei cristiani “in modo tale, da essere e apparire a tutti una sola comunità cristiana, preludio e testimonianza della piena comunione visibile della Chiesa”.
“Lasciamoci incoraggiare dalla gioia della cerimonia che abbiamo vissuto stasera”. Così il pastore Reich al ricevimento coi vescovi subito dopo la cerimonia, e aggiunge: “L’ecumenismo non deve essere l’eccezione ma la regola, la normalità. È importante che sottolineiamo quello che già ci lega, rispettando ciò che ancora ci distingue”.
Nov 22, 2001 | Ecumenismo
L’avvenimento ecumenico al Grossmünster era stato preparato da una settimana di convivenza fraterna tra i 24 vescovi di varie Chiese e Comunità ecclesiali, esperienza che si ripete da 20 anni. Quest’anno si era svolta al Centro “Unità” dei Focolari, a Baar nel cantone di Zugo in Svizzera, dal 13 al 19 novembre. Provenivano da 12 nazioni, dal Brasile alla Svezia, dall’Inghilterra all’India. Si trattava di “fare un’esperienza di quella spiritualità di comunione che secondo Giovanni Paolo II deve caratterizzare tutto il nostro agire e, a maggior ragione, il nostro agire ecumenico”, spiega il moderatore del Convegno, il Card. Miloslav Vlk, arcivescovo di Praga. E il frutto è stato visibile.
“Nella preghiera in comune e nel dialogo fraterno, durante le meditazioni bibliche e le conversazioni di spiritualità ecumenica, abbiamo potuto sperimentare quasi un presagio della piena comunione visibile fra le Chiese”, affermano i vescovi nei Messaggi che hanno inviato ai Capi delle rispettive Chiese a conclusione della loro riunione. Messaggi nei quali hanno espresso senza mezzi termini la loro risoluzione di testimoniare, in seno alle Chiese e tra i fedeli a loro affidati, “quella fratellanza che ci unisce sin d’ora, e di adoperarci in ogni modo, affinché si affretti il giorno nel quale i cristiani potranno accostarsi insieme alla Mensa del Signore e testimoniare in pienezza Cristo all’umanità, attraverso la nostra visibile unità”.
Mentre nelle edizioni precedenti del Convegno ci si era soffermati di più a sottolineare gli aspetti di convergenza, questa volta si sono toccati anche alcuni punti di divergenza. Continua a spiegare il Card. Miloslav Vlk: “La profonda unità in Cristo che abbiamo cercato di realizzare, permetteva di dialogare su argomenti delicati come l’eucaristia o il ministero petrino in un clima di amicizia e nel vicendevole ascolto”.
Tornando nei loro Paesi, i vescovi vogliono approfondire questi temi e, nel Convegno dell’anno prossimo, si spera di raccogliere le conclusioni. Una prospettiva che ricorda la convinzione, espressa da Giovanni Paolo II nel recente Messaggio alla Plenaria del Pontificio Consiglio per l’unità dei Cristiani, che “nello scambio di doni a cui il movimento ecumenico ci ha abituati, nella ricerca teologica rigorosa e serena, nella costante implorazione della luce dello Spirito, potremo affrontare anche le questioni più difficili ed apparentemente insormontabili nei tanti nostri dialoghi ecumenici come, ad esempio, quella del ministero del vescovo di Roma”.
Nel desiderio di “conoscere di più la tradizione dell’altro per potersi amare di più”, i partecipanti hanno visitato anche diverse comunità cristiane del posto: dall’Abbazia benedettina di Einsiedeln, al Monastero siro-ortodosso di Sant’Augin ad Arth e a Zurigo “sulle orme di Huldrych Zwingli”. Occasioni per dare insieme una testimonianza di quella ritrovata fraternità che è forse il risultato più importante del cammino ecumenico fin qui compiuto. ??
Nov 22, 2001 | Ecumenismo
Il ricco frutto del XX Convegno Ecumenico di Vescovi è confluito nell’ultima giornata, 19 novembre 2001, per la quale altre 32 personalità del mondo ecumenico sono venute a Baar, al Centro “Unità” dei Focolari. Fra queste, rappresentanti delle Chiese riformate svizzere, delle Chiese libere, del Consiglio mondiale delle Chiese a Ginevra, della Federazione luterana mondiale, del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli e di altri Patriarcati ortodossi, della Chiesa Armeno-apostolica in Francia, il Nunzio Apostolico di Berna e vescovi cattolici.
A loro Chiara Lubich, in un efficace intervento, ha fatto dono dell’esperienza e della fecondità che si sprigiona dal mistero di “Gesù crocifisso e abbandonato: luce sul cammino verso la piena comunione fra le Chiese”.
Sono seguite testimonianze di vescovi, sacerdoti, pastori e laici che approfondivano la spiritualità di comunione vissuta nel Movimento dei Focolari nell’ambito della pastorale, della teologia e nell’azione per il rinnovamento della società.
“E’ questa una spiritualità che ci incoraggia, che apre nuove porte, che ci fa vedere nuove strade nel linguaggio della fede”, ha commentato il dott. Martin Robra, rappresentante del Consiglio Ecumenico delle Chiese. E il direttore dell’Istituto ecumenico di Bossey, il sacerdote ortodosso Ioan Sauca: “Se non scopriamo una spiritualità di comunione, l’ecumenismo rischia di fermarsi a dichiarazioni vuote. Chiara Lubich ci indica la via per vivere la nostra identità in un contesto di pluralità”.
Nov 13, 2001 | Non categorizzato
L’unità dell’Europa nella pluralità dei popoli, delle culture e delle religioni è stata al centro del Congresso "1000 Città per l’Europa", che si è tenuto il 9 e 10 novembre ad Innsbruck per iniziativa del sindaco Herwig Van Staa, Presidente della Camera dei Comuni all’Unione europea, e in collaborazione col Movimento dell’Unità, espressione politico-culturale del Movimento dei Focolari.
1200 i partecipanti da tutta Europa, tra cui circa 700 sindaci di varie provenienze geografiche ed appartenenze politiche, rappresentanti della vita pubblica, esponenti di varie religioni, e non per ultimi oltre 300 giovani.
Al termine del congresso è stato lanciato – in forma di Manifesto – un messaggio a tutto il mondo: l’Europa vuole dimostrare la volontà di realizzare la pace, e di assumere la fraternità come categoria politica, poggiata su un vasto consenso e apporto della base; vuole cioè formare una Europa dei cittadini che possa essere di esempio al mondo.
Nel complesso, il Congresso è stato – con discorsi, discussioni, gruppi di lavoro, elaborazione del manifesto, presentazioni culturali ma soprattutto con il dialogo tra i partecipanti – un avvenimento rilevante, che fa germogliare la speranza per una convivenza pacifica in un’Europa unita.
Nov 13, 2001 | Non categorizzato

Signor Sindaco di Innsbruck, dott. van Staa,
Signor Presidente della Commissione europea,
Prof. Romano Prodi,
Signor Presidente della Repubblica, dott. Klestil,
Signori Sindaci e Amministratori,
Signori Parlamentari,
Signore e Signori;
è un grande onore per me rivolgere la parola a una così qualificata assemblea che, attraverso le loro persone, rappresenta, in questa sala, diversi popoli e molte città.
Ringrazio perciò di cuore dell’invito, e cercherò di esserne il meno indegna possibile.
Il titolo della conversazione che devo ora svolgere recita così: "Lo spirito di fratellanza nella politica come chiave dell’unità dell’Europa e del mondo".
Lo spirito di fratellanza!
Quando mi è stato suggerito questo tema, l’estate scorsa, non avrei mai immaginato quali terribili avvenimenti sarebbero successi prima che lo potessi loro proporre.
Soprattutto quale straordinaria conferma essi avrebbero portato, nella loro tragicità, alla necessità nel mondo della fratellanza, e in particolare della fratellanza in politica.
Era l’11 settembre: le torri gemelle di New York crollavano. Veniva distrutto così il simbolo della più potente nazione del mondo, con una grande strage di vite umane.
Sgomento generale, infinito negli USA e non solo.
Ma ecco da quel groviglio di dolore, da quella notte piombata in piena luce, emergere un fenomeno inconsueto: una gara di solidarietà mai vista. New York si trasforma: muri di indifferenza si sciolgono in una valanga di aiuti concreti, di conforto, di prontezza a far qualcosa che allevi i dolori degli altri.
Gli Stati Uniti, Paese multi-religioso, multi-etnico, multi-culturale, sta per presentare al mondo, in una sua città, un modello di solidarietà, di unità.
E’ come se gli occhi di un popolo si spalancassero e vedessero, in pochi momenti, la necessità assoluta che si instauri dovunque la fraternità universale.
La fraternità universale, anche prescindendo dal cristianesimo, non è stata completamente assente dalla mente di qualche raro spirito forte. Il Mahatma Gandhi diceva: "La regola d’oro è di essere amici del mondo e considerare ’una’ tutta la famiglia umana. Chi distingue tra i fedeli della propria religione e quelli di un’altra, diseduca i membri della propria e apre la via al rifiuto e all’irreligione" .
Ed è presente tuttora in qualche grande anima come il Dalai Lama che, a proposito di quanto è successo, scrive ai suoi:
"Per noi le ragioni (degli eventi di questi giorni) sono chiare. (…) Non ci siamo ricordati delle verità umane più basilari. (…) Siamo tutti uno. Questo è un messaggio che la razza umana ha grandemente ignorato. Il dimenticare questa verità è l’unica causa dell’odio e della guerra, e il modo di ricordarlo è semplice: amare in questo momento e sempre".
Ma chi ha portato la fraternità come dono essenziale all’umanità, è stato proprio Gesù, che ha pregato così prima di morire: "Padre, che tutti siano uno" – cf Gv 17,21). Egli, rivelando che Dio è Padre, e che gli uomini, per questo, sono tutti fratelli, introduce l’idea dell’umanità come famiglia, l’idea della "famiglia umana" possibile per la fraternità universale in atto. E con ciò abbatte le mura che separano gli "uguali" dai "diversi"; gli amici dai nemici; che isolano una città dall’altra. E scioglie ciascun uomo dai vincoli che lo imprigionano, dalle mille forme di subordinazione e di schiavitù, da ogni rapporto ingiusto, compiendo in tal modo un’autentica rivoluzione esistenziale, culturale e politica.
L’idea della fraternità iniziò così a farsi strada nella storia. E si potrebbe ripercorrere l’evoluzione del pensiero delle diverse epoche, rintracciandone la presenza, alla base di molte fondamentali concezioni politiche, a volte palese, altre volte più nascosta. Una fraternità spesso vissuta, anche se in maniera limitata, ogniqualvolta, ad esempio, un popolo si è unito per conquistare la propria libertà, o quando gruppi sociali hanno lottato per difendere un soggetto debole, o in ogni occasione in cui persone di convinzioni diverse hanno superato ogni diffidenza per affermare un diritto umano.
Quanto poi sia centrale, per la politica, la scoperta della fraternità, lo dice anche quell’importante evento storico, che costituisce uno spartiacque tra due epoche: la Rivoluzione francese. Nel suo motto: "Libertà, uguaglianza, fraternità", essa sintetizza il grande progetto politico della modernità, anche se essa stessa ha inteso i tre principi in un modo molto riduttivo.
Inoltre, se poi numerosi Paesi, arrivando a costruire regimi democratici, sono riusciti a dare una certa realizzazione alla libertà e all’uguaglianza, la fraternità, in particolare, è stata più annunciata che vissuta.
Ma la Rivoluzione francese, nonostante le sue contraddizioni, aveva intuito quel che le esperienze successive hanno dimostrato: i tre principi stanno o cadono insieme; solo il fratello può riconoscere piena libertà e uguaglianza al fratello.
Non si può più, dunque, guardare alla fraternità come a qualcosa di ingenuo, o di superfluo, o che si aggiunga alla politica dall’esterno.
I fondamenti dell’Europa
Per realizzare il grande progetto dell’unità europea, il vivere la fraternità è necessario, anche se difficile.
Dobbiamo però ricordare che questo progetto non nasce oggi. Esso parte da lontano.
Prendiamo, ad esempio, un manipolo di santi, scelti come patroni dell’Europa. Patroni perché fondatori di essa, i quali, in momenti cruciali della storia, seppero intervenire piantando i pilastri e tracciando le fisionomie di quella che oggi noi chiamiamo Europa.
Tra il V e il VI secolo, in uno dei periodi più critici per il continente, Benedetto da Norcia propose ai suoi contemporanei un nuovo modello di uomo che, se da una parte, è completamente immerso in Dio, dall’altra forgia gli attrezzi e lavora la terra. La fraternità monastica, a partire da Benedetto, crea una rete di centri spirituali, economici e culturali attorno ai quali rinasce l’Europa. Rinascita spirituale e insieme sociale.
Si aggiunge in questo movimento, ampliandolo verso l’Est, l’azione dei fratelli Cirillo e Metodio, che nel secolo IX impressero un’impronta indelebile nei popoli slavi, ideando una scrittura che ne esprimesse la lingua. Inserirono così più profondamente questi popoli nella comunione ecclesiale e salvarono, al contempo, la loro identità culturale. Applicarono, in questo modo, nei fatti, il modello cristiano di unità nella distinzione che appartiene al DNA dell’Europa e che continua ad essere il punto di riferimento nel cammino da compiere.
E in un momento in cui l’Europa – rotti i precedenti assetti feudali, ma ancora priva di un nuovo equilibrio – sembrava avere smarrito il senso della propria unità spirituale, Brigida di Svezia e Caterina da Siena si rivolgevano ai potenti del loro tempo, con una autorità d’amore che ricordava il loro vero fine di servire la giustizia.
E ancora, con Edith Stein, quasi una nostra contemporanea, la santità si è calata nel profondo dell’orrore che sconvolgeva l’Europa, unificando, nel suo sacrificio personale, una duplice fedeltà: al suo popolo e alla sua fede. Morì come monaca cristiana; ma morì perché ebrea. E pose così la pietra angolare di una casa europea nella quale tutte le religioni possono concorrere a costruire la fratellanza.
C’è santità alle radici dell’Europa: e non solo di quella che la storia ci consegna, ma anche dell’Europa che noi oggi stiamo costruendo, come ci è testimoniato da alcune delle figure dei padri dell’Europa unita: Robert Schuman e Alcide De Gasperi. Per essi è stato avviato il processo di canonizzazione che testimonia la loro santità, nel corso del quale si sta accertando, in particolare, come essi abbiano vissuto in maniera eroica non solo le virtù religiose, ma quelle civili che la loro professione politica richiedeva.
E se ritorniamo alla loro ispirazione originaria, al loro modo di intendere l’unità europea, possiamo trovare una luce per meglio concentrarci sull’obiettivo.
Il primo passo fu la creazione della "Comunità europea del carbone e dell’acciaio" (CECA). Ma la fusione delle produzioni di carbone e di acciaio non fu motivata dall’obiettivo di realizzare un "affare economico". Fu definita invece una "solidarietà di produzione" che rendesse impossibile ogni forma di guerra tra Francia, Germania e gli altri Paesi che vi avrebbero aderito. Lo scopo era, dunque, la pace, salvaguardare la fraternità, e l’economia il mezzo. Come dichiarava Konrad Adenauer davanti al Bundestag nel giugno 1950: "L’importanza del progetto è soprattutto politica e non economica".
E questo primo obiettivo, riguardante un settore industriale di primario interesse, era considerato solo una tappa verso l’effettiva unificazione economica dell’Europa, anch’essa a sua volta intesa – sottolineava Robert Schuman echeggiando anche le idee di Jean Monnet – come "il fermento di una comunità più profonda tra Paesi lungamente contrapposti da sanguinose scissioni" .
E che neppure l’Europa fosse il fine ultimo di questo sforzo di comunione, è esplicitamente dichiarato nel primo atto ufficiale di tutto il progetto, la "Dichiarazione Schuman": "L’Europa, con maggiore copia di mezzi, potrà continuare la realizzazione di uno dei suoi compiti essenziali: lo sviluppo del continente africano" .
Nella visione dei fondatori, l’Europa dunque è una famiglia di popoli fratelli, non però chiusa in se stessa, ma aperta ad una missione universale: l’Europa vuole la propria unità per contribuire, poi, all’unità della famiglia umana.
L’Europa unita, dunque, per arrivare ad un mondo unito.
Un mondo unito?
Sogno si può pensare, specie in quest’ora. Utopia. Non del tutto, però, se un Papa, l’attuale, così si è espresso con i nostri giovani pochi anni fa: "Davvero questa sembra la prospettiva che emerge dai molteplici segni del nostro tempo: la prospettiva di un mondo unito. E’ la grande attesa degli uomini di oggi (…) e, nello stesso tempo, la grande sfida del futuro. Ci accorgiamo che verso l’unità si sta procedendo sotto la spinta di un’eccezionale accelerazione"
Accelerazione data anche, forse, da circostanze che sembrano e ne sono la negazione. Ma che tutto possa cooperare al bene per chi crede, non è, paradossalmente in questo momento, pensiero di pochi.
E la Chiesa lo afferma da tempo, parlando di un nuovo ordine mondiale, di un nuovo ordine economico, di globalizzare la solidarietà. Questi campanelli di allarme attuali ci fanno capire che questi ideali non sono soltanto opzioni facoltative, ma qualcosa che riguarda il cammino dell’uomo sulla terra.
Strumenti d’unità
Ma come intanto proseguire l’opera di coloro che attraverso i secoli hanno costruito l’Europa?
Per suscitare la fraternità in Europa, per darle un’anima che generi un’unità spirituale, garanzia dell’unità politica, economica, ecc., non mancano gli strumenti. Basta saperli individuare.
Uno, la cui efficacia non è ancora del tutto scoperta, è quello dell’apparire dopo i primi decenni del ’900, in nazioni soprattutto europee (Spagna, Francia, Germania, Italia, e non solo nella Chiesa cattolica) di decine e decine di nuovi Movimenti e Comunità ecclesiali che, perché fondati o prevalentemente composti da laici, non mancano d’un sentito, profondo interesse per il vivere umano e di una ricaduta nel campo civile, offrendo concrete realizzazioni politiche, economiche, ecc.
Sono realtà queste venute in piena luce appena tre anni fa, quando la Chiesa si è riscoperta e ripresentata al mondo costituita, oltre che dall’aspetto istituzionale, anche da quello carismatico, coessenziale al primo. Aspetto che ha arricchito i secoli di Movimenti spirituali (come quello francescano) e delle più varie correnti di pensiero e di spiritualità, atte a riportare la cristianità, spesso illanguidita e secolarizzata dal contatto col mondo, all’autenticità ed alla radicalità del Vangelo.
Autenticità e radicalità soprattutto di quello straordinario amore evangelico, materia prima per la fraternità, che va rivolto a tutti, quindi anche al nemico, che sa prendere sempre coraggiosamente l’iniziativa, che non è mero sentimentalismo ma concreto agire, che tratta tutti da uguali; che, vissuto da più, diventa reciproco e genera appunto fraternità, unità.
Questi Movimenti, seguendo ognuno il proprio carisma, concretizzano l’amore in tante forme, ma soprattutto, parecchi di questi, manifestano la forza dello Spirito, sempre attento alle necessità del momento, con la capacità che hanno d’aprire a tutti gli uomini e donne del nostro pianeta un dialogo profondo.
E quattro sono oggi i dialoghi veramente necessari anche per la fraternità in Europa: il dialogo all’interno di ogni Chiesa cristiana, che è già iniziato anche per opera dei nuovi Movimenti ecclesiali; il dialogo ecumenico che aiuta il ricomporsi dell’unità nell’unica Chiesa; il dialogo con le persone delle altre religioni: musulmani, ebrei, buddisti, ecc., oggi presenti anche in Europa per le ondate immigratorie e gli interscambi legati alla globalizzazione. Dialogo attuabile per la cosiddetta "regola d’oro", comune a tutte le principali religioni della terra, che dice: "Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te" (cf Lc 6,31). Regola d’oro che in fondo vuol dire: ama. E se noi, perché cristiani, amiamo, ed essi pure amano, ecco l’amore reciproco, da cui fiorisce la fraternità anche con loro.
Dialogo infine con i nostri fratelli – e sono forse i più – che non professano una fede religiosa, ma hanno iscritta pure essi nel DNA della loro anima, la spinta ad amare.
Oggi, poi, la chiamata ad operare alla fraternità è partita dalla voce autorevole di Giovanni Paolo II il quale, il 6 gennaio scorso, ha proposto a tutti i cristiani, nella Lettera Novo millennio ineunte, la cosiddetta "spiritualità di comunione" che la rende possibile.
Spiritualità che, già presente nella Chiesa da 60 anni circa in uno dei Movimenti, quello dei Focolari, ma limitata ad esso, ora, assunta dal Santo Padre, poteva e doveva animare la Chiesa intera ed oltre.
Il suo segreto sta nel fissare lo sguardo ed imitare Colui che è stato l’artefice della fraternità e della ricomposizione dell’unità di tutti gli uomini, in Dio e fra loro, il Crocifisso, che grida: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt 27,46).
Noi tutti, uomini, eravamo staccati dal Padre e divisi fra noi. Era necessario che il Figlio, nel quale tutti siamo rappresentati, provasse il distacco dal Padre col quale era una cosa sola (Gv 10,30).
Ma Egli non si è fermato nel baratro di quel dolore infinito. Con un immane sforzo, s’è riabbandonato al Padre, dicendo: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" (Lc 23,46), ed ha così ricomposto l’unità con Dio e fra noi.
E’ il mistero di Gesù abbandonato-risorto, che dà la possibilità a tutti noi, imitandolo, di superare ogni divisione e di intraprendere il dialogo con tutti.
Prospettive politiche della fraternità
Se nei nuovi Movimenti, in genere, c’è l’interesse delle cose umane, nel Movimento dei Focolari la "spiritualità d’unità o di comunione" ha dato origine, fra il resto, anche ad una espressione politica: il Movimento dell’Unità, il cui scopo specifico è appunto la fraternità in politica.
Esso, sorto a Napoli, nel 1996, raccoglie l’esperienza di quei politici italiani che, fin dagli anni ’50, hanno cercato di vivere quest’ideale dell’unità. Ed ora si può costatare come, da ciò che ha posto in pratica ai diversi livelli dell’impegno politico, dall’amministrazione delle città fino all’attività parlamentare, è possibile ricavare alcune indicazioni concrete, che potrebbero essere sviluppate nella più grande dimensione continentale.
Si è capito, anzitutto, che esiste una vera vocazione alla politica. E’ una chiamata personale che emerge dalle circostanze e parla attraverso la coscienza. Chi crede vi avverte, con chiarezza, la voce di Dio che gli assegna un compito. Ma anche chi non crede si sente chiamato ad essa dall’esistenza di un bisogno sociale, da una categoria debole che chiede aiuto, da un diritto umano violato, dal desiderio di compiere il bene per la propria città o per la propria nazione.
E la risposta alla vocazione politica è anzitutto un atto di fraternità: non si scende in campo, infatti, solo per risolvere un problema, ma si agisce per qualcosa di pubblico, che riguarda gli altri, volendo il loro bene come fosse il proprio.
Il vivere così permette al politico di ascoltare fino in fondo i cittadini, di conoscerne i bisogni e le risorse; lo aiuta a comprendere la storia della propria città, a valorizzarne il patrimonio culturale e associativo: in tal modo arriva a cogliere, un po’ alla volta, la sua vera vocazione ed a guardare ad essa con sicurezza per tracciarne il cammino.
Il compito dell’amore politico, infatti, è quello di creare e custodire le condizioni che permettono a tutti gli altri amori di fiorire: l’amore dei giovani che vogliono sposarsi e hanno bisogno di una casa e di un lavoro, l’amore di chi vuole studiare e ha bisogno di scuole e di libri, l’amore di chi si dedica alla propria azienda e ha bisogno di strade e ferrovie, di regole certe… La politica è perciò l’amore degli amori, che raccoglie nell’unità di un disegno comune la ricchezza delle persone e dei gruppi, consentendo a ciascuno di realizzare liberamente la propria vocazione. Ma fa pure in modo che collaborino tra loro, facendo incontrare i bisogni con le risorse, le domande con le risposte, infondendo in tutti la fiducia gli uni negli altri. La politica si può paragonare allo stelo di un fiore, che sostiene e alimenta il rinnovato sbocciare dei petali della comunità.
Noi sappiamo come anche oggi ci sono cittadini per i quali la città è come non esistesse, cittadini per i cui problemi le istituzioni cercano con difficoltà le risposte. C’è anche chi si sente escluso dal tessuto sociale e separato dal corpo politico, a causa della mancanza di lavoro, o di casa, o della possibilità di curarsi adeguatamente. Sono questi, e molti altri, i problemi che quotidianamente i cittadini pongono a chi ha il governo della città. E la risposta che ricevono è determinante perché anch’essi si sentano a pieno titolo cittadini e avvertano l’esigenza e abbiano la possibilità di partecipare alla vita sociale e politica.
E perciò, da questo punto di vista il Comune è la più importante delle istituzioni, perché più vicina alle persone, di cui incontra direttamente tutti i tipi di bisogni. Ed è attraverso il rapporto con il Comune, nelle sue varie articolazioni, che il cittadino sviluppa la gratitudine – o il rancore – verso l’insieme delle istituzioni, anche quelle più lontane, quali lo Stato.
Passando ora a considerare la dimensione nazionale della politica, i rapporti tra i grandi orientamenti che nei nostri Paesi si alternano al governo, costatiamo che il vivere la nostra scelta politica come una vocazione d’amore ci porta a comprendere che anche coloro che hanno fatto una scelta politica diversa dalla nostra, possono essere stati spinti da una analoga vocazione d’amore. E che anch’essi sono parte – nel loro modo – dello stesso disegno, pur presentandosi come avversari. La fraternità permette di riconoscere il loro compito, di rispettarlo, di aiutarli – anche attraverso una critica costruttiva – ad esservi fedeli, mentre noi siamo fedeli al nostro.
Si dovrebbe vivere la fraternità così bene da arrivare ad amare il partito degli altri come il proprio, sapendo che entrambi non sono nati per caso, ma come risposta ad una esigenza storica presente all’interno della comunità nazionale: e solo soddisfacendo a tutti gli interessi, solo armonizzandoli in un disegno comune, la politica raggiunge il proprio scopo. La fraternità fa emergere i valori autentici di ciascuno e ricostruisce l’insieme del disegno politico di una nazione.
Lo testimoniano ad esempio, le iniziative di membri del Movimento dell’Unità volte a creare un rapporto fraterno tra maggioranza e opposizione, sia a livello di Parlamento, sia in alcuni Comuni, iniziative che si sono tradotte in leggi dello Stato o in politiche locali che hanno unito le città nelle quali si sono realizzate.
Lo testimoniano anche numerose esperienze di accoglienza degli immigrati, che accorrono nei Paesi più industrializzati non solo per motivi economici, ma anche politici: una città, una nazione, non perdono, ma guadagnano nell’aprirsi all’altro; si alza la loro statura politica nell’offrire una Patria e una cittadinanza a chi l’ha perduta.
E l’amore per la propria Patria fa comprendere quello che gli altri hanno per la loro, nella quale, pure, esiste un disegno d’amore.
Così colui che, rispondendo alla propria vocazione politica, inizia a vivere la fraternità, si immette in una dimensione universale che lo apre all’umanità intera. E tiene conto delle conseguenze universali delle proprie scelte, si chiede se ciò che sta decidendo, pur rispondendo agli interessi della propria nazione, non porti ad un danno per le altre. Ogni gesto politico, in questo modo, non solo quello di un governo nazionale, ma anche il più particolare, compiuto nel più piccolo municipio della più lontana provincia, si carica di un significato universale, perché è pienamente uomo, pienamente responsabile, il politico che lo compie. Il politico dell’unità ama la Patria degli altri come la propria.
Questa è la caratteristica della dimensione politica, dell’essere cittadini: il continuo rapporto con l’altro, il riconoscimento della sua distinzione da me, ma, allo stesso tempo, la convinzione di appartenere, insieme, alla città. Ed è, questa, anche la caratteristica dell’Europa.
Infatti, quando si è iniziato a parlare di Europa, lo si è fatto in relazione alla città.
Attraverso i secoli, continuerà ad approfondirsi la percezione di che cosa è l’Europa e, contemporaneamente, se ne ampliano i confini: dalla piccola Grecia la coscienza europea arriverà a comprendere se stessa dall’Atlantico agli Urali. E questo soprattutto grazie alla penetrazione del cristianesimo, che infonde nei popoli dell’Europa "geografica" i principi religiosi che sviluppandosi in principi civili, sociali e politici, costruiranno l’Europa culturale. E tutto ciò senza soffocare le distinte identità cittadine e le identità nazionali che si sono andate via via formando.
E ad ogni passaggio d’epoca ritroviamo la stessa situazione: ciò che, ad un dato momento, si pensava essere l’Europa, è risultato troppo piccolo, si è trovato alle prese con qualcosa di diverso che lo metteva in scacco, e che sfidava l’Europa a comprenderlo, a prenderlo dentro modificandolo e modificandosi.
E facendo ciò, l’Europa è andata sempre più verso se stessa, verso la piena maturazione del seme cristiano che non si esprime più, certo, nella "cristianità" medievale ma, più profondamente, nella dinamica della fraternità universale, che coinvolge persone e popoli diversi fra loro.
E’ in questa fraternità universale, che crea l’unità salvando le distinzioni, la vocazione dell’Europa. Essa è ancora in cammino. Le guerre, i regimi totalitari, le ingiustizie, hanno lasciato delle ferite aperte da sanare. Ma per essere davvero europei, dobbiamo riuscire a guardare con misericordia al passato, riconoscendo come nostra la storia della mia nazione e di quella dell’altro, riconoscendo che ciò che oggi siamo è frutto di una vicenda comune, di un destino europeo che chiede di essere preso interamente e consapevolmente nelle nostre mani.
L’unità d’Europa chiede oggi, ai politici europei, di interpretare i segni del tempo, e di stringere tra loro quasi un patto di fraternità, che li impegni a considerarsi membri della Patria europea come di quella nazionale, cercando sempre ciò che unisce e trovando insieme le soluzioni ai problemi che ancora si frappongono all’unità di tutta l’Europa.
Per un fine così alto vale senz’altro la pena di impegnare la propria esistenza.
E’ quanto auguro a loro, Signori.
E li ringrazio per avermi ascoltata.
Chiara Lubich
Nov 13, 2001 | Non categorizzato
Eccellenze,
Signore e signori,
È un piacere e un onore per me essere con voi oggi.
Sono grato per questa prima occasione di parlare con i sindaci di tutta Europa del futuro dell’Unione e del vostro ruolo sempre più importante nel progetto europeo.
Oggi vorrei affrontare tre aspetti del futuro dell’Unione che, pur essendo distinti fra loro, sono strettamente legati:
Nov 13, 2001 | Non categorizzato
Noi, sindaci partecipanti alla Conferenza di Innsbruck, provenienti da 28 paesi d’Europa(1), affermiamo il nostro impegno di protagonisti per la costruzione europea nella nuova fase di riflessione sull’avvenire del continente che si apre con il Consiglio europeo di Laeken.
Consci che l’Europa ha stabilmente inserito tra i suoi valori fondamentali la libertà e l’uguaglianza dei popoli e degli stati e che tali valori, che devono comunque continuare ad essere approfonditi nella loro dimensione politica, non bastano da soli ad assicurare il compimento del disegno europeo, siamo fermamente convinti che tale disegno può venire pienamente realizzato solo assumendo la fraternità come categoria politica attraverso la quale sviluppare la costruzione dell’Europa.
Questa nuova dimensione dell’impegno politico per l’Europa può essere realizzata in primo luogo a livello delle città, dove i cittadini vivono rapporti di prossimità e di reciprocità e il loro accesso alle istituzioni è personale, immediato, continuo.
I drammi e i problemi che attraversano il continente hanno nelle città il loro impatto più vivo e quotidiano, ed è lì che chiedono la prima risposta. È nell’ambito del comune che le persone possono iniziare ad assumere la loro dimensione politica; è a partire dalle città, vere e proprie palestre di democrazia, che si possono affrontare le nuove domande di appartenenza, di responsabilità e di solidarietà.
I comuni, elemento di base nella molteplicità dei livelli di governo, diventano in tal modo un esempio per un’Europa più democratica e più aperta alla partecipazione.
Per crescere insieme nella consapevolezza dell’appartenenza europea, noi sindaci ci impegniamo a fondare il nostro lavoro sul dialogo costante con i cittadini, coinvolgendoli nei progetti delle città.
Riteniamo inoltre che il nostro impegno debba essere rivolto a tutti i responsabili dei poteri locali per costruire una rete di relazioni formali ed informali, al fine di condividere idee, problemi, esperienze, progetti, risorse.
Siamo convinti che la costruzione europea attualmente in corso, nel suo significato politico più autentico, rappresenti il tentativo di realizzare l’aspirazione ad un’unità vera, che valorizza le diverse identità. Questa dinamica, in tutte le sue forme politiche, cominciando dalla dimensione comunale, è, pur con le sue alterne vicende, il filo conduttore della storia dell’Europa.
Un’Europa unita nella fraternità non potrà non mettere la propria esperienza e le proprie risorse al servizio della domanda di giustizia, di cooperazione e di pace che sale dalle aree più deboli del mondo.
____________
(1) Austria, Belgio, Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Francia, Georgia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Repubblica Federale di Jugoslavia, Lituania, Lussemburgo, Macedonia (ex Repubblica Jugoslava di Macedonia), Paesi Bassi, Polonia, Romania, Regno Unito, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Ucraina, Ungheria.
Nov 10, 2001 | Dialogo Interreligioso, Focolari nel Mondo, Senza categoria
- Thomas Klestil – Presidente della Repubblica Austriaca
- Jos Chabert – Presidente della Camera delle Regioni alla UE
- Chiara Lubich – Fondatrice del Movimento dei Focolari
Trasmissione Internet E’ un avvenimento progettato da tempo. Dopo l’11 settembre rivela una particolare attualità e significato. La tragedia che ha colpito gli Stati Uniti, ha posto la comunità mondiale di fronte alla necessità di una risposta politica di tipo nuovo. Nell’opinione pubblica mondiale cresce la coscienza di appartenere ad un’unica famiglia umana. L’Europa ha un ruolo importante da giocare nella ricerca di vie e strumenti che possano far crescere una nuova cultura di giustizia sociale e cooperazione su percorsi di pace e di fraternità tra i popoli, uniche vie praticabili nell’attuale drammatica situazione mondiale. “Ai comuni – ha dichiarato il sindaco van Staa – viene richiesto coraggio, apertura, senso di responsabilità”. I comuni possono contribuire all’unità europea con un processo dal basso: questa prima assemblea dei poteri locali dell’Europa unita mostrerà quanto le amministrazioni locali siano in grado di agire nel “costruire” i cittadini d’Europa, nel contribuire a comporre e ricomporre diversità delle culture e delle religioni, da sempre ricchezza del vecchio continente, nell’aprire sfide di fraternità intrecciando rapporti stretti e diretti con comunità locali dei paesi poveri degli altri continenti. Il convegno si propone così di “dare un’anima” al processo di integrazione e di allargamento dell’Europa. Oltre alla presenza del Presidente austriaco Thomas Klestil, spiccano i due interventi centrali: quello del Presidente della Commissione europea Romano Prodi su “le grandi opportunità dell’attuale fase storica dell’Europa” e quello di Chiara Lubich su “la fraternità in politica come chiave dell’unità d’Europa e del mondo”. Hanno confermato la loro adesione sindaci da tutta Europa, dall’Atlantico agli Urali, spalancando i confini dell’Europa unita. Significativa, in questa proiezione al futuro, la partecipazione anche di oltre 200 giovani, studenti in scienze politiche o comunque attenti al futuro politico del continente. Sindaci e giovani lavoreranno insieme in quattro gruppi tematici di lavoro, finalizzati alla redazione di un “appello per l’unità europea” rivolto ai governi dei paesi rappresentati, per una autentica “Europa – comunità di popoli”. Il Consiglio Europeo, tenutosi a Nizza nel dicembre scorso, aveva chiesto alle istituzioni europee, governi e parlamenti nazionali, di aprire sull’Europa un dibattito ampio ed aperto per una vasta sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Il Convegno di Innsbruck sarà una tappa importante e forse unica per la sua rilevanza in questo progetto: il documento finale sarà consegnato nelle mani del presidente della commissione che sta preparando il prossimo appuntamento del Consiglio, fissato per dicembre a Laeken, in Belgio. Le premesse ci sono tutte, come lascia presagire la dichiarazione del Presidente Prodi: “Il convegno costituirà un significativo momento, indispensabile per aiutare a creare un Europa in cui tutti i cittadini si sentano protagonisti”. Chiara Lubich, da parte sua, ha affermato: “L’unità d’Europa: un ideale, un impegno, quello di dare al nostro continente un supplemento d’anima che rinnovi i suoi cittadini e le sue grandi o piccole istituzioni”. Ufficio Stampa Innsbruck Responsabile: Mr. W. Weger – Mail: w.weger@magibk.at Tel: 0043 512 5360 1930 – Fax: 0043 512 5360 1757 Portatile: 0043 664 14 02 761 Fax diretto: 0043 512 58 24 93 (altro…)
Nov 4, 2001 | Non categorizzato
Intervengono:
Romano Prodi
Presidente della Commissione Europea
Thomas Klestil
Presidente della Repubblica Austriaca
Jos Chabert
Presidente della Camera delle Regioni alla UE
Chiara Lubich
Fondatrice del Movimento dei Focolari
Live internet
E' un avvenimento progettato da tempo. Dopo l'11 settembre rivela una particolare attualità e significato.
La tragedia che ha colpito gli Stati Uniti, ha posto la comunità mondiale di fronte alla necessità di una risposta politica di tipo nuovo. Nell'opinione pubblica mondiale cresce la coscienza di appartenere ad un'unica famiglia umana. L'Europa ha un ruolo importante da giocare nella ricerca di vie e strumenti che possano far crescere una nuova cultura di giustizia sociale e cooperazione su percorsi di pace e di fraternità tra i popoli, uniche vie praticabili nell'attuale drammatica situazione mondiale.
"Ai comuni – ha dichiarato il sindaco van Staa – viene richiesto coraggio, apertura, senso di responsabilità".
I comuni possono contribuire all'unità europea con un processo dal basso: questa prima assemblea dei poteri locali dell'Europa unita mostrerà quanto le amministrazioni locali siano in grado di agire nel "costruire" i cittadini d'Europa, nel contribuire a comporre e ricomporre diversità delle culture e delle religioni, da sempre ricchezza del vecchio continente, nell'aprire sfide di fraternità intrecciando rapporti stretti e diretti con comunità locali dei paesi poveri degli altri continenti.
Il convegno si propone così di "dare un'anima" al processo di integrazione e di allargamento dell'Europa.
Oltre alla presenza del Presidente austriaco Thomas Klestil, spiccano i due interventi centrali: quello del Presidente della Commissione europea Romano Prodi su "le grandi opportunità dell'attuale fase storica dell'Europa" e quello di Chiara Lubich su "la fraternità in politica come chiave dell'unità d'Europa e del mondo".
Hanno confermato la loro adesione sindaci da tutta Europa, dall'Atlantico agli Urali, spalancando i confini dell'Europa unita. Significativa, in questa proiezione al futuro, la partecipazione anche di oltre 200 giovani, studenti in scienze politiche o comunque attenti al futuro politico del continente.
Sindaci e giovani lavoreranno insieme in quattro gruppi tematici di lavoro, finalizzati alla redazione di un "appello per l’unità europea" rivolto ai governi dei paesi rappresentati, per una autentica "Europa – comunità di popoli".
Il Consiglio Europeo, tenutosi a Nizza nel dicembre scorso, aveva chiesto alle istituzioni europee, governi e parlamenti nazionali, di aprire sull'Europa un dibattito ampio ed aperto per una vasta sensibilizzazione dell’opinione pubblica.
Il Convegno di Innsbruck sarà una tappa importante e forse unica per la sua rilevanza in questo progetto: il documento finale sarà consegnato nelle mani del presidente della commissione che sta preparando il prossimo appuntamento del Consiglio, fissato per dicembre a Laeken, in Belgio.
Le premesse ci sono tutte, come lascia presagire la dichiarazione del Presidente Prodi: "Il convegno costituirà un significativo momento, indispensabile per aiutare a creare un Europa in cui tutti i cittadini si sentano protagonisti".
Chiara Lubich, da parte sua, ha affermato: "L’unità d’Europa: un ideale, un impegno, quello di dare al nostro continente un supplemento d’anima che rinnovi i suoi cittadini e le sue grandi o piccole istituzioni".
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Nov 4, 2001 | Non categorizzato
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Nov 2, 2001 | Nuove Generazioni
RUFZEICHEN significa “punto esclamativo”, ma Ruf significa anche “chiamata”.
E' il titolo della manifestazione degli oltre 5000 giovani di 29 movimenti e associazioni cattoliche austriache, che ben esprime l'esperienza vissuta sabato 3 novembre nella Cattedrale di Vienna: la meraviglia della chiamata di Dio comunicata con forza da Chiara Lubich.
“Chiara, Grazie! Ci hai comunicato quanto sia grande l'amore di Dio e ciò che lui può fare della nostra vita se ci affidiamo a lui, se ci doniamo a lui, se seguiamo la sua voce”. Cristina, dell'Azione Cattolica, una dei presentatori, parla a nome degli oltre 5000 giovani che sabato pomeriggio hanno gremito la cattedrale di Santo Stefano a Vienna, dandole un volto del tutto inedito.
Una manifestazione – la prima di queste dimensioni – avviata da “Dialog X” che favorisce l'incontro tra oltre 30 movimenti e associazioni, per iniziativa del vescovo Iby di Eisenstadt, incaricato dalla Conferenza episcopale austriaca della pastorale giovanile.
Cristina ha preso la parola dopo che un lungo applauso aveva accolto le ultime parole di Chiara: “Puntate in alto! Avete una vita sola, spendetela per un ideale grande: Dio, l'Amore!”.
Difficile esprimere il clima che si respirava: gioia, entusiasmo, commozione. Lo si leggeva sui volti dei giovani, ma anche su quello del cardinale Schönborn, seduto accanto a Chiara Lubich, su un palco eretto davanti all'altare maggiore. Questo clima veniva reso anche dalla diretta satellitare, trasmessa da Telepace e seguita in tutta Europa e nel mondo via Internet.
Ancora Cristina, nel saluto a Chiara riportava l'interrogativo che qualche giovane si faceva prima dell'incontro: “Che cosa ha da dire questa donna non certo più diciassettenne ai giovani?”, a cui aveva risposto: “Con la sua vita può affascinarli e entusiasmarli”.
E così è stato. In modo del tutto imprevedibile. Dopo le prime battute, Chiara ha lasciato da parte i fogli. Ha donato ai giovani un'esperienza che aveva radici sin dall'infanzia, maturata poi in piena giovinezza. L'ha data con un'intensità tale – perché da lei rivissuta, per così dire, in diretta – che ha avuto una grande forza di coinvolgimento dei giovani presenti.
Veniva in rilievo il filo d'oro della chiamata di Dio, intrecciato col dramma della seconda guerra mondiale che pareva presente, con i richiami all'attuale conflitto in Afghanistan, al dramma dei profughi. Sfondo drammatico di odio e violenza da cui emergeva la risposta ad una domanda che di certo era in molti giovani: “Tutto passa. Ci sarà qualcosa che non crolla?”. Ed è scoppiato un applauso, alla risposta: “Sì c'è: è Dio, Dio Amore. L'unico che non crolla”.
Il racconto che si è snodato rivelava certo un Vangelo esigente perché preso alla lettera, senza sconti, ma affascinante perché, con episodi concreti, Chiara mostrava che a quel “date” evangelico, corrisponde il “vi sarà dato, con una misura colma e traboccante”.
Ed è proprio in questo momento difficile che l'umanità sta vivendo, che quel messaggio esigente lanciato da Chiara, da viversi nell' “amore” momento per momento, verso tutti, “dal professore antipatico, a chi ti passa accanto di altra razza e religione, senza esclusione alcuna”, che si comprende la profondità della risposta dei giovani, la loro gioia e commozione, una gioia liberatoria per aver riscoperto in Dio una nuova certezza. Lo confermano alcune impressioni a caldo: “Abbiamo scoperto che Dio ha un posto importante nella nostra vita.” “Voglio vivere per portare assieme a tutti questi giovani l'amore alla società”.